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Sommario del 23/04/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Giubileo dei ragazzi: Francesco confessa in Piazza San Pietro

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Clima festoso per le vie di Roma e soprattutto in Via della Conciliazione e Piazza San Pietro per il Giubileo dei Ragazzi. Stamani, Papa Francesco ha confessato 16 giovani in Piazza San Pietro - dalle 11.30 alle 12.45 - in quello che è diventato un grande confessionale a cielo aperto. Stasera, la festa allo Stadio Olimpico con il videomessaggio del Pontefice, domattina quindi la Messa in Piazza San Pietro presieduta dal Papa. “Cari ragazzi e ragazze – ha scritto stamani Francesco in un tweet – i vostri nomi sono scritti nel cielo, nel cuore misericordioso del Padre. Siate coraggiosi, controcorrente!”. Il servizio di Alessandro Gisotti

Nella festa di San Giorgio, giorno del suo onomastico, è il Papa a fare un dono piuttosto che riceverlo. Stamani, infatti, Francesco – a sorpresa – ha confessato in Piazza San Pietro, per oltre un'ora, 16 ragazzi, degli oltre 60 mila giunti a Roma per il Giubileo a loro dedicato. Dalle 9.30 di stamani, oltre 150 sacerdoti si stanno alternando fino a sera per far vivere a pieno il Sacramento della Riconciliazione. Del resto il tema del perdono è centrale in questo Anno Santo e per gli stessi ragazzi, invitati dal Papa, a “crescere misericordiosi come il Padre”.

Stasera la festa all’Olimpico, domani Messa in San Pietro
Oltre al momento delle confessioni, i giovani stamani hanno vissuto l’emozione del pellegrinaggio alla Porta Santa dopo aver percorso Via della Conciliazione, partendo da Castel Sant’Angelo. Stasera, i ragazzi si sposteranno allo Stadio Olimpico per una grande festa con cantanti e testimonianze. Ai presenti il Pontefice si rivolgerà attraverso un videomessaggio. Domani mattina, alle 10.30, il culmine dell’evento giubilare con la Messa presieduta da Francesco in Piazza San Pietro. La giornata proseguirà poi con la visita alle "Tende della Misericordia" allestite in sette piazze del centro storico di Roma. Qui, fino a lunedì, i romani e i turisti potranno trovare testimonianze di opere di misericordia spirituale e corporale.

Giovani accolti dalle parrocchie romane
La diocesi di Roma è particolarmente impegnata nel servizio di accoglienza: la maggior parte dei ragazzi che sono nella città in questi giorni sono, infatti, ospitati dalle parrocchie romane. Oltre 200 le comunità che, rispondendo all’invito del Servizio Pastorale Giovanile della diocesi di Roma e del Centro Oratori Romani, hanno messo a disposizione un alloggio a terra stile Gmg. Quella di Roma dunque, riprendendo Sant’Ignazio di Loyola, testimonia così di “essere la Chiesa che presiede tutte le altre nella carità”.

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Roma invasa dall'allegria dei giovani: Dio è la vera certezza

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E’ lunga, allegra e internazionale la colonna di ragazzi che, partendo dalla zona di Castel Sant’Angelo, ha percorso stamani Via della Conciliazione per arrivare in Piazza San Pietro e accostarsi al Sacramento della Riconciliazione. In questo servizio di Amedeo Lomonaco, ascoltiamo le testimonianze di alcuni ragazzi: 

Il cammino, scandito dai canti e dalla preghiera, è soprattutto un momento di riflessione interiore prima della Confessione in Piazza San Pietro e il passaggio della Porta Santa. I volontari che accompagnano i ragazzi, provenienti da vari Paesi, sottolineano la profondità di questo itinerario di fede:

R. – Oggi i ragazzi non si avvicinano più di tanto alla Chiesa. Pensano alla tecnologia, a Facebook ... e si allontanano sempre di più. Quindi è una bella testimonianza portare i ragazzi fino a qui per far vedere loro la bellezza di questa giornata.

R. – Oltre ad essere un ritiro spirituale per noi, sul riflettere, sull’incontro con Gesù, è una verifica della nostra testimonianza.

La fede resta una bussola affidabile che permette di orientarsi anche quando le incertezze sul futuro e la mancanza di prospettive sembrano far prevalere un diffuso senso di smarrimento:

R. – La fede è un qualcosa di stabile, una cosa che resta. La vita è piena di incertezze, ci vuole un punto di riferimento che ci aiuti a mantenere il contatto con la realtà ma anche un qualcosa che ci dia la forza per andare avanti, nonostante il mondo di oggi cerchi di buttarci giù.

I ragazzi attendono soprattutto il momento della Confessione per incontrare il perdono di Dio:  

R. – Per me è molto importante perché è il momento in cui mi sento più vicina al Signore. So che, indipendentemente da tutto, Lui è sempre lì a perdonarmi.

R. - Dovrebbe essere più importante nella mia vita, nel senso che mi confesso poco. Per accostarci al Sacramento dell’Eucarestia, dovremmo avere un cuore che vuole essere puro. Questa dovrebbe essere un’esperienza di conversione profonda.

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Beatificati a Burgos 5 martiri della guerra civile spagnola

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Sono stati beatificati oggi a Burgos, in Spagna, il sacerdote Valentín Palencia Marquina e quattro compagni martiri, uccisi in odio alla fede nel 1936 durante la guerra civile spagnola. Al rito era presente anche il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Ascoltiamo il porporato al microfono di Roberto Piermarini: 

R. - I cinque martiri sono il sacerdote Valentín Palencia Marquina, nato a Burgos nel 1871, e quattro giovani laici suoi collaboratori, tutti uccisi nel gennaio del 1937. Tra di essi spicca la figura di Donato Rodríguez García, di venticinque anni, maestro di musica, colto, generoso, con notevoli doti pedagogiche. Usava le stampelle a causa di una poliomielite infantile. Ci sono poi, Germán García García, di ventiquattro anni, che si era offerto volontario come insegnante nel collegio fondato da Don Valentín; il ventenne Zacarías Cuesta Campo, che studiava musica nel collegio ed era calzolaio; e, infine, Emilio Huidobro Corrales, di appena diciannove anni, che viveva nel collegio perché, dopo la morte della madre, era stato rifiutato dal patrigno.

D. - Ci può dire qualcosa di Don Valentín e del suo martirio?

R. - Don Valentín Palencia era un sacerdote totalmente consacrato agli orfani e ai ragazzi poveri ed emarginati, da lui accolti ed educati in un collegio, il Patronato de San José. Fra le varie iniziative culturali da lui promosse, c'era anche la creazione di una banda musicale formata dai suoi giovani. Nel luglio del 1936 portò, come al solito, la banda a Suances, piccolo porto di pescatori sulla costa cantabrica, per un periodo di vacanza, ma anche di concerti molto apprezzati dalla popolazione.

D. - Cosa avvenne in quei giorni d'estate?

R. - Purtroppo in quell'estate, che si preannunziava gioiosa, il nemico del bene diede inizio a un'epoca di sangue e di lutto per la chiesa spagnola. Fu proibita la celebrazione dei sacramenti, furono incendiate le chiese, saccheggiate le case religiose, distrutti gli arredi sacri, bruciati i preziosi dipinti dell'arte spagnola. Nella notte del 15 gennaio 1937 Don Valentín e i quattro giovani furono arrestati, uccisi e abbandonati in un luogo solitario. La causa della morte di Don Valentín viene ben espressa da un testimone: «Lo uccisero perché era sacerdote». I giovani laici furono assassinati con lui, per difendere la loro fede e per condividere la sorte del loro padre, maestro e amico.

D. - Qualcuno dice che non bisogna riandare al passato, ma aprirsi al presente e al futuro. Quale messaggio porta oggi la beatificazione di questi martiri?

R. - Certo, non bisogna riandare al passato, ma soprattutto non bisogna ripeterlo in quello che ha di crudele e di disumano, come fu appunto la persecuzione degli anni Trenta. Per questo il messaggio della beatificazione di Burgos è una buona notizia per oggi. I martiri seminano amore, non odio. Trasmettono il calore della presenza di Dio anche nel cuore di coloro che li uccidevano. La loro vita buona lenisce le ferite e risana i cuori, guarendoli dai mali dell'odio e della divisione. I martiri rendono più bella e abitabile la casa dell'uomo, invitando a non ripetere il passato oscuro e sanguinoso, ma a costruire e vivere un presente luminoso e fraterno. È questa la buona notizia di ogni beatificazione: rispondere alla vendetta col perdono, ai pensieri di morte con pensieri e gesti di vita, alla violenza con la mitezza. Per questo la Chiesa continua a celebrare e a glorificare i martiri.

