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Sommario del 25/04/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa a Villaggio per la terra: create amicizia nei deserti del mondo

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“Mai, mai girarsi per non vedere il conflitto”, il male. Al contrario, andare nei deserti dove l’umanità soffre per trasformarli in “foresta”. È la sostanza del messaggio che Papa Francesco ha voluto lasciare ai partecipanti al “Villaggio per la terra”, la manifestazione che si chiude oggi, dopo quattro giorni, al Galoppatoio di Villa Borghese a Roma, organizzata da "Earth Day Italia" e dal Movimento dei Focolari di Roma. Francesco l’ha visitata a sorpresa nel pomeriggio di ieri. Il servizio di Alessandro De Carolis

Un pomeriggio in un “Villaggio” speciale, costruito per quattro giorni nel cuore di Roma per mostrare il volto nascosto della Città eterna, quello che ogni giorno tesse senza clamore reti di solidarietà e di convivenza, con iniziative spesso troppo piccole per attirare l’occhio dei media ma che sono piccoli mattoni dell’edificio della civiltà. E Papa Francesco ha apprezzato lo stile di vita di questo Villaggio, dov’è arrivato poco prima delle 17 subito risucchiato dall’affetto delle circa 3.500 persone presenti, mentre le note del “Gen Verde”, la band dei Focolari, gli davano il benvenuto.

Il deserto diventa foresta
Ad accogliere il Papa c’erano la presidente e il copresidente dei Focolari, Maria Voce e Jesus Moran – oltre ai responsabili romani del Movimento, Antonia Testa e Donato Falmi – e il presidente di “Earth Day Italia”, Pierluigi Sassi. Sorridendo e stringendo mani, Francesco ha guadagnato il palco e dopo aver ascoltato alcune testimonianze si è rivolto a braccio alle migliaia di persone che in questi giorni hanno partecipano all’esperienza della Mariapoli e alle iniziative legate alla Giornata per la terra:

“Sentendovi parlare, mi sono venute alla mente due immagini: il deserto e la foresta. Ho pensato: questa gente, tutti voi, prendono il deserto per trasformarlo in foresta. Vanno dove c’è il deserto, dove non c’è speranza, e fanno cose che fanno diventare foresta questo deserto. La foresta è piena di alberi, è piena di verde, ma troppo disordinata… ma così è la vita! E passare dal deserto alla foresta è un bel lavoro che voi fate. Voi trasformate deserti in foreste!”

Chi non rischia non capisce la realtà
Le esperienze offerte poco prima al Papa avevano disegnato la mappa di una Roma con le maniche rimboccate in una solidarietà a tutto campo: dalla prossimità ai detenuti, alla lotta al gioco d’azzardo, al dialogo interreligioso, all’educazione ambientale per i giovani, ai minori non accompagnati. “Il deserto è brutto – ha ripetuto Francesco – sia quello che è nel cuore di tutti noi, sia quello che è nella città, nelle periferie”. Ma “non bisogna avere paura della vita”, né dei “conflitti”:

“Una volta qualcuno mi ha detto  (…) che le parola conflitto nella lingua cinese è fatta da due segni: un segno che dice ‘rischio’ e un altro segno che dice ‘opportunità’. Il conflitto, è vero, è un rischio ma è anche una opportunità (...) Chi non rischia, mai si può avvicinare alla realtà: per conoscere la realtà, ma anche per conoscerla col cuore, è necessario avvicinarsi. E avvicinarsi è un rischio, ma anche un’opportunità”.

Il tempo dell’amicizia sociale
“Vi dò un compito da fare a casa”, ha detto sorridendo il Papa ai presenti: guardate “la faccia delle persone” per la strada – la loro preoccupazione, la mancanza di sorriso e di tenerezza – e siate costruttori dell’“amicizia sociale”:

“Dove non c’è l’amicizia sociale sempre c’è l’odio, la guerra. Noi stiamo vivendo una terza guerra mondiale ‘a pezzi’, dappertutto. Guardate la carta geografica del mondo e vedrete questo. Invece, l’amicizia sociale tante volte si deve fare con il perdono – la prima parola – col perdono. Tante volte si fa con l’avvicinarsi: io mi avvicino a quel problema, a quel conflitto, a quella difficoltà…”

Gli adoratori del denaro, i condannati alla fame
E c’è anche un’altra cosa – ha concluso Francesco – che ha a che fare col gioco, con lo sport e anche con l’arte: è la gratuità”. L’amicizia sociale, ha detto, “si fa nella gratuità”:

“È una parola, gratuità, da non dimenticare in questo mondo, dove sembra che se tu non paghi non puoi vivere, dove la persona, l’uomo e la donna, che Dio ha creato proprio al centro del mondo, per essere pure al centro dell’economia, sono stati cacciati via e al centro abbiamo un bel dio, il dio denaro. Oggi al centro del mondo c’è il dio denaro e quelli che possono avvicinarsi ad adorare questo dio si avvicinano, e quelli che non possono finiscono nella fame, nelle malattie, nello sfruttamento… Pensate allo sfruttamento dei bambini, dei giovani”.

“Gratuità è la parola-chiave”, è stata l’eredità di Francesco alla Mariapoli, al Villaggio per la terra. “Gratuità che fa sì che io dia la mia vita così com’è”, per far sì “che questo deserto diventi foresta”.

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Villaggio per la terra: Papa ci ha donato entusiasmo e speranza

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Le parole del Papa sono state accolte con gratitudine e con l’entusiasmo di chi con impegno vuole proseguire sulla strada della costruzione di una civiltà basata sul rispetto, la gratuità e la solidarietà, cercando di trasformare la diversità in ricchezza e non in pericolo. Così nelle parole degli organizzatori del "Villaggio per la terra", Antonia Testa per il Movimento dei Focolari e Pierluigi Sassi di "Earth Day Italia". Con loro tra il pubblico anche l'Imamdi Trieste Nader Akkad, in rappresentaza del dialogo interreligioso che tanta parte ha avuto nel Villaggio di Villa Borghese, Sentiamo le loro voci al microfono di Gabriella Ceraso

R. – Per me stare lì, accanto al Santo Padre, guardare Roma dalla sua prospettiva mi ha cambiato per sempre! Mi ha detto e mi ha ripetuto ancora oggi: “Lavora, senza paura! Avvicinati a tutto quello che Dio ti pone davanti. Lo puoi far diventare foresta”.

