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Sommario del 26/04/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: il clericalismo deforma la Chiesa, i laici sono protagonisti

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“La Chiesa non è una élite di sacerdoti” e lo Spirito Santo “non è solo ‘proprietà’ della gerarchia ecclesiale”, che deve sempre “incoraggiare” e “stimolare” gli sforzi che i laici compiono per testimoniare il Vangelo nella società. Papa Francesco ha voluto contribuire con una lettera al cardinale Marc Ouellet, presidente della Pontifica Commissione per l’America Latina, al lavoro svolto all’inizio di marzo dall’organismo proprio “sull’indispensabile impegno dei laici nella vita pubblica” dei Paesi latinoamericani. Il servizio di Alessandro De Carolis

“Non è mai il pastore a dover dire al laico quello che deve fare e dire, lui lo sa tanto e meglio di noi. Non è il pastore a dover stabilire quello che i fedeli devono dire nei diversi ambiti”. È netto come d’abitudine, Papa Francesco, nel riaffermare dove si trovi il punto di equilibrio del rapporto prete-laico cristiano e nel mettere a fuoco le “tentazioni” del clero che, spostando talvolta questo equilibrio, inducono in errori e alimentano derive.

Nella lettera al cardinale Ouellet, Francesco parla dei laici latinoamericani, anche se il valore delle sue considerazioni è chiaramente universale. Una delle “deformazioni più grandi” del rapporto sacerdote-laico, denuncia, è il “clericalismo” che, annullando da un lato “la personalità dei cristiani” e sminuendo “la grazia battesimale”, finisce dall’altro per generare una sorta di “élite laicale”, per cui i laici impegnati sono “solo quelli che lavorano in cose ‘dei preti’”. Senza rendercene conto, insiste, “abbiamo dimenticato, trascurandolo, il credente che molte volte brucia la sua speranza nella lotta quotidiana per vivere la fede”. E queste sono “le situazioni che il clericalismo non può vedere, perché è più preoccupato a dominare spazi che a generare processi”.

Invece, sottolinea il Papa, anzitutto mai dimenticare che la “nostra prima e fondamentale consacrazione affonda le sue radici nel nostro Battesimo. Nessuno è stato battezzato prete né vescovo. Ci hanno battezzati laici ed è il segno indelebile che nessuno potrà mai cancellare”. E poi, stare in mezzo al gregge, in mezzo al popolo: ascoltarne i palpiti, fidarsi della “sua memoria” e del suo “olfatto”, confidando che “lo Spirito Santo agisce in e con esso, e che questo “Spirito non è solo ‘proprietà’ della gerarchia ecclesiale”. Questo, avverte Francesco, “ci salva” da certi slogan che “sono belle frasi ma che non riescono a sostenere la vita delle nostre comunità. Per esempio – dice – ricordo “la famosa frase: ‘È l’ora dei laici’ ma sembra che l’orologio si sia fermato”.

“La Chiesa – prosegue ancora Francesco – non è una élite dei sacerdoti, dei consacrati, dei vescovi”, ma “tutti formiano il Santo Popolo fedele di Dio” e dunque, scrive, “il fatto che i laici stiano lavorando nella vita pubblica” significa per vescovi e sacerdoti “cercare il modo per poter incoraggiare, accompagnare” tutti “i tentativi e gli sforzi che oggi già si fanno per mantenere viva la speranza e la fede in un mondo pieno di contraddizioni, specialmente per i più poveri, specialmente con i più poveri. Significa, come pastori, impegnarci in mezzo al nostro popolo e, con il nostro popolo, sostenere la fede e la sua speranza”, promuovendo “la carità e la fraternità, il desiderio del bene, della verità e della giustizia”.

“È illogico, e persino impossibile – rimarca ancora il Papa – pensare che noi come pastori dovremmo avere il monopolio delle soluzioni per le molteplici sfide che la vita contemporanea ci presenta”. “Non si possono dare direttive generali per organizzare il popolo di Dio all’interno della sua vita pubblica”. Al contrario, indica, “dobbiamo stare dalla parte della nostra gente, accompagnandola nelle sue ricerche e stimolando quell’immaginazione capace di rispondere alla problematica attuale”. Per la sua “realtà” e “identità”, perché “immerso nel cuore della vita sociale, pubblica e politica”, dobbiamo riconoscere – soggiunge Francesco – che il laico ha bisogno di nuove forme di organizzazione e di celebrazione della fede”.

Al clericalismo che pilota, uniforma, fabbrica “mondi e spazi cristiani”, va opposta – asserisce Francesco – la cura della “pastorale popolare”, tipica dell'America Latina, perché, “se ben orientata”, è “ricca di valori”, di una “sete genuina” di Dio, di “pazienza”, di “senso della croce nella vita quotidiana, di “dedizione” e capace di “generosità e sacrificio fino all’eroismo”. “Nel nostro popolo – ricorda – ci viene chiesto di custodire due memorie. La memoria di Gesù Cristo e la memoria dei nostri antenati”. “Perdere la memoria è sradicarci dal luogo da cui veniamo e quindi non sapere neanche dove andiamo”. Quando “sradichiamo un laico dalla sua fede, da quella delle sue origini; quando lo sradichiamo dal Santo Popolo fedele di Dio, lo sradichiamo dalla sua identità battesimale e così lo priviamo della grazia dello Spirito Santo”. “Il nostro ruolo, la nostra gioia, la gioia del pastore – conclude – sta proprio nell’aiutare e nello stimolare, come hanno fatto molti prima di noi, madri, nonne e padri, i veri protagonisti della storia. Non per una nostra concessione di buona volontà, ma per diritto e statuto proprio. I laici sono parte del Santo Popolo fedele di Dio e pertanto sono i protagonisti della Chiesa e del mondo; noi siamo chiamati a servirli, non a servirci di loro”.

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Papa nomina nuovo arcivescovo dell'Avana: lascia il card. Ortega

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Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi cubana di San Cristóbal de La Habana presentata dal cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino, per raggiunti limiti di età. Gli succede mons. Juan de la Caridad García Rodríguez, finora arcivescovo della diocesi cubana di Camagüey.

Il cardinale Ortega lascia la guida dell’arcidiocesi dell’Avana dopo ben 35 anni. Compirà 80 anni il prossimo 16 ottobre. Quindi è rimasto in carica quasi 5 anni oltre il limite dei 75. E’ stato un vero protagonista della storia della Chiesa cubana. Ha accolto nell’isola caraibica ben tre Papi come arcivescovo dell’Avana: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Ha vissuto anni difficili: come sacerdote è stato internato in un campo di lavoro nel 1966, ma non ha mai rinunciato allo spirito del dialogo, dando il suo contributo al disgelo tra Cuba e Stati Uniti. Ha promosso l’impegno dei laici cattolici, soprattutto dei giovani, in un tempo in cui la Chiesa aveva poche possibilità di movimento. Ha creato nuove parrocchie, ricostruito oltre quaranta chiese, ha avviato la Caritas cubana e ha lavorato per le vocazioni al sacerdozio. Il bollettino mensile arcidiocesano «Aquí la Iglesia», da lui promosso, è stato uno dei primi fogli cattolici dell’era castrista.   

Il nuovo arcivescovo, mons. García Rodríguez, è nato in Camagüey l’11 luglio 1948. Ha compiuto gli studi filosofici e teologici nel Seminario di "San Basilio de El Cobre" e nel Seminario Maggiore "San Carlos y San Ambrosio" di La Habana. È stato ordinato sacerdote il 25 gennaio 1972. Ha esercitato dapprima il ministero sacerdotale nella parrocchia di Morón ed in quella di Ciego de Avila. È stato quindi parroco di Jatibonico e di Morón e vicario per la pastorale dell'allora Vicaria di Ciego-Morón. Nel 1989 è stato nominato parroco di Florida. È stato anche fondatore e direttore della Scuola per missionari della diocesi di Camagüey. È stato nominato vescovo titolare di Gummi di Proconsolare e ausiliare di Camagüey il 15 marzo 1997, ed ha ricevuto l'ordinazione episcopale il 7 giugno successivo. Il 10 giugno 2002 è stato nominato arcivescovo di Camagüey.