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Colletta promossa dal Papa per l'Ucraina: emergenza umanitaria

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Venire incontro alle sofferenze del popolo ucraino. E’ questo lo scopo della colletta di questa domenica, promossa da Papa Francesco in tutte le Chiese cattoliche d’Europa. In Ucraina, secondo stime dell’Onu, sono oltre 9 mila le vittime del conflitto. Sull’iniziativa Amedeo Lomonaco ha intervistato il vice-cancelliere della Curia dell'arcivescovo maggiore di Kiev, don Volodymyr Malchyn: 

R. – Noi siamo molto grati al Santo Padre per questa iniziativa umanitaria: è molto importante per la nostra gente, dal punto di vista del sostegno economico e, anche più importante, dal punto di vista morale. Questa iniziativa, infatti, ha rotto il silenzio in Europa, per quanto sta succedendo in Ucraina.

D. – Un Paese lacerato da anni di conflitto. Qual è adesso la situazione umanitaria in Ucraina?

R. – La situazione umanitaria è gravissima: ci sono circa 5 milioni di persone che hanno risentito delle conseguenze della guerra. E ci sono purtroppo un milione e mezzo di sfollati che sono stati spinti a lasciare le loro case. Ci sono tante persone che non possono frequentare la scuola, che non hanno accesso alle cure mediche. La situazione è gravissima, soprattutto nel territorio dove non hanno accesso le Ong.

D. – Come la Chiesa cattolica ucraina sta rispondendo a questa emergenza umanitaria?

R. – La nostra Chiesa sta facendo quello che può fare tramite la presenza dei nostri sacerdoti, che stanno ancora dando servizio pastorale nell’area dei combattimenti, ma anche tramite la Caritas che sta distribuendo aiuti agli sfollati. La Caritas è disponibile a distribuire questi aiuti tramite questa iniziativa del Santo Padre.

D. – L’Ucraina ha bisogno di aiuti, ma soprattutto che cessi subito la violenza…

R. – Certo, quello di cui abbiamo bisogno è di porre fine a questa guerra. Purtroppo ogni giorno riceviamo notizie di morti tra i soldati e anche tra la popolazione civile. Abbiamo bisogno delle preghiere di tutti i fedeli nel mondo per porre fine a questa guerra mostruosa.

D. – Questa vicinanza delle comunità cattoliche di tutta Europa sarà sicuramente un balsamo per sperare nella pace, nella riconciliazione…

R. – Lo speriamo molto. Il sostegno dei nostri fratelli e sorelle in Europa, infatti, ci aiuta tanto. Sentiamo che non siamo soli, anche se talvolta ci sembra di essere stati dimenticati dal resto del mondo. Questa iniziativa concreta, però, ci dimostra che possiamo contare sul sostegno della Chiesa cattolica in Europa.

D. – Perché, secondo lei, anche i mezzi di informazione occidentali troppo spesso dimenticano conflitti e, in particolare, quello in Ucraina?

R. – Dipende da quello che sta succedendo nel mondo. Talvolta il centro si sposta in altre aree dove ci sono conflitti, per esempio in Medio Oriente. Da una parte, pare che ci sia una propaganda che blocca l’accesso all’informazione e, dall’altra parte, c’è l’indifferenza della gente, che si sente molto sicura a casa propria e che non si interessa di quello che sta succedendo fuori.

D. – In definitiva, dunque, un’iniziativa per rompere il muro dell’indifferenza?

R. – Questa iniziativa dovrebbe porre fine a questa indifferenza e mostrare che noi siamo tutti fratelli e possiamo sostenerci gli uni con gli altri con i diversi mezzi.

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Papa a RnS: testimoniare sempre di più la misericordia del Padre

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Papa Francesco rivolge il suo saluto a quanti partecipano alla Convocazione nazionale dei Gruppi e delle Comunità del Rinnovamento nello Spirito Santo, che si sta svolgendo a Rimini sul tema “Io sono la Porta. Se uno entra attraverso di me sarà salvo” (Gv 10, 9a). In un messaggio a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, il Pontefice “auspica che l’Incontro susciti rinnovati propositi di profonda riconciliazione e di ardente unità per testimoniare sempre più generosamente Cristo, volto misericordioso del Padre e servirlo nei fratelli, specialmente i più deboli”. 

Anche la Convocazione di quest’anno riserva un’attenzione speciale alle Chiese perseguitate, con la presenza di testimoni provenienti dal Medio Oriente (Libano e Arabia Saudita), dopo il recente viaggio del presidente Martinez in quei Paesi.

Il Movimento ha accolto con gioia anche i messaggi augurali del cardinale Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, e di mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione.

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Nomine episcopali in Inghilterra e Paraguay

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In Inghilterra, Francesco ha nominato vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Southwark il rev.do Paul Mason, del clero dell’arcidiocesi di Southwark, Vicario Episcopale del Kent, assegnandogli la sede titolare vescovile di Skàlholt.

In Paraguay, il Papa ha nominato ausiliare della diocesi di Ciudad del Este il rev.do Pedro Collar Noguera, Vicario Generale della medesima diocesi, assegnandogli la sede titolare vescovile di Tamugadi.

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"Un uomo come voi": Vian propone testi scelti su Paolo VI

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“Un uomo come voi": così si presentò Paolo VI nel suo discorso alle Nazioni Unite il 4 ottobre 1965. E questa espressione è ora il titolo del volume, edito da Marietti, che raccoglie testi di Montini tra il 1914 e il 1978. A curare il volume, il prof. Giovanni Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano. Nell’intervista di Fausta Speranza, Vian spiega innanzitutto il criterio con cui i testi sono stati scelti: 

R. – Un criterio molto semplice: tutti i testi usciti sicuramente dalla penna di Montini non sono in alcun modo tagliati, cioè hanno una loro completezza, dalle lettere alle omelie, agli appunti … Ci sono molti testi, soprattutto del Pontificato, sicuramente scritti da Montini  e interamente da Montini. Il caso più clamoroso è l’Ecclesiam Suam, l’Enciclica programmatica del ’64, un testo bellissimo che però ho volutamente escluso proprio per non fare una scelta, perché è un testo molto lungo.

D. - Nella storia di Papa Paolo VI c’è il Concilio: c’è la ripresa del Concilio nel ’63 e questi anni ci sono presenti. “Mai è stata così pura la Chiesa – scriveva Paolo VI - mai così desiderosa di servire il Signore, mai così disinteressata, mai così staccata dagli interessi temporali”. Che dire?

R. - É la grande atmosfera, la  grande speranza di quegli anni. È stato un Papa aperto al suo tempo, aperto all’incontro, dando fiducia all’altro.

D. – Il tema centrale del Pontificato di Papa Francesco è la Misericordia. C’è un legame fortissimo con Paolo VI. Ricordiamo quando dice: “Fratelli lontani, perdonateci se non vi abbiamo compreso, se vi abbiamo troppo facilmente respinti, se non ci siamo curati di voi, se non siamo stati bravi maestri di spirito e medici delle anime. Perdonateci” …

R. - Questo è il messaggio dell’arcivescovo Montini con il quale nel novembre del ‘57 apre la missione di Milano rivolgendosi ai lontani. Lei ha fatto bene a ricordare questo tema centrale del Pontificato di Bergoglio che però è il tema che apre con Roncalli e chiude con Montini il Concilio. Roncalli apre dicendo: “Oggi la Chiesa preferisce la medicina della misericordia” e Montini chiude dicendo: “L’immagine che riassume il Concilio, il suo incontro con il mondo, è l’immagine del samaritano”, quindi un’immagine di misericordia.

D. – Quindi, c’è questa continuità molto grande …

R. - Sì, nella differenza fortissima di personalità, di carattere – questo è ovvio -, di origine, ma c’è questa forte continuità senza dubbio, anche se – e io questo l’ho scritto nelle brevi pagine introduttive – Montini è un po’ dimenticato: Papa Bergoglio lo sta facendo tornare nel cuore della Chiesa.