D. – Amicizia sociale contro le guerre e le diversità che ci fanno paura. E’ un po’ il messaggio anche di questi giorni?

R. – Io penso che con lui lo ho abbiamo guardato. Guerre, divisione, negativo: ci sembra che ci venga addosso, che ci voglia schiacciare e abbattere. Ma non è cosi! L’amicizia sociale che lui ci ha testimoniato, appunto, è perché la vedeva qui, in mezzo a noi. Lui non è solo: noi vogliamo essere con lui e vogliamo poter gridare che la guerra non può avere l’ultima, il negativo non può avere l’ultimo.

R. – Il Papa ci ha indicato una vita e ci ha detto: “Non abbiate paura delle difficoltà. E’ lì che si costruisce una foresta; forse disordinata, ma piena di vita”.

D. – Gratuità e vicinanza. Sono cose che si sono vissute e si stanno vivendo in questo Villaggio…

R. – Sì. Questo Villaggio ha voluto offrire soprattutto una esperienza di condivisione, che deve convincerci ad andare avanti verso la sostenibilità del Pianeta. Questa non può non passare per il rispetto dell’uomo, per la centralità dell’uomo.

D. – Il Papa ha anche indicato un pochino la strada quando ha detto: “E’ rischioso sì, ma c’è anche una opportunità nell’andare incontro agli altri”…

R. – Che dire? Noi abbiamo veramente provato ad aprire un dialogo con tante diversità. Questo sforzo, vederselo premiato così è straordinario.

D. – Imam Nader Akkad, imam di Trieste, lei è qui a rappresentare alla Mariapoli e al "Villaggio per la Terra" il dialogo interreligioso. Cosa le è rimasto della presenza del Papa e cosa l’ha colpita delle parole di Francesco?

R. – Prima di tutto è stata una grande sorpresa! Sentire poi anche le parole dirette di Papa Francesco su come trasformare questa terra da un deserto ad una foresta piena di fiori: questo sicuramente è davvero un messaggio d’amore. Sicuramente, oggigiorno l’impegno è molto importante, specialmente nel dialogo: è l’unico mezzo che abbiamo. E questo lo ha ricordato anche Papa Francesco. Bisogna fare il dialogo senza guardare alla religione, fare dialogo con uno spessore umano, richiesto quell’amore reciproco.

D. – Il Papa ha detto: “Avvicinarsi è un rischio, ma è anche una opportunità”…

R. – Esatto, sicuramente. E poi ha detto che questa opportunità è grande e noi dobbiamo ricordare anche questo. Ha detto: “Dovete vedere in questi nuovi flussi dei rifugiati come un dono, un dono di Dio”. Penso davvero che chi la pensa in grande, lo vede come un dono di Dio.

D. – Imam, lei è stato in questi giorni, a visitare le famiglie siriane che il Papa ha portato con sé…

R. – Sì.

D. - Che impressione ha avuto di questo gesto e che cosa ha raccolto da queste famiglie?

R. – Li ho incontrati nella scuola dove stanno imparando l’italiano… Li ho incontrati e ho portato il saluto della comunità araba siriana e il benvenuto in Italia. Mi hanno raccontato: hanno raccontato di questi piccoli gesti di tenerezza e di amore che hanno percepito da Papa Francesco. Penso che questo gesto sia stato come un dono divino, perché salvare tre famiglie siriane, con i loro piccoli, da una situazione di emergenza e portarle qui, in Italia, in una terra di pace, in una terra di amore, ha fatto sì che le cose da piccole diventassero grandi. Li ha fatti credere tanto nei miracoli!

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Francesco ai carcerati: tenete accesa la luce della speranza

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"Dio vi ama sempre, non hanno importanza gli errori che avete commesso". E’ quanto scrive Papa Francesco ai detenuti della Casa circondariale di Velletri. Lo scorso 5 marzo, il vescovo di Albano, mons. Marcello Semeraro, aveva visitato il carcere di Velletri e in quell’occasione i detenuti gli avevano affidato una lettera per il Papa che ha risposto. Non lasciatevi “rinchiudere nel passato”, è l’esortazione di Francesco, “la vera misura del tempo non è quella dell’orologio”, “si chiama speranza”. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

“Vi ringrazio per aver pensato a me in mezzo alle difficoltà delle vostre situazioni di vita attuale”. Inizia così, in un modo che non ti aspetti, la lettera di Francesco ai detenuti del carcere di Velletri. E’ il Papa che ringrazia e subito sottolinea che anche lui tante volte pensa alle persone che vivono in carcere. “Per questo motivo – soggiunge – nelle mie visite pastorali domando sempre, quando ciò è possibile di poter incontrare” chi vive “una libertà limitata, per portargli l’affetto e la vicinanza”. E anche per questo ha voluto che nell’Anno Santo della Misericordia, vi fosse un giubileo dei carcerati.

La vera misura del tempo si chiama speranza
“Carissimi – scrive Francesco – voi vivete un’esperienza nella quale il tempo sembra si sia fermato, sembra non finisca mai. Ma la vera misura del tempo non è quella dell’orologio”. “La vera misura del tempo – sottolinea – si chiama speranza! Ed io desidero che ognuno di voi tenga sempre ben accesa la luce della speranza della fede per illuminare la vostra vita!” . Di qui l’esortazione a pregare il Signore perché riempia il tempo di vera speranza.

Dio ci ama nonostante gli errori che abbiamo compiuto
“Siate certi sempre – è l’incoraggiamento del Papa – che Dio vi ama personalmente, per Lui non ha importanza la vostra età o la vostra cultura, non ha importanza nemmeno che cosa siete stati, le cose che avete fatto, i traguardi che avete ottenuto, gli errori che avete commesso, le persone che abbiamo ferito”. Per questo, ribadisce, “non lasciatevi rinchiudere nel passato, anzi trasformatelo in cammino di crescita, di fede e di carità. Date a Dio la possibilità di farvi brillare attraverso questa esperienza!”

Con Cristo tutto è possibile, può capovolgere la nostra situazione
Nella storia della Chiesa, ricorda poi il Papa, “tanti Santi sono arrivati alla santità attraverso delle esperienze dure e difficili!”. Dunque, conclude la lettera, “aprite la porta del vostro cuore a Cristo, e sarà Cristo a capovolgere la vostra situazione. Con Cristo è possibile tutto ciò!”

