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Sommario del 16/04/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



L'abbraccio del Papa ai profughi: a Lesbo per svegliare il mondo

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Vengo per portarvi speranza, i profughi sono volti e storie e non numeri. Sono le parole del Papa nella sua commovente visita tra i profughi sull’isola greca di Lesbo. Cinque ore dense di incontri, sguardi, abbracci. Molti sono stati i momenti toccanti, soprattutto nel campo profughi di Mòria, dove il Papa ha salutato bambini, donne, uomini raccogliendo le loro lacrime, le loro speranze, le loro richieste di aiuto. A condividere questa visita di solidarietà col Papa sono stati il Patriarca ecumenico Bartolomeo I e l’arcivescovo ortodosso di Atene e di tutta la Grecia, Ieronymos. La sosta a Lesbo è stata l’occasione per levare un forte appello congiunto alla comunità internazionale perché si mobiliti senza tentennamenti in difesa delle vite umane e contro le cause che alimentano le fughe di massa di intere popolazioni. La cronaca nel servizio della nostra inviata a Lesbo, Francesca Sabatinelli: 

Papa Francesco: “Cari fratelli e sorelle, oggi ho voluto stare con voi e vorrei dirvi che non siete soli”.

E’ arrivato Francesco, è davanti a loro, ai rifugiati, ai migranti, a tutti coloro che sono i protagonisti della “catastrofe umanitaria più grande dopo la seconda guerra mondiale”, così dice già a bordo dell’aereo che lo porta a Lesbo, quando con poche parole, da subito indica l’impronta di questa visita, diversa dagli altri viaggi apostolici, spiega, quando “si fanno tante cose” quando “c’è la gioia dell’incontro”, perché questo viaggio qui in Grecia è “segnato dalla tristezza”, è “un viaggio triste”.

Migranti non sono numeri, sono persone
Francesco parla della gente che soffre, che non sa dove andare, che è dovuta fuggire, racconta di questo tratto di mare che è divenuto ormai un cimitero, con i tanti annegati. Ed ecco che il desiderio di portare la sua vicinanza a chi fugge da guerre e violenza si concretizza in uno dei luoghi simbolo dei drammatici esodi: il Papa entra a Mòria, uno dei campi rifugiati tra i più tristemente famosi. Lo accolgono alcune centinaia di migranti, bambini, donne con il velo, anziani, al suo fianco il patriarca Bartolomeo e l’arcivescovo Ieronymos. Abbraccia i bambini, stringe le mani ai ragazzi più grandi, da loro riceve molti biglietti e richieste di selfie, e anche disegni, che il Papa, dice lui stesso, metterà sulla sua scrivania. Lo accolgono felici queste persone, migranti che non sono numeri ma volti e nomi, scrive Francesco in un tweet. Sono immagini di gioia da un luogo intriso di immensa tristezza. Per molti di loro, di fede non cristiana, questa presenza forse non avrà un significato religioso, sicuramente però sanno che chi hanno di fronte è oggi l’unica voce che si alza a difesa dei loro diritti di esseri umani. E con lui le voci di Bartolomeo e di Ieronymos. Tre leader religiosi che si sono spinti in questo luogo di frontiera per ricordare al mondo che non si devono chiudere gli occhi davanti alle sofferenze di chi cerca una vita migliore, di chi è stato costretto a “fuggire da situazioni di conflitto e di persecuzione”, e a farlo soprattutto per i figli:

“Conoscete il dolore di aver lasciato dietro di voi tutto ciò che vi era caro e – quel che è forse più difficile – senza sapere che cosa il futuro avrebbe portato con sé. Anche molti altri, come voi, si trovano in campi di rifugio o in città, nell’attesa, sperando di costruire una nuova vita in questo continente”.

Il mondo si faccia attento a queste tragedie
Parla così il Papa a questi occhi che guardano, forse per la prima volta da mesi  a questa parte, con la speranza di potercela fare. Perché Francesco è tra loro “semplicemente“, spiega lui stesso, per stare con loro e per ascoltare le loro  storie:

“Siamo venuti per richiamare l’attenzione del mondo su questa grave crisi umanitaria e per implorarne la risoluzione. Come uomini di fede, desideriamo unire le nostre voci per parlare apertamente a nome vostro. Speriamo che il mondo si faccia attento a queste situazioni di bisogno tragico e veramente disperato, e risponda in modo degno della nostra comune umanità”.

La solidarietà dei giovani
Il Papa parla ai migranti, ma le sue parole sono un messaggio per tutti: “Sappiamo per esperienza quanto è facile per alcune persone ignorare le sofferenze degli altri e persino sfruttarne le vulnerabilità”, anche queste crisi però “possono far emergere il meglio di noi”:

“Lo avete visto in voi stessi e nel popolo greco, che ha generosamente risposto ai vostri bisogni pur in mezzo alle sue stesse difficoltà. Lo avete visto anche nelle molte persone, specialmente giovani provenienti da tutta l’Europa e dal mondo, che sono venute per aiutarvi”.

Papa ringrazia generosità del popolo greco
L’impegno e la generosità del popolo greco sono al centro dei pensieri del Papa, lo ha detto anche al premier greco Tsipras nei pochi minuti di incontro privato all’aeroporto all’arrivo, quando Francesco, ha ringraziato il popolo greco che, nonostante la grave crisi economica, dimostra “solidarietà e dedizione ai valori universali”. La questione dei rifugiati, è il punto emerso dal colloquio, è un problema europeo e internazionale la cui risposta deve essere comprensiva e rispettare le leggi europee ed internazionali. Resta ancora moltissimo da fare, ammette Francesco rivolto agli ospiti di Moria, ma “c’è sempre qualcuno che può tendere la mano e aiutarci”. Quella mano che lui tende a chi, come un giovane profugo, a una giovane donna, gli si getta ai piedi piangendo e chiedendo di essere benedetto:

“Questo è il messaggio che oggi desidero lasciarvi: non perdete la speranza! Il più grande dono che possiamo offrirci a vicenda è l’amore: uno sguardo misericordioso, la premura di ascoltarci e comprenderci, una parola di incoraggiamento, una preghiera. Possiate condividere questo dono gli uni con gli altri”.

Appello all'Europa
Per i cristiani il modello da seguire deve essere quello del Buon Samaritano, quello della sua misericordia, e l’appello è, prosegue Francesco, “a mostrare quella stessa misericordia a coloro che si trovano nel bisogno”. E’ un richiamo all’Europa, quello che fa il Papa:

“Possano tutti i nostri fratelli e le nostre sorelle in questo continente, come il Buon Samaritano, venirvi in aiuto in quello spirito di fraternità, solidarietà e rispetto per la dignità umana, che ha contraddistinto la sua lunga storia”.

Bartolomeo: il mondo sarà giudicato da come ha trattato i profughi
Un appello fortemente condiviso da Bartolomeo e da Ieronymos al fianco del Papa per gridare al mondo questa tragedia della crisi dei rifugiati. Chi ha paura dei rifugiati non ha guardato nei loro occhi, e nei loro volti, dice il Patriarca. “Il mondo – denuncia Bartolomeo – sarà giudicato dal modo in cui vi ha trattato”.

Ieronymos: indifferenza è bancarotta dell'umanità
Le nostre voci sono unite, aggiunge Ieronymos, nel condannare lo sradicamento, nel denunciare ogni forma di svalutazione della persona umana, nonché la “bancarotta dell’umanità e della solidarietà” dell’Europa.

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Col Papa sull'aereo 12 profughi siriani: saranno accolti in Vaticano

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Il Papa ha voluto fare un gesto di accoglienza nei confronti dei rifugiati, accompagnando a Roma con il suo stesso aereo, tre famiglie di rifugiati dalla Siria, 12 persone in tutto, di cui 6 minori. Si tratta di persone che erano già presenti nei campi di accoglienza di Lesbo prima dell’accordo fra Unione Europea e Turchia.

L'iniziativa tramite una trattativa tra Santa Sede, Italia e Grecia
Il portavoce della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi, prima di lasciare Lesbo ha detto ai giornalisti che l’iniziativa del Papa è stata realizzata tramite una trattativa della Segreteria di Stato con le autorità competenti greche e italiane.

