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Sommario del 14/04/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa a Lesbo, Lombardi: visita di natura umanitaria ed ecumenica

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Sarà una visita dal carattere strettamente umanitario ed ecumenico quella di Papa Francesco a Lesbo il prossimo sabato 16 aprile. Padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, lo ha detto presentando alla stampa il programma della giornata. Francesca Sabatinelli

E’ stata per tutti una sorpresa l’annuncio del Papa a Lesbo, una visita che, così come fu per quella a Lampedusa, avviene in un momento di grave crisi umanitaria per quanto riguarda migranti e rifugiati. Padre Federico Lombardi ha spiegato così il senso di un viaggio lampo, che porterà Francesco per cinque ore in questa terra di confine, a pochi chilometri dalla costa turca, e per questo meta di chi fugge dalla guerra, ora soprattutto dalla Siria. Non si deve pertanto leggere un significato politico, è il messaggio della Santa Sede, e tantomeno una critica alla gestione dell’immigrazione da parte dell’Unione europea:

"Il viaggio, o visita, se vogliamo essere più esatti, è di natura strettamente umanitaria ed ecumenica, nel senso che è una visita che è compiuta insieme: dal Papa, dal Patriarca ecumenico e dall’arcivescovo di Atene. Non ha, quindi, direttamente nessun risvolto di prese di posizione politiche o di altro genere, ma un’attenzione fondamentalmente umanitaria, vissuta in chiave ecumenica".

Che certamente sia "una situazione in cui ci sono tante persone che soffrono di problemi le cui soluzioni non sono state trovate - ha detto padre Lombardi - questo mi sembra che sia assolutamente evidente. Il fatto stesso che ci sia una situazione seria e grave di carattere umanitario da richiamare all'attenzione, significa che c’è ancora molto da fare per trovare soluzioni degne dell'uomo":

“Questa visita nasce dalla preoccupazione del Papa per la situazione dei migranti e dei rifugiati. Preoccupazione condivisa, come sappiamo, dal Patriarca Bartolomeo, con cui c’è una profonda sintonia, e condivisa dalla Chiesa ortodossa greca, che vive evidentemente nel suo Paese la situazione gravissima che conosciamo”.

Il Papa arriverà alle 10.20 del mattino (le 9.20 in Italia) sull’isola di Lesbo accolto all’aeroporto dal premier greco Tsipras, lì riceverà il benvenuto del Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo e dell’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia Ieronymos. Dopo un incontro privato tra Francesco e Tsipras, i tre leader religiosi si muoveranno alla volta del campo profughi di Moria, che ospita circa tremila persone. All’arrivo al campo, il Papa saluterà 150 minorenni ospiti del centro e subito dopo altre 250 persone riunite in una tenda nel cortile normalmente utilizzato per la registrazione dei profughi . E’ qui che i tre leader terranno i discorsi: a iniziare sarà l’arcivescovo Ieronymos, seguito da Bartolomeo e poi dal Santo Padre, subito dopo la firma della Dichiarazione congiunta che sarà di impegno ecumenico di carattere umanitario. A seguire il pranzo, con otto rifugiati in un container, sempre nel campo di Moria, vi sarà il trasferimento al porto di Mytilene, qui l’incontro con la cittadinanza e con la piccola comunità cattolica. Al termine di un discorso del Papa, i tre leader reciteranno una breve preghiera per le vittime delle migrazioni e, dopo un minuto di silenzio, getteranno in mare tre corone di alloro ricevute da tre bambini. In aeroporto, prima della partenza per il rientro, previsto per le 16.30 a Roma-Ciampino, il Papa incontrerà privatamente, e separatamente, l’arcivescovo Ieronymos, il Patriarca Bartolomeo e di nuovo il premier Tsipras.

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Mons. Jurkovič dal Papa: da lui spontanea la decisione su Lesbo

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Il Papa ha ricevuto l’arcivescovo Ivan Jurkovič, nuovo osservatore permanente della Santa Sede presso l'Ufficio Onu di Ginevra. Tra i temi affrontati anche l'imminente viaggio di Francesco a Lesbo per esprimere la sua vicinanza a tanti profughi che fuggono dalle guerre in Medio Oriente. Alessandro Guarasci ha sentito lo stesso mons. Jurkovič: 

R. – Lui mi ha detto alcune sue preoccupazioni che sono legate a questo mondo delle Nazioni Unite. Credo che la prima impressione del Papa fosse questa terribile sorpresa negli ultimi anni di avere la guerra così vicina e così vicine anche tutte le conseguenze della guerra. Dice che gli è venuta spontanea la decisione di fare qualcosa e che ha avuto subito un’accoglienza positiva anche da parte della Chiesa ortodossa greca. L’urgenza della situazione ci porta alla più stretta collaborazione e anche a vedute più simili. Il Papa mi ha detto, poi, che ciò che lo sorprende sempre di più sono queste dinamiche nello sviluppo dell’economia mondiale, che non producono lavoro. Si produce anche il bene, il bene nominale, anche grandi ricchezze, ma tanta gente rimane senza lavoro.

D. – Lei conosce bene l’Europa. Come vede in questo momento questo sorgere di muri anche all’interno dell’Europa? L’Austria per esempio ha detto: pensiamo anche di chiudere il valico del Brennero. C’è poca solidarietà all’interno dell’Europa in questo momento?

R. – Ogni argomento si può affrontare da due punti di vista. Uno è quello drammatico, categorico, anche simbolicamente duro, che evidentemente vediamo, che ci sorprende. Contemporaneamente, c’è anche la necessità  di prenderci delle responsabilità. Chiudere o non chiudere, non saprei. Di fronte ad un’umanità che soffre, ci vuole una risposta organizzata e coordinata. In Europa è arrivato come uno stato di shock, come un vero shock culturale. Dobbiamo reagire ed aiutare a reagire, in modo tale da non creare questi paradigmi che ci porteranno tanta cattiva pubblicità in futuro. I problemi ci sono: alcuni si risolveranno e ad altri magari ci abitueremo, non so. Ci saranno certamente tempi più sereni di oggi. Potremmo dire una cosa: che non avremo ragione di vergognarci di quello che ha fatto la Chiesa oggi. Penso che saremo orgogliosi di avere reagito in maniera così categorica. Dalla Chiesa non ci si poteva aspettare un’altra reazione.

D. – Secondo lei, nelle organizzazioni internazionali, per esempio all’Onu, va riproposto il tema della libertà religiosa, della difesa dei cristiani, in molte aree del mondo?

R. – Con alcune cose, che sembrano di per sé chiare, che non avrebbero bisogno di nessun commento e che uno ha quasi vergogna di ripetere o di sottolineare, succede che proprio quelle si dimenticano. Sono travolte da altri pensieri, da altre preoccupazioni, qualche volta anche legittime. Se la libertà religiosa è un fondamento della vita della società, bisogna darsi da fare per dimostrarlo agli altri. Ed ogni generazione sembra faticare nel comprenderlo.

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Papa a Lesbo, Msf: l'augurio è che risvegli le coscienze

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Nel campo di accoglienza di Moria a Lesbo, che Papa Francesco visiterà sabato 16 aprile, fino allo scorso 20 marzo, erano presenti gli operatori di Medici Senza Frontiere che, dopo l’accordo tra Unione europea e Ankara, hanno deciso di chiudere le proprie attività all’interno dell’hotspot per non divenire, è stata la loro denuncia, complici di un sistema considerato iniquo e disumano. Francesca Sabatinelli ha intervistato Michele Telaro, capo progetto di Msf a Lesbo: 

R. – Sicuramente la visita del Papa è assolutamente la benvenuta! Spero che Papa Francesco possa riuscire a risvegliare le coscienze dell’opinione pubblica e delle nostre autorità. Poi, onestamente, non mi aspetto che la visita del Papa possa far cambiare idea all’Unione europea, perché la volontà politica che è stata messa in gioco è molto forte ed è evidente. Il Papa ha chiesto “ponti e non barriere”, ma in questo momento, invece, l’Unione europea vuole proprio creare delle barriere e respingere queste persone, chiudere le proprie frontiere e, in qualche modo, vuole subappaltare l’assistenza umanitaria e la protezione internazionale ad altri, alla Turchia.

D. – All’indomani dell’accordo che è stato siglato tra Unione europea e Ankara, Medici Senza Frontiere ha deciso immediatamente di chiudere la sua attività nell’hotspot di Moria. Ancora oggi la situazione è questa? Cioè, voi ancora operate sull’isola di Lesbo, ma al di fuori di Moria?

R. – Sì, esattamente. Manteniamo l’attività al di fuori dell’hotspot di Moria, ma abbiamo interrotto tutto quello che facevamo all’interno. Stiamo costantemente monitorando la situazione, soprattutto quella sanitaria, all’interno di Moria per essere sicuri che non degeneri. Quello che è successo il 20 marzo è che Moria, che era una struttura di accoglienza, da un giorno all’altro si è trasformata in una struttura di detenzione, senza alcuna comunicazione ufficiale. Quindi, queste persone che fuggono dalla guerra, che hanno fatto dei viaggi difficili per arrivare fino a qua, che hanno rischiato la vita per attraversare il mare, che arrivano sulla spiaggia, bagnati, spesso infreddoliti, spesso malati o anche con problemi fisici e traumi, fino al giorno prima queste persone trovavano una struttura di accoglienza, dove i loro bisogni ricevevano una risposta, da un giorno all’altro si ritrovano in detenzione per colpe che evidentemente non hanno commesso. Ed è per questo motivo che abbiamo smesso di lavorare all’interno di Moria.