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Papa, tweet: famiglie, non un problema ma un'opportunità

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Ognuno è chiamato a prendersi cura della vita delle famiglie: esse non sono un problema, sono un’opportunità”.

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Tagle: in Nepal a un anno dal sisma per dare impulso alla speranza

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Un anno dopo il terribile terremoto in Nepal che ha provocato oltre 9 mila morti e danneggiato le abitazioni di 8 milioni di nepalesi, una delegazione di Caritas Internationalis si riunisce nel Paese asiatico per dare un segno di speranza e solidarietà. L’organismo caritativo, negli ultimi 12 mesi, ha aiutato oltre un milione di persone, ma resta tanto da fare, mentre la ricostruzione stenta a partire come segnalato anche da un Rapporto di Caritas italiana. Alessandro Gisotti ha raggiunto telefonicamente in Nepal il presidente di Caritas Internationalis, il card. Luis Antonio Tagle: 

R. – Questa riunione della Caritas Internationalis è una manifestazione della solidarietà ai vari membri e organizzazioni della Caritas che sono rappresentati qui. Si scalda il cuore a vedere tante tante persone da ogni parte del mondo che sono venute qui per manifestare la loro solidarietà e dare speranza. Dall’aeroporto a qui ho visto tanti segni della sofferenza, però ho visto anche gente che collabora in questa riunione, che dà tanta gioia e tanta speranza. Questa è la Caritas, il cuore della Chiesa.

D. – Cosa stanno facendo Caritas Internationalis e le altre Caritas per aiutare ad accrescere questa speranza dei nepalesi, dopo il terremoto?

R. – Un movimento di solidarietà basato solo sull’amore: non c’è motivo altro che l’amore. E questi atti d’amore senza autoreferenzialità danno speranza all’umanità, specialmente a coloro che soffrono. E la speranza viene dall’incontro umano, viene dall’amore sincero. E crediamo che questa riunione darà un impulso di speranza, non solo al popolo nepalese ma a tutto il mondo.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Ma la felicità non è un’app: Il Papa celebra il giubileo dei ragazzi e chiede loro di non accontentarsi di una vita mediocre

Visita a sorpresa: in prima pagina un editoriale di Maria Voce sull’intervento di Francesco a Villa Borghese

Di Lucetta Scaraffia: Donne della parola

Il disagio dei monoteismi: Marco Vannini sui sentieri teorici e autobiografici di Jan Assmann

Il suono del corno: un articolo di Fabrizio Bisconti su genesi e significato del giubileo ebraico

Omaggio a Romero. La Festa del Teatro di San Miniato dedica il suo spettacolo di punta al martire salvadoregno di Silvia Guidi

Don Bosco feriale: Grazia Loparco sul VII volume dell’Epistolario

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Oggi in Primo Piano



Austria. Leitenberger: elezioni uno scossone per il Paese

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In Austria le elezioni presidenziali hanno fatto registrare la netta vittoria  del Partito della Libertà. Norbert Hofer, il candidato di questa formazione - considerata di estrema destra da molti osservatori - ha ottenuto il 36,4% delle preferenze. Hofer sfiderà al ballottaggio, il prossimo 22 maggio, il candidato dei Verdi, Van Der Bellen. Sul significato di questa consultazione, Amedeo Lomonaco ha intervistato Erich Leitenberger, portavoce del Consiglio Ecumenico delle Chiese in Austria: 

R. – Le elezioni presidenziali nel nostro Paese vengono considerate un terremoto. L’Austria della Seconda Repubblica deve il suo successo fondamentalmente alla Grande coalizione tra popolari e socialisti che ha garantito per decenni un continuo sviluppo economico. Ma adesso gli austriaci l’hanno punita molto chiaramente.

D. – Cosa ha influito, in particolare, sull’esito di questo voto?

R. – Una cosa sembra certa: la coalizione è stanca. Gli austriaci hanno l’impressione che tutto sia bloccato, che non si vada avanti. A questo si aggiunge l’impatto della crisi dei rifugiati. Il Partito della libertà, da anni, polemizza contro l’immigrazione. I partiti di governo hanno fatto proprio il gioco del Partito della libertà promuovendo la questione dei profughi come tema centrale della campagna elettorale. Si può dire che la crisi dei partiti tradizionali, che sussiste in molti Paesi europei da anni o da decenni, ha raggiunto anche l’Austria.

D. – Il Partito della libertà è definito una formazione di estrema destra…

R. – All’estero il Partito della libertà molte volte viene classificato come partito di estrema destra. Qui si deve essere cauti. Questo giudizio non corrisponde al cento percento alla realtà; dall’altra parte, è vero, in questo partito ci sono anche i residui del lato oscuro dell’anima austriaca conosciuto anche dai tempi più bui della storia novecentesca, opposto al lato chiaro della nostra nazione, caratterizzato tra l’altro dall’impegno umanitario magnanimo.

D. – L’esito di questo voto può rappresentare una grave ferita per l’Europa che vuole accogliere gli immigrati …

R. – Sarà un segnale che ci rende un po’ tristi. Ci sono segnali simili anche in altri Paesi e questi partiti simili al Partito della libertà, in realtà non hanno un concetto chiaro su come considerare e trattare il problema dei profughi. C’è solo l’espressione: “Non vogliamo tanti profughi”.

D. – Un emblema di questi segnali di chiusura in Austria è la barriera la Brennero che si sta costruendo proprio al confine con l’Italia …

R. – È un segnale molto negativo, anche considerando l’importanza storica del Brennero, da sempre valico tra la parte settentrionale e la parte meridionale del continente. Speriamo che questa fase di preparazione di chiusura del Brennero sia stata una manovra che si doveva vedere nel contesto delle elezioni presidenziali

D. – In questo contesto così delicato dal punto di vista politico, qual è la voce della chiesa austriaca?

R. – La voce della Chiesa cattolica, maggioritaria in Austria, è stata sempre molto chiara così come quella delle altre chiese. Naturalmente bisogna regolare l’immigrazione, bisogna cercare di avere delle regole fisse per l‘ingresso dei profughi ma, innanzitutto, la Chiesa cattolica austriaca è dalla parte del Papa che ci ha insegnato molto chiaramente che il profugo prima di tutto è un essere umano, un fratello, una sorella; bisogna trattarlo come fratello, come sorella.

