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Sommario del 27/04/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: il cuore della fede è la compassione per chi soffre

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“Non è automatico che chi frequenta la casa di Dio” sappia “amare il prossimo”. La misericordia, quella che viene da Dio, è capacità di muoversi a compassione “non un sentimento vago”. Sono gli insegnamenti proposti da Papa Francesco alla folla radunata in Piazza San Pietro per l’udienza generale, dedicata alla parabola del Buon Samaritano. Il vero prossimo, ha detto il Papa, è chi si sa avvicinarsi a chi soffre. Il servizio di Alessandro De Carolis

Un uomo mezzo morto sul bordo della strada, vittima di violenza, visto e ignorato da chi non poteva non soccorrerlo, fa crollare la facciata della carità presunta, svelando – afferma il Papa – l’ipocrisia di chi si sente e dice di ardere per Dio ma ha cuore di ghiaccio per l’uomo che chiede aiuto.

“Non è automatico”
Forse nessun’altra parabola come quella del buon samaritano dà forma tridimensionale alla parola “compassione”. Il sacerdote e il levita, cui la Legge imponeva il soccorso dell’uomo aggredito e che invece tirano diritto – ognuno, ammette Francesco, con le sue buone ragioni – è come se facessero saltare il bluff di tante coscienze cristiane:

“Non è automatico che chi frequenta la casa di Dio e conosce la sua misericordia sappia amare il prossimo. Non è automatico! Tu puoi conoscere tutta la Bibbia, tu puoi conoscere tutte le rubriche liturgiche, tu puoi conoscere tutta la teologia, ma dal conoscere non è automatico l’amare: l’amare ha un’altra strada, occorre l’ intelligenza, ma anche qualcosa di più…”. 

Non rimanere spettatori
“Il sacerdote e il levita vedono, ma ignorano”, sottolinea il Papa, “guardano, ma non provvedono. Eppure – sostiene – non esiste vero culto se esso non si traduce in servizio al prossimo”:

“Non dimentichiamolo mai: di fronte alla sofferenza di così tanta gente sfinita dalla fame, dalla violenza e dalle ingiustizie, non possiamo rimanere spettatori. Ignorare la sofferenza dell’uomo, cosa significa? Significa ignorare Dio! Se io non mi avvicino a quell’uomo, a quella donna, a quel bambino, a quell’anziano o a quell’anziana che soffre, non mi avvicino a Dio”.

Misericordia è avere compassione
Il samaritano è invece l’uomo della prossimità, l’uomo che si commuove alla vista della persona ridotta in fin di vita, l’uomo che interrompe il suo viaggio perché “patisce con”, che ha il cuore – dice Francesco – “sintonizzato con il cuore stesso di Dio”:

“La ‘compassione’ è una caratteristica essenziale della misericordia di Dio. Dio ha compassione di noi. Cosa vuol dire? Patisce con noi, le nostre sofferenze Lui le sente (...) E nei gesti e nelle azioni del buon samaritano riconosciamo l’agire misericordioso di Dio in tutta la storia della salvezza. E’ la stessa compassione con cui il Signore viene incontro a ciascuno di noi: Lui non ci ignora, conosce i nostri dolori, sa quanto abbiamo bisogno di aiuto e di consolazione. Ci viene vicino e non ci abbandona mai”.

Non un sentimento vago
Dunque, ricapitola il Papa, è il samaritano – quello “sul quale nessuno avrebbe scommesso” – a comportarsi “con vera misericordia”, soccorrendo il ferito e provvedendo di tasca propria a procurargli ciò di cui ha bisogno per riprendersi:

“Tutto questo ci insegna che la compassione, l’amore, non è un sentimento vago, ma significa prendersi cura dell’altro fino a pagare di persona. Significa compromettersi compiendo tutti i passi necessari per “avvicinarsi” all’altro fino a immedesimarsi con lui”.

Il vero prossimo
Nel Vangelo, la parabola è indirizzata al dottore della Legge che vuole da Gesù una sorta di “regola” per stabilire chi sia il suo “prossimo”, cioè come si debba distinguere tra coloro per i quali sia è giusto spendersi e chi no. Alla fine della storia, la domanda è rovesciata: chi è stato, chiede Cristo, il prossimo della persona aggredita?

“Gesù ribalta la prospettiva: non stare a classificare gli altri per vedere chi è prossimo e chi no. Tu puoi diventare prossimo di chiunque incontri nel bisogno, e lo sarai se nel tuo cuore hai compassione, cioè hai quella capacità di patire con l’altro”.

Migliaia di persone presenti questa mattina in piazza San Pietro per l’udienza generale. Al centro della catechesi di Papa Francesco, la parabola del buon samaritano che ci ricorda l’importanza dell’essere prossimi a chi ha più bisogno. Sul significato delle parole del Pontefice, Daniele Gargagliano ha raccolto le emozioni e le riflessioni delle persone che hanno assistito all’udienza: 

D. – Cosa significa per dei giovani il messaggio dell’essere prossimi agli altri?

R. – Vivere la propria vita non solo per se stessi, ma viverla anche con lo sguardo aperto agli altri.

R. – Mi ha colpito molto quando ha parlato della compassione e di come questa compassione sia una manifestazione dell’amore di Gesù, che noi siamo chiamati oggi a rivivere con i nostri fratelli.

D. – Oggi è più difficile essere dei buoni samaritani?

R. – No, rispetto a prima, penso che cambino le situazioni ma che la difficoltà rimanga sempre la stessa: si tratta di vincere l’egoismo.

D. – Qual è l’importanza della parola “compassione”?

R. – Avere amore per gli altri, con-patire con gli altri, condividere il dolore degli altri e la gioia degli altri.

R. – Essere prossimi agli altri.

R. – Aiutare chiunque il Signore ci metta vicino.

D. – Quali emozioni le ha suscitato l’udienza di oggi?

R. – Molta emozione. Io sono argentina ma è incredibile vedere tanta gente che viene a sentire il messaggio che lui dà. E’ una gran persona: lo è stato in Argentina e adesso lo è qui a Roma, con i rifugiati, con i poveri... E’ sempre accanto a chi soffre.

D. – Come le è sembrata questa catechesi, il messaggio del buon samaritano?

R. – Mi ha ricordato un po’ la mia infanzia, quando studiavo il catechismo. E’ bella, attuale…

D. – Quali emozioni hanno suscitato in voi le parole di Papa Francesco?

R. – Stupore. Personalmente, io ho sentito questo Vangelo qualche giorno fa con dei ragazzi, dei gruppi che seguo, e credo sia proprio un segno dall’alto risentire la spiegazione di questa parabola dalla bocca del Papa.

R. – Siamo sposati da tre giorni, per cui soprattutto il discorso dell’amore, dell’amare il prossimo. E’ ritornato tutto…

D. – Cosa significa essere prossimi agli altri?

R. – E’ un cammino molto difficile per tanti di noi. Anche se col cuore si capisce cosa significa essere prossimi, tante volte nella quotidianità risulta difficile esserlo.

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Presto Beati 38 martiri dell'Albania comunista, sarà Santo don Fusco

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Saranno proclamati Beati l'arcivescovo di Durazzo, Vincenzo Prennushi, francescano, e 37 compagni, martiri sotto il regima comunista albanese. Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare i relativi Decreti. La Chiesa avrà presto anche un nuovo Santo, don Alfonso Maria Fusco, salernitano, fondatore della Congregazione delle Suore di San Giovanni Battista, e altri cinque Beati, tra cui il padre gesuita irlandese Giovanni Sullivan e quattro sacerdoti benedettini uccisi nel 1936 durante la guerra civile (Giuseppe Antón Gómez e 3 compagni). Il servizio di Francesca Sabatinelli: 

A soli undici anni manifestò la volontà di diventare sacerdote, a 24 ricevette l’ordinazione. Il Beato Alfonso Maria Fusco, sin da bimbo, rivelò la sua sensibilità alla preghiera e verso i poveri. Di lui si è scritto che “si distinse per l’assiduità al servizio liturgico e per la diligenza nell’amministrazione dei Sacramenti, specialmente della riconciliazione, nella quale mostrava tutta la sua paternità e comprensione per i penitenti”. Nato in provincia di Salerno, ad Angri, da genitori di origine contadina, Fusco deve il suo nome alla devozione del padre e della madre a Sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Il Beato, seguendo l’ispirazione di Gesù Nazareno apparsogli in sogno, decise di fondare un istituto di suore e un orfanotrofio maschile e femminile, ciò che realizzerà con l’aiuto di Maddalena Caputo colei che diverrà poi, con il nome di Suor Crocifissa, la prima superiora del nascente Istituto. Nacque quindi la Congregazione delle Suore Battistine del Nazzareno e la fatiscente casa Scarcella, in un rione di Angri, divenne ben presto la Piccola Casa della Provvidenza, con porte aperte a postulanti e orfanelle. Nonostante le difficoltà e anche l’ostruzionismo da parte di alcuni superiori, compreso il cardinale Respighi vicario di Roma, la tenacia e la totale devozione del Beato Alfonso, così come la crescente richiesta di assistenza per un numero sempre più grande di orfani e bambini, furono d’impulso per l’apertura di nuove case, dopo Roma in Campania e successivamente in altre regioni di Italia. Fusco morì a 72 anni nel 1910, acclamato come il padre dei poveri e, sin da allora, come santo.

