Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 20/04/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: mai vicini al peccato, sempre accanto al peccatore

◊  

Non scendere mai “a compromessi” col peccato, trattare sempre con misericordia i peccatori. È ciò che ha insegnato Cristo nel Vangelo e che Papa Francesco ha approfondito nella catechesi all’udienza generale, tenuta in Piazza San Pietro davanti a circa 30 mila persone. Il servizio di Alessandro De Carolis

La maschera pulita che punta sprezzante il dito – e cosa ci sia dietro la bella apparenza non è dato sapere – e la faccia sincera e addolorata che chiede umilmente perdono per il male commesso. Da che parte stia Dio in queste circostanze l’ha svelato Gesù nel Vangelo in molti episodi.

Peccato e peccatore
Papa Francesco sceglie quello emblematico di Simone il fariseo, che un giorno invita a pranzo Gesù e a un tratto vede interrotto il suo convivio da una donna col marchio d’infamia, una pubblica peccatrice, che entra, si inginocchia ai piedi del Maestro, li bagna con le sue lacrime, li asciuga con i suoi capelli. Il fariseo, scandalizzato dall’atteggiamento di Gesù che lascia fare la donna, non concepisce – nota Francesco – che il Rabbi “si lasci ‘contaminare” da una sorta di “lebbrosa” sociale:

“Questo atteggiamento è tipico di un certo modo di intendere la religione, ed è motivato dal fatto che Dio e il peccato si oppongono radicalmente. Ma la Parola di Dio ci insegna a distinguere tra il peccato e il peccatore: con il peccato non bisogna scendere a compromessi, mentre i peccatori – cioè tutti noi! – siamo come dei malati, che vanno curati, e per curarli bisogna che il medico li avvicini, li visiti, li tocchi. E naturalmente il malato, per essere guarito, deve riconoscere di avere bisogno del medico!”.

“Guarda il tuo peccato”
Rispetto al fariseo, nota il Papa, “Gesù è libero, libero perché vicino a Dio che è Padre misericordioso”. Anzi, “entrando in relazione con la peccatrice, Gesù pone fine a quella condizione di isolamento a cui il giudizio impietoso del fariseo e dei suoi concittadini (…) la condanna:

“Tutti noi siamo peccatori, ma tante volte cadiamo nella tentazione dell’ipocrisia, di crederci migliori degli altri. Ma guarda il tuo peccato… Tutti noi guardiamo il nostro peccato, le nostre cadute, i nostri sbagli e guardiamo il Signore. Questa è la linea di salvezza: il rapporto tra ‘io’ peccatore e il Signore. Se io mi sento giusto, questo rapporto di salvezza non si dà”.

Ama di più chi più è perdonato
Gesù replica allo sconcerto altero del fariseo con la storia dei due debitori ai quali il padrone condona i rispettivi debiti, una molto maggiore rispetto all’altro. Storia conclusa dalla domanda: “Chi dunque di loro lo amerà di più?”:

“La donna peccatrice ci insegna il legame tra fede, amore e riconoscenza. Le sono stati perdonati ‘molti peccati’ e per questo ama molto; ‘invece colui al quale si perdona poco, ama poco’. Anche lo stesso Simone deve ammettere che ama di più colui al quale è stato condonato di più. Dio ha racchiuso tutti nello stesso mistero di misericordia; e da questo amore, che sempre ci precede, tutti noi impariamo ad amare”.

La misericordia che abbonda
Tra lo “zelante servitore della legge” e l’“anonima donna peccatrice”, Francesco invita i cristiani a imitare il secondo atteggiamento, chiedendo a Dio la grazia “abbondante” della misericordia:

“Lasciamo che l’amore di Cristo si riversi in noi: a questo amore il discepolo attinge e su di esso si fonda; di questo amore ognuno si può nutrire e alimentare. Così, nell’amore riconoscente che riversiamo a nostra volta sui nostri fratelli, nelle nostre case, in famiglia, nella società si comunica a tutti la misericordia del Signore”.

Tra i saluti conclusivi ai gruppi in Piazza, Papa Francesco ne ha rivolto uno comune ai fedeli giunti dall’Ucraina e dalla Bielorussia, in occasione della conferenza internazionale che ricorda i 30 anni della tragedia di Chernobyl.

inizio pagina

Papa: domenica colletta per l'Ucraina, terra di una guerra dimenticata

◊  

Al termine dell’udienza generale in Piazza San Pietro, il pensiero di Papa Francesco è tornato nuovamente alla popolazione dell’Ucraina, ricordando la speciale colletta indetta per domenica prossima in favore di quanti nel Paese patiscono le conseguenze della violenza. Ce ne parla Giada Aquilino

Un conflitto armato “dimenticato da tanti”. È quello che da due anni sconvolge l’Ucraina e la sua popolazione e che, ancora una volta, Papa Francesco ha voluto ricordare e riportare all’attenzione del mondo. Secondo dati Onu, oltre 9 mila sono le vittime del conflitto in Ucraina, quasi tre milioni gli sfollati interni e i profughi al di fuori del Paese, con tensioni ancora in corso in particolare nelle zone di Donetsk e Lugansk:

“Ho invitato la Chiesa in Europa a sostenere l’iniziativa da me indetta per venire incontro a tale emergenza umanitaria. Ringrazio in anticipo quanti contribuiranno generosamente all’iniziativa, che avrà luogo domenica prossima, 24 aprile”.

Alla speciale colletta voluta dal Pontefice e da destinare in particolare ad anziani e bambini per dar loro “un sostegno umanitario”, come il Papa stesso aveva specificato al Regina Caeli del 3 aprile scorso, si affiancherà anche una somma in denaro messa a disposizione dal Santo Padre. Dell’iniziativa, parla il padre ucraino Vladimiro Voloshyn, coordinatore pastorale della Cei per gli ucraini in Italia:

R. – Dobbiamo ringraziare il Santo Padre per questa iniziativa. La vivremo in pieno domenica 24, perché il Pontefice si è fatto voce di tutti gli ucraini non solo in Europa, non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Questo conflitto armato ha conseguenze molto disastrose, perché le vittime sono soprattutto gli anziani e i bambini, che sono sfollati e che hanno dovuto abbandonare le loro case distrutte per spostarsi verso le regioni dell’Ucraina dove non c’è la guerra. Questa iniziativa di Papa Francesco riguarda proprio tale parte delle popolazione, ad esempio della zona del Donbass, in Ucraina, dove tanti bambini sono rimasti senza genitori, perché uccisi o dispersi.

D. - Lei ha parlato dell’emergenza degli orfani, dei bambini. Chi altro colpisce questa grave crisi umanitaria?

R. - Colpisce le famiglie, che devono abbandonare i loro luoghi d’origine e cercarne altri più tranquilli, in altre zone dell’Ucraina. Non hanno i servizi necessari per curarsi e nemmeno un sostegno economico. Diversi anziani devono attraversare le zone “di controllo” per andare dove possono ricevere una pensione e comprare cibo o medicine, per poi tornare - con rischi sempre maggiori - verso le loro abitazioni, quando possono farlo.

D. - Cosa serve quindi alla popolazione civile?

R. - Le cose principali, cioè il cibo, le medicine, i soldi per ricostruire le case e pagare le utenze.

D. - E poi soprattutto la pace…

R. - Sì. Infatti, come ha detto il nunzio apostolico in Ucraina, l’arcivescovo Claudio Gugerotti, il desiderio profondo del Santo Padre non è solamente quello di raccogliere le offerte e aiutare i poveri, ma pure di attirare l’attenzione del mondo su ciò che accade in Ucraina e di cui pochi parlano.

D. - Infatti il Papa all’udienza generale ha parlato di un conflitto armato “dimenticato da tanti”. Perché secondo lei?

R. - Perché magari nel mondo ci sono altre guerre ed altri conflitti; l’Ucraina si trova tra due grandi territori – l’Europa e la Russia – e geograficamente è in una posizione molto delicata. La comunità mondiale è molto divisa riguardo le decisioni da prendere.