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Allarme Sud Sudan. Mons. Lukudu: stiamo morendo di fame

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In Sud Sudan, si è pregato per la pace in tutte le parrocchie. Nel Paese non cessano le violenze e la situazione umanitaria è drammatica. L’iniziativa – che si è tenuta alla vigilia del possibile e annunciato ritorno a Juba del capo dei ribelli Machar – è stata promossa da mons. Paulino Lukudu Loro, arcivescovo della capitale sud sudanese. Valentina Onori lo ha intervistato: 

R. – Sono stati tre giorni di preghiera speciale per la pace del Sud Sudan: questo era previsto per l’arrivo del vicepresidente Riek Machar. L’arrivo di quest’uomo aveva messo paura alla gente e noi abbiamo voluto fare questa preghiera per calmare la situazione.

D. – La gente come ha reagito?

R. – La gente ha un po’ di paura, perché non si sa che cosa abbia in cuore quest’uomo e nemmeno cosa abbia nel cuore il governo. La gente è rimasta calma, anche se Riek Machar non è arrivato fino a questo momento.

D. – Com’è la situazione umanitaria a Juba?

R. – Non si sa cosa potrebbe capitare. Come Chiesa, certo nella situazione del Paese non c’è solo la Chiesa cattolica, ma formiamo la Chiesa ecumenica: noi siamo sempre insieme per poi aiutare anche gli altri. Sembra che la gente non riesca a capire il perché di questa situazione nel governo.

D. – Perché questo accordo tra il governo e il capo dei ribelli, Machar, fatica ad essere rispettato?

R. – Ci sono degli accordi. Di fatto, stanno seguendo gli accordi che loro stessi hanno fatto a febbraio e a marzo. In questa situazione sembra che tutti e due – sia la parte del governo sia la parte di Riek Machar – abbiano paura di se stessi. Chi soffre siamo noi, povera gente del Paese, con questa paura, con la mancanza di generi di prima necessità, la gente soffre, muore: noi stiamo morendo di fame, di tante sofferenze a causa di questa situazione. E’ un tormento per la gente in tutto il Paese, specialmente a Juba, dove siamo noi.

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Settimana vittime pedofilia. Don Di Noto: lottiamo contro indifferenza

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Giornata ieri di apertura della XX Settimana per i bambini vittime della violenza, dello sfruttamento e dell’indifferenza contro la pedofilia, promossa dall’Associazione Meter, fondata e presieduta da don Fortunato Di Noto, che ha inaugurato con una Messa nella Chiesa del Carmine di Avola, in Sicilia, le tante iniziative e tappe in Italia della manifestazione, che culminerà il primo maggio in Piazza San Pietro, con la recita del Regina Caeli insieme a Papa Francesco. Ascoltiamo don Fortunato Di Noto al microfono di Roberta Gisotti 

R. – La Giornata nacque 20 anni fa, nel ricordo solo di alcuni fatti ed episodi che erano accaduti nel nostro territorio parrocchiale. Poi con l’affermarsi poi di Internet e l’insorgere di celebrazioni dell’orgoglio pedofilo, di una cultura che voleva giustificare la normalità degli abusi sui bambini, pensammo di iniziare questa Giornata che è cresciuta – anno dopo anno – soprattutto con l’adesione forte e intensa innanzitutto di Papa Benedetto XVI ed ora di Papa Francesco, con messaggi speciali e del presidente della Repubblica, della Camera e del Senato, di enti, di associazioni, di parrocchie. Siamo arrivati al punto che la Provvidenza ci ha permesso di diffondere la preghiera - che abbiamo ogni anno - attraverso il sussidio domenicale: il primo maggio, dalla Basilica di San Pietro fino alle parrocchie che utilizzano questo sussidio liturgico, i fedeli pregheranno per questa Giornata. Questa è la dimostrazione di come  un evento nato in una periferia del Sud d’Italia sia diventato un appuntamento che ha ormai travalicato l’Italia, spostandosi anche all’estero, dalla California alla Florida, al Sudan, al Madagascar. Ci sono piccole comunità e gruppi che si fermano e pregano: Dio ascolta il grido dei piccoli e dà voce anche attraverso gli uomini di buona volontà.

D. – Don Di Noto, lei ha spesso denunciato l’indifferenza della società contro la pedofilia, tra i crimini in assoluto più odiosi; ha parlato perfino di complicità di chi non interviene per prevenire e soprattutto punire i responsabili…

R. – In effetti c’è quasi un silenzio di fronte a questi fenomeni così aberranti. Non c’è quella reazione sociale seria, forte. Facciamo quindi fatica a far passare questi messaggi importanti e positivi! Dicendo non soltanto “denunciamo il fatto”, ma anche “operiamo contro questi fatti”. C’è spesso una connivenza e anche la difficoltà nella collaborazione internazionale per intervenire di fronte a questi crimini. E’ vero che non basta la repressione di fronte a questi fenomeni, ma è necessaria anche una cultura e una sensibilizzazione: però noi siamo anche convinti che la pedofilia, la pedopornografica e lo sfruttamento sessuale dei bambini siano dei crimini contro l’umanità! Dovremmo fare delle alleanze fra gli Stati, che non siano però soltanto alleanze formali, che si riducono ad un protocollo scritto, ma che diventino un qualcosa di molto di più. Però il mondo rimane lì, assente di fronte a questo dramma…

D. – Qualche dato esplicativo della vastità del fenomeno…

R. – Pensiamo che i minori coinvolti nel mercato e nella produzione pedopornografica sono più di 10 milioni nel mondo, al di sotto dei 12 anni, imbrigliati, schiavizzati nella produzione di questo materiale da parte di adulti. Noi abbiamo un numero impressionante di bambini sfruttati e maltrattati! 223 milioni di bambini - e queste sono fonti dell’Onu - sono sfruttati sessualmente ogni anno. E l’età si abbassa sempre di più. Questo non deve aiutarci a sobbalzare nella coscienza? A dire basta a questo scempio e a far sì che si comprenda che i numeri rispondono a persone e che queste persone – che sono piccole persone – chiedono aiuto e noi dobbiamo liberarle da queste schiavitù. 