D. – Ma all’interno del campo di Moria la situazione umanitaria, le condizioni di vita di queste persone, come sono?

R. – Le condizioni sono assolutamente inaccettabili. Moria ha una capacità di accoglienza di un migliaio di persone, 900-1000 persone, e in questo momento, invece, all’interno del campo ce ne sono all’incirca 3 mila. Non ci sono servizi igienici sufficienti, le strutture, i ripari e i posti per dormire sono insufficienti, ci sono famiglie e bambini che dormono all’esterno, per terra, perché non ci sono abbastanza ripari per tutti. Il cibo non è sufficiente, l’esercito fornisce tre volte al giorno i pasti per 2.400 persone, mentre il resto, i pasti mancanti, viene fornito da una piccola organizzazione spagnola. C’è una confusione totale, le persone non hanno alcuna informazione, i servizi medici sono insufficienti, per non dire del sostegno psicologico e della presa in carico dei disturbi di salute mentale. Tutte queste funzioni dovrebbero essere chiaramente responsabilità delle autorità, ma l’Unione europea ha imposto, da un giorno all’altro, alla Grecia di trasformare questo posto in una struttura di detenzione senza essere in grado di fornire tutti i servizi. Non c’è alcun bisogno di tenere queste persone in detenzione, perché potrebbero benissimo essere trasferite in altre strutture, più adeguate, dove si potrebbe dare loro tutta l’assistenza di cui hanno bisogno.

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Papa: la docilità allo Spirito, non la legge manda avanti la Chiesa

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Bisogna essere docili allo Spirito Santo, non fargli resistenza. E’ quanto sottolineato da Francesco nella Messa mattutina a Santa Marta. Il Papa ha messo in guardia da quelli che giustificano tale resistenza con una “cosiddetta fedeltà alla legge”. Ancora, ha invitato tutti i fedeli a chiedere la grazia della docilità allo Spirito. Il servizio di Alessandro Gisotti

Filippo evangelizza l’etiope, alto funzionario della regina Candace. Papa Francesco ha preso spunto da questa pagina affascinante degli Atti degli Apostoli, nella Prima Lettura di oggi, per appuntare la sua attenzione sulla docilità allo Spirito Santo.

Non resistere allo Spirito con la scusa della fedeltà alla legge
Il protagonista di questo incontro infatti, ha osservato, non è tanto Filippo e nemmeno l’etiope ma proprio lo Spirito. “E’ Lui che fa le cose. C’è lo Spirito che fa nascere e crescere la Chiesa”:

“Nei giorni passati, la Chiesa ci ha proposto il dramma della resistenza allo Spirito: i cuori chiusi, duri, stolti, che resistono allo Spirito. Vedevamo le cose – la guarigione dello storpio fatta da Pietro e Giovanni nella Porta Bella del Tempio; le parole e le cose grandi che faceva Stefano… – ma sono rimasti chiusi a questi segni dello Spirito e hanno fatto resistenza allo Spirito. E cercavano di giustificare questa resistenza con una cosiddetta fedeltà alla legge, cioè alla lettera della legge”.

Oggi, ha detto riferendosi alle Letture, “la Chiesa ci propone l’opposto: non la resistenza allo Spirito, ma la docilità allo Spirito, che è proprio l’atteggiamento del cristiano”. “Essere docili allo Spirito – ha ribadito - e questa docilità fa sì che lo Spirito possa agire e andare avanti per costruire la Chiesa”. Qui, ha soggiunto, c’è Filippo, uno degli Apostoli, “indaffarato come tutti i vescovi e quel giorno sicuramente aveva i suoi piani di lavoro”. Ma lo Spirito gli dice di lasciare ciò che aveva in programma e andare dall’etiope “e lui obbedì”. Francesco ha quindi tratteggiato l’incontro tra Filippo e l’etiope, al quale l’Apostolo spiega il Vangelo e il suo messaggio di salvezza. Lo Spirito, ha detto, “lavorava nel cuore dell’etiope”, gli offre “il dono della fede e questo uomo sentì qualcosa di nuovo nel suo cuore”. E alla fine chiede di essere battezzato, è stato docile allo Spirito Santo.

La docilità allo Spirito ci dona gioia
“Due uomini – ha commentato il Papa – un evangelizzatore e uno che non sapeva niente di Gesù, ma lo Spirito aveva seminato la curiosità sana e non quella curiosità delle chiacchiere”. E alla fine l’eunuco prosegue la sua strada con gioia, “la gioia dello Spirito, alla docilità allo Spirito”:

“Abbiamo sentito, i giorni scorsi, cosa fa la resistenza allo Spirito; oggi abbiamo un esempio di due uomini che sono stati docili alla voce dello Spirito. E il segno è la gioia. La docilità allo Spirito è fonte di gioia. ‘Ma io vorrei fare qualcosa, questo… Ma sento che il Signore mi chiede altro. La gioia la troverò là, dove c’è la chiamata dello Spirito!’”.

E' lo Spirito Santo che porta avanti la Chiesa
Una bella preghiera per chiedere questa docilità, ha rilevato, possiamo trovarla nel Primo Libro di Samuele, la preghiera che il sacerdote Eli suggerisce al giovane Samuele, che nella notte sentiva una voce che lo chiamava: “Parla Signore, che il tuo servo ascolta”:

“Questa è una bella preghiera che possiamo fare noi, sempre: ‘Parla Signore, perché io ascolto’. La preghiera per chiedere quella docilità allo Spirito Santo e con questa docilità portare avanti la Chiesa, essere gli strumenti dello Spirito perché la Chiesa possa andare avanti. ‘Parla Signore, perché il tuo servo ascolta’. Preghiamo così, tante volte al giorno: quando abbiamo un dubbio, quando non sappiamo o quando semplicemente vogliamo pregare. E con questa preghiera chiediamo la grazia della docilità allo Spirito Santo”.

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Papa: viviamo in tempi ostili al Vangelo, serve coraggio dei martiri

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Oggi i cristiani sono chiamati a imitare il coraggio dei martiri in una cultura spesso ostile al Vangelo: è quanto ha detto il Papa ricevendo nella Sala del Concistoro i superiori e i seminaristi del Pontificio Collegio Scozzese a 400 anni dalla sua trasformazione in un Seminario per la formazione sacerdotale. Il servizio di Sergio Centofanti

400 anni fa, nel marzo del 1615, un sacerdote gesuita scozzese, san John Ogilvie, veniva torturato e ucciso durante la persecuzione anticattolica in Scozia. Era accusato di lesa maestà perché fedele al Papa: celebrava Messe clandestinamente e, sempre di nascosto, confortava i cattolici rinchiusi nelle carceri. L’anno successivo – ricorda Papa Francesco – altri sedici giovani scozzesi decisero di tornare in patria come sacerdoti per predicare il Vangelo, nonostante l’altissimo pericolo. “Quella decisione nacque dal sangue” del  martire gesuita:

“Il martirio di san John Ogilvie, la cui condanna aveva lo scopo di ridurre al silenzio la fede cattolica, rappresentò invece un impulso per la sua promozione e per la difesa della libertà della Chiesa di rimanere in comunione con la Sede di Pietro”.

Il coraggio di soli sedici uomini – ha sottolineato il Papa – che 400 anni fa hanno annunciato il Vangelo a rischio della vita, “ha portato frutti” in Scozia:

“Anche noi viviamo in tempi di martirio e in una cultura spesso ostile al Vangelo. Vi esorto ad avere il medesimo spirito di dedizione che ebbero i vostri predecessori. Amate Gesù sopra ogni cosa!”.

Il Papa invita ad imitare l’ardore di quei sacerdoti, per essere testimoni della misericordia di Dio, specialmente per i giovani, incontrandoli nella loro vita quotidiana e raggiungendo “quelli che sono più lontani da Cristo”.

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Altre udienze e nomine di Papa Francesco

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Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza la signora Maria Alessandra Albertini, ambasciatore della Repubblica di San Marino presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali; il card. Stanisław Ryłko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici; il card. Sean Patrick O’Malley, O.F.M. Cap., arcivescovo di Boston (Stati Uniti d’America); mons. Ivan Jurkovič, arcivescovo tit. di Corbavia, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite ed Istituzioni Specializzate a Ginevra e presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio; Rappresentante della Santa Sede presso l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni; il rev.do Julián Carrón, Superiore Generale della Fraternità di Comunione e Liberazione.

In Spagna, Francesco ha nominato Vescovo Ausiliare dell’arcidiocesi di Valladolid il rev.do Luis Javier Argüello García, finora vicario generale della medesima arcidiocesi, assegnandogli la sede titolare vescovile di Ipagro.