D. - Paolo VI, pensando anche al Concilio, parlava di una Chiesa che si mette in discussione e che riforma se stessa. Riflette sul rapporto tra dottrina e pratica: “La pratica, consenziente la dottrina – affermava - è suscettibile di mille applicazioni contingenti; la dottrina anche  per esigenze pratiche deve restare fedele a sé stessa”…

R. - Io credo che Papa Montini quando ha deciso di riconvocare il Concilio non ha avuto alcun dubbio, pur cosciente delle difficoltà che il Concilio rappresentava ed avrebbe portato come ogni Concilio nella storia. Io sono convinto che se Montini fosse stato eletto Papa nel ’58 avrebbe scelto un altro modo per rinnovare la Chiesa proprio perché vedeva tutte le complessità del Concilio. Tra l’altro, i Concili più importanti hanno avuto naturalmente, fisiologicamente bisogno di tempo per essere compresi, recepiti dagli ecclesiastici ma anche dai fedeli. Eppure lo ha assunto il Concilio intuito da Roncalli, da Giovanni XXIII, in questo modo straordinario, lo fa proprio, perché si era già schierato con la maggioranza riformista alla fine del ’62, e lo conduce con rispetto ma anche con la piena coscienza del ruolo papale.

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Oggi in Primo Piano



All'Onu, 171 Paesi firmano l'accordo sul clima Cop21

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Storica firma ieri al Palazzo di Vetro di New York. 171 Paesi hanno sottoscritto l'accordo di Parigi che mira a limitare la temperatura media globale. Anche il Papa su Twitter e Instagram ha ribadito la necessità di avere cura del creato e che il “vero approccio ecologico” ascolta il “grido della terra” e “dei poveri”. Massimiliano Menichetti

“E’ un momento storico”. Sono le parole che tradiscono emozione pronunciate nel Palazzo di Vetro di New York dal segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, nella Giornata della Terra, l’Earth Day. L’occasione è la firma da parte di 171 Paesi dell'accordo sul clima cosiddetto “Cop21”, siglato a Parigi il 12 dicembre scorso. Cuore del documento è la necessità di “contenere sotto i 2 gradi centigradi l’aumento della temperatura globale rispetto ai livelli preindustriali”. Il presidente francese François Hollande, in piena sintonia con il segretario delle Nazioni Unite, ha chiesto una “rapida ratifica e azioni concrete” ribadendo che “l’umanità può scegliere se migliorare o  danneggiare” il mondo. Per entrare in vigore nel 2020, il documento dovrà essere ratificato, accettato o approvato da almeno 55 Paesi che rappresentano il 55 per cento delle emissioni mondiali dei gas serra. Nel suo intervento il segretario di Stato americano Kerry ha detto che la “potenza dell’accordo sta nel poter creare”, il premier Renzi ha parlato di “messaggio di speranza” e “responsabilità per i nostri figli e nipoti”. Anche il Papa da internet ha partecipato a questa importante giornata e via Twitter e Instagram ha scritto: “Tutti possiamo collaborare come strumenti di Dio per la cura della creazione” e “Un vero approccio ecologico sa curare l’ambiente e la giustizia, ascoltando il grido della terra e il grido dei poveri”.

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Ue chiede nuova austerity alla Grecia per l’esborso degli aiuti

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Alla riunione dell'Eurogruppo le difficoltà nel rapporto fra Atene e i creditori - Bce e il Fondo Monetario Internazionale - sono riemerse. Le istituzioni europee hanno chiesto alla Grecia nuove misure di austerity per ottenere il rilascio del terzo programma di aiuti da 86 miliardi euro. Si chiama ‘pacchetto di contingenza’ e in pratica si tratta di nuovi tagli e tasse, da definire assieme alle autorità greche, per un valore di tre miliardi, che dovrebbero scattare nel caso il Paese non rispettasse gli obiettivi di bilancio fissati fino al 2018. Atene chiede però una ristrutturazione del debito complessivo, misura ritenuta necessaria anche dall’Fmi. Marco Guerra ne ha parlato con Francesco De Palo, direttore della rivista on-line “Mondo greco”: 

R. – Tutti sanno dal 2012 che i conti della Grecia non funzionano e chiedere oggi un ulteriore miliardo e 800milioni di euro di manovra aggiuntiva oltre i tre miliardi e mezzo previsti dal memorandum, sapendo benissimo che l’avanzo primario del 3,5% entro il 2018 non sarà raggiungibile, significa due cose: o i politici europei sono in malafede oppure che qualcuno ha sbagliato i conti. La posizione del Fondo Monetario Internazionale, il primo a sostenere che il debito greco non è sostenibile in questo momento dalle casse elleniche, è la stessa di Varoufakīs. Quindi al di là delle ideologie di entrambi c’è un problema di conti oppure di malafede politica.

D. – Quali conseguenze si avranno a breve se la Grecia sarà costretta a fare questa ulteriore manovra?

R. – Sì parla già di un aumento dell’Iva al 24% entro il primo luglio. L’Iva ora è al 23%. Potete ben immaginare cosa significa per le famiglie e per i ceti in difficoltà un aumento del genere. A questo si aggiunga l’aumento delle accise per il carburante, l’aumento per l’alcol e per altre tipologie di tasse come le assicurazioni o il discorso pensionistico e ci rendiamo benissimo conto che con queste premesse e con queste tasse che aumentano, la Grecia non potrà che fallire.

D. – Tutto perché in ambiente europeo non si vuole concedere un taglio del debito …

R. – Soprattutto non si ha la consapevolezza di guardare i conti come sono. Dal primo momento era chiaro a tutti che con 30-40 miliardi il debito greco sarebbe stato sanato! Si è scelta la strada di un prestito infinito che non chiude a monte il buco strutturale ellenico, ma presta soldi a chi non li può restituire. Chiediamoci chi ci guadagna a prestare questi soldi; chiediamo a quale tasso di interesse ci guadagnano a prestare questi soldi e chiediamoci soprattutto chi è stato salvato nel 2012, se la Grecia o le banche che erano esposte con la Grecia.

D. - In tutto questo ci sono segnali di ripresa dopo sette anni di crisi o la società greca continua ad essere fortemente segnata da questa situazione economica?

R. - La produzione interna è in calo, i consumi sono stati tagliati del 50%, la disoccupazione è salita al 24, il governo Tsipras sembra che abbia le ore contate perché la riforma delle pensioni non riuscirà ad essere approvata in quanto ha solo due voti in più rispetto alle opposizioni, il Paese è in ginocchio. Quindi se qualcuno parla di ripresa  a Bruxelles, evidentemente in Grecia non ci è stato negli ultimi due anni.

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Ecuador: nuove scosse di terremoto, é emergenza umanitaria

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Nelle ultime ore torna a tremare la terra in Ecuador, dopo la forte scossa di 7,8 gradi del 16 aprile scorso. A causa del terremoto oltre 1.100 costruzioni sono state distrutte e 720 mila persone hanno bisogno di assistenza umanitaria. Più di 25 mila persone attualmente vivono in rifugi di fortuna. I morti accertati sono 525. Stephen O’Brian, vice segretario generale dell’Onu per i problemi umanitari, parla di centinaia di persone “ancora disperse” e sollecita “un riparo immediato” per gli sfollati. Tra questi, l’Unicef segnala 250 mila bambini. Per Grant Leaity, rappresentante Unicef in Ecuador, “più tempo passa per i bambini  senza un riparo, acqua potabile e protezione dalle malattie, più alti sono i rischi per la salute e il loro benessere”. Sulla situazione in Ecuador, Luca Collodi ha raggiunto a Santo Domingo de los Tsàchillas, padre Sereno Cozza, missionario della Congregazione dei Giuseppini del Murialdo, dal 1972 in Ecuador: 

R. – E’ un territorio povero, abitato da pescatori. Un territorio che era ricco di un futuro perché stava nascendo come meta di turismo anche internazionale. Purtroppo, però, il terremoto ha distrutto tutto: è stato un terremoto veramente terribile e sta creando nella gente una psicosi di insicurezza, di paura, di terrore, specialmente nelle zone che hanno vissuto la devastazione.

D. – Il terremoto ha colpito soprattutto la popolazione povera, contadini e pescatori…

R. – Sì, esattamente. La zona costiera viveva e vive sulla pesca e sulle coltivazioni di riso, cacao, banano e caffè .

D. – Poi ci sono i bambini: un problema che in queste ore sta assumendo contorni preoccupanti…

R. – Ci sono gli orfani, ci sono bambini che si sono persi, che non sanno dove sono i loro genitori, gli zii, i parenti. Non sanno, li stanno cercando. C’è anche un altro fenomeno al quale bisogna fare attenzione: di persone che si raccolgono in zone sicure, dove però c’è una promiscuità tremenda e dove bisogna tutelare anche i bambini e le bambine.