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Giornata contro la malaria. Oltre 400 mila le vittime nel mondo

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Si celebra oggi la Giornata mondiale per la lotta contro la malaria. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), solo nel 2015 sono 438 mila le persone morte a causa di questa patologia, mentre oltre 200 milioni ne sono state colpite. Infatti, nonostante negli ultimi 15 anni il tasso globale della malattia si sia ridotto del 60%, la metà della popolazione mondiale è ancora a rischio. Tra zone più colpite il continente africano e il Sudest asiatico. Ne parla Giovanni Maga, virologo al Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pavia, al microfono di Marina Tomarro

R. – La malaria oggi è ancora una delle principali cause di infezione e anche di morte, soprattutto nei Paesi delle zone povere, più sottosviluppate: parliamo quindi della fascia equatoriale, tropicale, dove soprattutto è diffusa la zanzara che è il veicolo di trasmissione di questo parassita – il plasmodio – che poi infetta le cellule del sangue e quindi causa la patologia. Anche se sono più di 100 anni che conosciamo le dinamiche di trasmissione di questo parassita, ancora oggi abbiamo una certa difficoltà a controllare la diffusione della malattia. Esistono farmaci efficaci sia per la profilassi sia per la terapia, ma il fatto che sia trasmessa da una zanzara rende difficile il contenimento di questa infezione.

D. – A che punto è la ricerca, adesso?

R. – Ci sono ovviamente delle apertura molto interessanti, dal punto di vista dello sviluppo di nuovi farmaci sempre più efficaci, si sta cercando anche di sviluppare un possibile vaccino… Il problema è che questo parassita è un protozoo, quindi un essere vivente più complesso di un batterio. Oggi, da un lato c’è la ricerca dal punto di vista farmacologico, dall’altro si cerca di trovare strategie per il controllo dei vettori, perché ovviamente se si riuscisse a limitare la diffusione della zanzara soprattutto in ambienti urbani, si potrebbe abbattere notevolmente il numero delle nuove infezioni. Così come è importantissimo lavorare sul miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie, sul rifornimento di acqua potabile, sull’utilizzo di acquedotti invece di andare a prendere l’acqua ai pozzi… La lotta alla malaria passa non solo dalla scienza, ma soprattutto da un miglioramento delle condizioni di vita e delle infrastrutture dei Paesi colpiti.

R. – Quali sono i modi migliori per prevenire questa malattia, allora?

R. – Chiaramente, per una persona che si rechi per turismo o per lavoro nelle zone in cui la malaria è endemica, ci sono i protocolli di profilassi che quindi possono proteggere la persona per un limitato periodo di tempo in cui si troverà esposta alla zanzara. Ma per le persone che vivono in quei posti, chiaramente la prima cautela è quella di utilizzare sistemi di protezione come le reti antizanzare, gli insetticidi, i repellenti ma soprattutto – nel lungo periodo – educare e creare le condizioni perché non si conservino quantità d’acqua nei vasi che possono essere un incubatore per le uova delle zanzare. Per cui la protezione, ovviamente, passa nel cercare di proteggersi dai morsi degli insetti con le tecniche normali, ma anche nel migliorare la qualità della vita e le strutture urbane dei Paesi colpiti.

D. – Ma si riuscirà davvero a debellarla per sempre, secondo lei?

R. – Secondo me, l’unico strumento che potrebbe di fatto bloccare completamente la diffusione della malattia è un vaccino preventivo. Quindi, secondo me è possibile limitare molto di più la diffusione della malattia di quanto sia oggi, nell’attesa di avere poi lo strumento principe per poter proteggere le popolazioni su larga scala. E questo è un passaggio non facile proprio in considerazione dei Paesi che sono coinvolti, perché oltre a sviluppare le strategie, bisogna poi anche applicarle e renderle efficaci in condizioni che purtroppo ancora oggi dal punto di vista socioeconomico sono molto fragili.

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Presidente Enea: per tutela ambiente occorre impegno individuale

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La salvaguardia dell’ambiente impegna tutti gli Stati. Il recente accordo di Parigi sottolinea la necessità di politiche per la riduzione della temperatura globale. Ma la tutela del clima passa anche attraverso il comportamento di ogni individuo. Lo sottolinea l’Enea, l’agenzia italiana per le nuove tecnologie, che, accanto agli studi sulle energie rinnovabili, porta avanti il concetto di “efficienza energetica”. In che modo le famiglie possono partecipare al miglioramento ambientale? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Federico Testa, presidente dell’Enea: 

R. –Se non si ha consapevolezza dei consumi non si interviene. Quindi avere gli strumenti per misurare aiuta certamente a costruire quella mentalità, che è prodromica poi a poter fare le cose. Abbiamo tantissime cose da fare: la voce del consumo energetico per le famiglie è ancora un dato importante e bisogna capire se riusciamo a fare un passo che ci consenta di affrontare l’efficienza energetica dove  fino ad oggi si è riuscito a fare poco.

D. – L’efficienza energetica è proprio il leit-motiv che Enea ha sposato in questi ultimi anni, questo sia che si guardi alle energie rinnovabili, sia che si guardi ancora ai consumi derivanti dal fossile …

R. – Assolutamente sì, anche perché sull’efficienza energetica abbiamo la possibilità di consolidare filiere produttive industriali, che possono creare reddito e occupazione nel nostro Paese, quindi avere una ricaduta più generale su quello che è lo stato della nostra economia, cosa che non sempre è successa e che certamente non è successa in maniera adeguata con le tecnologie che abbiamo usato negli anni più recenti, rispetto alle quali eravamo debitori verso altri Paesi.

D. – C’è un filo conduttore tra l’attività a tutela dell’ambiente di ogni Stato e il concetto di ecologia integrata di cui Papa Francesco ha parlato nell’enciclica Laudato sì …

R. – Assolutamente sì. Noi dobbiamo accedere ad un’idea di sostenibilità che sia un po’ più ampia di quella che ci portiamo dietro dal passato, dove la sostenibilità è un tema certamente di tutela, di rispetto dell’ambiente, di convivenza nell’ambiente, di rispetto per le future generazioni – come ha detto il Pontefice nell’Enciclica – ma è anche un tema di sostenibilità economica, cioè di aiuto alle famiglie che devono vedere ridotti i loro costi, rendere le imprese più competitive, fare in modo che la pubblica amministrazione, che vive le ristrettezze che tutti noi sappiamo legate ai vincoli di bilancio, possa ridurre significativamente i suoi costi, perché in tal modo si fa bene all’ambiente e nel contempo si risparmia.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria: città a maggioranza cristiana bombardata dai jihadisti

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Milizie islamiste legate al gruppo qaidista Jabhat al Nusra hanno sferrato nella giornata di ieri un attacco a colpi di mortaio sulla città siriana a maggioranza cristiana di Sqelbiya, nella provincia centrale di Hama, provocando la morte di almeno quattro civili. Lo riferiscono fonti curde, riprese dall'agenzia Fides. Alle vittime vanno aggiunti almeno quindici feriti, alcuni dei quali versano in gravi condizioni. L'attacco è avvenuto con il lancio fitto di colpi di mortaio, caduti a pioggia sui quartieri residenziali. La città, sotto il controllo dell'esercito governativo, già in passato aveva subito attacchi da parte dei miliziani jihadisti, che hanno provato più volte a prenderne il controllo, senza mai riuscirci.