Sempre oggi, il Santo Padre ha accettato la rinuncia all’ufficio di vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di San Cristóbal de La Habana, presentata da mons. Alfredo Víctor Petit Vergel, per raggiunti limiti di età.

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Altre nomine pontificie

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Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Hermosillo (Messico), presentata da S.E. Mons. Ulises Macías Salcedo, in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Il Papa ha nominato Arcivescovo Metropolita dell’arcidiocesi di Hermosillo (Messico) S.E. Mons. Ruy Rendón Leal, finora Vescovo di Matamoros. S.E. Mons. Ruy Rendón Leal è nato a Ciudad de Cadereyta de Jiménez, arcidiocesi di Monterrey, il 27 ottobre 1953. Ha compiuto gli studi ecclesiastici nel Seminario di Monterrey ed è stato ordinato sacerdote l’8 settembre 1979. Ha conseguito la Licenza in Teologia Biblica presso l’Università Gregoriana di Roma. Ha svolto il suo ministero presbiterale in diversi campi di apostolato. È stato nominato Vescovo Prelato della prelatura territoriale di El Salto il 28 settembre 2005, ricevendo la consacrazione episcopale il 30 novembre successivo. Il 16 luglio 2011, è stato trasferito alla sede di Matamoros.

Il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Mzuzu (Malawi) il Rev.do P. John Alphonsus Ryan, Missionario della St. Patrick’s Society (Kiltegan), Docente all’Università di Mzuzu. Il Rev.do P. John Alphonsus Ryan, S.P.S. è nato il 27 febbraio 1952 a Tipperary, arcidiocesi di Cashel and Emly, in Irlanda. Dopo gli studi primari e secondari è entrato nella Società di St. Patrick – Kiltegan. Nel 1971, dopo un anno di spiritualità a County Wicklow, ha iniziato gli studi filosofici presso l’Istituto all’University of Cork, Douglas, e nel 1974 quelli di Teologia presso l’Istituto di Kiltegan a County Wicklow. È stato ordinato sacerdote il 18 giugno 1978. Dopo l’ordinazione ha svolto i seguenti incarichi: 1978-2005: St. Paul’s Parish a Mzimba (Mzuzu); St. Stephan’s a Kapuro (Mzuzu); St. Mathias’ Parish a Misuku (Mzuzu) e Docente nella Scuola Secondaria Community Day a Misuku (Mzuzu); Docente nel Seminario minore di St. Patrick a Rumphi (Mzuzu); studi in matematica in Irlanda coronati con il dottorato; 2005-2011: Cappellano delle Sisters of the Holy Rosary a Katete; dal 2000: Cappellano e docente di matematica dell’Università Cattolica di Mzuzu, Assistente nella parrocchia St. Augustine e associate outstations; Membro del Collegio dei Consultori.

Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Springfield-Cape Girardeau (U.S.A.) S.E. Mons. Edward M. Rice, finora Vescovo titolare di Sufes ed Ausiliare di Saint Louis (U.S.A.). S.E. Mons. Edward M. Rice è nato a Saint Louis, Missouri, nell’arcidiocesi omonima, il 28 luglio 1960. Ha svolto gli studi ecclesiastici presso “Cardinal Glennon College” e il “Kenrick-Glennon Seminary” a Saint Louis. È stato ordinato sacerdote il 3 gennaio 1987 per l’arcidiocesi di Saint Louis. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha svolto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale della “Our Lady of Presentation Parish” a Overland (1987-1991) e della “Saint Mary Magdalen Parish” a Saint Louis (1991-1994); Insegnante alla “Saint Mary High School” a Saint Louis (1991-1994); Assistente Direttore (1994) e poi Direttore (1995-2000) del “Cardinal Glennon College”; Parroco della “Saint John the Baptist Parish” a Saint Louis (2000-2008); Vicario Foraneo della “South City Deanery” (2005-2008); Direttore delle vocazioni sacerdotali (2008-2010); Direttore ad interim dell’ufficio arcidiocesano per la Vita Consacrata (2009-2010). Il 1° luglio 2008 è stato nominato Cappellano di Sua Santità. Nominato Vescovo titolare di Sufes ed Ausiliare di Saint Louis il 1° dicembre 2010, ha ricevuto la consacrazione episcopale il 13 gennaio 2011.

Il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Palencia (Spagna) il Rev.do Manuel Herrero Fernández, O.S.A., finora Vicario Generale della diocesi di Santander. Il Rev.do Manuel Herrero Fernández, O.S.A., è nato il 17 gennaio 1947 a Serdio-Val de San Vicente, provincia di Cantabria, diocesi di Santander. E’ entrato nel Seminario minore San Agustín a Palencia per gli studi medi. Poi ha compiuto i corsi di Filosofia e i primi di Teologia nel Monastero Agostiniano di Santa María de la Vid, Vid (Burgos). Ha completato gli studi di Teologia dapprima presso lo Estudio teológico Agustiniano di Valladolid, ed in seguito nel Monastero di San Lorenzo de El Escorial (Madrid). Ha conseguito il Baccalaureato in Teologia presso la Pontificia Università di Comillas, Madrid, e la Licenza in Teologia Pastorale presso la Pontificia Università di Salamanca, sede di Madrid (1972-1974). Ha emesso i voti solenni nell’Ordine Agostiniano il 25 ottobre 1967. È stato ordinato sacerdote il 12 luglio 1970 ed ha ricoperto poi i seguenti incarichi: Formatore nel Collegio Seminario agostiniano a Palencia; Direttore spirituale presso il Colegio Nuestra Sra. del Buen Consejo, Madrid; Parroco della parrocchia Nuestra Sra. de la Esperanza y Santa Ana, Madrid; Delegato del Vicario per le Religiose, Vicaria III, Madrid (1976-1984). È ritornato alla diocesi di Santander nel 1985 dove è stato Delegato episcopale per la Caritas; Professore del Seminario diocesano di Monte Corbán, Santander, e Delegato episcopale per la Vita Consacrata. Nel 1995 è ritornato a Madrid dove ha compiuto gli incarichi di Consigliere Provinciale per la Pastorale delle Vocazioni e Coordinatore della Commissione Provinciale per la Pastorale e le Vocazioni; Professore di Pastorale nei Centri Teologici agostiniani di El Escorial e di Los Negrales (Madrid) fino al 1999 in cui, ritornato a Santander, è stato Vicario Generale per la Pastorale e dal 2002 Vicario Generale e Moderatore della Curia diocesana fino ad oggi. È stato Amministratore diocesano dal 22 dicembre 2014 al 30 maggio 2015.

Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico in Bahrein e negli Emirati Arabi Uniti S.E. Mons. Francisco Montecillo Padilla, Arcivescovo titolare di Nebbio, Nunzio Apostolico in Kuwait e Delegato Apostolico nella Penisola Arabica.

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Papa presiede Veglia con esposizione reliquiario della Madonna delle lacrime

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Asciugare i volti rigati dalle lacrime di una sofferenza fisica o spirituale portando consolazione e speranza: questo lo scopo della Veglia di preghiera per “asciugare le lacrime”, presieduta da Papa Francesco il 5 maggio prossimo alle ore 18 nella Basilica di San Pietro. Consolare gli afflitti, una delle sette opere di misericordia spirituale, è il cuore di questo grande evento giubilare rivolto a tutti, ma in particolare a coloro sentono dal più profondo il bisogno di una parola che dia sostegno, forza e consolazione.