In Francia, il Papa ha nominato vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Bordeaux  il rev.do Bertrand Lacombe, finora vicario generale di Montpellier, assegnandogli la sede titolare vescovile di Saint-Papoul.

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Tweet Papa: l’amore è l’unica luce che rischiara un mondo buio

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“L’amore è in fondo l’unica luce che rischiara sempre di nuovo un mondo buio”. E’ il tweet pubblicato da Papa Francesco sul suo account @Pontifex, seguito da 28 milioni di follower in tutto il mondo.

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Vatileaks2: Nuzzi fornisce la sua versione dei fatti

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“Non potevo non fare il mio lavoro”, non ritengo di aver violato “segreti di Stato”. Così il giornalista Gianluigi Nuzzi durante l’interrogatorio nella nona udienza del processo in Vaticano per appropriazione e divulgazione illecita di documenti riservati. Presenti in aula anche gli altri imputati: mons. Angel Lucio Vallejo Balda, Nicola Maio, l’altro giornalista Emiliano Fittipaldi e Francesca Immacolata Chaouqui. L’udienza, come conferma anche una nota della Sala Stampa Vaticana, è stata aggiornata al 26 aprile alle 15.30. Massimiliano Menichetti: 

Rispondendo alle domande del Tribunale, accusa e difensori di parte, Gianluigi Nuzzi visibilmente emozionato, ha ripercorso la genesi del libro per il quale è imputato, spiegando che iniziò a pensare di scriverlo solo dopo aver incontrato mons. Vallejo Balda e verificato la fondatezza delle notizie ricevute. Fatto questo avvenuto dopo che Francesca Immacolata Chaouqui gli parlò di una complessa situazione in Vaticano, in relazione alla riforma voluta da Papa Francesco e che l’ex segretario di Cosea era disposto a parlargliene.

Nuzzi: "Nessun coinvolgimento di Chaouqui"
L’imputato pur confermando l’amicizia di lunga data con Chaouqui, ha escluso ogni altro coinvolgimento della donna nella vicenda, se non quello di essere stata “il contatto” con mons. Vallejo. “Non mi ha dato alcun documento” ha detto Nuzzi, spiegando che la competenza dell’ex commissario Cosea era relativa solo alla “riorganizzazione dei media della Santa Sede” e invece quello del prelato “era ben più ampio”.

"In Vaticano situazione allarmante"
Il giornalista incontrò per la prima volta mons. Vallejo, a fine marzo 2015, presso l’Hotel Ambassador a Roma in compagnia di Chaouqui. L’ex segretario della Commissione gli parlò di “una situazione in Vaticano allarmante”, asserendo che “in Curia prosperava il malaffare”. “Per far capire - spiega Nuzzi - quale clima ci fosse in Cosea”, gli mostrò delle “foto con il suo telefonino di una cassaforte aperta con la fiamma ossidrica nei locali della Prefettura degli Affari economici e i segni di effrazione su di un armadietto blindato”. Nuzzi ha ribadito più volte durante l’interrogatorio lo stupore nel notare che “nessun giornale aveva scritto di questo”.

"Le riforme del Papa boicottate"
Mons. Vallejo secondo la deposizione avrebbe parlato di “riforme del Papa boicottate”, di “difficoltà nel reperimento di informazioni in Curia” e che tutto era “rimasto uguale” nonostante il lavoro della Commissione. Il secondo incontro tra il prelato e il giornalista avvenne a casa di Chaouqui. Nuzzi ha mostrato al presidente del Tribunale il suo taccuino degli appunti usato durante il colloquio con mons. Vallejo dove annota: “cose che non si risolvono mai”, ed “in cui - asserisce Nuzzi - lo stesso segretario di Cosea scrive la password e il proprio indirizzo email” per condividere dei documenti riservati.

"Guerra aperta in Vaticano"
Il prelato avrebbe anche mostrato al giornalista delle copie di atti riservati usando il proprio smartphone, ribadendo che “ormai l’archivio Cosea era stato imballato”. L’imputato spiega di aver ricevuto successivamente messaggi via WhatsApp in cui mons. Vallejo scriveva di una “guerra aperta in Vaticano”, dove “tutti” lottavano “per controllare la Prefettura”, dicendo di trovarsi nel “mezzo” degli scontri e di essere “attaccato”. Secondo i messaggi, per il prelato stavano “tentando di screditare quelli che” avevano “la fiducia del Papa, inventando di tutto”. Nuzzi ha anche ricordato che il monsignore gli postò una foto della sua porta di casa con segni di effrazione, tanto che il giornalista pensò ad un “avvertimento”.

"Mai violato segreti di Stato"
Sollecitato sulla violazione dei segreti di Stato e sulla asserita valenza accusatoria, Nuzzi ha risposto: “Non potevo non fare il mio lavoro, nel momento in cui si viene a conoscenza di fatti rilevanti non puoi esimerti”. Incalzato sulla opportunità o meno di pubblicare documenti segreti ha replicato che non “gli è sembrato si trattasse di segreti di Stato” o che “siano stati violati segreti” di questo tipo, ma che nel caso concreto “sussistesse un interesse pubblico rilevante” relativo solo a “privilegi, fondi extracontabili, ecc...”.

"Archivio Cosea al macero"
Poi ha fatto riferimento ad una foto dell’archivio Cosea inviatagli da mons. Vallejo in cui apparivano degli scatoloni con su scritto “documenti da distruggere”. Nuzzi ha ribadito al Tribunale che all’epoca dei fatti ha pensato “che se quei pacchi stavano andando al macero non erano segreti”.

"Mons. Vallejo come un editor"
L’interrogato ha confermato di aver incontrato più volte l’ex segretario di Cosea al quale, “come se fosse un editor”, chiedeva spiegazioni sul materiale al quale il prelato gli aveva dato accesso. Ha escluso qualsiasi forma di “minaccia o sollecitazione” nei confronti di mons. Vallejo, dicendosi invece “rispettoso, attento e riguardoso”.

Il caso Ior
Nuzzi non ha mai ricevuto email dal prelato, ma al contrario gli ha segnalato, “durante il lavoro d’inchiesta per il libro”, “una fonte tedesca che gli parlava di una truffa o riciclaggio da parte dello Ior”. “Mons. Vallejo – ha confermato Nuzzi - a sua volta avrebbe segnalato il fatto all’Autorità di Informazione Finanziaria della Santa Sede.

I testimoni
Al temine dell’udienza il Tribunale ha anche deciso sulle richieste dell’Ufficio del promotore di Giustizia e degli avvocati di parte in relazione ai testimoni. All’Accusa è stato accordato uno sfoltimento poiché ha rinunciato a chiamare il Comandante della Gendarmeria, Domenico Giani, e i gendarmi Minafra e Alessandrini. Sono state invece respinte le richieste da parte dell’avvocato di mons. Vallejo, che chiedeva le testimonianze aggiuntive dell’avvocato Cesare Sammauro e del dott. Enrico Rosini. Respinta anche la richiesta del legale di Francesca Immacolata Chaouqui a chiamare in udienza Luigi Bisignani.

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Mostra a Roma sullo storico abbraccio tra Papa Wojtyla e Toaff

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A 30 anni dallo storico abbraccio tra San Giovanni Paolo II e il Rabbino Elio Toaff, una mostra al Museo Ebraico di Roma ricorda quel gesto di fratellanza. L’incontro, avvenuto il 13 aprile 1986 nella Sinagoga di Roma, viene oggi celebrato come tappa imprescindibile del dialogo tra l’ebraismo e il cattolicesimo. Il servizio di Eugenio Murrali

Le lettere, i documenti che hanno preceduto la visita di San Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma. Ma anche i doni che hanno accompagnato un abbraccio in grado di cambiare la storia delle relazioni tra la Chiesa cattolica e il mondo ebraico. La curatrice della mostra, Lia Toaff, nipote dell’allora Rabbino capo di Roma, spiega così il gesto di accoglienza che suo nonno e Papa Wojtyła si sono scambiati:

"Questo abbraccio ha rotto le etichette e quelli che erano i cerimoniali. Quindi ha dato inizio a un dialogo proficuo che è proseguito, e lo scorso gennaio è venuto il terzo Pontefice qui in Sinagoga".

Lia Toaff ha ricordato che, dopo quell’incontro, tra il Pontefice e il Rabbino capo di Roma è proseguito un vero e proprio rapporto di amicizia personale, e ha raccontato di quando Toaff, passato al Policlinico Gemelli per lasciare un biglietto di auguri al Papa infortunato al femore, è stato richiamato da Giovanni Paolo II che ha voluto intrattenersi a parlare con lui. Più in generale, la curatrice spiega come il Rabbino avesse a cuore il dialogo interreligioso:

"Lui per primo, che veniva da un popolo ovviamente perseguitato, non voleva che si generalizzasse. Lui riteneva che ci fosse sempre il buono e il cattivo dappertutto e che bisognava prendere il buono. Bisognava cercare di avvicinare il mondo cristiano, cattolico, ma anche l'islam e qualunque altra religione al mondo ebraico. Ricordava, per esempio, il rapporto di amicizia che il padre, Alfredo Toaff, aveva con il vescovo di Livorno. Durante il funerale di suo padre, il vescovo non poté entrare in Sinagoga. Questo l'aveva colpito così tanto che per lui accogliere un Pontefice in Sinagoga era assolutamente necessario."

