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Sommario del 29/04/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: profitto non prevalga su diritti di chi è colpito da malattie rare

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Nessuno resti indifferente a quanti sono colpiti dalle malattie rare, il profitto non prevalga sul diritto delle persone ad essere curate: è questo, in sintesi, quanto ha detto Papa Francesco incontrando i partecipanti al Convegno sulla medicina rigenerativa promosso in Vaticano dal Pontificio Consiglio della Cultura. Ha partecipato all'incontro rivolgendo il suo saluto anche il vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden. Il servizio di Sergio Centofanti

Tutto il mondo conosca il dramma delle malattie rare
Le definiscono malattie rare - sono circa 6mila - ma colpiscono tantissime persone, 300 milioni, che soffrono insieme ai loro cari un dolore reso ancora più acuto dal silenzio della società. Papa Francesco ricorda i suoi numerosi incontri con quanti sono affetti da queste patologie. Ricordiamo il commovente abbraccio, il 6 aprile scorso, con Lizzy Myers, la bimba americana che diventerà cieca e sorda perché ancora non c'è una cura per lei. Indica tre strade per trovare una soluzione a questo dramma. La prima è la sensibilizzazione. Siamo chiamati - afferma -  a rendere noto “su scala mondiale” questo problema:

“È di fondamentale importanza promuovere nella società la crescita del livello di empatia, affinché nessuno rimanga indifferente alle invocazioni di aiuto del prossimo, anche quando è afflitto da una malattia rara. Sappiamo che talvolta non è possibile trovare soluzioni rapide a patologie complesse, ma sempre si può rispondere con sollecitudine a queste persone, che spesso si sentono abbandonate e trascurate”.

Promuovere una ricerca rispettosa della vita
La seconda strada è promuovere la ricerca. Una ricerca che abbia “un fondamentale riferimento all’etica” e il “rispetto per la vita umana”:

“Infatti, anche la ricerca, sia in ambito accademico che industriale, richiede una costante attenzione alle questioni morali per essere strumento di tutela della vita e della dignità della persona umana”.

Assicurare l'accesso alle cure
La terza via è garantire l’accesso alle cure. “A questi pazienti” - nota il Papa - spesso “non si presta sufficiente attenzione, perché non si intravede un consistente ritorno economico dagli investimenti fatti in loro favore”:

“Nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium (…) ho affermato con forza che bisogna opporsi a «un’economia dell’esclusione e della inequità» (53), che semina vittime quando il meccanismo del profitto prevale sul valore della vita umana. Questa è la ragione per cui alla globalizzazione dell’indifferenza bisogna contrapporre la globalizzazione dell’empatia”.

Incrementare risorse per la ricerca
Occorre “incrementare le risorse per la ricerca” - conclude il Papa - e “promuovere l’adeguamento legislativo e il cambio del paradigma economico, affinché sia privilegiata la persona umana”. 

Il grazie di Biden al Papa
Nel suo saluto, il vice-presidente Joe Biden ha voluto ringraziare Papa Francesco per il “tempo privato” dedicato alla sua famiglia durante il viaggio negli Stati Uniti lo scorso settembre, per consolarla della perdita del figlio morto per un tumore. Quindi, ha detto che vincere il cancro è un obiettivo raggiungibile grazie agli enormi progressi della scienza e delle tecnologie mediche, ma sarà possibile solo a condizione che i governi e le strutture pubbliche e private nel mondo lavorino insieme per raccogliere tutte le risorse umane e finanziarie a disposizione.

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Papa: cristiani siano persone di luce. No alla "doppia vita"

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Un cristiano non percorre “strade oscure” perché lì non c’è “la verità di Dio”. Ma se anche vi cadesse, può contare sul perdono e la dolcezza di Dio, che lo restituisce alla vita della “luce”. Lo ha ribadito Papa Francesco commentando le letture del giorno durante l’omelia della Messa in Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis

Limpidi, come Dio. E senza peccato, perché non c’è errore riconosciuto che non attiri tenerezza e perdono dal Padre. “Questa è la vita cristiana”, sintetizza Papa Francesco commentando il brano della Lettera di San Giovanni, quella in cui l’Apostolo mette i credenti di fronte alla seria responsabilità di non avere doppiezza di vita – luce di facciata e tenebre nel cuore – perché Dio è solamente luce.

Cammina nella luce
“Se diciamo di non avere peccato, facciamo di Dio un bugiardo”, cita Francesco, ponendo in risalto l’eterna lotta dell’uomo contro il peccato e per la grazia:

“Se tu dici che sei in comunione con il Signore, ma cammina nella luce! Ma la doppia vita no! Quella no! Quella menzogna che noi siamo tanto abituati a vedere, anche a caderci pure noi. Dire una cosa e farne un’altra, no? Sempre la tentazione… La menzogna noi sappiamo da dove viene: nella Bibbia, Gesù chiama il diavolo ‘padre della menzogna’, il bugiardo. E per questo, con tanta dolcezza, con tanta mitezza, questo nonno dice alla Chiesa ‘adolescente’, alla Chiesa 'ragazza': ‘Non essere bugiarda! Tu sei in comunione con Dio, cammina alla luce. Fa opere di luce, non dire una cosa e farne un’altra, non la doppia vita e tutto questo”.

Più grande dei nostri peccati
“Figlioli miei” è l’inizio della lettera di S. Giovanni e questo incipit affettuoso – proprio il tono di un nonno verso i suoi “giovani nipoti” – riecheggia, osserva il Papa,  la “dolcezza” delle parole nel Vangelo del giorno, dove Gesù definisce “leggero” il suo giogo e promette il “ristoro” agli affaticati ed oppressi. In modo analogo, l’appello di Giovanni, afferma Francesco, è di non peccare, “ma se lo qualcuno lo ha fatto, non si scoraggi”:

“Abbiamo un Paraclito, una parola, un avvocato, un difensore presso il Padre: è Gesù Cristo, il Giusto. Lui ci giustifica, Lui ci dà la grazia. Uno sente la voglia di dire a questo nonno che ci consiglia così: ‘Ma non è tanto una brutta cosa avere peccati?’. ‘No, il peccato è brutto! Ma se tu hai peccato, guarda che ti aspettano per perdonarti!’. Sempre! Perché Lui – il Signore – è più grande dei nostri peccati”.

Trasparenti e nella verità
Questa, conclude Francesco, “è la misericordia di Dio, è la grandezza di Dio”. Sa che “siamo niente”, che  soltanto “da Lui” viene la forza e dunque “sempre ci aspetta:

“Non andare con un piede nella luce e l’altro nelle tenebre. Non essere bugiardi. E l’altra: tutti abbiamo peccato. Nessuno può dire: ‘Questo è un peccatore; questa è una peccatrice. Io, grazie a Dio, sono giusto’. No, soltanto uno è Giusto, quello che ha pagato per noi. E se qualcuno pecca, Lui ci aspetta, ci perdona, perché è misericordioso e sa bene di che siamo plasmati e ricorda che noi siamo polvere. Che la gioia che ci dà questa Lettura ci porti avanti nella semplicità e nella trasparenza della vita cristiana, soprattutto quando ci rivolgiamo al Signore. Con la verità”.

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Papa ai giovani di Pompei: abbiate il coraggio di fare il bene

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“Coraggiosi nel fare il bene e nel vivere la vostra fede, ma soprattutto ad aiutare i vostri coetanei ad aprire la porta del loro cuore a Gesù”. È l’augurio che Papa Francesco rivolge ai giovani di Pompei e dei Comuni circostanti che oggi celebrano il Giubileo delle scuole, in coincidenza con la 21.ma Giornata diocesana per la pace.