In occasione della Veglia, sarà esposto alla venerazione dei fedeli nella Basilica di San Pietro il reliquiario della Madonna delle lacrime di Siracusa, legato al fenomeno prodigioso accaduto tra il 29 agosto ed il primo settembre del 1953, quando un quadretto di gesso, raffigurante il cuore immacolato di Maria, nella casa di una giovane coppia di sposi, Angelo Iannuso e Antonina Giusto, versò lacrime umane. Il reliquiario contiene parte delle lacrime scaturite miracolosamente dall'immagine della Madonna.

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Papa, tweet: apriamo i nostri sepolcri per far entrare Gesù

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Apriamo al Signore i nostri sepolcri sigillati – ognuno di noi li conosce – perché Gesù entri e porti vita”.

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Nota Sala Stampa su sospensione attività di revisione affidata alla PwC

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La sospensione delle attività di revisione dei bilanci vaticani affidata alla PricewaterhouseCoopers (PwC) “non è dovuta a considerazioni circa l'integrità o la qualità del lavoro avviato dalla PwC, tanto meno alla volontà di uno o più enti della Santa Sede di bloccare le riforme in corso”. E’ quanto afferma un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede, che precisa: sono emersi “elementi che riguardano il significato e la portata di alcune clausole del contratto e le sue modalità di esecuzione. Tali elementi verranno sottoposti ai necessari approfondimenti. La decisione di procedere in questo modo è stata presa dopo appropriate consultazioni tra le istanze competenti e con esperti in materia. Si auspica che tale fase di riflessione e di studio possa svolgersi in un clima di serenità e di collaborazione. L'impegno di una adeguata attività di revisione economico-finanziaria per la Santa Sede e per lo Stato della Città del Vaticano rimane prioritario”.

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Medicina rigenerativa: specialisti in Vaticano dal 28 aprile

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“Il progresso della medicina rigenerativa e il suo impatto culturale": è questo il tema della terza Conferenza internazionale in programma in Vaticano dal 28 al 30 aprile prossimi. L’approccio sarà interdisciplinare: l’obiettivo è far dialogare senza pregiudizi sulla ricerca cellullare, medicina, tecnologia, fede e cultura per rispondere al meglio alle esigenze di cura e di speranza dei malati. Il focus principale sarà la cura delle malattie rare. L’organizzazione è affidata al Pontificio Consiglio della Cultura e a diversi partner, tra cui la Fondazione "Stem for life". Venerdì prossimo, il programma prevede l’incontro del Papa con i partecipanti. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

La soglia, l'ambito, entro il quale si muove il convegno in Vaticano è il dialogo portato avanti tra scienza e fede e ormai giunto a due consapevolezze, ha sottolineato il cardinale Gianfranco Ravasi presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, e cioè che la conoscenza umana non si esaurisce nella mera conoscenza scientifica e che per spiegare la creatura umana occorre anche il contributo di psicologia, filosofia e spiritualità:

“Questo incontro diventa veramente un invito a ricordare che la medicina non è solo - nonostante il titolo - una questione cellulare, biologica: è una questione culturale, antropologica”.

L’assetto sarà dunque dialogico, la tematica scientifica: al centro le malattie rare, ben 6.000 nel mondo, e le condizioni debilitanti dei pazienti che ne soffrono, circa 300 milioni, con le loro famiglie. "Un’emergenza globale" che non ha la giusta attenzione, dice don Tomasz Trafny, direttore del Dipartimento scienza e fede del Pontificio Consiglio per la Cultura. Noi, ha sottolineato, "vogliamo mostrare i progressi della ricerca e dare un messaggio di speranza proprio in quell’ambito di ricerca eticamente accettabile e consono ai nostri valori":

"Noi ci impegniamo per presentare ciò che è accessibile: un orizzonte di ricerca che riguardi le malattie oncologiche, diabete, alcune terapie cellulari, per far vedere che la scienza veramente progredisce in maniera significativa. Moltissimi relatori vogliono dialogare tra di loro, per trovare le migliori soluzioni possibili, ma tutto ciò nella cornice della ricerca adeguata agli standard della nostra etica, della nostra sensibilità e alti valori. C’è  un numero enorme di ricerche, di protocolli di ricerca - decine di migliaia - che non suscitano alcun problema etico o morale e che possono essere applicate nelle strutture ospedaliere o nei percorsi di cura, senza alcun problema".

Ma "nel convegno", ha aggiunto don Tomasz Trafny, "vogliamo anche sfidare visioni scientifiche che non corrispondono al perimetro del nostro codice etico, senza polemiche o posizioni apodittiche":

"Ci si aspetta molto di più dalla ricerca fatta sulle cellule staminali adulte, perché ci sono moltissimi trial clinici e moltissime applicazioni che sono state sviluppate rispetto a quelle embrionali. Quindi, il nostro obiettivo non è polemizzare, ma è il dialogo e un messaggio di speranza per individuare i punti forti”.

Dunque, "empatia" prima parola chiave del Convegno, secondo gli organizzatori, insieme con il potenziamento della ricerca e con la garanzia dell'accessibilità alle cure, per non lasciare nessuno senza speranza. A questo proposito, sono enormi negli ultimi anni i progressi registrati nella cura cellulare dei tumori e delle malattie rare, ha spiegato la dottoressa Robin Smith, presidente della Fondazione "The Stem for Life":

"It’s to foster dialogue between science and faith…
Siamo qui per promuovere il dialogo tra scienza e fede e aiutare la gente a comprendere i progressi della medicina che fa uso di cellule del proprio corpo… Immaginatevi se, invece di trattare i sintomi, fossimo capaci di aiutare il corpo a combattere queste malattie e curarle…Ci sono oltre 30 mila test clinici in corso, trattati con la terapia delle cellule. Stiamo imparando a raccogliere tutte le informazioni sui genomi, tutti i dati personali, i monitoraggi della salute delle persone fatto lungo gli anni… Ecco, quando avremo raccolto tutte le informazioni, potremo determinare quali sotto-ceppi di malattie ci sono e quale sia il modo migliore di trattarli. Adesso c’è grande interesse per l’immuno-oncologia: cioè, rigenerare il sistema immunitario, mettendolo in condizione di aggredire le cellule che potrebbero essere cancerogene, un settore questo di grande interesse".

Il programma dei tre giorni di lavoro prevede come tematiche generali: la speranza dei nostri figli, le scoperte cellulari e tecnologiche nella cura del cancro, le frontiere cellulari tra ricerca, regolamenti e finanziamenti.

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Padre Lombardi: il mio ricordo di Papa Wemba, voce dell’Africa

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Un grande musicista che ha messo i suoi talenti al servizio della sua Africa. Il mondo della musica e non solo piange la scomparsa prematura di Papa Wemba, icona musicale africana, definito il “re della rumba congolese”. L’artista è morto domenica scorsa all’età di 66 anni, proprio mentre si esibiva in un evento culturale in Costa d’Avorio. Cristiano impegnato, Papa Wemba trasformò in musica il messaggio che Benedetto XVI voleva offrire all’Africa con il Sinodo continentale. Ecco il ricordo che ne dà il direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi, al microfono di padre Jean Pierre Bodjoko

R. – Ho un ricordo molto bello, molto piacevole, amichevole e direi anche di gratitudine vera per lui perché ha collaborato con noi durante belle iniziative che abbiamo fatto insieme ai programmi per l’Africa della Radio Vaticana nel contesto dell’ultimo Sinodo continentale dei vescovi per l’Africa. Era un Sinodo, come forse si ricorderà, dedicato al tema “Giustizia, pace e riconciliazione”. Noi siamo convinti che per far passare un messaggio per il popolo africano non basta un lungo documento, molto bello, articolato e dei grandi discorsi; ci vuole una canzone, ci vogliono delle canzoni che facciano passare un messaggio che poi rimane spontaneamente nella memoria e nel cuore, che si ricanta dentro di sé per la strada. Abbiamo cercato degli artisti africani che avessero la sensibilità di tradurre in canzoni questo messaggio della pace, della riconciliazione e della giustizia anche in modo semplicissimo. Papa Wemba ha risposto con molta disponibilità, quindi è venuto per un concerto che abbiamo preparato qui all’Auditorium della Conciliazione – era pieno di gente, c’erano quasi tutti i vescovi partecipanti al Sinodo africano, una serata bellissima – e molto probabilmente era l’artista africano principale che ha preso parte a questo concerto cantando, mettendo a disposizione generosamente la sua presenza e la sua arte molto spontanea.