E come si capisce visitando le sale del museo, il dialogo tra ebraismo e cattolicesimo ha avuto uno slancio importante già negli anni di Giovanni XXIII e del Concilio Vaticano II, in particolare con il documento “Nostra aetate”, che condannò ogni forma di antisemitismo. A un anno dalla scomparsa del suo predecessore, il Rabbino capo di Roma, Riccardo di Segnisottolinea l’importanza, anche simbolica, della mostra:

“Questo terzo decennale è degno di essere ricordato, perché i semi di quella giornata sono germogliati. Bisogna mantenere la propria identità, ma anche guardare l’altro con simpatia, rispetto e interesse. Ciò è il fondamento per la convivenza e tanto più in questi giorni”.

Anche il cardinale polacco Stanisław Ryłko è intervenuto per ricordare l’amicizia che ha sempre legato San Giovanni Paolo II e gli ebrei:

“Non mi scorderò mai questa immagine: davanti al Muro del Pianto, un già vecchio San Giovanni Poalo II che prega e lascia nel Muro del Pianto il suo biglietto. Questo dice molto sul suo rapporto con il popolo ebraico”.

Questo percorso attraverso il dialogo di due uomini giusti e di due amici sarà visibile fino al prossimo 14 luglio.

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In Vaticano l'Amleto di Shakespeare. Mons. Tighe: patrimonio di tutti

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Per la prima volta nella storia, un testo di William Shakespeare è stato rappresentato ieri in Vaticano, in occasione del 400.mo anniversario della morte del drammaturgo di Stratford on Avon, che ricorre il 23 aprile prossimo. Lo spettacolo, allestito dalla compagnia del Globe Theatre di Londra, è andato in scena nella Palazzo della Cancelleria, per iniziativa dell’Ambasciata britannica presso la Santa Sede e del Pontificio Consiglio della Cultura.  L’ha seguito per noi Fabio Colagrande: 

(applausi musica)

Dopo tre ore, il pubblico nella Sala d’Onore del Palazzo della Cancelleria, esplode in un applauso entusiasta per ringraziare gli otto attori che hanno portato Amleto, il dramma teatrale forse più famoso al mondo, in Vaticano. Il principe di Danimarca aveva la pelle scura di un attore nigeriano, Re Claudio i tratti neozelandesi di un Māori, Orazio il volto di un’attrice nata ad Hong Kong. Sono alcuni dei magnifici attori impegnati da due anni nella tournée mondiale ‘Globe to Globe’ del Globe Theatre con l’obiettivo di rappresentare ‘Hamlet’ in tutti i Paesi del mondo. Un campo di rifugiati siriani in Giordania, Kiev alla vigilia delle elezioni ucraine, anfiteatri romani, teatri prestigiosi, sono stati i diversi contesti in cui è risuonato, per quasi 200 repliche, il monologo più conosciuto della storia del teatro, portando ovunque i temi universali di un autore le cui opere – come disse Paolo VI – “sono per l’uomo moderno promemoria salutare che Dio esiste”. L’iniziativa è così commentata dal vescovo Paul Tighe, segretario aggiunto del Pontificio Consiglio della Cultura:

R. – Per noi è un modo di riconoscere che Shakespeare è un artista fondamentale per tutta l’umanità: un artista che è riuscito a creare il suo mondo e che ancora oggi ha la capacità di toccare il cuore e le menti della gente in ogni parte del globo. È uno dei massimi artisti della storia dell’uomo.

D. – È molto interessante che il Vaticano ospiti questa tournée del Globe Theatre, che è ispirata ai valori del dialogo, dell’universalità, dell’incontro…

R. – Per noi è davvero importante! Quest’anno giubilare sentiamo infatti la necessità di aprire le porte, di non chiudere le nostre verità, ma di portare la Verità e la gioia di Gesù a tutti. Al ‘Globe’ di Londra hanno preso atto del fatto che sempre meno gente va a teatro e allora sono usciti loro verso il mondo, portando ‘Hamlet’, che fa parte del patrimonio dell’umanità, a tutti. E anche noi dobbiamo, a nostro modo, non avere paura di portare il nostro messaggio a tutti i confini del mondo.

Grande ritmo, leggerezza, continui scambi di ruoli, danza e musica in scena, senza mai cedere alla retorica o all’enfasi: queste le caratteristiche tecniche con cui la compagnia multietnica londinese ha conquistato la platea, sulle prime un po’ timida, nel Palazzo della Cancelleria. Una conferma che Shakespeare, quattro secoli dopo, resta un nostro contemporaneo. Il commento di Nigel Baker, ambasciatore britannico presso la Santa Sede:

“Il fatto che adesso Shakespeare sia tradotto in 100 diverse lingue, e che sia insegnato nella metà delle scuole del mondo, significa che resta un ‘ambasciatore’ – io direi – non solo della Gran Bretagna nel mondo, ma soprattutto di una filosofia, di una maniera di pensare e di una cultura di apertura verso il mondo. Anche noi ci sentiamo di ricevere tanto dal mondo, tanto quanto quest’ultimo ha ricevuto da Shakespeare che era aperto alle suggestioni culturali in modo universale. Un atteggiamento che è qualcosa di naturale per un diplomatico”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, un editoriale dell'arcivescovo Ricardo Blazquez Perez, presidente della Conferenza episcopale spagnola, sul magistero della gioia nell'"Amoris laetitia".

Michail Borisovic Piotrovskij, direttore del museo Ermitage di san Pietroburgo, sulle colonne di Palmira: non tutti i monumenti sono andati distrutti.

Caterina Ciriello su donne invisibili nella Chiesa.

Giuseppe Fiorentino su Amleto in Vaticano: la tragedia shakespeariana tra allegria e rigore filologico messa in scena dalla compagnia del Globe nel Palazzo della Cancelleria

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Oggi in Primo Piano



Nigeria. Card. Onaiyekan: non dimenticare le studentesse di Chibok

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Due anni fa gli estremisti islamici di Boko Haram rapirono 276 studentesse di una scuola superiore statale a Chibok, nel nord della Nigeria. Alcune ragazze riuscirono a fuggire, ma la maggior parte rimasero nelle mani dei terroristi. Non bisogna dimenticare queste ragazze ribadisce l’arcivescovo di Abuja, il cardinale John Onaiyekan. Massimiliano Menichetti: 

Nella notte tra il 14 e 15 aprile 2014 i terroristi di Boko Haram irrompono in una scuola superiore statale a Chibok, nel nord della Nigeria e rapiscono, nonostante le misure di sicurezza e il dispiegamento di guardie, 276 studentesse, 57 riescono a fuggire, ma delle altre 219 si persero completamente le tracce. I genitori delle ragazze non hanno mai smesso di sperare, come la Comunità internazionale e il movimento #BringBackOurGirls, "Ridateci le nostre ragazze", che ha organizzato una serie di manifestazioni per la liberazione delle giovani. Recentemente un video, probabilmente realizzato a dicembre, mostra per due minuti, quindici studentesse che indossando il velo pronunciando il proprio nome: ''Stiamo tutte bene'' dice una di loro. Rimangono però i dubbi sulla sorte delle ragazze ed il pensiero va a maggio 2014 quando il leader dei terroristi Abubakar Shekau confermò la responsabilità del rapimento e la volontà di vendere le giovani “nel nome di Allah” o di “darle in sposa” ai militanti. La paura è anche che abbiano subito violenze o siano state usate come kamikaze. Le ragazze sono diventate un emblema della strategia del terrore degli estremisti che in questi anni hanno rapito migliaia di persone come conferma ai nostri microfoni l’arcivescovo di Abuja, card. John Onaiyekan: 

R. – Il primo pensiero che mi viene in mente è che siamo stati due anni senza notizie. È una vergogna! È imbarazzante per tutti noi nigeriani. Il secondo anniversario è il momento giusto per non dimenticare queste ragazze. Il caso di Chibok è un simbolo perché ci sono migliaia di persone: donne, giovani, anziani, che sono stati rapiti da Boko Haram. Il governo inizia ad avere un po’ di successo dal punto di vista militare: sta liberando tanta gente, solo che delle ragazze di Chibok non c’è nessuna notizia.

D. - Ma questo video che hanno diffuso è un buon segnale secondo lei?

R. - Il video non ci dice niente. Non sappiamo chi lo ha realizzato, chi lo ha rilasciato, dove è stato girato. Il governo nigeriano dice di non sapere nulla a riguardo e fino ad ora non ha rilasciato nessuna dichiarazione ufficiale. La gente è stanca di vedere video, perché sono tanti mesi che ogni tanto li diffondono.

D. - Possiamo dire che oggi è anche un giorno di preghiera per queste ragazze e per tutti coloro che sono stati rapiti...

R. - Tutti noi stiamo pregando. Ma sappiamo che anche se la preghiera è buona e forte, c’è bisogno di iniziative e decisioni. L’aspetto militare non può completamente risolvere il problema. C’è bisogno di dialogo, di trovare accordi con coloro che sono dietro Boko Haram, perché questi potrebbero decidere di liberare le ragazze.