L'accoglienza carico del Vaticano. L'ospitalità garantita dalla Comunità di Sant''Egidio
Tutti i membri delle tre famiglie sono musulmani. Due famiglie vengono da Damasco, una da Deir Azzor (nella zona occupata dal Daesh, il sedicente Stato Islamico). Le loro case sono state bombardate. L’accoglienza e il mantenimento delle tre famiglie saranno a carico del Vaticano. L’ospitalità iniziale – ha detto padre Lombardi - sarà garantita dalla Comunità di Sant’Egidio.

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Dichiarazione congiunta: immigrati, basta rotte della morte

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La tragedia umanitaria che vivono gli immigrati richiede “una risposta di solidarietà, compassione, generosità e un immediato ed effettivo impegno di risorse” perché la “protezione delle vite umane è una priorità”. È quanto si afferma nella Dichiarazione congiunta firmata a Lesbo da Papa Francesco, dal Patriarca ecumenico Bartolomeo I e dall’arcivescovo ortodosso di Atene e di tutta la Grecia Ieronymos, al termine del loro incontro con i profughi sull’isola greca. Il servizio di Alessandro De Carolis

Una “colossale crisi umanitaria” quale il mondo non ha mai visto dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale. E il mondo deve muoversi con solidarietà “immediata”, soprattutto rimuovendo i motivi scatenanti – guerre e violenze varie – che hanno innescato questo gigantesco e inarrestabile movimento di massa di immigrati e profughi.

Solidarietà, compassione, generosità
La Dichiarazione congiunta che Papa Francesco, il Patriarca ecumenico Bartolomeo I e l’arcivescovo ortodosso di Atene Ieronymos firmano sul podio dal quale hanno appena rivolto i loro saluti è scritta in certo modo con l’inchiostro della tragedia incontrata poco prima – il lento incontro col dolore senza più parole e i singhiozzi liberatori dei disperati con l’uomo della speranza, l’unico leader mondiale che abbia voluto raggiungerli e stare con loro sotto una tenda, conoscere visi e storie e lasciando distanze di sicurezza e muri a chi pesa con la bilancia della politica anche i grammi di umanità. “La tragedia della migrazione e del dislocamento forzati”, afferma un passaggio della Dichiarazione, richiede “una risposta di solidarietà, compassione, generosità e un immediato ed effettivo impegno di risorse. Da Lesbo facciamo appello alla comunità internazionale perché risponda con coraggio, affrontando questa enorme crisi umanitaria” e le sue cause con “iniziative diplomatiche, politiche e caritative e attraverso sforzi congiunti, sia in Medio Oriente sia in Europa”.

Impiegare ogni mezzo
“Come capi delle nostre rispettive Chiese – affermano i tre firmatari – siamo uniti nel desiderio della pace e nella sollecitudine per promuovere la risoluzione dei conflitti attraverso il dialogo e la riconciliazione”. Riconoscendo quanto già fatto in termini di assistenza, e ringraziando la Grecia per il suo impegno, il Papa e le due personalità ortodosse si appellano, scrivono, “a tutti i responsabili politici affinché sia impiegato ogni mezzo per assicurare che gli individui e le comunità, compresi i cristiani, possano rimanere nelle loro terre natie e godano del diritto fondamentale di vivere in pace e sicurezza”.

Eliminare le rotte della morte
E necessari in modo altrettanto urgente”, incalza la Dichiarazione, sono “un più ampio consenso internazionale e un programma di assistenza per affermare lo stato di diritto, difendere i diritti umani fondamentali in questa situazione divenuta insostenibile, proteggere le minoranze, combattere il traffico e il contrabbando di esseri umani, eliminare le rotte di viaggio pericolose che attraversano l’Egeo e tutto il Mediterraneo, e provvedere procedure sicure di reinsediamento”.

Assistere i rifugiati di tutte le fedi
L’orizzonte del documento congiunto si allarga nella parte conclusiva, arrivando a comprendere il conflitto mediorientale, per il quale i firmatari “insieme” implorano “solennemente la fine della guerra e della violenza”, una “pace giusta e duratura e un ritorno onorevole per coloro che sono stati costretti ad abbandonare le loro case”. “Chiediamo alle comunità religiose – si afferma – di aumentare gli sforzi per accogliere, assistere e proteggere i rifugiati di tutte le fedi e affinché i servizi di soccorso, religiosi e civili, operino per coordinare le loro iniziative”.

Asilo temporaneo, status di rifugiato
Ancora un esortazione viene rivolta a “tutti i Paesi” perché, perdurando “la situazione di precarietà”, estendano “l’asilo temporaneo” e concedano “lo status di rifugiato a quanti ne sono idonei”, ampliando “gli sforzi per portare soccorso” e adoperandosi “insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà per una fine sollecita dei conflitti in corso”.

La “priorità” della vita umana
Riaffermando “con fermezza e in modo accorato” la decisione di “intensificare” i rispettivi “sforzi per promuovere la piena unità di tutti i cristiani”, Papa Francesco, il Patriarca Bartolomeo e l’arcivescovo Ieronymos – citando la Charta Oecumenica del 2001 – si dicono desiderosi di voler “contribuire insieme affinché venga concessa un’accoglienza umana e dignitosa a donne e uomini migranti, ai profughi e a chi cerca asilo in Europa”. L’Europa oggi, sottolineano, “si trova di fronte a una delle più serie crisi umanitarie dalla fine della Seconda Guerra Mondiale”. Dunque, “esortiamo la comunità internazionale a fare della protezione delle vite umane una priorità e a sostenere, ad ogni livello, politiche inclusive che si estendano a tutte le comunità religiose”.

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Francesco: Europa sia patria dei diritti, non respinga i migranti

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Rinnovo “un accorato appello alla responsabilità e alla solidarietà” di fronte ad un’emergenza drammatica. E’ uno dei passaggi del discorso che Papa Francesco ha rivolto alla cittadinanza e alla comunità di Lesbo, incontrata al porto dell’isola. Dal Pontefice un sentito ringraziamento a quanti stanno compiendo ogni sforzo per accogliere i migranti, quindi l’esortazione a costruire la pace dove la guerra ha portato distruzione. Per essere veramente solidali, ha avvertito, bisogna rimuovere le cause e adottare politiche non unilaterali. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Quando Lesbo è diventata un approdo per tanti migranti in cerca di pace e di dignità, ho sentito il desiderio di venire qui”. Incontrando la cittadinanza dell’isola greca, Francesco confida subito i suoi sentimenti ed esprime gratitudine, ammirazione per come il popolo greco, “nonostante le gravi difficoltà da affrontare” ha saputo “tenere aperti i cuori e le porte”.

Mai dimenticare che migranti sono persone
Il Papa rinnova, dunque, un “accorato appello alla responsabilità e alla solidarietà di fronte a una situazione tanto drammatica”, migranti che vivono la disperazione “per i disagi materiali e per l’incertezza del futuro”:

“Le preoccupazioni delle istituzioni e della gente, qui in Grecia come in altri Paesi d’Europa, sono comprensibili e legittime. E tuttavia non bisogna mai dimenticare che i migranti, prima di essere numeri, sono persone, sono volti, nomi, storie. L’Europa è la patria dei diritti umani, e chiunque metta piede in terra europea dovrebbe poterlo sperimentare, così si renderà più consapevole di doverli a sua volta rispettare e difendere”.

Le barriere creano divisioni, non aiutano progresso dei popoli
Purtroppo, è il rammarico del Papa, “molti bambini non sono riusciti nemmeno ad arrivare: hanno perso la vita in mare, vittime di viaggi disumani e sottoposti alle angherie di vili aguzzini”:

“Voi, abitanti di Lesbo, dimostrate che in queste terre, culla di civiltà, pulsa ancora il cuore di un’umanità che sa riconoscere prima di tutto il fratello e la sorella, un’umanità che vuole costruire ponti e rifugge dall’illusione di innalzare recinti per sentirsi più sicura. Infatti le barriere creano divisioni, anziché aiutare il vero progresso dei popoli, e le divisioni prima o poi provocano scontri”.