Nel messaggio ai ragazzi, a firma del sostituto della segreteria di Stato, l’arcivescovo Angelo Becciu, il Papa riferendosi con gratitudine ai disegni, alle poesie e alle riflessioni sulla pace inviategli dai giovani afferma che tutti questi componimenti dimostrano la comprensione del “vero senso” dell’Anno Santo della Misericordia, ovvero “diventare nel mondo dei testimoni e missionari dell’immensa benevolenza che Dio ha per tutti i suoi figli”. Francesco conclude con una preghiera alla Vergine del Rosario perché, dice, “apra i vostri cuori alla speranza e vi protegga sempre”.

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Papa a Gandolfini, promotore del Family Day: andate avanti così

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“Andate avanti così": questo l'incoraggiamento del Papa a Massimo Gandolfini, presidente del “Comitato Difendiamo i nostri figli”, durante l'udienza di oggi in Vaticano. "Molte sono le sfide che stiamo affrontando" ha detto il promotore del Family Day. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato: 

R. – Questo incontro nasce da una mia richiesta di qualche mese fa; pensavo che fosse assolutamente necessario, oltre che doveroso, che il Santo Padre conoscesse l’esistenza – innanzitutto – del nostro comitato e di quali siano i valori, i principi e le azioni nell’ambito dei quali noi abbiamo cercato di far sentire la nostra voce, in rappresentanza della gente comune, della voce popolare, di milioni di cittadini italiani e di famiglie.

D. – Cosa ha detto il Papa su questo impegno?

R. – Il Papa si è detto molto soddisfatto; era al corrente dei due “Family Day” del 20 giugno 2015 e del 30 gennaio scorso; ho chiesto proprio esplicitamente se poteva darmi una parola e sostanzialmente il Papa ha detto: “Sono molto contento; la e vi ringrazio per quello che state facendo”; e io gli ho posto proprio la domanda esplicita: “Dobbiamo andare avanti? Vuole dare qualche correzione?”. Mi ha detto: “Andate avanti così; siate un laicato forte, ben formato, con una retta coscienza cristiana". E poi: "Agite liberamente”.

D. – C’è sempre la questione se essere “contro” o “costruire”: in questo senso, cosa ha detto il Papa?

R. – Io ho fatto presente al Santo Padre che noi non siamo “contro” nessuno e che quando veniamo rappresentati come omofobi, come qualcuno che ce l’ha con le persone di pari sesso eccetera, ho detto al Santo Padre che è una rappresentazione falsa: perché personalmente e anche come comitato non siamo schierati “contro” nessuno. Siamo schierati “contro” delle ideologie che sono anche rappresentate per legge. Io ho parlato al Santo Padre della legge che purtroppo ormai sta arrivando alla fine, quella sulle unioni civili e ho detto al Santo Padre che questa è una pessima legge perché paragona e omologa le unioni tra persone di pari sesso alla famiglia con tutta la cascata di cose orribili. Ho parlato al Santo Padre anche dell’utero in affitto, della “stepchild adoption”, di tutte queste cose, per cui è “contro” questo tipo di azione legislativa e di mentalità, di cultura che noi ci schieriamo.

D. – Proprio su questo punto, il 9 maggio inizia di fatto la discussione alla Camera. Se il calendario chiude e viene rispettato, il 12 ci sarà il voto finale. Come vi preparate per questa data?

R. – Innanzitutto, questa data è significativa perché il 12 maggio 2007 ci fu il primo “Family Day” ed è impressionante che probabilmente la legge passerà proprio il 12 maggio, probabilmente con il voto di fiducia che il governo deciderà di metterci. Quel “Family Day” che ebbe quel grande successo purtroppo oggi non l’ha avuto per le ragioni che sappiamo, ma ancora una volta testimonia che dobbiamo essere tutti molto uniti, cercare molto di più le cose che ci uniscono per far fronte comune contro queste ideologie, piuttosto che stare a fare piccole differenziazioni di strategia e di cose che poi, andando a dividerci, ci rendono ancora più deboli.

D. – Ma cosa succederà dopo questa legge?

R. – Noi abbiamo intenzione già di intraprendere alcuni percorsi. Il primo percorso è quello costituzionale. Stiamo già facendo appello direttamente al presidente della Repubblica perché vagli con estrema attenzione e rigore i profili di incostituzionalità che una sessantina di specialisti costituzionalisti e uomini di scienze giuridiche gli hanno presentato: perché i profili di incostituzionalità di questa legge ci sono e sono più d’uno, sono tanti. In più, faremo naturalmente anche un appello alla Corte costituzionale, più o meno per gli stessi principi e poi, naturalmente, cercheremo di muoverci il più possibile per vedere se, in un futuro forse neanche così lontano, non possiamo prendere in considerazione un referendum abrogativo.

D. – La prossima sfida del Comitato “Difendiamo i nostri figli”?

R. – Bè, la prossima sfida, cioè quella che abbiamo più vicina: innanzitutto, faremo una convention, una seconda convention, un incontro dei nostri comitati, dei nostri simpatizzanti sul territorio il 28 maggio, qui a Roma. E magari ci sarà l’occasione di poter dire qualcosa di più. Stiamo continuando a lavorare molto con il Ministero per quanto riguarda la scuola, il famoso “comma 16, art. 1 della legge 107”, per avere una garanzia assoluta che in Italia, quando si parla di genere, si intende sesso. Guardi, se semplicemente si accettasse l’idea di scriverlo nero su bianco - per la cultura e la tradizione italiana, genere è sesso, maschile e femminile - si capirebbero tante confusioni, tanti malintesi e potremmo essere tutti molto più tranquilli e sereni.

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Nomine episcopali in Germania, Usa e Giamaica

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, i cardinali Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia, in Italia.

In Germania, il Papa ha nominato mons. Heinrich Timmerevers nuovo vescovo della diocesi di Dresden-Meißen, trasferendolo dall’ufficio di ausiliare della diocesi di Münster. Il neo presule è nato il 25 agosto 1952 a Nikolausdorf (diocesi di Münster). Ha compiuto gli studi filosofici e teologici a Münster. È stato ordinato sacerdote il 25 maggio 1980, incardinandosi nella diocesi di Münster. Dal 1980 al 1984 ha svolto l’incarico di Vicario parrocchiale a Visbek. In seguito è stato Vice-Rettore del convitto teologico “Collegium Borromaeum” a Münster. Nel 1990 è diventato Parroco di St. Vitus a Visbek. Il 6 luglio 2001 è stato eletto alla sede titolare vescovile di Tulana ed all’ufficio di Ausiliare della diocesi di Münster, ricevendo la consacrazione episcopale il 2 settembre successivo. Dal 2011 è Cappellano nazionale del Malteser Hilfsdienst.

Negli Stati Uniti, il Pontefice ha nominato ausiliare di Brooklyn mons. Neil Edward Tiedemann, passionista, finora vescovo di Mandeville, in Giamaica. Il nuovo vescovo è nato a Brooklyn (New York) nell’omonima diocesi il 5 marzo 1948. E’ entrato nella Congregazione dei Passionisti nel 1970 e ha emesso i voti perpetui il 22 agosto 1974.

È stato ordinato sacerdote il 16 maggio 1975. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha svolto i seguenti incarichi: Vicario Parrocchiale della “Immaculate Conception Parish” a Jamaica, New York (1975-1982); Incaricato della Caritas diocesana (1977-1978); Parroco della “Saint Joseph Parish” a Union City, New Jersey (1982-1984); Vicario Parrocchiale della “Blessed Sacrament Parish” a Springfield, Massachusetts (1984-1987). Successivamente ha svolto ministero pastorale a Tegucigalpa, Honduras (1987-1994), poi presso la “Saint Joseph Parish” a Union City (1995-1997) e l’“Immaculate Conception Monastery” a Jamaica (1997-1998). Per qualche tempo è stato Amministratore-Parroco della “Visitation of the Blessed Virgin Mary Parish” a Brooklyn e infine ha svolto ministero pastorale in Honduras (2005-2006). Nel 2006 è stato eletto al Consiglio Provinciale della sua Congregazione. Nominato Vescovo di Mandeville il 20 marzo 2008, ha ricevuto la consacrazione episcopale il 6 agosto successivo.

