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Sommario del 21/04/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco alla Caritas: siate per i poveri la carezza della Chiesa

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Non stancatevi di essere la carezza misericordiosa del Signore, “attraverso la mano della sua Chiesa”. E’ l’esortazione rivolta da Papa Francesco ai partecipanti al Convegno della Caritas delle diocesi italiane che si sono riunite in questi giorni a Sacrofano, vicino Roma. Dal Pontefice anche un appello a cercare di rimuovere le cause della povertà per prevenire l’emarginazione. Il servizio di Alessandro Gisotti

“I poveri sono la proposta forte che Dio fa alla nostra Chiesa, affinché essa cresca nell’amore e nella fedeltà”. Papa Francesco ha riassunto così il significato più autentico del servizio che ogni giorno contraddistingue l’impegno delle Caritas delle diocesi italiane.

Il povero ha bisogno della carezza misericordiosa del Signore
Il Papa ha innanzitutto rammentato che nel povero noi scorgiamo la presenza di Cristo. Dunque, bisogna “rispondere sempre meglio al Signore che ci viene incontro nei volti e nelle storie delle sorelle e dei fratelli più bisognosi”:

“Egli sta alla porta del nostro cuore, delle nostre comunità, e attende che qualcuno risponda al suo ‘bussare’ discreto e insistente: aspetta la carità, cioè la ‘carezza’ misericordiosa del Signore, attraverso la ‘mano’ della sua Chiesa. Una carezza che esprime la tenerezza, la vicinanza del Padre”.

La vostra misericordia, ha proseguito rivolgendosi agli operatori della Caritas, sia “concreta e competente”, “personale ma anche comunitaria; credibile in forza di una coerenza che è testimonianza evangelica” ma anche “aperta a tutti, premurosa nell’invitare i piccoli e i poveri del mondo a prendere parte attiva nella comunità”.

La Caritas stimoli tutta la comunità a farsi vicina ai poveri
Francesco ha ribadito che la famiglia è la culla della carità ed ha esortato a superare “la tentazione della solidarietà corta ed episodica” scegliendo di offrire “le risorse della propria quotidiana disponibilità”. Quindi, ha messo l’accento su quello che dovrebbe essere “l’obiettivo principale” dell’agire della Caritas:

“Essere stimolo e anima perché la comunità tutta cresca nella carità e sappia trovare strade sempre nuove per farsi vicina ai più poveri, capace di leggere e affrontare le situazioni che opprimono milioni di fratelli - in Italia, in Europa, nel mondo”.

Serve approccio solidale verso i migranti, favorire l’integrazione
Non poteva mancare qui un riferimento agli immigrati per i quali il Papa chiede uno sforzo di “prossimità”. Se infatti, il fenomeno delle migrazioni presenta oggi “aspetti critici”, ha osservato, “rimane pur sempre una ricchezza e una risorsa, sotto diversi punti di vista”:

“E’ dunque prezioso il vostro lavoro che, accanto all’approccio solidale, tende a privilegiare scelte che favoriscano sempre più l’integrazione tra popolazioni straniere e cittadini, offrendo agli operatori di base strumenti culturali e professionali adeguati alla complessità del fenomeno e alle sue peculiarità”.

Rimuovere le cause della povertà, prevenire l’emarginazione
La Caritas italiana, ha detto ancora, non si stanchi di “promuovere, con tenace e paziente perseveranza, comunità che abbiano la passione per il dialogo” e di non solo affrontare i problemi, ma individuare anche le cause:

“Sia sempre vostro vanto la volontà di risalire alle cause delle povertà, per cercare di rimuoverle: lo sforzo di prevenire l’emarginazione; di incidere sui meccanismi che generano ingiustizia; di operare contro ogni struttura di peccato”.

Infine Francesco ha chiesto alle istituzioni di impegnarsi a promuovere “un’adeguata legislazione, in favore del bene comune e a tutela delle fasce più deboli”.

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Responsabili Caritas: la Parola di Dio mette gli ultimi al centro

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Dopo tre giorni di Convegno nazionale, i rappresentanti della Caritas italiana sono stati ricevuti dal Papa. Ascoltiamo alcune loro testimonianze a partire da quella di Isacco Rinaldi, direttore della Caritas di Reggio Emilia-Guastalla, intervistato da Michele Raviart: 

R. - Quando ci troviamo di fronte ad un povero dobbiamo avere la forza di avere ancora il mal di stomaco, di commuoverci e di rimettere in discussione un po’ il nostro stile di vita e di Chiesa. Penso che questo sia un po' il tarlo con il quale rientriamo nelle nostre diocesi: far sì che i poveri ritornino al centro della pastorale delle nostre chiese.

D. - Che cosa significa essere al servizio degli ultimi, dei poveri, in una realtà come quella di Reggio Emilia?

R. – Vuol dire provare a camminare insieme alla comunità parrocchiale creando, più che altro, delle opportunità di relazioni vere con chi vive nella marginalità.

D. – Don Nicola De Blasio, direttore della Caritas di Benevento, che cosa è emerso da questi tre giorni di convegno della Caritas?

R. – Abbiamo cercato di ribadire il nostro essere Chiesa, il nostro essere segno per gli altri, un segno di contraddizione che dovrebbe poi spingere la grande politica a fare delle scelte che vadano sulle persone e non sulle grandi questioni che dimenticano invece poi la singola persona che muore, che soffre, che ha fame, che non ha casa. Quindi, con il nostro servizio cerchiamo di ricordare loro qual è lo scopo principale della politica.

D. – Nino Mana della Caritas di Fossano: quanto è importante per voi l’incontro con il Papa?

R. – La Caritas guarda al Papa come ad un faro. Ci dà sovente delle indicazioni per il nostro operare, in particolare ha stimolato ciascuna comunità, ciascuna Caritas locale, a mettere nel giusto posto, nel giusto rilievo gli immigrati - che possono essere motivo di grazia – la loro accoglienza nelle nostre comunità e per ripartire dai poveri, per costruire la carità e anche per correggere un po' la mentalità formata nei confronti di questa gente che è fatta di pregiudizio, di condanna a priori, di paura.

D. – Don Pino Straface della Caritas di Rossano, quali sono le difficoltà nell’accoglienza?

R. – Purtroppo viviamo in una società in cui l’integrazione non è molto sentita, per cui una delle obiezioni che spesso ci rivolgono è che come Caritas aiutiamo di più gli stranieri, accogliamo di più quelli che vengono da fuori e non ci occupiamo della gente del posto, cosa ovviamente non vera, però – purtroppo – ci sono ancora dei pregiudizi che bisogna smontare.

D. – Si possono superare queste difficoltà mettendo al centro il messaggio cristiano …

R. – Certamente, a partire dalla Parola di Dio e poi passare dalla "cultura dello scarto" – come la chiama Papa Francesco -, la cultura dell’accoglienza e dell’integrazione e mettere i poveri veramente al centro delle comunità ecclesiali.

D. – Don Paolo Catinello, della Caritas di Noto che comprende anche il porto di Pozzallo, qual è stato per voi il significato del viaggio del Papa a Lesbo?