D. - Diceva che molti sono stati liberati. Stanno tornando a casa ed è particolarmente importante in questo periodo dell’anno …

R. - Si. La situazione in generale comincia a migliorare. I vescovi mi dicono che tanta gente inizia a tornare nei loro villaggi ed è tempo che tornino perché questo è il periodo per preparare il terreno per le colture del prossimo anno.

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Twal, palestinesi disperati: non è vita, serve il coraggio della pace

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La situazione dei cristiani in Terra Santa è stata al centro dell’incontro con il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal, tenutosi stamani nella sede della Pontifica Università della Santa Croce. E’ stata l’occasione per una ricca panoramica sulla presenza delle comunità cristiane nella Terra di Gesù. Il servizio di Amedeo Lomonaco

I cristiani, con le loro istituzioni, continuano ad essere in Terra Santa soprattutto i testimoni viventi della storia della salvezza. Impediscono e impediranno – ha affermato il patriarca latino di Gerusalemme - che i Luoghi Santi si riducano ad essere solo dei siti archeologici.

I cristiani di Terra Santa sono la memoria vivente di Gesù
I cristiani di Terra Santa – poco meno del 2% della popolazione complessiva, ovvero 450 mila persone su un totale di oltre 18 milioni degli abitanti in Giordania, Palestina ed Israele - “sentono profondamente di essere, ancor oggi, la memoria vivente della storia di Gesù”.

Il piccolo gregge tra ebrei e musulmani
I cristiani – ha spiegato il patriarca Fouad Twal – in Terra Santa sono “come un cuscinetto tra due presenze maggioritarie”, un “piccolo gregge” tra musulmani ed ebrei. Ma sono innumerevoli le difficoltà causate, in Medio Oriente, dal conflitto: “L’occupazione militare”, “la violenza reciproca”, “il fanatismo religioso crescente, sia israeliano sia musulmano”.

L’insicurezza alimenta l’esodo
Il muro di separazione, lungo oltre 700 km e alto 8 metri, isola la popolazione palestinese e limita – ha aggiunto il patriarca latino di Gerusalemme – la libertà di movimento, lo studio, il lavoro, i viaggi e le cure mediche. Il clima di insicurezza generale provoca un vero e proprio esodo di cristiani dalla Terra Santa.

L’accordo tra Santa Sede e Stato di Palestina
In base all’accordo firmato il 26 giugno 2015, la Santa Sede riconosce lo Stato di Palestina e la sua ammissione nell’Onu come membro osservatore. L’intesa, tra l’altro, garantisce  libertà di coscienza e di religione, la libertà di fondare istituzioni di carità. L’unico Paese contrario a questo accordo – ha ricordato il patriarca Fouad Twal - è stato Israele che, poco dopo la firma di questa intesa, ha avviato la costruzione di un nuovo tratto di muro nella Valle di Cremisan.

La situazione in Palestina
Nella Striscia di Gaza i cristiani di tutte le confessioni sono ormai poco più di un migliaio. Le condizioni in cui vivono sono molto difficili. C’è disoccupazione, i bambini sono numerosi, molte abitazioni sono fatiscenti. Nella Palestina, in generale, le relazioni con i musulmani “restano buone, nonostante alcuni episodi di fondamentalismo”. E’ generalmente riconosciuto che la presenza cristiana gioca “un ruolo positivo nella società araba”.

La situazione in Israele
Anche in Israele – ha osservato il patriarca latino di Gerusalemme - la Chiesa si muove su un terreno prevalentemente arabo ma si confronta anche con le sfide del mondo ebraico. Mons. Twal ha ricordato, in particolare, la situazione degli immigrati che in Israele provengono soprattutto dalle Filippine, da alcuni Paesi dell’Africa e dall’India. Pur essendo di solito cristiani, la scolarizzazione dei loro figli avviene in scuole ebraiche. Ma apprendono gli insegnamenti della sola religione ebraica, rischiando di perdere le radici cristiane.

L’educazione, la collaborazione e il dialogo nella verità - afferma il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal - sono i ponti per unire le speranze della Terra Santa e abbattere i muri più alti, quelli invisibili intrisi di odio eretti nel cuore dell’uomo. Ascoltiamolo al microfono di Amedeo Lomonaco: 

R. – Credo che la situazione sia talmente grave che nessun Paese da solo, nessuna Chiesa da sola, possa dare una soluzione. Dobbiamo rivolgere al mondo, a tutti i Paesi, a tutti i governi  un appello alla solidarietà, per essere coscienti che questo “modo di vivere” non è un modo, non è una vita. L’occupazione militare israeliana dura da 66 anni e questo è impensabile. Non si può vivere tutto il tempo sotto pressione! La gente è disperata: l’ultima rivolta dei bambini, l’intifada dei coltelli, è una prova di più che questi giovani non hanno più niente da perdere. Questo non è un esercito, non è un gruppo politico, non è un partito. Sono bambini! Per il fatto che non hanno nulla da fare né scuola né educazione né lavoro né dignità né libertà di movimento, 'giocano' con i coltelli. È compito dei grandi saggi avere una visione grande per tutti quanti. La situazione attuale non serve a nessuno. Credo nell’educazione, credo nelle scuole, credo nelle università, credo nella collaborazione. Quanto al dialogo, se è un dialogo di cortesia non serve a molto. Avendo ben chiare le differenze che ci sono tra noi  - e nonostante questo - siamo chiamati a vivere insieme, al rispetto e alla dignità reciproca.

D. - Serve il dialogo proprio per abbattere le differenze ma anche le barriere. In questo mese di aprile è ripresa la costruzione del muro nella zona di Cremisan …

R. - I muri visibili che vediamo sono la realizzazione di altri muri peggiori che si formano nel cuore dell’uomo. Si chiamano odio, paura, sfiducia … Prima di abbattere questi muri visibili, che è la cosa più facile, dobbiamo abbattere i muri nel cuore dell’uomo. Questo richiede educazione, fiducia, giustizia, coraggio. Ci vuole più coraggio per portare la pace che per fare la guerra! Per la guerra basta un capriccio. E' una cosa facile. Per costruire la pace ci vuole più coraggio, più resistenza, più buona volontà e, spesso, questa buona volontà manca.

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Elezioni in Sud Corea: partito presidente Park perde maggioranza

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Sono definitivi i dati sulle elezioni in Sud Corea. Il partito conservatore di Saenuri, che guida il governo, conquista soltanto 122 seggi su 300 totali, non raggiungendo la maggioranza assoluta. Dopo 16 anni il partito del presidente Park diventa minoranza all’interno dell’Assemblea. Vince il partito Minjoo che, con 123 scranni, sarà la prima forza rappresentata nel parlamento di Seul. Alla luce dei risultati elettorali, Daniele Gargagliano ha intervistato Rossella Idéo, storica dell’Asia orientale dell'Università di Trieste: 

R. – E’ stato un voto che ha posto  in rilievo il sentimento che c’è in Corea del Sud per una gestione poco corretta soprattutto dell’economia, ma anche una gestione che tante volte – secondo la maggioranza dei sudcoreani, soprattutto quelli più progressisti – ha delle punte che ricordano un po’ un antiliberalismo un po’ viscerale di questa presidente, che è figlia di quel dittatore che è stato protagonista della politica coreana negli anni Sessanta e Settanta. Il padre è Park Chung-hee, dittatore che ha portato l’economia sudcoreana fuori dalle secche, ma il prezzo che è stato pagato a livello sociale è stato altissimo. La figlia, in un certo senso, pur essendo ormai "inquadrata" in una democrazia, ha fatto invece il contrario per quello che riguarda l’economia: addirittura un team di economisti di grande fama in Corea del Sud ha pubblicato di recente un libro, mettendo in rilievo gli errori che sono stati fatti negli otto anni di presidenti conservatori. Oltre a questo si accusa l’attuale partito conservatore, al potere da tanti anni, di aver favorito le speculazioni edilizie e di aver ulteriormente e continuamente tagliato le tasse dei ricchi, lasciando una rete di protezione insufficiente per le fasce più deboli che sono gli anziani e i giovani.

D. – Politiche sul lavoro considerate troppo flessibili e l’aumento delle diseguaglianze sociali sembrano essere le cause che hanno portato alla débâcle elettorale del partito conservatore…

R. – Delle differenze sostanziali di reddito, di classi, tra i grandi “Chaebol”, che sono questi grandi conglomerati – e le medie e piccole imprese; e, appunto, tra questa che viene chiamata flessibilità del lavoro, che in realtà diventa addirittura una sorta di sfruttamento da parte proprio dei grandissimi conglomerati.

D. – Ma si parla anche delle decisioni molto nette, come la chiusura dello stabilimento industriale a compartecipazione mista di Kaesong, che agli occhi di una parte degli elettori avrebbero esasperato i rapporti con il Nord. Come si profileranno le relazioni tra i due Paesi con questa situazione di scarsa governabilità?

