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Sommario del 19/04/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: no a chiusura verso migranti, sono un dono non un peso

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I migranti sono un dono, non un problema. A sottolinearlo è Papa Francesco in un video-messaggio diffuso oggi in concomitanza con la presentazione, a Roma, del Rapporto annuale 2016 del Centro Astalli sulle condizioni dei richiedenti asilo e rifugiati. Dal Pontefice un nuovo appello a vincere la chiusura e l’indifferenza verso gli immigrati che troppo spesso caratterizza le nostre società. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Ero forestiero e mi avete accolto”. Muove dalle parole di Gesù, che risuonano nel Vangelo di Matteo, la riflessione di Papa Francesco nel suo videomessaggio al Centro Astalli. Il Pontefice ringrazia l’istituzione dei gesuiti per l’impegno in favore dei profughi e rifugiati.

I migranti che bussano alle nostre porte hanno il volto di Dio
Quindi, sottolinea che chi fugge dalla guerra o per “un’ingiusta distribuzione delle risorse del pianeta, è un fratello con cui dividere il pane, la casa, la vita”:

“Ognuno di voi, rifugiati che bussate alle nostre porte ha il volto di Dio, è carne di Cristo. La vostra esperienza di dolore e di speranza ci ricorda che siamo tutti stranieri e pellegrini su questa Terra, accolti da qualcuno con generosità e senza alcun merito”.

Vincere la chiusura e l’indifferenza delle nostre società
Ognuno di voi, ha ripreso, “può essere un ponte che unisce popoli lontani, che rende possibile l’incontro tra culture e religioni diverse, una via per  riscoprire la nostra comune umanità”:

“Troppe volte non vi abbiamo accolto! Perdonate la chiusura e l’indifferenza delle nostre società che temono il cambiamento di vita e di mentalità che la vostra presenza richiede. Trattati come un peso, un problema, un costo, siete invece un dono. Siete la testimonianza di come il nostro Dio clemente e misericordioso sa trasformare il male e l'ingiustizia di cui soffrite in un bene per tutti”.

Testimoniare la bellezza dell’incontro, ascoltare la voce dei rifugiati
Il Centro Astalli, ha poi affermato, “è esempio concreto e quotidiano di questa accoglienza nata dalla visione profetica del padre Pedro Arrupe”. Ed ha incoraggiato i volontari a proseguire un percorso “che si fa sempre più necessario, unica via per una convivenza riconciliata”:

“Siate sempre testimoni della bellezza dell’incontro. Aiutate la nostra società ad ascoltare la voce dei rifugiati. Continuate a camminare con coraggio al loro fianco, accompagnateli e fatevi anche guidare da loro: i rifugiati conoscono le vie che portano alla pace perché conoscono l’odore acre della guerra”.

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Papa: un cristiano che non si lascia attirare da Dio è "orfano"

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“Un cristiano che non si lascia attirare dal Padre verso Gesù è un cristiano che vive in condizione di orfano”. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa del mattino celebrata nella cappella di Casa S. Marta. Un cuore aperto a Dio, ha detto il Papa, è capace di accettare le “novità” portate dallo Spirito. Il servizio di Alessandro De Carolis

Miracoli, segni prodigiosi, parole mai ascoltate prima e poi quasi ogni volta la solita domanda: “Sei tu il Cristo?”. Il Papa comincia l’omelia partendo dallo scetticismo incrollabile che i Giudei nutrono verso Gesù e che emerge anche dal brano del Vangelo del giorno.

Il Padre attira i cuori
Quella domanda – “Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente” – che scribi e farisei ripeteranno più volte in forme diverse, in sostanza nasce – osserva Francesco – da un cuore cieco. Una cecità di fede, che Gesù stesso spiega ai suoi interlocutori: “Voi non credete perché non fate parte delle mie pecore”. Far parte del gregge di Dio è una grazia, ma ha bisogno di un cuore disponibile:

“‘Le mie pecore ascoltano la mia voce, io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano’. Queste pecore hanno studiato per seguire Gesù e poi hanno creduto? No. ‘Il Padre mio che me le ha date è più grande’. E’ proprio il Padre che dà le pecore al pastore. E’ il Padre che attira i cuori verso Gesù”.

Come orfani
La durezza di cuore di scribi e farisei, che vedono le opere compiute da Gesù ma rifiutano di riconoscere in Lui il Messia, è “un dramma”, afferma Francesco, che “va avanti fino al Calvario”. Anzi, prosegue anche dopo la Risurrezione, quando ai soldati di guardia al sepolcro viene suggerito, ricorda il Papa, di ammettere di essersi addormentati per accreditare il furto del corpo di Cristo da parte dei discepoli. Neanche la testimonianza di chi ha assistito alla Risurrezione smuove chi si rifiuta di credere. Questo ha una conseguenza. “Sono orfani”, ribadisce Francesco, “perché hanno rinnegato il loro Padre”:

“Questi dottori della legge avevano il cuore chiuso, si sentivano padroni di se stessi e, in realtà, erano orfani, perché non avevano un rapporto col Padre. Parlavano, sì, dei loro Padri – il nostro padre Abramo, i Patriarchi… - parlavano, ma come figure lontane. Nel loro cuore erano orfani, vivevano nello stato di orfani, in condizione di orfani, e preferivano questo a lasciarsi attirare dal Padre. E questo è il dramma del cuore chiuso di questa gente”.

“Attirami verso Gesù”
Al contrario, nota il Papa riferendosi alla Prima lettura, la notizia giunta a Gerusalemme che anche molti pagani si aprivano alla fede grazie alla predicazione dei discepoli spintisi fino in Fenicia, Cipro e Antiochia – notizia che sulle prime aveva alquanto impaurito i discepoli – mostra cosa significhi avere un cuore aperto verso Dio. Un cuore come quello di Barnaba che, inviato ad Antiochia a verificare le voci, non si scandalizza dell’effettiva conversione anche dei pagani e questo perché, conclude Francesco, Barnaba “accettò la novità”, si “lasciò attirare dal Padre verso Gesù”:

“Gesù ci invita ad essere i suoi discepoli, ma per esserlo dobbiamo lasciarci attirare dal Padre verso di Lui. E la preghiera umile del figlio, che noi possiamo fare, è:’Padre, attirami verso Gesù; Padre, portami a conoscere Gesù’, e il Padre invierà lo Spirito ad aprirci i cuori e ci porterà verso Gesù. Un cristiano che non si lascia attirare dal Padre verso Gesù è un cristiano che vive in condizione di orfano; e noi abbiamo un Padre, non siamo orfani”.

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La gioia delle famiglie siriane portate dal Papa a Roma da Lesbo

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“Per noi è ancora un emozione incredibile, un sogno essere a Roma!” C’è ancora stupore ed incredulità nelle tre famiglie siriane portate a Roma dal Papa, durante il suo viaggio nell’isola greca di Lesbo, e accolte nella capitale, dalla Comunità di Sant’Egidio. Linda Bordoni ed Helene Destombes hanno raccolto la testimonianza di Hassan e Nour Zahidà la coppia più giovane dei tre nuclei, arrivati in Italia con il loro bambino. Il servizio di Marina Tomarro: 

Una fuga iniziata da Damasco in Siria, e proseguita verso Aleppo per raggiungere la Turchia e da li cercare di raggiungere la Grecia con un barcone di fortuna. E’ stato questo il lungo e periglioso cammino che Hassan e Nour insieme al loro figlio sono stati costretti a percorrere per fuggire dalla guerra. Ascoltiamo le parole di Nour:

R. - Nous avons quitté la Syrie…
Noi abbiamo lasciato la Siria nel dicembre del 2015, perché mio marito era stato richiamato alle armi: in quel periodo, infatti, richiamavano tutti gli uomini tra i 18 e i 45 anni per unirsi all’esercito siriano, perché si era in guerra! Il nome di mio marito era segnalato ad ogni caserma di Polizia e quindi non potevano uscire dal Paese attraverso le frontiere regolari, ufficiali. Siamo stati obbligati di prendere il “cammino illegale”.

D. - Quando tempo siete rimasti a Lesbo?

R. - Un mois… nous sommes arrivés le 18 Mars …
Un mese. Siamo arrivati il 18 marzo. Circa un mese…

D. - Come si svolgeva la vostra vita nel campo?

R. – En premier temps, super. Dans les premiers cinq jours.
In un primo momento era buona… Ma questo solo nei primi cinque giorni, perché non vi era molta gente. Dopo sono arrivate tantissime famiglie e quindi nel campo c’erano tantissime famiglie, tanta gente… E l’acqua non c’era, neanche nei bagni: semplicemente non c’era acqua sufficiente per tutti! Ci hanno anche detto che avrebbero dovuto mettere insieme in un’unica stanza anche 2-3 famiglie… Sì, questa è stata la vita nel campo nell’ultimo periodo…

Poi la notizia improvvisa ad inaspettata di essere stati scelti tra quelle famiglie che il Papa avrebbe portato con se a Roma. E l’emozione diventa difficile da raccontare. Ascoltiamo il marito Hassan

R. – Actually, that was …
E’ stato davvero un sogno. Noi stavamo comprando qualcosa in centro, a Lesbo, alle otto di sera; siamo rientrati nel campo di Karatepe e il responsabile, Stavros, ci ha detto che qualcuno aveva scelto tre famiglie per portarle in Italia. Non ci hanno detto niente, però, del tipo di volo e con chi fosse. Quindi non ci hanno detto nulla del Papa e che sarebbe stato un volo speciale con lui.