“Per essere veramente solidali con chi è costretto a fuggire dalla propria terra – ha proseguito il Papa – bisogna lavorare per rimuovere le cause di questa drammatica realtà: non basta limitarsi a inseguire l’emergenza del momento, ma occorre sviluppare politiche di ampio respiro, non unilaterali”.

Impedire che il cancro della guerra si diffonda, basta traffico di armi
Quindi, ancora una volta, Francesco ha chiesto di “costruire la pace là dove la guerra ha portato distruzione e morte, e impedire che questo cancro si diffonda altrove”:

“Per questo bisogna contrastare con fermezza la proliferazione e il traffico delle armi e le loro trame spesso occulte; vanno privati di ogni sostegno quanti perseguono progetti di odio e di violenza. Va invece promossa senza stancarsi la collaborazione tra i Paesi, le Organizzazioni internazionali e le istituzioni umanitarie, non isolando ma sostenendo chi fronteggia l’emergenza”.

Di qui l’auspicio che abbia successo il Primo Vertice Umanitario Mondiale che si terrà a Istanbul il mese prossimo. Francesco ha rinnovato l’appello a “cercare soluzioni degne dell’uomo alla complessa questione dei profughi”.

Dio non è indifferente alle tragedie che feriscono l’umanità
Ancora, ha evidenziato che la sua presenza a Lesbo “insieme al Patriarca Bartolomeo e all’Arcivescovo Ieronymos sta a testimoniare la nostra volontà di continuare a collaborare perché questa sfida epocale diventi occasione non di scontro, ma di crescita della civiltà dell’amore”:

“Cari fratelli e sorelle, di fronte alle tragedie che feriscono l’umanità, Dio non è indifferente, non è distante. Egli è il nostro Padre, che ci sostiene nel costruire il bene e respingere il male. Non solo ci sostiene, ma in Gesù ci ha mostrato la via della pace. Di fronte al male del mondo, Egli si è fatto nostro servo, e col suo servizio di amore ha salvato il mondo”.

Questo, ha ripreso, “è il vero potere che genera la pace. Solo chi serve con amore costruisce la pace”, “superando la spessa coltre dell’indifferenza che annebbia le menti e i cuori”.

Preghiera per i migranti di Bartolomeo e Ieronymos
“Grazie a voi – ha concluso il Papa – perché siete custodi di umanità, perché vi prendete teneramente cura della carne di Cristo, che soffre nel più piccolo fratello affamato e forestiero, e che voi avete accolto”. Dal canto loro, il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo e l’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia Ieronymos hanno rivolto una preghiera composta per l’occasione affinché il Signore dia conforto a quanti sono così duramente provati nella crisi umanitaria dei migranti.

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La preghiera di Papa Francesco per i migranti

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Al termine delI’incontro con la cittadinanza e con la comunità cattolica al Porto di Lesbo, il Papa ha pronunciato questa preghiera per i migranti:  

"Dio di misericordia, Ti preghiamo per tutti gli uomini, le donne e i bambini, che sono morti dopo aver lasciato le loro terre in cerca di una vita migliore.
Benché molte delle loro tombe non abbiano nome, da Te ognuno è conosciuto, amato e prediletto. Che mai siano da noi dimenticati, ma che possiamo onorare il loro sacrificio con le opere più che con le parole.

Ti affidiamo tutti coloro che hanno compiuto questo viaggio, sopportando paura, incertezza e umiliazione, al fine di raggiungere un luogo di sicurezza e di speranza. Come Tu non hai abbandonato il tuo Figlio quando fu condotto in un luogo sicuro da Maria e Giuseppe, così ora sii vicino a questi tuoi figli e figlie attraverso la nostra tenerezza e protezione.

Fa’ che, prendendoci cura di loro, possiamo promuovere un mondo dove nessuno sia costretto a lasciare la propria casa e dove tutti possano vivere in libertà, dignità e pace. Dio di misericordia e Padre di tutti, destaci dal sonno dell’indifferenza, apri i nostri occhi alle loro sofferenze e liberaci dall’insensibilità, frutto del benessere mondano e del ripiegamento su sé stessi.

Ispira tutti noi, nazioni, comunità e singoli individui, a riconoscere che quanti raggiungono le nostre coste sono nostri fratelli e sorelle. Aiutaci a condividere con loro le benedizioni che abbiamo ricevuto dalle tue mani e riconoscere che insieme, come un’unica famiglia umana, siamo tutti migranti, viaggiatori di speranza verso di Te, che sei la nostra vera casa, là dove ogni lacrima sarà tersa, dove saremo nella pace, al sicuro nel tuo abbraccio".

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Il Papa a Tsipras: grazie alla Grecia per la sua generosità

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Primo incontro del Papa a Lesbo è stato quello con il  premier greco Alexis Tsipras: principale argomento di conversazione – ha detto il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico lombardi - è stato la crisi dei rifugiati e dei migranti e più in particolare la situazione sull’isola di Lesbo. E’ stato sottolineato che la crisi dei rifugiati è un problema europeo e internazionale che richiede una risposta comprensiva che rispetti le leggi europee ed internazionali. Il Papa ha apprezzato l’atteggiamento umano del popolo greco, che nonostante la dura situazione economica ha dimostrato solidarietà e dedizione ai valori universali. Inoltre, è stata sottolineata la necessità di proteggere le persone dal rischiare la vita attraversando il Mare Egeo e il Mediterraneo, combattendo le reti del traffico delle persone umane, escludendo le rotte pericolose e sviluppando procedure sicure di stanziamento in Europa.

Il Papa ha detto di essere venuto anche per ringraziare il popolo greco per la sua generosità. La Grecia - ha detto - è culla dell’umanità e si vede che continua a dare un esempio di umanità e a mostrare coraggiosamente questa generosità. Il premier greco, da parte sua, ha voluto dire grazie a Papa Francesco per il suo messaggio contro la guerra e per invocare l'accoglienza in un momento in cui altri leader cristiani alzano le barriere in Europa.

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Mattarella: viaggio del Papa possa scuotere l'anima dell'Europa

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"Il dramma delle migrazioni, in particolare nel bacino del Mediterraneo, e la tragica quotidiana realtà che caratterizza le vite di quanti sono costretti ad
abbandonare i propri affetti, il proprio Paese, le proprie case, per fuggire da guerre, persecuzioni e povertà, toccano nel profondo la coscienza dell'Italia e della comunità internazionale". E' quanto scrive il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, in un messaggio di "sincero ringraziamento" per le parole contenute in quello che stamattina gli ha inviato Papa Francesco, in partenza per l'isola greca di Lesbo.

"La sua visita a Lesbo, insieme a Sua Beatitudine il Patriarca Bartolomeo I e all'Arcivescovo di Atene Sua Beatitudine Girolamo II, costituisce - ha sottolineato il capo dello Stato - un'ulteriore concreta conferma del suo instancabile impegno, nel suo Pontificato e nel Giubileo della Misericordia, per dare
fiducia e lenire le sofferenze di quanti cercano in Europa un approdo di pace e speranza".

"Nella certezza che il suo messaggio possa scuotere nel profondo l'anima dell'Europa e della comunita' internazionale - conclude Mattarella - mi e' gradita, Santita', l'occasione per rinnovarle i sensi della mia profonda stima e considerazione".