D.- Dopo il concerto, anche un cd…

R.- Continuando sulla stessa linea, abbiamo preparato un cd che si chiama “Africa Tenda Amani” che in swahili vuol dire “Pace e riconciliazione”. Questo cd contiene canzoni fatte da Papa Wemba e da altri artisti africani sempre sui temi del sinodo e l’abbiamo mandato a tutte le diocesi africane proprio come strumento per far passare nella vita, attraverso il canto, il messaggio della pace e della riconciliazione. Infine, ha preso parte ad un concerto che abbiamo organizzato a Cotonou la sera in cui arrivava Benedetto XVI in Benin per promulgare, per pubblicare e diffondere il documento “Africae Munus”, quello che portava il messaggio del sinodo in Africa. Quindi tre grandi e belle iniziative, tutte con un certo filone: portare attraverso la canzone il messaggio della pace, della riconciliazione per il popolo africano. Un artista molto noto, molto amato dalla gente; era certamente un testimonial particolarmente efficace per questa iniziativa. Poi abbiamo avuto anche naturalmente la possibilità di fargli incontrare, insieme a sua moglie, il Santo Padre in occasione di un udienza. Mi ricordo la sua gioia per questo incontro che fu sostanzialmente il grande “compenso” che noi demmo per la sua partecipazione, generosa e disponibile, alla nostra iniziativa. Lo ricordo come una persona molto amabile, affabile, semplice, cordiale che sembrava veramente contenta di mettere a disposizione la sua arte di un grande ideale al servizio della Chiesa.

D. - Di Papa Wemba ricorderemo sempre che ha fatto questo servizio come cristiano. La sua voce, soprattutto per gli africani, era importante per dare modo di ascoltare in mondo più semplice i temi della giustizia, della riconciliazione a coloro che non sanno leggere …

R. - Certamente.  Credo che questa valga un po’ in tutte le culture. Le forme per far passare efficacemente un messaggio sono molte e la musica, come vediamo ad esempio per i giovani, è particolarmente importante. Ma nella cultura africana una musica che diventa ritmo, che si fonde veramente con la vita, è estremamente importante; credo sia più efficace per far passare in profondità un messaggio di una parola scritta e concettualmente articolata, anche se l’una e l’altra sono necessarie.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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E' l'ora dei laici: in una lettera al card. Marc Ouellet il Papa scrive che tuttavia l'orologio sembra essersi fermato

Anche nelle situazioni difficili: Reinhard Marx sull'Esortazione apostolica "Amoris laetitia"

Segno dei tempi: Prosper Grech sulle migrazioni dei popoli

Quando i neonati contano: Carlo Maria Polvani su modelli matematici e quesiti filosofici

Un mito non muore mai: Charles de Pechpeyrou sulla mostra parigina dedicata a James Bond

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Oggi in Primo Piano



Oxfam: sostenere le donne per ridurre la fame nel mondo

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Sono quasi 800 milioni le persone affamate nel mondo. Vere e proprie emergenze si registrano oggi in Malawi ed Etiopia. Oxfam-Italia lancia una campagna (24 aprile-9 maggio) sul motto "Sfido la fame" incentrata sul rapporto “Donne, cibo e cambiamento climatico”. Se le donne avessero gli stessi diritti degli uomini - sostiene - si potrebbero ridurre di 150 milioni i denutriti nel mondo. Roberta Gisotti ha intervistato Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam-Italia: 

D. – Dott. Barbieri, le donne possono, dunque, giocare un ruolo chiave per contrastare la fame?

R. – Sì, possono giocare un ruolo chiave per contrastare la fame, perché sono prima di tutto le principali attrici dell’agricoltura. Gran parte delle donne, infatti, lavorano nel campo agricolo e sono anche, però, tra gli agricoltori più vulnerabili. Sono quelle, quindi, che più di altri soffrono gli effetti della povertà e del cambiamento climatico. Questo perché avviene? Perché le donne non hanno accesso spesso ai normali fattori della produzione: non hanno accesso al credito; non hanno, in alcuni Paesi, diritto alla titolarità della terra, come invece avviene per gli uomini. Secondo la nostra stima, se le donne avessero questa pari opportunità, sarebbero in realtà il migliore investimento per le comunità. La fame, infatti, si potrebbe ridurre di circa il 19 per cento. 150 milioni di persone, quindi, potrebbero uscire dalla fame, grazie all’incremento di produttività delle donne. E sappiamo anche che un dollaro dato in mano ad una donna ha un effetto molto più rilevante per l’istruzione dei figli, per la salute dei figli rispetto alla stessa quantità di risorse guadagnate da un uomo.

D. – Una campagna volta a raccogliere fondi per quali Paesi? Tra quelli in maggiore emergenza sappiamo è il Malawi, dove è stato dichiarato lo stato di calamità nazionale per la siccità, e poi diversi altri in Africa…

R. – Sì, una campagna di raccolta fondi - con sms, lo ricordo, al 45509 – per sostenere programmi concreti per le donne in Africa, soprattutto in Sudan, in Etiopia, in Tanzania, ma anche in Marocco e in Tunisia, che diano strumenti concreti, come sementi, formazione, accesso al credito e anche – quello che è più importante – un sostegno alle organizzazioni contadine, perché cambino le regole del gioco per le donne, perché le donne possano avere strutturalmente accesso a quei fattori della produzione che spesso a loro sono negati.

D. – In realtà, sono decenni che le Nazioni Unite sollecitano la promozione del ruolo della donna nella società, nei Paesi in via di sviluppo. Ecco, nella vostra esperienza, quali resistenze maggiori ci sono: politiche, culturali?

R. – Entrambe. Sono politiche e culturali. Molto spesso la donna ha nella società un ruolo chiave, ma non riconosciuto da un punto di vista culturale. Si trova, appunto, in situazioni di svantaggio. Su questo bisogna lavorare molto, perché l’accesso sia non solo nel miglioramento delle condizioni di vita, non solo a livello economico, ma anche nelle strutture familiari. Devono, quindi, cambiare spesso i rapporti di potere all’interno delle famiglie, perché il cambiamento sia sostenibile. Questo è il lavoro che serve nel lungo periodo.

D. – Da parte delle Nazioni Unite, forse, ci vorrebbe più polso nel vincolare gli aiuti alla promozione della donna, quando ci si riferisce a strutture governative, statali…

R. – Sì, serve anche soprattutto maggiore investimento proprio nei progetti dell’agricoltura di piccola scala. Questo è un elemento importante. Molto spesso si parla di cooperazione allo sviluppo e di aiuti in senso astratto, ma è importantissimo che questi investimenti di cooperazione internazionale siano nell’agricoltura di piccola scala, perché è proprio lì che la donna beneficerebbe maggiormente dei programmi e degli investimenti. Poi ci sono tutti gli sforzi per far sì che le regole del gioco, le politiche di genere, migliorino nei diversi Paesi. Questo è un dato fondamentale su cui, sono d’accordo, serve maggiore coraggio da parte di tutti.