La Chiesa avrà anche 38 nuovi Beati albanesi, tra loro il padre francescano e arcivescovo di Durazzo mons. Vincenzo Prennushi, tutti testimoni delle virtù eroiche, simbolo di quei cristiani che accettarono il martirio, tra il 1945 ed il 1974, pur di non ripudiare la fede in Cristo e nella Chiesa. Prennushi preferì il carcere e la tortura inflitte dal regime di Enver Hoxha, piuttosto che creare una chiesa nazionalista staccata da Roma e dal Papa, così come ordinato dallo stesso Hoxha. Prennushi seguì quindi la stessa sorte del suo predecessore, mons. Gasper Thaci, anch’egli trucidato dal regime nel tentativo di cancellare ogni traccia di fede. “Quanti cristiani non si sono piegati davanti alle minacce, ma hanno proseguito senza tentennamenti sulla strada intrapresa”, così disse Papa Francesco durante la messa celebrata a Tirana nel settembre del 2014, evocando quel muro del cimitero di Scutari dove venivano eseguite le fucilazioni, dove morirono molti sacerdoti e frati.

Con il riconoscimento delle virtù eroiche, diventano Venerabili Servi di Dio: Tommaso Choe Yang-Eop, Sacerdote diocesano; nato il 1° marzo 1821 e morto il 15 giugno 1861; Sosio Del Prete (al secolo: Vincenzo), Sacerdote professo dell’Ordine dei Frati Minori, Fondatore della Congregazione delle Piccole Ancelle di Cristo Re; nato il 28 dicembre 1885 e morto il 27 gennaio 1952; Venanzio Katarzyniec (al secolo: Giuseppe), Sacerdote professo dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali; nato il 7 ottobre 1889 e morto il 31 marzo 1921; Maria Consiglio dello Spirito Santo (al secolo: Emilia Pasqualina Addatis), Fondatrice della Congregazione delle Suore Serve dell’Addolorata; nata il 5 gennaio 1845 e morta l’11 gennaio 1900; Maria dell’Incarnazione (al secolo: Caterina Carrasco Tenorio), Fondatrice della Congregazione delle Suore del Terzo Ordine di San Francesco del Rebaño de María; nata il 24 marzo 1840 e morta il 24 novembre 1917; Maria Laura Baraggia, Fondatrice della Congregazione delle Suore della Famiglia del Sacro Cuore di Gesù; nata il 1° maggio 1851 e morta il 18 dicembre 1923; Ilia Corsaro, Fondatrice della Congregazione delle Piccole Missionarie Eucaristiche; nata il 4 ottobre 1897 e morta il 23 marzo 1977; Maria Montserrat Grases García, Laica, della Prelatura Personale della Santa Croce e dell’Opus Dei; nata il 10 luglio 1941 e morta il 26 marzo 1959.

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Nomine episcopali in Brasile e Venezuela

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In Brasile, Papa Francesco ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di São Salvador da Bahia il sacerdote Hélio Pereira dos Santos, del clero della diocesi di Palmeira dos Índios, finora vicario generale e parroco della parrocchia “Bom Jesus dos Pobres”, a Quebrangulo, assegnandogli la sede titolare di Tiava. Il neo presule è nato il 18 novembre 1967 a Pão de Açúcar, nella diocesi di Palmeira dos Índios, nello Stato di Alagoas. Ha compiuto gli studi di Filosofia presso il Seminario arcidiocesano di Maceió (1990-1992) e quelli di Teologia presso la Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro (1993-1996).  Ha poi frequentato il corso di specializzazione in Storia presso il “Centro de Estudos Superiores de Maceió” e quello di “Licenciatura em letras” presso l’Università Statale di Alagoas. Il 19 dicembre 1996 è stato ordinato sacerdote, incardinandosi nella diocesi di Palmeira dos Índios, nella quale ha svolto i seguenti incarichi: Tesoriere del Colégio São Vicente a Pão de Açúcar; Rettore del Seminario “São João Maria Vianney”; Vicario parrocchiale e Coordinatore diocesano di Pastorale. Al presente ricopre gli uffici di Vicario generale,  Cancelliere della Curia e Parroco della parrocchia “Bom Jesus dos Pobres” a Quebrangulo (AL).

Sempre in Brasile, il Pontefice ha nominato vescovo della diocesi di Palmas-Francisco Beltrão il Rev.do P. Edgar Xavier Ertl, finora superiore provinciale della Provincia “Nossa Senhora Conquistadora” dei Padri Pallottini, con sede a Santa Maria (RS). Il neo presule è nato il 3 settembre 1966 a Nova Prata do Iguaçu, diocesi di Palmas-Francisco Beltrão, nello Stato di Paraná. Ha compiuto gli studi di Filosofia (1988-1992) e quelli di Teologia (1992-1996) presso l’Istituto di Filosofia e Teologia di Santa Maria-RS (IFITESMA). Poi ha ottenuto la Licenza in Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma (2001-2003). Ha fatto la Professione perpetua il 25 maggio 1996 nella Società dell’Apostolato Cattolico (Padri Pallottini) ed è stato ordinato sacerdote il 29 dicembre 1996. Inizialmente ha svolto il ministero sacerdotale nelle parrocchie affidate alla sua famiglia religiosa a Colorado d’Oeste-RO e poi a Campo Grande-MS (1996-2000). Dopo gli studi a Roma, è rientrato a Santa Maria (RS), ove ha ricoperto gli incarichi di Formatore e Rettore del “Colégio Máximo Palotino” (2004-2010), Professore nel Corso di Teologia della “Faculdade Palotina”-FAPAS (2004-2010), Vice-Provinciale della Provincia di “Nossa Senhora Conquistadora” (2011-2014) e Superiore Provinciale della medesima Provincia (dal 2014).

In Venezuela, il Papa ha nominato ausiliare dell'arcidiocesi di Caracas padre Enrique José Parravano Marino, salesiano, finora parroco della Parrocchia “San Juan Bosco” in Altamira, arcidiocesi di Caracas, assegnandogli la sede titolare di Isola. Mons. Parravano Marino è nato a Turmero, diocesi di Maracay, l’8 novembre 1955. Ha compiuto gli studi filosofici e teologici presso l’Istituto Teologico San Pablo (Brasile). Ha conseguito una specializzazione in “Docencia en Educación Integral” presso l’Istituto Universitario Pedagogico Mons. Arias Blanco, IUPMA, di Caracas (Venezuela). Ha fatto la professione perpetua nella Società Salesiana di San Giovanni Bosco il 30 agosto 1980. Ha ricevuto l'Ordinazione Sacerdotale il 14 gennaio 1984. Ha svolto i seguenti incarichi: Cappellano nel Collegio Pio XII in Puerto La Cruz, Superiore e Direttore del Collegio San Luis in Mérida, Superiore della Comunità Salesiana e Parroco della Parrocchia “María Auxiliadora” in Caracas, Arciprete di “La California” in Caracas, Economo Provinciale della Provincia Salesiana a Caracas e, dal 2015, Parroco della Parrocchia “San Juan Bosco” in Altamira.

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Papa, tweet: la speranza è dono di Dio, apriamoci a Lui

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “La speranza cristiana è un dono che Dio ci fa, se usciamo da noi stessi e ci apriamo a Lui”.

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Martinez: Francesco vuole laici che non rinneghino propria identità

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Si dice che è l’ora dei laici, ma l’orologio sembra essersi fermato. E’ uno dei passaggi forti della lettera di Papa Francesco al cardinale Marc Ouellet, presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, pubblicato ieri, incentrato sul ruolo del laicato nella vita della Chiesa. Un testo che ha destato grande interesse ben al di là dei confini latinoamericani. Alessandro Gisotti ha raccolto il commento di Salvatore Martinez, presidente in Italia del Rinnovamento nello Spirito Santo: 

R. - L’espressione del Santo Padre balza subito all’occhio. La cosiddetta “ora dei laici” sembra essere scoccata; il Papa dice attenzione perché l’orologio in realtà sembra essersi fermato. Si rivolge soprattutto ai pastori, ma non c’è dubbio che interpella anche noi laici. Ai pastori dice: attenzione, perché non siete voi a dare un volto al popolo fedele di Dio, ma è il popolo fedele di Dio che dà un volto alla Chiesa e dunque al pastore. Allora c’è necessità di capire fino a che punto questa ricchezza che viene da Dio e che il Papa lega come sempre allo Spirito Santo - quindi a questa visione dello Spirito Santo che deriva dal Battesimo - è valorizzata. Il Papa dice che la Chiesa nasce laica. Tutti, quando siamo battezzati, non abbiamo un Sacramento che precede il Battesimo. Il Papa, prima di ogni cosa, desidera sottolineare questo tratto di laicità che la Chiesa non deve in alcun modo perdere. Laicità che - ribadisce - si gioca nella storia ancor prima che nelle sacrestie o nelle nostre chiese, nelle nostre comunità, come a dire: attenzione a pensare che la valorizzazione del laicato sia da ascriversi a quelle che sono le funzioni che permettiamo loro di svolgere all’interno delle nostre chiese, quasi come se fosse una concessione che deriva dalle autorità ecclesiali, senza invece evidenziare che in forza del Battesimo i laici hanno questa loro autorità che va riconosciuta soprattutto nella vita di ogni giorno.