D. - Come la Chiesa in Europa, con la colletta di domenica, può sostenere l’Ucraina e tenere alta l’attenzione?

R. - Da circa due anni, quasi ogni domenica stiamo raccogliendo offerte per aiutare i nostri connazionali in Ucraina, ma domenica 24 aprile sarà per noi un giorno in cui insieme a tutte le Chiese europee potremo anche noi dare il nostro contributo.

D. - In queste ore riprendono i contatti tra Nato e Russia, le cui relazioni sono state incrinate proprio dalla crisi ucraina. Quanto la diplomazia può e deve ancora fare?

R. - Sappiamo molto bene, lo abbiamo sperimentato in questi ultimi tempi, che la diplomazia è molto indebolita, perché ci sono tanti interessi politici, ma anche nell’ambito del commercio: ci sono tantissimi legami commerciali fra la Russia e l’Europa e in mezzo c’è questo conflitto in Ucraina.

D. - Lei si occupa degli ucraini in Italia e in particolare nella zona di Firenze, in Toscana. Cosa dire ai vostri connazionali per non perdere la speranza?

R. - Innanzi tutto dobbiamo pregare per la pace. Quando abbiamo avuto notizia della decisione del Pontefice di promuovere questa iniziativa abbiamo provato una grandissima gioia, perché il Papa è stato la voce di tutti gli ucraini.

inizio pagina

Francesco: vicino all'Ecuador colpito dal terremoto, oltre 500 i morti

◊  

Una nuova scossa di terremoto di 6,1 gradi sulla scala Richter ha fatto tremare la costa settentrionale dell'Ecuador, la stessa zona messa in ginocchio dal sisma di sabato scorso, che finora ha causato la morte di oltre 500 persone, 1700 dispersi e 20mila sfollati. All’udienza generale, salutando i pellegrini di lingua  spagnola, il Papa ha espresso vicinanza "ai nostri fratelli dell’Ecuador" assicurando "la nostra preghiera" per loro "in questo momento di dolore". La prima scossa ha toccato i 7.8 gradi sulla scala Richter.

inizio pagina

Papa a sciatori austriaci: siate messaggeri della forza unitiva dello sport

◊  

Papa Francesco poco prima dell’udienza generale, ha incontrato nell’Auletta dell’Aula Paolo VI gli atleti della Federazione austriaca di sci. "Quando penso all’Austria con le sue montagne alpine - ha detto - mi viene in mente anche lo sport invernale. Lo sci ha una grande importanza e tradizione nel vostro Paese, e tutta la popolazione è in grande fermento quando voi sostenete delle gare avvincenti". Quindi, ha aggiunto: 

"Voi siete modelli soprattutto per molti giovani. Ma siete anche figure di integrazione, non solo per le prestazioni sportive, ma per le virtù e i valori rappresentati dallo sport: impegno, perseveranza, determinazione, correttezza, solidarietà, spirito di squadra. Con il vostro esempio contribuite alla formazione della società. Siate sempre messaggeri della forza unitiva dello sport e dell’accoglienza! E, ritornando alla ricchezza naturale del vostro Paese, siate messaggeri della salvaguardia dell’ambiente e della bellezza della creazione di Dio".

inizio pagina

Papa, tweet: creare una famiglia è far parte del sogno di Dio

◊  

Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Formare una famiglia è avere il coraggio di far parte del sogno di Dio, di costruire un mondo dove nessuno si senta solo”.

inizio pagina

Parolin: giustizia sociale ostacolata da giochi economici ciechi

◊  

Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha partecipato oggi a Roma alle celebrazioni del 90.mo anniversario dell'Istituto internazionale per l’unificazione del diritto privato (Unidroit), organismo ausiliare dell'Onu che si occupa di facilitare gli scambi internazionali e di rafforzare la sicurezza giuridica, in particolare nei Paesi in via di sviluppo. Il porporato ha espresso il proprio compiacimento per l’attenzione posta dall'Unidroit alle categorie più deboli, come i poveri, i migranti, gli apolidi: l'obiettivo è quello di realizzare una "giustizia sociale" che oggi è "ancora troppo spesso ostacolata da giochi economici ciechi”.

inizio pagina

Santa Sede: sogno di due Stati, Israele e Palestina, rischia di fallire

◊  

Il progetto di due Stati, Israele e Palestina, rischia di fallire. E’ questa la preoccupazione espressa da mons. Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, nel suo intervento a New York sulla situazione in Medio Oriente. Mons. Auza ha ribadito l’appello alla comunità internazionale perché ascolti il grido di dolore delle comunità cristiane e di altre minoranze vittime di persecuzioni e discriminazioni in questa regione. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Lo stallo dei colloqui di pace, gli atti di terrorismo e le azioni unilaterali rischiano di compromettere il dialogo per rilanciare un autentico processo di pace. Di fronte ad un tale “frustrante scenario” – ha detto mons. Auza – Papa Francesco chiede alle autorità israeliane e palestinesi “di considerare la necessità della pace” e di perseguire con coraggio “la via del dialogo e della riconciliazione”.  

“The Holy see firmly…
La Santa Sede– ha aggiunto l'osservatore vaticano - crede fermamente che la soluzione di due Stati offra la migliore possibilità di un accordo pacifico”. Questo auspicio, espresso dal Papa durante il suo pellegrinaggio nel 2014 in Terra Santa, “deve diventare una realtà e non restare solamente un sogno”.

“The Holy See hopes that…
La Santa Sede spera che l’accordo con lo Stato di Palestina, entrato pienamente in vigore lo scorso 2 gennaio, incoraggi le parti in conflitto ad impegnarsi sinceramente per una soluzione pacifica”. La Santa Sede si augura in particolare che tale intesa possa costituire un esempio di dialogo e di cooperazione per altri Paesi a maggioranza arabi e musulmani.

“The Holy See reiterates its appeal…
La Santa Sede – ha affermato il presule – ribadisce il suo appello per porre speciale attenzione al Libano”, dove rifugiati provenienti da conflitti in Paesi vicini sono un quarto della popolazione. La comunità internazionale deve aiutare questo Paese a raggiungere una stabilità politica e ad affrontare tutte le problematiche legate alla questione dei rifugiati.

“My delegation calls on the international community…
La mia delegazione – ha detto infine mons. Auza – chiede alla comunità internazionale una politica di azione globale per arginare la diffusione del fondamentalismo e dell’estremismo”, che seminano odio e terrore nella regione, nel Nord Africa e in diverse parti del mondo. L’internazionalizzazione del terrore può essere neutralizzata solo con una risposta collettiva mondiale. L’ideologia del terrore non può essere sconfitta solo da un’azione militare, ma si devono estirpare le radici che alimentano il terrorismo.

inizio pagina

Si discute in Vaticano sulla revisione del Regolamento del Sinodo dei Vescovi

◊  

Si è conclusa ieri la prima riunione del XIV Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, presieduta da Papa Francesco. Durante i lavori, iniziati lunedì, è stata sottolineata l’ampia accoglienza ricevuta dall’Esortazione Apostolica postsinodale Amoris Laetitia da parte delle Chiese particolari di tutto il mondo.

Proposti i temi per il prossimo Sinodo
Sono stati quindi presi in considerazione i risultati della consultazione promossa per individuare il tema della prossima Assemblea Generale Ordinaria presso i Dicasteri della Curia Romana, le Conferenze Episcopali, le Chiese orientali e l’Unione dei Superiori Generali. Dopo un ampio dibattito, sono state individuate alcune proposte di temi da sottoporre al Santo Padre per la sua valutazione.

Confronto sulla revisione del Regolamento del Sinodo dei Vescovi
I membri del Consiglio si sono confrontati anche sulla revisione dell’Ordo Synodi Episcoporum, ovvero il Regolamento del Sinodo dei Vescovi, ultimo punto all’ordine del giorno. A questo riguardo mons. Fabio Fabene, sottosegretario del Sinodo dei Vescovi, ha tenuto una relazione sul Seminario di Studio appositamente organizzato dalla Segreteria Generale, a seguito del discorso pronunciato dal Santo Padre il 17 ottobre 2015. I membri del Consiglio hanno approfondito il tema suddividendosi in Circuli minores e hanno presentato in sessione plenaria una relazione sui lavori svolti.