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Ancora nessuna decisione sulla missione italiana in Libia

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Sostegno unanime al governo del primo ministro libico, Fayez al-Serraj, dal vertice G5 – Usa, Francia, Gran Bretagna, Germania e Italia – che si è tenuto ieri ad Hannover. Da parte sua, il premier italiano, Matteo Renzi, ha assicurato che l'Italia sarà "sensibile" alle richieste di Tripoli, quando verranno "formalizzate". Per ora il governo libico avrebbe chiesto alla comunità internazionale un aiuto per proteggere i pozzi petroliferi dalla minaccia dell'Is. Questa mattina, intanto, fonti di governo e dello Stato maggiore della Difesa hanno smentito che l'Italia abbia offerto alla Libia l’invio di 900 soldati, come sostenuto da alcuni organi di stampa. Una fuga in avanti, questa notizia, rispetto alle decisioni ufficiali? Adriana Masotti lo ha chiesto a Andrea Margelletti, presidente del Csi, il Centro Studi internazionali: 

R. – Quello del giornalista immagino sia un mestiere molto difficile, soprattutto quando magari su alcuni temi caldi le notizie non ci sono. Non mi pare che al momento il governo italiano si sia ufficialmente espresso sull’invio di soldati in Libia, né tantomeno si sia espresso su quali tipologie di missioni si devono andare a compiere.

D. – Eppure, arrivano notizie di preparativi in corso in Libia per l’arrivo eventuale di forze italiane…

R. – Sinceramente, non ho idea se ci sono preparativi in Libia. Non mi pare che in questo momento ci siano reparti italiani che si occupano di trasmissioni e di logistica, che siano presenti ufficialmente in Libia per cercare di organizzare i campi e le basi all’interno dei quali dovranno poi operare e vivere i nostri militari.

D. – Qual è l’iter che uno Stato, l’Italia in questo caso, deve seguire per decidere una missione internazionale?

R. – Prima di tutto, per lunga e consolidata tradizione, l’Italia ha sempre operato all’interno di una coalizione internazionale e quindi non vedo ancora un’alleanza: vedo un grande consenso ma non un’alleanza di Paesi che dicono “sì, stiamo partendo, fra un mese andremo...”. Seconda cosa, non stiamo parlando naturalmente delle forze speciali e dell’intelligence che devono, come logico e doveroso, operare nella discrezione, nella riservatezza, ma stiamo parlando di reparti convenzionali delle Forze armate, quindi dovrà esserci una comunicazione e un passaggio parlamentare. Non ricordo l’invio di forze militari senza un passaggio parlamentare, però ci sono, molti, moltissimi suoi colleghi che da mesi sono eccitati riguardo questa missione e pensano a dei numeri e mi chiedono: “Ma sono troppi, ma sono pochi…”. E io rispondo a tutti: “Ma se non abbiamo deciso cosa andiamo a fare, come facciamo a commentare se sono tanti o pochi?

D. – L’unica cosa certa è quindi la disponibilità, più volte ripetuta dal premier Renzi, di collaborare con la Libia…

R. – Esattamente e non ci sono dubbi sul fatto che esistano piani di intervento.

D. – Tempo fa, il governo aveva anche convenuto che un intervento armato nella situazione attuale della Libia non sarebbe poi la soluzione più giusta …

R. – Il vero punto è che tipo di intervento si decide di fare. Si stanno sparando veramente numeri sul nulla, perché non si sa se parliamo di ricostruzione delle Forze armate, supporto logistico, combattimento, pattugliamento … finché non sono definite queste regole basiche, non ha veramente senso discutere di tutto il resto.

D. – E forse una richiesta più precisa da parte del governo libico potrà arrivare solo quando il governo sarà entrato pienamente nelle sue funzioni…

R. – Sì, in Libia la confusione regna ancora sovrana. Il governo sta cercando in qualche maniera di strutturarsi, di avere una legittimità in mezzo a tanti attori, locali e non solo, che magari non lo guardano con particolare favore.

D. – Qualcuno dice che l’Italia ha timore di pronunciarsi apertamente sul suo sostegno alla Libia per eventuali ritorsioni poi del terrorismo. Tutte voci campate in aria?

R. – L’Italia è, come tutti i Paesi che combattono il terrorismo in prima fila, un Paese estremamente a rischio. Abbiamo la fortuna di avere un comparto di forze di sicurezza, forze dell’ordine e servizi di informazione e intelligence che funzionano bene. Tendo, comunque, a pensare che fuggire dalle responsabilità non renda più forti ma semmai più vulnerabili.

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Chernobyl: 30 anni dal disastro ancora a rischio radiazioni

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Sono trascorsi trent’anni dal più grave incidente della storia dell’energia nucleare. Il 26 aprile del 1986, il reattore numero 4 della centrale dell’allora Unione Sovietica esplose e bruciò per più giorni a causa di una serie di errori umani e guasti tecnici. Un dramma attuale per le aree e le popolazioni ancora contaminate. La ricorrenza è stata ricordata dal Papa all’ultima udienza generale. Francesco ha rinnovato la preghiera per le vittime di quella tragedia, esprimendo riconoscenza per i soccorritori e per tutte le iniziative con cui si è cercato di alleviare le sofferenze e i danni. Il servizio di Marco Guerra: 

L'orologio segnava l'una, 23 minuti e 44 secondi nella notte del 26 aprile di trent’anni fa quando si verificò l'esplosione al reattore numero 4 della centrale di Chernobyl. Poco prima, nel sito nucleare sovietico, che ora si ricade in territorio ucraino, era iniziato un test che prevedeva la disattivazione dei sistemi di sicurezza per provare l’impianto di autoalimentazione del reattore. Errori umani e malfunzionamenti portarono al disastro. Si calcola che la quantità di radiazioni rilasciate fu 100 volte superiore alle bombe su Hiroshima e Nagasaki. La nube atomica raggiunse rapidamente tutta l’Europa. Nei giorni successivi, mentre Mosca cercava di nascondere la verità, proseguiva il lavoro incessante di migliaia di operatori, intervenuti a fermare la fuga radioattiva. Inizialmente, i 40 mila abitanti della limitrofa cittadina di Pripyat furono trasferiti altrove, poi furono in totale circa 350 mila le persone evacuate dalla regione. Le valutazioni sul numero delle vittime sono discordanti. Un rapporto dell’Onu conta 65 morti e almeno 4.000 mila casi di tumore attribuibili alle radiazioni. Cifre contestate da numerose associazioni umanitarie internazionali, che stimano non meno di 60 mila vittime per le conseguenze dirette dell’incidente. Oggi permane una zona di esclusione nel raggio di 30 km dalla centrale, dove si lavora per ultimare una nuova struttura di protezione alta 105 metri e lunga 150. L’opera procede a singhiozzo; proprio ieri però i donatori internazionali si sono impegnati a versare altri 87,5 milioni di euro per la costruzione del nuovo impianto di stoccaggio.

Ma che cosa ha insegnato all’umanità quel disastro? Giancarlo la Vella lo ha chiesto a Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana: 

R. – Ha insegnato che certamente il tema dell’energia è un tema da maneggiare con grandissima cura, da maneggiare con moltissima attenzione. Nel tema del dominio che l’uomo vuole esercitare sulle fonti di energia – sia quelle naturali, sia quelle artificiali come in fondo è l’energia atomica – c’è tutta la storia di questi decenni, anche la storia delle guerre di questi decenni. E per quanto riguarda, nello specifico, il nucleare, abbiamo avuto anche la tragedia di Fukushima, in Giappone, a dirci che il pericolo non è scomparso ed evidentemente neanche le giuste cautele sono state prese dopo la tragedia di Chernobyl.

D. – Chernobyl ormai è una zona praticamente disabitata; 30 anni dopo esiste ancora il dramma di quanti sono stati contaminati …

R. – Io sono stato due volte a Chernobyl e l’area intorno alla centrale nucleare, per un raggio di 30 km è un’area chiusa, dove c’è stato però il dramma dei ritorni, perché soprattutto gli anziani hanno incominciato a tornare nelle loro case noncuranti del pericolo. Quell’area è una vera lezione: bisognerebbe vederla, perché dal punto di vista naturale, essendo assente l’uomo, è diventata una cosa stupenda. C’è una natura meravigliosa, rigogliosa. Però, per l’uomo è una zona morta. Il problema delle radiazioni e delle contaminazioni è stato naturalmente notevole, ma essendo avvenuto in un’epoca ancora sovietica, subito dopo è stato anche largamente rimosso. Probabilmente il vero bilancio di Chernobyl non lo conosceremo mai. Sappiamo, però, che è stato un bilancio terribile.