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Lombardi: Papa ha mostrato che migranti sono persone, non numeri

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Il viaggio del Papa a Lesbo si è concluso. Questa volta le immagini hanno parlato più delle parole. Abbracci, carezze, lacrime, sorrisi: tanti i gesti e i sentimenti che hanno caratterizzato l’incontro di Francesco con i migranti. Un incontro fortemente umano ed ecumenico con la presenza di tre leader religiosi che insieme hanno voluto dare una testimonianza di solidarietà al mondo. Adriana Masotti ne ha chiesto un commento a caldo al direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, al seguito del Papa sull’isola: 

R. – Come sappiamo, il Papa desidera sempre l’incontro, l’incontro personale e anche qui, al centro dei rifugiati, ha voluto dedicare un lungo tempo proprio a salutare, accarezzare, abbracciare persone, molti minori, uno per uno, centinaia di persone. Chiaramente, in questa occasione l’aspetto ecumenico è assolutamente fondamentale e originale, però è naturale per il posto dove ci troviamo: un Paese a grande maggioranza ortodossa e quindi il Papa viene in un luogo i cui responsabili religiosi sono i capi dell’ortodossia, il Patriarca ecumenico e l’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, che sono stati ben contenti di poter fare con il Papa questo atto di presenza e di impegno che condividono pienamente, perché anche loro sono assolutamente preoccupati, coinvolti da questa vicenda drammatica. I cristiani in questo si sono manifestati uniti e nei confronti di persone che, nella massima parte, non sono cristiane perché tanti di questi rifugiati vengono da Paesi che non sono a maggioranza cristiana, anche se ve ne sono pure, cristiani, che vengono da Paesi del Medio Oriente come la Siria, dove sono stati perseguitati o messi in situazioni estremamente difficili.

D. – Ecco, i tre interventi sono stati molto forti, soprattutto carichi di partecipazione al dramma dei profughi. Che impressione ha avuto?

R. – Direi che proprio questo è quello che mi ha colpito, cioè l’aspetto della partecipazione intensa, della partecipazione affettuosa, umana: perché questo è il fatto. Cioè, riconoscere che queste persone non sono numeri, non sono oggetti, non sono qualcosa che possa essere sballottolato di qua o di là in seguito alle forze dei conflitti o degli interessi di carattere economico, ma sono veramente tutte persone singole. In questo senso, l’incontro, l’abbraccio, l’accarezzare che tutti e tre i leader hanno voluto fare insieme, ha manifestato questa dimensione concreta.

D. – Nella Dichiarazione firmata congiuntamente, c’è anche la richiesta di trovare soluzioni, quella – ad esempio – di concedere l’asilo temporaneo ai profughi che ne hanno bisogno…

R. – Diciamo che la Dichiarazione congiunta è l’atto con cui i tre leader insieme fanno degli appelli ai responsabili, alle autorità che possano fare qualcosa di positivo di fronte a questa grande situazione. Poi, a ognuno le sue responsabilità. I capi religiosi hanno un’autorità morale, poi sono i politici o le persone che hanno responsabilità operative nella società che devono sforzarsi di trovare soluzioni che certamente non sono facili. Quindi è giusto fare gli appelli e bisogna anche comprendere che sono situazioni estremamente complesse, sia per le dimensioni di questo esodo sia per la complessità dei problemi, sia per la molteplicità dei Paesi coinvolti, di cui ognuno ha la propria prospettiva anche differente di fronte alle emergenze che si trovano. Però, l’unità di tre persone così autorevoli nel fare appelli, nel richiamare la insostenibilità di una situazione come questa di fronte a tutto il mondo, è certamente un grande contributo all’impegno da parte di tutti.

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Benedetto XVI compie 89 anni, gli auguri di Papa Francesco

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Benedetto XVI compie oggi 89 anni. Lo ha ricordato anche Papa Francesco durante il suo volo per Lesbo, invitando a pregare per lui e - insieme a tutti coloro che lo accompagnano nella sua visita - gli invia "gli auguri più affettuosi e cordiali", "chiedendo al Signore che continui a benedire il Suo prezioso servizio di vicinanza e preghiera per tutta la Chiesa".

In onore del Papa emerito, grande cultore di musica, si terrà nel pomeriggio di oggi alle 18 un concerto mozartiano, offerto dall’Orchestra Filarmonica della Franciacorta. L’esecuzione si terrà presso la “Sala Assunta” nella Palazzina Leone XIII, antica sede della Radio Vaticana. A lui, si legge sul sito web della Fondazione Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, va l’augurio più cordiale e affettuoso da parte della Fondazione Vaticana che porta il suo nome. “Siamo certi – si legge ancora – che molte persone si uniscono a noi nel rendergli omaggio e nel ringraziare il Signore per la sua splendida e coraggiosa testimonianza di fede”.

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Il card. Re inviato del Papa al Congresso eucaristico argentino

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Papa Francesco ha nominato il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto emerito della Congregazione per i Vescovi e presidente emerito della Pontificia Commissione per l’America Latina, come suo inviato speciale all’XI Congresso Eucaristico Nazionale dell'Argentina che, nel Bicentenario dell’Indipendenza, in programma nella città di San Miguel de Tucumán nei giorni 16-19 giugno 2016.

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Rinunce e nomine episcopali

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In Colombia, Papa Francesco ha accettato la rinuncia dal governo pastorale del Vicariato Apostolico di San Andrés y Providencia, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Eulises Gonzáles Sánchez. Al suo posto, il Papa ha nominato il sacerdote Jaime Uriel Sanabria Arias, del clero di Tunja, parroco e vicario diocesano per la Pastorale. Gli è stata assegnata la sede titolare vescovile di Burca. Il neo presule è nato il 17 aprile 1970 in Municipio di Ciénaga–Boyacá, Arcid. di Tunja. Dopo aver frequentato le scuole elementari nella terra natale, ha fatto ingresso nel Seminario Maggiore dell’Arcidiocesi di Tunja, dove ha proseguito gli studi di Filosofia e Teologia. Ha partecipato a corsi di specializzazione pastorale a Roma e in Messico. Ha elaborato alcune monografie su il Documento de Aparecida. È stato ordinato sacerdote il 19 novembre 1994 e incardinato nell’Arcidiocesi di Tunja. Dopo l’Ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: 1994-1999 Vicario parrocchiale in Ciénaga-Boycá; 1999-2007 Parroco in San Antonio de Ventaquemada; 2000-2004 Direttore del Dipartimento della Gioventù della Conferenza Episcopale Colombiana; 2008: Vicario Episcopale per l’Azione Pastorale dell’Arcidiocesi di Tunja; dal 2014: Parroco nella Parrocchia Señor de los Milagros de San Pedro. Il Vicariato Apostolico di San Andrés y Providencia (2000), ha una superficie di 52 kmq e una popolazione di 96.000 abitanti, di cui 66.500 sono cattolici. Ci sono 11 parrocchie servite da 15 sacerdoti (13 diocesani e 2 religiosi), 2 Fratelli Religiosi, 10 suore e 2 seminaristi maggiori.

Sempre in Colombia, il Pontefice ha nominato ausiliare dell'arcidiocesi di Nueva Pamplona il sacerdote Jaime Cristóbal Abril González, del clero dell’arcidiocesi di Tunja, finora parroco della Cattedrale, assegnandogli la sede titolare di Puzia di Bizacena. Mons. Abril González è nato a El Espino, diocesi di Málaga – Soatá, il 17 luglio 1972. Ha compiuto gli studi filosofici e teologici presso il Seminario Maggiore di Tunja. Ha conseguito il titolo di Licenza in Liturgia presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 10 febbraio 1996, incardinandosi nell’arcidiocesi di Tunja. Ha svolto successivamente i seguenti incarichi: Vicario Parrocchiale della Parrocchia di “San Miguel Arcángel” in Paipa, Cappellano e Professore del Collegio “Armando Solano” in Tunja, Amministratore Parrocchiale della Parrocchia “El Divino Niño” in El Manzano, Amministratore Parrocchiale della Parrocchia “Santa Rita” in Tuta, Amministratore Parrocchiale della Parrocchia “María Auxiliadora” in Tunja, Formatore del Seminario Maggiore e Promotore vocazionale arcidiocesano, Direttore del Dipartimento di Liturgia della Conferenza Episcopale Colombiana e, dal 2014, Parroco della Cattedrale.