Valorizzazione collegialità deve coniugarsi col ruolo del Vescovo di Roma
Dalle relazioni dei Gruppi è emerso tra l’altro che la valorizzazione della sinodalità e della collegialità deve sempre coniugarsi con l’esercizio del ministero del Vescovo di Roma, in modo da congiungere fruttuosamente primato, collegialità e sinodalità. Concludendo i lavori, il Papa ha ringraziato i membri del Consiglio per i loro contributi e per lo spirito di comunione fraterna vissuto nel corso della riunione.

inizio pagina

Giubileo dei ragazzi, attesi a Roma in 60 mila da tutto il mondo

◊  

Anche i più giovani, ancora minorenni, avranno la loro Gmg in formato “ridotto”. È il Giubileo degli adolescenti, evento voluto da Papa Francesco nell’Anno Santo della misericordia. Dal 23 al 25 aprile prossimi, 60 mila tra ragazze e ragazzi dai 13 ai 16 anni affluiranno su Roma per partecipare alle molte iniziative preparate per l’occasione.

Confessionale a cielo aperto
Sabato 23 aprile, informa un comunicato ufficiale, la giornata si aprirà con il Pellegrinaggio alla Porta Santa, che avrà inizio con il percorso dei giovani pellegrini da Castel S. Angelo lungo tutta via della Conciliazione per arrivare a Piazza San Pietro. Il celebre colonnato del Bernini si trasformerà nell' “abbraccio” del Padre che i ragazzi e le ragazze potranno sperimentare grazie agli oltre 150 sacerdoti che si alterneranno ininterrottamente dalle 09.30 alle 17.30 per far vivere a pieno il Sacramento della Riconciliazione.

Festa allo Stadio Olimpico
Nel pomeriggio, poi al termine del percorso giubilare all'interno della Basilica che si concluderà con la professione di fede sulla Tomba di Pietro, i ragazzi si sposteranno allo Stadio Olimpico per una grande festa all'insegna della musica e delle testimonianze che avrà inizio alle ore 20.30. Già dalle 19.00, però, lo stadio sarà teatro delle esibizioni di alcuni gruppi provenienti da varie Diocesi, espressione di diverse esperienze di pastorale giovanile, e alcune popolari star della musica. Ospitata all'interno delle tre giornate di Giubileo, la serata di festa è organizzata dal Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile della CEI e sarà trasmessa in diretta su Tv2000 e da INBLU Radio.

La Messa con Papa Francesco
Domenica 24 aprile sarà il momento dell’incontro dei ragazzi con Papa Francesco che presiederà alle 10.30 la Messa in piazza San Pietro. La giornata proseguirà poi con la visita alle tende della Misericordia allestite in occasione di questo grande evento. Sette piazze nel centro storico di Roma (Piazza S. Silvestro, Piazza di Spagna, Piazza S. Salvatore in Lauro, Piazza S. Maria in Trastevere, Piazza di S. Maria in Vallicella - Chiesa Nuova, Piazza Pia a Castel Sant’Angelo e la zona della Terrazza del Pincio) ospiteranno da sabato fino a lunedì altrettante tende che racconteranno ai pellegrini e ai cittadini di Roma testimonianze di opere di misericordia spirituale e corporale.

Ospiti delle parrocchie
La maggior parte dei ragazzi che arriveranno a Roma per questo evento giubilare verrà ospitata nelle parrocchie romane. Sono infatti oltre 200 le comunità che, rispondendo all'invito del Servizio per la Pastorale Giovanile della Diocesi di Roma e del Centro Oratori Romani, metteranno a disposizione un alloggio a terra stile GMG. Anche la Polizia metterà a disposizione nei giorni del Giubileo dei ragazzi un caravan nei pressi di Castel Sant’Angelo per formare i giovani ad un uso responsabile di Internet e dei social media.

inizio pagina

Mons. Viganò: muri per i migranti sono la fine della comunità europea

◊  

Un viaggio triste quello del Papa a Lesbo sabato scorso, come lui stesso ha detto in aereo nel viaggio di andata nell’isola greca. La sua vicinanza umana a profughi e migranti,  l’appello all’Unione Europea per politiche di accoglienza e integrazione e non di chiusura.  Una realtà di sofferenza che tuttavia continua a colpire il cuore di Papa Francesco, come racconta mons. Dario Edoardo Viganò, Prefetto della Segreteria per la Comunicazione vaticana, al microfono di Luca Collodi

R. – Sì, è uno stato d’animo molto importante. Il Papa ha vissuto molto intensamente questo viaggio a Lesbo, soprattutto nel campo dei rifugiati. Un campo che era stato sistemato, ovviamente, dalle autorità poche ore prima, per dare un’apparenza di accoglienza. E’ un campo, però, con un doppio muro, con il filo spinato. Questa gente che scappa dalla guerra ha incontrato semplicemente un luogo di contenimento, ma non una speranza. Per esempio, c’è un episodio, forse, che dice bene lo stato d’animo che il Papa ha vissuto e che viene espresso dalle tre famiglie che ha portato a casa, secondo gli accordi con il governo greco, con il governo italiano e con quello della Città del Vaticano. Prima che il Papa salisse sull’aereo per ritornare, queste tre famiglie sono state fatte salire con la loro piccola borsa in aereo - perché lo hanno saputo la sera prima che sarebbero partite -, per capire dove si sarebbero sedute. Hanno visto l’aereo, hanno depositato le loro poche cose e poi sono state invitate a scendere, per risalire poi col Papa. Non volevano più scendere. Perché? Perché avevano paura di essere lasciate giù. Questi rifugiati vivono continuamente in una grande speranza, che giorno dopo giorno cresce, di trovare una situazione di pace. Stanno scappando, infatti, dalla guerra, non dimentichiamolo. Quando il Papa parla dell’odore acre della guerra, si riferisce al fatto che queste persone, molte di queste, hanno avuto la moglie uccisa, sgozzata; il marito ucciso; i figli ammazzati… Scappano, quindi, da una situazione di guerra; cercano una speranza; intravedono questa speranza e poi però sprofondano nuovamente in una delusione. Questo alternarsi della vita, tra una speranza che si costruisce e una delusione profonda che si prova, fa sì appunto che nasca naturale questo atteggiamento: salire su un aereo e non volere scendere. Ecco, il Papa ha vissuto questo. Ha toccato con mano un’umanità disperata due volte: disperata perché fugge dalla guerra e disperata perché di fronte all’Europa non sa trovare una porta aperta, uno spiraglio possibile.

D. – Un altro fronte, quello politico, all’interno degli Stati, per l’accoglienza…

R. -  Ma io credo che se la gestione dei rifugiati è una gestione demagogica per ergere nuovi muri, nuove barriere, è la fine della Comunità Europea. L’Europa, cioè, si definisce come comunità, ma se non c’è questa esperienza di una condivisione, di una condivisione politica e di una condivisione anche delle problematiche che arrivano in Europa, vuol dire che l’Europa è proprio fallita. In fondo, il Papa, giustamente, mesi fa, ha detto: “Dove sono i grandi padri costituenti?” C’è necessità di politici che, nuovamente, ritornino a quei grandi pensieri, anche a quei grandi sogni di una Comunità Europea. Io credo che l’Europa teme… Questi migranti, infatti, vengono in Italia, perché sono le coste più vicine, ma non hanno nessun interesse di stare in Italia: i migranti cercano l’Europa. Molti di quelli che erano a Lesbo avevano pezzi di famiglia già in Austria, in Germania, e così via. Da questo punto di vista, quindi, c’è una paura, che invece dovrebbe essere gestita in maniera europea come una grande risorsa, una grande chance. Come ha detto il Papa, appunto: “Voi non siete un peso, ma siete un dono”. Pensiamo, ad esempio, a quello che emerge sulle pagine dei giornali oggi circa le pensioni. Qui c’è un problema molto grave. La generazione degli anni ’80 andrà in pensione a 75 anni. Perché? Perché c’è un problema di forza-lavoro. Ovviamente questi migranti possono rappresentare davvero una grande chance. Questo, però, vuol dire politiche di integrazione reale, vuol dire politiche di lavoro che abbiano una concretezza. Mi sembra che sia una politica molto tattica, ma poco strategica quella dell’Europa in questo periodo.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