In Giamaica, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Kingston, nelle Antille, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Charles Henry Dufour, e ha nominato al suo posto mons. Kenneth David Oswin Richards, vescovo di Saint John’s-Basseterre.

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Papa, Instagram: tutelare dignità e sicurezza di chi lavora

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“Rivolgo dal profondo del cuore un forte appello affinché sia sempre tutelata la dignità e la sicurezza del lavoratore”. È il messaggio di Papa Francesco che accompagna una sua foto sul profilo Instagram @Franciscus, che in 15 ore ha già raccolto 104 mila preferenze. La foto ritrae il Papa con un caschetto giallo da operaio sulla testa mentre saluta un lavoratore durante l’incontro con i Movimenti sociali avvenuto il 9 luglio dello scorso anno a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia.

Il Papa ha lanciato anche un tweet dal suo account @Pontifex: “Cristo ha vinto il male alla radice: è la Porta della salvezza, spalancata perché ognuno possa trovare misericordia”.

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Colletta per l’Ucraina: missione di mons. Dal Toso a Kiev

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Papa Francesco ha lanciato per domenica scorsa, una colletta in tutte le Chiese d’Europa, a sostegno della popolazione ucraina colpita dal conflitto. La Santa Sede sta predisponendo interventi specifici che vadano a beneficio dell’intera popolazione, per far fronte all’emergenza umanitaria. A tal fine è stata istituita una Commissione in loco per vagliare i progetti da finanziare. Da Kiev è appena rientrato mons. Giampietro Dal Toso, segretario di Cor Unum, il dicastero vaticano che sarà chiamato a gestione i fondi della Colletta. Roberto Piermarini lo ha intervistato sugli scopi della sua missione in Ucraina: 

R. – La mia missione si iscrive nel solco della grande iniziativa voluta da Papa Francesco a favore dell’Ucraina. Sappiamo che il Papa ha fatto due grandi appelli per una Colletta, i cui proventi andranno a beneficio di tutta la popolazione ucraina per una grande azione umanitaria che la Chiesa vuole realizzare, in un momento in cui l’Ucraina sta vivendo una difficile situazione, soprattutto dal punto di vista economico, e in cui una grande fascia della popolazione soffre per questa situazione oggettivamente critica. E quindi io sono stato negli ultimi giorni a Kiev per identificare le persone e quel minimo di struttura che ci aiuterà a realizzare in loco l’intenzione del Papa, che è esattamente quella di poter aiutare la popolazione. In questa prima fase, l’aiuto che porteremo sarà soprattutto di ordine umanitario per venire incontro alle prime necessità delle persone, che sono quelle di poter mangiare, avere un tetto, potersi vestire e anche poter avere dei medicinali con cui curarsi.

D. – Quindi a chi verrà destinata questa colletta, concretamente?

R. – La colletta verrà destinata concretamente alle persone bisognose, evidentemente senza nessuna distinzione di appartenenza religiosa, etnica o culturale, com’è nella tradizione peraltro della Chiesa e nella natura di questa iniziativa voluta dal Papa. Aiutare tutti quelli che sono nel bisogno, e soprattutto nei loro bisogni primari.

D. – Questa iniziativa ha avuto anche una valenza ecumenica?

R. – Certamente, perché prima di tutto ha visto la collaborazione anche di altre Chiese cristiane, che si sono dette disponibili ad aiutare e a identificare i bisogni; e anche perché sarà anche un’iniziativa che andrà a beneficio di tutti. E quindi, automaticamente, avrà anche una ricaduta positiva sui rapporti con le Chiese ortodosse e all’interno della Chiesa cattolica stessa.

D. – Qual è stata la risposta delle autorità ucraine?

R. – Ho trovato prima di tutto un grande apprezzamento da parte delle autorità per questa iniziativa, e chiaramente anche una disponibilità alla collaborazione nei limiti delle possibilità. Ma io direi però, ancora più profondamente, che questa iniziativa del Papa ha avuto già un suo primo successo, per il fatto che domenica 24 aprile in tutta Europa si sia parlato di questa situazione purtroppo dimenticata. L’Ucraina sta vivendo un conflitto nel silenzio generale, e soprattutto stanno soffrendo milioni di persone nel silenzio generale. Il fatto che si sia potuta realizzare questa colletta non è servito solamente per raccogliere del denaro, ma prima di tutto per sensibilizzare la nostra Europa ai problemi che stiamo vivendo all’interno dell’Europa stessa.

D. – Lei è stato a visitare un campo profughi. Quale esperienza ha fatto?

R. – Sì, devo dire che è stata la cosa che più mi ha colpito. In realtà si tratta di un edificio dove sono state raccolte più di 100 persone: persone normalissime, che avevano la loro attività, la loro casa e che, da un giorno all’altro, si sono viste costrette a scappare per poter salvare la propria vita. E quello che mi colpisce soprattutto è la totale precarietà della situazione di queste persone che non sanno che cosa succederà domani e che cosa potranno fare oggi, in un orizzonte completamente ignoto… Quindi, sono persone che vivono aspettando un domani che non sanno cosa porterà loro. Credo che questa sia forse la condizione più difficile al di là delle difficoltà quotidiane di vivere; ma che proprio la mancanza di prospettive sia probabilmente quello che più li ferisce e li fa soffrire.

D. – Hanno espresso apprezzamento per l’iniziativa del Papa?

R. – Certamente. Sono stato in visita a questi profughi insieme al nunzio apostolico, mons. Gugerotti, e ho visto immediatamente che c’è stata un’attenzione al fatto che degli ecclesiastici venissero a visitare e a salutare i profughi stessi.

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Mons. Auza: sadismo sistematico e atrocità di massa contro cristiani

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“Difendere la libertà religiosa e altri diritti umani. Fermare le atrocità contro i cristiani e altri credenti”: è il titolo del convegno svoltosi ieri all’Onu di New York e organizzato dalla missione permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, in collaborazione con le associazioni “CitizensGo”, “MasLibres” e “In defense of christians”. Il servizio di Giada Aquilino

Quando la dignità umana viene trattata con “tanto disprezzo” come succede ai giorni nostri, il mondo deve diventare una comunità globale in cui ognuno di noi deve distinguersi per “solidarietà e sacrificio” nel “difendere, assistere ed amare concretamente” il prossimo. L’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede all’Onu, ha così tracciato un quadro delle tante zone del mondo in cui i cristiani e altre minoranze religiose soffrono persecuzioni e atrocità, dal Medio Oriente ai Paesi africani e non solo.

Il discorso di Papa Francesco all’Assemblea Generale dell’Onu
La sua riflessione è partita dalle parole pronunciate nel settembre scorso dal Papa al Palazzo di Vetro di New York, quando ricordò come i cristiani, insieme ad altri gruppi culturali o etnici e anche con quella parte dei membri della religione maggioritaria “che non vuole lasciarsi coinvolgere dall’odio e dalla pazzia”, siano “stati posti nell’alternativa di fuggire o – evidenziò il Pontefice – di pagare l’adesione al bene e alla pace con la loro stessa vita o con la schiavitù”.

Sadismo sistematico contro cristiani e minoranze
Come Francesco esortò a un esame di coscienza per coloro che, disse, “hanno la responsabilità della conduzione degli affari internazionali” per fare “tutto il possibile per fermare e prevenire ulteriori sistematiche violenze contro le minoranze etniche e religiose e per proteggere le popolazioni innocenti”, così mons. Auza ha chiamato a un “coinvolgimento di tutti”: ciascuno ha “un ruolo da svolgere” – ha sottolineato il presule – per fare sentire “in modo chiaro e inequivocabile” le grida di “bambini e anziani, mariti e mogli, madri e padri, milioni di esseri umani” la cui vita è stata lacerata dal “sadismo sistematico” di coloro che torturano, schiavizzano, violentano e uccidono innocenti.