R. – Lesbo rappresenta sicuramente una tappa fondamentale dal punto di vista motivazionale, perché non nasconde la fatica dell’accoglienza ma soprattutto dell’integrazione. Il Papa con questo segno molto forte ci dice quel è la strada, il sentiero da percorrere.

D. – Cosa significa per voi accogliere e integrare?

R. – È la grande sfida di un popolo che non si chiude dentro delle mura, ma che si apre all’accoglienza perché le differenze non ci impoveriscono ma ci arricchiscono e ci fanno riscoprire ancora meglio la nostra fede.

D. – Il Papa ha ricordato l’importanza del volontariato per i giovani. Che significa per te Gianluca?

R. – Per me significa entrare in relazione con ogni persona che mi trovo davanti, nella fattispecie gli ultimi, parlare e interagire con loro, mettendosi davvero a nudo e condividendo emozioni, pensieri, quindi sentendo ciò che sentono gli altri, facendo in modo che a loro volta possano sentire quello che sento io.

D. – E per te Francesco?

R. – Di solito c’è molta diffidenza. La gente dice: “Le cose vanno male… “, e si siedono sugli allori. Secondo me il cittadino deve essere un cittadino attivo: tutti dobbiamo fare qualcosa di più. Io mi sento di restituire un po’ di quello che ho ricevuto, in primis come cristiano. Purtroppo ho visto che negli ultimi anni è aumentata la percentuale di italiani che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese.

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Papa: fare memoria delle cose belle di Dio nella nostra vita

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Il cristiano faccia sempre “memoria” dei modi e delle circostanze in cui Dio si è fatto presente nella sua vita, perché questo rafforza il cammino della fede. È il pensiero centrale di Papa Francesco all’omelia della Messa del mattino celebrata in Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis

La fede è un cammino che, mentre si compie, deve fare memoria costante di ciò che è stato. Delle “cose belle” che Dio ha compiuto lungo il percorso e anche degli ostacoli, dei rifiuti, perché Dio, assicura il Papa, “cammina con noi e non si spaventa delle nostre cattiverie”.

Fare memoria di Dio che salva
Francesco torna su un tema già toccato, suggeritogli dal brano della Prima lettura, nel quale Paolo entra di sabato nella sinagoga ad Antiochia e comincia ad annunciare il Vangelo partendo dai primordi del popolo eletto, passando per Abramo e Mosè, l’Egitto e la Terra promessa, fino ad arrivare a Gesù. È una “predicazione storica” quella che adottano i discepoli ed è fondamentale – sottolinea il Papa – perché consente di ricordare i momenti salienti, i segni della presenza di Dio nella vita dell’uomo:

“Tornare indietro per vedere come Dio ci ha salvato, percorrere - con il cuore e con la mente - la strada con la memoria e così arrivare a Gesù. E’ lo stesso Gesù, nel momento più grande della sua vita - Giovedì e Venerdì, nella Cena - ci ha dato il suo Corpo e il suo Sangue e ha detto: ‘Fate questo in memoria di me’. In memoria di Gesù. Avere memoria di come Dio ci ha salvato”.

“Il Signore rispetta”
La Chiesa chiama appunto “memoriale” il Sacramento dell’Eucaristia, così come, rammenta il Papa, nella Bibbia quello del Deuteronomio è “il Libro della memoria di Israele”. Anche noi, afferma Francesco, “dobbiamo fare lo stesso” nella “nostra vita personale”, perché “ognuno di noi ha fatto una strada, accompagnato da Dio, vicino a Dio” o “allontanandosi dal Signore”:

“Fa bene al cuore cristiano fare memoria della mia strada, della propria strada: come il Signore mi ha condotto fino a qui, come mi ha portato per mano. E le volte che io ho detto al Signore: ‘No! Allontanati! Non voglio!’. Il Signore rispetta. E’ rispettoso! Ma fare memoria, essere memori della propria vita e del proprio cammino. Riprendere questo e farlo spesso. ‘In quel tempo Dio mi ha dato questa grazia ed io ho risposto così, ho fatto questo, quello, quello… Mi ha accompagnato…’. E così arriviamo a un nuovo incontro, all’incontro della gratitudine”.

Memoria delle cose belle
E dal cuore, prosegue il Papa, deve nascere una “grazie” a Gesù, che non smette mai di camminare “nella nostra storia”. “Quante volte – riconosce Francesco – gli abbiamo chiuso la porta in faccia, quante volte abbiamo fatto finta di non vederlo, di non credere che Lui fosse con noi. Quante volte abbiamo rinnegato la sua salvezza… Ma Lui era lì”:

“La memoria ci avvicina a Dio. La memoria di quell’opera che Dio ha fatto in noi, in questa ri-creazione, in questa ri-generazione, che ci porta oltre l’antico splendore che aveva Adamo nella prima creazione. Io vi consiglio questo, semplicemente: fate memoria! Com’è stata la mia vita, come è stata la mia giornata oggi o come è stato questo ultimo anno? Memoria. Come sono stati i miei rapporti col Signore. Memoria delle cose belle, grandi che il Signore ha fatto nella vita di ciascuno di noi”.

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Auguri del Papa per la Pasqua ebraica: crescere sempre di più nell'amicizia

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Papa Francesco ha espresso “i più sentiti auguri” alla comunità ebraica di Roma per la festa di Pesach che inizia domani sera e prosegue fino a sabato 30 aprile. In un messaggio al Rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, il Papa ricorda “con rinnovata gratitudine” l’incontro del 17 gennaio scorso, quando è stato “cordialmente accolto” nella Sinagoga della capitale.

La Pasqua ebraica – sottolinea Francesco – “ricorda che l’Onnipotente ha liberato il suo amato popolo dalla schiavitù e lo ha condotto alla Terra promessa. Egli vi accompagni anche oggi con l’abbondanza delle sue benedizioni, protegga la vostra Comunità e, nella sua misericordia, doni a ciascuno la pace”.

“Vi chiedo di pregare per me - conclude il Papa - mentre assicuro la mia preghiera per voi: l’Altissimo ci conceda di poter crescere sempre di più nell’amicizia”.

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Il grazie del Papa ai giovani argentini al Polo Nord con la Laudato si'

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Papa Francesco ha inviato una lettera a un gruppo di giovani argentini e sudamericani in missione al Polo Nord. I ragazzi portano con sé una copia dell’Encíclica Laudato si’, un ramo di ulivo, simbolo di pace, e la bandiera di Scholas Occurrentes, la rete mondiale di scuole - nata per ispirazione dell’allora arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio - che ha promosso la spedizione. Si tratta di “un messaggio di speranza” - scrive il Papa - per la salvaguardia del creato,

Francesco si dice “convinto che il problema è grave e che iniziative” come questa contribuiscono “a prendere coscienza del degrado ambientale, dell’esaurimento delle riserve naturali, dell'inquinamento e anche della distribuzione gravemente iniqua delle ricchezze”.

Questo viaggio – sottolinea il Papa – “mostra che con amore, impegno e lavorando insieme, è possibile trasformare i vecchi muri in ponti”. Quindi, ringrazia i giovani della spedizione per aver portato “il grido della Laudato si’ nel gelo polare”: “Grazie per il vostro coraggio e il vostro impegno nel dimostrare che tutto è possibile”. Infine, chiede di pregare per lui dal Polo Nord.