Conflitto dimenticato: all’udienza generale l’appello per l’Ucraina e l’invito a partecipare alla colletta  di domenica prossima

In prima pagina, un editoriale di Alberto Suárez Inda sull'esortazione "Amoris laetitia"

La facoltà di predicare: Enzo Bianchi sulla possibilità di affidare la predicazione ai laici

Il potere incontra il popolo: Emilio Ranzato sul film «Una notte con la regina» di Julian Jarrold e sulla monarchia britannica nel cinema nell’ultimo decennio

Storia di una persecuzione: Jan Mikrut sulla Chiesa cattolica e il comunismo nell’Europa uscita dalla seconda guerra mondiale

La forza delle immagini - Gaetano Vallini sul premio Pulitzer per la fotografia agli scatti che documentano il dramma dei profughi e dei migranti

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



La storia di Celine, fuggita dall'inferno della guerra in Congo

◊  

Sono 325 i migranti giunti in Grecia e riconsegnati alla Turchia in base all’accordo Ue-Ankara sull’immigrazione, mentre sono 103 i rifugiati siriani redistribuiti dai campi turchi nei Paesi dell’Unione. Le cifre sono state fornite oggi dalla Commissione europea. E mentre il commissario Ue all’immigrazione Avramopoulos chiede alla Turchia di garantire la protezione ai rifugiati, l’Austria continua a difendere i controlli al Brennero. Accogliete: è l’appello di chi, un tempo rifugiato, oggi aiuta chi arriva. E’ la storia di Celine, volontaria del Centro Astalli di Roma, dove è giunta 15 anni fa, fuggita dalla guerra nella Repubblica Democratica del Congo. Ascoltiamola al microfono di Francesca Sabatinelli

R. – E’ difficile! La gente deve fermarsi e pensare, pensare veramente. Aprite i vostri cuori e anche le porte, perché non è facile: quando uno viene, sta cercando sicuramente il meglio, altrimenti sarebbe rimasto a casa sua! Ho collaborato con il Centro Astalli, come volontaria, come mediatrice culturale, per dare loro conforto, per aiutarli, perché io – per fortuna! – ce l’ho fatta, ma tanti non ce l’hanno fatta… Lo faccio col cuore, per aiutarli e soprattutto per tranquillizzarli.

D. – Forse è il caso di dire che quando le persone arrivano qui, per loro comincia un’altra forte difficoltà…

R. – Certo! Io personalmente sono venuta che ero laureata: arrivata qui, ho ricominciato da zero! Per una persona che ha studiato, questo non è facile… Da zero e da capo! E la stessa cosa accade anche per loro ed io mi immedesimo in loro. Non è facile ricominciare da capo, con una lingua che non conosci. Io sono passata dal francese all’italiano. Ho ricominciato da zero. Ero incinta, non sapevo una parola di italiano e tra gli esami, gli ambulatori - tutti i santi giorni, essendo incinta – non è stato facile… Non è facile ricominciare da capo per una donna, per un bambino, per un uomo: siamo persone, ma qualche volte siamo considerati cose. E’ difficile! Veramente, non è facile… Poi cerchi di riprenderti e dopo 15 anni devi rimboccarti le maniche, altrimenti non vai più avanti. Dopo 15 anni mi sono ripresa, ho ricominciato una nuova vita… E poi si riparte. Si riparte!

D. – Con il suo Paese d’origine, il Congo, oggi, che rapporto ha?

R. – Normale. Adesso ci posso andare perché ho la cittadinanza italiana: prima non potevo andare, potevo andare in tutti i Paesi tranne che nel mio. Anche quel tasto non è facile: tu vieni qui, ma le radici sono sempre lì. Anche se fuggi dalla guerra, anche se fuggi dalla fame, le radici sono quelle, la cultura è quella, la base è quella. Tu arrivi qui, ricominci, ma non puoi dimenticare da dove sei venuta, qualunque cosa sia. Il mio Paese è sempre in guerra, quest’anno avranno le elezioni e se tutto va bene, potrei anche pensare di tornare. Ma non è facile, perché la situazione non è tranquilla. E poi con una figlia che è nata, che ha tutta un’altra mentalità: io sono tornata con lei, ma dopo una settimana non ce la faceva più tra le armi. E allora la riporti subito qui, perché non è al sicuro. Se fosse sicuro, io – ve lo ripeto!- domani mattina tornerei a casa: io torno a casa! Qui ci sei perché stai meglio: questa è la parola che posso usare. Ringrazio veramente tutte le persone, tutti i volontari che ci aiutano e quelli che non conoscono questa realtà che ci pensino, che facciano qualcosa. Certo, è difficile anche per quelli che accolgono, perché – come ha detto Papa Francesco – ci sentono come un peso, come un costo. E certo non è facile sentirsi anche un costo o un peso per qualcun altro… Ma va bene, piano piano, le persone impareranno anche a conoscerci, perché c’è la paura ed io li capisco. Dopo tanti anni vissuti qui, acquisisci  anche un po’ la mentalità italiana e capisci che non è facile per le persone che vengono, che hanno altre culture. C’è solo da integrarsi, da capirsi da tutte e due le parti.

inizio pagina

Siria. Msf: Ue e Turchia lavorino per la dignità degli sfollati

◊  

Continua il botta e risposta al tavolo dei negoziati di Ginevra sulla pace siriana. La delegazione del governo di Damasco ha dato la propria disponibilità a proseguire le trattative. Una replica alla decisione presa da alcuni rappresentati dell’opposizione di sospendere la partecipazione ai colloqui. Intanto, l’emergenza umanitaria prosegue in gran parte del territorio siriano, come nel distretto di Azaz, a nord del Paese, dove da febbraio la popolazione scappa dai bombardamenti. Daniele Gargagliano ha intervistato Federica Nogarotto di Medici senza frontiere, che coordina le operazioni di uno dei pochi presidi ospedalieri rimasti nell’area: 

R. – Moltissime persone sono state sfollate e hanno dovuto muoversi dalle loro zone di origine proprio perché i combattimenti sono aumentati in modo notevole. In questa zona c’erano pochissimi centri di salute o ospedali – chiamiamoli ospedali – e nelle ultime settimane e negli ultimi giorni sono ancora meno, proprio perché la situazione è sempre più grave. Più di 100 mila persone, in questo momento, sono nel distretto e sono intrappolate tra, da un lato, i combattenti dello Stato islamico, dall’altro dalle forze curde e – dall’altro ancora – dalle forze turche. In una settimana abbiamo visto più di 700 pazienti soltanto al Pronto soccorso, 24 dei quali erano feriti di guerra… Abbiamo avuto anche otto partorienti a partire dal 10 di aprile. Questo solo per farvi capire come i bisogni siano globali e non siano semplicemente legati agli attacchi di questo momento: sono i bisogni di una popolazione che ha bisogno di cure sanitarie.

D. – Quali notizie arrivano dalle altre aeree dove operate voi di Medici senza Frontiere?

R. – Le notizie non sono rincuoranti. Resta una situazione molto, molto complicata, i bombardamenti e gli attacchi continuano… Non possiamo dire che la situazione stia assolutamente migliorando. Molti ospedali e molte strutture sanitarie sono state bombardate e distrutte: il nostro ospedale resta ancora in funzione, con 52 posti letto. Ma resta in funzione soprattutto per le cure di emergenza, perché chiaramente essendo uno dei pochissimi ancora in funzione non si riesce a dare tutto il supporto a tutta la popolazione, come si faceva prima.