D. - E cosa avete provato, quando lo avete scoperto?

R. – Actually that was …
E’ stato di nuovo un sogno, veramente. Non riuscivamo a capire cosa stesse succedendo. Poi lo abbiamo capito, quando abbiamo incontrato il responsabile della Comunità di Sant’Egidio.

E l’incontro con il papa rimarrà un ricordo da portare nel cuore per sempre. La gioia di Hassan:

R. – Yes, we met the Pope at the airport…
Sì, abbiamo incontrato il Papa all’aeroporto. Ci ha chiesto della situazione a Lesbo e noi gli abbiamo detto che apprezzavamo gli sforzi fatti per i rifugiati, specialmente quelli siriani, quelli provenienti dal confine fra la Macedonia e la Grecia ed anche quelli rinchiusi nei campi di Keratepe e Moria.

Grande è la riconoscenza dei due sposi verso il Pontefice. Ascoltiamo le parole di Nour:

R. – Je tiens à remercier le Pape pour son geste…
Voglio ringraziare il Papa per il suo gesto. Non c’è stato nessun uomo religioso musulmano e nessun presidente arabo – e questo l'ho detto già tante volte – che abbia fatto la stessa cosa. Si dice che condividiamo le stesse cose - condividiamo la stessa lingua, condividiamo la stessa religione – ma non c’è stato un uomo religioso o un Presidente arabo che abbia sentito la nostra sofferenza. Soltanto il Papa! Il Papa ha pregato per noi, ha sentito la nostra sofferenza; ha deciso di andare a Lesbo per vedere realmente cosa stesse succedendo; è andato a visitare il campo di Moria, in cui ci sono tante tensioni, per vedere cosa succedesse. Quindi voglio dirgli: “Grazie! Grazie! Grazie per averci salvati!”. Io spero che questo suo gesto possa influenzare e toccare tutti, che possa cambiare le posizioni politiche e che le frontiere si possano aprire davanti a tutti questi rifugiati. Ci sono tante, tante situazioni difficili al campo e ci sono tantissime persone che hanno bisogno di aiuto. E sono tutte persone normali, che hanno dovuto abbandonare tutto a causa della guerra. Noi abbiamo dovuto lasciare il nostro Paese a causa della guerra… Noi vogliamo solo vivere in un luogo che sia libero, che rispetti tutte le persone, che rispetti tutte le religioni.

Finalmente questa famiglia può guardare verso il futuro con gioia. I loro commenti:

(Hassan)
R. – Actually the dream…
Il nostro sogno, veramente, è di venire accettati qui in Italia, in particolare in Italia. Spero di poter avere una nuova vita qui, al sicuro, specialmente per i miei figli e per mia moglie. Siamo alla ricerca di una vita sicura. Non c’è nessun problema con il Paese. Il mio sogno infatti era quello di raggiungere un Paese che fosse sicuro per la mia famiglia; di integrarmi nella comunità italiana; di avere una vita completa assieme alla mia bella famiglia.

(Nour)
R. – Pour mon fils, j'espère..
Per mio figlio: spero che abbia una vita felice, che possa giocare insieme agli altri, che completi i suoi studi, che impari la lingua italiana e che si possa integrare bene nella società; per me e mio marito, che troviamo un lavoro. Io volevo dire che siamo persone normali. Non siamo dei jihadisti; non siamo dei terroristi! Siamo delle persone normali come voi. Sogniamo soltanto una vita normale in un Paese in cui vi sia la pace. Vi amiamo. Noi apparteniamo ad un comunità mista, vivevamo con i cristiani, con i musulmani, con gli alawiti… Non siamo jihadisti! Non siamo terrorismo! Non abbiamo alcuna forma di razzismo verso gli altri..

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Tweet Papa: riconoscere che l’altro non è un nemico da combattere

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“La via privilegiata per la pace è riconoscere nell’altro non un nemico da combattere, ma un fratello da accogliere”. E’ il tweet pubblicato da Papa Francesco sul suo account Twitter  @Pontifex in 9 lingue.

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Nomine episcopali di Francesco in Canada e Corea

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In Canada, il Papa ha nominato vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Montréal il reverendo Alain Faubert, finora parroco di Saint-Germain, assegnandogli la sede titolare vescovile di Vico di Pacato

In Corea, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Masan, presentata da mons. Francis  Xavier Ahn Myeong-ok, in conformità al canone 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico, e ha nominato vescovo della diocesi di Masan il rev.do Constantine Bae Ki-hyen, Vicario Generale e Cancelliere della medesima diocesi.

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Benedetto XVI ringrazia per auguri ricevuti al compleanno

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“Nel ringraziare per i graditi auguri inviati in occasione” del suo 89.mo compleanno, il Pontefice emerito Benedetto XVI “ricambia con voti di ogni bene e, in quest’Anno Giubilare, accompagna tutti con la Sua preghiera e la Sua Benedizione”. È il messaggio affidato alla Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger–Benedetto XVI, come ringraziamento da parte del Papa emerito “per le numerosissime manifestazioni augurali” pervenutegli in occasione del suo compleanno, il 16 aprile scorso.

Il breve messaggio è stato pubblicato sul sito della Fondazione dedicata a Joseph Ratzinger, di cui proprio oggi ricorre l’11.mo anniversario dell’elezione alla Cattedra di Pietro. Il 16 aprile scorso, anche Papa Francesco aveva rivolto un affettuoso augurio a Benedetto XVI sia parlando con i giornalisti sull’aereo che lo portava a Lesbo, sia successivamente in un tweet dove chiedeva di pregare per lui, ringraziando Dio “per averlo donato alla Chiesa e al mondo”. (A cura di Alessandro Gisotti)

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Amoris laetitia presentata alle rappresentanze diplomatiche

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Presentare ai membri del corpo diplomatico presso la Santa Sede e ai leader delle Ong internazionali l’esortazione post-sinodale di Papa Francesco, Amoris laetitia. Questo lo scopo del convegno svoltosi in Vaticano e promosso dal forum delle organizzazioni cattoliche con attività di rappresentanza presso le realtà internazionali con base a Ginevra. A spiegare il valore universale del documento sulla famiglia erano presenti  mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, e mons. Ivan Jurkovic, Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra. Per la Radio Vaticana ha seguito l’evento Marco Guerra: 

“La Chiesa non deve essere reticente nell’annunciare l’ideale pieno del matrimonio ma la comunicazione del Vangelo della famiglia deve tornare ad attrarre le giovani coppie che devono unirsi aprendosi alla società e non ripiegandosi in una visione meramente romantica dell’amore”. Parlando ai corpi diplomatici mons. Paglia fa sue le parole di Papa Francesco sulla famiglia messe nero su bianco nell’esortazione Amoris laetitia. Un intervento tutto teso a dimostrare la partecipazione fondamentale della famiglia alla costruzione del bene comune. se la famiglia sta male – sottolinea mons. Paglia – sta male tutta la società:  

L’Amoris laetitia è la sintesi di un cammino sinodale che chiede a tutti una nuova consapevolezza non solo nei confronti delle famiglie, ma anche in una nuova immaginazione della Chiesa che deve essere, essa stessa, familiare nell’accompagnare questi giovani verso la crescita avendo degli ideali alti.

L’universalità del famiglia e suo ruolo in tutti gli Stati nazionali è stato ribadito anche da  mons. Ivan Jurkovic, Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, il quale ha ricordato il lavoro delle Chiesa Cattolica nella difesa della famiglia naturale che è sempre più oggetto di revisioni di stampo  ideologico nei trattati internazionali. Un’azione di tutela e promozione dell’antropologia familiare che acquisisce un aspetto dialogico e positivo grazie all’esortazione del Pontefice:

Il nostro problema è una sfida: parlare solamente a coloro che ti ascoltano non è sufficiente, no? Bisogna  parlare con un linguaggio aperto. Alcuni ambasciatori hanno presentato il loro punto di vista, molto differente, ma in un tono rispettoso. Tutti sanno molto bene che con i valori fondamentali non si deve scherzare. Per noi sono nuove basi per il dialogo così come lo sono per un’ambasciata, per una missione diplomatica. Sono tutti preziosi.