D. – Dopo Chernobyl, ma soprattutto dopo Fukushima, nel mondo è cresciuto il dibattito su “nucleare sì” e “nucleare no”: contemporaneamente, si è fatto molto poco per sviluppare le energie rinnovabili e ci si è affidati ancora di più a quelle fossili …

R. – Io temo che tutti gli sforzi sono stati prodotti proprio per aumentare lo sfruttamento delle energie fossili. Oggi siamo in una situazione in cui il petrolio costa meno dell’acqua da tavola e quindi, purtroppo, non si può che prevedere un incremento dell’uso delle risorse energetiche di natura fossile che sono diventate anche poco costose.

D. – Potrà esistere un nucleare sicuro?

R. – Per essere onesti, le centrali nucleari nel mondo sono molte, funzionano, e gli incidenti drammatici sono stati pochi. Il problema del nucleare è che l’incidente nucleare è sempre terrificante e quindi ci chiediamo se si può parlare di nucleare sicuro… Il nucleare, se vogliamo dirla tutta, è sicuro quando non succede nulla…

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Cala l'aspettativa di vita degli italiani, poca prevenzione

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Cala seppur di poco l’aspettativa di vita degli italiani. E’ uno dei dati contenuti nel Rapporto "Osservasalute", sul sistema sanitario nazionale, presentato oggi a Roma. Gli stili di vita in generale migliorano ma preoccupa l’aumento di persone in sovrappeso. Alessandro Guarasci

E’ un campanello d’allarme. Per la prima volta nella storia d'Italia l'aspettativa di vita degli italiani è in calo. Nel 2015 è stata di 80,1 anni per gli uomini e di 84,7 anni per le donne. Nel 2014, invece, andava un po’ meglio: 80,3 anni per gli uomini e 85,0 anni per le donne. L'andamento ha riguardato tutte le regioni. Di chi è la colpa? Si fa poca prevenzione, meno che negli altri Paesi europei, ovvero solo il 4,1% della spesa. Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità:

“Questo significa che, di fatto, i fattori di rischio non vengono contrastati e, quindi, in certe regioni aumentano i bevitori, aumentano i fumatori, aumentano coloro che sono sovrappeso e obesi per eccessiva alimentazione e scarsa attività fisica. Questo comincia a manifestarsi, perché, di fatto, questi fattori di rischio sono responsabili dell’86% delle malattie degli italiani”.

Calano i fumatori, ma sono ancora quasi il 20% della popolazione, e aumentano coloro che fanno sport, a oggi il 23% degli italiani. Ma quello che preoccupa è la crescita di coloro che sono in sovrappeso. In questa condizione è un terzo degli italiani. E poi c’è quanto si investe per la sanità: 1.817 euro pro capite, il valore più basso dei paesi Ocse. Ancora Ricciardi:

“Risparmiare per evitare gli sprechi e incrementare i finanziamenti - non di molto, ma di quel quanto che ci servirebbe per esempio a stabilizzare il personale oppure a investire in tecnologie - sarebbe qualcosa che veramente metterebbe in sicurezza il servizio sanitario nazionale”.

Per lo meno, però, è calato il debito delle Regioni in questo settore.

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Proprietà intellettuale, 93% dei marchi subisce truffe online

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Nel mondo, il 26 aprile è la Giornata dedicata alla proprietà intellettuale. L’iniziativa si ripete ormai dal 1970, anno in cui l’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale dell’Onu ha lanciato il progetto. L’obiettivo è quello di incoraggiare l’innovazione e la creatività ma anche di promuovere la protezione della proprietà intellettuale e far conoscere i diritti degli inventori. Daniele Gargagliano ha chiesto a Enrico Zanoli, presidente dell’Ordine dei consulenti in proprietà industriale, quali sono le minacce per i proprietari di marchi e brevetti. 

R. – Sono le copiature, come sempre. Chi è titolare di un brevetto o di un marchio: sono due tipi di diritti molto diversi, perché il brevetto ha a che fare con l’innovazione tecnologica, quindi è un’innovazione di tipo tecnico, mentre il marchio è una protezione commerciale che si dà a un logo, a un simbolo, a delle parole che contraddistinguono prodotti o servizi ma che non sono necessariamente innovativi: può essere il marchio di un capo d’abbigliamento… Sia nel caso del brevetto sia nel caso dei marchi, la legge conferisce diritti di esclusiva a chi ha ottenuto un brevetto o a chi a registrato un marchio e i rischi invece sono che questi diritti vengano violati da copiature o da imitazioni.

D. – Il 93% dei “brand” più noti subisce truffe sul web. Cosa serve per contrastare questo fenomeno?

R. – Il web è uno degli aspetti che hanno reso più evidente, che hanno accentuato il fenomeno della contraffazione o della copiatura dei marchi. Occorrerebbe in primo luogo una cultura che preveda un maggiore rispetto per le creazioni degli altri. Le leggi prevedono la tutela dei diritti di esclusiva e se questi diritti vengono violati è possibile agire per via giudiziaria per fare cessare queste attività di contraffazione.

D. – Quali sono le strategie migliori da attuare per proteggere il proprio marchio o brevetto?

R. – La strategia migliore è quella di depositare domande di brevetto e quindi ottenere questi brevetti, e lo stesso vale per il marchio. Alla fine di questo iter, si ottiene questo certificato di protezione. Questa è la strategia migliore. Poi, magari, non è sufficiente al 100% a escludere che le contraffazioni possano verificarsi. Se però si è ottenuto un diritto, allora è possibile agire in giudizio per tutelare i propri diritti. Se invece non si provvede all’ottenimento del brevetto o alla registrazione del marchio, non ci sono sostanzialmente modi per difendersi in modo veramente efficace dalle imitazioni. Nel campo del brevetto, ci può essere la strategia del segreto, cioè chi realizza un’invenzione, una nuova tecnologia, un nuovo prodotto, ha sostanzialmente due strade per tutelarsi: una è quella che ho detto prima, di richiedere un brevetto e di ottenerlo, l’altra è quella di cercare di mantenere il segreto circa questa innovazione che è stata realizzata. Ma naturalmente mantenere il segreto è molto difficile, in certi casi è impossibile: quando infatti l’innovazione riguarda un prodotto nuovo che va su mercato, non è più possibile mantenere il segreto circa la sua struttura e il suo funzionamento perché, essendo sul mercato, può essere acquistato, analizzato e le sue caratteristiche innovative vengono rese note tramite la commercializzazione, la disponibilità sul mercato. Il discorso è un po’ diverso per le innovazioni che riguardano i processi di lavorazione, perché i processi di lavorazione si svolgono dentro le quattro mura di uno stabilimento e in teoria è possibile mantenerlo segreto.

D. – Che tipo di assistenza fornisce l’Ordine dei consulenti in proprietà industriale?

R. – Noi forniamo consulenza e assistenza alle aziende e anche agli inventori nel campo dei brevetti, laddove però ormai la maggior parte dei titolari di brevetti sono aziende – piccole o grandi – startup innovative in molti casi, e noi li aiutiamo fin dall’inizio a identificare quello che può essere protetto – ad esempio, un nuovo marchio o un’idea tecnica che può essere protetta con un brevetto – facendo delle ricerche per vedere se ciò che si vuole tutelare esiste già o è effettivamente una cosa innovativa, e poi li aiutiamo nel preparare tutta la documentazione che bisogna presentare all’Ufficio Brevetti per ottenere i brevetti o la registrazione dei marchi. Assistiamo i clienti insieme agli avvocati che magari fanno parte dei nostri studi o con i quali collaboriamo, per far cessare questi episodi di violazione di questi diritti.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi Honduras: basta polizia corrotta, risanare forze di sicurezza

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“Abbiamo già toccato il fondo?” Con questa domanda la Commissione episcopale di Pastorale Sociale-Caritas dell’Honduras titola un comunicato con il quale commenta le rivelazioni pubblicate dal quotidiano “New York Times” sulla “struttura corrotta della polizia nazionale ed il silenzio complice di governanti e di politici che hanno protetto e premiato gran parte degli ufficiali coinvolti in gravi crimini, in collusione con il crimine organizzato”. La nota dell’episcopato afferma che la divulgazione a livello internazionale di questa realtà “è più che vergognosa” ed ha “sconvolto la società honduregna” in quanto dimostra come “la polizia ha smesso di funzionare come corpo di sicurezza per trasformarsi in una mafia organizzata”.