D. – C’è solidarietà a livello internazionale verso l’Ecuador?

R. – Il popolo ecuadoriano è un popolo molto solidale; gente che si è mossa per sua iniziativa, davvero è un valore che qui si sente molto. Tutti si sentono partecipi di queste nostri fratelli che sono stati colpiti duramente. C'è ancora un’ondata di solidarietà interna che davvero fa fiorire il valore cristiano della solidarietà. Ma anche a livello internazionale si sono mossi: naturalmente, l’America Latina che si sente parte della stessa fraternità latinoamericana. E anche a livello internazionale.

D. – Questo terremoto come cambierà il Paese?

R. – Sulla costa sono state rase al suolo diverse zone popolate e questo cambierà molto. Intanto, c’è già un primo fenomeno: l’emigrazione dalla costa verso le città più sicure. E questo sarà un grande problema. Lo spostamento di cittadini che lavoravano come pescatori, come contadini  che si troveranno in città dove i loro valori, anche di vita sociale, di famiglia, verranno completamente capovolti.  Poi, far fronte a migliaia di cittadini che, per esempio, vengono qui, a San Domingo de los Colorados, nella provincia di Santo Domingo de los Tsàchilas, sta creando grandi problemi: ci sono migliaia di cittadini, migliaia di contadini, migliaia di pescatori che vivono sotto le tende. Bisognerà inserirli nel mondo del lavoro, ma ora in Ecuador c’è la crisi del lavoro. Dobbiamo ricordare che l’Ecuador è un Paese estrattore di petrolio, un piccolo estrattore, ma quanto basta per realizzare un certo benessere. Ora, con il prezzo del petrolio al ribasso, c’è stato un grande problema di lavoro, con la disoccupazione che supera il 60% delle forze lavorative.

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Sud Sudan: attesa per il rientro a Juba di Machar

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E’ ancora mistero sul rientro del leader dei ribelli Riek Machar in Sud Sudan, che sarebbe dovuto tornare a Juba il 18 aprile scorso. Ora è stato sbloccato anche l’ultimo ostacolo che rallentava il suo ingresso nella capitale, che potrebbe rappresentare una svolta nel processo di pace. Ad oggi però la situazione nella città, e tra la popolazione, rimane molto grave. Sono milioni le persone a rischio malattie, si tratta di una crisi umanitaria che si protrae dal 2013, anno di inizio della guerra civile che ha visto coinvolti il presidente Salva Kiir e l’opposizione di Machar. Valentina Onori ha raggiunto telefonicamente a Juba, padre Daniele Moschetti, superiore provinciale dei Comboniani del Sud Sudan: 

R. – È molto stazionaria la situazione e anche molto confusa, perché voleva arrivare anche oggi, e invece sembra che il governo centrale qui di Juba abbia imposto un’altra condizione.

D. – Il ritorno di Machar a Juba è considerata una condizione determinante per porre fine a una guerra civile iniziata nel dicembre 2013. Le sue attese quali sono?

R. – Non si tratta soltanto di una crisi politica, ma qui il discorso è anche etnico. Quello che è successo nel dicembre 2013 era il "ritorno di una vendetta" di un migliaio di morti nel 1991 da parte di Riek Machar.

D. – Quali potrebbero essere quindi gli strumenti dell’Onu per avviare un processo di pacificazione?

R. – Il problema è se chi è da questa parte obbedisce a quello che viene imposto o richiesto, perché molto spesso invece viene snobbato, anzi criticato e a volte si fa anche una grande pressione per mandare via dei personaggi sgraditi al governo. Se non viene accettato da chi dovrebbe mettere in pratica, questi appelli vanno nel vuoto. Lunedì e martedì hanno bloccato tutto l’aeroporto; quindi moltissimi aiuti umanitari, le Ong, sono tutti bloccati: nessuno partiva per andare nelle varie zone perché si aspettava Riek Machar che poi ha fatto saltare tutto di nuovo. Vedremo lunedì, è una storia infinita…

D. – Qual è il clima a Juba?

R. – Per il momento non ci sono grossi scontri, però tutti aspettano che qualcosa succeda per l’arrivo di Riek Machar e si spera che succeda qualcosa di positivo. Questi due gruppi hanno dimostrato in questi due anni e mezzo di lavorare per sé stessi, per i loro clan, ma non per la gente, non per lo Stato, non per la comunità. E stiamo parlando di due persone che sono cristiane: uno, il presidente, che è cattolico e l’altro che è presbiteriano. Quindi, anche questo è un grande punto di domanda e una grande sfida anche per noi come preti, missionari, come Chiesa locale. Nel piccolo stiamo vivendo quello che potrebbe essere un nuovo Rwanda.

D. – Un futuro governo di transizione avrebbe comunque delle debolezze…

R. – Sì, entrerebbero poi tutte le forze, non soltanto questi due gruppi, ma anche gli altri due: i “former detainees”, cioè i politici che erano all’opposizione ma che non hanno fatto parte del gruppo di Riek Machar - sono stati in prigione e poi rilasciati all’estero - loro hanno un loro gruppo; e poi ci sono altri partiti più piccoli. Quindi tutti hanno già avuto un’assegnazione di un qualche ministero. Quindi dovrebbero rientrare quattro gruppi diversi. Abbiamo davvero un grande bisogno di pace, perché la Chiesa sta cercando di pensare alla gente, ma non abbiamo segni veramente concreti da parte del governo. Quello che stiamo sperando tutti è che finisca questa storia – di questa farsa – di “avanti e indietro, avanti e indietro”; “deve arrivare…non deve arrivare…”. Cioè lui deve venire comunque qua in Sud Sudan. Per cominciare a ripartire, è necessario che lui arrivi qui, e poi nel 2018 fare le elezioni sperando che il Paese sia in una situazione migliore e soprattutto che ci siano anche dei candidati credibili: questo è l’aspetto fondamentale.

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Elezioni in Serbia: favorito premier Vučić, in crescita nazionalisti

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La Serbia questa domenica al voto per le lezioni legislative anticipate. Una tornata che vede favorito il premier conservatore Aleksandar Vučić, anche se gli analisti prospettano un balzo in avanti dell’estrema destra nazionalista e antieuropeista. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Luka Zanoni, direttore del sito web “Osservatorio Balcani-Caucaso”: 

R. – Aleksandar Vučić, che è il premier in carica uscente, e che verrà sicuramente riconfermato perché i sondaggi lo danno ad oltre il 50 per cento, probabilmente ha deciso di ricompattare ulteriormente sia il partito all’interno, che cominciava a dare qualche segnale di scricchiolio, sia la scena politica; e quindi assicurarsi altri quattro anni e magari anche candidarsi alla carica di presidente della Repubblica.

D. – Quanto è probabile una espansione del nazionalismo in Serbia?

R. – C’è la possibilità. Il Partito Radicale è un partito ultranazionalista: sicuramente entrerà in Parlamento, con una quota vicina al 10 per cento, a meno di sorprese. E nella sua politica è affiancato, non come partito ma come ideologia, da un’altra formazione politica che forse potrebbe anche non entrare. C’è sicuramente un po’ di nazionalismo che emerge, ma il nazionalismo non estremo e non ultraradicale fa parte anche del partito di governo. Quindi la Serbia, da questo punto di vista, continua a rimanere un po’ un Paese nazionalista. Il partito di Aleksandar Vučić – come dicevo – ha sempre cercato di stare in equilibrio tra il nazionalismo, che è il suo background originale, e la spinta europeista.

D. – Possiamo dire che tutto ruota attorno all’entrata della Serbia in Europa?

R. – Come obiettivo rimane! Tant’è che, appunto, si parlava di apertura di ulteriori capitoli negoziali; poi c’è stato il blocco della Croazia, che penso che poi verrà risolto in qualche modo in base agli accordi bilaterali tra Serbia e Croazia… Però quello rimane, comunque, un punto fermo. Dall’altra parte la Serbia di Vučić non si è mai smarcata completamente da Mosca e quindi cerca di tenere sempre un po’ il piede in due scarpe, anche se l’orientamento è sicuramente quello europeo.

D. – Ma il tema dell’Europa ha influito, in qualche modo, sulla campagna elettorale?

R. – C’è stato uno sbilanciamento molto evidente di spazio mediatico e di presenza in campagna elettorale del partito del premier, soprattutto poi in una campagna elettorale non particolarmente brillante. L’opposizione ha cercato di andare contro Vučić e quindi di fare una sorta di protesta: invece che fare la parte propositiva, ha fatto la pars destruens. Però la questione europea direi che prescinde un po’.