Il documento sulla famiglia diventa quindi strumento di confronti nelle sedi internazionali, come sottoliena ancora mons. Ivan Jurkovic:

Le organizzazioni internazionali non sono enti autonomi; sono rappresentanti dei singolo governi. Noi dobbiamo confrontarci non solamente con il dialogo tra Chiesa e Stato in ogni singolo Paese, ma trovare un dialogo che riguardi materie come il matrimonio senza associarsi a nessuno, promuove una linea che porta equilibrio e chiarezza in quello che è il conflitto derivante dall’introduzione di queste nuove categorie antropologiche che certamente sono, in gran parte o completamente, inaccettabili per la Chiesa cattolica. Noi come struttura diplomatica della Santa Sede abbiamo questo vantaggio di proporre le idee anche a nome di molti altri. Penso che questo sia molto apprezzato, forse anche da altri Stati che non condividono totalmente la nostra posizione, ma sono vicini dal punto di vista della visione antropologica o tradizionale o “naturale”, come si dice.

E Amoris laetitia offrirà nuove opportunità per un dialogo fruttuoso anche per le tante organizzazioni cattoliche con attività di rappresentanza presso le organizzazioni internazionali. Maria Giovanna Ruggieri, presidente del Forum-Ginevra:

Questi valori di cui parla l’Esortazione, quindi il valore della famiglia, riguardano un tema che sicuramente deve essere continuamente riproposto facendone cogliere la bellezza, la robustezza e il valore sociale che esso ha perché forse questa chiusura, questo ripiegamento su noi stessi, quindi sul nostro individualismo, sul nostro privato, ci ha fatto perdere di vista l’importanza della famiglia come valore fondamentale per la società.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Per non rassegnarsi alla chiusura e all'indifferenza: in un videomessaggio al centro Astalli il Papa chiede alla società di ascoltare la voce dei rifugiati.

Delusi dall'ultima utopia: in prima pagina, un editoriale di Lucetta Scaraffia sulla crisi dei diritti umani.

Mappa degli orrori: Silvia Gusmano su tratta e sfruttamento nel XXI secolo.

L'anfora di Marta: Paola Pessina a proposito del dibattito sulla maschilità di Gesù.

La grandezza di un'arte sbagliata: Gabriele Nicolò su Henry Rousseau in mostra a Parigi.

Valore di un legame: Alberto Fabio Ambrosio su un'amicizia in prima serata.

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Oggi in Primo Piano



Rapporto Astalli. P. Ripamonti: corridoi umanitari, basta volerli

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Non perdiamo di vista le persone, non dimentichiamo i volti e le storie che stanno dietro ai numeri e alle statistiche che riguardano i rifugiati. E’ questo l’appello principale contenuto nel rapporto annuale 2016 del Centro Astalli presentato a Roma, alla presenza del presidente del Senato Pietro Grasso e del prof. Romano Prodi. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Circa 154 mila rifugiati arrivati in Italia nel 2015, 84 mila le richieste di protezione presentate, 20 mila in più rispetto al 2014. A dare le cifre aggiornate su richiedenti asilo e rifugiati è il Centro Astalli, che sottolinea anche come prosegua, seppur in misura minore, il fenomeno di chi sbarca in Italia ma sceglie di proseguire il viaggio per chiedere asilo altrove in Europa. Il Rapporto racconta come l’accoglienza sia ancora la sfida maggiore per l’Italia che, nel 2015, ha visto superare i 100 mila posti disponibili, così come anche un rallentamento del previsto ampliamento del sistema Sprar. Il Servizio dei Gesuiti per i rifugiati ribadisce che la burocrazia resta l’ostacolo principale per i rifugiati in Italia. E poi ancora: 620 le persone vulnerabili, vittime di tortura, di violenza o abusi sessuali, accompagnate durante l’anno dal Centro dei Gesuiti, sono loro, spiega il Rapporto, a essere spesso tagliati fuori dall’assistenza e quindi a maggior rischio di esclusione. Padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli:

“I dati nazionali, perlomeno del 2015, ci avevano detto che gli sbarchi erano diminuiti, erano stati 150 mila, e noi nei dati del Centro Astalli abbiamo, più o meno, una conferma di questo dato, perché i nostri dati – 21 mila su Roma e 36 mila sul territorio nazionale – si sono mantenuti pressoché invariati rispetto all’anno precedente, anche perché ci sono delle spinte contrastanti. C’è  stata, è vero, una riduzione degli sbarchi nel 2015, però c’è stato un aumento del numero delle domande d’asilo. Quindi, queste due forze contrastanti hanno fatto sì, per esempio, che nel Centro Astalli i numeri siano rimasti costanti”.

Padre Ripamonti torna poi sul viaggio di Papa Francesco a Lesbo, sabato scorso:

“Il Papa, andando a visitare questo campo profughi, questo centro di detenzione, ci ha detto che non è così che si affronta il fenomeno migratorio, ma bisogna ascoltare le storie di queste persone, intervenire sui conflitti da cui vengono queste persone. Una cosa che è passata un po’ in secondo piano è l’appello al traffico delle armi che il Papa ha fatto e che non è certo secondario, perché molti dei conflitti, molte delle persecuzioni e delle violenze che nascono, nascono anche da questo traffico di armi. Quindi, il Papa ci ha detto una cosa: non è chiudendo le porte che risolviamo i problemi, ma affrontando, ascoltando e accogliendo queste persone, guardandole in faccia. Papa Francesco ci ha detto che il corridoio umanitario è possibile, è possibile, basta volerlo. Lui lo ha fatto con dei piccoli numeri, con poche famiglie, ma è stato molto significativo, anche perché musulmane… Anche lì ci ha detto che questa costruzione dei corridoi è una cosa che si può fare e che lo si deve volere anche politicamente. Questo ci permetterebbe anche un maggiore controllo dei flussi migratori, perché ci permetterebbe di selezionare le persone o comunque considerare i numeri all’inizio, nei Paesi e nei campi profughi, e trasferirli poi direttamente nei Paesi di accoglienza”.

Sul "migration compact" presentato dall’Italia all’Ue, padre Camillo Ripamonti mostra tutte le sue riserve:

“Certamente, è importante il fatto che bisogna affrontare il fenomeno migratorio nella sua complessità, quindi intervenendo anche sulle zone di provenienza di queste persone, in cui ci sono guerre, ci sono problemi anche economici. Quindi, gli investimenti sono importanti. Certamente fare degli accordi con dei Paesi nei quali spesso i diritti delle persone non vengono garantiti lascia spazio ad alcune problematiche che vanno, però, considerate. Quindi, sì può essere una strada, però bisogna affrontarla con criterio, tutelando in particolare le persone e le storie di queste persone che scappano da guerre e persecuzioni.

D. – Quindi, l’accordo Ue-Ankara non è un buon modello da seguire?

R. – Io direi di no, perché in quell’accordo non tuteliamo veramente le persone, ma ci tuteliamo da queste persone... Stiamo cercando di combattere questi flussi migratori più che affrontarli e gestirli veramente.

Occorre guardare ai rifugiati con occhi diversi,  è la conclusione del Centro Astalli, che da 35 anni accompagna, serve e difende i diritti dei migranti forzati.

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Attentato a Kabul: 28 vittime. Pangea: è l'Is ora a fare paura

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Si risveglia la rappresaglia talebana in Afghanistan come annunciato lo scorso 12 aprile. L’offensiva di primavera ha provocato solo oggi a Kabul almeno 28 vittime e oltre 300 feriti in un attentato kamikaze contro un'agenzia responsabile della sicurezza. Fumo denso e polvere hanno avvolto decine di case, negozi e diversi edifici governativi, danneggiati dall'esplosione. Il Presidente Ashraf Ghani condanna l'attacco, affermando che dimostra la debolezza del nemico nella lotta contro il governo. ''Una situazione difficile, nonostante i progressi fatti a livello di diritti umani grazie a Organizzazioni come Pangea Onlus, presente in Afghanistan dal 2002. Sentiamo l’analisi del suo presidente e fondatore Luca Lo Presti al microfono di Gabriella Ceraso

R. – Come in ogni attentato, la cosa veramente sconvolgente è che chi muore sono persone innocenti. In questo caso, donne, bambini e uomini che si recavano a lavoro.

D. – Sul territorio oggi c’è il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, e lui dice di frutti che si vedono in modo evidente, nonostante la sfida del terrorismo. Voi siete d’accordo?

R. – E’ vero che in questi anni molte cose sono cambiate. Detto questo, in alcune aree di Kabul, la paura è tanta. Non è tanto responsabilità talebana, perché i talebani non servono agli interessi internazionali della globalizzazione della guerra e del potere economico e di fatto, queste nuove rappresaglie di primavera, tragicamente classiche, si riducono a non moltissimi attentati, perché i talebani non ricevono più finanziamenti internazionali. In questo momento, infatti, i soldi per il terrorismo sono dirottati sull’Is, che comunque è presente in Afghanistan. Questo spaventa tantissimo le donne e spaventa tantissimo tutta la popolazione e non è mai stato fermato.

D. – E' minaccia a conquiste già attuate nel vivere civile, nella costruzione della pace?

R. – Assolutamente sì. L’Is ha conquistato delle parti di Paese e quando arriva questo tipo di ignoranza, legata ad una concettualizzazione religiosa inesistente peraltro, ecco che le donne sono le prime a farne le spese.