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Lettera del Papa a Chiara Amirante: gioia per approvazione Statuti

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Papa Francesco ha scritto una lettera a Chiara Amirante, in cui esprime la propria gioia per l’approvazione degli Statuti dell’Associazione “Nuovi Orizzonti”. Il breve messaggio, datato 29 marzo, è stato inviato in risposta ad una lettera della fondatrice di questa comunità ecclesiale.  Il Pontefice chiede al Signore Risorto di aiutare i membri di “Nuovi Orizzonti” a “trasformare i buoni propositi in concrete opere di carità e di saper vigilare sempre” contro quelli che Chiara Amirante chiama “i virus mortali dell’accomodamento e della tiepidezza, per portare frutti più abbondanti e per permettere alla luce della Risurrezione di Cristo di illuminare il mondo”.

Nella sua lettera, la fondatrice di “Nuovi Orizzonti” esprime al Papa la sua gratitudine per l’approvazione definitiva degli Statuti e “per il suo richiamarci con tanta forza ed efficacia alla misericordia, alla gioia, alla radicalità evangelica”.

“Cantiamo il magnificat con il cuore ricolmo di commozione e di gratitudine per l’Opera che Dio ha suscitato negli ‘inferi’ del popolo della notte – afferma Chiara Amirante - e per i tantissimi miracoli che ci ha donato di contemplare in questi anni. Questo nuovo sigillo di santa Madre Chiesa – conclude - oltre ad essere un grande regalo per tutti noi ci fa sentire ancora di più la responsabilità di inabissarci nella profondità degli inferi di tanti fratelli per portare la Gioia di Cristo Risorto, vivere con radicalità la nostra vocazione di ‘Piccoli della Gioia’ perché questo carisma che lo Spirito Santo ha suscitato possa portare frutti sempre più abbandonati e il Fuoco del Suo Amore possa illuminare e riscaldare le notti di molti”.

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Papa nomina mons. Vari nuovo arcivescovo di Gaeta

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l'Economia, il nunzio apostolico negli Stati Uniti, l’arcivescovo Christophe Pierre, l’arcivescovo mons. Léon Kalenga Badikebele, nunzio apostolico in El Salvador e in Belize, osservatore extraregionale della Santa Sede presso il Sistema dell' Integrazione Centroamericana, e mons. Guglielmo Borghetti, coadiutore di Albenga-Imperia (Italia).

In Italia, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Gaeta, presentata da mons. Fabio Bernardo D’Onorio, dell’Ordine benedettino. Al suo posto, il Pontefice ha nominato mons. Luigi Vari, del clero della diocesi di Velletri-Segni, finora vicario episcopale per la pastorale e parroco della parrocchia di Santa Maria maggiore, in Valmontone. Il neo presule è nato a Segni il 2 marzo 1957. Ha conseguito la Maturità classica nel 1975 ed è stato alunno del Pontificio Collegio Leoniano di Anagni, ottenendo, a conclusione del ciclo istituzionale, il Baccalaureato in Teologia.  È stato ordinato Sacerdote per la diocesi di Velletri-Segni, il 13 settembre 1980. Mons. Vari ha perfezionato i suoi studi teologici a Roma, ospite del Pontificio Seminario Francese, conseguendo la Licenza in Scienze Bibliche, presso il Pontificio Istituto Biblico. Rientrato in diocesi nel 1983, ha iniziato a svolgere il ministero come Viceparroco della parrocchia di Santa Maria in Trivio; nel 1987 è stato nominato Assistente dell’Azione Cattolica diocesana e Assistente Regionale per il Lazio dell’Azione Cattolica settore giovani. Nel 1991 è stato nominato Parroco della parrocchia di Santa Maria Maggiore di Valmontone, dove attualmente continua a svolgere il suo servizio. Nel 1998/1999 ha frequentato i corsi di dottorato in teologia alla Pontificia Università San Tommaso d’Aquino di Roma, dove nel 2010 ha difeso la tesi: “Come gli occhi della serva alla mano della padrona. Prospettive per una lettura narrativa della Bibbia: Lc 6, 36-50”, ottenendo il titolo di Dottore in Teologia con il massimo dei voti. È apprezzato e ricercato conferenziere. L’8 febbraio 2003 è stato nominato Cappellano di Sua Santità. Tra i vari incarichi svolti: Insegnante di Religione Cattolica dal 1983 al 1991; Direttore dell’Ufficio Scuola e Responsabile degli Insegnanti di Religione Cattolica dal 2006 al 2008; Membro del Consiglio Presbiterale dal 1983; Docente del Pontificio Collegio Leoniano di Anagni dal 1985; dal 1991 è Membro del Collegio dei Consultori. Dal 1995 è Vicario Episcopale per la Pastorale; dal 1999 al 2002 è stato Docente di Nuovo Testamento presso l’Istituto Apollinare della Pontificia Università della Santa Croce. Dal 2002 è Professore straordinario dell’Istituto Teologico Leoniano, aggregato alla Pontificia Facoltà Teologica “Teresianum” e dal 2010 è Direttore dell’Istituto Teologico Leoniano di Anagni. È autore di numerose pubblicazioni di carattere biblico, storico e vocazionale.

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Papa, tweet: cambiamenti clima chiedono risposta solidale

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “I cambiamenti climatici costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità, e la risposta richiede la solidarietà di tutti”.

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Urbanczyk: garantire minoranze, no a indottrinamento scolastico

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In un momento in cui forze negative minacciano la pacifica coesistenza in diverse regioni del mondo, si deve fare il possibile per educare le persone, soprattutto i giovani, ad essere promotori di tolleranza e di non discriminazione. Così mons. Janusz Urbanczyk, Osservatore permanente della Santa Sede all’Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) si è rivolto all’Assemblea in occasione del 20.mo anniversario delle raccomandazioni dell’Aja sul diritto all’istruzione delle minoranze nazionali. Francesca Sabatinelli: 

E’ un richiamo all’importanza dell’identità religiosa delle minoranze nazionali quello della Santa Sede, e non per motivi “puramente partigiani” spiega mons. Urbanczyk, né tantomeno perché disinteressata ad altri aspetti, ma perché è la religione che, così come già fatto nel passato, continua a lasciare, un segno “nella storia, nell’identità, nella cultura e nella vita sociale delle società e comunità”. Nel suo intervento, l’Osservatore della Santa Sede sottolinea con vigore che l’istruzione, soprattutto quella scolastica, è fondamentale nella “promozione della tolleranza religiosa e della non discriminazione perché affronta le radici del fenomeno”. Sta alle scuole, quindi, facilitare il rapporto tra studenti di religioni diverse, ma soprattutto sta alle scuole spiegare le diverse religioni e permettere agli studenti di “manifestare ed esprimere chiaramente e apertamente” il loro credo. La conoscenza dell’altrui religione “può ridurre dannosi  incomprensioni e stereotipi”.

I programmi scolastici di ogni tipo di istruzione, da quella militare a quella pubblica, dovrebbero promuovere una maggiore conoscenza, nonché rispetto, per le diverse culture, etnie e religioni; educare al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, e basarsi su valori supremi quali la “dignità di ogni persona e la solidarietà tra persone”.