D. - C’è un passaggio in cui Francesco dice che i bravi laici non sono solo quelli che si occupano delle “cose dei sacerdoti” …

R. – Sì, leggendo questa espressione “cose da preti”, mi sono tornate alla mente le parole di don Luigi Sturzo, che diceva che in questo modo la Chiesa diventa una “chiesuola”, addirittura roba da preti e da bigotti, come diceva lui. Il Papa si preoccupa di vedere se oltre che credenti siamo anche cittadini. Lo ha ribadito durante il suo discorso a Firenze - alla Chiesa italiana - lo ridice ora alla Commissione per l’America Latina, quindi a questo laicato che indubbiamente ha una grande effervescenza. C’è un diffuso senso di Dio, ancora una religiosità popolare molto accentuata. Il Santo Padre la ripropone. Però ancora una volta il Papa dice attenzione che noi guardando ai laici ci preoccupiamo di determinare una sorta di élite dentro la Chiesa, un’élite anche culturale, anche pastorale che si associa a quelle che sono le espressioni dominanti della vita della Chiesa senza accentuare, invece, l’importanza che i laici stanno nelle città. Quindi la domanda è: cosa stiamo facendo per loro? Loro stanno lavorando nella vita pubblica? Questo significa – dice il Papa – che più che dominare spazi ecclesiali, noi dobbiamo provare a generare processi sociali.

D. - Nei giorni scorsi si è conclusa la convocazione del Rinnovamento nello Spirito che ha ricevuto anche il messaggio di Papa Francesco. Quali sono stati gli aspetti salienti?

R. - La parola stessa “convocazione” dice che c’è qualcuno che convoca. Questo è lo Spirito Santo di Dio che poi si manifesta in tanti accenti sacramentali e carismatici. Noi, umilmente, ma con grande consapevolezza, ci consideriamo un Giubileo di Misericordia permanente, nel senso che il tema della lode, della gioia, della festa, della danza, sono connaturati con la spiritualità carismatica. Un’altra cosa che mi piace sottolineare è stata la presenza di alcuni musulmani che recuperano l’autenticità del Corano nei loro studi biblici e naturalmente nella proposta dell’islam, ribadendo in modo molto chiaro che non è possibile comprendere il Corano se non a partire dal Vangelo e dell’Antico Testamento e quindi con le sue radici cristiane. Dunque, non solo è più facile parlare di pace, di dialogo, di unità, di riconciliazione; non solo è più facile vedere ciò che ci unisce – oggi le tre religioni monoteiste hanno un disperato bisogno di unità – ma si tratta anche di creare fenomeni concreti di costruzione di pace per evitare non solo guerre violenze che continuano a generarsi ma, soprattutto  in questa stagione, per curare gli effetti devastanti di quanto sta accadendo che colpisce indiscriminatamente cristiani e musulmani costretti a fuggire, ad abbandonare le loro case e perdere il loro lavoro.

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Viganò: criterio apostolico, cuore riforma dei media vaticani

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Portare il Vangelo a tutti, valorizzare le risorse umane, ottimizzare i costi perché ogni euro speso deve avere “una motivazione apostolica”. Sono alcuni dei punti forti dell’intervento che mons. Dario Edoardo Viganò ha tenuto alla Sala Stampa della Santa Sede, rivolgendosi ai partecipanti al 10.mo Seminario dei Comunicatori – 400 di 40 Paesi – promosso dalla Pontificia Università Santa Croce. Il prefetto della Segreteria per la Comunicazione ha quindi sottolineato che il criterio fondamentale della riforma dei media vaticani è il “criterio apostolico”. Il servizio di Alessandro Gisotti

La riforma dei media vaticani per essere efficace dovrà riguardare non solo le strutture ma anche i “processi comunicativi”. E’ quanto sottolineato da mons. Dario Edoardo Viganò che – parlando ai partecipanti al Seminario sulla Comunicazione della Santa Croce – si è soffermato sul tema “La Chiesa e le nuove sfide della Comunicazione”.

Riforma dei media vaticani segue “criterio apostolico”
Mons. Viganò ha tenuto a sottolineare che il criterio fondamentale, la parola chiave per comprendere la riforma dei media vaticani in corso, è “il criterio apostolico” da cui seguono tutti gli altri. L’obiettivo è dunque far sì che il Vangelo e il Magistero del Papa raggiungano il cuore delle persone, di tutti. Questo criterio apostolico, ha proseguito, va poi declinato in modo che non sostituisca la comunicazione delle Chiese locali e al tempo stesso sostenga le comunità ecclesiali che più hanno bisogno.

Ripensare la comunicazione, cambiare processi non solo strutture
Dopo aver illustrato la “timeline” della riforma che vede quest’anno coinvolti Radio Vaticana e Centro Televisivo Vaticano, mons. Viganò ha ribadito che la riforma dei media vaticani non è solamente un “cambiamento semantico”, un maquillage o un semplice accorpamento o coordinamento di strutture. Si tratta, ha detto, di “ripensare” la comunicazione vaticana così da renderla più efficace e performante soprattutto in un momento in cui – con lo sviluppo dei media digitali – è necessaria una maggiore convergenza e interattività. In particolare, ha soggiunto, bisogna ripensare i processi produttivi “in modo trasversale” così da portare ad un “nuovo flusso comunicativo”. Dunque, un sistema comunicativo nuovo, che sia anche aggiornato a livello tecnologico, ma che al contempo non dimentichi le realtà più bisognose, anche sul fronte della comunicazione.

Una comunicazione che non guardi il proprio ombelico
Il prefetto del dicastero per la Comunicazione ha, quindi, avvertito che bisogna vincere la retorica autoconsolatoria e “aprire le finestre” per vedere se davvero rispondiamo alle domande dei nostri interlocutori, vincendo dunque la tentazione di guardare il proprio ombelico. Per questo, ha detto, vanno valorizzate le risorse umane attraverso alcuni punti forti come la formazione, la riorganizzazione, il team building, la partecipazione e la condivisione. Mons. Viganò ha affermato che ritiene fondamentale in questo processo il “gioco di squadra”, per vincere i mali dell’individualismo e del mancato coordinamento.

Dalla leadership gerarchica alla leadership “retarchica”
Rilevando l’entusiasmo di quanti stanno lavorando alla realizzazione di questa riforma, il prefetto della Segreteria per la Comunicazione ha quindi messo l’accento sull’importanza di una leadership, in particolare nella comunicazione, che non sia più gerarchica, direttiva, quanto piuttosto “retarchica”, che guardi alla rete dei suoi collaboratori, che valorizzi il personale. Una guida che si basi sulla condivisione, che sia capace di trasformare un deficit comunicativo in un surplus comunicativo. Una leadership più interessata ad orientare domande che a ricevere risposte. Infine, rispondendo alle domande dei partecipanti, mons. Viganò ha tenuto ad evidenziare che nella comunicazione – a qualsiasi livello – è fondamentale coltivare i rapporti umani, creare un contesto di simpatia umana. Il cuore, infatti, ha concluso, si apre solo ad un amico.

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Vatileaks 2. Fralleoni: è come se qualcuno mi avesse filmato

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“Non capivamo perché ci fosse la necessità di fotocopiare interi documenti già acquisiti”. Così Stefano Fralleoni nella decima udienza del processo in Vaticano per appropriazione e divulgazione illecita di documenti riservati. Il testimone, all'epoca dei fatti ragioniere generale della Prefettura degli Affari economici, è stato chiamato come teste dall’ufficio del promotore di giustizia. Presenti tutti gli imputati, tranne il giornalista Emiliano Fittipaldi; l'altro cronista, Gianluigi Nuzzi, ha lasciato l’aula per "sopraggiunti motivi" poco prima della fine dell'udienza, che è stata aggiornata, come conferma anche la nota della Sala Stampa Vaticana, a giovedì alle 15.30. Massimiliano Menichetti: 

Un’udienza pomeridiana tutta incentrata sull’interrogatorio di Stefano Fralleoni, che ha ricostruito il suo incarico presso la Prefettura degli Affari economici a partire dal novembre del 1996 in qualità di revisore contabile, fino ad arrivare alle mansioni dirigenziali, di ragioniere generale, svolte a partire dal 2009.

"Ero un nemico"
“Non avevo compiti decisionali”, ha precisato, spiegando che il lavoro in Prefettura, prima della costituzione della Cosea, si svolgeva serenamente “con un flusso costante di informazioni, in entrata ed in uscita”. Fatto, questo, che cambiò sempre più, fino a generarsi una “frattura” tra le due strutture. Cosea indagava anche sulla Prefettura. Ero un “nemico” - dice - di mons. Vallejo e mons. Abbondi”; avevamo una “diversa visione dei problemi”.