Tre panel di discussione
Tre i momenti del convegno, dedicati alla protezione delle vittime di persecuzioni e alla promozione della libertà religiosa in tutto il mondo, alla testimonianza di vittime e testimoni oculari di atrocità di massa contro i cristiani e le altre minoranze religiose compiute dal sedicente Stato islamico (Is) in Siria e in Iraq e da Boko Haram in Nigeria, alle sofferenze e agli abusi subiti da donne e ragazze yazide e cristiane in Medio Oriente.

I partecipanti
Tra gli intervenuti, anche l’osservatore permanente dell’Organizzazione per la cooperazione islamica all’Onu, Ufuk Gokcen, il vescovo nigeriano, Joseph Danlami Bagobiri, i genitori di Kayla Mueller, un giovane operatore umanitario rapito e ucciso dall’Is in Siria, il sacerdote caldeo, Douglas Al Bazi, e la donna yazida, Samia Sleman Kamal, entrambi rapiti dai gruppi jihadisti, il Cavaliere supremo dei Cavalieri di Colombo, Carl Anderson, che – ha spiegato mons. Auza – con la sua organizzazione ha contribuito alla realizzazione di un rapporto di 300 pagine sulle violenze contro i cristiani in Medio Oriente, tanto accurato da spingere il segretario di Stato Usa, John Kerry, a definire ciò che sta accadendo contro cristiani, yazidi e altre minoranze religiose della regione “un genocidio”.

Fermare atrocità di massa
Ricordando la lettera di Papa Francesco ai cristiani del Medio Oriente, per il Natale 2014, in cui il Pontefice esortò ad una “posizione chiara e coraggiosa” da parte di tutti i responsabili religiosi “per condannare in modo unanime e senza alcuna ambiguità” i crimini contro quelle popolazioni, l’osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite ha auspicato un impegno concreto per “fermare le atrocità di massa” contro i cristiani e gli altri credenti e difendere ovunque la libertà religiosa e i diritti umani.

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Giubileo militari. Fisichella e Marcianò: eserciti servano la pace

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"La sua porta è sempre aperta": è il filo conduttore del Giubileo della Famiglia militare e di polizia in programma a Roma da oggi al primo maggio, nel quadro degli eventi per l'Anno della Misericordia. Oggi convegno all'Augustinianum, domani partecipazione all'udienza giubilare con il Papa, domenica mattina alle 10.00 la Messa in San Pietro presieduta dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin a chiusura del Giubileo. Alle 12 i pellegrini parteciperanno al Regina caeli di Francesco. Alessandro Guarasci ha sentito il presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione, mons. Rino Fisichella

R. - Nella Misericordiae Vultus il Papa ha un’espressione che a mio avviso si applica felicemente a quello che viene celebrato oggi. Dice che dobbiamo essere capaci di raggiungere le periferie di questo mondo e noi vediamo che gran parte delle azioni degli eserciti prima ancora che essere uno strumento di guerra e di difesa, sono uno strumento di pace. Raccolgono le forze per poter essere presenti a ricostruire, portano da mangiare dove manca, e a quelle popolazioni in stato di guerra e di violenza restituiscono la serenità e una forma di sicurezza. Quindi mi sembra che celebrare con un Giubileo della Misericordia significhi essere capaci di riconoscere anche il grande impegno per la pace.

D. - Un compito valido soprattutto ora che in Medio Oriente e in Nord Africa c’è fortissima instabilità, anche guerre …

R. - Noi viviamo una guerra mondiale anche se frammentata e davanti a questa esperienza il richiamo alla Misericordia si fa più forte. Ma il richiamo alla Misericordia – come lo vediamo quotidianamente – è anche un appello che viene fatto a tutti gli uomini di buona volontà. Si esprime con la vicinanza, con la partecipazione, diventa consolazione e strumento di pace; diventa guardare con occhi carichi di pietà anche tutte quelle situazioni che richiedono, appunto, una profonda umanità.

Ma qual è oggi il ruolo dei militari, che spesso sono testimioni del male presente nel mondo? Luca Collodi lo ha chiesto a mons. Santo Marcianò, arcivescovo Ordinario militare per l'Italia: 

R. – Sono a contatto con il male, con quel male che vorrebbe distruggere il bene e che di fatto a volte ci riesce, soprattutto quando sopprime la vita dell’uomo. Ed è la testimonianza del male che spinge personalmente i militari, e anche i cappellani militari che operano con loro, ad adoperarsi per il bene. Da qui, come militari ma direi, prima ancora, in quanto persone, persone che hanno creduto e che credono nel bene, il coraggio di dare tutto, anche la vita, per i fratelli.

D. – Mons. Marcianò, l’essere prete è compatibile con la condizione di militare?

R. – L’essere prete non è compatibile con la professione del militare. Ma la militarità per il prete, e in questo caso per i cappellani militari perché sono solo loro ad avere questo status, è necessaria per poter svolgere il proprio ministero. Se così non fosse, i cappellani militari avrebbero grosse difficoltà nello svolgimento del loro servizio ministeriale. Aggiungo che mi piace vedere un segno di condivisione con questi fratelli e sorelle: essere uno di loro. La militarità resta il mezzo attraverso il quale il cappellano militare opera. Anch’io avevo dei dubbi, non riuscivo a capire… Non è un caso che in quasi tutti gli Ordinariati del mondo la militarità resti un mezzo assolutamente necessario per poter – ripeto – con grande libertà e autonomia, svolgere il ministero sacerdotale.

D. – Il Concilio Vaticano II vi ha definito “ministri della sicurezza e della libertà dei popoli”…

R. – Mi convinco sempre di più che il Concilio ci ha visto bene e chiaro, in prospettiva. È un termine che può sembrare esagerato, grosso, però è vero: descrive il servizio, il ministero del militare, che ha come fine quello di difendere la libertà e di mettere nelle condizioni i popoli e la gente di poter vivere liberamente, di godere e comprendere il senso della vita. Da qui la dignità dell’uomo: non c’è dignità se c’è oppressione; non c’è dignità se c’è guerra; e non c’è dignità se c’è un persecutore che fa di tutto per togliertela questa libertà, imponendoti legge!

D. – Mons. Marcianò qual è il senso di questo Giubileo delle Forze armate e della Polizia?

R. – Il Giubileo diventa l’incontro con la misericordia di Dio. Il Giubileo dei Militari mi piace vederlo come la conferma di ciò che il militare è. Più volte mi è capitato di definire il militare come un “Buon Samaritano”, è la misericordia che praticano i militari. Li vedo quasi come coloro che si sostituiscono a volte alla responsabilità di quanti hanno in mano le redini dell’umanità e fanno poco, forse nulla, per dare e ridare dignità alla gente.

D. – I militari sono le prime persone che il migrante incontra al momento dell’arrivo…

R. – Io dico che se non ci fossero i militari, tante sarebbero le morti. I militari sono coloro che soccorrono, salvano vite umane e rischiano la vita per salvare quella dei fratelli e delle sorelle che giungono sulle nostre coste. Mi piace associare ai militari anche l’opera dei cappellani militari, che non si limitano ad assistere. Io cerco di garantire la presenza del cappellano su ogni nave: quella del cappellano è un’opera che diventa anche qui coinvolgente, nel senso che il cappellano si confonde con i militari, si sporca le mani come fanno i militari. Si veda l’operazione “Mare Nostrum” prima e adesso l’altra che vede il coinvolgimento dell’Europa: questa è fondamentale ed è a cura esclusiva dei nostri fratelli e delle nostre sorelle militari. Credo che tutti siano d’accordo nel riconoscere a questi nostri fratelli il grande coraggio, la grande abnegazione e il grande senso di solidarietà nel fare di tutto perché questa gente viva.