Urbanczyk sollecita tutti gli Stati membri dell’Osce a “rispettare il diritto dei genitori a garantire l’educazione religiosa e morale dei figli in conformità alle proprie convinzioni”, così come sancito sia dalla Convenzione internazionale sui diritti umani, che dagli impegni Osce. Tale diritto parentale, precisa poi l’Osservatore, oltre a prevedere “il diritto dei genitori a scegliere le scuole dei loro figli, diverse da quelle stabilite dalle autorità pubbliche”, implica anche l’impegno degli Stati a garantire che “l'istruzione nelle scuole pubbliche non persegua uno scopo di indottrinamento” e ad assicurare che gli studenti non siano costretti a frequentare lezioni “incompatibili con le convinzioni dei loro genitori”.

E’ questa la risposta agli Stati dell’Osce che forniscono, o intendono fornire, nelle scuole pubbliche “corsi obbligatori su temi etici o religiosi”. Per quanto ciò possa essere apprezzato – ritiene mons. Urbanczyk – si deve tenere presente che gli Stati “non possono perseguire un scopo di indottrinamento” – ripete - ma  devono garantire vie alternative che non siano punitive e discriminatorie.

Nella visione della Chiesa cattolica, le persone di qualsiasi razza, nazione, religione, sesso o età, in virtù della loro dignità di esseri umani, hanno il diritto inalienabile  a una istruzione adatta al loro destino, che dovrebbe tendere a favorire relazioni fraterne affinché si costruiscano stabili società multietniche e si promuovano vera unità e pace tra i Paesi della regione Osce.

I bambini ei giovani formati da una istruzione orientata al  rispetto delle minoranze nazionali e religiose di oggi, saranno i mattoni su cui costruire le società di domani. La Santa Sede quindi è fiduciosa che attraverso l’impegno dell’Osce e gli sforzi del suo Alto Commissario per le minoranze nazionali,  tutti gli Stati membri compiranno progressi nell’assicurarsi che le minoranze nazionali possano godere di una formazione di qualità, che sarà uno strumento utile nella prevenzione dei conflitti e nel preservare la pace e la sicurezza regionali.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Per i poveri: con le Caritas delle diocesi italiane il Papa ribadisce l'importanza del volontariato.

Quanto la quotidianità diventa epica: Elena Buia Rutt su Miguel de Cervantes a quattrocento anni dalla morte.

Amato da milioni di lettori: Marina Beer sull'"Orlando furioso" la cui prima edizione veniva pubblicata a Ferrara il 22 aprile 1516.

Per dare ali al pensiero: Cristiana Dobner sull'alleanza tra filosofia e teologia.

Tra eros e agape: il vescovo Franco Giulio Brambilla, vicepresidente della Conferenza episcopale italiana, sul centro di gravità di "Amoris laetitia".

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Oggi in Primo Piano



Oim: per i sopravvissuti, 500 vittime nel naufragio a largo Libia

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In Lussemburgo, mentre si attende l’accordo sulle guardie di frontiera europee, i Paesi dell’Ue si mostrano divisi sulla gestione esterna del fenomeno migratorio. Se, da una parte, Italia e Germania ritengono che l’accordo con la Turchia possa essere ripetuto anche con altri Paesi, così non la pensa la presidenza di turno olandese, per la quale gli altri Paesi dell’area non sono paragonabili alla Turchia. Il governo italiano continua intanto ad incassare giudizi favorevoli sul migration compact. Di oggi una lettera a Renzi del presidente della Commissione Ue, Juncker. E ancora non è chiaro cosa realmente sia accaduto nel Mediterraneo, all’imbarcazione rovesciatasi al largo della Libia con un bilancio, secondo i sopravvissuti, di almeno 500 vittime. Federico Piana ha intervistato Flavio Di Giacomo, dell’Oim, Organizzazione internazionale per le migrazioni: 

R. – Noi abbiamo parlato con i migranti che si trovano a Calamata ed hanno raccontato di questa storia. Hanno detto di essere partiti dalla Libia, da Tobruk, che è vicino al confine con l’Egitto, per raggiungere una nave madre e probabilmente partire dall’Egitto… In tutto, tra la nave madre e le navi partite dalla Libia, più o meno, erano 500: la nave si è ribaltata e soltanto poche persone sono riuscite a salvarsi, restando alla deriva per un giorno e mezzo. In questo momento abbiamo la testimonianza che conferma l’accaduto. E’ vero che 500 morti in mare sono tanti, in una zona navigata da tantissimi imbarcazioni militari e non: quindi ci aspettiamo che qualche corpo, prima o poi, sia recuperato. Non credo che possano andare completamente dispersi così tanti corpi in quel tratto di mare…

D. – C’è concordanza delle testimonianze?

R. – Le testimonianze concordano sui fatti essenzialmente. In questo momento le stiamo analizzando per poterne poi verificare la veridicità e soprattutto la coerenza di tutto quanto il racconto.

D. – Si torna a parlare anche di Lesbo: dopo la visita del Papa, sbarchi e sgomberi; trafficanti in azione e polizia addirittura con le ruspe. Il Papa è andato lì e ha chiesto solidarietà, ha chiesto amore per queste persone e invece si arriva addirittura ad usare le ruspe…

R. – E’ molto preoccupante quello che sta succedendo, da questo punto di vista. Sappiamo che in Grecia ci sono circa 50 mila migranti, che sono entrati negli scorsi mesi e che non sono più riusciti ad uscire dal Paese. Parlare di migranti economici e di migranti richiedenti asilo basandosi soltanto sulla nazionalità è un grande sbaglio!

D. – Perché è uno sbaglio?

R. – La richiesta di asilo si fonda su base prettamente individuale. Quindi siamo piuttosto scettici sulla definizione di “Paesi sicuri”, perché – appunto – secondo la Convinzione di Ginevra e il Protocollo del ’67, la persecuzione può essere anche individuale. Quindi la richiesta d’asilo – una volta presentata dal migrante – deve essere esaminata a prescindere dalla nazionalità del migrante stesso. Non bisogna cadere nella trappola e pensare che tutti i migranti che vengono da un determinato Paesi siano economici, perché questo può essere non vero. Quindi bisogna esaminare la domanda individualmente.

D. – Che giudizio si può dare sul piano italiano per la gestione dei migranti, il “Migration compact”?

R. – Il “Migration Compact” è un documento che stiamo ancora studiando. E’ un buon documento, pare, perché diciamo che apre le porte a quello che noi stiamo sostenendo da tempo.

D. – Quali sono i punti che le piacciono, che piacciano all’Oim?

R. – I punti che ci piacciano dell’“Migration Compact” è anzitutto quello del cominciare a prevedere una politica a lungo termine per la gestione del fenomeno migratorio e soprattutto prevedere tutta una serie di interventi e non soltanto un intervento; che includano anche interventi nei Paesi di origine, per la crescita di questi Paese di origine; l’apertura di canali di entrata non soltanto per persone che hanno diritto alla protezione internazionale. Questo andrebbe fatto e subito! E’ necessario anche cominciare a combattere i trafficanti e la migrazione irregolare, aprendo proprio canali regolari anche per coloro che vengono a trovare lavoro e che poi, di fatto, lo trovano in Italia, in Europa, anche se in modo irregolare. Quindi esiste chiaramente – come dicevo prima – dal punto di vista demografico, una necessità economica di accogliere migranti, però bisogna dare anche opportunità legali a questi migranti per poter arrivare in Italia: se sono chiuse tutte le porte è chiaro che poi si affideranno ai trafficanti.