D. – Ad oggi, quali sono i passi avanti che sono stati fatti?

R. – I passi in avanti dovrebbero prevedere una politica internazionale di consapevolezza e ricostruzione. Non vedo mai in un’azione di politica estera da parte degli Stati una visione molto lungimirante rispetto ai diritti della popolazione; trovo solo degli interessi speculativi legati al fatto che le guerre hanno un costo e questo costo viene sostenuto da investitori, i quali devono avere un ritorno economico. Il ritorno non è mai quello della vita e del futuro delle persone. Per cui si riesce vagamente ad immaginare quelli che potrebbero essere i riscontri positivi per una popolazione civile, che non è in grado di ricostruirsi da sola. Un esempio su tutti: per questa guerra sono stati spesi più di 600 miliardi di dollari per costruire la democrazia. In realtà, a Kabul, che è la capitale, non ci sono le fogne, non ci sono le strade, le scuole stanno chiudendo, perché non ci sono i fondi per pagare gli insegnanti pubblici e gli investimenti per le scuole sono stati sottratti da mafiosi. Insomma, la società civile afghana non è stata aiutata a potersi avviare verso una ricostruzione autonoma di un Paese in pace. Per cui la speranza è che a qualcuno, oltre che a Pangea - perché a Pangea interessa tantissimo – possa interessare la vita delle persone, degli esseri umani e che, quindi, magari, si cerchi di modificare un’azione di guerra in un’azione di pace e di polizia internazionale, di monitoraggio affinché il Paese non ripiombi in una guerra civile.

D. – Anche a livello di monitoraggio, quindi, c’è carenza?

R. – Assolutamente sì, perché la sicurezza è stata lasciata quasi interamente all’esercito e alla polizia afghana, che sono male equipaggiati e assolutamente mal retribuiti, di ceto basso, che trovano lavoro ma non hanno interesse per una democrazia che non esiste; non hanno interesse a proteggere uno Stato che non esiste, a proteggere un futuro che non vedono. Hanno interesse ad avere quel minimo di salario che può essere sostituito da qualsiasi altro denaro, di chiunque li voglia assoldare. La sicurezza, quindi, non esiste. Anche in questo caso...come ci si spiega che migliaia e migliaia di afghani – perché di loro stiamo parlando – scappino da quel Paese e stiano arrivando anche in Italia, se gli abbiamo portato la pace?

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Ecuador: la Caritas locale lancia appello alla solidarietà

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In Ecuador, il bilancio ancora provvisorio del terremoto di 7,8 gradi della scala Richter che ha colpito il paese nella serata di sabato, è di 413 morti e oltre 2.000 feriti. Oggi, un uomo è stato estratto vivo sotto le macerie di un hotel a Portovejo, una delle città più interessate dal sisma. Lo stato di emergenza è stato dichiarato in 6 province e circa 13.500 tra soldati e poliziotti sono impegnati nelle operazioni di soccorso. La Caritas nazionale ha inviato un appello per sollecitare la solidarietà da parte di tutte le Caritas nel mondo nell’immediato e nella successiva opera di ricostruzione. Tra le Caritas già attive quella italiana. Adriana Masotti ha sentito Maurizio Verdi, referente per America Latina e Caraibi: 

R. – La situazione è abbastanza pesante da quello che ci dicono, perché c’è anche molta difficoltà nel reperire informazioni nelle zone più interne rispetto alla costa, quelle colpite, soprattutto nella diocesi di Esmeraldas e di Manabi. Ci sono delle vie di comunicazione che sono interrotte, e in ogni caso le Caritas diocesane sono state già preparate e allertate dalla Caritas nazionale.

D. – Ancora si stanno cercando i feriti, le persone che sono sotto le macerie. Oggi è stato salvato un uomo…

R. – Sì, sicuramente da parte dello Stato l’intervento sta avvenendo e ci sono moltissime realtà – almeno da quello che ci dicono – di aiuti, sia come forze umane sia come sostegno nell’assistenza. Posso dirle che sono in arrivo aiuti dalle Caritas dell’America Latina, dell’Europa e del Nord America e hanno confermato il loro appoggio sia da un punto di vista finanziario che di risorse umane.

D. – Tra le necessità, anche le tende per le persone che sono rimaste senza casa…

R. – Sì, c’è un problema non solo di vittime, ma di gente che avrà un futuro non certo roseo... L’azione immediata sarà quella di fornire gli aiuti necessari in una situazione di così grave emergenza per quanto riguarda i senzatetto, il cibo, i medicinali e il vestiario. Oltre a questo, c’è un discorso di sostegno psicologico. C’è tutta una parte che attiene sia all’emergenza immediata sia a un post-emergenza che però non sappiamo quando comincerà. Noi siamo in collegamento con Caritas Internationalis che sta attivando la rete internazionale e, insieme con Caritas Ecuador, stanno mettendo a punto l’”Emergency Appeal” da lanciare prossimamente. In questo, saranno ovviamente coinvolte tutte le Caritas della Confederazione internazionale.

D. – Questo evento, il terremoto, in quale contesto avviene? Il Paese quale momento sta vivendo?

R. – L’Ecuador è sicuramente un Paese con molti poveri, molta gente in difficoltà, soprattutto nelle zone più interne. A ridosso della costa c’è un’attività economica anche di tipo turistico, che sicuramente ha subito un colpo notevole. Però, la nostra attenzione si rivolgerà sicuramente agli ultimi tra gli ultimi, ossia a quelle persone che vivono in villaggi o a ridosso della Sierra, e che quindi non vengono raggiunti nell’immediato né dai media né con un sostegno economico. E quind,i la nostra attenzione si concentra soprattutto su quando si spegneranno i riflettori dell’emergenza immediata. Lavoreremo per questa gente il più possibile, cercando soprattutto di sensibilizzare le nostre comunità cristiane.

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Siria. Capo negoziatori opposizione: la tregua è fallita

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E' gelo a Ginevra dove sono in corso i colloqui di pace sulla Siria. Il capo dei negoziatori dell'opposizione al regime infatti, ha dichiarato che il cessate il fuoco è fallito. Parole che arrivano dopo il raid aereo condotto dalle forze governative nel nord della Siria. Come riportato dai media locali, ci sono almeno 10 vittime tra i civili rimasti uccisi in un mercato ortofrutticolo. Intanto l’Alto Comitato negoziale che rappresenta le principali forze di opposizione al regime di Damasco ha chiesto alle Nazioni Unite di sospendere le trattative condotte dall’inviato Onu de Mistura. Sulle criticità emerse durante i primi cinque giorni di negoziati, Daniele Gargagliano ha chiesto un commento all’analista mediorientale Stefania Azzolina 

R. – Fino a questo momento il tavolo delle Nazioni Unite ha - di fatto - riportato diverse criticità, che si ripresentano ogni volta che inizia un nuovo round di negoziati. Continua a pesare quella che è la forte frammentazione della situazione in questo momento del territorio siriano, soprattutto dal punto di vista militare e della disposizione dei vari contendenti. Sin dall’inizio la difficoltà di mantenere in vita la tregua è stata quella di indicare delle zone che siano riconducibili esclusivamente ad un attore: quindi zone controllate dallo Stato Islamico o zone controllate – ad esempio – da al-Nusra o zone controllate dai ribelli. Questa rappresenta, di fatto, una delle criticità che poi si ripercuote sui negoziati di pace. L’altra è, invece, quella dell’internazionalizzazione del conflitto, che rende difficile portare avanti le negoziazioni. Quindi la necessità di trovare un compromesso non solo tra opposizione e forze che rappresentano comunque il regime di Assad, ma anche dalle diverse potenze regionali - come Arabia Saudita e Iran - o internazionali - come Russia e Stati Uniti - nel trovare una sintesi per la crisi siriana. E’ importante sottolineare come non si sia ancora giunti in una fase in cui vi sia un negoziato diretto tra i contendenti: siamo ancora in una fase di negoziati separati che quindi vedono le Nazioni Unite, nella figura di de Mistura, parlare alternativamente con rappresentanti governativi e l’Alto Comitato di negoziazione per cercare di creare le basi, per poi dar vita ad un negoziato diretto.

D. – L’inviato Onu de Mistura ha detto che venerdì sarà fatto un punto della situazione, ma le due parti sembrano ancora molto lontane…

R. – Da una parte, la violazione che viene sempre più sottolineata - da parte dell’Alto Comitato di negoziazione -  riguardo l’arrivo degli aiuti umanitari e quindi riguardo la non disponibilità del Regime di concedere l’arrivo degli aiuti umanitari in zone controllate, appunto, ancora dalle forze governative fedeli ad Assad; dall’altra parte, Assad non ha dato certo un’immagine volta alla conciliazione con l’indizione delle elezioni della scorsa settimana, che di fatto sono state denunciate – sia a livello internazionale che all’interno del Paese e soprattutto da parte del fronte ribelle – come delle elezioni farsa. Il messaggio di Assad, in realtà, è la volontà di continuare ad avere un ruolo in Siria, soprattutto nella fase di transizione politica che in questo momento si sta cercando di negoziare a Ginevra.