L’affiancamento di mons. Vallejo
Fralleoni ha spiegato che mons. Vallejo Balda ebbe l’incarico in Prefettura Affari Economici dopo nove mesi di vacatio, seguiti all’uscita dal ruolo di mons. Di Mauro. “Mons Vallejo non parlava italiano, non conosceva la Santa Sede, né la Curia. All’inizio fu difficile” - ha detto - precisando di essere stato un referente per il nuovo superiore insieme a mons. Alfredo Abbondi. Ha evidenziato che Francesca Immacolata Chaouqui iniziò a frequentare “una o due volte la settimana” gli uffici già dalla primavera del 2013, prima della costituzione di Cosea, incontrandosi prevalentemente con i due prelati.

Il sodalizio a porte chiuse
Sollecitato dalle domande, Fralleoni ha precisato che, man mano che Cosea diventava operativa, “si intensificarono” gli incontri “a porte chiuse tra mons. Vallejo, Maio, Chaouqui e mons Abbondi”. E che questo “faceva pensare ad un sodalizio”, “un modo comune di vedere le cose”. “Tutti i colleghi laici - ha detto - avevano rilevato questa anomalia” una sorta di “irritualità”.

Pensavano di trasformare i Musei Vaticani in Fondazione
Non circolavano notizie tra Cosea e la Prefettura. Gli incontri della Commissione sostanzialmente si svolgevano “a porte chiuse” nell’ufficio di mons. Vallejo e non nella sede Cosea di Santa Marta e al personale della Prefettura venivano fatte richieste inerenti ad attività Cosea. Fralleoni ha raccontato che non sapeva nulla delle riunioni Cosea, ma che mons. Vallejo lo informò che “si stava pensando ad una separazione dei Musei Vaticani per trasformarli in una Fondazione”, idea questa “avuta anni prima da mons. Abbondi”.

Rapporti deteriorati 
Il teste ha presentato un graduale deterioramento delle relazioni tra mons. Vallejo ed il personale della Prefettura. Ha parlato dapprima di “apprezzamento” e “stima” da parte del segretario, poi di “un cambiamento”. “Tutti i dipendenti - ha detto - erano diventati incapaci e fannulloni. C’era sempre un modo per esprimere delle critiche per qualcosa che non andava”. Fralleoni ha parlato di un “clima sgradevole, con manifestazioni di violenze fisiche” come degli “strattonamenti” da parte di mons. Vallejo. Fatti questi segnalati alle competenti istituzioni. Per il segretario - ha aggiunto - “tutto il personale della Santa Sede era di basso profilo”.

Mons. Vallejo e Chaouqui
Sollecitato sul rapporto tra il prelato e la Chaouqui ha evidenziato che il monsignore la reputava “una persona di valore, di “grande esperienza nell’ambito della comunicazione”, importante per i “rapporti con i media” ed “insisteva sulla necessità di inserirla”. Fralleoni aveva l’impressione che la donna “avesse un grande ascendente su mons. Vallejo e che lui tenesse molto in considerazione i suoi giudizi”.

Usb con il fascicolo Scarano
Il testimone ha parlato di un giorno, prima che si avviasse il lavoro di Cosea, in cui mons. Vallejo dopo aver incontrato Chaouqui, gli mostrò una chiavetta Usb con dentro “il fascicolo completo del caso Scarano”. “Materiale che non poteva trovarsi in Prefettura e che era della Procura della Repubblica italiana”. “Lo fece - ha risposto - per far vedere che poteva avere accesso a documenti riservati”. Fralleoni ha confermato la deduzione “che il materiale gli fosse stato consegnato dalla donna”.

Il via vai in Prefettura
Descrivendo “le molte persone che avevano accesso in Prefettura”, il ragioniere generale ha precisato che Cosea aveva chiesto l’assistenza di esperti delle società Kpmg e Mckinsey, i quali avevano le chiavi della struttura e che come i membri della Commissione, “si trattenevano oltre l’orario di ufficio”.

I documenti fotocopiati
A questo punto ha spiegato quella che ha definito “una grave anomalia”, motivo di contrasti con il personale della Prefettura, ovvero la decisione di mons. Vallejo di incaricare un usciere e mons. Abbondi di fotocopiare molti documenti come “gli estratti conto dello Ior relativi alla quasi totalità delle giacenze degli enti della Santa Sede”, “consistenti documenti relativi alle Cause dei Santi” e “un gruppo di fascicoli su bilanci e relazioni sulle Basiliche papali”.

Il monito
“Nel momento in cui si cercava di capire per aiutare - ha proseguito - si riceveva una sorta di monito” e ci veniva detto: “chi è contrario alla riforma è contrario al volere di Sua Santità”. Pur non comprendendo “perché ci fosse la necessità di fotocopiare interi documenti già acquisiti sia da Cosea sia dalla Prefettura”, Fralleoni però non ha potuto confermare, ma solo ipotizzare, “un utilizzo extra-istituzionale” degli atti.

Il foglio delle firme
In Prefettura non esisteva un vero e proprio registro delle “uscite per presa visione dei documenti”, ma un foglio di segnalazione e “mons. Vallejo - ha spiegato ancora - nonostante i contrasti con la sig.ra Pellegrino, responsabile dell’archivio ordinario”, si rifiutava di firmarlo. "Fatto questo comunque segnalato al cardinale Giuseppe Versaldi, presidente della Prefettura degli Affari economici".

Il set di valigie
Il dirigente vaticano ha poi parlato del set di valigie arrivato nel 2014 indirizzato “alla Cosea c/o Prefettura”. “Maio – secondo Fralleoni - disse che erano faldoni per le attività della” Commissione, ma il dirigente lo vide “andare via con una di queste valigie”. A questo punto Francesca Immacolata Chaouqui, più volte ripresa durante l’udienza per i commenti a voce alta o i gesti in aula, rivolgendosi al presidente del Tribunale ha detto che “erano solo valigie e che era in grado di mostrarne una” perché in suo possesso.  

Microspie
Fralleoni si è quindi riferito al libro “Via Crucis” in cui è citato. “E’ come se qualcuno mi avesse filmato oltre che ascoltato” ha detto, evidenziando che il testo di Nuzzi riporta “gesti e situazioni” in cui c’era il massimo riserbo come la sua “partecipazione alla presentazione dei bilanci” con il “Consiglio dei quindici Cardinali”; dei dialoghi avvenuti durante una “pausa caffè sempre in quella sede” ed una conversazione avuta con un postulatore sulle cause di beatificazione. “Mi è stato detto - ha aggiunto - che in Prefettura ci fossero microspie, ma non posso confermare”.

La sospensione di Fralleoni
Sollecitato sulle sue attuali mansioni, Fralleoni ha spiegato che in data 29 ottobre 2015 è stato sospeso dal servizio in Prefettura per incompatibilità del suo ruolo con l’incarico di presidente della Fondazione Bambino Gesù e presidente della Fondazione Padre Luigi Maria Monti. Ha comunque precisato che “mons. Vallejo sapeva del lavoro svolto in Italia” e che “mai questi incarichi istituzionali avevano costituito problema”. Il testimone ha anche confermato che la firma della sospensione è stata quella di mons. Vallejo, ma “di non poter confermare se la decisione sia venuta” effettivamente da lui. 

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Chi è il prossimo: all'udienza generale il Papa parla del buon Samaritano.

Il pensiero della differenza: Luca M. Possati su identità europea e senso perduto del sapere.

Thriller dell'anima: Emilio Ranzato sul lungometraggio d'esordio di Gianclaudio Cappai.

Sulla riva di un piccolo fiume: Antonio Paoluccio sulla fine del restauro nella Galleria delle Carte Geografiche che conduce alla Cappella Sistina.

Edoardo Zaccagnini sulla crudeltà dello scalatore: nei protagonisti di "House of cards" rivive lo spirito del Riccardo III.

"Donne chiesa mondo" si rinnova: il mensile dell'Osservatore Romano diventa magazine.

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Oggi in Primo Piano



Rientra Riek Machar, il Sud Sudan spera in un futuro di pace

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Dopo due anni e mezzo di guerra civile, che ha provocato migliaia di vittime e oltre due milioni di profughi e sfollati, il Sud Sudan spera di riprendere la via della riconciliazione. L’ex capo dei ribelli antigovernativi, Riek Machar, è rientrato ieri a Juba e ha giurato per tornare ad essere vicepresidente del Paese, carica che aveva ricoperto fino allo scoppio dei combattimenti, nel dicembre 2013. Nell’agosto scorso era stato siglato ad Addis Abeba, in Etiopia, un’intesa di pace in tal senso, con l’accordo del presidente Salva Kiir. Come leggere dunque il ritorno agli incarichi istituzionali di Machar? Giada Aquilino lo ha chiesto ad Enrica Valentini, direttrice della Rete delle Radio Cattoliche del Paese: 

R. - È sicuramente un passo avanti nella messa in pratica dell’accordo di pace firmato in agosto. Tra i punti dell’intesa c’era appunto che lui ritornasse, venisse reintegrato come vicepresidente e che si desse poi origine ad governo di transizione e di unità in cui i membri delle diverse parti in conflitto fossero rappresentati, per poi guidare il Paese verso future elezioni.

