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Sommario del 18/04/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: chi segue Gesù non sbaglia, lasciar stare veggenti e cartomanti

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Se ascoltiamo la voce di Gesù e lo seguiamo, non sbaglieremo strada. E’ il cuore dell’omelia di Francesco svolta nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che Gesù, “Buon Pastore”, è l’unica porta che ci possa far entrare nel recinto della vita eterna. Di qui il monito a non fidarsi di presunti veggenti e cartomanti che ci portano su un cammino sbagliato. Il servizio di Alessandro Gisotti

La porta, il cammino, la voce. Papa Francesco ha preso spunto dal Vangelo odierno – quasi una “eco” del passo sul Buon Pastore – per soffermarsi su tre realtà determinanti per la vita del cristiano. Innanzitutto, ha osservato, Gesù avverte che “chi non entra nel recinto delle pecore per la porta” ma lo fa da un’altra parte “è un ladro e un brigante”. Lui è la porta, ha ammonito. “non ce n’è un’altra”.

Chiediamoci sempre se prendiamo decisioni in nome di Gesù
“Gesù – ha detto ancora – sempre parlava alla gente con immagini semplici: tutta quella gente conosceva com’era la vita di un pastore, perché la vedeva tutti i giorni”. E hanno capito che “soltanto si entra per la porta del recinto delle pecore”. Quelli che vogliono entrare da un’altra parte, dalla finestra o da un’altra parte, invece, sono delinquenti:

“Così chiaro parla il Signore. Non si può entrare nella vita eterna da un’altra parte che non sia la porta, cioè che non sia Gesù’. E’ la porta della nostra vita e non solo della vita eterna, ma anche della nostra vita quotidiana. Questa decisione, per esempio, io la prendo in nome di Gesù, per la porta di Gesù, o la prendo un po’ – diciamolo in un linguaggio semplice – la prendo di contrabbando? Soltanto si entra nel recinto dalla porta, che è Gesù!”

Seguire Gesù, non cartomanti e presunti veggenti
Gesù, ha proseguito, parla dunque del cammino. Il pastore conosce le sue pecore e le conduce fuori: “Cammina davanti ad esse e le pecore lo seguono”. Il cammino è proprio questo, ha detto il Papa, “seguire Gesù” nel “cammino della vita, della vita di tutti i giorni”. Non bisogna sbagliare, ha detto, “Lui va davanti e ci indica il cammino”:

“Chi segue Gesù non sbaglia! ‘Eh, Padre, sì, ma le cose sono difficili… Tante volte io non vedo chiaro cosa fare… Mi hanno detto che là c’era una veggente e sono andato là o sono andata là; sono andato dal tarotista [cartomante], che mi ha girato le carte…’ – ‘Se fai questo, tu non segui Gesù! Segui un altro che ti dà un’altra strada, diversa. Lui davanti indica il cammino. Non c’è un altro che possa indicare il cammino’. Gesù ci ha avvisato: ‘Verranno altri che diranno: il cammino del Messia è questo, questo… Non ascoltate! Non sentire loro. Il cammino sono Io!’. Gesù è porta e anche cammino. Se seguiamo Lui non sbaglieremo”.

La voce di Gesù la possiamo ascoltare nelle Beatitudini
Francesco si è infine soffermato sulla voce del Buon Pastore. “Le pecore – ha annotato – lo seguono perché conoscono la sua voce”. Ma come possiamo conoscere la voce di Gesù, si chiede Francesco, e anche difenderci “dalla voce di quelli che non sono Gesù, che entrano dalla finestra, che sono briganti, che distruggono, che ingannano?”:

"‘Io ti dirò la ricetta, semplice. Tu troverai la voce di Gesù nelle Beatitudini. Qualcuno che ti insegni una strada contraria alle Beatitudini, è uno che è entrato dalla finestra: non è Gesù!’. Secondo: ‘Tu conosci la voce di Gesù? Tu puoi conoscerla quando ci parla delle opere di misericordia. Per esempio nel capitolo 25 di San Matteo: ‘Se qualcuno ti dice quello che Gesù dice lì, è la voce di Gesù’. E terzo: ‘Tu puoi conoscere la voce di Gesù quando ti insegna a dire ‘Padre’, cioè quando ti insegna a pregare il Padre Nostro”.

“E’ così facile la vita cristiana – ha commentato il Papa – Gesù è la porta; Lui ci guida nel cammino e noi conosciamo la sua  voce nelle Beatitudini, nelle opere di misericordia e quando ci insegna a dire ‘Padre’. Ricordatevi, ha concluso, ‘la porta, il cammino e la voce. Che il Signore ci faccia capire questa immagine di Gesù, questa icona: il pastore, che è porta, indica il cammino e insegna a noi ad ascoltare la sua voce’”.

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Papa riceve presidente Centrafrica: sostenere la pace nel Paese

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Francesco ha ricevuto stamani in udienza, in Vaticano, il presidente della Repubblica Centrafricana, il prof. Faustin Archange Touadéra. Durante il colloquio, informa una nota della Sala Stampa Vaticana, “è stata rievocata la calorosa accoglienza riservata al Santo Padre nel corso della Sua Visita a Bangui del novembre scorso”.

Comunità internazionale sostenga la pace e lo sviluppo del Centrafrica
Nel rilevare come “il recente processo elettorale ed il rinnovamento delle Istituzioni del Paese si stiano svolgendo in un clima costruttivo a cui contribuisce il dialogo fra le confessioni religiose – prosegue il comunicato – è stato espresso l’auspicio che si sia avviato un tempo di pace e di prosperità per l’intera Nazione”. Nell’udienza, è “stato evidenziato come le conseguenze dei conflitti degli ultimi anni gravino ancora sulla popolazione, sottolineando l’importanza che la Comunità internazionale continui a sostenere lo sviluppo del Paese”.