D. – La crisi dei negoziati di Ginevra si ripercuote sul vostro lavoro quotidiano in prima linea?

R. – No. Io non posso dire che vediamo delle ripercussioni il giorno dopo il negoziato, sia nei momenti passati, nelle riunioni passate che in questo momento. La ripercussione è che nulla sta cambiando... Non vediamo alcun cambiamento effettivo per la popolazione, che continua ad essere sotto assedio.

D. – Cosa chiede Medici senza Frontiere all’Unione Europea e alla Turchia?

R. – Medici senza Frontiere chiede all’Unione Europea e alla Turchia di lavorare insieme per trovare una soluzione umana a questa emergenza. E’ una delle più grosse emergenze della storia degli ultimi anni. Se Medici senza Frontiere avesse l’opportunità di poter entrare liberamente in Siria e quindi operare liberamente, sarebbe probabilmente il più grosso intervento che Medici senza Frontiere abbia mai fatto e sostenuto nella sua vita. In questo momento non ci è possibile… Stiamo soprattutto chiedendo che l’Unione Europea, assieme alla Turchia, riesca anche a trovare un modo per poter accogliere in modo umano e dignitoso queste persone, che stanno veramente scappando, semplicemente per salvare la propria vita.

D. – Nello specifico, cosa fornite alla popolazione locale nel distretto di Azaz?

R. – Medicinali e altro materiale medico per fare degli esami e per poter riuscire ad arrivare a diagnosi corrette. Di solito, in generale, cerchiamo di appoggiare qualsiasi tipo di infermità e quindi non si tratta – ripeto – soltanto di feriti di guerra. Anzi, in percentuale i nostri feriti di guerra sono una minima parte dei pazienti che riceviamo. C’è tutto il bisogno di supportare – ad esempio – ciò che è inerente alla salute materna e infantile, quindi le donne, i bambini, e quelli appena nati. Ma ci sono anche parecchi problemi di malattie cardiovascolari, di diabete: le tipiche malattie di un Paese che prima non era abituato a questo momento di emergenze… Stiamo parlando veramente di bisogni di salute basilari.

inizio pagina

Yemen, colloqui di pace: situazione umanitaria insostenibile

◊  

I ribelli dello Yemen parteciperanno ai colloqui di pace con il governo previsti per domani, sotto l’egida dell'Onu, in Kuwait. Lo hanno comunicato dopo aver ricevuto rassicurazioni che le violazioni della tregua scattata il 10 aprile scorso cesseranno. Si mira a porre fine ad un anno di conflitto che ha visto il governo, sorretto dalla coalizione saudita, colpire i ribelli sciiti houthi e i loro alleati, mentre il Paese è precipitato in una disastrosa situazione umanitaria. Sui margini di riuscita di questi colloqui sentiamo l’analisi di Giuseppe Dentice ricercatore dell’Ispi, al microfono di Gabriella Ceraso

R. – Sostanzialmente, la situazione rimane quella di qualche mese fa: quindi di uno stallo totale. Tuttavia le parti, quantomeno, si sono messe a parlare, anche se ufficiosamente, attraverso dei portavoce o comunque attraverso la mediazione saudita, che sappiamo che non è un vero e proprio atto di mediazione, ma è quanto meno una volontà di restaurare il governo Hadi, per favorire un ritorno del fronte sunnita ed evitare – allo stesso tempo – che la minaccia iraniana o sciita venga a trovarsi direttamente ai confini di casa.

D. – I ribelli sciiti houthi che fine farebbero?

R. – L’intenzione saudita sarebbe quella di estrometterli dal potere e confinarli nel nord, nord-est del Paese: ma ciò è impraticabile. Necessariamente bisogna trovare comunque un accordo con questa minoranza, pur sempre rilevante all’interno degli schemi politici. Sarà necessario trovare un accordo più ampio e omnicomprensivo con tutte le rappresentanze della società, della cultura, della storia e del Paese stesso. E comunque è impensabile – lo ripeto – poter estromettere totalmente una minoranza così importante com’è politicamente quella degli houthi.

D. - Quindi non solo spazio territoriale, ma anche a spazio a livello di gestione?

R. – Concedere loro il Ministero dell’Interno di un governo di coalizione potrebbe essere una soluzione, ma molto dipenderà, in realtà, dallo schema che vorrà imporre l’Arabia Saudita in questo senso: se l’Arabia Saudita mira a riprendersi totalmente il potere, chiaramente la situazione rimarrà in uno stallo; se l’Arabia Saudita – almeno nominalmente – mirerà ad aprirsi o ad aprire il governo di Hadi ad un governo di unità nazionale, è più plausibile ipotizzare anche una soluzione per il caos yemenita. Sarà dunque un dialogo di pace reale o una linea unilaterale in cui si dice: “Queste sono le condizioni: prendere o lasciare”.

D. – La decisione dei ribelli è stata anche mossa dal fatto che hanno ricevuto delle rassicurazioni sulla realizzazione effettiva del cessate-il-fuoco; la situazione umanitaria – loro reclamano – è gravissima. In tanti aspetti questa vicenda ricorda quanto succede a Ginevra tra le opposizioni e il regime di Assad. In Yemen, ancor di più, la situazione è totalmente dimenticata e veramente la condizione della popolazione pare essere, forse, peggiore…

R. – Sì! Decisamente la situazione yemenita è peggiore sotto tanti punti di vista e anche dal punto di vista geografico lo Yemen è un po’ una sorta di periferia di quel concetto di grande Medio Oriente. Allo stesso tempo, politicamente, è un teatro secondario, in termini di scenari di crisi, rispetto alla Siria, all’Iraq e anche la stessa Libia. Chiaramente la situazione umanitaria ha raggiunto livelli insostenibili e difficilmente anche la Comunità internazionale potrà sostenerla se non con una soluzione pacifica e definitiva. Inoltre chi ha cercato di far parte della tregua è solo una piccola parte delle varie minoranze e come nel caso - che lei giustamente paragonava – della Siria, anche per lo Yemen bisogna vedere quanto pesano realmente queste forze sul terreno. La speranza è solo che questa adesione possa fare da apripista perché altre parti possano poi accordarsi alla tregua, dando ufficialmente il via a veri negoziati di pace.

inizio pagina

Tagle: leader mondiali vadano tra i profughi per aprire i cuori

◊  

Troppo spesso le nostre società fanno finta di non vedere i poveri e i muri fisici sono il riflesso dei muri che abbiamo dentro noi stessi. E’ uno dei passaggi dell’intervento del cardinale Luis Antonio Tagle, che oggi ha parlato al convegno della Caritas italiana in corso a Sacrofano, vicino Roma. Domani, i partecipanti saranno ricevuti dal Papa. Alessandro Guarasci: 

Povertà in aumento, flussi migratori che crescono. Le società occidentali troppo spesso voltano la faccia di fronte alle emergenze di questo secolo. Il cardinale Luis Antonio Tagle, presidente di Caritas Internationalis, invita i leader mondiali a toccare con mano queste sofferenze:

“È un appello a sentire la voce della gente che soffre. E invito i leader ad andare, andare nei campi, toccare le mani delle mamme, sentire l’odore delle famiglie… Forse la realtà è più grande delle idee, delle teorie ideologiche. Così che possano toccare il cuore e la coscienza!”.

Le differenze tra ricchi e poveri stanno aumentando. Le ingenti ricchezze sono concentrate sempre di più in poche mani. Ancora il card. Tagle:

“Noi abbiamo paura di vedere le conseguenze delle nostre decisioni sbagliate, però non vogliamo vedere la verità. E per proteggere noi stessi la risposta è costruire muri, muri del cuore, della mente, ‘interiori’, che diventano anche muri ‘esteriori’”.