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Terremoto in Ecuador: sale bilancio vittime, è emergenza bambini

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In Ecuador continua ad aggravarsi il bilancio del terremoto che sabato scorso ha duramente colpito la zona costiera del nordovest: almeno 570 i morti, 5.700 i feriti e 20mila i senzatetto. Il presidente Rafael Correa ha annunciato l'aumento di due punti dell'Iva e l'introduzione di una tassa sugli utili quale contributo per la ricostruzione: i danni materiali si calcolano in 3 miliardi di dollari. Migliaia le persone impegnate nei soccorsi, tra queste anche la Ong “SOS villaggi dei bambini” che dal 1964 opera nell’area a sostegno dell’infanzia. Valentina Onori ha intervistato la responsabile della comunicazione Elena Cranchi: 

R. – Purtroppo abbiamo poche informazioni perché ci sono gravi danni alle telecomunicazioni; quindi ultimamente mettersi in contatto con loro diventa difficile, non solo chiamando da rete fissa, ma anche da cellulare. Fino ad oggi, avevamo più di 6.000 persone sostenute nel Paese. La vera emergenza, in questo momento, così come era accaduto in Nepal, sono i bambini e i ragazzi soli. Il grande lavoro da fare è quello di riuscire a trovare le famiglie e fare quello che noi facciamo sempre: operare il ricongiungimento familiare. Ora li stiamo mettendo in protezione e stiamo cercando di dare loro le cose che in questo momento sono necessarie: coperte, acqua, cibo… C’è tutta una serie di beni che sono veramente necessari.

D. – Anche le vostre strutture sono state colpite dal terremoto…

R. – Noi abbiamo sei villaggi e alcuni di questi erano effettivamente nella zona dell’epicentro del terremoto. Il villaggio di Esmeraldas, ad esempio, era stato immediatamente evacuato perché si paventava lo tsunami, allarme che poi fortunatamente è rientrato, e i bambini e i ragazzi quindi, dapprima evacuati, stanno ora ritornando nel villaggio. Nel villaggio di Portoviejo, ad esempio, mancano acqua, cibo e energia elettrica. Quindi, acqua, cibo, medicine, energia elettrica e coperte sono in questo momento le cose che mancano di più nei nostri villaggi, ma ovviamente mancano e sono necessari per la popolazione colpita. Non abbiamo vittime fortunatamente, tutti i bambini e i ragazzi sono illesi, così come tutti i nostri educatori.

D. – Quanto è importante che i media continuino a seguire questa grave emergenza?

R. – Come sempre accade quando ci sono calamità naturali di questa portata, il problema è il dopo. Noi lavoriamo nel breve periodo, ma continuando a portare avanti dei progetti. Stiamo ricostruendo scuole, stiamo continuando a proteggere i bambini rimasti soli. Per tenere alta l’attenzione quello che possiamo continuare a fare è mandare aggiornamenti a tutta la stampa sperando che trovino uno spazio. Noi continuiamo ad essere presenti lì e a non abbandonare chi è in difficoltà; però, se nessuno racconta che c’è gente in difficoltà, diventa poi difficile anche per chi ascolta fare una donazione.

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Obama a Paesi Golfo: compatti contro Is. Fabbri, linea non cambia

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Una rinnovata spinta nella campagna contro il sedicente Stato islamico (Is), con un maggiore coinvolgimento politico e finanziario. È l’obiettivo della missione del presidente statunitense, Barack Obama, che da stamani a Ryad sta incontrando i leader dei Paesi del Golfo. Il summit, che giunge a un anno dall’analoga riunione a Camp David, riunisce Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Oman e Bahrein. Per il capo della Casa Bianca, si tratta anche di un’occasione per affrontare le preoccupazioni regionali per l'apertura di Washington verso l'Iran, ma in primo piano rimane la lotta al Califfato e la ricostruzione delle città riprese all'Is. Al riguardo, è possibile coinvolgere maggiormente le monarchie del Golfo? Risponde Dario Fabbri, analista della testata di geopolitica “Limes”, intervistato da Giada Aquilino

R. – E’ possibile, ma non sarà il coinvolgimento che si aspettano gli Stati Uniti. Ormai, da tempo lo Stato islamico è considerato soprattutto dall’Arabia Saudita, in questo senso, una minaccia, mentre qualche anno fa era invece semplicemente uno strumento utile per rovesciare al Assad e il regime siriano. Adesso, anche l’Arabia Saudita e altre petro-monarchie considerano l’Is una minaccia. Ma tra considerarlo un elemento negativo e affrontarlo realmente da un punto di vista militare ce ne passa. Tutto sommato, l’atteggiamento nei confronti dello Stato islamico da parte di questi Paesi resterà lo stesso degli ultimi tempi: cercare di contenerlo in Siria, senza sconfiggerlo del tutto perché, appunto, potrebbe ritornare utile sia contro il regime di Damasco sia contro quello, sempre sciita, di Baghdad.

D. – Come è possibile rassicurare gli alleati sunniti – come appunto Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi, Kuwait, Oman, Qatar – che non vedono di buon occhio le aperture statunitensi agli sciiti iraniani?

R. – Non c’è modo di rassicurarli. Ci si può provare, ma l’approccio americano al Medio Oriente è questo e non cambierà neanche in un prossimo futuro, checché ne sperino anzitutto i sauditi che attendono con trepidazione l’elezione soprattutto di Hillary Clinton, mentre temono quella di Trump. Anche se non dipende dai presidenti, in realtà: l’approccio americano resterà questo e sarà un approccio che, di fatto, è un tentativo di equilibrio con le principali potenze della regione – Turchia, Arabia Saudita, Israele e anche Iran – e non muterà.

D. – Sul piatto cosa c’è? Interessi petroliferi, margini per nuovi spazi di azione?

R. – C’è il tentativo da parte americana di mantenere, comunque, buoni rapporti con l’Arabia Saudita. Ciò che è cambiato è che, se prima gli Stati Uniti, fino a 10 anni fa, avevano un approccio quasi esclusivamente pro-sunnita nella regione, passando dalla Turchia – che non è un Paese arabo, ma comunque sunnita – fino all’Arabia Saudita e altre "petro-monarchie", adesso gli Stati Uniti guardano anche dall’altra parte. Dobbiamo calcolare che l’Arabia Saudita, Ryad, dipende dagli Stati Uniti e quindi non ha un grande margine di manovra da un punto di vista dell’ombrello difensivo e militare: l’Arabia Saudita non è in grado di difendersi da sé.

D. – Come leggere allora le polemiche che sono riemerse nelle ultime ore riguardo a notizie che vedrebbero un coinvolgimento dei sauditi nei finanziamenti a Osama Bin Laden, responsabile degli attentati dell’11 settembre?