Apprezzamento per l'opera della Chiesa nel Paese
Nel prosieguo delle conversazioni, sottolinea ancora la nota, “ci si è soffermati sui buoni rapporti bilaterali esistenti fra la Santa Sede e la Repubblica Centrafricana, esprimendo il comune intendimento che essi possano ulteriormente consolidarsi nel quadro degli strumenti giuridici previsti dal diritto internazionale”. Infine, è stato espresso “apprezzamento per il contributo che l’opera della Chiesa e dei suoi Pastori apporta alla società, particolarmente in campo educativo e sanitario, anche nella prospettiva della riconciliazione e della ricostruzione nazionale”.

Al termine dell'udienza con Papa Francesco, il presidente Faustin Archange Touadèra si è espresso così al microfono di padre Jean Pierre Bodjoko

R. – C’est un moment très, très important pour la vie…

É un momento molto importante per la vita del nostro Paese. Stavamo attraversando un periodo in cui c’erano problemi difficili, cruciali, per la pace nel nostro Paese. Il livello di insicurezza nel Paese era alto. La nostra comunità viveva all’interno di un conflitto. Il Santo Padre ha voluto, nonostante le difficili condizioni, recarsi in Centrafrica. È stato un momento molto importante, perché la sua visita è rimasta nel cuore dei centrafricani. Ha pronunciato dei discorsi di pace  e di riconciliazione che la popolazione ha seguito. Ha fatto dei gesti che hanno segnato lo spirito dei centrafricani e che hanno fatto sì che oggi molti dei nostri concittadini hanno ascoltato i suoi messaggi: la pace, la sicurezza cominciano a tornare. Uno degli aspetti importanti che abbiamo notato è che le elezioni che abbiamo organizzato si sono svolte in un clima pacifico.

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Tagle: visita di Francesco a Lesbo per vincere paura dei migranti

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Una visita per testimoniare la vicinanza a chi soffre, ma anche una visita per scuotere le coscienze e vincere la paura. A due giorni dalla visita di Francesco a Lesbo tra i profughi e all’indomani del nuovo appello per i migranti levato dal Papa al Regina Caeli, Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza del cardinale arcivescovo di Manila, Luis Antonio Tagle, che - come presidente di Caritas Internationalis - aveva visitato pochi mesi fa i profughi siriani nel campo di Idomeni al confine con la Macedonia: 

R. – Il mio primo sentimento è di gioia, perché i profughi – la gente che soffre – ha bisogno di un appoggio: non solo di un appoggio esteriore, ma di una manifestazione di compassione che viene da un cuore puro, sincero. Questa visita non ha niente a che vedere con un’agenda politica, con il proselitismo, ma per me è una testimonianza, che dà speranza e gioia a tutti, specialmente ai profughi. L’anno scorso sono andato al campo profughi di Idomeni in Grecia, vicino alla Macedonia. Lì ho visto, ho sentito, ho toccato la sofferenza… E la gente che soffre è consolata, consolata, con atti semplici. Semplici atti di amore e di compassione. La presenza del Santo Padre bastava per offrire questa consolazione.

D. – Papa Francesco ha portato con sé tre famiglie di rifugiati. E proprio Papa Francesco ha detto in un’occasione che le opere di misericordia sono la “manifestazione della vita cristiana”. Questo gesto è anche una chiamata, un esempio per tutti i cristiani…

R. – Sì, veramente lo è! Io voglio aggiungere che la carità – la misericordia – si manifesta in atti concreti. Non basta però un atto esteriore, perché il cuore da cui scaturisce questo atto è un’altra cosa. Ad esempio, nel mondo politico - durante le elezioni - vediamo tanti, tanti atti di benevolenza da parte dei candidati, però io mi domando: “Ma loro, sono sinceri?”. Il Santo Padre lo ha manifestato, sì, con un atto concreto, quello di portare a Roma i profughi: non solo individui, ma famiglie, per proteggerle, perché la famiglia deve restare insieme, nella sofferenza, così come nella gioia e nella speranza. Però io sono sicuro che queste tre famiglie che vengono dalla Siria hanno sperimentato un amore misterioso… Da dove viene questo atto di carità, si chiedono? Da un cuore ecclesiale, dal cuore di un Papa!

D. – Si può sperare che, dopo questa visita, le immagini che tutto il mondo ha potuto vedere, di sofferenza, ci sia un risveglio delle coscienze, dei cuori e delle menti degli europei, soprattutto dei leader politici dell’Europa?

R. – Speriamo, certo! Io credo che tanti leader e anche la gente, specialmente qui in Europa, ha paura, paura dei profughi: paura di ricevere questi stranieri, questi migranti… Però, noi dobbiamo far fronte a questa paura: per me la via giusta è quella di incontrare le persone. Io per esempio, vedendo i ragazzi delle famiglie di profughi, mi sono reso conto che questi sono dei ragazzi normali, come i bambini delle altre famiglie… Le mamme e i papà dei rifugiati sono simili agli altri papà e alle altre mamme che desiderano solo il bene per le loro famiglie! Questi pensieri, però, vengono da un incontro personale, perché senza incontro personale c’è solo la paura, la paura prevale. Speriamo che questo esempio del Santo Padre, dell’incontro personale, faccia diminuire questa paura.