D. - Quali sono le due parti in conflitto?

R. - La parte del presidente Salva Kiir e la fazione di Riek Machar.

D. - Cosa ha scatenato le tensioni e le violenze ormai due anni e mezzo fa?

R. - Il desiderio di entrambi di arrivare al potere e di governare il Paese.

D. - Su queste divergenze si sono innescati anche motivi etnici?

R. - Sì, essendo appartenenti a gruppi etnici diversi, il gruppo Dinka e il gruppo Nuer. L’elemento tribale è stato utilizzato e in parte manipolato per avere consensi.

D. - È possibile che il presidente Salva Kiir e il vicepresidente Riek Machar adesso mettano da parte le tensioni e riescano laddove non erano riusciti negli ultimi due anni e mezzo?

R. - È difficile da dire. C’è tanta pressione dall’interno e dall’esterno. Nel discorso fatto ieri, al momento dell’insediamento di Machar, il presidente Salva Kiir ha detto che entrambi sono intenzionati a risolvere le questioni rimaste aperte dopo il conflitto e a fare il possibile per migliorare le condizioni della popolazione. Da un lato c’è poi la pressione della comunità internazionale, perché in qualche modo si facciano dei passi avanti, dall’altro lato le risorse del Paese sono veramente al limite, quindi anche mettere in piedi e costruire qualcosa in questo momento di forte crisi economica diventa difficile.

D. - Le risorse economiche del Paese – ha detto – sono al limite. Eppure potenzialmente il Sud Sudan potrebbe essere un Paese molto ricco…

R. - Sì, c’è di tutto: dalla terra in sé, che quindi permetterebbe di coltivare su grande scala, al petrolio. Già ai tempi dei conflitti tra nord e sud, l’elemento delle risorse è stato sempre stato chiamato in causa.

D. - Nonostante l’accordo di agosto le violenze non si sono mai fermate. Quali sono le zone più critiche? Qual è la situazione per gli sfollati ed i profughi?

R. - Nella parte nord del Paese si è sempre combattuto, negli Stati di Unity, Upper Nile, Jonglei. La situazione per la popolazione è molto difficile, anche se in alcune zone si stanno riaprendo i mercati e in certe aree magari si riesce a reperire risorse locali, coltivando in loco. Ma la situazione a livello stradale non è migliorata, quindi anche far arrivare beni di consumo in certe zone è veramente difficoltoso. Nei campi di accoglienza ci sono sempre molte organizzazioni che lavorano, quindi un minimo di assistenza c’è. Dall’altro lato, durante tutto questo periodo in cui si era firmato l’accordo ma poco di pratico era stato fatto, alcune organizzazioni o alcuni governi hanno limitato i fondi vincolandoli all’attuazione dell’accordo. Essendoci crisi economica comunque i prezzi sono altissimi e c’è difficoltà ad ottenere soldi dalle banche, quindi anche le organizzazioni più grandi fanno fatica a pagare i fornitori.

D. - La Chiesa da sempre è impegnata anche nel soccorso alla popolazione, ai profughi, agli sfollati. Com’è mobilitata in questo momento?

R. – Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, tramite la Caritas, ci sono vari progetti sia a livello di assistenza pratica, ad esempio con attrezzi per l’agricoltura, sia con cibo ed altri beni. In zone dove magari non è possibile inviare materiale vengono mandati fondi che la gente può spendere per le proprie necessità. E, ovviamente, ci sono tanti momenti di preghiera dedicati alla pace.

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Spagna: non c'è accordo politico, si torna al voto a giugno

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Non c’è accordo in Spagna tra i partiti sui candidati alla carica di premier. Dopo tre giri di consultazioni, non si è trovata la maggioranza su nessun nome. Il Parlamento dunque sarà sciolto il 2 maggio, rendendo necessario ripetere le elezioni per la prima volta nella storia democratica del Paese. La data sarebbe il 26 giugno. Sullo scenario che ora si apre con la nuova campagna elettorale, il parere di Maria Elena Cavallaro, docente di Relazioni internazionali al St. Antony's College di Oxford, al microfono di Gabriella Ceraso

R. – Con queste nuove elezioni, si va verso una sorta di "presidenzializzazione" del voto. Quello che gli elettori sono chiamati adesso a scegliere con questa seconda consultazione è proprio un nuovo leader che possa poi avere la forza di formare un governo. Quindi, oltre al cambiamento politico, un cambiamento istituzionale. Quello che fino a questo momento è stato possibile per la Spagna, fin dalle elezioni democratiche della fine degli anni Settanta, adesso non funziona più come ingranaggio. Questa è una delle ragioni che porta all’impasse odierna. L’altra è data dall’ascesa di nuovi partiti all’interno del sistema politico.

D. – Il vecchio muore e il nuovo non può nascere ?

R. – Quello che è sicuro è che i nuovi attori politici sono portatori anche di istanze molto critiche rispetto al sistema bipolare che si era creato all’indomani della transizione democratica.

D. – Quindi, è un momento storico che lascia il passo a una nuova campagna elettorale?

R. – Sì, nuove elezioni, ma i partiti devono evitare di ripetere esattamente lo schema delle elezioni del 20 dicembre, perché naturalmente la popolazione spagnola vuole qualcosa di nuovo, vuole conoscere meglio i programmi, perché i tentativi di formare il governo sono stati percepiti solamente come equilibri di forza ed equilibri di leadership.

D. – Alla Spagna,secondo lei, cosa servirebbe come leadership politica?

R. – Siamo in un momento di impasse. Tutte le formule che sono state utilizzate hanno mostrato l’impossibilità di conciliare un vecchio partito forte, come quello socialista, con i nuovi partiti emergenti dello scenario politico. D’altro canto, una coalizione destra-sinistra in Spagna fino a questo momento non è stata ipotesi vagliata. Forse, è il caso di ipotizzare che i due partiti classici di maggioranza e opposizione facciano come in Italia hanno fatto il Pd e il Nuovo centrodestra. Un’ipotesi che c’è sul tavolo, che però ancora non è stata vagliata, perché c’è paura che l’elettorato si senta tradito sia da una parte che dall’altra. Però, Sanchez sta abbassando molto i toni nei confronti di Rajoy, quindi forse al vaglio c'è questa soluzione.

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Crisi in Venezuela: settimana lavorativa ridotta a due giorni

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Il governo venezuelano ha imposto una settimana lavorativa di due giorni nel settore pubblico come misura temporanea per far fronte alla grave crisi energetica che attraversa il Paese: i dipendenti statali lavoreranno solo il lunedì e il martedì per risparmiare elettricità, fino a data da precisare. Intanto, il Consiglio Nazionale Elettorale del Venezuela consegnerà all'opposizione i formulari necessari per richiedere un referendum revocatorio del mandato del presidente Nicolas Maduro. Ad invocarlo da tempo il Tavolo di Unità Democratica, la coalizione antichavista. Il movimento dovrà ora raccogliere le firme di cittadini che rappresentino almeno l'1% degli iscritti nelle liste elettorali in tutto il Paese, come prossimo passo per la convocazione del referendum. Per un'analisi del Paese che fronteggia una pesante crisi economico-istituzionale, in un contesto di pesante criminalità, Massimiliano Menichetti ha intervistato Leonardo Morlino professore di Scienza della Politica all’Università Luiss di Roma: 

R. – Chavez ha tentato di introdurre elementi di maggior eguaglianza, quindi di lotta alla diseguaglianza, in un Paese che effettivamente era caratterizzato da questo. In buona sostanza Chavez ha avuto successo, anche se ha pagato questo con una serie di aspetti, come l’aumento di corruzione, la limitazione di alcuni diritti civili e politici, la limitazione della stampa... A questo punto una volta scomparso Chavez e di fronte alla attivazione di forze che da sempre sono state contrarie e che nelle ultime elezioni si sono dimostrate di poco maggioritarie e soprattutto di fronte alla crisi economica dovuta alla diminuzione del costo del petrolio e quindi gli introiti che venivano dal petrolio, ci troviamo con un dato – fine anno scorso – in cui il 78 per cento della popolazione è sulla soglia della povertà. Un disastro assoluto, completo e senza rimedio per un Paese!

D. – Che dire di questa richiesta di referendum revocatorio del mandato del presidente Maduro?

R. – E’ l’unico modo per uscire da uno stallo, perché il potere del presidente Maduro è in contrapposizione con una maggioranza parlamentare, appunto contraria al presidente, quindi l’unico modo per uscire dallo stallo è ritornare ai cittadini.

D. – Tutto questo in un contesto dove il crimine organizzato sembra ormai essere, di fatto, la legge…

R. – E’ una situazione drammatica! In questo decennio c’è stata minore attenzione ai diritti civili, limitazione dei diritti politici, controllo della stampa. Però i militari hanno ancora un loro potere ed hanno ancora qualcosa da dire…. Alla fine Maduro cercherà di appoggiarsi a loro.