R. – Bisogna leggerle proprio in questo cambiamento di approccio statunitense. Sono un fatto molto importante, perché provengono dal Congresso, dal parlamento americano: il parlamento americano è l’istituzione più importante del Paese, nettamente più importante anche del presidente, ma è anche quello che, anche per interessi personali dei vari parlamenti, è sempre stato più legato all’Arabia Saudita. Evidentemente, questa forma di minaccia di scoperchiare legami tra l’Arabia Saudita e gli attentatori dell’11 settembre rappresenta una vera e propria svolta, che ci porta verso il proseguimento di questo approccio distaccato da parte americana nei confronti delle petro-monarchie. Un approccio che porta verso un equilibrio di “potenza” nella regione e vede l’Arabia Saudita come uno dei Paesi più importanti, ma non più – insieme ad Israele – interlocutore principale della superpotenza.

D. – Un’altra tappa della trasferta di Obama sarà il vertice informale di lunedì in Germania su terrorismo e immigrazione. Su cosa si punterà? Si è letto di sforzi congiunti, maggiore condivisione delle informazioni…

R. – Sicuramente, si discuterà di questo. C’è margine per aumentare la cooperazione da un punto di vista dell’intelligence. Diverso è il discorso dei migranti, che Washington ritiene semplicemente un problema europeo ed è un approccio che non sarà risolto nel vertice dei prossimi giorni, ma che resterà così. Detto in poche parole: possiamo aiutarvi sul terrorismo, ma i migranti restano affare vostro e dovete riuscire ad affrontare la minaccia senza spaccare, senza disintegrare l’Unione Europea. Cosa che invece è ciò che sta puntualmente accadendo.

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I medici e il dolore: presentato un Manifesto d'impegno

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Il tema del dolore da semplice problema sanitario deve diventare una vera e propria questione etica mondiale: lo sostengono i medici italiani che ieri hanno consegnato a Papa Francesco, durante l’udienza del mercoledì, e all’assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, un Decalogo con cui si impegnano a prendersi carico della sofferenza della persona malata. Alla presentazione alla stampa del manifesto c’era per noi Adriana Masotti

Dal 2010 c’è una legge in Italia che garantisce al malato l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore. Si tratta di una legge all'avanguardia, indicata come modello di eccellenza dalla Commissione Europea, eppure ancora fortemente disattesa con alti costi per chi continua a soffrire e per la collettività, basti pensare ai tanti giorni di forzata assenza dal lavoro. Da qui l’impegno rinnovato dei medici, come spiega il prof. Massimo Aglietta, ordinario di oncologia medica presso l’Università degli studi di Torino:

R. – Perché la legge ha dato gli strumenti, però l’applicazione non è stata omogenea in tutte le Regioni; e anche lì dove è stata molto spinta l’applicazione di questa legge, ci sono ancora delle resistenze culturali nei medici, ma non solo in loro, anche nella popolazione, negli operatori: c’è il timore che usare certi farmaci sia molto peggio che sopportare il dolore. E invece bisogna imparare ad usare i farmaci che tolgono il dolore, perché il dolore è una malattia: ti cambia, ti fa star male e ti rende meno accettabili anche alcuni tipi di terapie che fai, come nel nostro caso nell’oncologia o in altre cose. Ed è un danno alla dignità umana, io credo.

D. – Voi parlate di “dolore inutile”: che cosa significa?

R. – L’unica utilità che ha il dolore è quella di essere in molti casi un campanello d’allarme di qualcosa che non va. Ma quando hai capito che c’è qualcosa che non va, e ne hai scoperto la causa, mentre cerchi di curarla – non sempre si riesce, ma spesso si può – è inutile mantenere il dolore; e se non riesci a curare la causa, almeno eviti il dolore. Per esempio in oncologia, io vedo troppe persone che soffrono, che hanno dolore e sofferenze importanti, che sono curati con terapie assolutamente inadeguate, date senza nessun particolare interesse per il paziente: curare il dolore è l’atto medico che richiede la maggiore attenzione alla persona.

Principale sostenitore della legge 38 è stato il prof. Guido Fanelli ordinario di Anestesia e rianimazione dell’Ospedale di Parma. Ma che cosa prevede esattamente questa normativa? Ancora il prof. Aglietta:

R. – In sintesi mette a disposizione dei medici italiani praticamente tutti i farmaci contro il dolore; facilita molto l’accesso agli oppiacei. La legge c’è, usiamola.

Ma oggi la medicina dispone di farmaci efficaci per tutti i tipi di dolore? Praticamente sì, è la risposta del prof. Aglietta. Uno dei motivi di diffidenza da parte dell’opinione pubblica nei confronti degli oppiacei, dei medicinali a base di oppiacei, è che il loro uso possa creare una dipendenza. Un timore giustificato?

R. – No, se gli oppiacei si usano per il dolore, non si crea una dipendenza perché questi servono per combattere il dolore. E quindi, nel momento in cui la causa del dolore scompare, con una sospensione graduale del farmaco non c’è la dipendenza psichica, che è quella che è fondamentale per mantenere la dipendenza. Quindi il paziente ritorna tranquillamente alla sua vita.

E’ un vero impegno perché l’accesso per tutti alla cura del dolore divenga una priorità, quello che i medici e gli operatori sanitari si prendono aderendo al decalogo presentato oggi: sentiamo il prof. Antonio Corcione, direttore Anestesia e Rianimazione dell’ospedale Monaldi di Napoli:

R. – Spesso capita che i pazienti che soffrono non abbiano la giusta attenzione. Ecco, noi invece vogliamo dedicare al paziente la giusta attenzione, e quindi curare il dolore subito. Abbiamo la possibilità di farlo e soprattutto di evitare tutti i problemi quando un dolore acuto può trasformarsi in un dolore cronico.

D. – È un impegno che, secondo voi, ha ancora bisogno di essere sottolineato, anche presso la vostra categoria?

R. – Purtroppo deve essere sottolineato, perché è un problema culturale quello che va affrontato, e in maniera unitaria. Quindi, non è possibile con un piccolo gruppo di persone, ma c’è bisogno di un esercito forte. E più persone siamo più riusciremo a sconfiggere questo problema, che purtroppo è ancora fortemente presente in tutto il mondo.

D. – Anche se la normativa in Italia è sufficiente…

R. – Italia è l’unico Paese in Europa che ha una normativa su questo. Eppure, non si riesce a portare a termine un risultato, perché – ripeto – è un problema culturale.

D. – Quindi il dolore viene spesso sottovalutato, soprattutto quando è un anziano che si lamenta…

R. – Sì, è un dolore che viene sottovalutato e che soprattutto non viene affrontato subito. Noi abbiamo le armi per poter far fronte a questo problema e l’obbligo di affrontarlo immediatamente.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria. Patriarca Laham: non dimenticare i due vescovi sequestrati

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La comunità cristiana in Siria “non ha dimenticato” i suoi vescovi, perché “ogni volta che si tiene una preghiera comune si parla di loro, si pensa a loro”. Nei giorni scorsi “si è tenuta una celebrazione a Beirut” e lo stesso avverrà oggi “nella sede del patriarcato greco-ortodosso”, sempre nella capitale libanese. È quanto afferma all'agenzia AsiaNews il patriarca melchita Gregorio III Laham, commentando i tre anni trascorsi dal sequestro di mons. Yohanna Ibrahim e mons. Boulos Yaziji ad Aleppo, nel nord della Siria. Dal 22 aprile 2013 non si hanno notizie dei due prelati della chiesa siro-ortodosso e greco-ortodossa, la cui sorte resta avvolta nel mistero più fitto. Un sequestro “anomalo”, cui non sono seguite rivendicazioni né trattative concrete per ottenere il loro rilascio. Un duro colpo a queste Chiese d’Oriente, da sempre simbolo del dialogo interreligioso, di arricchimento spirituale e intellettuale per la regione. 