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Vegliò: dopo Lesbo l'Europa ascolti, gesti del Papa impressionano

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Una nuova tragedia colpisce il Mar Mediterraneo, a pochi giorni dalla visita di Papa Francesco al campo profughi di Lesbo. L’immigrazione rimane quindi, come ha detto il Pontefice, “una questione umanitaria”. Un concetto ribadito dal cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, intervistato da Fabio Colagrande

R. – Purtroppo incomincia di nuovo il martirio nel Mediterraneo. Una volta sbarrata la via dei Balcani, i flussi ritornano sul Mediterraneo. E in questo mare, purtroppo, siamo abituati a questa tragica realtà: che molti partano e non tutti arrivino. Quest’ultima notizia lo sta proprio a dimostrare. Di fronte a quello che avviene, che cosa si può fare? E’ una grande tristezza. Pregare, sperando che l’Europa li riceva con più generosità. Questi, però, già nel venire muoiono nel Mediterraneo. Poveretti! Succubi e soprattutto vittime di criminali in questi barconi indecenti, che non dovrebbero nemmeno navigare da soli e che vengono invece caricati di povere persone.

D. – Qual è stato, secondo lei, il significato più forte, più importante di quello che è avvenuto sabato a Lesbo, di questa visita del Papa?

R. – Io credo come sempre, quando il Papa si muove, che sia un segno concreto che lui vuole dare a chi è al mondo. Cosa vuol dire questo viaggio a Lesbo? Cosa voleva dire il viaggio a Lampedusa? Vuole dire che la Chiesa è vicina ai migranti, ai rifugiati, che non li lascia mai soli. Questi gesti, queste azioni impressionano, perché è l’unico leader al mondo – posso dire – che può fare queste cose. Non solo che può fare, ma che fa! Poi ci riporta in primo piano il fenomeno migratorio. Come lo risolviamo? Un altro aspetto che il Papa ha sottolineato, non trattandosi di cose, di pacchi postali, di numeri, ma di persone, è che queste soluzioni devono garantire sempre il rispetto, la tutela e la dignità di quelli che, poveretti, sono costretti a immigrare.

D. – Francesco ha spiegato che il suo è stato un viaggio umanitario. Eppure molti ci leggono anche un segno politico forte nei confronti dell’Europa. E’ giusta questa lettura?

R. – Certo che è un atto umanitario. Quando il Papa fa questi appelli, fa questi gesti, li fa soprattutto a favore di quelli che soffrono, dell’umanità sofferente. Che poi questo suo viaggio, queste sue parole, acquistino anche un significato politico, mi sembra così normale e anche così giusto. Certo, in questo momento è un segno, credo, preciso, non solo per il mondo intero, che sia più sensibile al mondo delle migrazioni, ma proprio diretto all’Europa: è come una scossa all’Europa. Nel campo profughi di Lesbo, il Papa ha detto che c’è da piangere, perché ci sono troppi ghetti, e ha detto di gestire questa catastrofe, che è la più grande e la più grave dalla Seconda Guerra Mondiale. Io ricordo quando qualche anno fa andò a Lampedusa e l’Europa era assente, si può dire. Dopo Lampedusa, anche grazie all’azione dell’Italia, l’Europa ha incominciato a pensare più concretamente a questo problema delle migrazioni. Ora, con Lesbo, ancora di più, perché è di nuovo un segno forte. Speriamo che chi deve ascoltare, ascolti.

D. – Proprio in queste ore, a Bruxelles, viene preso in esame dai ministri della Difesa e degli Esteri dei Paesi dell’UE un piano italiano per rivedere un po’ l’approccio alle politiche migratorie, soprattutto rivedere l’accordo tra Unione Europea e Turchia. C’è molto da fare ancora…

R. – Forse l’Europa si sente più cosciente di dover agire con responsabilità. Quando si pensa, però, a quello che è stato fatto, viene un po’ di malinconia. L’anno scorso i Paesi europei si impegnarono a prendere 160 mila profughi, un tanto per Paese. Io credo che ne abbiano presi poche decine, meno di 100. Questa è una cosa che fa pensare. Il fatto, però, che si riuniscano, che discutano, è già molto positivo: meglio discutere di una cosa, che non parlarne proprio.

D. – Infine, ha colpito molto il gesto del Pontefice, che ha scelto di portare con sé da Lesbo tre famiglie musulmane. Cosa ha voluto dimostrare con questo segno concreto il Papa?

R. – Ha voluto dimostrare che i problemi non si risolvono con le chiacchiere, non si risolvono con le parole, che servono e sono necessarie, ma è anche bello quando uno dalla teoria passa all’azione. Che siano musulmani o cristiani, in questo momento non ha particolare importanza.

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Oggi in Primo Piano



Sisma Ecuador: 272 vittime, subito 100 mila euro da Caritas

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E’ di 272 morti e oltre 2.000 feriti il bilancio del terremoto di magnitudo 7,8 della scala Richter che ha colpito l’Ecuador nella notte tra venerdì e sabato scorsi. Secondo il presidente, Rafael Correa, rientrato anticipatamente da Roma, il numero delle vittime "continuerà a salire, anche in modo considerevole". La città costiera di Pedernales risulta essere la più devastata, ma in tutto sono sei le province interessate. Diecimila i soldati inviati sul posto mentre ancora si scava tra le macerie in cerca di superstiti. Papa Francesco ha ripetuto in un tweet la preghiera di ieri al Regina Caeli: "Preghiamo per i popoli dell’Ecuador e del Giappone, colpite da violenti terremoti. L’aiuto di Dio e dei fratelli dia loro forza e sostegno". Intanto è in moto la macchina degli aiuti internazionali. L'Unione Europea ha stanziato un milione di euro, in prima fila anche Caritas. Marco Guerra ne ha parlato con Paolo Beccegato, responsabile dell'area internazionale di Caritas Italia: 

R. – Sì, ci siamo messi subito in contatto con il direttore di Caritas Ecuador, Mauricio López, e tramite lui col presidente, mons. Heras. La preoccupazione è molto alta, perché l’area colpita alla fine è molto vasta e non è stata ancora raggiunta tutta: alcuni villaggi sono ancora abbandonati a se stessi. Quindi, il rischio che i danni, i morti, i feriti, insomma il conto finale di tutto questo sia destinato a crescere è molto alto. Lo stanziamento dei 100 mila euro da parte della nostra presidenza è solo un gesto. In realtà, ci sarà bisogno di uno sforzo enorme per l’emergenza e per la ricostruzione. E’ un Paese già molto povero, con un 20% della popolazione in povertà assoluta ed un 10% con fabbisogni alimentari di base. Pensiamo, quindi, che in questa situazione sarà necessario un lavoro di lungo periodo.