D. – Un pensiero ai due marò che ancora attendono chiarezza per il loro futuro…

R. – La ringrazio per questa domanda perché la misericordia è prima di tutto verità. E io credo che bisogna fare di tutto perché Salvatore Girone torni in Italia e perché i due nostri fratelli attendano in Italia quanto credo, ormai, sia così chiaramente verificato e condiviso da tutti. Me lo auguro e mi auguro che quest’Anno della Misericordia sia decisivo anche per questa pace interiore che Salvatore Girone e Massimiliano Latorre attendono di avere. Perché - è vero - Massimiliano è in Italia, ma sta male. Salvatore è in India ma non possiamo dire che stia bene. Speriamo quindi che raggiungano finalmente questa pace del cuore per poi aspettare un verdetto che li veda liberi da colpe, che sicuramente non hanno.

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Vatileaks 2: "In Prefettura si costruiva un archivio parallelo"

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In prefettura “si stava costruendo un archivio parallelo”. Così Paola Pellegrino ascoltata ieri nella undicesima udienza del processo in Vaticano per appropriazione e divulgazione illecita di documenti riservati. Oltre all’archivista della Prefettura degli Affari Economici, oggi impiegata presso l’Archivio Segreto, è stata anche interrogata la dott.ssa Paola Monaco, all’epoca dei fatti segretaria del cardinale presidente Giuseppe Versaldi. Presenti in aula gli imputati Francesca Immacolata Chaouqui, mons. Angel Lucio Vallejo Balda e Nicola Maio, assenti invece i due giornalisti Fittipaldi e Nuzzi. L’udienza, come conferma la nota della Sala Stampa Vaticana, è stata aggiornata al 7 maggio alle ore 9.30. Il servizio di Massimiliano Menichetti

Un pomeriggio intenso in cui sono state raccolte due testimonianze, volute dall’Ufficio del Promotore di Giustizia che hanno ricostruito il difficile clima che si viveva nella Prefettura degli Affari Economici dopo l’inizio dei lavori di Cosea, la Commissione che doveva controllare gli enti vaticani.

Rapporti degradati
Sia la dott.ssa Paola Monaco, all’epoca dei fatti impiegata nella segreteria di presidenza, sia la sig.ra Paola Pellegrino, che era responsabile dell’archivio della Prefettura, hanno descritto gli ottimi rapporti istaurati da mons. Vallejo Balda nel 2011, all’inizio del suo incarico. Rapporti poi degradati a partire dal 2013, ovvero dall’inizio dell’attività Cosea, in critiche continue, mortificazioni, scontri verbali violenti e accuse di incapacità.

Paola Monaco
“Per noi era difficile collaborare con serenità” ha detto Paola Monaco, per altro segretaria di tre cardinali prefetti. “I miei rapporti con mons. Vallejo erano diventati piuttosto tesi” - ha ribadito - spiegando che “c’erano stati scontri”. “Il cardinale Versaldi - ha aggiunto - “svolgeva una funzione di mediazione” tra la realtà Cosea e il personale della Prefettura, che di fatto era all’oscuro delle attività della Commissione.

Procedure anomale
Ha ribadito che nel dicastero, con il progredire di Cosea, erano state abbandonate una serie di procedure, come l’identificazione delle persone in visita agli uffici. “Oltre al personale interno”, in Prefettura c’erano anche due tipi di “esterni”: i consulenti “di Kpmg e Mckinsey”, le società chiamate da Cosea, e ospiti “di cui non conoscevamo l’identità”.

Chaouqui, Maio, Abbondi
Ha confermato di non aver avuto “mai rapporti diretti con Chaouqui”, anche se ha sostenuto che l’imputata “aveva un certo ascendente” sul segretario e che “spesso” il prelato “era particolarmente nervoso dopo aver parlato al telefono” con la sua collaboratrice. Sollecitata sulla figura di Nicola Maio lo ha tratteggiato come un “assistente” più che “il segretario” di mons. Vallejo, con un ruolo prevalentemente “esecutivo” e “piuttosto gentile”, che a volte si “intratteneva in conversazioni” con i colleghi in Prefettura, oltre che “chiedere chiarimenti” lavorativi. “Un ruolo di supporto” per il segretario di Cosea lo aveva invece “mons. Abbondi”.

Mai sospettato furti di documenti
“Non ho mai sospettato o constatato la sottrazione di documenti - ha affermato - anche se sarebbe potuto accadere”, in “questo clima rilassato”, di “via vai” che “non condividevo”. Ha spiegato che, tranne due giorni a settimana, nel pomeriggio in Prefettura non c’era il personale e quindi “si era liberi di fare qualunque cosa”, “le stanze erano aperte”. E che ad un certo punto il ragioniere generale Fralleoni decise di chiudere la stanza “per ragioni di sicurezza”, “per evitare un accesso incontrollato”. Comunque, “i documenti non venivano lasciati sulle scrivanie”, quelli “riservati e di particolare interesse erano conservati in archivio”.

Il gruppo ristretto
Le testimoni, rispondendo alle domande dei promotori e degli avvocati di parte, hanno tratteggiato, in linea con la deposizione del ragioniere generale Fralleoni, una sorta di “gruppo ristretto” che si era strutturato all’interno di Cosea, composto da mons. Vallejo, Chaouqui, Maio e mons. Abbondi. “Era un gruppo coeso - ha detto Monaco - con una certa intesa”, che “si riuniva a porte chiuse nella stanza di mons. Vallejo”.

Nessun rancore
“Non nutrivamo malanimo o rancori, ma scetticismo, disagio” nei confronti di questo gruppo e “desideravamo” che lavorasse in maniera conforme alla correttezza degli ambienti di “Curia”. La teste ha spiegato che “Cosea era stata certamente una novità”, ma che la Prefettura era abituata a lavorare con personale esterno internazionale e che mai si erano verificate tali tensioni o anomalie.

Azioni complottistiche
Visto il lavoro d’indagine di Cosea “le porte chiuse” nelle riunioni “per tutelare la riservatezza, erano di per sé legittime - ha incalzato - ma il contesto faceva pensare ad azioni complottistiche”.

Gli scontri con mons. Vallejo
Sollecitata dalle domande è più volte tornata sui difficili rapporti con il segretario, ha raccontato dei “frequenti scontri” e un episodio in cui a causa di un ritardo al lavoro, dovuto al traffico, il prelato le avrebbe detto “che per comportamenti come questo, in Spagna sarebbe stata licenziata”. “All’inizio c’erano rapporti sereni” - ha ricordato - con condivisioni, ma poi tutto è cambiato. “Nei suoi confronti - ha proseguito - avevo una mancanza di stima, ad un certo punto quasi indifferenza”. Più volte ha parlato di “aggressioni” atteggiamenti denigratori da parte di mons. Vallejo  e che “avendo sempre avuto elogi scritti e verbali”, decise di scrivere al “Papa una lettera” spiegando cosa stesse succedendo.

Paola Pellegrino
Sulla stessa linea la testimonianza dell’archivista Paola Pellegrino, la quale pur asserendo, come Paola Monaco, che Chaouqui aveva un “ascendente” su mons. Vallejo, ha però attribuito a quest’ultimo un ruolo primario nel “gruppo ristretto”. Pellegrino ha raccontato di ripetute aggressioni da parte del prelato a partire da gennaio 2013 e di aver anche lei scritto al Santo Padre nell’aprile 2014, allegando tutta una serie di atti.

L’ampolla con i pesci rossi
La teste ha raccontato anche che alla fine del lavoro di Cosea, Chaouqui fece “un dono singolare a mons. Vallejo”: un’ampolla di vetro con dentro dei pesci rossi. “Sembrava un monito a non parlare” ha detto, aggiungendo che nei primi mesi del 2015, il segretario dispose che le telefonate della donna non fossero raccolte e che le fosse impedito di entrare in Vaticano.