Il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale del Vicariato Apostolico di Istanbul presentata per raggiunti limiti di età da mons. Louis Pelâtre. Al suo posto, Francesco  ha nominato vicario apostolico di Istanbul e amministratore apostolico dell’Esarcato per i fedeli di rito bizantino padre Rubén Tierrablanca Gonzalez, dei Francescani Minori. Il neo presule È nato a Cortázar, nella Diocesi di Celaya (Messico), il 24 Agosto 1952. Dopo aver frequentato il Seminario Francescano, è entrato in noviziato il 22 Agosto 1970. Ha studiato al Colegio Santa Cruz di Queretaro (Messico) e al Saint Anthony Seminary di El Paso, TX (USA) la filosofia e la teologia. Successivamente, in Italia, ha frequentato il Pontificio Istituto Biblico di Roma dove ha conseguito la licenza in Sacra Scrittura nel 1985. Ha emesso la professione religiosa nell’Ordine dei Frati Minori, il 2 Agosto 1977, ed ha ricevuto l’ordinazione presbiterale il 29 Giugno 1978. Dal 1978 al 1980, è stato formatore nel locale Seminario Francescano prestando servizio nella Parrocchia San Francisco in Acámbaro (Guanajuato in Messico). Nel 1985, si è trasferito a Roma per gli studi essendo nel contempo Vice Maestro all’Antonianum di Roma (1983-1985). In seguito dal 1985 al 1990 è stato Professore di Sacra Scrittura e Maestro degli studenti di Teologia al Saint Anthony Seminary di El Paso, TX (USA); Definitore Provinciale e Segretario della Formazione e degli Studi della Provincia (1990-1992).

In Etiopia, il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale del Vicariato Apostolico di Harar, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Woldetensaé Ghebreghiorghis, dei Francescani Minori Cappuccini. Al suo posto, il Papa ha nominato padre Angelo Pagano, dei Francescani Minori Cappuccini, finora parroco e project manager della Custodia Cappuccina in Camerun. Mons. Pagano è nato il 15 gennaio 1954 ad Asmara (Eritrea), a quel tempo parte dell’Etiopia, da genitori italiani ivi emigrati. Nel 1973, conclusi gli studi primari e secondari, ottiene un diploma in costruzioni. All’età di 19 anni, rientra con la famiglia in Italia. A 25 anni entra tra i PP. Cappuccini che aveva conosciuto ad Asmara. L’8 settembre 1981 emette i primi voti, ed il 14 aprile quelli solenni. Infine, il 25 giugno 1988 è ordinato sacerdote. Subito dopo, su sua richiesta, è inviato in Camerun come missionario. Dopo l’ordinazione ha svolto le seguenti mansioni: 1989-1992 Vicario parrocchiale della parrocchia di Shisong, in Diocesi di Kumbo; 1992-2003 Parroco della medesima Comunità parrocchiale di Shisong; 1988-2000 Presidente della Conferenza dei Cappuccini dell’Africa Occidentale; 1993-2000 la Delegazione Cappuccina del Camerun è promossa a Custodia ed egli ne diventa il primo Custode; rieletto nel 1996 fino all’anno 2000; 1996-2003 Membro del Consiglio Presbiterale della Diocesi di Kumbo.

Papa Francesco ha concesso il suo assenso al rev.do Khaled Ayad Bishay, eletto canonicamente dal Sinodo dei Vescovi della Chiesa Patriarcale di Alessandria dei Copti, per l’ufficio di Vescovo eparchiale di Luqsor (Tebe), finora officiale della Congregazione per le Chiese Orientali. L’eletto ha assunto il nome di Emmanuel. Mons. Emmanuel Bishay è nato in Egitto a Kom Gharg (Tema – Sohag) il 5 gennaio 1972. È stato ordinato presbitero il 25 settembre 1995 a Kom-Gharib per l’Eparchia di Sohag. Dopo l’ordinazione, ha proseguito gli studi a Roma, conseguendo la Licenza in Teologia morale presso la Pontificia Accademia Alfonsiana e la Licenza in Diritto Canonico Orientale presso il Pontificio Istituto Orientale. Ha svolto diversi ministeri: professore di Teologia morale, membro dell’équipe docente del seminario maggiore di Maadi, parroco della Cattedrale dell’Eparchia di Sohag. Dal 2003 è Officiale della Congregazione per le Chiese Orientali, risiedendo presso la Parrocchia di San Francesco Saverio alla Garbatella, ove svolge il proprio ministero pastorale come collaboratore.

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Papa ordina 11 sacerdoti nella Giornata di preghiera per le vocazioni

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Questa domenica Papa Francesco presiede alle 9.15, nella Basilica Vaticana, la Messa in occasione della Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, e durante la quale ordinerà 11 nuovi sacerdoti. Uno degli ordinandi, don Luigi Pozzi, proviene dal Collegio Diocesano Missionario “Redemptoris Mater” ed è stato assegnato alla Parrocchia romana di San Timoteo a Casal Palocco. Federico Piana gli ha chiesto con quali sentimenti si accinge a questo evento così importante: 

R. – Ovviamente c’è gioia e con la consapevolezza di questa cosa grande che il Signore mi sta affidando, del dono che il Signore mi fa.

D. – La tua vocazione com’è nata?

R. – Io sono della Comunità neocatecumenale e la mia vocazione è nata in questo percorso di riscoperta della fede, del Battesimo. Accogliendo la Parola meditata costantemente, soprattutto la Parola che viene ad interrogare me personalmente, pian piano ho sentito questa chiamata del Signore a scegliere questo itinerario. E questo è avvenuto in maniera dolce, rispettando la mia libertà.

D. – Il cammino che hai compiuto è stato un cammino difficile, ma bello …

R. – Assolutamente, molto bello. Alla fine, infatti, vedi quanto il Signore ti ami; quanto il Signore, nonostante le difficoltà della vita – perché quelle ci sono – ed anche le crisi, alla fine provveda.

D. – Quando tu hai scoperto la vocazione e l’hai comunicata al mondo intorno a te, cosa è capitato? Che reazione ha avuto?

R. – La reazione di mia madre è stata quella di contentezza, di gioia, ma anche di preoccupazione, perché io ho accolto questa chiamata quando già ero grande e lavoravo da nove anni. Ho, quindi, abbandonato un lavoro. Ero un consulente informatico. Posso poi parlare della reazione che hanno avuto anche i miei colleghi: di meraviglia, di stupore. Non si aspettavano una cosa del genere. Quando sono entrato in seminario, i primi tre giorni ero in ferie. Quindi il rettore mi ha chiesto: “Tu sei chiamato. Scegli! Qual è la tua risposta al Signore?”. Il giorno dopo sono andato a dare le mie dimissioni. Mi ricordo che in quella giornata tutti i miei colleghi, soprattutto due, hanno tentato in tutti i modi di farmi ripensare: “Sei sicuro del passo che stai facendo?”.

D. – Se dovessi dare un consiglio ai giovani che si sentono chiamati, ma ancora non hanno deciso e sono in una fase di discernimento della vocazione, che consiglio potresti dare?

R. – Questo passo spaventa, certamente. L’affidarsi al Signore è la cosa più grande, ma non solo, è la cosa più bella. E’ il Signore infatti che ti riempie e che nonostante le difficoltà, che ci sono e ci saranno, provvede. Questa è una cosa che io ho sperimentato e che sento di dire a tutti: il Signore provvede ed è presente nella mia e nella tua vita.

D. – I miei auguri per domenica, a questo punto!

R. – Grazie tante. Pregate per tutti quanti noi che saremo ordinati. Che il Signore ci faccia santi presbiteri!

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Appello all'Europa: in prima pagina, un editoriale del direttore sulla visita del Papa a Lesbo.

Supplemento d'anima: la visita di Francesco nella stampa internazionale.

Tra cultura e informazione: Gaetano Vallini su una storia del fotogiornalismo italiano.

Alta priorità: dopo i Panama Papers impegno comune del G20 per migliorare la trasparenza fiscale.

Per il presidente brasiliano Dilma Rousseff l'ora della verità: atteso il voto alla Camera sulla procedura di impeachment.