D. – Cosa serve e cosa è richiesto per gli aiuti e dalle squadre di soccorso?

R. – Queste sono le fasi del salvataggio delle vite umane e della rilocazione di tutti coloro che hanno perso la casa in strutture o, addirittura, in campi profughi, dipende dai numeri. Pare che i numeri siano piuttosto alti, quindi c’è anche il rischio di una fase lunga con campi, tende, container e così via. C’è tutto il problema, poi, di coloro che hanno subito dei traumi permanenti: sia fisici sia psicologici. Di solito in questi casi, purtroppo, vi sono varie situazioni dal punto di vista fisico, come quelle che riguardano la spina dorsale, che implicano una terapia di lungo periodo. C’è, quindi, un lavoro molto attento anche da parte della Pastorale sanitaria. Ecco perché queste emergenze complesse comportano un lavoro di lunghissimo periodo, purtroppo di anni, dove la nostra solidarietà non potrà e non dovrà mancare, col supporto di tutti.

D. – E’ presumibile che anche la Chiesa locale sia in prima linea nel fronteggiare questa necessità di aiuti e nel portare soccorso…

R. – La storia e l’esperienza ci insegnano che la Chiesa locale è molto attiva, molto vivace. Noi con loro abbiamo lavorato da anni in tutto il Paese su un sistema di microprogetti di sviluppo - scuole, ospedali, acqua, agricoltura – e hanno lavorato egregiamente. Sulle emergenze sono sempre stati molto attivi. Queste prime ore ci stanno dando gli stessi identici segnali. Confidiamo, dunque, che il loro lavoro sul posto, col supporto evidentemente di tutti noi, sarà molto fruttuoso.

E anche medici e operatori sanitari di diverse Ong stanno raggiungendo le aree più colpite. Per il punto della situazione abbiamo intervistato Riccardo Sansone, responsabile per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia: 

R. – Le province colpite sono sei e quindi in termini di danni alle infrastrutture, la possibilità per la popolazione di accedere all’acqua pulita e al cibo sono abbastanza ingenti. La situazione è un po’ critica. Noi abbiamo inviato un’equipe di esperti che sta raggiungendo le aree colpite per fare un’analisi di dettaglio dei bisogni e capire come effettivamente indirizzare l’intervento che Oxfam potrà fare nelle prossime ore, soprattutto mirata a interventi salvavita come garantire l’accesso all’acqua e al cibo.

D. – Quali sono le criticità di queste ore?

R. – Le criticità di queste ore sono queste: sicuramente c’è da salvare le vite di coloro che magari sono rimasti ancora sotto le macerie e c’è da approntare il sistema degli aiuti. La parte relativa al coordinamento in questi momenti è estremamente importante perché permette anche di raggiungere aree che sono difficilmente raggiungibili a causa della distruzione provocata dal terremoto.

D. – Qual è stata la risposta del governo? Sul terreno è già attivo il circuito della solidarietà internazionale…

R. – Il governo ha dichiarato lo stato di emergenza in queste sei province colpite. Al momento, ancora non ci risulta che abbia fatto richiesta ufficiale di sostegno internazionale. Si tratta di capire se lo farà nelle prossime ore. Il governo negli ultimi anni ha investito molto sulla capacità di rispondere ai disastri. Tutto dipende dall’entità: se nelle prossime ore verrà confermato che l’entità del danno è abbastanza ingente, potrebbe chiedere anche l’intervento internazionale. Detto questo le organizzazioni come la nostra, che sono presenti nel Paese da diversi anni, hanno anche un po’ il dovere morale di intervenire per assistere le comunità con cui lavoriamo da sempre. Ovviamente, lo faremo in stretto raccordo con le autorità nazionali anche a livello locale.

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Mediterraneo: si teme per la vita di 400 migranti somali

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Prende sempre più corpo l’ipotesi di una nuova tragedia dell’immigrazione nel Mar Mediterraneo. Oltre 400 migranti provenienti dalla Somalia risultano ancora dispersi in mare mentre cercavano di raggiungere l’Italia dall’Egitto. Si temono centinaia di vittime, mentre oggi a Lussemburgo si tiene il vertice dove verrà presentato il piano italiano sull’immigrazione in Europa. Il servizio di Michele Raviart

Ad un anno esatto dalla tragedia di Lampedusa, in cui morirono circa 800 persone, un nuovo naufragio colpisce il Mar Mediterraneo. Per la Bbc in lingua araba sarebbero oltre 400 le vittime tra i migranti, provenienti da Somalia, Etiopia ed Eritrea. L’incidente è stato confermato dall’ambasciatore somalo al Cairo mentre fonti egiziane hanno specificato che il gruppo viaggiava a bordo di “quattro imbarcazioni sfasciate” e stavano cercando di raggiungere le coste italiane dall’Egitto. Una trentina le persone tratte in salvo finora, secondo i media somali. Nella notte intanto un altro gommone è stato trovato semiaffondato nel Canale di Sicilia. Sei le vittime accertate, oltre cento le persone salvate dalla Guardia Costiera italiana, mentre si teme per la sorte di una ventina di dispersi. “Una tragedia che fa pensare”, ha commentato il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, nel giorno in cui a Lussemburgo viene presentato all’Europa il piano italiano sull’immigrazione. Il cosiddetto “migration compact”, che prevede nuovi progetti di investimento finanziati attraverso bonds speciali europei, l’apertura delle frontiere interne e nuove politiche di reinsediamento, ha ricevuto l’apprezzamento della Commissione Europea. “Come l’Italia la Commissione è convinta che solo un approccio europeo più forte, ci possa aiutare a gestire i flussi dei migranti in modo ordinato e in uno spirito di accresciuta solidarietà”, ha commentato il portavoce del presidente Juncker.