L’Archivio della Prefettura
Ha spiegato che nell’Archivio della Prefettura sono contenuti importanti documenti, anche risalenti al 1967 e sotto segreto. E che mons. Vallejo mostrò quasi da subito “un interesse indagatore” per quelli relativi alle “Cause dei Santi e Basiliche Papali”. L’archivista ha confermato che non esisteva un registro, ma che comunque veniva tenuta traccia dei documenti prelevati con delle annotazioni. Ha poi spiegato che già mons. Abbondi aveva avviato una prassi “anomala”, segnalata al ragioniere generale nel 2011, grazie alla quale i documenti venivano chiesti anche al suo collaboratore, Fabio Schiaffi. E “con il lavoro di Cosea, le richieste di mons. Vallejo aumentano progressivamente”.

Un fatto increscioso
Pellegrino ha quindi raccontato un fatto che ha definito “increscioso” che da quel momento generò “avversione” nei suoi confronti. Un giorno, nel dicembre 2013, si “era allontanata per ragioni di servizio” e mons. Vallejo cercava i documenti Ior degli estratti conto relativi a tutti i dicasteri vaticani e amministrazioni della Santa Sede. Tali plichi erano conservati in un armadio di cui sia lei sia Fralleoni avevano la chiave, ma mons. Vallejo “si adirò moltissimo”, per la sua assenza e “da quel momento iniziò a prendere in modo arbitrario i documenti”.

Fotocopiatura frenetica
La teste ha ricordato distintamente “un’attività frenetica di fotocopiatura dall’inizio 2015 a luglio 2015” da parte di un usciere incaricato da “mons. Abondi e mons. Vallejo”. “Documenti poi rivisti nei libri di Nuzzi e Fittipaldi, in particolare quelli relativi alle Cause dei Santi”. In quel momento Pellegrino si domandò il perché “si stesse creando un archivio parallelo” e ricordandosi “della vicenda di Paolo Gabriele”, “temendo” che lei e il suo assistente “potessero essere ritenuti responsabili” di fatti illeciti, decise di scrivere due note, una a maggio e l’altra ad agosto, controfirmate dal ragioniere generale, Fralleoni e dal collaboratore Schiaffi.

La terza nota
Le due lettere “vennero sistemate nell’archivio in una posizione non immediatamente individuabile”. Nel settembre 2015 l’archivista annota un altro fatto “increscioso”, ovvero che il segretario “si vantò di essere in grado di saper trovare e prelevare ogni documento in archivio autonomamente”. E lei, non “ritenendosi più in grado di custodire i documenti”, scrisse una terza nota nel novembre 2015. L’interrogata non ha saputo confermare se la Chaouqui prelevò dei documenti. Ha però detto di aver avuto l’impressione che le fotocopie trovate nell’ufficio di mons. Vallejo, nel secondo sequestro, fossero poche rispetto al numero di scatoloni da lui ordinati nel periodo precedente.

I rimproveri pubblici e il timbro "sub secreto"
L’attenzione è poi tornata al clima lavorativo fatto di “rimproveri” da parte del prelato anche “davanti a persone estranee”, “pubblicamente”. Sul “gruppo ristretto” ha parlato anche “della presenza” per un certo periodo di “un tedesco ed uno svizzero” e poi di Maio. Pellegrino ha riferito anche di un timbro in suo possesso con la scritta “sub secreto”, che le sarebbe stato chiesto da Nicola Maio e che poi sarebbe stato trovato nell’ufficio di mons. Vallejo insieme ad altri timbri “mai visti prima come forma” e “mai usati in Prefettura”. La teste ha ricordato di aver visto quel sigillo consegnato a Maio in un documento pubblicato sul libro di Nuzzi, ma che “l’originale era senza timbrature”. L’avvocato del giornalista ha quindi fatto notare che il timbro riportato in “Via Crucis” fosse: “Sub secreto pontificio” e non “Sub secreto”. Pellegrino ammettendo di non ricordare bene si è detta comunque certa “che il documento originale non riportasse timbrature”.

Andamento fuori da ogni logica lavorativa
Ha quindi detto che in “Prefettura c’era un andamento fuori da ogni logica lavorativa”. Che mons. Abbondi e mons. Vallejo parlavano sistematicamente in disparte “su un terrazzo”, che l’attività del “gruppo ristretto” continuò anche oltre la fine di Cosea nel luglio 2014. Ha ricordato ancora una volta che “Maio a fine 2014 aveva cessato l’attività”, che “il dott. De Mattheis”, officiale della Prefettura, “nell’autunno 2014 mise a posto i conti” e che “nei primi mesi del 2015 Chaouqui non c’era più”, ma “comunque mons. Abbondi e mons. Vallejo continuavano a vedersi”.

La cartella “Nunzi”
La Teste ha parlato anche di una cartella di rete nominata "Nunzi”, misteriosamente “scomparsa dai computer”, di aver segnalato l’accaduto e di aver avuto rassicurazioni dal segretario che “sarebbero stati presi provvedimenti”, ma non fu così. “Il personale - ha spiegato - aveva l’impressione che” qualcuno avesse violato il sistema.

Le buste delle password aperte
Ha anche aggiunto che le loro “password personali dei computer erano state messe in busta sigillata e consegnate” dal dott. Minotti a mons. Vallejo, “buste che furono trovate aperte nel secondo sequestro” effettuato dalla Gendarmeria nell’ufficio del monsignore. Il personale sospettava anche che “ci fossero delle microspie”. E ha raccontato di una volta in cui “Chaouqui, salendo su una scala nello studio di mons. Vallejo”, avrebbe “controllato una scatola elettrica”.

Mobbing
Pellegrino, sollecitata sul punto, ha spiegato di aver subito mobbing negli anni precedenti ai fatti del processo e di aver segnalato questo al cardinale De Paolis e ha ricordato anche un contrasto avuto con mons. Abbondi poi segnalato all’Ulsa e al Santo Padre.

La richiesta Chaouqui
Verso la fine dell’interrogatorio Francesca Immacolata Chaouqui ha chiesto ed ottenuto dal presidente del Tribunale di potersi allontanare dall’aula, con la “preghiera di udienze più contenute nei tempi” a causa della gravidanza. L’imputata ha ribadito il desiderio di voler essere presente alle udienze pur non essendone obbligata.

Istanza rigettata
Il Tribunale ha infine rigettato l’istanza, formulata la scorsa udienza, dell’avvocato di Nicola Maio in merito all’acquisizione del tesserino di accesso dello stesso e dei verbali di Cosea, “non ritenendoli prova influente” e significativa.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Accesso alle cure per tutti: il Papa chiede più attenzione per le malattie rare.

Le relazioni di Anne-Marie Pelletier e di Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz al seminario internazionale “Cuore” - dal 28 al 30 aprile alla Pontificia università Urbaniana - pensato per elaborare “una teologia intrinsecamente femminile”.

Vaccino contro il preconcetto: Charles de Pechpeyrou in occasione della settimana mondiale promossa dall’Organizzazione mondiale della sanità.

Liturgia e bellezza: Marco Agostini sui tesori della cattedrale di Padova.

Dalla fede alla cura (e ritorno): l’arcivescovo Bruno Forte sull’“Amoris Laetitia”.