I due vescovi stavano trattando il rilascio di due sacerdoti rapiti
Mons. Yohanna Ibrahim, vescovo della diocesi siro-ortodosso di Aleppo e mons. Boulos Yaziji, arcivescovo della diocesi greco-ortodossa della città, sono stati rapiti poco prima delle 6 del pomeriggio nella località di Kafr Dael, a circa 10 km da Aleppo. Secondo alcuni testimoni i due prelati stavano trattando il rilascio di due sacerdoti padre Michel Kayyal (armeno-cattolico) e padre Maher Mahfouz (greco-ortodosso), sequestrati nel febbraio dello stesso anno. Giunti a un posto di blocco delle milizie ribelli, l'auto con a bordo i due vescovi è stata affiancata da alcuni uomini armati, forse jihadisti ceceni, che hanno sparato contro il veicolo, uccidendo l'autista diacono e sequestrando i prelati.

Incontro di preghiera il 19 aprile a Beirut
Per questo la Chiesa siro-ortodossa e la Chiesa greco-ortodossa hanno organizzato un incontro di preghiera intitolato “Noi non dimentichiamo”, che si è tenuto il 19 aprile scorso a Beirut con l’obiettivo di mantenere vivo il loro ricordo. Alla funzione hanno partecipato personalità politiche e religiose di Libano e Medio oriente. Fra questi Habib Ephrem, presidente della Lega siriaca ha affermato che “questo sequestro non interessa a nessuno”. Ancor più duro l’ex ministro Faycal Karamé, secondo cui il rapimento è “un atto premeditato”, un “messaggio” ai cristiani per dir loro di “lasciare la regione” e dietro il quale vi sarebbe “la mano di Israele” anche se gli autori materiali sarebbero gruppi estremisti musulmani. 

Patriarca Laham: serve un’alleanza universale per la pace
Interpellato da AsiaNews Gregorio III, siriano, patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente, conferma che è “impossibile” avere “notizie certe”. Da sempre critico per l’intervento delle potenze occidentali (e regionali) prima in Iraq e poi in Siria, che hanno esacerbato il conflitto, Gregorio III auspica che “il mondo si interessi a questa vicenda, che si occupi della crisi siriana, del dramma dei fedeli e del suo popolo nel complesso”. Questa ricorrenza, conclude, “spero possa essere occasione per lanciare un appello di pace. Serve un’alleanza universale per la pace, non statunitense, araba, russa. Ci vuole la buona volontà per far avanzare i colloqui e trovare un punto comune. Invece c’è chi attacca, vuole il caos, per alimentare il supermercato del denaro, degli interessi, delle armi… Con la guerra qualcuno ci guadagna!”. (R.P.)

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India-Pakistan: pellegrinaggio di pace per l’unità fra i due popoli

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Questo pellegrinaggio per noi “è molto significativo e fruttuoso. È stata una grande gioia essere accolti in modo così caloroso dall’arcivescovo di Delhi. C’è una grande fratellanza e comunione che lega i nostri popoli”. Con queste parole - riferisce l'agenzia AsiaNews - mons. Sebastian Francis Shaw, arcivescovo di Lahore, ha espresso la sua contentezza per il pellegrinaggio compiuto in India insieme a 16 sacerdoti della sua diocesi, per pregare per la pace e la riconciliazione fra Pakistan e India. L’arcivescovo ha sottolineato il valore di questo gesto compiuto nello spirito del Giubileo della misericordia, motore di una nuova cultura di pace e armonia.

Gesti di pace della Chiesa tra India e Pakistan
I pellegrini sono partiti da Lahore il 18 aprile scorso e dopo 13 ore di pullman sono arrivati a Delhi, dove sono stati accolti da una delegazione guidata dall’arcivescovo della città, mons. Anil Couto. Padre Joe Kalathil, coordinatore della missione di pace Pakistan-India, è andato incontro ai nuovi venuti posando una ghirlanda di fiori su ciascuno. Padre Kalathil lavora da anni con bambini provenienti da diverse scuole, sia indiane sia pakistane, per promuovere una cultura di pace. Centinaia di studenti di entrambe le nazioni si sono scambiati lettere di amicizia.

Le due Chiese hanno condiviso la fede e le sfide della missione
Oggi i pellegrini sono ripartiti per il Pakistan. “Abbiamo accolto con calore l’arcivescovo di Lahore – afferma mons. Couto –, insieme abbiamo discusso della storia della Chiesa di Lahore e della Chiesa di Delhi. La nostra madre comune un tempo era Agra (città dell’Uttar Pradesh, sede di una delle più antiche arcidiocesi dell’India) ma dopo l’indipendenza dell’India nel 1947 (anno in cui il Pakistan si è staccato da Delhi) le cose sono cambiate. Con il passare degli anni – continua l’arcivescovo di Delhi – le Chiese sono cresciute, si sono sviluppate e hanno preso un nuovo corso. Con mons. Shaw abbiamo condiviso le gioie della nostra fede e le sfide della missione”.

Il pellegrinaggio acquista più valore in questo Anno della Misericordia
​“Dalla generosità con cui siamo stati ricevuti in tutti i luoghi storici che abbiamo visitato – riprende l’arcivescovo di Lahore – è chiaro che c’è una cultura che ci unisce, che c’è tanto rispetto reciproco che condurrà all’armonia sociale e alla pace”. “In questo Giubileo della misericordia – conclude mons. Shaw – il nostro pellegrinaggio in India acquista ancor più significato. Il Padre, che è misericordioso con noi, ci invita ad esserlo con gli altri. È una chiamata alla nuova cultura della misericordia”. (N.C.)

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Pakistan. Coniugi cristiani linciati: processo entra nel vivo

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Non sarà facile ottenere giustizia per la morte dei due coniugi cristiani Shahzad Masih e Shama Bibi, linciati e arsi vivi nel novembre 2014 da una folla di musulmani a Kasur, per presunta blasfemia. Lo dice all'agenzia Fides l’avvocato cristiano Sardar Mushtaq Gill, impegnato come legale di parte offesa, rappresentando il fratello di Shahzad, che ha presentato la denuncia.

Gli arrestati hanno lanciato minacce contro i testimoni
Mentre Yousaf Gujjar. il maggiore imputato, ha ottenuto la libertà su cauzione, il processo entra nel vivo: gli avvocati hanno interrogato dei testimoni dell'accusa, che confermano il linciaggio. “Il confronto giudiziario è molto duro” spiega a Fides l’avvocato Gill. “Gli arrestati hanno anche lanciato minacce verso dei testimoni, per intimidirli, perfino nell’aula giudiziaria” racconta. Alcuni sono pentiti: “Durante gli interrogatori, ho sentito personalmente il dolore, hanno versato lacrime” osserva Gill.