In tanti emigrano anche per cercare un lavoro. In Italia, il Sud non riesce a risalire la china. Situazione difficile in Basilicata, nonostante il petrolio, come dice il vescovo di Tricarico, mons. Vincenzo Carmine Orofino:

“È una questione di programmazione che deve prescindere anche dalle estrazioni petrolifere. L’incidenza dell’indotto petrolifero non è stato poi così rilevante: è stato un investimento più o meno a perdere. Ciò che abbiamo messo in campo non ha prodotto un’occupazione rilevante e stabile”.

inizio pagina

Le "Storie intrecciate" di ebrei, cristiani e musulmani

◊  

Differenze profonde, ma anche intrecci e rimandi. Il rapporto tra l'ebraismo, il cristianesimo e l'islam è da secoli un insieme documentato di interazioni - di scontri drammatici ma anche di serena convivenza - che hanno esercitato un grande influsso su ognuna delle tre fedei. E "storie intrecciate" si intitola il volume di Serena Di Nepi che indaga su questi aspetti. Alla presentazione del libro, ieri al Museo ebraico, era presente Patricia Ynestroza: 

Il rapporto tra le tre religioni monoteiste non è stato solo segnato da guerre e conflittualità. Si è trattato anche, soprattutto nel Mediterraneo, di una grande interazione culturale e sociale nella quale le influenze e le contaminazioni reciproche sono state tanto inevitabili quanto feconde. Ricordarlo e ripercorrere quegli intrecci complessi è tanto più importante in una fase storica — come quella attuale - in cui quelle stesse conflittualità risorgono, provocando nelle aree più fondamentaliste odio e intolleranza. "Storie intrecciate" è il titolo del volume curato da Serena Di Nepi. Abbiamo intervistato l’autrice e le abbiamo chiesto il perché della creazione di questo libro e la scelta del titolo:

R. - Il libro nasce all’interno di un progetto di ricerca che si proponeva di studiare le vie dell’intreccio, al di là della guerra santa e della crociata. Quindi, “Storie intrecciate”, perché descrive appunto storie che sono separate, che si svolgono all’interno di una contrapposizione militare, politica e religiosa, ma che nonostante questo si intrecciano e vivono in contemporanea e continuamente interagendo l’una con l’altra, come furono quelle delle relazioni tra cristiani, ebrei e musulmani in età moderna.

D. – Come possiamo, oggigiorno, imparare da queste contaminazioni culturali che però hanno aiutato, hanno creato un rapporto fecondo?

R. – Da studiosi possiamo augurarci che una fase difficilissima, come quella che stiamo vivendo, di ricostruzione, di contrapposizioni identitarie, sia come quella di epoche in cui sembrava che i muri fossero insuperabili e invece poi venivano superati.

Il presidente della Comunità ebraica, Ruth Dureghello, ci parla in primo luogo dell'importanza di questo libro nell’ambito della grande interazione culturale e sociale tra le tre religioni:

R. – E’ un testo importante, perché è un testo che va ad approfondire un percorso di dialogo che non nasce di recente, ma che ha delle profonde tradizioni storiche. In un’epoca in cui dilagava la guerra santa, c’era anche chi si sedeva intorno al tavolo, cercando di trovare soluzioni e strade comuni nell’ambito delle tre religioni monoteistiche. Un insegnamento particolare, un approfondimento storico culturale di particolare rilievo, ma soprattutto un messaggio, un segnale molto importante, e cioè che la volontà di fare la pace, di trovare messaggi e valori condivisi, può prevalere su chi invece vuole creare la guerra o situazioni di difficoltà. Su questo noi ovviamente insistiamo sempre.

D. – E oggi in che modo si fa fecondo questo rapporto con tutte le contaminazioni che possono esserci, per evitare l’odio, la violenza nelle aree fondamentali?

R. – Oggi, i percorsi sono tanti. Ci sono tavoli permanenti, di ragionamento e di dialogo, che con il mondo cristiano si sono consolidati ovviamente negli ultimi anni, dopo la Nostra Aetate. Cinquanta anni, ovviamente, di un percorso unico. Con il mondo musulmano è un pochino più complicato, perché le realtà musulmane sono ancora troppo frammentate per trovare una strada univoca. Come avete visto, però, oggi qua è rappresentato il mondo del Coreis, che riteniamo un punto di riferimento importante. Anche nel mondo musulmano si possono trovare nuovi e diversi interlocutori, per continuare a portare questo messaggio. Per quanto riguarda le situazioni di difficoltà del mondo che ci circonda, la consapevolezza che siamo tutti in pericolo – ebrei, cristiani, musulmani, indù, bantù o chicchessia – deve essere il punto di partenza, altrimenti sarà sempre un problema di qualcun altro.

Alla domanda sulle influenze e contaminazioni che ci sono state e ci sono oggi giorno nei rapporti tra le tre religioni, e come hanno creato un rapporto più fecondo, ci hanno risposto anche il Rabbino capo, Riccardo Di Segni, il segretario generale della Comunità religiosa islamica IlhamAllah, Chiara Ferrero, e il professore ordinario del dipartimento di filosofia, comunicazione e spettacolo Università di Roma Tre, Roberto Morozzo della Rocca:

R. – (Riccardo Di Segni) I mondi religiosi, che apparentemente sono stati in conflitto e in opposizione anche forte, in realtà hanno assimilato l’uno dall’altro e si sono copiati vicendevolmente, senza ammetterlo. Questo è successo in qualsiasi luogo dove c’è stata la convivenza. Quindi, ci sono questioni che sono passate da una parte all’altra, in una continua circolazione, dal punto di vista artistico – la musica – nelle forme liturgiche, nell’architettura. In tante cose c’è stato uno scambio. 

R. – (Chiara Ferrero) Sì, sicuramente tutta questa storia porta con sé un bagaglio di cultura che ogni tradizione, confessione religiosa deve riuscire a tenere vivo. Fa parte infatti del dna di ogni religione la vitalità culturale, spirituale e anche il dialogo, la convivenza con gli altri popoli. Forse, quindi, si è troppo cercato di creare dei mondi a sé stanti, quando invece i mondi sono sempre stati molto più uniti di quello che si pensava. Oggi, serve proprio ricordare, non soltanto la storia, ma fare in modo che lo stesso mondo islamico capisca e riconosca che ci sono sempre state minoranze sia ebraiche che cristiane nel mondo islamico e che erano tutelate. Questo va, comunque, portato avanti all’interno della dottrina islamica.

R. – (Roberto Morozzo della Rocca)  Noi parliamo di un’epoca in cui c’erano sulla riva nord una serie di Stati cristiani e sulla riva sud l’Impero Ottomano. Questo è l’oggetto del libro. Il libro dimostra che c’erano queste contaminazioni – scambi, mobilità di persone, oggetti che venivano venduti, comprati… – insieme alla paura, essendoci anche scontri militari. Oltre alle guerre, quindi, sante o meno sante, c’erano anche tanti contatti, tanti scambi culturali e materiali. Questo è significativo. Si poteva convivere, insomma.

D. – Può servire per il nostro oggi?

R. – Il nostro oggi è piuttosto diverso, perché è un oggi molto mescolato. E’ curioso, oggi i musulmani crescono di numero nella riva nord del Mediterraneo, mentre i cristiani stanno emigrando dai Paesi che una volta erano parte dell’Impero Ottomano. In entrambi i casi, però, in entrambe le sponde, c’è oggi una coabitazione da migliorare o da salvare, malgrado i fondamentalismi che ci possono essere da una parte e dall’altra.

inizio pagina

Cinema. Le anime graffiate di Zanussi in "Corpo estraneo"

◊  

Uscirà finalmente in sala il 5 maggio "Corpo estraneo", l'ultimo film di Krzysztof Zanussi. Il regista polacco lo ha presentato ieri sera a Lecce, ricevendo l'Ulivo d'Oro alla carriera, che gli è stato assegnato dal Festival del Cinema Europeo. Il servizio di Luca Pellegrini