D. – Ma si rischia un collasso del Paese?

R – E' già al collasso il Paese! C’è povertà, difficoltà di approvvigionamento… Il vivere comune è saltato! E in questo – è chiaro – la criminalità organizzata ha uno spazio enorme…

D. – Come si cambia questa realtà?

R. – Sperando che ci sia il referendum il più rapidamente possibile, sperando in una grande responsabilità dei militari, che hanno avuto – in verità –  negli anni precedenti, e quindi si inizi un cambio, un cambio che sarà comunque dolorosissimo …

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Vicario di Aleppo: tutti più poveri con un Medio Oriente senza cristiani

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Si è svolto ieri a Milano un convegno sul tema “Siria, terra contesa. La speranza che vive ad Aleppo”. Ha portato la sua testimonianza mons. Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo dei Latini. Da Milano, Fabio Brenna

Anche la martoriata città di Aleppo ha una sua Porta Santa nella parrocchia di San Francesco, nonostante la chiesa fosse stata centrata da una granata alla fine di ottobre. Dal 13 dicembre anche lì si può vivere il Giubileo della Misericordia, fra le macerie di quella che un tempo fu la più popolosa città della Siria: quattro milioni di abitanti, ridotti a meno della metà, dopo quattro anni di sanguinosi combattimenti; simbolo di speranza, ma anche di sofferenza per la comunità cristiana locale, che prima del conflitto contava circa 200 mila appartenenti, mentre oggi è ridotta a non più di 90 mila unità; dimezzate anche le 30 chiese attive in città. Una tragedia che accomuna tutti coloro che sono rimasti ad Aleppo e che è stata raccontata da mons. Georges Abou Khazen, francescano e vicario apostolico della Sarajevo del XXI secolo, come è stata ribattezzata Aleppo. “Se la nostra terra e il Medio Oriente verranno svuotati della presenza cristiana sarà un impoverimento per tutti”, ha detto nella sua testimonianza. Ed anche tanti musulmani sono convinti di questo. “Una guerra che vinceremo con la preghiera, con la carità, la solidarietà fra di noi e la misericordia”, ha continuato. Ed anzi, proprio questo Anno Santo della Misericordia, deve servire ai cristiani per ricostruire quelle tessere di convivenza e di amicizia che componevano il ricco mosaico siriano, composto prima del conflitto da ben 23 diversi gruppi etnici e religiosi.

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Pakistan: aumentano donne cristiane forzate a convertirsi all'islam

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In Pakistan sono oltre mille, ogni anno, le ragazze rapite e convertite forzatamente all'islam. Per la maggior parte sono cristiane o appartenenti ad altre minoranze religiose, le più vulnerabili e indifese. L'ultima è una ragazza di 23 anni, rapita il 14 aprile da due musulmani. Al microfono di Valentina Onori, il prof. Mobeen Shahiddocente alla Pontificia università lateranense e fondatore dell'Associazione dei pachistani cristiani in Italia, spiega il preoccupante fenomeno che avviene nel silenzio dei media: 

R. – La situazione delle ragazze che appartengono alle minoranze religiose, in particolare cristiane ed indù, in Pakistan, è pessima, perché questi casi stanno ultimamente crescendo in maniera imprevedibile. Succede, in particolare, con le minoranze religiose, perché sono la parte più debole della società, e con le donne ancora di più. Noi, come “Associazione pakistani cristiani”, stiamo assistendo 200 bambine, alcune delle quali sono state sostenute nell’istruzione e poi nell’inserimento sociale dopo questi casi. Ma non è che una goccia nell’oceano di ignoranza e di povertà presente in Pakistan. La legge della sharia prevede, a livello costituzionale, delle discriminazioni forti, solo perché sono donne.

D. – Quali sono i dati attendibili, includendo anche il fatto che la polizia locale rappresenta a volte un ulteriore ostacolo nella registrazione delle denunce?

R. – Mille è dire poco, perché solo l’anno scorso ci sono stati solo 1.200 casi registrati, ma sono solamente la punta dell’iceberg. La polizia crea ostacoli, perché spesso riceve denaro da parte dei criminali. Ma, oltre a questo, c’è un'implicazione religiosa anche perché, se si tratta di una ragazza cristiana o indù, la polizia osserva solamente e resta indifferente.

D. – Quali sono i mezzi che hanno a loro disposizione le famiglie cristiane per poter affrontare una situazione del genere?

R. – Le famiglie cristiane, purtroppo, oltre alla legge, che interpellano quando è possibile, non hanno altri mezzi, tranne quello di andare dal proprio parroco per chiedere assistenza. Il parroco, normalmente, essendo una figura di rappresentanza religiosa e sociale, cerca di aiutare in questi casi. Purtroppo, però, anche le vie legali non sono molto semplici. La polizia, infatti, spesso pretende di essere pagata.

D. – Quindi, la soluzione quale sarebbe?

R. – La soluzione è raccontare la propria situazione a livello internazionale, tramite i media, perché tutto questo diventi pubblico e non rimanga solo privato e messo spesso nel dimenticatoio.

D. - Ha ultime notizie di Asia Bibi?

R. – Noi cristiani del Pakistan siamo preoccupati, perché si teme che qualsiasi fanatico in carcere o qualsiasi poliziotto del penitenziario possano ucciderla per accontentare qualche fondamentalista islamico che incita all’odio. Lei è dimenticata, senza assistenza e senza qualsiasi garanzia per la sua vita. Si spera che la sua innocenza possa essere provata. Spero che anche l’Onu possa intervenire, non solo nel caso di Asia Bibi ma anche per tante altre “Asia Bibi” che sono in carcere, accusate di abuso della legge sulla blasfemia.

D. – Cosa sta accadendo in Pakistan nella comunità cristiana?

R. – Sta cercando di rivolgersi alla comunità internazionale tramite organismi o ong per denunciare: la denuncia è il primo passo in questa direzione.

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Save the Children: 58 milioni di bambini non vanno a scuola

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E’ un quadro drammatico quello che emerge dall’ultimo rapporto di "Save the Children" sulla condizione dei minori nel mondo. Sono bambini invisibili, dimenticati e vulnerabili. Sei milioni di bambini prima di compiere cinque anni muoiono per malattie curabili. Nonostante i traguardi raggiunti negli ultimi decenni, tra cui il dimezzamento della mortalità infantile dal 1990 a oggi, milioni di bambini continuano a essere esclusi e discriminati. Ne parla Filippo Ungaro, direttore della Comunicazione e Campagne comunitarie di Save the Children, intervistato da Valentina Onori

R. – E’ intollerabile che questi bambini rimangano indietro soltanto perché nascono nel posto sbagliato o perché appartengono a minoranze etniche o perché sono bambine… Purtroppo, ancora oggi nel mondo ci sono 58 milioni di bambini che non vanno a scuola, sei milioni ancora che muoiono per cause facilmente prevenibili e curabili, 400 milioni, addirittura, sotto i 13 anni che vivono in povertà assoluta e altrettanti che sono discriminati a causa del sesso, della religione, dell’etnia e della disabilità. Questi bambini sono i più poveri fra i più poveri.

D. – Anche in questo quadro drammatico è presente la discriminazione di genere: le ragazze adolescenti più povere sono quelle più discriminate…

R. – In Afghanistan, solo il 4 % delle bambine, in contesti familiari di povertà, completa l’istruzione primaria. Normalmente vengono impiegate per varie attività, soprattutto domestiche, e se c’è da fare una scelta su chi deve andare a scuola, la bambina è sempre sacrificata.

D. – E nei Paesi ricchi le diseguaglianze ci sono?

R. – In Italia, c’è un milione di bambini che vive in povertà. In Gran Bretagna, i bambini appartenenti alle minoranze etniche, alle minoranze di origine pakistana e bengalese, crescono in povertà rispetto ai loro coetanei inglesi.

D. – Il cambiamento è possibile? 

R. – Il cambiamento è assolutamente possibile! Bisogna saperlo, bisogna crederci fino in fondo. E’ questione di volontà politica e di investimento da parte della comunità internazionale riguardo ai bambini più vulnerabili. Bisogna ricordarsi di questi bambini e investire su di loro. Ci sono tanti bambini che non possono andare a scuola perché non possono permettersi di comprare l’uniforme scolastica: è assolutamente inaccettabile nel 2016. Oggi, il mondo ha tutte le tecnologie e le risorse necessarie per poter risolvere questo problema. E il fatto che ci siano ancora quasi sei milioni di bambini che prima di compiere cinque anni muoiono per malattie banalissime, come la polmonite, la malaria, la dissenteria… Questo è un problema che si potrebbe risolvere dall’oggi al domani.

D. – Che futura generazione sarà quella di questi bambini, se non vengono aiutati?

R. - Purtroppo, questi bambini saranno condannati a non avere nessun tipo di futuro o comunque un futuro ancora una volta legato a povertà, a miseria, a stenti. Bisogna che il mondo si occupi di questi bambini più vulnerabili. E’ necessario che la comunità internazionale si muova in questo senso e faccia veramente qualcosa per loro.

D. – Quanto incide l’istruzione?

R. – L’istruzione è la chiave di volta per poter dare a questi ragazzi un futuro dignitoso e un’educazione che sia di qualità, a maggior ragione e soprattutto per le bambine. Una bambina più educata sarà, a sua volta, una mamma che si sposerà più tardi, che avrà più consapevolezza rispetto alla salute e all’educazione dei propri figli.