D. – Il capo dei negoziatori del regime di Damasco ha accusato i sauditi, la Turchia e il Qatar di essere i registi della decisione presa dall’opposizione di Assad. Quali pressioni esterne arrivano al tavolo dei negoziati di Ginevra?

R. – L’Arabia Saudita e l’Iran, in questo momento, vedono nel dossier siriano un teatro terzo in cui testare quali siano le loro capacità di proiezione di potenza nella regione. Se guardiamo a Stati Uniti e Russia, nonostante la telefonata di oggi sia assolutamente un fattore positivo, di fatto sono sempre stati contrapposti, soprattutto sul ruolo che il leader siriano potrà avere o non potrà avere nel futuro della Siria.

D. – La telefonata tra Obama e Putin, nelle scorse ore, sembra ribadire la preoccupazione sull’effettiva osservanza del cessate-il-fuoco del 27 febbraio scorso…

R. – Il cessate il fuoco rappresenta un elemento fondamentale che potrà permettere in futuro di giungere ad un compromesso. Ma in realtà il cessate il fuoco ha permesso, di fatto, alle forze ribelli presenti sul terreno di effettuare una sorta di riorganizzazione e quello cui assistiamo in questi giorni - quindi una nuova accelerazione degli scontri - deve essere contestualizzato sia al cessate il fuoco, sia in relazione al ritiro, al disimpegno russo nel quadro militare siriano. 

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Maghi e indovini. Prof. Climati: fanno soldi e creano schiavitù

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Non si può seguire il Buon Pastore e credere nella magia. Papa Francesco, nella Messa mattutina ieri a Casa Santa Marta, ha indicato una via maestra: è Gesù – ha detto – la porta che ci mostra il cammino. Chi lo segue non sbaglia. Presunti veggenti e cartomanti, ha aggiunto il Santo Padre, conducono invece su un percorso ingannevole ed errato. Su questo mondo delle pratiche magiche, in netto contrasto con i principi della fede, il servizio di Amedeo Lomonaco: 

E’ miliardario il giro di affari generato da stregoni, fattucchieri e cartomanti. Solo in Italia, secondo l’Osservatorio antiplagio, è di oltre 4,5 miliardi di euro all’anno. La crisi economica favorisce questo preoccupante fenomeno. Gli italiani che almeno una volta all’anno si rivolgono a maghi e sensitivi sono circa 12 milioni, il 20% della popolazione. La televisione resta un canale privilegiato per promuovere le pratiche magiche. Ma ad alimentare questo business ci sono anche Internet e in particolare i social network, tra cui Facebook. Hanno un ruolo determinante anche nuovi strumenti come tablet e smartphone.

La condanna della magia nella Bibbia
Nella Bibbia, ci sono diversi passi in cui si condanna la magia. “Non si trovi in mezzo a te – si legge ad esempio nel Deuteronomio – chi immola, facendoli passare per il fuoco, il suo figlio o la sua figlia, né chi esercita la divinazione o il sortilegio e l’augurio o la magia; né chi faccia incantesimi, né chi consulti gli spiriti o gli indovini, né chi interroghi i morti, perché chiunque fa queste cose è in abominio al Signore”. Un altro avvertimento è impresso nel  Levitico: “Non vi rivolgete ai negromanti né agli indovini; non li consultate per non contaminarvi per mezzo loro”.

Le pratiche di magia per il Catechismo
Nel Catechismo della Chiesa Cattolica, si sottolinea che “tutte le pratiche di magia e di stregoneria con le quali si pretende di sottomettere le potenze occulte per porle al proprio servizio ed ottenere un potere soprannaturale sul prossimo – fosse anche per procurargli la salute – sono gravemente contrarie alla virtù della religione”. “Tali pratiche sono ancora più da condannare quando si accompagnano ad una intenzione di nuocere ad altri o quando in esse si ricorre all'intervento dei demoni. Anche portare amuleti è biasimevole”.

Il mondo della magia fabbrica catene, alimenta dipendenze e nuove forme di schiavitù. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco,il direttore del Laboratorio di comunicazione dell’Università Europea di Roma, il prof. Carlo Climati

R. – È un mondo che tende a voler creare delle forme di schiavitù, delle catene. Vuole soggiogare le persone che stanno attraversando dei momenti di difficoltà e di sofferenza. Ad esempio, chi perde una persona cara può essere contattato da uno spiritista. Chi si allontana dalla propria città per andare a lavorare in un altro luogo si può sentire solo e smarrito, e  viene contattato magari da un mago o uno stregone che gli vuole indicare un percorso da seguire. Al di là di tutto questo fenomeno, possiamo dire che c’è certamente tanta solitudine, tanto desiderio di dialogare, di parlare. E dentro questa solitudine c’è un problema: quello dell’esoterismo, dell’occultismo, quasi un avvoltoio che cerca di catturare gli esseri umani, di farli schiavi, e ciò ovviamente per fare soldi e per far aumentare il conto in banca.

D. – E per questi avvoltoi la crisi è un terreno fertile…

R. – Certamente. Nei momenti di crisi l’occultismo e l’esoterismo sono in crescita, perché la gente è smarrita e ha paura per il proprio futuro. E quindi è più facile attaccarsi a tutto, anche ad alcuni truffatori che propongono delle soluzioni immediate. Vendono i loro amuleti oppure leggono le carte. Credo che l’importante sia accorgersi della solitudine delle persone, cercare di scorgere nello sguardo di chi è accanto a noi un momento di difficoltà e di sofferenza. E se ci accorgiamo della sofferenza dell’altro, certamente tutti questi maghi, questi stregoni non avranno più terreno facile dove lavorare…

D. – Anche perché in realtà è facile smascherarli e far capire, come ha detto il Papa, che sono contrabbandieri di verità…

R. – Io credo sia molto semplice smascherare questi meccanismi. Storicamente, il cristianesimo è sempre stato l’opposto dell’occultismo e dell’esoterismo proprio perché lo spirito del cristianesimo è quello di essere gratuito: il messaggio di Gesù è un messaggio per tutti. Gesù dice: “Andate e portate a tutti gli esseri umani il mio messaggio”. E invece quello che fanno gli esoteristi non è gratuito: c’è sempre la richiesta di denaro, quella di creare un legame, una catena. C’è quindi uno sfruttamento. E quando ci accorgiamo che c’è questo sfruttamento, dovremmo essere molto attenti e non cadere nelle trappole. Se noi ci guardiamo attorno, vediamo quante pubblicità e quante situazioni commerciali girano intorno a questo mondo. Possiamo capire che certamente è un mondo che produce denaro e lo produce sulla sofferenza delle persone, sfruttando chi sta vivendo un momento difficile. Questo mondo purtroppo fa del male a tanta gente, perché nel momento in cui si privano le persone della libertà e si creano fenomeni di dipendenza, è evidente che l’uomo non è più padrone di sé stesso, ma diventa schiavo.

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“Uomo tra gli uomini”. Al Sistina la vita di San Giovanni Paolo II

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“La Santità non è riservata ad un élite, ma una chiamata universalmente valida”. E’ la sfida e filo rosso del musical “Uomo tra gli uomini. Cos’è la santità se non un sì” in scena al Teatro Sistina di Roma i prossimi 25 e 26 aprile. Lo spettacolo, in due atti, ispirato alla vita di San Giovanni Paolo II è diretto e ideato da Sabrina Moranti. Per la prima volta venne presentato nel 2014 per la canonizzazione di Karol Wojtyła. Oggi, il Musical con il patrocinio del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, si inserisce tra gli eventi culturali legati al Giubileo della Misericordia. Massimiliano Menichetti ha intervistato il produttore e marito di Sabrina, Quirino Marchegiani, fondatore di QMedia srl: 

R. – E' evento culturale che si colloca all’interno della Giubileo della Misericordia. E mi piace ricordare come, nella Bolla di Indizione, Papa Francesco faccia spesso riferimento alla “Dives in Misericordia”, l’Enciclica del 1980 di San Giovanni Paolo II. E' un musical che vuole esaltare e far tornare un ricordo vivo la vita straordinaria di San Giovanni Paolo II e la sua Santità.

D. – Tu produci il Musical, tua moglie ha una parte fondamentale…

R. – Il Musical è scritto e diretto da mia moglie. Due anni fa lo abbiamo rappresentato, in occasione della canonizzazione di San Giovanni Paolo II, all’Auditorium Conciliazione.

D. – La struttura del Musical non è narrativa, ma “evocativa”... 

R. – Non c’è sul palcoscenico un protagonista vestito da Papa, che impersona la figura di San Giovanni Paolo II, ma ci sono persone che sono venute a contatto con la sua santità e beneficiano di questo. Per cui le loro vite ordinarie diventano “straordinarie” seguendo questa Santità.