D. – Cosa chiedono i serbi? Di cosa ha bisogno il Paese?

R. – Ci sono stati due interventi, nei giorni scorsi durante la campagna elettorale, in incontri pubblici del premier, che sono passati poi su media per le reazioni del pubblico: in un caso è stato un signore, nell’altro una signora, che hanno urlato: “Abbiamo fame!”. In base anche ad un recente sondaggio pubblicato nei giorni scorsi, è emerso che oltre il 40 per cento della popolazione serba dichiara di vivere peggio rispetto a 2-4 anni fa. E quindi chiede migliori standard di vita.

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Nuovo concerto del Gen Verde a Roma

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Musica, video, coreografie, un mix eclettico di contributi multimediali per accompagnare 22 canzoni cantate in 5 lingue: è il concerto del Gen Verde che si esibirà domenica sera al Galoppatoio di Villa Borghese, a Roma, nell’ambito dell’iniziativa il “Villaggio della Terra”. Protagonista assoluta l’umanità che si racconta. “On the other side”, cioè “dall’altra parte”, il titolo. Il perché di questa scelta ce lo dice Adriana Martins, componente brasiliana del Gruppo, intervistata da Adriana Masotti

R. – Noi ci siamo chieste: “Cosa succederebbe se io, invece di guardare le cose soltanto dal mio punto di vista,  guardassi con gli occhi di chi sta dall’altra parte? Dunque, questo nostro concerto ci mette in questa prospettiva: quello che io voglio per me, quello che io desidero per me è quello che desidero anche per te.

D. – Tante le situazione dell’attualità cui voi fate riferimento attraverso le vostre canzoni…

R. – Sì! Abbiamo letto –ad esempio - sui giornali la notizia di una bambina che è stata trovata in una nave di profughi: è stata trovata morta, aveva le sue scarpette di vernice ed era vestita tutta per bene… E noi abbiamo scritto questa canzone, facendoci anche questa domanda: “Ma io dove stavo? Cosa stavo facendo? Io dov’ero quando è successo questo a quella bambina”? Ce ne è un’altra che racconta l’esperienza di una noi, che ha vissuto a Belfast nel momento più critico del troubles, del terrorismo, che a contatto con altre persone che hanno vissuto il Vangelo in modo radicale, ha capito che ogni cambiamento dipende prima di tutto da lei stessa. Un altro tema è quello della deforestazione dell’Amazzonia, perché alcune di noi sono brasiliane e quindi ci si incontra con questa grave situazione. Quindi anche noi dobbiamo alzare le nostre voci per dire la nostra opinione.

D. – E per affrontare questi temi, nel vostro spettacolo c’è l’utilizzo di sonorità, tecniche, strumenti molto vari…

R. – Sì. Abbiamo cercato di essere soprattutto attuali. E’ un concerto molto vario, arricchito soprattutto dalle nostre culture: abbiamo, infatti, cercato di utilizzare tutte le sonorità e tutti gli stili possibili, per dare anche una veste bella a questo concerto.

D. – Si diceva prima: la denuncia di tante situazioni dolorose ma, con i vostri brani, volete offrire anche una risposta. Che tipo di risposta?

R. – La risposta noi ce l’abbiamo nella relazione con l’altro, in questo andare incontro, in questo aprirsi all’altro. Magari pensiamo alla pace – sicuramente – ma pensiamo alla pace come ad una cosa molto molto ampia: però io nei miei rapporti personali – in famiglia, a scuola, all’università, al lavoro – è lì che io inizio a costruire la pace. La risposta è lì. La risposta è che io nelle piccole cose che faccio quotidianamente, nel mio rapporto quotidiano con gli altri, io sono costruttore di pace.

D. – Il vostro Gruppo artistico si esibisce in tutto il mondo da 50 anni. C’è un filo conduttore che accompagna tutta la vostra attività?

R. – Il messaggio è: insieme possiamo fare un mondo migliore. Solo insieme! C’è una canzone che dice: “Io credo nel noi”. E’ poi un’esperienza che viviamo tutti. Mi trovo sola, mi trovo con tanti problemi, mi sento soffocata dai miei problemi, ma se poi esco dal mio piccolo mondo e mi apro agli altri, capisco che non sono sola. Allora lì io posso iniziare. E’ un invito a condividere, a riconoscere nell’altro il mio fratello; un invito a costruire insieme la fraternità e la pace, che tutti vogliamo.

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400 anni fa la morte di Shakespeare e Cervantes, esploratori dell'umano

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Quattrocento anni fa morivano William Shakespeare e Miguel de Cervantes. Le celebrazioni coincidono con l’odierna Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, patrocinata dall’Unesco. Il servizio di Giada Aquilino

Amleto, Otello, Re Lear... Prendono nuova forma i personaggi più celebri nati dal genio di William Shakespeare. A 400 anni dalla morte, che si pensa sia avvenuta nel 1616 nella città natale di Stratford-upon-Avon, in Gran Bretagna, il 23 aprile, peraltro presunto giorno di nascita, si moltiplicano le celebrazioni: dalla metropolitana di Londra che ha rinominato le proprie fermate dedicandole ai personaggi cantati dal “Bardo”, agli spettacoli lungo il Tamigi, fino al di là della Manica, dove in Vaticano per la prima volta nella storia è stata ospitata la rappresentazione di un testo di Shakespeare, Amleto, allestito nei giorni scorsi a Palazzo della Cancelleria dalla compagnia del Globe Theatre. Un’opera, quella del drammaturgo e poeta britannico, riconosciuta come universale. Ce ne parla Piero Boitani, docente di Letterature comparate all’Università La Sapienza di Roma e autore del libro “Il Vangelo secondo Shakespeare”:

R. – L’estensione enorme della comprensione umana rende la sua opera universale. Cioè Shakespeare affronta tutti gli aspetti dell’uomo e naturalmente della donna, sia quelli positivi sia negativi: dunque abbiamo le tragedie, le commedie e anche i drammi romanzeschi alla fine della sua vita, in cui viene esplorato, all’interno dell’umano, anche l’aspetto divino, superiore.

D. – Dove nasce la sua capacità di essere sempre nostro contemporaneo?

R. – Proprio in questa comprensione straordinaria dell’umano. “Noi siamo ancora sue creature”, diceva Harold Bloom: cioè siamo ancora i personaggi che lui ha creato; basti pensare ad Amleto oppure ad Otello, in certi estremi, o a Iago, l’incarnazione del male. Cioè, noi siamo fatti in quella maniera e lui lo ha capito quattro secoli fa!

D. – Si può parlare di una visione teologica nel teatro shakespeariano?

R. – Quando si parla dell’uomo e lo si mette in scena, si mette in scena tutte le sue dimensioni e quindi anche quella teologica. Shakespeare non è un teologo, nel senso che non è come Dante, che ha imparato la teologia formale nelle scuole, ha frequentato, ha studiato i teologi. Shakespeare no: però negli ultimi drammi, per esempio, è chiarissimo che si sta rivolgendo a qualcosa di superiore. E quindi la teologia la dobbiamo ricavare noi in un certo senso, guardando e leggendo quei drammi. Ma la visione teologica c’è.

D. – Forse, non a caso, Paolo VI nel 1964, celebrando i 400 anni dalla nascita parlò della “profonda umanità” di Shakespeare…

R. – Esattamente. Paolo VI, che per il centenario dantesco scrisse una cosa bellissima, conosceva bene i grandi scrittori e sapeva che c’era una differenza tra i due. Però gli ultimi drammi di Shakespeare – “Il racconto di inverno”, “Pericle”; “La tempesta”; “Cimbelino” – sono pezzi di teatro altrettanto profondi, come quelli di Dante, e rappresentano il nuovo mondo, quello che viene dopo o con il Rinascimento.

D. – Paolo VI disse che le trame delle sue opere teatrali sono per l’uomo moderno “un promemoria salutare che Dio esiste, che c’è una vita dopo questa vita”: perché?

R. – Il primo Shakespeare è abbastanza umanista, esclusivamente umanista direi. Però, certo, con “Amleto” comincia a guardare al di là: “Amleto” è un dramma della maturità, dei primi del ‘600, che poi è stato lungo nella gestazione, e in quest’opera c’è alla fine una luce. Nella seconda parte, sembra che Amleto sia cambiato e che non pensi più a quella dimensione della morte che, come diceva lui, è il “continente inesplorato da dove nessuno è mai ritornato”. E invece nella seconda parte, c’è una citazione tratta dal Vangelo di Matteo: si dice che c’è una “provvidenza” speciale nella caduta di un passero. E quindi lì evidentemente Shakespeare sta guardando altrove, anche se non raggiunge ancora la luce, la vede da lontano. Poi, negli ultimi drammi, ho sempre pensato che ci fosse - per così dire - una Buona Novella, ci fossero delle buone notizie: intanto finiscono bene questi drammi, al contrario delle tragedie precedenti, ma poi le riunioni e i riconoscimenti tra padri e figli, così come tra mariti e mogli, certamente alludono a qualcosa di più alto.