D. – L’aiuto più grande quale potrebbe essere?

R. – L’aiuto più grande deve venire dalla comunità internazionale. Ci deve essere una volontà politica forte, perché altrimenti quello che fa Save the Children oggi potrebbe essere cancellato da una guerra, da una catastrofe naturale domani. E’ importante che ci sia un investimento strutturale nell’eliminazione di queste discriminazioni. Intanto, bisogna riconoscere il problema e, una volta riconosciuto il problema, creare una strategia di intervento. Oggi, purtroppo, questi bambini più vulnerabili sono proprio esclusi, sono dimenticati, sono invisibili. Pochi si occupano di loro in maniera strutturale.

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Seminario Santa Croce: al centro la comunicazione digitale

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E’ in corso in questi giorni a Roma, alla Pontificia Università Santa Croce, il 10.mo seminario per i Comunicatori della Chiesa, incentrato quest’anno sul tema “Partecipazione e Condivisione”. All’evento partecipano comunicatori di tutto il mondo che si confrontano sulle sfide della comunicazione nell’era dei Social Network. A seguire l’evento per noi, Alessandro Gisotti: 

Come gestire la comunicazione della Chiesa in un contesto digitale? E’ la domanda intorno a cui ruota il Seminario dei comunicatori della Chiesa alla Pontificia Università Santa Croce. Un evento che - attraverso panel, tavole rotonde e confronti - cerca di mettere a fuoco le principali sfide comunicative per la Chiesa del nostro tempo. La riflessione del prof. Marc Carroggio, docente di Comunicazione istituzionale e management all’Università Santa Croce:

R. – La Chiesa – secondo me - può tantissimo in termini di umanità, di calore. Il Papa parla molto della Madre Chiesa, che dà calore in questo mondo ferito e che può generare anche una cultura dell’incontro che anzitutto e prima di tutto è far sì che la gente possa incontrare, trovare Dio, anche nella scena pubblica. Mi sembra che in questo contesto le tecnologie digitali, che sono ormai sono "ambientali", non sono più tecnologia, danno tanto ai fedeli della Chiesa ed hanno fatto sì che oggi tutti nella Chiesa siano e siamo "portavoce": non c’è più un portavoce! E così il campo si apre tanto…

D. – Com’è possibile portare la Misericordia anche sulle Reti Sociali, in Internet, nella comunicazione?

R. – La carità è un po’ l’asse della comunicazione della Chiesa. A me vengono sempre in mente il nome della prima Enciclica di Benedetto XVI “Deus caritas est” e l’“Evangelii Gaudium” di Papa Francesco. Quindi la carità è il contenuto della comunicazione della Chiesa, la misericordia è il contenuto della comunicazione della Chiesa, ma anche il modo e lo stile della Chiesa!

Tecnologia, ma non solo, dunque, perché al centro della comunicazione deve sempre esserci la persona, come insegna Papa Francesco e come sottolinea il prof. Giovanni Tridente, docente di Etica informativa e legislazione di stampa alla Pontificia Università Santa Croce:

R. – Qui il discorso è passare da una comunicazione incentrata sui mezzi, sugli strumenti, a una comunicazione che ha di fronte un individuo, una persona. Il Papa, appunto, con i suoi gesti, lo dimostra ogni giorno: a lui interessa l’individuo concreto, la persona concreta, l’essere umano che ha di fronte. Anche la comunicazione della Chiesa si deve orientare in questo senso: quindi, attraverso gli strumenti che evolvono, che migliorano, c’è bisogno di riscoprire i contenuti e parlare ai cuori delle persone, riuscendo a coinvolgerli, riuscendo a condividere con loro le esperienze di fede, piuttosto che limitarsi alla sola tecnologia.

D. – Siamo nell’Anno della Misericordia e la misericordia è anche uno dei temi del binomio del messaggio per la 50.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali: “Comunicazione e misericordia, un incontro fecondo”. Ma come si può testimoniare la Misericordia, poi, nella comunicazione e anche, appunto, nei Social Network?

R. – Nelle Reti Sociali si può parlare di Misericordia con un atteggiamento positivo verso i contenuti che si vogliono trasmettere, verso le persone che interagiscono, i proprio follower; soprattutto quando ci sono delle tematiche – diciamo – problematiche, io posso approfittare di quell’occasione per trasmettere la mia identità, non esacerbando il confronto, ma dando una possibilità anche per conoscere di più le persone, per fare insieme un percorso. Quindi approfittare anche di quelle situazioni problematiche per tirarne fuori una luce e una evidenza positiva.

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Nella Chiesa e nel mondo



Francia. Diocesi Lione, nuove misure anti-abusi e pedofilia

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Si è svolto il 25 aprile a Lione un “summit” di tutti i 220 preti della diocesi francese per fare il punto sulla lotta alla pedofilia e agli abusi sessuali all’interno della Chiesa e individuare nuove iniziative di prevenzione, ascolto delle vittime, azione. L’incontro - riferisce l’agenzia Sir - è stato voluto dal cardinale Philippe Barbarin. Nei mesi scorsi è stata aperta un’inchiesta per “mancata denuncia” su casi di pedofilia che sarebbero stati commessi da due sacerdoti nella diocesi.

Importanza di verità e giustizia
Nel prendere la parola ieri - si legge in un comunicato diffuso dalla diocesi di Lione - il cardinale ha rifeirto che “la diocesi aveva compiuto degli errori nella gestione e nomina di alcuni preti”. Il porporato ha quindi sottolineato “l’importanza, per le vittime di abusi sessuali commessi dal clero, di veder riconosciuto il loro diritto alla verità e alla giustizia. Le vittime - ha detto - devono poter contare sull’ascolto e sul sostegno della diocesi”. Il cardinale Barbarin ha anche ribadito “la fiducia che la diocesi ha nella giustizia perché sia fatta luce sulla verità in tutti i casi in cui essa è mancata”. Il porporato ha però anche riaffermato “la sua fiducia nei preti che compiono la loro missione con grande dedizione e nella fedeltà al loro stato di vita”.

Linea telefonica h24 per vittime di abusi
Sulla scia delle iniziative messe in campo recentemente dai vescovi francesi a livello nazionale, anche la diocesi di Lione, al termine della riunione di ieri, ha avviato una serie di “misure”. La prima è l’apertura di una linea telefonica (0033.04.78 814 845), aperta 7 giorni su 7 e 24 ore su 24, per le vittime di abuso sessuale. A questo numero risponderanno dei professionisti: psicologi clinici che ascolteranno in maniera del tutto confidenziale il racconto delle vittime, rispettando l’anonimato della vittima e, se la persona lo desidera, potrà essere fissato un appuntamento per iniziare un accompagnamento individualizzato. Se necessario, la vittima può essere accompagnata fino alla presentazione della denuncia.

Istituito un collegio di esperti
La diocesi ha poi istituito un “collegio di esperti”, composto da un magistrato, uno psichiatra, uno psicanalista, un medico, un canonista, un assistente sociale e due genitori, che ha il compito insieme al vicario generale della diocesi di studiare e analizzare casi sospetti. I sacerdoti hanno poi deciso di avviare un lavoro per rafforzare la formazione del clero, intensificare la prevenzione e l’accompagnamento dei sacerdoti e stabilire nuovi criteri di nomine e ingresso nel sacerdozio.

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Vescovi Perù: pena di morte è inaccettabile, vita dono di Dio

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Dibattito acceso, in Perù, sulla pena di morte dopo che la candidata alla poltrona di Capo di Stato, Keiko Fujimori, ha proposto di introdurre la pena capitale per chi abusa dei minori di 7 anni, oltre per chi è colpevole di terrorismo, come prevede la Costituzione nazionale. Immediata la reazione della Conferenza episcopale peruviana (Cep), in difesa della sacralità della vita umana.

Rispettare vita umana dal concepimento e fino a morte naturale
In una nota, infatti, la Cep sottolinea: “La vita umana è un dono di Dio e quindi siamo tenuti a rispettarla e a proteggerla dal primo momento del concepimento fino al suo termine naturale”. Pur ribadendo, poi, che “la Chiesa riconosce il diritto e il dovere dell'autorità pubblica di imporre sanzioni proporzionate alla gravità del delitto, senza escludere, in casi di estrema gravità, il ricorso alla pena di morte”, i presuli ricordano che, tuttavia, i casi in cui "l'esecuzione del condannato è una necessità assoluta sono molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti".

Papa Francesco: pena di morte è inammissibile
Infine, la Cep cita quanto detto da Papa Francesco nella lettera consegnata alla Commissione internazionale contro la pena di morte, il 20 marzo 2015: “Oggi la pena di morte è inammissibile, per quanto grave sia stato il delitto del condannato. È un’offesa all’inviolabilità della vita e alla dignità della persona umana che contraddice il disegno di Dio sull’uomo e sulla società e la sua giustizia misericordiosa, e impedisce di conformarsi a qualsiasi finalità giusta delle pene. Non rende giustizia alle vittime, ma fomenta la vendetta”. (I.P.)

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Vescovi del Sudafrica preoccupati per scontri politici e sociali

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I vescovi del Sudafrica sono preoccupati dal clima di scontro politico e sociale nel Paese, segnato in questi mesi da violente proteste, represse con la forza dalla polizia.