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Oggi in Primo Piano



Siria: violata tregua ad Aleppo, a Ginevra continuano i colloqui

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Continua la terza tornata di negoziati sulla Siria, in corso a Ginevra. Al tavolo delle trattative è oggi arrivato il segretario generale della Lega Araba, Nabil al-Arabi, con l’obiettivo di rafforzare la cooperazione con le Nazioni Unite per la situazione dei rifugiati. Intanto, le opposizioni al governo di Assad aprono alla formazione di un governo con diplomatici e tecnici di Damasco mentre, malgrado la tregua annunciata, si continua a combattere ad Aleppo. Oltre 200 i morti nelle ultime ore per il possesso di una delle aree decisive per il futuro della Siria, come spiega Riccardo Redaelli, docente di geopolitica all’Università Cattolica di Milano. L'intervista è di Michele Raviart

R. – Aleppo è una città strategica per tutti e questi scontri sono molto rischiosi proprio perché rischiano di far saltare completamente la faticosa tregua concordata. La partita di Aleppo è molto importante per il regime, perché ci si combatte un po’ tutti contro tutti. Ma mentre i combattimenti contro lo Stato islamico, contro le milizie jihadiste, sono ammesse, dovrebbe esserci una tregua, diciamo, fra i gruppi di opposizione non jihadisti e le truppe governative. In realtà, la situazione sul campo è molto più fluida ed è anche difficile fare una chiara divisione fra i vari gruppi che combattano Assad. E’ chiaro che Assad, che fino a qualche mese fa, prima dell’intervento russo, sembrava sul punto di collassare, oggi cerca di guadagnare al massimo terreno per negoziare da posizioni in più di forza. I gruppi dell’opposizione non jihadista, invece, sono stati fortemente indeboliti.

D. – A proposito dell’intervento russo, Putin aveva annunciato una sorta di disimpegno: questo, però, sembra essere smentito dai fatti…

R. – Non c’è più lo show di grande forza militare fatto nelle prime settimane, che era sia per dire quanto la Russia fosse determinata a sostenere Damasco, sia anche un messaggio alla Nato perché dimostrava la capacità militare e tecnologia della Russia. Oggi questo c’è di meno, ma sul campo continua un forte sostegno. Un sostegno che non è solo della Russia, perché sappiamo anche dell’Iran e di Hezbollah.

D. – Intanto, a Ginevra continuano i colloqui diplomatici: l’opposizione ad Assad avrebbe aperto alla formazione di un governo con diplomatici e tecnocrati del governo. Che cosa vuol dire questo?

R. – Da una parte, è un buon segno, perché una contrapposizione totale non avrebbe portato da nessuna. Dall’altra, mostra anche un po’ la debolezza delle opposizioni. Dall’inizio dei combattimenti, nel 2012, ho detto che era evidente che Assad se ne sarebbe dovuto, ma vanno garantiti ai gruppi che hanno sempre sostenuto Assad certe garanzie. Non sono quanto sia veramente praticabile, perché dietro le forze di molti gruppi di opposizione e alcuni sono veramente impresentabili e penso ad al-Qaeda, ad Jabhat al-Nuṣra, che è un gruppo qaedista che noi stiamo cercando di riverniciare e ripulire. Dietro questi gruppi ci sono attori, come l’Arabia Saudita, che chiaramente non vogliono un compromesso politico.

D. – Qual è il futuro di questa tornata di colloqui a Ginevra?

R. – Non mi aspetto grandi risultati… Il processo è ancora lungo ed è evidente che Russia e Iran non forzeranno Assad a lasciare fin tanto che non saranno garantiti gli equilibri che a loro interessano. Mi aspetto più che altro un lento avvicinarsi verso posizioni più sostenibili. Alcuni punti fermi devono essere: il fatto che la Siria debba rimanere unita come entità statuale, perché altrimenti si scompone tutto il Medio Oriente, e soprattutto premere fra gli attori regionali – penso soprattutto a Turchia ed Arabia Saudita – perché adottino politiche più vicine al compromesso.

D. – C’è la possibilità che, in un qualche modo, gli sforzi diplomatici si traducano effettivamente in un rispetto delle tregue che vengono annunciate?

R. – E’ praticamente impossibile dirlo. Ci sono troppi fattori che possono far deragliare il processo e troppi attori che, tutto sommato, non vogliono che il processo vada sul lungo binario. E’ importante vedere come evolve la situazione dello Stato islamico anche in Iraq: se il Califfato dovesse davvero tracollare militarmente, allora si aprono praterie e tutti correrebbero ad occupare il più possibile. A me sembra che sia più lesto Assad a occupare gli spazi che si aprono rispetto alle forze dell’opposizione, che sono molto divise e che soffrono un po’ per tutti i combattimenti dalle varie parti.

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Fame e povertà nello Zimbawe, ma Mugabe non si dimette

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Cresce la tensione in Zimbawe dove nelle scorse ore duemila persone sono scese in piazza nella capitale Harare per chiedere le dimissioni del presidente Mugabe. Capo dello Stato da quasi trent’anni e leader del partito dell’Unione Nazionale Africa dello Zimbawe, che ha escluso che il 92enne presidente possa dimettersi. Daniele Gargagliano ha chiesto a Massimo Alberizzi, direttore di Africa-Express e inviato del Corriere della Sera, quali sono i motivi delle proteste: 

R. – È un problema economico: non c’è più lavoro, non ci sono più soldi, la gente non sa come mangiare, i mercati sono vuoti…a suo tempo Mugabe ha distrutto l’economia del Paese; prima le fattorie facevano invidia a tutta l’Africa: lo Zimbabwe era chiamato il “granaio” del Continente, perché esportava cereali; ma anche e soprattutto tabacco, di cui era forse il primo esportatore al mondo. E adesso queste fattorie sono inattive perché il Governo le ha confiscate ai vecchi coloni, i proprietari bianchi, ma, invece di darle a gente che sapeva come governarle, le ha date ai suoi amici: vecchi generali, veterani della guerra di liberazione, i quali non erano in grado né di fare gli agricoltori e di gestire le fattorie né tantomeno di farci lavorare altri. Il risultato di tutto ciò è che è crollato tutto, con perdite di lavoro, di denaro… Insomma, l’economia è morta.

D. – Sta crescendo una mobilitazione nei Paesi africani – pensiamo al Burundi o alla Tunisia – dove i cittadini chiedono maggiori libertà per poter scegliere i presidenti e contro i nuovi mandati che violano le Costituzioni...

R. – Al fatto che si violi la Costituzione, così da riuscire ad ottenere 4, 5 o 7 mandati, ormai non c’è più limite. Ma i due mandati delle varie Costituzioni erano stati imposti dall’Occidente, che aveva minacciato la chiusura degli aiuti se non ci fossero state delle riforme costituzionali in senso democratico. Ormai è un caso comune: tutti violano o modificano la Costituzione con elezioni che sono truccate, pilotate, per ritornare ai vecchi sistemi dispotici, fatti di gente corrotta, che ha conti all’estero: vediamo a Panama quanti di questi ricchissimi personaggi, leader africani, hanno i loro conti. Quindi sì, c’è una distruzione forte, con la complicità però dell’Occidente, delle banche, le quali sanno perfettamente che i conti delle società off-shore – molti di questi – sono intestati a capi e leader africani.

D. – Cosa è mancato alla comunità occidentale nella gestione di queste emergenze politiche in Africa?

R. – È mancata la volontà di contrastare queste persone. Lo sappiamo perfettamente che si tratta di cleptocrati, ai quali noi versiamo le royalties del petrolio. Quindi, è un circolo vizioso che nessuno vuole fermare!

D. – C’è il rischio in Zimbabwe di un colpo di Stato di militari, in caso di instabilità politica?

R. – Non credo, perché Mugabe è stato molto bravo durante i suoi 40 anni ormai o quasi, al potere. Ha diviso tutti, mettendo l’uno contro l’altro e dando una “prebenda” di qua e di là. È veramente quindi molto, molto complicato fare un colpo di Stato, anche se non si può escludere. La situazione è veramente precaria per la popolazione. C’è qualcuno che potrebbe prendere in mano le redini e dire: “Adesso la finiamo con questo signore!”.

D. – Il leader del movimento di opposizione ha attaccato il presidente Mugabe affermando che non ha soluzioni alla crisi. Quali potrebbero essere le prossime mosse dell’anziano presidente?