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Brasile, impeachment. Card. Tempesta: momento grave per il Paese

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In Brasile, l’aula della Camera ha approvato l’impeachment nei confronti della presidente Rousseff. I deputati brasiliani hanno approvato la messa in stato di accusa del Capo di Stato al termine di una sessione durata tre giorni. Migliaia di persone si sono riversate nelle piazze, per festeggiare nella capitale Brasilia e altre grandi città come San Paolo e Rio de Janeiro. Proprio dalla metropoli carioca Daniele Gargagliano, ha raccolto il commento del cardinale Orani Joao Tempesta

R. – Ieri c’è stata questa votazione sull’impeachment nella nostra Camera dei deputati. La Chiesa ha chiesto al Paese di dialogare tra fratelli, cioè continuare a vivere insieme e uniti nel Paese nonostante le diversità di opinioni presenti. Ci sono problematiche sociali, etiche, politiche che devono essere risolte attraverso le autorità, le nostre istituzioni, la giustizia, quindi con l’aiuto dei deputati e dei senatori. Questo per il Paese è un momento serio ed è importante che siamo uniti come Paese e come fratelli brasiliani.

D. – La Conferenza episcopale brasiliana ha preso una posizione precisa contro il fenomeno della corruzione nel Paese…

R. – Sì, durante la nostra ultima assemblea che si è conclusa la settimana scorsa abbiamo preso la posizione contro la corruzione e quello che accade. Questi problemi con la giustizia devono finire, però la Conferenza episcopale ha detto che non c’è una posizione netta a favore o contro questo impeachment. Ma tutto va fatto nell'unità del Paese.

D. – Quale messaggio dare alla popolazione. C’è il rischio di un progressivo allontanamento dei cittadini dalla politica?

R. – In questo momento, tutti i cittadini sono molto attenti a ciò che succede nella politica. Non ci sarà un allontanamento dalla politica, però la Chiesa vuole che ci sia pace, tranquillità nel nostro Paese.

D. – La Chiesa rappresenta per i brasiliani un punto di riferimento stabile all’interno della società…

R. – Credo che la posizione della Chiesa brasiliana sia quella più visibile e quella più ascoltata dal popolo, è molto vicina al popolo. La chiesa con il popolo vuole fare un lavoro di prossimità.

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Referendum sulle trivelle: vincono i "sì" ma manca il quorum

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In Italia si potrà estrarre gas o petrolio da piattaforme già esistenti, collocate entro 12 miglia dalla costa, fino all’esaurimento del giacimento. Non è stato infatti raggiunto il quorum al referendum sulle trivelle. L’affluenza è stata di poco superiore al 31%. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Ha votato "sì" oltre l’85% delle persone che si sono recate alle urne. Ma, ad eccezione della Basilicata, non è stato raggiunto il quorum e questa netta vittoria non avrà effetti. Per Michele Emiliano, presidente della Puglia – una delle 9 Regioni che ha richiesto la consultazione – il fatto che abbiano votato "sì" oltre 14 milioni di persone impegna comunque il governo a cambiare la propria politica energetica. Soddisfatto per l’esito della consultazione il premier Matteo Renzi, secondo cui hanno vinto ingegneri, operai e quanti lavorano sulle piattaforme. Il Presidente del Consiglio ha ricordato, tra l’altro, che i fondi utilizzati per il referendum si sarebbero potuti impiegare in investimenti:  

 “Un referendum che si poteva evitare. Abbiamo cercato di evitarlo per risparmiare oltre 300 milioni di euro degli italiani. E’ stato voluto tenacemente e pervicacemente non per discutere di energia, ma per esigenze di conta interna da parte di qualcuno”.

Dopo l’esito del referendum, non cambiano dunque le norme che regolano le attività di ricerca e di estrazione di gas e petrolio in mare entro le 12 miglia. Le piattaforme già autorizzate, e soltanto queste, possono continuare a estrarre gas e petrolio fino all’esaurimento del giacimento.

Ma qual'è il significato politico legato all’esito del referendum? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto al politologo Gian Enrico Rusconi

R. – Di una popolazione elettorale estremamente divisa e con un antagonismo che, secondo me, non è un buon segno a cominciare anche dal presunto dichiarato vincitore Renzi, che sta di fatto esercitando una leadership – a mio avviso – eccessivamente polarizzatrice. E lo dico anche in previsione dell’appuntamento politico più importante: il referendum che ci sarà sulla riforma del Senato… In questo referendum c’erano molte cose confuse, poche informazioni e solo all’ultimo momento si è capito di cosa si trattasse. Quindi c’è stata una impropria, strumentale politicizzazione da parte di Renzi e dei suoi avversari che, però, alla fin fine, non farà bene alla popolazione e neanche a loro. La conflittualità in democrazia è una buona cosa, ma qui sta assumendo delle forme che non sono accettabili!

D. – Quanto incide questo voto sulla futura politica energetica del Paese? Verrà rallentata la tendenza che vede uno spostamento dalle fonti energetiche fossili a quelle pulite?