D. – Il Musical parte dalla morte di San Giovanni Paolo II, poi come si dipanano le storie?

R. – Alcuni amici si ritrovano a San Pietro durante la veglia funebre, il 2 aprile del 2005, vanno a casa di uno di loro e sfogliando un album di vecchie fotografie ripercorrono alcune esperienze salienti delle loro esistenze. Per esempio, c’è la coreografia, commovente, della donna sterile che non riesce ad avere figli, che seguendo in un viaggio il Santo Padre in India insieme al marito, si apre alla vita e adotta una bambina indiana. Il “leitmotiv” del Musical, in una coreografia, in una canzone, è “incondizionatamente, fiduciosamente, coraggiosamente, sì!”. Cos’è la santità se non rispondere a una chiamata?

D. – Sul palco dunque l’uomo, il Papa, ma anche – avete avuto il coraggio – di mettere l’antagonista: il Male?

R. – La trovata drammaturgica, scenica, è quella per cui il protagonista è esaltato dal suo antagonista. Il Male, questo personaggio seduttivo, istrionico, che cerca di intavolare dei dialoghi con il pubblico, prova in tutti i modi a scompaginare questi piani di amore pensati dal Padre, attuabili ed attuati da San Giovanni Paolo II. E il Male non vince, perché la Risurrezione di Cristo ci dà la certezza della vittoria sulla morte. Il Bene è talmente radicato nel cuore dell’uomo che alla fine la voce di Dio si riconosce: te ne accorgi, la senti.

D. – Papa Francesco indice il Giubileo della Misericordia; San Giovanni Paolo II incardina la sua seconda Enciclica nella misericordia; Benedetto XVI parla della centralità dell’idea della misericordia di Dio come di un “segno dei tempi”. Tre Papi nel solco dell’amore di Dio, nella misericordia: questo come emerge dal vostro lavoro?

R. – Si vede nel momento in cui enunciamo che la santità è una risposta, è dire un “sì”. E tu non puoi dire “sì” a una chiamata se non ti senti profondamente amato, perdonato, se non incontri questa misericordia che trascende, che ti invade. Allora, tutti questi uomini e donne, descritti nel Musical, hanno impattato con la misericordia di Dio nelle loro difficoltà, e anche nelle loro ribellioni, ma poi alla fine veramente incontrano come una presenza viva, e come una persona, la misericordia, che è il nostro Signore Gesù Cristo.

D. – Perché, secondo te, bisognerebbe venire a vedere il vostro lavoro?

R. – Noi pensiamo che questo Musical si rivolga a tutti. Ed è un segno che venga rappresentato nel tempio laico dei Musical – il Sistina – perché, come si canta in una delle ultime coreografie e delle ultime scene, la santità non è un qualcosa di riservato ad una élite: questa è la nostra convinzione più profonda. È un Musical fruibile per tutti, e anche per chi adesso pensa di non avere un rapporto intimo con Cristo, di essersi allontanato, di sentirsi deluso, vedendo questo Musical può trovare un nuovo spunto per avere un incontro forte, intimo, personale con nostro Signore Gesù Cristo.

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Nella Chiesa e nel mondo



Appello 270 leader religiosi per ratifica accordi sul clima

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In vista della cerimonia per la firma dell’accordo di Parigi sul clima (Cop21), prevista il 22 aprile presso la sede dell’Onu a New York, 270 leader religiosi hanno diffuso un appello per sollecitare i capi di Stato e di Governo a ratificare quanto prima l’intesa raggiunta lo scorso dicembre nella capitale francese alla Conferenza sui cambiamenti climatici. L’accordo, tra i cui punti centrali - come è noto - figura l'impegno a portare  avanti sforzi per limitare l'aumento della temperatura globale a 1,5 gradi - , diventerà giuridicamente vincolante solo se ratificato da un minimo di 55 Paesi che insieme rappresentino almeno il 55% delle emissioni globali di gas serra.

La cura per la Terra una responsabilità comune
L’appello, consegnato ieri al presidente dell’assemblea generale delle Nazioni Unite  Mogens Lykketoft,  porta la firma, tra gli altri, di mons. Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademie delle Scienze e delle Scienze sociali, del rabbino capo Shear Yashuv Cohen, dell’imam Maulana Syed Muhammad Abdul Khabir Azad, dell’arcivescovo anglicano sudafricano Desmond Tutu e del segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese (Wcc) , Olav Fykse Tveit. In esso i rappresentanti religiosi ricordano che “la cura per la Terra è nostra comune responsabilità” che “ognuno di noi ha una responsabilità morale di agire, come così efficacemente affermato da Papa Francesco nell’Enciclica “Laudato si’”e nelle dichiarazioni sui cambiamenti climatici da buddisti, cristiani, indù, ebrei, musulmani, sikh, e altri leader religiosi”. Il pianeta infatti, si ricorda, “ha già superato i livelli di sicurezza per i gas serra. E a meno che questi livelli non vengano rapidamente ridotti, si rischia di creare impatti irreversibili per centinaia di milioni di vite”.

Lottare per un’alternativa alla cultura del consumismo
Una sfida, dunque, che richiede “coraggio” e “onestà” da parte di tutti, in primo luogo di chi ha responsabilità dei popoli e delle nazioni. Da parte loro, i responsabili religiosi ricordano che occorre “iniziare una transizione dai combustibili fossili inquinanti e verso le fonti pulite di energia rinnovabile”. È chiaro che per molte persone ciò comporta un radicale cambiamento dei propri stili di vita, ma “dobbiamo lottare per un’alternativa alla cultura del consumismo che è così distruttiva per noi stessi e per il nostro pianeta”.

Parigi ha ridato speranza per il futuro
Per i leader religiosi l’accordo di Parigi è un motivo di speranza per il futuro, perché “il consenso senza precedenti” raggiunto “ha aperto una nuova strada” e “la collaborazione globale tra tutte le nazioni è la prova che i nostri valori condivisi sono di gran lunga più grandi di tutte le differenze che ci dividono”.

Clima e crisi migratoria al centro di un incontro delle Caritas nord-americane
Di cambiamenti climatici  e delle loro pesanti conseguenze economiche e sociali – riporta l’agenzia Cns - si è parlato in questi giorni a una riunione delle Caritas nord-americane a Montreal, in Canada. All’incontro, al quale sono intervenuti, tra gli altri, il card. Luis Antonio Tagle e mons. Michel Roy, rispettivamente presidente e segretario generale della Caritas Internationalis, è stato evidenziato come l’attuale crisi migratoria sia anche una conseguenza dei disastri ambientali provocati dalle attività umane.  (L. Z.)

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Terra Santa: a Gerusalemme al via i lavori al Santo sepolcro

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A Gerusalemme, i lavori al Santo Sepolcro per il restauro della tomba di Cristo cominceranno dopo le celebrazioni della Pasqua ortodossa, che quest’anno ricorre il 1° maggio. Saranno continuamente documentati da uno staff di circa trenta professori della National Technical University di Atene e di esperti di parte cattolica e di parte armena. Il restauro di conservazione, si ricorda infatti, partirà grazie all’accordo raggiunto tra le Chiese greco-ortodossa, cattolica (rappresentata dai francescani) e armena, le tre principali confessioni cui è affidata la custodia della basilica della Resurrezione tra quelle che vi coesistono. Ai finanziamenti delle tre confessioni cristiane si aggiungeranno quelli del Governo greco, del Fondo Mondiale per la conservazione dei monumenti (World Monuments Fund, WMF), di benefattori privati e del re di Giordania Abdallah II, nella sua veste di Custode dei luoghi santi di Gerusalemme Est.

Gli interventi di restauro alla Tomba di Gesù sui danni del tempo
Si interverrà, spiega il portale della Custodia di Terra Santa, smontando l’edicola del Santo Sepolcro per ricostruirla identica. Saranno sostituite soltanto le parti troppo fragili o rovinate, le lastre di marmo, in buono stato di conservazione, saranno ripulite mentre la struttura che le supporta verrà consolidata. Durante il cantiere, il Luogo Santo sarà comunque accessibile al culto e alla devozione dei fedeli. L’avanzato stato di degrado della tomba di Gesù, situata al centro della rotonda del Santo Sepolcro, è frutto di diversi fattori tra i quali difetti strutturali dell’edificio, datati dall’epoca della costruzione, e l’imponente frequentazione di pellegrini e turisti. La causa principale della torsione dei blocchi di marmo è provocata dall’alterazione delle malte a sua volta dovuta all’umidità crescente prodotta dalla condensa del respiro dei visitatori. L’uso delle candele, consumate per ore a pochi centimetri dall’edicola che custodisce il luogo della deposizione del Crocifisso, ha poi provocato forti pressioni termiche sul marmo e i fumi hanno dato vita ad un accumulo di depositi neri e oleosi, che hanno alterato il marmo e creato le condizioni di reazioni fisico-chimiche che hanno accelerato l’ossidazione e il deterioramento delle superfici architettoniche. 