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Oggi in Primo Piano



Siria, Zenari: si viola diritto umanitario in totale impunità

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Oltre 200 morti: è il bilancio dei civili uccisi in una settimana di bombardamenti su Aleppo, mentre è di stamattina la notizia che, dopo l’ospedale distrutto due giorni fa, oggi sarebbe stata colpita un’altra struttura sanitaria in un quartiere controllato dai ribelli. Per il momento, si registrano solo feriti. Altre vittime, almeno otto, sono state provocate da un attacco che fonti giornalistiche governative attribuirebbero ai ribelli. Russia e Stati Uniti avrebbero intanto raggiunto un accordo per un "regime del silenzio", dal prossimo 30 aprile: un cessate-il-fuoco di 72 ore per alcuni quartieri di Damasco, Latakia e sembra anche per Aleppo, città dove, denuncia l’Onu, la situazione umanitaria è catastrofica. Francesca Sabatinelli ha intervistato mons. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria: 

R. – Direi che durante questi cinque anni, purtroppo, la comunità internazionale non è riuscita a fermare questa violenza. All’inizio di questa guerra abbiamo assistito a tante discordanze in seno, per esempio, al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Occorre osservare che si è cercato anche di avere una certa qual unanimità, soprattutto per la questione degli aiuti umanitari, però non è ancora sufficiente. Ci si trova di fronte a questa catastrofe umanitaria e, veramente, la comunità internazionale, a cominciare dalle Nazioni Unite, dal Consiglio di sicurezza, dai vari organismi, credo dovrà moltiplicare gli impegni e gli interventi. Però, la distribuzione degli aiuti umanitari non può essere proseguita se non c’è la cessazione della violenza. Anche in questo caso, si era cominciato con un certo qual ottimismo il 27 febbraio scorso, c’era stata qualche aria di speranza anche ad Aleppo: i bambini avevano incominciato ad apparire in strada, non cadevano bombe... Però poi, con quello che è successo in queste ultime settimane, soprattutto ad Aleppo, è difficile dire che la tregua sia ancora efficiente e tenga. Varie violazioni della tregua si sono avute qua e là in tutta la Siria, ma quello che sta accadendo in questi ultimi giorni ad Aleppo è veramente impressionante, impressionante! Sono in contatto con i vescovi di Aleppo, con alcuni sacerdoti e tutti mi dicono che sono le giornate più tristi che abbia visto Aleppo, le più dolorose da quando è iniziata questa guerra da cinque anni a questa parte. Quello che si è visto in questi giorni, i bombardamenti con missili, morti, feriti, ospedali pieni, sangue dappertutto… Veramente, è impressionante.

D. – Nelle ultime ore, abbiamo avuto sotto gli occhi il raid contro questo ospedale. Il segretario generale dell’Onu ha detto che ad Aleppo, in generale, c’è una violazione ingiustificabile dei diritti umani…

R. – C’è da osservare che purtroppo non è il solo ospedale che è stato colpito: ce ne sono decine di ospedali distrutti o semi-distrutti nel corso di questi cinque anni e, oltre agli ospedali, vorrei ricordare anche le scuole. Si assiste a una ignoranza completa del diritto umanitario internazionale e nella più completa impunità, purtroppo. Questa guerra è andata al di là di ogni norma, di ogni convenzione umanitaria. Vorrei ricordare a tutti questi ospedali, queste scuole, le tante infrastrutture distrutte e questa impunità, che fa sì che questi crimini continuino. Io vorrei essere la voce di tutti questi pianti, di tutte queste grida che si sentono e si vedono, e soprattutto vorrei trasmettere la voce di questi bambini innocenti, che sono i più colpiti da queste atrocità e che gridano ogni giorno perché hanno perduto i genitori, perché hanno perduto i fratellini… Ecco, direi che queste grida dei bambini innocenti, questa sofferenza, devono essere ascoltati da tutti!

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Ballottaggio in Iran. Riformisti in testa cercano la conferma

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L’Iran alle urne per il ballottaggio delle elezioni legislative. In palio, 68 seggi dei 290 del Parlamento non ancora assegnati. Al primo turno, il fronte riformista è riuscito a capitalizzare in termini elettorali lo storico accordo sul nucleare con l’Occidente e la conseguente revoca delle sanzioni, che per anni hanno influito negativamente sull'economia del Paese. Si parte dal vantaggio del fronte riformista su quello conservatore, con gli indipendenti a fare da ago della bilancia. Quali le conseguenze se dovesse confermarsi questo risultato? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Lorenzo Cremonesi, esperto di Medio Oriente del Corriere della Sera: 

R. – Vuol dire confermare il rientro dell’Iran nel contesto internazionale, gli accordi sul nucleare, la fine delle sanzioni che automaticamente rafforzano ovviamente il fronte moderato, che può così capitalizzare perché questo vuol dire scambi economici, ripresa delle esportazioni petrolifere ed energetiche. È ovvio che c’è un beneficio economico che automaticamente porta acqua al mulino del presidente Rohani e del fronte riformista.

D. – Quale ruolo può assumere l’Iran nell’ambito mediorientale, con tutte le situazioni conflittuali che permangono in questo momento?

R. – Un Iran più consapevole di sé stesso, meno bisognoso di guardarsi alle spalle. Può anche permettersi di essere più moderato e quindi vediamo prima di tutto la Siria, può anche fare delle pressioni di Bashar Assad che è il grande alleato. Quindi, vuol dire essere addirittura più aperti all’eventualità di un ricambio politico alla testa del regime in Siria. Un Iran più moderato, meno oltranzista anche in Iraq, più consapevole della necessità che comunque, se si vuole la pace sociale in Iraq e non la disgregazione del Paese, occorre parlare con i sunniti per rompere questa catena di consenso, di cui non si parla ma che c’è, tra i sunniti in Iraq nei confronti dell’Is. Quindi, l’Iran ha un ruolo fondamentale.

D. – Nei rapporti con l’Occidente, con l’accordo sul nucleare con gli Stati Uniti potrebbero esserci ulteriori momenti di avvicinamento…

R. – Certo, il dialogo è stato fortemente voluto da Barak Obama, nonostante le grandi operazioni di Israele. Però, un Iran moderato può rompere il fronte degli oppositori. Certamente, aiuterà il dialogo con l’Europa, l’Italia in testa, e speriamo che ciò possa avvenire. Abbiamo già visto, ci sono forti tensioni comunque in Iran. L’arresto  di tre giornalisti è un segnale che deve preoccupare: ci sono delle fortissime resistenze da parte della nomenclatura religiosa conservatrice contro queste svolte.

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Ong: "L'accordo sul Ttip è una minaccia per l'agricoltura europea"

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È stato pubblicato in 17 Paesi europei il rapporto sui rischi del T.T.I.P, il Trattato transatlantico per liberalizzare gli scambi tra Unione Europea e Stati Uniti nel settore agroalimentare. Il dossier è stato redatto dalla Ong, Friends of the Earth Europe, in collaborazione per l’Italia con l’associazione Fairwatch. L’obiettivo è far conoscere i rischi per la salute pubblica e i danni economici che potrebbero essere provocati dall'eventuale ratifica del Trattato. Per informare e discutere sul tema, i rappresentanti della campagna Stop TTIP saranno in piazza a Roma il 7 maggio con le associazioni dei produttori, agricoltori e consumatori. Daniele Gargagliano ha chiesto a Monica Di Sisto, dell’associazione Fairwatch, di spiegare quali effetti porterà l’accordo di partenariato transatlantico: 

R. – Il Trattato si dice essere un trattato “commerciale”, quindi dovrebbe facilitare il commercio. In realtà, le tasse sulle importazioni e le esportazioni di prodotti che questo riduce sono veramente poche: la maggior parte dei cosiddetti benefici del Trattato dovrebbe arrivare dal cambiamento delle regole che ci differenziano dagli Stati Uniti, sia a livello di produzione sia di erogazione di servizi; quindi, per dirla in maniera molto semplice, il modo in cui noi produciamo e comunichiamo i contenuti dei prodotti e dei servizi. Significa, ad esempio, che noi in Europa controlliamo i prodotti agroalimentari dal campo alla forchetta, mentre invece negli Stati Uniti è a carico del consumatore stabilire se un prodotto gli abbia o meno fatto male. Quindi per i consumatori cambia molto, perché ad esempio una delle cosiddette “barriere al commercio”, che i produttori americani contestano all’Europa, sono le etichette parlanti: cioè loro non hanno quel tipo di accertamento della qualità dei prodotti, passaggio per passaggio della produzione, lo considerano un costo, e per questo chiedono di risolvere attraverso il Ttip.