Corruzione e impunità: una verità ben nota a tutti
La nota dei vescovi sottolinea che il reportage, intitolato “Tre generali e un cartello: violenza poliziesca e impunità in Honduras” è una realtà nota da molti anni alle istanze giudiziarie le quali, però, non hanno osato denunciare e ancor meno punire penalmente i responsabili. “Al contrario - afferma l’episcopato - hanno insabbiato e ritardato ogni indagine”. Gli organismi di giustizia, come procura, Corte Suprema di Giustizia e corpi di sicurezza, non hanno funzionato – ribadisce la Chiesa – Anzi: il governo ha chiesto aiuto agli Stati Uniti e all’Unione Europea riconoscendo la sua incapacità di 'ripulire' le proprie istituzioni. “Questo è anche - si legge nella nota - un riconoscimento tacito del fatto che l’Honduras è uno Stato senza Stato”.

Nessuno crede più nelle istituzioni
Il comunicato afferma che “nessuno crede più che ai vertici della polizia e dei Ministeri per la sicurezza nazionale non si conoscessero le azioni criminali di questi cattivi funzionari che addirittura utilizzavano le strutture e la logistica istituzionale per delinquere”. La nota episcopale aggiunge che, oltre ad accettare tangenti, essi informavano i gruppi criminali, partecipavano e dirigevano delitti ed uccisioni. Infatti, il comunicato fa riferimento anche ad un aumento della delinquenza, dell’estorsione e del ricorso a sicari, in alcuni casi anche donne.

L’erosione all’interno della polizia
L’episcopato sottolinea che la “situazione è complessa” dopo le denunce che hanno provocato accesi dibattiti tra i difensori della polizia e coloro che cercano di ripulire l’istituzione. Tuttavia, i vescovi criticano la debolezza dello Stato nell’agire contro i poliziotti corrotti e nell’assumersi la propria responsabilità di sanare gli organi di polizia, offrendo formazione, infrastrutture e salari migliori ai funzionari onesti. “La vulnerabilità di cui soffre la popolazione - si legge - sarà ridotta solo con un’istituzione che sia garante della sicurezza cittadina, e non una minaccia per la vita”.

Una società vigilante
La Pastorale Sociale honduregna plaude, poi, ai primi passi compiuti dall’ufficio del Pubblico Ministero verso la pulizia degli organi di sicurezza dello Stato e la creazione della Commissione di "depurazione" della Polizia nazionale. Al contempo, la Chiesa mette in guardia sulla necessità che la procura riesca a “presentare prove calzanti che non lascino la possibilità, alla nuova Corte Suprema di Giustizia, di utilizzare pratiche del passato, come l’abuso di misure sostitutive alla prigione, perché ciò sarebbe un’offesa alla cittadinanza e alle vittime della violenza della polizia”. L’efficacia del processo di risanamento “dipenderà in gran parte – si legge nella nota - dall’impegno e dalla volontà politica delle autorità di affrontare il problema”. Per questo, l’episcopato lancia un appello affinché la società honduregna si mantenga vigilante in questo percorso ed invita ad una riflessione comunitaria sulle aspettative della cittadinanza nei confronti degli organi di sicurezza dello Stato. (A cura di Alina Tufani)

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Iraq: distrutta la Chiesa dell’orologio nel centro di Mosul

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È stata devastata con l'uso di esplosivo la Chiesa latina del centro di Mosul, in Iraq, officiata storicamente dai padri domenicani e nota come la “Chiesa della Madonna miracolosa” o “Chiesa dell'orologio”. L’episodio, riferisce l’agenzia Fides, è avvenuto domenica 24 aprile e, secondo fonti ufficiali del Patriarcato caldeo, sarebbe da attribuire ai militanti del sedicente Stato Islamico (Daesh) che controllano la città dal 9 giugno 2014. Secondo fonti locali, i jihadisti del Daesh avrebbero evacuato la zona circostante la chiesa e avrebbero prelevato dall'edificio sacro tutto ciò che poteva essere saccheggiato, prima di far deflagrare le cariche di esplosivo.

Dolore del Patriarcato caldeo
In una nota del Patriarcato caldeo si esprime dolore per l'ennesimo atto di devastazione commesso contro un luogo di culto e si sollecitano anche i politici iracheni a operare in fretta per favorire una autentica riconciliazione nazionale che sbarri le porte al dilagare del terrorismo. La chiesa latina connotava in maniera inconfondibile il profilo del centro storico di Mosul, soprattutto grazie al suo caratteristico campanile con l'orologio, donato ai cristiani iracheni dall'imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III.

Antico simbolo di pace
“I rintocchi di quell'orologio”, racconta all'Agenzia Fides suor Luigina Sako, superiora della Casa romana delle Suore caldee Figlie di Maria, “hanno scandito la nostra giovinezza, quando Mosul era una città dove si conviveva in pace. Ricordo che da studenti, quando avevamo un esame importante, andavamo tutti, cristiani e musulmani, a portare i biglietti con le nostre richieste d'aiuto alla Grotta di Lourdes ospitata presso quella chiesa, che anche i nostri amici islamici conoscevano e onoravano come 'la Chiesa della Madonna miracolosa'”.

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Turkson a Lusaka: contro la fame, serve economia sostenibile

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Per rispondere alle sfide della fame e della malnutrizione in un mondo che spreca il 40 per cento del suo cibo, la tecnologia da sola non basta: occorre piuttosto puntare su un’economia sostenibile. È quanto ha affermato il card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, intervenendo ieri a Lusaka, in Zambia, ad una conferenza di alto livello organizzata dalla Conferenza episcopale locale (Zec) sull’impatto ambientale dell’agricoltura e delle attività estrattive su larga scala. Un tema particolarmente avvertito nel Paese e in tutto il Continente, dove gli effetti dei cambiamenti climatici si fanno sentire in modo allarmante, come testimonia, tra l’altro, la grave siccità che in questi mesi sta compromettendo i raccolti in diversi Paesi africani. 

Aumentare consapevolezza su importanza della salvaguardia del Creato
Il presidente del dicastero vaticano è stato invitato ad illustrare ai partecipanti la “Laudato si'.” L’incontro, infatti, ha avuto come obiettivo quello di creare ed aumentare la consapevolezza sull’importanza dell’ecologia umana e della salvaguardia del Creato, così come indicato dall’Enciclica di Papa Francesco sulla cura della casa comune.  

Puntare su economia sostenibile aiutando i piccoli produttori
Nella sua relazione, dopo avere spiegato i punti  salienti del documento pontificio sull’ecologia integrale, il card. Turkson ha chiamato in causa i nuovi metodi e tecniche di produzione per aumentare i raccolti agricoli nel breve termine. Metodi – ha evidenziato – che di fatto scatenano un circolo vizioso: l’esaurimento delle risorse naturali che riduce la produttività che, a sua volta, porta a un’ulteriore dannosa sottrazione di risorse alla natura. Secondo il presidente di Giustizia e Pace, è invece necessario che il mondo punti sulla sostenibilità che si aiuta con misure a sostegno dei piccoli produttori e di una produzione diversificata.