Ad Hassakè regge la tregua tra esercito governativo e miliziani curdi
Intanto, nella provincia siriana nord orientale di Hassakè regge la tregua tra esercito governativo e miliziani curdi delle Unità di protezione popolare (Ypg), raggiunta sabato scorso dopo i sanguinosi scontri esplosi da mercoledì 20 aprile soprattutto nella città di Qamishli. Rappresentanti delle milizie curde, interpellati dall'agenzia Ara News, hanno riaffermato l'intenzione di mantenere il controllo delle aree conquistate durante gli scontri, e il rifiuto di fare qualsiasi concessione al governo di Assad. Gli stessi esponenti curdi hanno accusato il regime di aver costretto le popolazioni civili locali a creare dei gruppi paramilitari “di autodifesa” sottoposti all'esercito governativo, usando soprattutto sui dipendenti pubblici forme di ricatto come la sospensione dello stipendio o l'allontanamento forzato dal posto di lavoro.

Dietro la tragedia siriana si muovono strategie e interessi complessi
L'aprirsi di un nuovo fronte di conflitto tra milizie curde e esercito di Assad nella Siria nord-orientale conferma che dietro la tragedia siriana si muovono strategie e interessi complessi, che non possono essere ridotti allo scontro con i jihadisti del sedicente Stato Islamico (Daesh). Secondo fonti locali, nei tre giorni di scontri tra le milizie curde e l'esercito governativo sono morti 17 civili, 10 miliziani curdi e 31 tra soldati governativi e paramilitari pro regime. (G.V.)

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Terremoto in Ecuador: mancano acqua, cibo e beni di prima necessità

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Continua a salire il bilancio delle vittime del terremoto che poco più di una settimana fa ha colpito l’Ecuador: oltre 710 tra morti e dispersi. Tra i 16.600 feriti, alcuni sono ancora in gravi condizioni. Il bilancio è sempre più grave. Lo ha riferito il Segretariato Nazionale per la Gestione del Rischio. Il Governo ha dichiarato lo stato di emergenza in 6 province: Esmeraldas, Manabí, Santa Elena, Guayas, Santo Domingo e Los Ríos. Mancano acqua, cibo e beni di prima necessità. 

Alto il tasso di mortalità delle persone disabili
Nelle emergenze, il tasso di mortalità delle persone con disabilità è doppio rispetto al resto della popolazione. Le ragioni vanno ricercate nella difficoltà o impossibilità di accedere agli avvisi di emergenza, ai rifugi, nella perdita o il danneggiamento degli ausili che permettono loro di muoversi (come bastoni, carrozzine ecc...), nell’aumentata difficoltà di accedere agli aiuti umanitari di base. Tra le iniziative a favore dei più vulnerabili colpiti da questa calamità, la onlus Cbm Italia che si è attivata in collaborazione con i suoi partner locali. 

Disabili, anziani e categorie vulnerabili ricevono beni di prima necessità
Dal giorno del terremoto gli operatori di Cbm sono al lavoro per far sì che le persone con disabilità e le loro famiglie, ma anche le persone anziane e le altre categorie vulnerabili, ricevano acqua, cibo, medicine, riparo e ausili motori. “In particolare nella provincia di Esmeraldas il nostro partner Ovci Nostra Famiglia, che lavora a stretto contatto con il Governo, si occupa di produrre e importare dispositivi e ausili motori, come sedie a rotelle e stampelle. In queste ore gli operatori sono al lavoro per distribuire acqua, cibo e kit di prima necessità”, si legge nel comunicato inviato all’agenzia Fides da Cbm. (A.P.)

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Pakistan: ragazza cristiana rapita e costretta a nozze islamiche

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Aiutare sua figlia, vittima di sequestro, matrimonio e conversione forzata all’islam: è la richiesta di Sarwar Masih, cristiano pakistano che si è rivolto all’avvocato Sardar Mushtaq Gill, a capo dalla Ong “Lead” (Legal Evangelical Association Development), impegnata a offrire assistenza gratuita ai cristiani vittime di abusi. La ragazza, Laveeza Bibi, di 23 anni, è stata rapita il 14 aprile da due musulmani che hanno fatto irruzione, armati di pistole, in casa della famiglia di Sarwar Masih, nel distretto di Kasur, in Punjab, prendendo la ragazza e minacciando i genitori. Uno dei rapitori Muhammad Talib ha costretto la ragazza a sposarlo.

La polizia riluttante a registrare la denuncia del padre della ragazza
Masih - riferisce l'agenzia Fides - si è recato immediatamente alla stazione di polizia locale, ma la polizia si è mostrata riluttante a registrare una denuncia ufficiale (First Information Report). Del caso si è interessato anche il Pastore Saleem Masih, insieme con l’avvocato Gill. Solo dopo l’intervento dei due, la polizia ha registrato la denuncia contro Talib.

Alle ragazze rapite è negata la tutela legale dei diritti individuali
“Nel mese di aprile abbiamo avuto esperienza, solo nell’area di Kasur, di cinque casi di ragazze cristiane rapite e convertite all'Islam, e costrette a sposare i loro aguzzini. A queste ragazze è negata del tutto la tutela legale dei diritti individuali”, spiega l’avvocato Gill a Fides. E il fenomeno continua ad avere proporzioni inaccettabili, con circa mille casi l'anno registrati e molti che non denunciati. L’Ong “Lead” continuerà a ad agire e a sensibilizzare sulla discriminazione e violenza subita in Pakistan in particolare dalle donne delle minoranze religiose cristiane e indù, le più vulnerabili e indifese, soggette a soprusi spesso impuniti. (P.A.)