D. – Per questo lei ha scritto che le opere di Shakespeare possono considerarsi il suo Vangelo?

R. – Queste ultime sì, il suo “Vangelo personale”, perché Shakespeare non è uno che aderisce a una religione piuttosto che a un’altra: certamente è cristiano e su questo non c’è dubbio. Non sappiamo se fosse anglicano o cattolico: lui crea una sua religione - un suo credo - che è certamente evangelico e cristiano, in cui dà il suo messaggio, che però è un messaggio importantissimo. Il fatto che il mondo venga salvato dalle donne, dalle figlie o dalle mogli mi sembra già un messaggio importante…

D. – In questi giorni si ricorda anche l’anniversario della morte dello spagnolo Miguel de Cervantes, avvenuta il 22 aprile 1616. Anche Papa Francesco, in un’intervista alla “Civiltà Cattolica”, lo ha ricordato qualche tempo fa. C’è un aspetto che lega l’autore del “Don Chisciotte” con Shakespeare?

R. – C’è un dramma perduto - si intitolava “Cardenio” - che, se è stato scritto, come sembra, da Shakespeare insieme a John Fletcher, viene proprio da una storia del “Don Chisciotte”. Ma non sappiamo con certezza. Cervantes comunque è un altro straordinario esploratore dell’umano: forse più dell’umano che del divino, perché è più scherzoso e ironico di Shakespeare, anche dello Shakespeare finale, per così dire. Poi Cervantes non è soltanto l’autore del “Don Chisciotte”, ma anche di un romanzo che sembra abbia scritto in vecchiaia, “Le peripezie di Persile e Sigismonda”, che è una storia romanzesca che comincia nell’estremo nord dell’Europa e finisce a Roma: c’è una storia che finisce bene, quindi con la provvidenza che agisce.

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Il commento di don Gianvito Sanfilippo al Vangelo della Domenica

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Nella quinta Domenica di Pasqua, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù nell’Ultima Cena, una volta uscito Giuda, dice agli apostoli:

“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri". 

Su questo brano evangelico, ascoltiamo il commento di don Gianvito Sanfilippo, presbitero della Diocesi di Roma: 

“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli”. La creazione è rinnovata da Cristo  e le relazioni tra le persone ricevono da Lui una trasformazione  rivoluzionaria: Egli, infatti, ci ama riconoscendo la nostra dignità infinita, anche nel peccato e nella disobbedienza, ci ama sempre così come siamo, nel bene e nel male, rispettando la nostra libertà.  L’uomo vale più della Legge, del sabato, degli animali,  rivela il Vangelo, perché è a immagine e somiglianza di Dio ed è chiamato a divenire per sempre dimora del Suo Spirito. Ecco il dono che ci viene promesso: l’inabitazione divina che cambia il nostro modo di amare, che ci permette di perdonarci vicendevolmente,  portando i pesi gli uni degli altri, di accoglierci, anche nell’errore, nel rispetto della libertà di ognuno. È questa la vita che fa nuove tutte le cose, una comunità cristiana è tale quando appare questo nuovo modo di essere. Il prossimo viene amato anche quando si fa nemico, questo è l’annuncio fatto carne che attrae a Cristo ogni uomo, è la luce che riverbera ovunque portando la salvezza. Le tribolazioni di chi sa aspettare la crescita altrui nel bene aprono le porte del Regno dei cieli.

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Nella Chiesa e nel mondo



Spagna: messaggio vescovi per 50.mo della Conferenza episcopale

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“Al servizio della Chiesa e del nostro popolo”: s’intitola così il messaggio con il quale i vescovi spagnoli hanno voluto celebrare il 50.mo anniversario della Conferenza episcopale (Cee). A conclusione dell’Assemblea plenaria, i presuli hanno anche manifestato la loro vicinanza al popolo ecuadoregno colpito dal terremoto e hanno aderito alla colletta per l’Ucraina, indetta da Papa Francesco.

Un pensiero per l’Ecuador e l’Ucraina
Nel discorso inaugurale dell’assise, lo scorso 18 aprile, il presidente dell’episcopato, il card. Ricardo Blázquez Pérez, ha ricordato le vittime del terremoto che ha colpito l’Ecuador. “Chiediamo al  Signore – ha detto - l’eterno riposo per le centinaia di persone decedute, supplichiamo per la pronta guarigione dei feriti e per le famiglie e per le persone colpite da questa catastrofe”. Un pensiero è anche andato all’Ucraina in risposta all’appello di Papa Francesco di realizzare, domenica 24 aprile,  una colletta in tutte le Chiese cattoliche dell’Europa a beneficio della popolazione di questa nazione. La Conferenza episcopale spagnola ha annunciato un contributo di 300 mila euro per la Campagna “Con il Papa per l’Ucraina”. In questa iniziativa sono coinvolte tutte le diocesi della Spagna, insieme alle organizzazioni caritatevoli e assistenziali della Chiesa. 

La Cee, primo frutto del Concilio Vaticano II
La Conferenza episcopale spagnola è nata il 1° marzo del1966, appena tre mesi dopo la chiusura del Concilio Vaticano II; la sua costituzione ha significato non solo la nascita di un organismo amministrativo e collegiale, ma anche e soprattutto l’istituzione di “uno strumento per realizzare – scrivono i vescovi nel loro messaggio – il dettato conciliare per il quale le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini del nostro tempo, soprattutto dei poveri e dei più deboli, sono le stesse dei discepoli di Cristo”. Il messaggio ricorda poi le difficoltà nell’accogliere gli insegnamenti conciliari in un “momento di effervescenza ideologica, dove non mancavano polarizzazioni e contrapposizioni in seno alla Chiesa stessa”. Partendo da questo scenario storico, i vescovi hanno ripercorso le indicazioni dei diversi magisteri dei Papi, partendo dal Beato Paolo VI, passando per San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI per poi ribadire la loro completa adesione all’attuale magistero di Papa Francesco. “Vogliamo assecondare il suo rinnovato appello ad una vera conversione pastorale - si legge nel testo - mostrando a tutti il volto misericordioso di Dio attraverso il nostro impegno evangelizzatore”.

50 anni di storia della Spagna
Il messaggio della Conferenza episcopale ricorda che, nell’arco di 50 anni di storia, il Paese ha avuto un cambiamento di regime politico, l’istaurazione di un sistema democratico costituzionale, lo sviluppo di pluralismi, un maggiore risalto della diversità delle comunità autonome e l’irruzione di correnti di pensiero e di modelli di vita differenti, così come lontani dalla tradizione cristiana. Davanti a queste sfide, i presuli affermano che con “un permanente spirito di servizio” hanno potuto realizzare “come Pastori un discernimento della situazione morale della nazione e  delle sue istituzioni per mantenere una costante presenza della Chiesa in una società in costante trasformazione”.

Incoraggiare la presenza dei cattolici nella vita pubblica
Nel messaggio viene inoltre ribadita, la libertà della Chiesa ad agire nella società secondo la propria identità, “stimolando la presenza dei cattolici nella vita pubblica, la carità politica e la dimensione sociale della fede con l’obiettivo di difendere la giustizia, la vita umana, l’uguaglianza di tutti, il vero matrimonio, la famiglia e il diritto dei genitori nell’educazione dei propri figli”.

Omaggio a Paolo VI
​Tra le iniziative per celebrare questo anniversario, l’episcopato ha annunciato la presentazione degli ultimi due volumi della collana dedicata ai documenti della Conferenza episcopale spagnola. Inoltre, si sta lavorando alla realizzazione di due congressi organizzati dalla Biblioteca di Autori Cristiani, dalla Pontificia Università di Salamanca e dalla Fondazione Paolo VI. Uno avrà come tema l’importanza istituzionale delle Conferenze episcopali, mentre l’altro sarà un omaggio alla figura di Paolo VI ed al suo rapporto con la Spagna. Per quest’ultimo, si auspica la presenza del card. Pietro Parolin, Segretario di Stato Vaticano. (A cura di Alina Tufani)

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Zambia: Chiesa condanna le violenze xenofobe e chiede la pace

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Una ferma condanna delle violenze xenofobe e un forte appello alla pace: così la Conferenza episcopale in Zambia (Zec) commenta gli scontri avvenuti negli ultimi giorni nella capitale, Lusaka. Almeno 62 negozi di proprietà di persone rwandesi, infatti, sono stati saccheggiati durante i tumulti che hanno riguardato nove quartieri tra i più poveri della città.