Per la difesa degli imputati 24 avvocati: dalla parte dell'accusa solo 3
Dalla parte della difesa degli imputati ci sono 24 avvocati, affiancati da altri collaboratori, mentre dal lato dell’accusa (i familiari dei coniugi uccisi) ce ne sono solo 3. Secondo le disposizioni del Tribunale anti-terrorismo davanti al quale si tiene il processo, 106 uomini sono stati arrestati e tre rilasciati su cauzione. La prossima udienza è fissata per il 28 aprile 2016. “L’iter giudiziario si presenta lungo e difficile: speriamo che la magistratura riconosca l’orrendo crimine e faccia giustizia” conclude Gill. (P.A.)

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Uruguay: documento dei vescovi su abusi sui minori

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“Perdono e impegno”: si intitola così il documento che la Conferenza episcopale dell’Uruguay ha diffuso in questi giorni in relazione alla lotta contro gli abusi sui minori perpetrati da alcuni membri del clero. Il testo è stato elaborato nel corso dell’Assemblea plenaria dei vescovi, svoltasi dal 6 al 12 aprile. In primo luogo, i presuli sottolineano di aver prestato “particolare attenzione a questo problema” negli ultimi anni, elaborando anche, con l’aiuto di esperti, uno speciale “Protocollo” e stabilendo la creazione di un’apposita Commissione per la prevenzione degli abusi.

Vergogna per abusi commessi da membri del clero, impegno per la giustizia
“Chiediamo perdono a tutte le persone che hanno subito abusi da parte di alcuni sacerdoti e religiosi nel nostro Paese – si legge nel documento episcopale – Proviamo dolore e vergogna, perché si tratta di persone che, dopo aver promesso di servire Dio ed il prossimo, hanno commesso atti orribili”. La Chiesa dell’Uruguay sottolinea che “simili fatti” si sono verificati, negli ultimi anni, “in diversi Paesi ed in tutti gli ambiti della società”, ma che comunque “in alcun modo si può giustificare che si verifichino nella Chiesa”. Per questo, i presuli ribadiscono la loro “forte volontà” di incontrare, ascoltare, accompagnare le vittime, indagando e procedendo “rigorosamente secondo il Protocollo” di fronte alle accuse, nell’ottica di “totale disponibilità a collaborare con la giustizia”.

Attenzione alla formazione dei sacerdoti
Al contempo, la Ceu riconosce “la generosità della stragrande maggioranza dei sacerdoti e dei religiosi che quotidianamente pongono la loro vita al servizio degli altri”. Dopo aver ribadito “il valore del celibato”, poi, la Conferenza episcopale dell’Uruguay sottolinea il proprio impegno ad “esaminare attentamente le motivazioni e le competenze dei futuri sacerdoti”, provvedendo ad una loro “formazione adeguata”, così da tutelare tutti coloro che collaborano con le comunità, le istituzioni o le opere sociali della Chiesa.

Attivata una linea telefonica per raccogliere le denunce
Infine, la Ceu rende noto di aver attivato un numero telefonico specifico “per ricevere le eventuali denunce di abusi sessuali sui minori in tutto il Paese”. Denominata “La Chiesa ti ascolta”, questa linea telefonica speciale risponde al numero 095 382465 ed è attiva dal lunedì al venerdì dalle ore 14.30 alle ore 18.30. A rispondere alle eventuali chiamate sarà personale qualificato, in grado di fornire l’aiuto necessario.

Avviare le ricerche sui “desaparecidos” degli anni ’80
​Oltre al tema degli abusi, nell’ambito della Plenaria della Ceu è stata affrontata anche la questione dei “detenuti scomparsi durante il periodo del governo di fatto”, negli anni ’80. In particolare, su richiesta dell’ambasciata dell’Uruguay presso la Santa Sede, i presuli hanno acconsentito a che si ricerchino, negli archivi vaticani, i dati riguardanti i carcerati “desaparecidos” in quegli anni. Infine, la Ceu ha accolto “con gioia” l’Esortazione apostolica post-sinondale “Amoris laetitia sull’amore nella famiglia”, siglata da Papa Francesco il 19 marzo e pubblicata l’8 aprile, ed auspica che tale documento “illumini tutti gli sforzi pastorali di accompagnamento delle famiglie all’interno della Chiesa”. (A cura di Isabella Piro)

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Cile: religiosi e religiose solidali con le comunità Mapuche

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La soluzione del conflitto Mapuche nella regione dell’Araucanía insieme alle altre emergenze legate soprattutto alla tratta delle persone, al narcotraffico e all’emarginazione: sono queste le principali sfide che sono chiamati ad affrontare i religiosi e le religiose del Cile. È quanto evidenziato nella dichiarazione finale della 48.ma assemblea nazionale della Conferenza delle religiose e dei religiosi del Cile (Conferre) che ha riunito nei giorni scorsi a Padre Hurtado, vicino alla capitale, i superiori e le superiori maggiori delle principali congregazioni religiose del Paese con l’obiettivo di verificare e aggiornare il piano globale per gli anni 2015-2018.

Rispondere a situazioni che gridano al cielo
“In un sistema che proclama che la salvezza sta nel potere, nella ricchezza, nel monopolio del sapere —  afferma il documento citato dall’Osservatore Romano — ci sono situazioni che gridano al cielo. La realtà ci sfida ed è fondamentale per noi: il traffico di esseri umani, il conflitto nell’Araucanía, le relazioni disumanizzanti, la situazione dei migranti, i giovani in situazioni vulnerabili, il traffico di droga, la violenza dovrebbero indicare la nostra tabella di marcia, anche se a volte sperimentiamo una certa impotenza e smarrimento”.

Promuovere la cultura dell’incontro nello spirito dell’Anno della Misericordia
L’assemblea si è svolta nel clima particolare dell’Anno della Misericordia, assumendo come immagine chiave l’icona evangelica della Visitazione di Maria ad Elisabetta: “Accettiamo la sfida di promuovere la cultura dell’incontro partendo dalla Parola del Vangelo, che è esperienza ed evento, in chiave di misericordia - si legge nella dichiarazione - . Siamo pronti a vivere l’inter-congregazionalità nella comunione missionaria, dove la vita grida dinanzi alla situazione dell’Araucanía, al traffico di esseri umani, dei migranti. Noi, come Maria nel Magnificat, vogliamo riflettere la nostra convinzione che la salvezza viene da Dio e sta operando, che la sua azione è nascosta nei poveri, ma è efficace e porta gioia”.

I religiosi uniti alle preoccupazioni dei vescovi per il conflitto Mapuche
Dopo i vescovi, dunque, anche i religiosi e le religiose cileni esprimono preoccupazione per l’escalation di violenze che da mesi si registra nell’Araucanía, la regione centro-meridionale del Cile che conta una presenza significativa di indigeni Mapuche. Violenza che ha già provocato alcune vittime e attentati incendiari che spesso prendono di mira chiese e altri luoghi di culto. Il cosiddetto “conflitto Mapuche” contrappone da una ventina di anni il più grande e importante gruppo etnico del Paese. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 112

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.