R. – Mettono in serio dubbio quelle che sono le possibilità del parlamento, in questo ultimo anno di mandato della presidente, su quella che sarà una linea possibile - anche di comportamento con coerenza - con la Corea del Nord. La signora Park è stata accusata di avere mandato messaggi incoerenti, cioè a dire “Facciamo l’unificazione”: ma quale unificazione con la Corea del Nord? Una unificazione alla tedesca per assorbimento? Tanto è vero che si accusa in Corea del Sud, di essere stata una concausa delle grandi tensioni che ci sono con la Corea del Nord. E’ chiaro che la Corea del Nord è un Paese indifendibile, però anche una politica con una diplomazia più attenta avrebbe potuto evitare questa spirale di tensione, che è molto alta e che è molto preoccupante!

D. – Quali scenari ci aspettano in attesa delle presidenziali coreane del 2017?

R. – Per quello che riguarda la signora Park, naturalmente è sempre legata a quelle che sono le decisioni dell’alleato americano e deve fare anche molta attenzione a non irritare la Cina, che è il partner commerciale maggiore della Corea del Sud. Credo che la signora Park non possa ulteriormente lanciare provocazioni contro il Nord. C’è stata davvero una gestione poco attenta da un punto di vista politico sia dei rapporti con il Nord, sia con l’elettorato del Sud.

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Unioni civili in Italia: legge entro aprile?

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Ancora in primo piano il disegno di legge sulle unioni civili. Ieri il premier Renzi si è detto fiducioso che  la legge, ora allo studio della Commissione Giustizia della Camera, sarà approvata entro aprile. Sul provvedimento sono arrivate negli ultimi giorni le osservazioni del Comitato per la Legislazione di Montecitorio. Intanto i diritti civili e la tutela della famiglia naturale tiene banco anche nel dibattito politico in vista delle prossime elezioni amministrative. Paolo Ondarza

Renzi assicura “firmeremo le unioni civili entro aprile”. Monica Cirinnà loda la rapidità con cui la Commissione Giustizia della Camera sta esaminando il testo e critica l’ostruzionismo dell’opposizione, ma la parlamentare di Idea, Eugenia Roccella, denuncia la chiusura della maggioranza a qualsiasi tentativo ragionevole di modifica della legge. In questi giorni sul tavolo della Commissione Giustizia della Camera sono arrivate le 8 pagine dell’esame del Comitato per la legislazione con rilevi e suggerimenti. “Non si tratta di un parere di parte e va quindi tenuto in considerazione” spiega il giurista Mauro Ronco, presidente del Centro studi Livatino:

R. – Il Comitato per la legislazione della Camera è un organismo interno alla Camera e quindi non ha alcuna valenza di carattere ideologico o politico: è soltanto rivolto a far sì che la legislazione sia coerente, sia comprensibile e non dia luogo a contrasti di carattere interpretativo, che ne annullino l’efficacia.

D. – I rilievi segnalati sono significativi?

R. – I rilievi sono molto significativi e in particolare quattro principali rilievi. Il primo, sul piano della gestione sulle fonti del diritto: c’è una gestione delle fonti del diritto nei rapporti tra le fonti primarie e le fonti secondarie che crea dei problemi assolutamente insuperabili, che possono dar luogo evidentemente a delle questioni di interpretazione non comprensibili all’operatore comune, ma soltanto alle Alte Corti che dovranno risolvere poi i problemi in via definitiva. Il secondo grande rilievo è quello relativo alla tecnica normativa e alla formulazione delle parole: ci sono profili di incomprensione. Il terzo rilievo è relativo al piano del coordinamento con altri testi di legge o di regolamento: ci sono cioè dei rinvii fatti ad altre norme e non si comprendono bene e quindi il rinvio è parziale, limitato e non è complessivo agli altri settori dell’ordinamento. Infine sono poco rigorose le determinazioni del termine della delega governativa.

D.  E’ verosimile pensare che questi rilievi saranno esaminati - e quindi osservati - entro la fine di aprile, così come ha promesso il presidente del Consiglio Renzi?

R. – Io non credo! Se fossi io, che sono un giurista – diciamo così - di medio livello, insieme con altri cinque giuristi di alto livello, penso che avremmo bisogno quantomeno di una decina di giorni per lavorarci sopra e poi per trasformare questi dati all’attenzione del Parlamento. Mi sembra difficile che una Commissione Giustizia, che è composta di molte persone, non tutte giuridicamente preparate, possa svolgere questo compito.

D. – Quindi, come Centro Studi Livatino, vi sentite di elevare questo appello ad un esame attento rispetto a questi rilievi…

R. – Esattamente! Questo era il senso. Noi ribadiamo che ci teniamo molto alla nostra opposizione di principio, perché questo non sembri un nostro atteggiamento volto a dire: “Se si correggono queste cose, tutto sommato sarà meglio”. Se si correggono queste cose naturalmente avremo una normativa più applicabile; se non si correggono avremo una normativa che darà luogo a problemi indefinitamente lunghi e complessi di interpretazione.

Intanto in vista delle prossime amministrative Pro Vita onlus lancia un’iniziativa trasversale che premierà i candidati sindaci che sottoscriveranno il Patto per la famiglia naturale. Il presidente Toni Brandi:

R. – Noi chiederemo a tutti i sindaci di tutte le 27 città in cui avranno luogo le elezioni ed anche a tutti i candidati consiglieri comunali dei capoluoghi di Regione di sottoscrivere questo Patto che si riferisce all’art.29-30-31 della Costituzione. Elenca una serie di iniziative concrete di aiuto alle famiglie: minore pressione fiscale; bonus bebè; “mutuo dell’amore”, che significa che chi si sposa riceve un prestito e solo in caso di divorzio o separazione lo deve restituire. I candidati potranno utilizzare un nostro bollino per fare una promozione per la loro campagna elettorale e quelli che saranno eletti, saranno sostenuti da noi nell'attuazione di questi impegni, che loro avevano controfirmato.

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Referendum, il Comitato per il Sì: trivelle non sicure e costose

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Ultimi giorni di campagna elettorale in vista del referendum di domenica. Gli italiani dovranno decidere se abolire un articolo delle Legge di Stabilità 2016, che consente alle società petrolifere di estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo, ma fino all’esaurimento del giacimento. Ascoltiamo le ragioni degli esponenti del Sì. Alessandro Guarasci: 

Il referendum si riferisce solo alle concessioni già esistenti, visto che entro le 12 miglia non sono autorizzate nuove attività di ricerca. Se passasse il Sì, le concessioni andrebbero a scadenza secondo i limiti di tempo previsti nei contratti. Chi chiede l’abolizione della norma nella Legge di Stabilità teme soprattutto l’inquinamento marino dovuto alle estrazioni. Dante Caserta, componente del Comitato per il Sì:

R. – Probabilmente, nel momento in cui dovesse verificarsi un incidente in un mare chiuso come il Mar Mediterraneo su cui si affacciano le coste italiane, sarebbe veramente una tragedia sia dal punto di vista ambientale ma anche dal punto di vista economico: ricordiamoci che moltissime attività – pensiamo al turismo e pensiamo alla pesca – si svolgono lungo le nostre coste e nei nostri mari. C’è da segnalare che anche le cosiddette “operazioni di routine”, quindi durante l’esercizio normale di questo tipo di attività, hanno una serie di problemi ambientali che sono stati peraltro documentati anche recentemente attraverso una serie di dossier da parte delle associazioni ambientaliste.

D. – Perché, secondo voi, non vanno rinnovate le concessioni a chi in questo momento sta estraendo idrocarburi dai mari italiani?

R. – Questo, secondo noi, è dannoso sia dal punto di vista del momento in cui ci troviamo, perché è assurdo concedere a un soggetto di poter utilizzare un bene di tutti per sempre; ma è anche grave perché non farà mai partire quel processo di rinnovamento e di uscita dalle fonti fossili che l’Italia si è impegnata a fare – insieme ad altri 180 Paesi – alla Cop 21 di Parigi.

D. – L’Italia è oggettivamente dipendente dalle fonti fossili: qui si tratta anche di mettere a punto una politica industriale energetica e senza le trivellazioni questo potrebbe cambiare, secondo lei?

R. – Le trivellazioni di cui stiamo parlando, cioè quelle che verrebbero interessate dagli esiti referendari, assicurano l’1 per cento del fabbisogno nazionale di petrolio e il 3 per cento del fabbisogno nazionale di gas. Quindi, sostanzialmente: nulla.

Sotto accusa anche le basse royalties, i diritti che le compagnie devono pagare all’Italia per estrarre il metano. Per molti, che chiedono agli italiani di votare Sì, bisognerebbe investire di più sulle fonti rinnovabili. Agostino Re Rebaudengo, presidente di Assorinnovabili:

R. – Il settore dell’industria delle energie rinnovabili ritiene che, dovendo scegliere se fare degli investimenti nella estrazione del petrolio o fare degli investimenti per sviluppare nuove tecnologie ed energie pulite, sia molto più intelligente per il nostro Paese sviluppare le energie pulite.