Le ultime impalcature del 1947
Il luogo di sepoltura e risurrezione di Cristo è inalterato dal 1947, quando d’autorità, i britannici puntellarono l’edicola con travi d’acciaio per avviare un restauro che non ha mai avuto luogo. Costruita nel 1809-1810, dopo il grande incendio del 1808 che aveva danneggiato l’intero insieme dell’edificio, l’edicola attuale – di stile barocco ottomano –, ha mostrato segni di fragilità dopo qualche decennio. Fino al 1868, inoltre, la cupola della rotonda la proteggeva soltanto parzialmente dalle intemperie, poiché sulla sommità c’era un oculus a cielo aperto. Essendo la Palestina sotto il Mandato Britannico, gli ingegneri del Dipartimento dei Lavori Pubblici (Department of Public Works DPW) impiegarono due mesi per ottenere dalle Autorità religiose il permesso di ispezionare i luoghi. Il sondaggio effettuato sulla tomba evidenziò che la struttura incorporava i resti di un precedente edificio. Ma i responsabili delle Chiese non seppero trovare un accordo soddisfacente per il recupero. Hanno poi contribuito al degrado le intemperie, nuove scosse sismiche, soprattutto nel 1934. I Greci, i Francescani (per conto dei Latini) e gli Armeni hanno provveduto a sporadici lavori qui e là, ma non nella tomba.

La storia dell’edicola che custodisce il luogo della sepoltura di Cristo
​Il sepolcro di Cristo fu scavato nel fianco di una collina, in una cava di pietre dismessa. Il Giardino della Resurrezione e la tomba furono sepolti intorno al 135, sotto il Tempio eretto dall’imperatore Adriano. Intorno al 324, l’imperatore Costantino domandò al vescovo Macario di Gerusalemme di ritrovare la tomba di Cristo e costruire al suo posto una basilica. Da qui la prima chiesa del Santo Sepolcro. Si scavò attorno alla camera funeraria, dove aveva riposato il corpo di Gesù, per liberare uno spazio e la rocca originaria fu coperta di marmo con decorazioni costantiniane, quindi fu eretta la prima edicola. Parzialmente danneggiata dai persi nel 614 e nuovamente saccheggiata e distrutta a mazzate nel 1009 su ordine d’Al-Hakim bi-Amr Allah, fu sostituita con un’altra edicola di fattura romana verso il 1014. A causa di intemperie, incendi, saccheggi, nel 1555 venne realizzato un edificio molto simile al precedente, ma di stile gotico. Lo volle il Custode di Terra Santa Bonifacio di Ragusa. Dopo l’incendio del 1808 si giunge all’attuale edicola. (A cura di Tiziana Campisi)

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Libano: manifestazione per i due vescovi di Aleppo rapiti 3 anni fa

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Nella giornata di oggi, militanti di associazioni e organizzazioni libanesi si ritrovano nella sede municipale di Sin el Fil, sobborgo orientale della capitale libanese, per ricordare la vicenda dei due vescovi metropoliti di Aleppo - il siro ortodosso Mar Gregorios Yohanna Ibrahim e il greco ortodosso Boulos Yazigi - di cui non si hanno notizie certe dal giorno del loro rapimento, avvenuto il 22 aprile del 2013.

Una manifestazione affinchè non cali l'oblio sui due vescovi rapiti
L'incontro, organizzato da sigle legate alla Chiesa siro-ortodossa e alla Chiesa greco ortodossa a tre anni dal rapimento, punta a impedire che sulla vicenda dei due vescovi cali l'oblio, e a riattivare canali e iniziative per rompere la totale mancanza di informazioni intorno alla loro sorte. La riunione, intitolata “Noi non dimentichiamo”, prevede anche la presenza di Abib Afram (Presidente della Lega siriaca del Libano, che rappresenta 60mila cristiani siriaci), e gli interventi di alcuni oratori, come l'ex ministro sunnita Faisal Karami, il membro di Hezbollah Ali Fayyad Hezbollah e il deputato cristiano ortodosso Marwan Abu Fadel.

Sulla loro sorte solo indiscrezioni e false notizie
I due vescovi metropoliti di Aleppo – il greco ortodosso Boulos al-Yazigi e il siro ortodosso Mar Gregorios Yohanna Ibrahim - erano stati rapiti nell'area compresa tra la metropoli siriana e il confine con la Turchia. Da allora, nessun gruppo ha rivendicato il sequestro. Intorno al caso sono state fatte filtrare a più riprese indiscrezioni e annunci di novità che poi si sono rivelati poco fondati. Sei mesi dopo il sequestro, il generale Abbas Ibrahim, capo della Sicurezza Generale libanese, si era spinto a rivelare che il luogo in cui erano detenuti i due vescovi rapiti era stato individuato, e erano iniziati “contatti indiretti” con i sequestratori per ottenerne la liberazione. Rivelazioni a cui poi non sono seguiti riscontri concreti. (G.V.)

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Pakistan: libero il sospettato della morte due coniugi cristiani

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E’ stato liberato su cauzione il principale sospettato del duplice omicidio dei coniugi cristiani Shahzad Masih e Shama Bibi, arsi vivi da una folla di musulmani per presunta blasfemia il 4 novembre 2014. Come riferisce all'agenzia Fides l'Ong pakistana “Lead” ("Legal Evangelical Assistance and Development"), a Yousaf Gujjar, principale sospettato nel caso del linciaggio, è stata concessa la cauzione, anche se il viceispettore generale della polizia di Kasur, che ha indagato sul fatto, ha dichiarato alla Corte che "se non fosse per questo individuo, l'incidente non sarebbe mai accaduto". 

Si sospetta sulla complicità della polizia
Il funzionario di polizia Asi Mohammad Ali, che in origine ha avviato il procedimento d'ufficio contro Yousaf Gujjar e altre tre persone, in tribunale si è poi rifiutato di indicare Gujjar come "uno dei principali responsabili". Come appurato dalla stessa polizia, Gujjar e i tre hanno incitato la folla a punire i due cristiani, accusati di blasfemia. "Questo atteggiamento di ritrosia della polizia fa pensare a una complicità e non aiuta a fare giustizia" nota l'avvocato cristiano Mustaq Gill, che segue da vicino il caso.

Il giudice aveva criticato la negligenza della polizia durante il linciaggio
Yousaf Gujjar è il proprietario della fornace dove Shahzad e Shama lavoravano, quella fornace in cui sono stati gettati, ancora vivi, dopo aver subito due giorni di percosse e torture. L’incidente è avvenuto a Kot Radha Kishan, nel distretto di Kasur. Alcuni giorni dopo, il 10 novembre, un tribunale anti-terrorismo ha ordinato la custodia cautelare di quattro persone: Yousaf Gujjar e altri tre. In un primo momento le richieste di cauzione erano state respinte, ora sono state accolte. Il giudice aveva fortemente criticato la negligenza della polizia durante il linciaggio. La Corte, nel corso delle indagini, ha messo sotto inchiesta 106 persone. (P.A.)

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India. Chhattisgarh: aggredito un pastore e la moglie incinta

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Due criminali ancora non identificati, ma con ogni probabilità estremisti indù, hanno fatto irruzione nella chiesa pentecostale di Tokapal, nell’area di Bastar in Chhattisgarh, e hanno picchiato in modo selvaggio il pastore e la moglie incinta di sette mesi. Le violenze non hanno risparmiato nemmeno i due figli piccoli del pastore, strattonati con forza. Gli aggressori hanno bruciato la chiesa e gettato benzina sui cristiani, tentando di dar fuoco anche a loro. Il pastore e la moglie però sono riusciti a scappare.

La piccola comunità pentecostale presa di mira dagli estremisti
All'agenzia AsiaNews Sajan K George, presidente del Global Council of Indian Christians, condanna “l’ingiustificato assalto contro il pastore innocente, sua moglie e i bambini. La minuscola comunità pentecostale in Chhattisgarh subisce continue intimidazioni e minacce da parte di scagnozzi dei gruppi estremisti di destra, che prendono di mira innocenti cristiani durante le preghiere”.

Il pastore e la moglie sono riusciti a fuggire
L’aggressione è avvenuta domenica scorsa. I due aggressori hanno fatto irruzione nella casa all’interno della chiesa armati di coltello, martello e ascia. Essi hanno prima malmenato in maniera selvaggia la famiglia cristiana, poi hanno strappato la Bibbia e le letture, cosparso tutto di benzina e appiccato il fuoco. Volevano bruciare anche il pastore e la moglie, che sono riusciti a salvarsi fuggendo dalla casa. Gli estremisti hanno costretto i cristiani a cantare “Jai Sri Ram”, “Vittoria al dio Ram”.

Le aggressioni vengono giustificate con l’accusa ai cristiani di conversioni forzate
L’incidente è il secondo episodio nel giro di un mese nello Stato indiano. A metà marzo un gruppo di 20 radicali indù vestiti con il copricapo color zafferano hanno fatto irruzione nella chiesa pentecostale del villaggio di Kachna. Al grido di “Jai Sri Ram”, hanno interrotto la funzione, malmenato i circa 65 fedeli presenti, comprese le donne, e devastato qualsiasi cosa sul loro cammino. Sajan K George denuncia che le aggressioni vengono giustificate con l’accusa ai cristiani di conversioni forzate. “L’India è un Paese laico – continua – ma in Chhattisgarh si usa lo strumento del Freedom of Religion Bill per picchiare i cristiani e accusare coloro che pregano Gesù di ‘atto criminale’”.