Evitare di fare precipitare il Paese in una guerra civile
In una nota diffusa il 25 aprile, il presidente della Commissione episcopale della Giustizia e della Pace, mons. Abel Gabuza, ha ammonito i partiti politici ad astenersi da azioni e dichiarazioni bellicose che potrebbero istigare alla violenza nella campagna per le prossime elezioni locali del 3 agosto e rischiano di fare precipitare il Paese in una guerra civile. La nota si riferisce in particolare alle parole del leader del Partito di opposizione Freedom Fighters, Juliuis Malema, che in questi giorni ha minacciato di cacciare il governo con le armi, se andasse avanti con la violenta repressione delle proteste. 

No all’uso eccessivo della forza per reprimere le proteste sociali
“Abbiamo visto le conseguenze nefaste della guerra civile in altri Paesi africani, compresa la massiccia perdita di vite umane, le crisi di rifugiati e i danni irreparabili all’economia. Non vogliamo che il nostro Paese si incammini su questa strada”, si legge nella dichiarazione ripresa dall’agenzia Cns. Mons. Gabuza chiama in causa anche l’uso eccessivo della forza da parte della polizia che - afferma - non risolve il complesso problema delle proteste violente. Il governo - prosegue - dovrebbe invece affrontare le cause del malcontento, “comprese le crescenti disuguaglianze economiche, la disoccupazione giovanile, il clientelismo e  la corsa dissennata per conquistare posizioni politiche, soprattutto quando esse sono considerate come un’opportunità di arricchimento personale”.

Il governo Zuma in difficoltà
Le proteste di questi mesi in Sudafrica sono legate alla crisi economica e hanno coinvolto i quartieri più disagiati del Paese esclusi dall’accesso a servizi essenziali, come l’acqua potabile e l’elettricità, ma anche gli studenti universitari. La repressione violenta della polizia ha ulteriormente indebolito la posizione del presidente Jacob Zuma, condannato di recente dalla Corte Costituzionale per aver usato 246 milioni di rand (14 milioni di euro) di fondi pubblici per ristrutturare la sua residenza di Nkandla. (L.Z.)

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Sri Lanka. Mons. Andradi: nella Chiesa nessuno è spettatore

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L’attività dei laici nella vita della Chiesa “è tanto importante quanto quella dei sacerdoti e dei religiosi, perché essi vivono all’interno della società. È tempo di riflettere sulla missione delle persone non consacrate, perché possano capire la realtà del loro mandato”. Con queste parole mons. Norbert Andradi, vescovo di Anuradhapura e presidente della Commissione episcopale per i laici, ha celebrato la Giornata per l’apostolato laicale indetta dalla Chiesa dello Sri Lanka lo scorso 24 aprile. Il messaggio del vescovo è apparso sul “Ganartha Pradeepaya”, organo ufficiale di stampa dell’arcidiocesi di Colombo, sia in lingua singalese sia in inglese.

L’eredità del Concilio Vaticano II
Nella lettera - ripresa dall’agenzia AsiaNews - il presule ricorda come il ruolo del laicato sia esaltato dal Concilio Vaticano II, dove si afferma che tutti sono chiamati “a contribuire, quasi dall’interno della società a mo’ di fermento, alla santificazione del mondo esercitando il proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico” (LG, 31).

Ruolo dei laici nella Chiesa è immenso
“Il ruolo e la responsabilità dei laici nella Chiesa - scrive mons. Andradi - è immenso. Ci sono tante forme, varie e molto utili, di servizi che possono essere resi ai bambini, ai giovani, alle giovani coppie e alle nuove famiglie. I laici possono assistere a vari aspetti della vita della Chiesa, per renderli più significativi. La loro opera essenziale è quella di incoraggiare gli sposi a vivere una vita di fede nel matrimonio”.

Nessuno sia un semplice spettatore
Secondo il vescovo di Anuradhapura, l’attività dei laici deve avere un grande risalto anche nella celebrazione eucaristica, che non deve essere affidata solo al sacerdote: “Nessuno che partecipa alla Messa è solo un osservatore o uno spettatore. I laici sono chiamati ad essere partecipanti attivi alla liturgia, con il celebrante e tutta la comunità”. Inoltre, sottolinea il vescovo, “queste persone non devono tentare di rubare il ruolo al sacerdote, ma nemmeno di scaricare la loro responsabilità su di lui”.

Condividere ruoli e abilità per progredire nella preghiera
Per approfondire la propria vocazione in tutti quegli ambiti della società nei quali i consacrati non possono arrivare, i laici “devono tornare in continuazione alle loro promesse battesimali, per approfondirle e comprenderle. Sarebbe di grande aiuto - continua mons. Andradi - se si capissero le origini dell’apostolato laico. Visto che non tutti siamo esperti in ogni campo del sapere, condividere i ruoli e le abilità di ciascuno contribuisce a progredire nella preghiera e a manifestare sempre di più il volto misericordioso del Padre”.

Rispettare ogni persona e salvaguardare il Creato
P. Leo Perera, direttore nazionale della Commissione per i laici, sottolinea che in Sri Lanka la responsabilità dei non consacrati deve giocarsi nel rispetto di ogni persona - a prescindere da razza, sesso, casta e credo - e nella cura del creato: “Il Santo Padre - scrive il sacerdote - ha affermato in modo chiaro che il diritto delle persone di fruire dell’eredità comune della Terra deve essere salvaguardato. In Sri Lanka questo richiede grande consapevolezza delle risorse naturali e della loro protezione da sfruttamento e inquinamento”.

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Pasqua Ortodossa: messaggi di Bartolomeo I e Gennadios

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Testimoniare l’amore verso il prossimo, in mezzo alle atrocità del mondo contemporaneo, dilaniato da terrorismo, guerre e sofferenze: questo, in sintesi, l’invito rivolto ai cristiani ortodossi dal Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, nel suo messaggio diffuso per la Pasqua ortodossa, che quest’anno si celebra il 1° maggio.

Pasqua, certezza incrollabile in Cristo
“Noi, i leader dell’umanità, politici, spirituali ed ecclesiastici, abbiamo un compito ed un dovere d’amore - scrive il Patriarca - per fare tutto ciò che è necessario per allontanare queste situazioni anomale. La Pasqua non è per i fedeli ortodossi una fuga momentanea dall’atroce realtà del male nel mondo, bensì è la certezza incrollabile che il Cristo, che ha calpestato la morte con la morte ed è risorto dai morti, è con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.

Essere uomini nuovi
Al messaggio di Bartolomeo fa eco quello di Gennadios, metropolita di Italia e Malta, esarca per l’Europa meridionale che, in occasione della Pasqua ortodossa, esorta i fedeli ad essere “uomini nuovi per una nuova creazione”, perché con la resurrezione di Cristo “è stata ristabilita l’immortalità dell’uomo e la morte è stata inghiottita nella vittoria”. Di qui, l’invito a “purificare il proprio cuore”, così da riuscire ad “avvertire pienamente la presenza del Risorto”. (I.P.)

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Irlanda. Arcivescovo Dublino: spezzare la catena delle violenze

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“La persona forte è la persona che è capace di spezzare la catena dell’odio, la catena del male”: cita le parole di Martin Luther King - ricordate anche da Papa Francesco nell’Esortazione apostolica “Amoris Laetitia” - l’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, nel comunicato diffuso in seguito alle violenze scoppiate in città. Negli ultimi giorni, infatti, nel giro di poche ore, si sono verificati due omicidi a colpi di pistola. Sale così, drammaticamente, a 17 il numero di vittime che, dall’inizio dell’anno, si contano nella capitale irlandese a causa della malavita e della criminalità organizzata.

Non abbandonare le persone oneste
“Dublino ha bisogno di una coalizione coraggiosa di persone forti che - scrive mons. Martin - non hanno paura di chiamare la violenza, e chi la porta avanti, con il suo vero nome: il male”. “Abbiamo bisogno - sottolinea mons. Martin - di stringere una forte alleanza tra tutti coloro che si oppongono alla violenza nelle nostre strade. Non possiamo abbandonare le persone oneste, uomini, donne e bambini della nostra città”.

Non chiudere gli occhi, ma aiutare la polizia
Il pensiero del presule va anche agli “anziani che vivono nella paura”, ai giovani “esposti alla carneficina nella strade” e “tenuti in ostaggio da gente spregevole, coinvolta nel racket della morte”. Di qui, l’invito alla società a dimostrare che, davvero unita, può essere più forte dei “promotori della violenza”. “Ognuno ha la sua responsabilità - ammonisce l’arcivescovo di Dublino - perché coloro che coltivano la violenza prosperano grazie al nostro silenzio”. Essenziale, quindi, “non chiudere gli occhi”, ma contribuire alla diffusione delle informazioni utili alla polizia.

Fermare la violenza
Infine, mons. Martin si rivolge alle famiglie che hanno perso i propri cari e sottolinea: “Le loro lacrime non saranno ricompensate da ulteriori violenze”. Per questo, “bisogna spezzare la catena dell’odio e del male”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 118

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.