Angelo e Kasia credono in Dio. Questo non significa per loro mettersi in sicurezza da una vita costellata di fatti traboccanti dolore. Si amano e si desiderano. Ma lei decide di tornare in Polonia per iniziare il noviziato, nella prospettiva di emettere i voti, e lui la segue a Varsavia per non dar tregua alla sua passione. In “Corpo estraneo”, come è il titolo del drammatico ultimo film di Krzysztof Zanussi, l'estraneità riguarda il rapporto con se stessi e il proprio stare nel mezzo di una società dedita più al business e all'eros, che alla ricerca di Dio, come ben si adegua a questi imperativi Krystyna, che regge la sede di una multinazionale in modo spietato e diventa la respingente tentazione di Angelo, tuffatosi in quel vortice di affari e cinismo che insieme lo attira e lo distrugge. Il futuro è più incerto che mai, per Zanussi, che questa volta aggredisce l'ambiente del lavoro e delle multinazionali con inconsueta durezza. Opponendosi a una mentalità manichea che annacqua, svilisce, confonde. Il regista polacco precisa ai nostri microfoni:

R. – Credo che abbiamo vissuto un lungo periodo in cui la tendenza naturale era quella di mostrare tutto in maniera mite: il male non era male, il bene non era buono. Ma il mondo senza contrasti è un mondo che non ha più le certezze, i valori che mi sembrano assoluti. Così sono stato tentato, anche forse contro la mia stessa tendenza naturale, di andare al contrasto come alla sua epoca, direi forse senza grande modestia, Shakespeare: non aveva problemi a mostrare Lady Macbeth, un personaggio assolutamente cattivo!

D. – Maestro, il film affronta anche il problema dell’etica del lavoro oggi…

R. – Queste multinazionali sono per noi sono una novità. Una novità che significa anche, per tutta la nuova classe media che sta emergendo, una speranza. Io arrivo con un film che dice invece: “Guardate questa speranza è avvelenata! Potrete arricchirvi, ma potrete anche perdere l’anima!”. E questo nel momento in cui tutto è così intenso e così nuovo: mi hanno chiamato “antimodernista”, perché questo è moderno, la grande società è moderna, vivere senza famiglia è una modernità. Per me è una scoperta falsa della modernità!

D. – Maestro, il film - in qualche modo - parla anche di trasgressione…

R. – Sì...

D. – Che cos’è per lei la trasgressione in questo film?

R. – La trasgressione oggi è considerata una virtù e questo nella vita comune e soprattutto nell’arte. Se qualcosa è trasgressivo vuol dire che è progressista, che è buono, che è il futuro. Io dico essere veramente una autodistruzione.

D. – Il male viene punito in questo film o no?

R. – Questa sofferenza non è senza speranza. Io credo nelle ultime parole della mia protagonista femminile, che dice “Speravo che tu potessi convertirmi!” e questo vuol dire che lo spera: ciascuno che può sempre essere convertito. Questa è la porta aperta fino all’ultimo soffio e questa è la nostra speranza cristiana.

D. – La battuta, invece, finale di Angelo dice: “Forse ero troppo sicuro della mia fede!”…

R. – Questa è una trappola ben conosciuta, anche da molti mistici, da molti santi. Si sente che l’eccesso della certezza e della sicurezza rende la religiosità morta. Questa è una ricerca dinamica e permanente, questo è lo sforzo spirituale permanente. Non possiamo essere soddisfatti, non possiamo essere placati, calmi, perché Dio non si ritrova: noi siamo il processo della ricerca e dell’incontro. Se c’è l’incontro, sparisce la mattina: io sono profondamente credente la sera e già la mattina ho dei nuovi dubbi. Questo è un processo naturale, per fortuna, e leggendo Sant’Agostino ho ritrovato che non sono solo.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Caritas Nepal: aiutati 1,2 milioni di terremotati

◊  

 A un anno dal sisma che il 25 aprile 2015 ha sconvolto il Nepal, seguito da quello del 12 maggio d'intensità altrettanto forte, sono circa 2,8 milioni (oltre il 10% della popolazione) le persone che necessitano ancora di aiuti umanitari nella nazione, affermano le Nazioni Unite. Le vittime del terremoto - riporta l'agenzia Fides - furono quasi 9 mila e 22mila i feriti, 500mila le abitazioni distrutte e molte le infrastrutture danneggiate.

Un quarto dei nepalesi vive al di sotto della soglia di povertà
Il Nepal è una repubblica federale dal 2008, dopo la monarchia e dieci anni di guerra civile che si è conclusa nel 2006. La Carta costituzionale è stata approvata solo sette mesi fa, mentre il 25% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà.

Nel corso dell'anno attivissima la Caritas nepalese
Protagonisti della ricostruzione sono numerose associazioni attive da tempo in Nepal, alcune di carattere internazionale come la Caritas, altre locali. Caritas Nepal, grazie all’aiuto della rete di Caritas Internationalis, ha investito 36,4 milioni di euro in tre anni per aiutare i sopravvissuti al terremoto, puntando soprattutto a fornire abitazioni di buona qualità. Nel corso dell'ultimo anno la Caritas ha aiutato oltre 1,2 milioni di persone in Nepal e nel periodo immediatamente successivo al terremoto, ha consegnato aiuti di emergenza per oltre 70.000 famiglie, per un totale di 700mila persone, operando in 15 distretti colpiti. La Caritas ha investito nella riparazione di quasi 400 scuole, ha dato sovvenzioni per aiutare le persone a riavviare le loro attività, ha offerto supporto medico

Evento Caritas a Kathmandu per esaminare sfide e strategie future
Padre Silas Bogati, direttore esecutivo di Caritas Nepal, osserva in una nota pervenuta a Fides: "Abbiamo reagito rapidamente al disastro. Ora aiutiamo a plasmare un futuro a fianco dei nostri fratelli e sorelle nepalesi. Costruiamo case antisismiche così la gente si sente al sicuro, aiutiamo i bambini ad andare a scuola, alle famiglie forniamo acqua e sementi, per ripristinare condizioni di vita dignitose". Nell'anniversario del sisma, la Caritas terrà un evento di tre giorni a Kathmandu 25-28 aprile, in cui esaminerà le sfide e e le strategie future, con la partecipazione del presidente di Caritas Internationalis, il card. Luis Antonio Tagle. (P.A.)

inizio pagina

Vescovi Usa: legge di tutela per obiezione di coscienza

◊  

La Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb) si è unita ad altre venticinque organizzazioni pro-life, religiose e sanitarie che hanno inviato una lettera alla Camera dei rappresentanti chiedendo l’approvazione della Legge sulla tutela della libertà di coscienza (Hr 4828). I firmatari includono dieci gruppi di medici che, in rappresentanza di migliaia di operatori sanitari, si oppongono all’aborto e richiedono un’adeguata protezione giuridica per porsi al servizio dei pazienti in buona coscienza.
 
Tutelare la scelta di chi non vuole essere coinvolto in pratiche abortive
“Le leggi federali che tutelano l’obiezione di coscienza all’aborto – si legge nella missiva – sono state approvate decenni fa da Congressi e Presidenti di entrambi gli schieramenti politici”. “Anche molti americani ‘pro-choice’, ovvero a favore della scelta autonoma della donna sulla vita del nascituro, si rendono conto che la logica della loro posizione impone il rispetto della scelta di non essere coinvolti nella pratica abortiva”. Nonostante ciò, continuano i firmatari, “è sempre più chiaro che le leggi attuali offrono una protezione molto più in teoria che in pratica”.
 
Il caso dell’infermiera Cathy De Carlo
La legge in questione – specifica ancora la missiva - permette diverse ‘scappatoie’ dalle leggi federali vigenti le quali, invece, consentono la continua violazione del diritto alla libertà di coscienza. I firmatari ricordano, poi, il caso di Cathy De Carlo, infermiera costretta ad assistere ad un aborto praticato alla 22.ma settimana di gestazione.
 
Un passo avanti per gli americani
Infine, la lettera congiunta sottolinea che la normativa, una volta approvata, “rappresenterebbe un enorme passo avanti, perché garantirebbe agli americani che si pongono al servizio dei malati e dei bisognosi la possibilità di portare avanti il loro compito senza essere costretti dal governo a violare le loro convinzioni più profonde sul rispetto della vita umana innocente”. (I.P.)

inizio pagina

Usa. Assassinato sacerdote: aiutava carcerati e disoccupati

◊  

Padre Rene Wayne Robert, sacerdote della diocesi di Saint Augustine in Florida, 71 anni, scomparso dalla scorsa settimana, è stato trovato morto in Georgia, lunedì scorso, secondo quanto comunica la polizia in un rapporto ufficiale, di cui è pervenuta notizia all’agenzia Fides.