R. – Sì e no, perché qui forse è stato l’equivoco di questa consultazione: in realtà non soltanto Renzi, ma tutti in Occidente e in Europa si stanno lentamente orientando verso le cosiddette fonti alternative, anche quelli che hanno dei problemi meno pesanti dei nostri come la Germania… Se per caso questo referendum avesse detto “No! Stop a tutto!”, allora si doveva per forza accelerare. Adesso si accelererà in maniera più ragionevole. Diciamo che il sottoprodotto positivo di questa consultazione è quello di una maggiore sensibilità al problema dell’energia.

D. – A proposito di questo, non è stato raggiunto il quorum ma hanno comunque votato “sì” oltre 14 milioni di elettori. Quale peso avranno questi voti?

R. – Dipende e qualcuno lo ha anche detto sui giornali: uno poteva benissimo essere d’accordo con la linea generale di questo governo e persino con la personalità di Renzi e, però, qui dire: “No, qui, tu sbagli!”. Questa è un po’ la democrazia. Quindi probabilmente sbagliano sia i sostenitori, un po’ troppo zelanti, sia gli avversari, altrettanto accaniti, a dare una univoca risposta a questo referendum. Una consultazione equivoca per il modo con cui è stata fatta e comunicata. Ha avuto l’effetto indotto di aumentare la diffidenza e  di nuovo c’è stato un peggioramento del linguaggio pubblico… Una cosa non buona per la democrazia, perché la democrazia è conflitto, leale conflitto. Questa esperienza, secondo me, non è stata positiva! Spero di sbagliarmi…

D. – La democrazia è anche partecipazione ed ha innescato, in particolare, forti polemiche l’invito del premier Renzi a non andare a votare. E’ stata una scelta legittima quella di astenersi?

R. – Si può andare a non votare per disinteresse, ma - in questo caso - si può andare a non votare anche per una certa intenzione: di per sé il non andare a votare non vuol dire nulla di definitivo. Dipende quale sia la motivazione: c’è una quota certamente di gente che è irritata, stufata, un atteggiamento di antipolitica. Ma c’è anche qualcuno che ha usato questo strumento.

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Oggi al via il 38.mo Convegno delle Caritas diocesane

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“Misericordiosi come il Padre. Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso”. Nell’Anno della Misericordia è questo il titolo del 38.mo Convegno nazionale delle Caritas diocesane che si apre presso la Fraterna Domus di Sacrofano, in provincia di Roma e si chiuderà giovedì 21 aprile. Molte le personalità che interverranno, dal presidente il card. Francesco Montenegro a quello di Caritas Internationalis card. Luis Antonio Tagle al segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino. Sarà un’occasione di preghiera e di riflessione per le 220 Caritas diocesane, ma si festeggerà anche una ricorrenza particolare, come ricorda al microfono di Roberta Barbi il direttore di Caritas italiana, don Francesco Soddu: 

R. – Quest’anno Caritas Italiana compie 45 anni. É un bel compleanno che cade durante il Pontificato di Papa Francesco ha dato e continua a dare quotidianamente impulsi nuovi al nostro essere, al nostro ruolo, soprattutto di animazione, all’interno della Chiesa e nella società. Il titolo è evidentemente tratto dall’impegno che tutta la Chiesa ha in quest’anno: “Misericordiosi come il Padre”, è l’impegno che Papa Francesco ha dato a tutta la Chiesa. Noi lo abbiamo voluto cogliere e farne l’oggetto della riflessione, della preghiera, dei lavori, di questo 38.mo Convegno nazionale delle Caritas diocesane.

D. - Questo importante compleanno di Caritas Italiana che compie 45 anni cade nell’anno della Misericordia. Non poteva esserci regalo più bello …

R. - Sì, lo prendiamo proprio per ricordarci che tutto quanto è stato detto anche dai pontefici precedenti, da coloro che hanno lavorato nella Chiesa e nella Caritas negli anni precedenti riguardo alla carità deve essere modulato in quello che Papa Francesco ci dice essere l’architrave della vita della Chiesa, cioè la Misericordia.

D. – Inevitabilmente si traccerà anche un bilancio?

R. – Secondo me è un obiettivo molto importante quello di non fermarci a ciò che probabilmente nel periodo passato è stato l’oggetto principale della nostra attenzione, cioè la cura delle opere. Queste opere – ci diceva già Papa Benedetto XVI – devono essere “parlanti”, devono parlare al cuore dell’uomo. Quindi le opere devono avere come obiettivo principale la persona umana: è quanto quotidianamente sta dicendo Papa Francesco e lo ha ripetuto ieri e l’altro ieri richiamando, appunto, il viaggio fatto a Lesbo.

D. - Uno dei momenti più attesi, ovviamente, l’udienza con Papa Francesco …

R. - Sarà il momento clou del nostro convegno. Abbiamo già tanti esimi personaggi della Chiesa che partecipano al nostro convegno, ma Papa Francesco raccoglierà tutto questo, raccoglierà il nostro impegno e ce lo restituirà naturalmente con delle indicazioni di carattere pratico che mettono in evidenza certamente quella che è l’azione della Chiesa, ma quel di può che la Caritas deve essere.

D. - In un’altra intervista lei ha detto che “il primo interrogativo di Caritas deve essere: quanto è capace di creare sintonia ed unione senza fare troppe cose”. Ce lo spiega?

R. - Se dovessi usare un’altra immagine sarebbe quella di non camminare semplicemente su un “tapis roulant”, oppure di avere l’impressione di aver corso e di averlo fatto invano, di non fare troppe cose che poi appesantiscono il nostro quotidiano, ma di mirare tutte le nostre azioni e le nostre intenzioni a quelle che sono non dico le necessità, ma le attenzioni principali rivolte alla persona. Quindi modulare in chiave pastorale tutto il Vangelo che ci viene affidato.