Le responsabilità delle industrie estrattive
Anche le attività estrattive, ha proseguito il porporato, aggrediscono l’ambiente e sono un esempio ancora più grave di quel “debito ecologico” di inquinamento e destabilizzazione sociale ed economica lasciato dalle industrie straniere nei Paesi produttori di materie prime. Chi sfrutta le miniere ha il dovere di condividere le risorse naturali con le popolazioni locali e di averne cura insieme ad esse.

Pensare alle generazioni future
Nonostante i danni arrecati dalle attività umane all’ambiente, ha concluso il card. Turkson citando Papa Francesco, “non tutto è perduto, perché gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi”. Quindi l’appello conclusivo: “Abbiamo ricevuto questo mondo come il nostro giardino, non lasciamo in eredità ai nostri figli e alle future generazioni una landa selvaggia”. (A cura di Lisa Zengarini)

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Vescovi Svizzera: no a diagnosi pre-impianto, tutelare dignità

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Urne aperte il 5 giugno, in Svizzera, per il referendum sulla modifica della legge relativa alla medicina della procreazione: i cittadini saranno chiamati ad esprimersi, in particolare, sulla norma attuativa della diagnosi pre-impianto (Dpi). Già approvata, nella sostanza, lo scorso giugno con il 61 per cento dei consensi, tale procedura dà il via libera ai medici affinché possano esaminare gli embrioni prima di impiantarli nell'utero, con l’obiettivo di verificare l'eventualità della trasmissione di malattie o disabilità gravi.

Rischio di derive eugenetiche
Immediata la reazione della Chiesa cattolica che già nei mesi scorsi ha messo in guardia dal rischio di derive eugenetiche della diagnosi pre-impianto. “Si tratta di una tecnica di selezione di embrioni – scrive in una nota la Commissione di bioetica della Conferenza episcopale elvetica (Ces) - ottenuti tramite la fecondazione artificiale. Gli embrioni che non vengono impiantati finiscono, poi, distrutti, congelati o utilizzati a scopo di ricerca”. Di fatto, scrive la Commissione, “autorizzare la Dpi significa autorizzare la selezione di chi merita di vivere e chi no”.

Stigmatizzazione delle persone
Tre, inoltre, i problemi rilevati dai vescovi: in primo luogo, il progetto di legge prevede “un ampliamento della pratica della Dpi, rendendola disponibile non solo alle coppie portatrici di una malattia ereditaria grave, ma anche a tutte le coppie che ricorrono alla fecondazione artificiale”. Non solo: la Dpi porta a decretare che “una malattia genetica come la Trisomia 21”, ovvero la Sindrome di Down, “giustifica la selezione” e quindi “la stigmatizzazione delle persone” che ne sono affette.

Crioconservazione embrioni è contro la dignità umana
In secondo luogo, la proposta normativa prevede “la crioconservazione degli embrioni ottenuti con la fecondazione artificiale”. Ma, spiega la Ces, “si tratta di un procedimento che tratta l’embrione come un oggetto”, una pratica che “interviene in modo radicale nella storia dell’essere umano, andando contro la sua dignità”. In terzo luogo, viene aumentato “in modo arbitrario da tre a dodici” il numero di embrioni da sviluppare per ogni ciclo di fecondazione artificiale. Di qui, l’allarme dei vescovi per il rischio di ulteriori derive: “Nulla, infatti, indica che ci si fermerà a questo stadio e che, in un futuro più o meno prossimo, non si proceda ad ulteriori applicazioni della Dpi”.

Società è umana quando è capace di accogliere i piccoli e vulnerabili
Per tali ragioni, quindi, la Commissione di bioetica della Chiesa cattolica svizzera afferma che “tale progetto di legge non rispetta la dignità inalienabile dell’essere umano” e ricorda che “una società è autenticamente umana quando, pur contrastando la sofferenza e la malattia, si dimostra ancora capace di accogliere ogni persona nella sua dignità, lasciando spazio ai più piccoli ed ai più vulnerabili”. (I.P.)

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Singapore: coppie sposate "tutor" per fidanzati e neo-sposi

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Coppie sposate da almeno cinque anni che siano in grado di testimoniare la bellezza del Sacramento del Matrimonio: saranno loro a fare da “tutor” a fidanzati e neo-sposi dell’arcidiocesi di Singapore. La Commissione diocesana per la famiglia (Acf) – riferisce il sito web della Chiesa cattolica di Singapore – lancerà tale servizio pastorale nell’ultimo trimestre del 2016, denominandolo “Couple Mentor Journey” (Cmj).

Un progetto a due dimensioni
“I giovani – spiega Caroline Theseira, coordinatrice del progetto – avvertono la necessità di avere modelli di riferimento a causa del divario che riscontrano tra la preparazione al matrimonio” e la vita coniugale vera e propria. Due, dunque, le dimensioni di tale servizio: la prima si concentrerà sul percorso matrimoniale, offrendo un supporto concreto davanti ad eventuali problemi pratici. La seconda, invece, sarà dedicata alla formazione dottrinale della coppia, attraverso l’analisi di video formativi sul Sacramento del Matrimonio, la teologia del corpo e la psicologia dei rapporti interpersonali. 

Aiutare le coppie a comunicare
Il programma prevede anche consulenze psicologiche specifiche per aiutare le giovani coppie a capirsi ed a comunicare meglio. “L’Acf – spiega John Hui, presidente dell’organismo – pensa ad una Chiesa in cui le coppie con esperienza possano condividere le gioie e le difficoltà della vita coniugale con altri sposi e con i fidanzati, ispirandoli con esperienze di vita e di Vangelo, così da accompagnarli nel loro percorso, in amicizia”.

Papa Francesco: imparare ad amare qualcuno non si improvvisa
Il servizio pensato dall’arcidiocesi di Singapore risponde pienamente a quanto scritto da Papa Francesco nel sesto capitolo dell’Esortazione apostolica post-sindodale “Amorsi Laetitia sull’amore nella famiglia”: in tali pagine, infatti, il Pontefice dedica riflessioni approfondite alla necessità che l’intera comunità cristiana si assuma il compito di “guidare i fidanzati nel cammino di preparazione al matrimonio” e di “accompagnare nei primi anni della vita matrimoniale”. “Imparare ad amare qualcuno non è qualcosa che si improvvisa” o che si può ridurre “ad un breve corso” prematrimoniale - scrive Francesco - perché sposarsi non è “il termine di un cammino”, bensì “una vocazione che lancia in avanti”, un progetto da edificare con pazienza, comprensione, tolleranza e generosità, in “una danza con occhi meravigliati verso la speranza”. (I.P.)

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Cile: giornata del catechista su misericordia e gioia

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“Pratica la misericordia, insegnando con gioia”: questo il motto scelto dalla Conferenza episcopale del Cile per la “Giornata nazionale del catechista” che ricorre sabato 7 maggio. In un messaggio per l’occasione, a firma di mons. Cristián Caro Cordero, presidente della Commissione episcopale della catechesi, i vescovi cileni sottolineano che “in questo Anno Giubilare della misericordia” è importante ricordare “il grande servizio ecclesiale dei catechisti come una testimonianza concreta della misericordia del Padre con l’umanità”.

Mostrare la tenerezza di Dio Padre verso tutti suoi figli
Di qui, l’invito a “dimostrare che il servizio dei catechisti è una testimonianza viva della misericordia di Dio”. Poi, mons. Caro Cordero si sofferma sul tema scelto per la Giornata e spiega che esso “parafrasa il testo della Lettera di San Paolo ai Romani”, ovvero il passo 12,8 in cui l’Apostolo delle genti scrive: “Chi fa opere di misericordia, le compia con gioia”. In quest’ottica, la Chiesa cilena invita i catechisti a “mostrare, con la loro testimonianza ed il loro insegnamento, la tenerezza del Padre nei confronti di ciascuno dei suoi figli, così come molti catechisti che ci hanno preceduto lo hanno fatto con noi”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 117

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.