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In aumento nel mondo le gravidanze delle adolescenti

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Per la prima volta quest’anno è stata celebrata, in Italia, la Giornata della salute della donna con l’obiettivo di valorizzare la prevenzione e difendere il ruolo fondamentale che le donne rivestono nella famiglia e nella comunità, in Italia come in ogni Paese del mondo. Nei suoi sette Paesi di intervento, Medici con l’Africa Cuamm ogni giorno aiuta le donne a diventare madri. 

Nell'Africa sub-sahariana sono 120 milioni le ragazze costrette a sposarsi prima dei 18 anni
Sempre più spesso il Cuamm si trova ad assistere ragazze molto giovani alle prese con gravidanze prima dei 18 anni, che devono sopportare gravi ripercussioni sociali, psicologiche e fisiche. Stando ai dati - si legge nel comunicato inviato dal Cuamm all’agenzia Fides - le gravidanze in età adolescenziale sono in aumento a livello mondiale. Più di 16 milioni di ragazze in tutto il mondo diventano madri in un’età compresa dai 15 ai 19 anni e altrettante quelle che hanno la loro prima gravidanza sotto i 15 anni. Un fenomeno legato anche a matrimoni obbligati. Infatti, nei Paesi dell’Africa a sud del Sahara sono quasi 120 milioni le ragazze costrette a sposarsi prima dei 18 anni.

In Mozambico si registra il 48,2% dei matrimoni prima dei 18 anni
Le situazioni di emergenza e crisi, come avvenuto in Sierra Leone durante l’epidemia di Ebola, possono portare conseguenze sulle ragazze più giovani. Da uno studio recente del Cuamm è emerso che il 31% delle complicanze ostetriche registrate nel distretto di Pujehun, dove l’organizzazione lavora dal 2012, riguarda ragazze tra i 13 e i 19 anni. Nel caso del Mozambico, si registra il 48,2% dei matrimoni prima dei 18 anni. 

Il Cuamm promuove l'educazione alla salute
​Proprio per far fronte alla scarsa o nulla educazione sessuale, il Cuamm in collaborazione con le autorità locali e nazionali, sostiene 6 ambulatori specifici per giovani adolescenti. Si chiamano Saaj - Servicios Amigos dos Adolescentes e si rivolgono alla popolazione compresa tra i 10 e i 14 anni, al fine di migliorare l'educazione alla salute, offrire consulenze sulla salute riproduttiva e sessuale degli adolescenti, fornire visite in gravidanza pre e post natale, educare circa la cura dell’Hiv. (A.P.)

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Parrocchie ortodosse russe: per Pasqua raccolta firme contro l’aborto

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Alla vigilia della Pasqua ortodossa, il 30 aprile, si terrà in tutte le parrocchie ortodosse in Russia una raccolta di firme per la difesa dell’embrione e per il divieto di aborto. Secondo quanto riporta Interfax, l’iniziativa è appoggiata dal confessore del Patriarca di Mosca, lo starec Ilya (Nozdrin) ed è promossa dal movimento “Per la vita”, che conta di raccogliere in ogni parrocchia diverse migliaia di firme. Il giorno della vigilia di Pasqua - riferisce l'agenzia AsiaNews - le chiese saranno piene di fedeli che arrivano per la tradizionale consacrazione di dolci e uova. “Per ora abbiamo raccolto 200mila firme, ma il nostro obiettivo è arrivare a un milione”, ha detto lo starec Ilya. L’appello a cancellare l’aborto dalla lista di pratiche coperte dal sistema sanitario pubblico, è stato sostenuto più volte dallo stesso Patriarca Kirill.

La Russia è tra i primi Paesi al mondo per percentuali di aborti
Numerose donne partoriscono e abbandonano il figlio direttamente all’ospedale. Fino a due anni fa, per la Russia si parlava di ‘coma demografico’, dal 2014 la situazione sembra essere flebilmente migliorata. Lo Stato ha realizzato una serie di provvedimenti che stimolano i genitori ad avere più di un figlio. Tra questi, il  programma del “capitale materno” che prevede un sussidio una tantum per la nascita del secondo e dei successivi figli. Nella sua politica per la ripresa demografica, il governo conta molto sull’appoggio della Chiesa ortodossa che gestisce 29 Centri di crisi per le donne incinte e le madri single con bambini. L’anno scorso, oltre 5.500 donne hanno ricevuto in questi Centri qualche tipo di assistenza.

Dopo il crollo dell’Urss il calo demografico è diventato inarrestabile
L’Unione sovietica è stato il primo Paese nel 1920 a legalizzare l’aborto, bandito di nuovo da Stalin (dal 1936 fino alla sua morte nel 1954) interessato a incentivare le nascite. Allo stesso scopo, il Partito comunista ha poi elargito riconoscimenti e denaro alle coppie più prolifiche, ma subito dopo il crollo dell’Urss il calo demografico è diventato inarrestabile: dal 1992 al 2008 la popolazione è scesa di oltre 12 milioni di individui fino a circa 143 milioni. Le Nazioni Unite prevedono che per il 2050 la Russia perderà un quinto della sua popolazione, arrivando a 116 milioni. Il fenomeno è dovuto a una dieta alimentare povera che provoca problemi di cuore, all’alto tasso di alcolismo tra gli uomini, alla diffusione dell’Hiv/Aids e all’elevato numero di morti violente. (N.A.)

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Mozambico: vescovi indicono Giornata di preghiera per la pace

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Una Giornata di preghiera per la pace è stata indetta dalla Conferenza episcopale del Mozambico (Cem) per domenica 22 maggio, festa della Santissima Trinità. La decisione dei presuli è stata resa nota nel comunicato finale dell’Assemblea plenaria, svoltasi in questi giorni. Nel documento, i vescovi chiedono anche che le collette raccolte il 22 maggio siano devolute alla Caritas, affinché aiuti la popolazione.

Grave crisi politica devasta il Paese
Da diverso tempo, infatti, il Paese si trova in una situazione difficile a causa di una grave crisi politica che vede contrapposti il Frelimo, l’attuale partito al potere, e la Renamo, ovvero l’ex movimento di guerriglia divenuto il principale partito d’opposizione. A causa dei combattimenti tra i due schieramenti, molti abitanti del Mozambico si sono rifugiati nel confinante Malawi. “Rinnoviamo la nostra solidarietà a tutte le persone del Mozambico che continuano a soffrire a causa di questo clima di guerra – scrivono i vescovi nella loro nota – Come Chiesa, non siamo legati ad alcun partito politico, ma siamo in favore delle persone, specialmente di quelle più povere, le più colpite da questa guerra assurda”.