R. – Tsvangirai, il capo del Movimento per il cambiamento democratico, purtroppo è stato anche indebolito, perché Mugabe “si è comprato”, a un certo punto, anche i suoi amici. Oggi potrebbe riprendere forza perché la situazione economica è così drammatica e precaria che chi ha seguito questo leader, coloro che hanno tradito Tsvangirai potrebbero ritornare sulle posizioni precedenti. Però la situazione è proprio molto, molto confusa, perché ci si sfalda facilmente. Se ci sono 100 famiglie e tu riesci a pagarne 40, già le altre diventano 60: quelle che sono in opposizione. Quindi la situazione è veramente molto complicata e confusa.  

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Giornata mondiale contro la schiavitù infantile

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Ricorre oggi la Giornata mondiale contro la schiavitù infantile. In questa data, 21 anni fa, moriva un bambino pakistano di soli dodici anni, Iqbal Masih, ucciso per  aver ottenuto dalle autorità pakistane la chiusura di molte fabbriche di tappeti che sfruttavano i bambini. Iqbal denunciò le mafie tessili pakistane riuscendo ad attirare l’attenzione a livello internazionale. Maria Laura Serpico ha parlato di lavoro minorile forzato, una delle forme più diffuse di schiavitù infantile, con il portavoce di Unicef Italia, Andrea Iacomini

R. – La più alta percentuale di bambini lavoratori si trova in Asia meridionale, dove il 25% è tra i 5 e i 14 anni. Sono 150 milioni i bambini fra i 5 e i 14 anni che vengono sfruttati nel lavoro nei Paesi in via di sviluppo: praticamente il 16% di tutti i bambini di questa fascia di età. Quindi, è un numero altissimo! Nei Paesi meno sviluppati – per capirci – c’è un bambino o un ragazzo su quattro che lavora e in quasi tutte le regioni del mondo – quelle di cui abbiamo parlato – ci sono le stesse probabilità di diventare bambini lavoratori per i ragazzi e per le ragazze. In Medio Oriente, in Nord Africa, in America Latina e nei Caraibi i ragazzi hanno qualche possibilità in più rispetto alle ragazze di lavorare e quindi le disparità di genere si verificano a seconda delle attività svolte: le ragazze hanno più probabilità di essere sfruttate per i lavori domestici, rispetto ai ragazzi. L’Asia meridionale, però, secondo me, è il posto con le evidenze maggiori, in cui ci sono 77 milioni di bambini lavoratori: il caso più eclatante è il Pakistan, in cui l’88% dei bambini tra i 7 e i 14 anni non va a scuola e lavora; ma anche il Bangladesh, dove circa la metà – il 48% – vive in queste condizioni. Seguono poi l’India con il 40% e lo Sri Lanka con il 10%. E’ chiaro che noi cerchiamo di lavorare - come Unicef - contro lo sfruttamento del lavoro minorile con programmi di sensibilizzazione e di prevenzione. Cerchiamo di reinserirli a livello scolastico lavorativo e cercando, laddove non ci siano delle legislazione, di prevedere degli orari flessibili, delle metodologie didattiche partecipative, cercando naturalmente di contribuire a quella che è l’attività quotidiana, senza incidere troppo sul fisico dei bambini.

D. – Perché la questione  viene affrontata solo marginalmente?

R. – Perché non ci sono numeri chiari e perché esistono governi in tutto il mondo che hanno delle legislazioni che non prevedono l’obbligo dei 18 anni per il lavoro. Purtroppo, spesso, gran parte di queste attività è sommersa e di difficile identificazione.

D. – Oggi gli abitanti del nord del mondo sono ancora responsabili della miseria dell’infanzia del sud?

R. – Questa è una cosa che ci stiamo raccontando e di cui si parla da sempre… Esistono sicuramente delle responsabilità: delle responsabilità morali, delle responsabilità storiche, delle responsabilità economiche. Oggi viviamo in una fase storica in cui appare chiaro che i tagli ai fondi della cooperazione per tutti i Paesi rendono abbastanza macroscopico il fatto che non si investa più nel finanziamento di Paesi che dovrebbero avere nel lavoro il fulcro della loro ripresa e quindi purtroppo – di conseguenza – il quadro si aggrava: la crisi economica, in questo senso, non ha aiutato! I primi tagli che sono stati fatti sono stati proprio nei confronti di quelle attività che, in qualche modo, ciascun Paese faceva per aiutare i Paesi – per esempio – del Nord Africa o dell’Africa Centrale nel caso dell’Italia o dell’Asia nel caso di altri Paesi. Quando si parla “nord” e “sud”, secondo me, è necessario andare oltre. Oggi dobbiamo anche dire che esistono dei Paesi che prima facevano parte del sud e che sono clamorosamente diventati nord ed altri che sono rimasti sempre sud. Bisogna evitare che questi Paesi siano un buon motivo per i Paesi del nord per fare affari: mi sembra che questo ancora si verifichi.

D. – Quali sono le condizioni in cui questi bambini sono costretti a lavorare?

R. – Diciamo che le condizioni sono abbastanza diverse. In alcuni Paesi, naturalmente, fanno orari molto stressanti, vivono per giorni e giorni nelle miniere, per ore e ore nei campi. Dobbiamo distinguere dal tipo di lavoro che fanno, perché spesso in Paesi molto poveri – e ricordiamo che la povertà è la causa principale dello sfruttamento e della schiavitù minorile – è chiaro che le famiglie hanno bisogno di braccia in attività che sono spesso non così pesanti; ma è vero anche che vengono sottoposti a grandi sforzi, specialmente in alcuni Paesi dell’Asia o dell’America del Sud: cito il caso della Bolivia, perché tempo fa abbiamo visto che molti bambini venivano sfruttati proprio all’interno delle miniere e con orari massacranti! Tutto questo è contrario alle norme della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che vieta questo tipo di pratiche: è stata approvata nell’89 da tutti i Paesi del mondo – e questo lo voglio ricordare! – e vieta questo tipo di pratiche proprio nei confronti dei bambini.

D. – Qual è, appunto, la differenza tra lavoro minorile e sfruttamento?

R. – Il lavoro minorile è un lavoro considerato non usurante sotto certi aspetti: è un lavoro che se sommato a orari scolastici – come noi diciamo – può essere il giusto compromesso per un bambino che vive in contesti dove lavorare – ma lavorare inteso come vendere cartoline o aiutare i genitori in un negozio - fa parte della caratteristica del Paese stesso. Lo sfruttamento vuol dire sottoporre i bambini ad orari massacranti, sottoporre spesso i bambini a violenze, pagandoli in maniera non congrua e ledendo tutti i loro diritti fondamentali.

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Italiani alle urne per il referendum sulle trivelle, cosa si vota

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Giornata di voto questa domenica per gli italiani. Quasi 51 milioni di cittadini sono chiamati alle urne, dalle 7 alle 23, per decidere sull'estrazione di gas e di petrolio in mare da parte delle piattaforme, entro 12 miglia dalle coste. Alessandro Guarasci: 

Per far sì che il referendum sia valido dovranno votare il 50% più uno degli aventi diritto. Nove le regioni che lo hanno promosso. Gli italiani dovranno decidere su quanto introdotto con la Legge di Stabilità 2016. La norma consente alle società petrolifere di estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane fino all’esaurimento del giacimento. Si tratta di piattaforme già esistenti, non di nuove.

Se passasse il sì le concessioni invece scadrebbero secondo i contratti, in molti casi tra cinque o dieci anni. Ad oggi sono 21 le concessioni entro il limite delle 12 miglia, dislocate in Veneto, Marche, Emilia Romagna, Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia. Secondo la denuncia dei promotori della consultazione, la piattaforme si starebbero deteriorando nel mare con "grave danno per l'ecosistema" ed è necessario mandare un messaggio politico puntando di più sulle fonti rinnovabili. I contrari al referendum dicono invece che se passasse il sì, l’Italia perderebbe un’importante fonte di energia e sarebbero a rischio 11 mila posti di lavoro.