Ancora da definire la causa della morte
"Il corpo del sacerdote Rene Wayne Robert è stato trovato a Waynesboro, dopo che l'uomo arrestato mentre era alla guida dell'auto del sacerdote, ha portato la polizia in quel luogo” ha detto in conferenza stampa lo sceriffo della contea di St. Johns, David Shoar. Gli investigatori pensano che padre Robert sia stato ucciso il 10 aprile, l'ultima sera in cui era stato visto. La causa della morte è ancora da definire, ma per Shoar "è ovvio che è stato vittima di violenza omicida". Shoar conosceva padre Robert e lo ha definito "un caro amico per tutti".

Ha mantenuto sempre uno stile di vita semplice e povero
Padre Robert Rene Wayne lavorava nella pastorale delle carceri dal 1980, quando arrivò nella zona di St. Augustine insieme ad altri frati francescani. Quando diversi anni dopo i francescani furono chiamati altrove, padre Robert scelse di rimanere per non lasciare l’assistenza ai carcerati. Nel 1995 quindi fu incardinato nella diocesi di St. Augustin e proseguì il suo impegno a favore degli emarginati e di quanto sono privati dei diritti civili, mantenendo sempre uno stile di vita semplice e povero.

Padre Robert ha condiviso la sua vita con poveri, emarginati e carcerati
Il presunto omicida, Steven Jaimes Murray, 28 anni, è stato arrestato dalla polizia ad Aiken, in South Carolina, dopo un rocambolesco inseguimento, mentre era alla guida dell’auto del sacerdote, su cui trasportava diverse armi da fuoco, probabilmente rubate. Era stato appena rilasciato dalla prigione Duval County in seguito ad un arresto precedente. A quanto risulta Murray aveva incontrato il sacerdote per chiedergli dei soldi, molti sapevano infatti dell'aiuto che padre Robert offriva agli ex-detenuti e ai senza lavoro.Secondo il comunicato inviato alla Fides dalla diocesi di Saint Augustine, padre Robert “era un umile e generoso servo del Signore, e ha condiviso i suoi molti doni con i poveri, la comunità dei sordi, i carcerati. Sarà ricordato per la sua bontà e il suo amore senza fine per loro”. (C.E.)

inizio pagina

Caritas Filippine: governo blocca i fondi per gli agricoltori

◊  

La situazione degli agricoltori colpiti dalla siccità nel sud delle Filippine “rimane tragica. È in corso una distribuzione di riso ma è ancora molto lenta. C’è tensione tra la gente e ancora non piove, quindi non si vede la fine della siccità”. Lo racconta padre Peter Geremia, missionario del Pime nella diocesi Kidapawan, che aggiunge: “In più zone dell’Arakan Valley, a nord della città, i contadini poveri, soprattutto tribali lumad, hanno esaurito tutte le scorte di cibo e sono costretti a mangiare i topi che trovano nei campi”.

La polizia ha aperto il fuoco contro gli agricoltori che manifestavano
Nei giorni scorsi - riferisce l'agenzia AsiaNews - il sacerdote si è recato nel carcere di Kidapawan per fare visita a circa 80 persone arrestate dalla polizia dopo le violenze del primo aprile scorso. Dopo giorni di proteste e manifestazioni promosse da circa 6mila contadini che chiedevano al governo un intervento più deciso contro la siccità provocata da El Niño, i reparti della polizia in tenuta anti-sommossa hanno aperto il fuoco sui manifestanti. Il bilancio complessivo è di due vittime e decine di feriti.

Autorità hanno minacciato di portare in tribunale il vescovo metodista di Kidapawan
“Gli agenti – racconta padre Geremia – hanno fermato quelli che non potevano scappare. C’erano donne incinte, anziani, persone che erano lì solo per curiosità e anche alcuni che aiutavano gli operatori sanitari. I feriti che non sono riusciti a fuggire sono stati portati in ospedale e poi in carcere”. In seguito, il governo della provincia di Cotabato ha minacciato di portare in tribunale il vescovo metodista di Kidapawan, accusato di nascondere nella sua chiesa alcuni agricoltori sfuggiti agli scontri. In tribunale gli avvocati difensori hanno chiesto il ritiro delle accuse, affermando che gli arresti sono illegali e compiuti senza chiare prove. “La settimana prossima – afferma padre Geremia – ci sarà la sentenza, ma nel frattempo tutti i prigionieri sono stati rilasciati su cauzione, grazie a collette raccolte dalla comunità”.

Interrogazioni al Senato su ordine di sparare e responsabili dell'emergenza siccità
Le uccisioni del primo aprile hanno lasciato un lungo strascico nel dibattito pubblico: “In questi giorni – spiega il missionario – è in corso un’interrogazione in Senato volta a capire chi sono i responsabili dell’emergenza siccità, visto che era annunciata già dall’anno scorso. Inoltre si cerca chi abbia dato l’ordine alla polizia di sparare sulla folla, una cosa che non era mai accaduta prima qua”. La situazione già precaria dei contadini è resa ancora più difficile dalla lentezza del governo a portare aiuti. Il Dipartimento del welfare sociale aveva dichiarato la disponibilità di 8 miliardi di pesos (circa 150 milioni di euro) da devolvere in programmi di assistenza per le famiglie colpite da El Niño, ma i soldi tardano ad arrivare a destinazione.

Oggi Caritas Filippine ha accusato in modo diretto il governo
Non si capisce perché il governo non abbia ancora sbloccato i fondi raccolti in favore dei contadini – ha detto padre Edwin Gariguez, segretario esecutivo della Caritas – per contrastare la siccità causata da El Niño. Perché ci mette così tanto? Il tempismo è essenziale in queste situazioni. Abbiamo già visto abbastanza spargimenti di sangue a Kidapawan causati dall’inattività dei politici”. (R.P.)

inizio pagina

Libertà di stampa nel mondo: è regressione globale

◊  

La regressione della libertà di stampa è un fenomeno globale. In molti Stati le autorità temono che “il dibattito pubblico sia troppo aperto”. E’ quanto emerge dalla classifica annuale elaborata da Reporter Senza Frontiere sulla libertà di stampa nel mondo che prende in esame 180 Paesi.

Gli Stati del nord Europa dominano la classifica
E’ la Finlandia che vince la medaglia del Paese più virtuoso. Seguono Olanda e Norvegia. Per la prima volta l'Africa mostra una situazione migliore rispetto all'America. In particolare gli Stati Uniti (al 41.mo posto) risentono degli effetti della cyber-security. La zona dell'Africa del Nord e del Medio Oriente resta comunque la regione del mondo in cui i giornalisti sono “più sottoposti a pressioni di ogni sorta”. La Tunisia, che ha guadagnato 30 posizioni, mostra “un consolidamento degli effetti positivi della rivoluzione”.

L’Unione Europea è l’area in cui si registra la maggiore tutela dei giornalisti 
L’Italia scende dal 73.mo al 77.mo posto. Nel rapporto si sottolinea anche che in alcuni Stati in guerra – tra cui Iraq, Libia e Yemen - esercitare il giornalismo è “un atto di coraggio”. In America Latina, "la violenza istituzionale (ad esempio in Venezuela e in Ecuador), quella del crimine organizzato (come in Honduras), l’impunità (ad esempio in Colombia), la corruzione (come in Brasile), e la concentrazione dei media (come in Argentina) costituiscono, secondo Reporter Senza Frontiere, i principali ostacoli per la libertà di stampa. Gli ultimi posti della classifica sono occupati da Vietnam, Cina, Siria, Turkmenistan, Corea del Nord ed Eritrea. (A.L.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 111

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.