Cercare insieme la via della pace
Ribadendo, quindi, la loro volontà di “cercare insieme la via della pace”, i vescovi chiedono insistentemente il cessate-il-fuoco e un “dialogo efficace” tra le parti, che “coinvolga anche la società” civile. In quest’ottica, il governo e l’opposizione vengono spronati a “mettere in atto misure concrete” per porre fine alle ostilità e permettere, così, la ripresa della vita normale nel Paese”, ormai “semi-paralizato”.

Un Paese semi-paralizzato
Drammatica, infatti, la situazione dello sviluppo locale ricordata dalla Cem: “Nessun investimento, nessun aiuto da altri Paesi, indebolimento costante del turismo, mancanza di sicurezza negli spostamenti, 36mila bambini e giovani senza accesso allo studio, 11mila mozambicani rifugiati in Malawi, crollo dell’economia”. “Dove vogliamo arrivare?” è l’inquietante domanda posta dai presuli.

Mai più la guerra! Lavoriamo per la pace!
​Dialogo e riconciliazione nazionale, dunque, sono gli strumenti richiamati dalla Chiesa per promuovere la pace, con l’auspicio che venga messo davvero in atto l’accordo generale di pace siglato a Roma nel 1992 tra il governo di Maputo ed i ribelli della Resistenza nazionale mozambicana. “Le guerre del passato sono costate la vita ad oltre un milione di abitanti – scrivono i presuli – Mai più la guerra! In nome di Dio, lavoriamo per la pace!”. Infine, la Cem affida la popolazione alla Vergine Maria, Regina della pace. (I.P.)

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Vescovi Quebec: messaggio per la Festa del lavoro

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Salvaguardare la dignità umana di fronte alla “quarta rivoluzione industriale” provocata dallo sviluppo della tecnologia: questo, in sintesi, l’appello dei vescovi del Quebec nel loro tradizionale messaggio per la Festa dei lavoratori, che ricorre il 1.mo maggio. Nel documento, siglato dal Consiglio episcopale “Chiesa e società” che si occupa di giustizia sociale e diritti umani, i presuli si soffermano sulla rivoluzione tecnologica dell’epoca contemporanea ed, in particolare, sul suo impatto nella vita dei lavoratori.

Cambiamenti tecnologici hanno conseguenze sul bene comune
“I cambiamenti tecnologici attuali – si legge nel testo – hanno delle conseguenze sul bene comune, sul lavoro, sulla distribuzione del reddito e sulla coesione sociale”. Di qui, l’urgenza di porsi alcune domande essenziali: “Le macchine rimpiazzeranno gli uomini? Ed anche se non li rimpiazzeranno, provocheranno un cambiamento nei loro salari e sulla disparità di reddito?”. Rispondere a tali quesiti è importante, sottolinea la Chiesa del Quebec, “perché non si tratta solo di sostituire il lavoro umano con quello di una macchina, ma anche di riconfigurare i modelli stessi di produzione e di distribuzione”.

Il lavoro è parte del senso della vita sulla terra
Citando, poi, quanto scritto da Papa Francesco nell’Enciclica “Laudato si’ sulla cura della Casa comune”, i vescovi ribadiscono che “non si deve cercare di sostituire sempre più il lavoro umano con il progresso tecnologico: così facendo l’umanità danneggerebbe sé stessa. Il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale”. (n. 128). Al fine, quindi, di diminuire il più possibile gli effetti deleteri dei cambiamenti tecnologici sulla vita dei lavoratori, i vescovi del Quebec auspicano che la società intera si mobiliti attorno ad “un progetto di educazione e formazione” atto a preservare la dignità dei lavoratori “di fronte alle conseguenze negative che la nuova fase dello sviluppo tecnologico provoca sul mondo del lavoro”.

Puntare sullo sviluppo del capitale umano
E qui i presuli fanno alcuni esempi: il telefono cellulare che, grazie ad alcune app, permette di monitorare la propria salute; le automobili che si guidano da sole; l’uso di stampanti in 3D che possono produrre beni in piccole serie. Tutti cambiamenti, spiegano i presuli, che richiedono “una strategia digitale”. Cosa fare dunque? La risposta della Chiesa del Quebec è chiara: puntare sullo sviluppo del capitale umano, favorendo l’occupazione, una migliore distribuzione dei redditi e, di conseguenza, la coesione sociale, “senza remare contro questa nuova fase di sviluppo tecnologico” e senza dimenticare “il dovere di aiutare e tutelare i più vulnerabili e tutti coloro che non sono in grado di seguire questi cambiamenti”.

Tre soluzioni concrete. Primo: educazione di qualità
Nel dettaglio, i presuli indicano tre soluzioni concrete. La prima riguarda la formazione, ovvero “formare meglio le persone affinché siano soggetti, e non meri oggetti, degli sviluppi tecnologici”, e possano “realizzare ed esprimere la propria creatività attraverso il lavoro”. Il che significa – spiegano ancora i vescovi – puntare su un’educazione di qualità, combattere la dispersione scolastica, permettere la formazione professionale continua sul posto di lavoro, accompagnare le famiglie a valorizzare le competenze di ciascuno dei loro membri.

Secondo: implementare l’occupazione. Terzo: favorire imprese locali
La seconda soluzione punta ad implementare ed a facilitare l’assunzione dei lavoratori di alcuni settori particolari, come quello giovanile. La terza soluzione, infine, suggerisce di “favorire l’emergere di imprese locali e di strutture decisionali di prossimità, promuovendo un’economia che favorisca la diversità produttiva e la creatività imprenditoriale”. Naturalmente, sempre facendo in modo che “la dignità di ogni persona venga rispettata”, così da “mantenere la coesione sociale”.

Ciascuno contribuisca alla vita della società
​Tali soluzioni, conclude la Chiesa del Quebec, non spettano solo ai governanti, bensì rappresentano “un progetto collettivo, ampio e multiforme che prevede l’impegno di tutti”: governo, istituzioni educative, formatori, imprese. “Si tratta, in ultima analisi – concludono i vescovi – di permettere ad ogni persona di contribuire, con il suo lavoro, alla vita della società, concretizzando le sue potenzialità emettendo a frutto ciò che Dio ha riposto in tutte le cose”. (A cura di Isabella Piro)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 116

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.