D. – Ma a oggi, secondo lei, con le fonti rinnovabili si possono sostituire i combustibili fossili?

R. – Solo la produzione in Italia del biometano, che da sette anni potremmo fare ma non facciamo perché mancano una serie di norme attuative, darebbe quattro volte la produzione di metano che attualmente generano i pozzi di cui si parla al referendum. Poi, invece, se parliamo dei consumi italiani, evidentemente le energie rinnovabili oggi soddisfano circa il 40 per cento della domanda dei consumi elettrici e molto meno di quanto riguarda il trasporto e il riscaldamento. Comunque, le fonti fossili saranno ancora importanti per molti anni. Ma quello che diciamo è che è importante oggi investire nello sviluppo delle fonti rinnovabili perché creano molto più lavoro e anche molto più lavoro qualificato, sono totalmente pulite e rendono anche l’Italia indipendente dalle forniture da Paesi come la Libia, l’Iran, l’Iraq, l’Ucraina che alla fine sono politicamente molto instabili, neanche troppo democratici.

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"No a paure infondate", il Comitato per l'astensione al referendum

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Contro il referendum sulle piattaforme di domenica si è creato il Comitato "Ottimisti e razionali", che punta all'astensione. Vi fanno parte economisti e molti esperti di politiche energetiche. "Il progresso avanza solo con lo sviluppo - dicono - Siamo razionali perché vogliamo contrastare paure e allarmi ingiustificati. Alessandro Guarasci ha intervistato il presidente del Comitato, Gianfranco Borghini: 

R. – In Italia abbiamo 65 piattaforme. Tutte ci danno gas metano, quindi non petrolio. 59 di queste piattaforme si trovano in Romagna, vicino a Ravenna. Nei mari italiani ci sono piatteforme: alcune al largo delle Marche, una al largo dell’Abruzzo e due piattaforme offshore in Sicilia. Non ci sono trivellazioni, ricerche in corso da nessuna parte. La piattaforma offshore non inquina e non può inquinare.

D. - E questo perché? Eppure chi è favorevole al referendum dice che l’inquinamento c’è …

R. - Perché il ciclo è chiuso, il tubo dal quale viene fatto passare il gas è cementato. L’acqua sotto le piattaforme è pulita e la zona è diventata una zona di ripopolamento ittico.

D. - Dietro questo referendum che cosa vede?

R. - C’è un contrasto tra Stato e Regioni che, per vari motivi, non hanno raggiunto un’intesa su tutti i problemi di cui stavano discutendo in materia di politica energetica ed estrattiva. La situazione è precipitata nella decisione di promuovere un referendum che ha come oggetto, non le trivelle – anche se continuano a dire che lo sono - ma la durata delle concessioni per le piattaforme già esistenti che ci forniscono il gas metano e di cui abbiamo bisogno per i nostri usi. Questo è il punto. Quindi è un referendum che non solo non ha senso, ma è dannoso perché provoca un danno inutile al Paese.

D. - Lei ha parlato di danno: concretamente, qual è?

R. - Il ciclo di tutte le piattaforme italiane ha 11mila diretti e 20mila indiretti. Queste strutture ci forniscono da molti anni gas in una quantità significativa, importante. Sprecare il gas metano che a noi ha dato una mano straordinaria nella Val Padana ci sembra un delitto! È un’assurdità! Quindi il referendum è un strumento assolutamente improprio. Per questo noi diciamo alla gente: “Non andate a votare, fatelo fallire”, perché è un referendum che divide gli italiani su qualcosa su cui non ha senso dividersi.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi argentini ringraziano il Papa per la "Amoris laetitia"

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Un caloroso ringraziamento per la recente esortazione apostolica post-sinodale “Amoris laetitia” e l’espressione di gioia del popolo argentino per la prossima canonizzazione del Cura Brochero e della beatificazione di Mama Antula sono gli argomenti della lettera che i vescovi argentini indirizzeranno a Papa Francesco a conclusione dell’Assemblea plenaria ancora in corso nella Casa del Retiro del Pilar nei dintorni di Buenos Aires. I vescovi hanno affermato che “Amoris laetitia”  è un documento che “apre nuove prospettive pastorali” e hanno manifestato al Papa la loro “ferma e cordiale adesione alle sue proposte e contenuti”. 

Il Papa insegna con uno stile ecclesiale austero e sensibile
La lettera che la Conferenza episcopale indirizza al Santo Padre, esprime anche grande affetto per il Pontefice. “Lei ci insegna tantissimo - si legge nel testo - non solo con le parole ma soprattutto con i gesti”. I vescovi affermano che s’identificano con “questo stile ecclesiale segnato dall'austerità, dalla sensibilità verso le sofferenze del popolo, la disponibilità generosa e dalla cultura dell’incontro”. Anche la grande gioia per la canonizzazione del Cura Brochero e la venerazione di Mama Antula nei prossimi mesi, sono state contenute nella missiva al Pontefice. “In loro - scrivono i vescovi - troviamo delle testimonianze preziose di santità attraente, di uscita missionaria e di opzione per i poveri”. Infine, l’episcopato ribadisce la grande attesa di una prossima visita del Papa “per rinsaldare la fede del nostro popolo argentino”.

Il Bicentenario alle porte: riconciliazione e dialogo 
La seconda giornata assembleare è stata dedicata ampiamente alla revisione della bozza del messaggio per il Bicentenario dell’Indipendenza che si celebrerà  il prossimo 9 luglio. Il dialogo, la riconciliazione e l’unione sono alla base di questo documento che tratteggerà anche le sfide politiche e sociali che il Paese dovrà affrontare nel futuro. Alcune fonti episcopali hanno riferito ai giornalisti che il documento partirà da un’analisi storico-politica e sociologica abbastanza profonda per poi riflettere sulla complessità dei problemi che attualmente affronta la nazione e che destano anche preoccupazione per Papa Francesco. Tra questi le nuove schiavitù del narcotraffico, la droga, la tratta delle persone  e lo sfruttamento nel lavoro. Il testo include i grandi temi nazionali come la riforma politica, il federalismo, la separazione dei poteri, l’educazione e la cura dell’ambiente. La data della presentazione del messaggio non è stata ancora annunciata.

Giubileo della Misericordia: i vescovi accanto a detenuti e malati
​Nella terza giornata dell’Assemblea, i 108 vescovi della Conferenza episcopale argentina hanno visitato alcuni Centri penitenziari e di riabilitazione dei tossicodipendenti ed anche alcuni Centri per anziani, per disabili e  per i senza tetto.  “L’episcopato - si legge in un comunicato - ha voluto così unirsi alla celebrazione del Giubileo della Misericordia attraverso un segno di vicinanza e di comunione con coloro che più soffrono e testimoniare in questo modo l’importanza di essere una Chiesa in uscita portando l’amore di Cristo Risorto”. (A cura di Alina Tufani)

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Iraq: cristiani manifestano a Erbil per esproprio delle terre

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Alcune centinaia di cristiani siri, caldei e assiri, proveniente dalla regione di Nahla, nella provincia irachena settentrionale di Dohuk, hanno organizzato ieri una manifestazione di protesta davanti al Parlamento della Regione autonoma del Kurdistan iracheno per protestare contro le espropriazioni illegali dei propri beni immobiliari subite negli ultimi anni ad opera di influenti notabili curdi, già più volte denunciate - finora senza esito - presso i tribunali competenti. 

Striscioni dei manifestanti contro Usa e Paesi occidentali
La manifestazione, documentata dai media locali - riporta l'agenzia Fides - si è svolta nonostante le forze di polizia avessero impedito l'ingresso a Erbil di buona parte dei manifestanti provenienti dalla provincia di Dohuk, nella Piana di Ninive. I manifestanti esponevano cartelli e striscioni, compreso uno in inglese con la scritta “Gli Usa e i Paesi occidentali sono responsabili di ciò che accade e viene perpetrato contro il nostro popolo in Iraq”. 

Una delegazione ricevuta dal vice-Presidente del Parlamento Jaafar Ermiki
Secondo quanto riportato dai manifestanti, i casi più gravi di espropriazione riguardano terreni sottratti illegalmente a 117 famiglie cristiane da faccendieri e boss locali curdi, che li hanno trasformati in aree residenziali a proprio vantaggio. Una delegazione dei manifestanti – riferiscono fonti locali consultate dalla Fides – è stata ricevuta dal vice-Presidente del Parlamento Jaafar Ermiki, che ha avuto dai suoi interlocutori un dossier dettagliato degli espropri illegali subiti dai cristiani dei villaggi della zona di Nahla, da sottoporre all'attenzione dell'Assemblea parlamentare . (G.V.)

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Norvegia. Chiesa cattolica su nozze gay nella Chiesa luterana

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“La decisione di questa settimana del Sinodo della Chiesa luterana d’introdurre il matrimonio religioso per coppie dello stesso sesso non è una sorpresa e segue un trend politico che nel 2008 portò il Parlamento a introdurre il matrimonio omosessuale”. Così Hans Rossiné, responsabile per la comunicazione della diocesi cattolica di Oslo commenta all'agenzia Sir la votazione del Sinodo di lunedì scorso.

Una decisione che divide la stessa Chiesa luterana
“Decisione storica” secondo la Chiesa di Norvegia, anche se nel segno del disaccordo (88 favorevoli su 115) “giudicato di natura tale da non spezzare la comunione di altare e pulpito nella Chiesa norvegese”, si legge nel documento del Sinodo che lascia ai pastori “la libertà di scegliere se celebrare matrimoni di coppie dello stesso sesso” o meno. Tuttavia “c’è stato un Pastore luterano che ha dato le dimissioni in segno di protesta.