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Il commento di don Gianvito Sanfilippo al Vangelo della Domenica

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Nella quarta Domenica di Pasqua, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù dice:

“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo, presbitero della diocesi di Roma: 

Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io dò loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano”. Ecco l’opera che il Signore compie, particolarmente in questo tempo pasquale, attraverso la Chiesa: far udire la sua voce a tutti e in ogni luogo. In privato o nelle piazze, far risuonare la buona notizia della liberazione dalla morte del peccato: Gesù Cristo può farci uscire dal recinto dell’egoismo, della solitudine e dell’insoddisfazione e condurci, mediante il lavacro del suo sangue, alle fonti del perdono, ai pascoli dell’amore al prossimo, nel dono di se stessi. Questo lieto annuncio trasforma coloro che lo accolgono: la violenza narcisista del lupo lascia il posto, nelle anime, all’onnipotenza mite dell’Agnello: la misericordia prevale sul giustizialismo e la Pace pervade i cuori. Apriamo le porte al Risorto! Ascoltiamo il kerigma con il quale Egli bussa alla porta per donarci eternità e bellezza, per vincere la nostra inerzia, e plasmarci in evangelizzatori. Il Padre e il Figlio infatti sono uniti nello Spirito per un’unica straordinaria  missione: liberare gli uomini dal pericolo dell’inferno, difendere la dignità di ogni singola persona dall’invidia del diavolo che nulla può contro chi si affida alla potente mano del Salvatore.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq: prima assemblea di tutti i vescovi e sacerdoti caldei

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Si terrà dal 20 al 22 giugno la prima assemblea di tutti i vescovi e sacerdoti caldei presenti in Iraq convocata dal Patriarcato di Babilonia dei caldei per riflettere insieme sulla spiritualità, la teologia e la vocazione sacerdotale davanti alle urgenze e alle emergenze vissute dai cristiani del Medio Oriente in questa fase storica travagliata, anche alla luce dei tanti suggerimenti che Papa Francesco riserva alla missione a cui sono chiamati tutti i pastori in cura d'anime.

Formazione permanente e crescita spirituale e pastorale dei sacerdoti caldei
La riunione – riferiscono le fonti ufficiali del Patriarcato, consultate dall'agenzia Fides - si terrà ad Ankawa, e gli incontri si articoleranno intorno a tre relazioni principali, tra le quali figura anche quella intitolata “Il sacerdote alla luce degli scritti e delle parole di Papa Francesco”, affidata al domenicano Yousif Thomas Mirkis, arcivescovo caldeo di Kirkuk. Dopo il caso del sacerdote caldeo Amer Saka, auto-denunciatosi per aver dissipato in Canada i fondi raccolti per essere destinati al sostegno dei rifugiati provenianti dal Medio Oriente, i vescovi caldei nelle loro ultime riunioni hanno richiamato l'urgenza di trovare forme adeguate per curare la formazione permanente del clero e seguire la crescita spirituale e pastorale dei sacerdoti in tutte le diocesi.

Patriarca Sako: il ministero sacerdotale è una missione, non una professione 
Il Patriarca caldeo Louis Raphael Sako aveva rivolto già nel luglio 2013 una lettera ai preti caldei in cui si prendeva atto che la debolezza nell'esercizio dell'autorità centrale, la vacatio di numerose sedi episcopali, la mancanza di sicurezza e lo stato di perenne emergenza socio-politica vissuto dall'Iraq avevano avuto “effetti anche sulla identità dei sacerdoti e sulla loro spiritualità”, creando una “situazione che non può continuare” e che va affrontata con risolutezza riscoprendo la sorgente di grazia e il vero volto della vocazione e della missione sacerdotale. Già in quella lettera, il Primate della Chiesa caldea aveva fatto riferimento ai richiami ripetuti di frequente da Papa Francesco per ricordare a tutti che il ministero sacerdotale “è una missione, non una professione o un business”. (G.V.)

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Sudan: monaco copto ortodosso rapito nel Darfur

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Il monaco copto ortodosso Gabriel El Anthony, di cittadinanza sudanese, è stato rapito giovedì scorso nella città di Nyala, capitale dello Stato sudanese del Darfur meridionale. A sequestrarlo, secondo fonti locali consultate dall'agenzia Fides, è stato un gruppo di uomini armati che si sono allontanati dal luogo del rapimento a bordo di un fuoristrada, dopo aver legato e picchiato due persone che erano in compagnia del monaco. Il religioso è stato prelevato mentre si trovava presso strutture appartenenti alla locale parrocchia copta, non lontano dal Campo profughi di Atash. (G.V.)

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Chiesa dominicana: sradicare la piaga della violenza

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Combattere insieme e con determinazione per sradicare la piaga della violenza: questo l’appello lanciato ieri dall'arcivescovo di Santiago de los Caballeros, mons. Freddy Antonio de Jesus Breton Martinez, e dal vescovo di Barahona, mons. Andrés Napoleon Romero Cardenas. Benché abbiano parlato in sedi e contesti diversi, i due Pastori hanno messo al centro del loro messaggio il dramma della violenza a Santo Domingo.

Nel Paese è apparsa la voglia di farsi giustizia da soli
Mons. Breton ha lamentato che nel Paese è apparsa la voglia di farsi giustizia da soli: "si vuole risolvere tutto con le proprie mani, senza riflettere, e questo è la causa di tanta violenza". Poi ha aggiunto: "Noi dominicani dobbiamo assumere la pratica della misericordia, sulla proposta di Papa Francesco, come un modo per affrontare gli elevati livelli di intolleranza e di violenza che ora agitano la nostra società". L'intervento di mons. Breton è stato il momento principale del 21° anniversario del programma televisivo "Convivencia", realizzato dal settimanale cattolico Camino, che costituisce uno dei punti di riferimento della catena nazionale Teleunión, ed è stato trasmesso in tutto il Paese.

Mateo Aquino Febrillet è stato un promotore e un costruttore di pace
Mons. Andres Napoleon Romero Cardenas, durante la Messa celebrata nell'Università Autonoma di Santo Domingo (Uasd), ad un mese dalla tragica morte dell’ex Rettore dell'Università, Mateo Aquino Febrillet, assassinato dopo una discussione politica, ha invitato i cittadini a sradicare ogni forma di violenza: "perché l'unica cosa che porta la violenza è lutto, pianto e dolore nelle famiglie". Parlando di Mateo Aquino Febrillet, il vescovo ha sottolineato che "è stato un promotore e un costruttore di pace", "ed è morto proprio quando tentava di portare la concordia fra gli uomini". L’assassinio dell’ex rettore ha scioccato l’intera comunità nazionale, in particolare la famiglia universitaria, soprattutto l’Uasd, dove per 20 anni era stato un maestro e un grande uomo di cultura. (C.E.)

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Vescovi filippini: un rosario al giorno, fino alle elezioni

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Ricordando la forza della preghiera, i vescovi filippini invitano i fedeli a pregare il rosario tutti i giorni fino alle elezioni del 9 maggio. "Pregate i misteri della gioia, della luce, del dolore e della gloria ogni giorno, fino al 9 maggio. Pregate in famiglia. Pregate mentre siete in viaggio. Pregate negli uffici e nelle fabbriche. Pregate in tutto il mondo per le nostre elezioni nazionali" scrive mons. Socrates B. Villegas, arcivescovo di Lingayen-Dagupan e presidente della Conferenza episcopale, in un messaggio diffuso ieri. Il testo, ripreso dall'agenzia Fides, rimarca "la potenza della preghiera" e la sua capacità di "influenzare grandi eventi", come si è visto nella storia del Paese. "Il nostro miglior contributo possibile - notano i vescovi - è quello di pregare perché il Signore della storia guidi ogni elettore e guidi ogni candidato ".

Potenza del rosario per fermare il male della violenza elettorale e i brogli
​"Dio può illuminare le nostre decisioni. Dio che può ostacolare i piani di uomini e donne malvagi che vogliono distruggere l'ordine sociale. Dio che ci può dare i migliori leader per il bene di tutti”, si legge nel testo. "Con la potenza del rosario, siamo in grado di fermare il male della violenza elettorale e i brogli. Con la forza del rosario, siamo in grado di vincere la battaglia per elezioni pacifiche e credibili". "Lasciate che il rosario sciolga i nostri cuori induriti e le labbra arroganti", conclude. (P.A.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 107

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