D. - Quale sarà il cammino futuro di Caritas?

R. - Noi dobbiamo camminare nelle strade del mondo cercando di annunciare il Vangelo nella testimonianza quotidiana, seguendo la voce che ci proviene – appunto - dai nostri pastori ad iniziare dal Santo Padre. Questo è certamente il quadro generale che poi costantemente e quotidianamente si modula nel saper leggere la situazione, nel saper leggere i territori e, tra l’uno e l’altro, cercare di fare sintesi.

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Nella Chiesa e nel mondo



Terremoto in Ecuador: il dolore dei vescovi del Paese

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"Dinanzi al forte terremoto avvertito in tutto l'Ecuador, alla morte di molte persone e ai danni agli immobili in diverse città, i vescovi dell'Ecuador vogliono offrire al popolo ecuadoriano una parola di fiducia nel Signore” è scritto nel comunicato della Conferenza episcopale dell’Ecuador pervenuto all'agenzia Fides. “Il nostro pensiero – scrivono i vescovi - va in modo particolare ai nostri fratelli nelle province di Manabi e Esmeraldas, che sembrano finora essere i più colpiti, e invitiamo tutti a partecipare alla colletta nazionale per le vittime, al fine di soccorrere le loro necessità più urgenti".

L'intervento immediato della Caritas
Il Segretario esecutivo di Caritas Ecuador, Mauricio Lopez, ha confermato l’impegno della Caritas in coordinamento con la Pastorale sociale. Si stanno coinvolgendo le Caritas delle diocesi colpite per rilevare i bisogni più urgenti. Dal canto suo Caritas Italiana, dopo aver messo a disposizione 100mila euro per gli interventi immediati, continua a seguire gli sviluppi della situazione “in costante contatto con Caritas Ecuador con cui da anni collabora attivamente”. Caritas Italiana spiega: “La provincia di Esmeraldas e gli altipiani andini della vicina provincia Imbambura sono tra le regioni più sismiche dell’Ecuador. Per ridurre la vulnerabilità della popolazione in caso di catastrofi naturali, la Caritas aveva avviato negli ultimi anni, progetti di preparazione alle emergenze, attività di prevenzione e piani di evacuazione che sono stati presentati anche nelle scuole”.

Distrutto un convento a Playa Prieta: morte cinque religiose
Secondo le ultime notizie, tra le decine di vittime del terremoto che ha colpito la costa dell’Ecuador la notte di sabato 16 aprile, vi sono anche una religiosa e cinque postulanti della comunità delle suore "Siervas del Hogar de la Madre" di Playa Prieta, che era al completo al momento del sisma. Secondo le informazioni giunte alla Fides dalla Casa centrale delle religiose, i soccorsi sono riusciti ad agire sul posto solo 24 ore dopo il terremoto.

Tratte in salvo dalle macerie solo tre suore della comunità
Tra le macerie hanno perso la vita la missionaria suor Clare Crocket (irlandese, da 15 anni in Ecuador) e 5 postulanti: Jazmina, María Augusta, Maira, Valeria e Catalina, quest’ultima stava decidendo sulla sua vocazione. I soccorritori sono riusciti ad estrarre, vive ma ferite, le altre tre suore della comunità, ora ricoverate in ospedale: suor Estela Morales (spagnola), suor Merly (ecuadoriana), suor Thérèse Ryan (irlandese), e due postulanti ecuadoregne: Guadalupe y Mercedes. Le Siervas del Hogar de la Madre gestiscono una scuola sulla Costa che, secondo le reti sociali della zona, è stata completamente distrutta dal terremoto. (C.E.)

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Vescovi Regno Unito. Voto sul Brexit: l'Ue ha radici cristiane

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L’Unione Europea ha radici cristiane ed è importante andare a votare il prossimo 23 giugno durante il referendum sul Brexit, ovvero per la permanenza o meno del Regno Unito nell’Ue. Lo scrivono i vescovi di Inghilterra e Galles in una nota diffusa al termine della loro Assemblea Plenaria, svoltasi presso la Hinsley Hall di Leeds dall’11 al 14 aprile.

Esercitare il voto pensando al bene comune
Sottolineando la natura “storica” di questo referendum, che avrà conseguenze “per le generazioni future”, i vescovi – citati dall’agenzia Sir – chiedono ai 5 milioni di fedeli cattolici di pregare perché lo Spirito Santo li guidi quando andranno alle urne. Al contempo, i presuli ricordano ai cattolici “il contributo che l’Ue ha portato alla pace in Europa occidentale”. La Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles cita, poi, le parole rivolte da Papa Francesco al Parlamento Europeo, il 25 novembre 2014, relative agli ideali di pace, sussidiarietà e solidarietà che hanno guidato, fin dall’inizio, il progetto Ue: di qui, i presuli inglesi chiedono ai cattolici di informarsi sugli argomenti a favore e su quelli contrari al Brexit “esercitando il voto pensando al bene comune di tutti”.

Referendum non è solo economico. Tutelare dignità della persona
“Abbiamo bisogno di costruire un'Europa che ruota attorno non all'economia, ma alla sacralità della persona umana, attorno a valori inalienabili – scrivono i vescovi - Tutti noi abbiamo la responsabilità di mantenere la dignità della persona umana al centro del dibattito. Dobbiamo chiederci, di fronte ad ogni problema, ciò servirà meglio la dignità di tutte le persone, sia in Europa e oltre”. “Questo referendum è quindi molto di più di economia”, scrive la Chiesa inglese, ribadendo che “le nazioni europee hanno radici profondamente religiose” e che “l’Europa ha duemila anni di cultura cristiana che ha formato il continente”.