Possibili ripercussioni sul dialogo ecumenico
La diocesi cattolica di Oslo ha anche ricevuto delle chiamate da persone che vogliono lasciare la Chiesa luterana e passare a quella cattolica”, racconta Rossiné che aggiunge: “È presto per dire quale sarà l’impatto sulla vita ecumenica; la discussione è in corso”: il 5 aprile diversi leader cristiani, tra cui il cattolico mons. Bernt Eidsvig, avevano pubblicato una dichiarazione, “la comprensione del matrimonio nelle nostre Chiese è messa alla prova”, consapevoli che “ci sarà un aumento della pressione da parte della società perché si segua la Chiesa luterana ed è probabile che si arrivi a un doppio matrimonio, religioso e civile, come in altri Paesi europei”. (L.Z.)

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Croazia: esposte a Zagabria le spoglie di san Leopoldo Mandić

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Da ieri fino al 18 aprile le spoglie di san Leopoldo Mandić sono in Croazia, sua terra di origine, in occasione dei 150 anni della nascita, datata 12 maggio 1866. Sono state accompagnate dai frati Cappuccini e da una delegazione di nove volontari di Croce Verde Padova che, dopo l’esperienza del viaggio a Roma, a Loreto e a Bologna per la traslazione coincisa con l’inizio della Quaresima, ha deciso nuovamente di mettere a disposizione il suo prezioso servizio come segno di riconoscenza verso il “santo della riconciliazione e dell’ecumenismo”.

Ieri sera l’arrivo a Zagabria
La partenza dal santuario di San Leopoldo, a Padova, è avvenuta ieri mattina e la delegazione è arrivata in serata a Zagabria. La teca verrà esposta nel duomo, dove oggi è in programma una celebrazione che vedrà la presenza di tutti i vescovi della Croazia e alla quale sono attesi migliaia di fedeli: le principali reti televisive nazionali riprenderanno l’avvenimento, a testimonianza di quanto forte sia il richiamo esercitato dalla figura di padre Leopoldo Mandić. Nei giorni successivi le spoglie saranno esposte nella chiesa dei Cappuccini. Il rientro è fissato per lunedì 18, con tappa intermedia alla chiesa dei Cappuccini di Lubiana.

La grande devozione in Croazia per San Leopoldo
Penultimo di sedici fratelli, Leopoldo (al secolo Bogdan Ivan Mandić) nacque da una famiglia croata cattolica il 12 maggio 1866 a Castelnuovo di Cattaro (Herceg-Novi in serbo), cittadina che oggi si trova sulla costa montenegrina a poca distanza dal confine con la Croazia. Qui è il santo più venerato, la devozione attorno alla sua figura è fortissima e oltrepassa il confine, giungendo fino a Padova (la città dove è morto): “Ogni anno — spiega all'agenzia Sir padre Flaviano Gusella, rettore del santuario di San Leopoldo, che è in Croazia anche in qualità di delegato del vescovo — nella nostra basilica arrivano migliaia di croati: nella maggior parte dei casi si tratta di pellegrinaggi organizzati proprio per far visita a san Leopoldo. Rimango spesso stupito dalla profondità della fede di questi pellegrini, che non è devozione di facciata”. Padre Gusella è accompagnato dal ministro provinciale dei Cappuccini, Roberto Genuin, e dal guardiano del santuario, fra Marco Putin. (L.Z.)

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Pakistan: iniziative della diocesi di Faisalabad per i poveri

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La diocesi di Faisalabad, nella provincia pakistana del Punjab, spera di riaprire presto il dispensario medico St. Dominic di Khushpur, dove venivano visitati dodicimila pazienti al mese, la maggior parte dei quali abitanti poveri dei villaggi vicini, sia cristiani che musulmani. L’ospedale è stato chiuso lo scorso agosto per mancanza di fondi e necessita di lavori di manutenzione.

Iniziative per la riapertura della clinica
"Ho chiesto alla Caritas del Pakistan — ha raccontato all'agenzia AsiaNews mons. Joseph Arshad, vescovo di Faisalabad — di fornire assistenza finanziaria per la riapertura della clinica, che era una grande fonte di compassione. L’anno della misericordia è un’opportunità unica per visitare i bisognosi e coloro che necessitano della nostra attenzione. Attraverso le omelie, stiamo cercando di risvegliare la passione per la misericordia e il perdono". L’iniziativa della diocesi risponde all’invito di Papa Francesco che, durante la veglia di preghiera della Divina Misericordia, ha suggerito a tutte le diocesi del mondo di fondare un’opera di misericordia.

La chiusura del dispensario ha creato molti problemi agli abitanti
Lasciare “un ricordo vivente” del giubileo è anche l’obiettivo della Chiesa cattolica di Faisalabad. In base a quanto riporta il sito della diocesi, in Punjab i cattolici gestiscono due ospedali e sei dispensari. Nell’elenco è ancora presente anche il St. Dominic Dispensary, la clinica in questione, che invece è stata chiusa lo scorso agosto. Le suore, che gestivano il dispensario, hanno sottolineato che la chiusura della struttura ha provocato diversi problemi agli abitanti. «Noi — ha dichiarato suor Regina Youhanna, priora del convento domenicano di Khushpur — offrivamo medicine gratuite per curare malanni di stagione, l’igiene personale e le gestanti. La clinica era un esempio vivente di armonia interreligiosa, perché accoglieva sia cristiani che musulmani. Ora i malati devono recarsi in altre città".

La Chiesa spera che la clinica venga presto riaperta
​Khushpur è un piccolo villaggio di 5.345 abitanti, ed è uno tra gli insediamenti cattolici più antichi del Pakistan, dove è nato Shahbaz Bhatti, il ministro cattolico per le minoranze ucciso dai terroristi nel 2011. Dal villaggio provengono centinaia di sacerdoti, suore, catechisti e lavoratori impegnati nel sociale. "Adesso - ha concluso la priora - siamo costretti a mandare in un’altra città una delle nostre suore, un’infermeria specializzata. Il tetto del dispensario deve essere riparato, ma siamo fiduciosi che il Signore ci aiuterà a far rivivere al più presto la clinica".  (L.Z.)

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Vescovi filippini: preghiera contro la siccità nel Paese

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Una “oratio imperata” per invocare la pioggia verrà recitata in tutte le chiese delle Filippine. Lo hanno deciso i vescovi del Paese asiatico per rispondere alla devastante siccità inasprita da El Niño che sta mettendo in ginocchio l’agricoltura in diverse parti del Paese, con gravi conseguenze sociali. Tra le aree più colpite l’isola meridionale di Mindanao, non a caso teatro in queste settimane delle proteste dei contadini per l’inazione delle autorità, sfociate il 1° aprile nella dura repressione della polizia a Kidapawan, nella provincia di Cotabato.

Avere fede nella forza della preghiera
La Conferenza episcopale (Cbcp) ha pertanto diffuso oggi il testo di una preghiera speciale per la pioggia che sarà distribuita nelle diocesi filippine e sarà recitata dai fedeli in tutte le comunità. “Con questa iniziativa - spiega padre Jerome Secillano dell’ufficio per gli affari pubblici della Cbcp - riconosciamo che la capacità dell’uomo potrebbe non essere sufficiente per allontanare questi problemi e di conseguenza invochiamo il potere che Dio ha su tutto il Creato”. Da parte sua, il presidente dei vescovi, mons. Socrates B. Villegas esorta tutti ad avere “fede nella forza della preghiera”.

Il testo  dell’oratio imperata
“Signore misericordioso – recita il testo – uniti come Tuoi figli, veniamo a Te, supplicandoti: bagnaci con la pioggia, procuraci l’acqua di cui abbiamo bisogno. Padre, i Tuoi figli implorano di sopravvivere, ascoltaci, vogliamo vivere. La siccità prolungata ci sta privando dei frutti del nostro duro lavoro, la scarsità di acqua significa fame e sete per la maggior parte di noi. El Niño continua a minacciare i nostri rapporti quindi, Signore, ti imploriamo di porre fine a questo fenomeno”.

Con la siccità, più povertà e rischio di maggiori conflitti sociali
Secondo il centro nazionale filippino di meteorologia, in 23 delle 27 province di Mindanao le precipitazioni degli ultimi mesi sono molto inferiori alla media stagionale e almeno altre 12 province nel centro e nord del Paese sono minacciate dalla scarsità di piogge. All’inizio di marzo, le Nazioni Unite avevano messo in guardia le autorità filippine sulla siccità che El Niño avrebbe aggravato. L’Onu ha detto che il fenomeno avrebbe potuto causare “carenza di cibo, conflitti armati e diffusione di malattie nelle zone più colpite nell’isola meridionale di Mindanao”. Previsioni confermate da quanto sta accadendo in queste settimane. La Banca Mondiale ha poi avvertito sull’impatto negativo del Niño sui prezzi dei prodotti alimentari e quindi sulle fasce più povere della popolazione. (A cura di Lisa Zengarini)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 105

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