Crimini rituali all’origine delle violenze
I disordini erano iniziati in precedenza, quando tra la popolazione locale si è sparsa la notizia che i rwandesi erano coinvolti in alcuni crimini rituali avvenute in città.  Nelle ultime settimane, infatti, almeno sette persone sono state uccise, e parti del loro corpo sono state asportate a mo’ di amuleti porta-fortuna, soprattutto nel campo degli affari. La polizia locale ha arrestato oltre 250 persona, ma il clima rimane teso.

Promuovere la cultura della pace
“Condanniamo ogni forma di violenza, sia essa omicidio, saccheggio o distruzione di proprietà altrui – dichiara, in un’intervista all’agenzia cattolica Canaa, padre Cleophas Lungu, segretario generale della Zec – Chiediamo sforzi congiunti per promuovere una cultura della pace. Dal suo canto, “la Chiesa – sottolinea il religioso – sarà sempre pronta a compiere atti di misericordia e di carità, come avvenuto già dopo il genocidio del Rwanda del 1994, quando la Chiesa in Zambia ha accolto numerosi seminaristi rwandesi che non avevano potuto completare la loro formazione in patria”.

Abbattere i muri dell’odio ed accogliere gli stranieri
Pertanto, continua padre Lungu, “esortiamo la popolazione ad imitare Papa Francesco nell’abbattere i muri dell’odio che portano alla violenza, evitando la filosofia dell’indifferenza ed accogliendo gli stranieri nella società, nelle famiglie e nelle comunità cristiane”. D’altra parte, la Zec sottolinea che “non si può ignorare l’impatto che gli alti livelli di povertà, disoccupazione e costo delle materie prime” hanno sul popolo. Tutto questo, naturalmente “non giustifica comportamenti violenti”, ma richiama comunque la necessità di “trovare soluzioni sostenibili per le attuali sfide sociali ed economiche”.

Autorità civili facciano il possibile per porre fine agli scontri
​Nell’ottica del Giubileo della Misericordia, inoltre, il segretario generale dei vescovi ricorda l’accoglienza offerta dalla Chiesa zambiana agli stranieri: “Una parrocchia, ad esempio, ha ospitato oltre 50 vittime di xenofobia e numerosi fedeli e persone di buona volontà hanno offerto loro cibo ed indumenti caldi”. Di qui, il richiamo finale alle autorità civili affinché siano “più proattive e facciano tutto il possibile per porre fine a tali tendenze” xenofobe. (I.P.)

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India: ordinati 2 sacerdoti nella terra dei cristiani perseguitati

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Con l’ordinazione sacerdotale di due diaconi nel villaggio di Bamunigam, il distretto di Kandhamal, in Orissa, ha ora 12 sacerdoti al servizio della comunità cristiana. Si tratta del numero più elevato in tutto lo Stato indiano, ed è indicativo di un fatto importante: le violenze dei pogrom anti-cristiani del 2008 non hanno frenato lo vocazioni. La consacrazione dei due sacerdoti - riferisce l'agenzia AsiaNews - è avvenuta il 20 aprile scorso nella parrocchia di Nostra Signora di Lourdes. 

Presenti all'ordinazione oltre 1.000 cattolici, 35 sacerdoti e 50 suore
Mons. John Barwa, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, ha ordinato padre Pritam Singh e padre Bhanja Kishore Singh alla presenza di oltre 1.000 cattolici, 35 sacerdoti e 50 suore. Padre Pritam appartiene alla Indian Missionary Society della provincia di Varanasi, mentre padre Kishore Singh si è formato nell’arcidiocesi di Cuttack-Bhubaneswar. Entrambi lavorano ad Alanjuri, in una delle missioni della parrocchia di Bamunigam.

In Orissa le violenze contro i cristiani non hanno scoraggiato le vocazioni
Il villaggio conta ora sei sacerdoti diocesani e sei religiosi, oltre a 12 suore. L’aumento delle vocazioni consacrate conferma che la comunità cristiana del distretto non si è arresa al massacro che l’ha colpita nell’estate del 2008, quando i radicali indù hanno scatenato la più feroce persecuzione in India degli ultimi 300 anni. Le violenze, protratte per quasi quattro mesi, hanno causato la morte di 101 persone e hanno costretto 75mila persone a scappare dalle proprie case e villaggi, divenendo profughi.

Le ordinazioni nel centenario della nascita del primo sacerdote diocesano in Orissa
L’ordinazione dei due sacerdoti avviene nel momento in cui la Chiesa dell’Orissa sta preparando le celebrazioni del centenario della nascita del primo sacerdote diocesano, padre Pascal Singh. Padre Pascal proveniva dallo stesso villaggio di Bamunigam ed è stato il pioniere dell’educazione nel distretto di Kandhamal, fondando la Cambridge School a Cuttack e la Vijay High School a Raikia. Padre Ajaya Kumar Singh, coordinatore delle attività sociali in Orissa, ha dichiarato a Matters India: “Egli, insieme al fratello sacerdote, ha dedicato la propria vita alle comunità emarginate. Rimane una fonte di ispirazione per tutti noi. Siamo davvero orgogliosi che dal nostro villaggio provenga un così grande numero di sacerdoti”. (S.D.)

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Pakistan: ucciso ministro Sikh amico dei cristiani

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Leader cristiani e delle minoranze del Paese hanno condannato l’uccisione di  Sardar Soran Singh, primo parlamentare sikh della provincia del Nord e ministro locale delle minoranze. Singh, 46 anni, è stato ucciso ieri sera davanti alla sua casa nel villaggio di Bacha Killay (distretto di Bruner, nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa Kpk). Uomini armati alla guida di due motociclette - riporta l'agenzia AsiaNews - si sono fermati di fronte alla sua auto e hanno aperto il fuoco uccidendo sul colpo il ministro delle minoranze. Il gruppo Tehreek-e-Taliban Pakistan ha rivendicato l’attacco. Centinaia di membri della comunità sikh ha partecipato oggi al funerale del ministro. AsiaNews aveva intervistato Singh alcune settimane fa, in occasione della riapertura di un antico tempio sikh a Peshawar, la capitale del Kpk.

Il ricordo ed il dolore del vescovo anglicano
Il vescovo anglicano della Church of Pakistan, il rev. Humphrey S. Peters, ha condannato l’uccisione. “Mi sento – ha detto - come uno a cui hanno portato via un vero amico, pieno di benevolenza. Lui amava chiamarmi ‘guru, maestro spirituale’. Due giorni dopo aver assunto l’incarico nel 2013, è venuto per chiedere una benedizione. Ai cristiani ha dato un grande sostegno. Veniva a visitarmi a casa mia almeno due volte al mese. Tre giorni prima della sua morte, mi ha chiamato per condividere con me l’idea di aprire una casa per anziani”. Per il vescovo, l’assassinio di Singh è “un fallimento del governo”.

Sardar Soran Singh era stimato anche dai musulmani
Il dott. Mimpal Singh, presidente della Guru Nanak Gee Mission, ha chiesto che le autorità arrestino subito i colpevoli. “Era un vero patriota – ha commentato. Perfino le comunità musulmane lo stimavano per il suo impegno nel welfare. Siamo colpiti dalla sua perdita”. E ha aggiunto: “I terroristi colpiscono chiunque. Non faremo proteste nelle strade, ma dobbiamo domandare al governo che ci protegga”. (K.C.)

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Caritas dell'Africa: più collaborazione per aiutare i migranti

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Riunite a Dakar, in Senegal, dal 19 al 21 aprile, le Caritas della Rete del Sahel, del Nord Africa, e dell’Europa, hanno deciso di appoggiare il principio di libera circolazione delle persone e dei beni nell’ambito della Comunità Economica degli Stati dell’Africa dell’Ovest (Cedeao). Lo ha detto, il segretario generale di Caritas Senegal padre Alphonse Seck al termine del seminario organizzato da Caritas Senegal e Secours Catholique/Caritas France sul tema “Crisi migratoria e diritti umani. Quali ruoli, quale azione per le Caritas del Sahel, dell’Africa del Nord e dell’Europa?”.