Nel 2018, Congresso eucaristico nazionale
Sempre in occasione della Plenaria, i presuli hanno riflettuto sull’esortazione apostolica “Amoris laetitia”, siglata da Papa Francesco il 19 marzo e pubblicata l’8 aprile. Un documento – affermano i vescovi inglesi – che “offre grande aiuto e incoraggiamento alle famiglie nei loro impegni quotidiani”. Inoltre, la Conferenza episcopale annuncia il Congresso eucaristico nazionale che si terrà in Inghilterra e Galles nel 2018, in risposta all’appello dell’incontro di Cebu dello scorso gennaio.

In preghiera per i 90 anni della Regina Elisabetta II
Quanto al 90.mo genetliaco della Regina Elisabetta II, che ricorrerà giovedì 21 aprile, i vescovi invitano tutte le parrocchie a pregare per la sovrana, in particolare nel week-end dell’11 e 12 giugno. In quest’ottica, i presuli incoraggiano la diffusione del libretto “La regina servitrice e il Re che lei serve”, curato dalla Società biblica, l’associazione Hope e l’Istituto londinese per il cristianesimo, nel quale la sovrana parla, per la prima volta, pubblicamente, della propria fede.

A maggio, Settimana di preghiera per l’evangelizzazione
Infine, la Conferenza episcopale ha chiesto al Dipartimento per il dialogo e a quello per l’evangelizzazione di collaborare per un’iniziativa che risponda al Cortile dei Gentili, voluto dall’allora Papa Benedetto XVI come momento di confronto tra credenti e non credenti, e raccomandano ai fedeli di pregare per la Settimana di preghiera per l’evangelizzazione, promossa dalla Chiesa di Inghilterra, che si terrà nell’ultima settimana prima di Pentecoste dall’8 al 15 maggio prossimi. (A cura di Isabella Piro)

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Cile. Mons. Chomali: la questione Mapuche un problema politico

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L'arcivescovo di Concepcion, mons. Fernando Chomali, che ha lavorato per diversi anni con il popolo Mapuche, interpellato dalla stampa locale dopo gli incendi alle chiese verificatisi negli ultimi tempi rivendicati da sedicenti difensori della causa Mapuche, ritiene che il governo, la polizia, i pubblici ministeri e i giudici "sono molto informati sugli eventi specifici che stanno accadendo, ma mancano di riconoscere che questo è un problema politico, che richiede una definizione dello Stato sul trattamento del popolo mapuche".

Le difficoltà sociali del popolo Mapuche
Mons. Chomali - riporta l'agenzia Fides - osserva che "la mancanza del posto di lavoro, la scarsa istruzione e i problemi irrisolti della proprietà dei terreni" sono le difficoltà di fondo. "C'è un malessere generale nella zona per la precaria situazione dei suoi abitanti" sottolinea l’arcivescovo, ribadendo che "ricostruire la fiducia, la giustizia per il popolo Mapuche e la pace, è una questione per la quale ci vorrà tempo e richiede politiche statali chiare e visibili al più presto possibile". (C.E.)

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Sri Lanka: pellegrinaggio alla Madonna di Madhu

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Sfruttando i tre giorni di festa nazionale in Sri Lanka per il Capodanno tamil e singalese (Sinhala), migliaia di cattolici sono andati in pellegrinaggio al santuario mariano di Madhu, uno dei più famosi e frequentati del Paese e situato nella diocesi di Mannar (provincia nordorientale). La festa - riferisce l'agenzia AsiaNews - è durata dal 13 al 15 aprile e agganciandosi al fine settimana ha creato cinque giorni consecutivi lontani dal lavoro. “Vale proprio la pena passare tre giorni delle nostre vacanze con Madre Maria – raccontano alcuni fedeli giunti da Wellawatta –. L’ambiente circostante il santuario è tranquillo e silenzioso, non chiassoso come nei giorni di festa religiosa. Possiamo trascorrere quanto tempo vogliamo all’interno della chiesa e riposarci sia a livello spirituale che fisico”.

I miracoli della Madonna di Madhu
Interi gruppi di famiglie sono partiti da ogni provincia del Paese per giungere al famoso santuario. Molti sono venuti per ringraziare la Madonna per la guarigione di alcuni cari e pregare per la salute dei malati. Newton Silva, 59enne padre di tre figli della diocesi di Kurunegaka, afferma: “Ho voluto venire qui a Madhu con tutta la mia famiglia e recitare 15 decine del rosario a Maria e offrire i miei ringraziamenti di cuore per la guarigione dal mio cancro pericoloso”. “Mio marito non è mai a casa perché è un uomo d’affari – racconta la moglie, una donna tamil – così ogni volta che possiamo cogliamo l’occasione per venire qua a dire il rosario insieme. Ci dona pace interiore e gioia”. Rupa Fernando, donna 50enne di Nainamadama, attribuisce alla Madonna la sua guarigione da un cancro al cervello dopo un anno e mezzo di cure: “Era il mio sogno venire al santuario di Madhiu con la mia famiglia, pregare il rosario e dire le litanie alla Madonna. Sono molto contenta di averlo fatto”.

Dopo la guerra civile la statua è tornata nel santuario di Madhu solo nel 2010
​Costruita 400 anni fa, dal 1990 il santuario di Madhu ha ospitato migliaia di persone e la zona divenne un vero campo profughi tamil nel nord dello Sri Lanka. Colpita dai bombardamenti della guerra civile, la statua della Madonna poté tornare solo nel 2010 e una grande folla (non solo di cattolici) partecipò, quel 15 agosto, alla tradizionale festa. Ogni anno in quella data quasi 600mila persone da tutto il Paese compiono un pellegrinaggio. (M.M.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 109

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.