Nel Chhattisgarh una legge impedisce le conversioni dall’induismo alle altre religioni
​Il Chhattisgarh Religion Freedom Act 2006 è infatti la nota legge anti-conversione in vigore nello Stato, che impedisce le conversioni dall’induismo alle altre religioni, ma non il contrario. Inoltre diversi panchayat [i consigli locali] di Tokapal, conclude il leader cristiano, “hanno approvato un’ordinanza, all’interno della sezione 129 (G) del Chhattisgarh Panchayat Raj Act, che mette al bando anche tutte le forme di propaganda, preghiera e discorsi religiosi non indù nei villaggi”. (N.C.)

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Appello vescovi Uruguay per inondazioni e tornado

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Piogge, inondazioni e tornado flagellano in questi giorni l’Uruguay. In particolare, in queste ultime ore la città di San José de Mayo ha sofferto una grave inondazione, che non ha precedenti a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso. In questo momento - riferisce l'agenzia Sir - ci sono circa 450 persone evacuate dalla propria abitazione e circa 800 che hanno abbandonato spontaneamente la loro casa. Sono stati distribuiti in vari punti della città, tra scuole e palestre, mentre si registra anche una persona dispersa. 

L'aiuto immediato della Chiesa
Il vescovo, mons. Arturo Fajardo, si è messo in contatto con il Comitato dipartimentale di emergenza per segnalare la disponibilità della Chiesa a mettere a disposizione i propri ambienti. Numerosi i volontari che hanno collaborato nel ricevere ciò che è stato donato in questi giorni, in particolare il vestiario. Servono alimenti, materassi, coperte, pannolini e prodotti per l’igiene personale.

Colletta Caritas per la popolazione di Dolores colpita dal tornado
​La città di Dolores invece è stata flagellata da un tornado che ha distrutto intere parti della città. Numerose le famiglie rimaste senza casa. Il vescovo di Mercedes, mons. Carlos Collazzi, ha esortato tutte le comunità del Paese a dare un contributo – attraverso la colletta attivata dalla Caritas – per il sostegno della popolazione e la ricostruzione della città. (R.P.)

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Vescovi Messico a insegnanti di Oaxaca: no alla violenza

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“La lotta che vivono gli insegnanti, pensionati e non, davanti al Palazzo del Governo è giusta, e la Chiesa non può rimanere in silenzio, perché è nostro dovere sostenere ed ascoltare le loro richieste per i diritti di salari decenti e per la loro assistenza sanitaria” ha detto mons. Raul Vera Lopez, vescovo di Saltillo, davanti a un gruppo di questi insegnanti presenti alla Messa domenicale. Mons. Vera Lopez - riferisce l'agenzia Fides - ha anche parlato del debito pubblico di 34 miliardi di pesos, che ha interessato non solo gli insegnanti e l’area della pubblica istruzione, ma anche gli ospedali e altri Centri sanitari, che sono rimasti senza medicine. Anche l'Ospedale General, il più grande della zona, non dispone di strumentazioni mediche.

Situazione tesa anche per manifestazioni senza preavviso
Anche il vescovo della diocesi di San Cristobal de Las Casas, nel Chiapas, mons. Felipe Arizmendi Esquivel, ha esortato la popolazione a manifestare in modo pacifico. Infatti sabato scorso, un gruppo molto numeroso del Sindacato insegnanti della scuola pubblica (Cnte: Coordinadora Nacional de Trabajadores de la Educación) aveva bloccato le strade principali d’ingresso ad Oaxaca, cosa che ha richiesto l'intervento della polizia che ha avuto come conseguenza scontri e 18 arresti. La situazione nella zona continua ad essere molto tesa, tutte le scuole sono chiuse, ci sono manifestazioni senza preavviso ovunque.

Deve prevalere il bene sociale
​"Esortiamo sempre ad un dialogo rispettoso, paziente e continuo, per trovare insieme ciò che è più giusto per tutti. Non possono prevalere interessi illegittimi, ma il bene sociale" ha chiesto alla comunità mons. Arizmendi Esquivel. Dalle ultime notizie si apprende che il Ministro della pubblica istruzione ha avvertito gli insegnanti che se continuano l’assenteismo per protesta, i loro stipendi saranno dimezzati. Nel frattempo il gruppo dei manifestanti cresce. (C.E.)

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Vescovi Portogallo: combattere i paradisi fiscali

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“Grande sorpresa” per la dimensione dello scandalo e una ferma richiesta di misure concrete contro la grave ingiustizia dell’evasione fiscale e dei reati ad essi connessi. E’ quanto esprime la Commissione nazionale della giustizia e della pace (Cngp) della Conferenza episcopale portoghese di fronte alle rivelazioni che stanno emergendo dalla mega inchiesta giornalistica sui "Panama Papers”, gli oltre 11 milioni di documenti segreti fatti trapelare dallo studio legale panamense Mossack Fonseca che mostrano come centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo abbiano usato società off-shore per nascondere denaro frutto di evasione o di attività illecite. Come è noto, dall’inchiesta, condotta da un pool di 170 giornalisti di oltre 100 gruppi di media, sono spuntati nomi eccellenti come quelli di 143 leader politici, di imprenditori e di personaggi del mondo dello spettacolo e dello sport.

Eliminare l’ingiustizia dell’evasione fiscale che penalizza i poveri
“Sapevamo che le società off-shore svolgevano attività per aiutare la crescita delle grandi ricchezze grazie una fuga immorale dalle tasse legalizzata a livello internazionale, ma l’inchiesta giornalistica sui Panama Papers ha fatto emergere la reale dimensione” dello scandalo dei paradisi, afferma Giustizia e Pace in una nota ripresa dall’agenzia Ecclesia. Il documento evidenzia come le società off-shore siano spesso uno strumento per il riciclaggio di attività illecite e corruttive che vedono coinvolte anche le istituzioni, comprese quelle a cui spetta il controllo della legalità. "Noi, tuttavia,  non smetteremo di avere fiducia nella giustizia”, sottolinea l’organismo episcopale che rivolge un pressante appello “ai cristiani, ma anche alla società civile, ai governi nazionali e alle organizzazioni internazionali, perché vengano eliminate queste ed altre ingiustizie”  che permettono “a pochi ricchi di arricchirsi di più”, mentre altri non hanno il "minimo necessario" per vivere dignitosamente.

La finanza off-shore serve al mercato delle armi e alla tratta di esseri umani
Citando Papa Francesco, la nota inoltre rammenta che il riciclaggio di denaro alimenta il mercato delle armi, la tratta delle persone (compresi i rifugiati), il traffico di organi e stupefacenti, nonché le reti internazionali di sfruttamento della prostituzione. “Fino a che punto lasceremo andare avanti questo scandalo? Non dobbiamo esigere che i nostri governi e istituzioni siano meno conniventi?", chiede in conclusione la Cngp ricordando che quest’anno le Commissioni europee della Giustizia e della Pace hanno deciso di concertare la loro azione proprio sul tema della disuguaglianza sociale e dell’equità fiscale.  (A cura di Lisa Zengarini)

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Vescovi Polonia: nota dopo riti cristianizzazione del Paese

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“Dov’è battesimo, c’è speranza” è il titolo del comunicato pubblicato al termine  della 372.ma Plenaria dei vescovi polacchi, e il motto delle commemorazioni del 1050° anniversario della cristianizzazione della Polonia, svoltesi a Gniezno e a Poznan dal 14 al 16 aprile. I presuli  - riferisce l'agenzia Sir - “esprimono la loro gratitudine” a Papa Francesco per la sua “vicinanza spirituale con i partecipanti alla ricorrenza” e al legato pontificio il card. Pietro Parolin che ha presieduto le celebrazioni. 

Sui profughi "evangelica accoglienza"
“Volgendosi verso il futuro i vescovi hanno rilevato la necessità di rivalorizzare l’iniziazione cristiana (catechizzazione) e di andare verso gli uomini secondo le parole del Pontefice”, si legge nel documento. Al Papa vanno inoltre i “ringraziamenti per aver proclamato la colletta per gli abitanti dell’Ucraina”. In merito alla crisi migratoria, i vescovi “ricordano che i profughi devono essere trattati nello spirito dell’evangelica accoglienza, solidarietà, responsabilità e rispetto della dignità umana”. 

I vescovi in difesa della vita
​Riferendosi alla discussione in atto in Polonia sul divieto totale di aborto, l’episcopato sottolinea “il valore fondamentale e inviolabile” della vita umana la cui difesa “è obbligo di tutti, a prescindere dalle opinioni” dichiarando di “non appoggiare la penalizzazione delle donne che hanno effettuato l’aborto” e che invece “dovrebbero essere circondate di sollecitudine e sostegno benevoli”. (R.P.)

 

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 110

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.