Collaborazioni tra le Caritas nazionali per aiutare i migranti
Al fine di aiutare i migranti detenuti nei Paesi d’accoglienza, si legge su All Africa, le Caritas dell’Africa dell’Ovest hanno pensato ad una stretta collaborazione ribadendo i principi della sacralità della vita umana, della solidarietà e della destinazione universale dei beni. Sarà Caritas Senegal a coordinare tale collaborazione. Nel Sahel le Caritas, invece, intendono condividere programmi per offrire assistenza nelle aree migratorie al di là dei rispettivi confini nazionali. L’obiettivo è anche quello di far fronte all’insicurezza, alle zone di conflitto e di guerra e ad organizzarsi con un’agenda complementare, capace di apportare soluzioni durevoli e di influenzare positivamente la formulazione delle politiche migratorie in Africa e in Europa.

Sinergie con le Caritas d’Europa per condividere informazioni
​Nel corso dei lavori, le reti Caritas hanno pure identificato ed adottato piste comuni per una migliore collaborazione e azione nella gestione della questione migratoria. Le Caritas dell’Africa del Nord e dell’Europa hanno inoltre offerto il loro contributo alle Caritas del Sahel per condividere informazioni utili e mirate. Intervenendo al seminario delle Caritas, mons. Benjamin Ndiaye, arcivescovo di Dakar, ha lanciato un appello ad una maggiore responsabilità nella gestione del problema della migrazione. Il presule ha poi definito l’iniziativa di Papa Francesco del 16 aprile scorso, a Lesbo, di  accompagnare a Roma, con il volo papale, 12  rifugiati siriani, “un gesto profetico assai pertinente” per l’Europa ed ha infine interpellato giovani, famiglie e autorità civili e religiose ad una maggiore sensibilità al fenomeno migratorio. (T.C.)

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Caritas Panama tra la disperazione dei 2.500 migranti cubani

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"Dal 6 al 18 aprile abbiamo visitato come Pastorale Sociale-Caritas Panama, insieme ad alcuni delegati della Caritas di David, i Centri dove si trovano i migranti cubani a Paso Canoas. Qui ci sono più di 2.000 persone in attesa di proseguire il viaggio per gli Stati Uniti d'America”. Così inizia la nota ripresa dall'agenzia Fides sulla visita della Pastoral Sociale-Caritas di Panama ai Centri di accoglienza dove sono raccolti i migranti cubani. Il problema dei migranti cubani nel Centro America si protrae dall’anno scorso, quando più di 7 mila cubani senza documenti che intendevano raggiungere gli Stati Uniti d’America, furono bloccati nei Paesi centroamericani.

Tra i migranti donne incinte e circa 80 bambini
La nota inviata a Fides prosegue: “Nel mese di gennaio si era raggiunto un accordo con il Messico per un ponte aereo grazie al quale 1.300 migranti sono riusciti a partire verso gli Stati Uniti. Tuttavia ogni giorno 50 nuovi emigranti cubani arrivano a Panama dalla Colombia e dall’Ecuador. In questo momento, ci sono circa 2.500 migranti ancora accampati al confine con il Costa Rica, tra loro ci sono donne incinte e circa 80 bambini sotto i 12 anni. I Centri sono sotto la custodia del Servicio Nacional de Fronteras (Senafront), che garantisce la sicurezza e gli alimenti, con l'aiuto della Croce Rossa panamense e dell'Ufficio nazionale e diocesano della Pastorale Sociale-Caritas”.

Mancano latte per i bambini e materiale igienico-sanitario
Perché i bambini possano bere il latte almeno 3 volte alla settimana, c'è bisogno di 700 litri di latte al mese. “Mancano pannolini usa e getta per neonati e cibo secco, assorbenti igienici e articoli da bagno in generale” sottolinea la nota.

Cresce la disperazione tra i migranti
​Grande attesa aveva suscitato la riunione degli incaricati delle migrazioni dei Paesi dell’America Centrale del 12 aprile. “Purtroppo in tale riunione non è stato raggiunto alcun accordo, così i cubani bloccati al confine non hanno prospettive per continuare il loro viaggio verso il nord” sottolinea il testo. “Molti stanno cercando di sopravvivere con lavori saltuari e qualche aiuto da parenti negli Stati Uniti. Questo loro calvario dura da diversi mesi, quindi le risorse sono quasi esaurite e cresce la disperazione. Chiediamo la solidarietà per sostenere questi fratelli" conclude la nota. (C.E.)

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Regno Unito: parlamento condanna atrocità Is, plauso dei vescovi

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Dopo il Congresso degli Stati Uniti a marzo e il Parlamento europeo a febbraio, anche la Camera dei Comuni del Regno Unito ha approvato una mozione che dichiara formalmente “genocidio” le persecuzioni e le atrocità compite dal sedicente Stato Islamico (Is) nei confronti dei cristiani, degli yazidi e delle altre minoranze in Medio Oriente. La seconda parte della risoluzione chiede al Governo di presentare un’istanza al Consiglio di Sicurezza  dell’Onu per portare i crimini commessi da Daesh e i responsabili davanti alla Corte penale internazionale. La misura è passata all’unanimità il 20 aprile.  

La tragedia in atto in Medio Oriente  richiede la nostra attenzione e azione
La notizia viene salutata con soddisfazione dal card. Vincent Nichols, presidente della Conferenza episcopale inglese e gallese. “La tragedia siriana e in Medio Oriente  richiede la nostra attenzione e azione”,  afferma in una nota il primate inglese.  “Innanzitutto - si legge nel testo - occorre fermare la violenza e questo richiede l’aiuto della comunità internazionale. In secondo luogo,  occorre disinnescare tutti gli ordigni esplosivi improvvisati (Ied)  e le bombe per rendere le aree colpite sicure. Sarà poi necessario ricostruire le case e le infrastrutture. Infine, sarà necessario nel lungo termine impegnarsi per ricostruire la fiducia nelle comunità”. “Tutti passi che - sottolinea il card. Nichols - richiederanno tempo, risorse e un impegno comune dei popoli del Medio Oriente e della comunità internazionale”

Il riconoscimento del genocidio perpetrato da Daesh un passo importante
Concetti espressi nei giorni scorsi dal Declan Lang, presidente dell’Ufficio per gli affari internazionali della Conferenza episcopale, che in un articolo pubblicato su “The Catholic Universe” ha evidenziato che il riconoscimento formale del genocidio perpetrato da Daesh è un passo importante, ma che intanto occorrono un‘azione concreta per liberare le aree da esso controllate e per sostenere i rifugiati e l’impegno per ricostruire le comunità locali.  (L.Z.)

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Gattegna: Pesach-25 aprile, la libertà è un ponte fra i popoli

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In occasione della festa di Pesach e in vista delle celebrazioni del 25 aprile il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha diffuso il seguente messaggio ripreso dall'agenzia Sir: “Cari amici, in queste ore le famiglie ebraiche di tutto il mondo si preparano ad accogliere la festa di Pesach, con il suo straordinario carico di messaggi e insegnamenti. Pesach è, forse più di ogni altro appuntamento, il simbolo di una tensione costante volta alla conquista del bene più prezioso di tutti: la libertà”. 

Le parole ‘Ricordati che sei stato schiavo in Egitto’ hanno un valore universale
“‘Ricordati che sei stato schiavo in Egitto’, ci insegnano i testi della Tradizione e i nostri Maestri – prosegue Gattegna – . Parole che accompagnano da sempre la plurimillenaria storia ebraica e che hanno un valore non esclusivo, ma universale. Soprattutto in un periodo in cui il tema della libertà – negata, anelata, da conquistare – ci sollecita così intensamente come individui e come collettività”. Per il presidente del Ucei “celebrare Pesach significa quindi guardare alle sofferenze degli altri, a chi vive in quest’epoca il proprio Egitto, a chi cerca nella nostra Europa libera, pacificata e democratica una nuova speranza. Significa dare opportunità e diritti, e al tempo stesso pretendere il rispetto di tali conquiste. Celebrare Pesach è anche ferma difesa dei valori e memoria storica delle circostanze che hanno permesso la realizzazione di questa nuova era di opportunità. Valori irrinunciabili, che il 25 aprile riaffermeremo con orgoglio sfilando dove possibile accanto alle insegne della Brigata Ebraica”. 

La libertà è impegno costante, un ponte tra i popoli
“La suggestiva concomitanza di questi due eventi – Pesach e Festa della Liberazione – è un’opportunità da non mancare – conclude Renzo Gattegna -. Perché la libertà è impegno costante, un ponte tra i popoli. E perché la libertà la si difende tutti insieme, facendo fronte comune, nel segno dei valori che ci uniscono. Con buona pace degli odiatori che, immancabilmente, come ogni anno in questo periodo, cercano di riscrivere la storia, i protagonisti, i diversi nessi di causa. Se ne facciano una ragione: il 25 Aprile non è la loro festa. Pesach Kasher Ve Sameach”. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 114

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