D. – Rispettare le regole comunitarie costerebbe caro ai produttori europei, costretti a subire prezzi più bassi della concorrenza americana…

R. – Dei prodotti che costano meno a chi li produce potrebbero rappresentare una  concorrenza sleale sul nostro mercato, proprio perché il costo del lavoro negli Stati Uniti, e in particolare nel settore agroalimentare, è molto più basso di quello europeo. Tutte le regole che quelle aziende non sono tenute a rispettare, soprattutto negli allevamenti, nei campi – e pensiamo ai pesticidi, ai fitofarmaci o agli ormoni della crescita – fanno sì che ai nostri produttori costi di più fare della carne buona, zappare molto di più il campo perché sia più sano. Tutte queste regole potrebbero cambiare a causa del Ttip, però ciò significherebbe in Europa l’arrivo di un 160-180% in più di prodotti a marchio americano, che ridurrebbe non soltanto lo spazio di mercato per i nostri produttori – 2/3 dei quali esportano al massimo in Europa – ma soprattutto gli scambi tra i Paesi europei.

D. – Questo Trattato favorirebbe non solo i produttori americani, ma anche una parte di quelli italiani o europei…

R. – Noi li chiamiamo, in modo un po’ colloquiale, i “furbetti del ‘Made in Italy’”: ossia quelli che continuano a fare prodotti che spacciano per italiani, ma che in realtà sono fatti di materie prime che parlano tutte le lingue del mondo perché costano di meno; ecco, questi ci guadagnerebbero perché avrebbero più materia prima a buon mercato da trasformare. E, se passassero anche le richieste americane in caso di etichettatura, potrebbero addirittura cominciare a scriverlo meno - già lo scrivono poco - potremmo continuare quindi, come è già successo in questi anni, a pagare tanto, il giusto secondo noi, alcuni prodotti pensando che siano completamente prodotti in Italia, e invece ci troveremmo spesso a comprare dei prodotti che contengono sempre meno Italia. Il settore agroalimentare è uno dei pochi che ancora cresce, e soprattutto ha quell’agricoltura di base che non solo vende prodotti, ma, per esempio, conserva bene il nostro territorio e quando lo coltiva bene.

D. – Ci sarebbe un rischio di abbassare gli standard sulla sicurezza alimentare, e quindi un danno per la salute dei consumatori?

R. – Gli Stati Uniti ci stanno chiedendo di rinunciare, soprattutto nel settore degli allevamenti, ma anche in quello degli Ogm, e nei vari settori dei pesticidi e degli insetticidi, a tutte quelle regole restrittive che noi abbiamo introdotto fino ad oggi per proteggere la salute dei consumatori. Dicono che non servono e che non c’è abbastanza scienza per dimostrare che sono valide e che servono. Per questo motivo, l’Europa per esempio ha rallentato l’esame di 31 pesticidi che doveva affrontare già da un anno. Infatti, prima che il Ttip venga approvato, si potrebbe decidere una regola più restrittiva con il rischio poi di essere colpiti da una causa commerciale per questo motivo.

D. – Si parla anche della possibilità di introdurre in Europa l’uso della ractopamina: un ormone della crescita somministrato in larga parte ai suini e ai bovini americani, ma vietato dalle regole comunitarie…

R. – Sì, la ractopamina è una specie di polvere magica, che consente ai maiali di lievitare in assenza di cibo. Peraltro si è visto e ci anche sono studi europei e dell’Oms che la connettono all’infertilità maschile e al danneggiamento dei feti, e quindi anche a disabilità per i neonati. Per questo l’Europa ne discute da tanto tempo, e tiene l’ormone al bando: noi in Europa, nel Trattato di Maastricht, abbiamo inserito il principio di “precauzione”: quindi, se c’è un ragionevole dubbio che un composto, un elemento o un prodotto facciano male, ne possiamo prevedere il ritiro dal mercato. E ci piacerebbe mantenere questa legislazione protettiva della nostra salute.

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Giornata per le vittime delle guerre chimiche

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Riconosciuta ufficialmente dalle Nazioni Unite, la Giornata della memoria in onore delle vittime delle guerre chimiche viene celebrata dal 2005. Il 29 aprile 1997 entrò in vigore la Convenzione sulle armi Chimiche (attuazione della convenzione di Parigi del 1993) che ha sancito definitivamente il divieto assoluto di utilizzare tali armi, prescrivendone la loro completa eliminazione in ogni Stato. Sull’importanza di questa Giornata e sullo stato attuale dello smantellamento delle armi chimiche nel mondo, Valentina Onori ha intervistato il professor Maurizio Simoncelli, vicepresidente e cofondatore dell'Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo (Iriad). 

R. – Serve per ricordare, per far tenere vivo il segno che queste sono armi di distruzione di massa, che queste sono armi disumane, che non vanno usate e che non devono essere presenti negli arsenali. E’ importante che tutti quanti sappiano che queste armi devono appartenere al passato. Ci auguriamo che ci sia anche un giorno in cui ci sia il ricordo delle vittime delle armi nucleari e che queste armi siano messe al bando. La Convenzione per la proibizione delle armi chimiche ha raggiunto la quasi totalità dei Paesi che compongono, appunto, la Comunità internazionale. Almeno sulla carta queste armi sono ormai bandite.

D. – Dopo i fatti del 2013 e sul possibile uso da parte di Assad di armi chimiche sulla popolazione, quali sono stati i risultati della Comunità Internazionale in Siria?

R. – Dal punto di vista delle armi chimiche, il risultato è stato positivo. Può esserci sempre un uso di armi chimiche di un certo tipo nel momento in cui delle forze irregolari – pensiamo a forze terroristiche o altro – possano riuscire a creare e a dotarsi di armi di questo genere.

D. – Quale strategia militare si cela dietro al loro utilizzo?

R. – Quella di creare una situazione di difficoltà e non solamente fra le truppe del nemico, ma anche nei confronti della popolazione civile.

D. – Cosa sta facendo l’Opac?

R. – Sta facendo un grande lavoro, perché è praticamente riuscito a coinvolgere tutti i Paesi del mondo – praticamente manca solamente Israele  che deve ratificare – ed è riuscito a far sì che tutti i Paesi aderissero a questa Convenzione. Attua un sistema di monitoraggio e di controllo del rispetto delle risoluzioni. E’ un ente che opera significativamente per il disarmo e la pace nel mondo.

D. – Come si sta muovendo la Comunità internazionale in questo senso?

R. – Ha reagito positivamente nel corso degli anni, anche con l’aumento continuo dei Paesi: fino ad un anno fa c’erano ancora una decina di Paesi che non aveva aderito e ratificato questa Convenzione. Gli ultimi dati messi a disposizione dall’Opac, con i Paesi che hanno aderito alla Convenzione, ci fanno vedere che la Comunità internazionale ha sostanzialmente fatto propria questa volontà di non utilizzare più queste armi.

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Internet: 30 anni fa il "ping-bang", la prima connessione in Italia

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Antonio Blasco Bonito, sistemista di rete del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Pisa scrive sulla tastiera una parola: "Ping". Dall'America riceve una risposta: "Ok". Così, esattamente 30 anni fa è nata la prima connessione Internet in Italia. Un evento rivoluzionario, passato inosservato da tutti in Italia, giornali compresi. I protagonisti oltre a Bonito furono Stefano Trumpy, direttore del "Cnuce" e Luciano Lenzini, responsabile dei calcolatori e delle reti. Il computer che venne utilizzato, un regalo del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, si chiamava Butterfly Gateway. I progressi in campo tecnologico e culturale e il processo che portò al collegamento con la rete Arpanet spiegati da Massimo Inguscio, presidente del Cnr al microfono di Valentina Onori: 

R. – Ci sono arrivati, 30 anni fa, come conseguenza di un lavorare insieme molto intenso tra Consiglio nazionale delle ricerche di allora, università, industria che, devo dire, a Pisa avevano già prodotto una calcolatrice elettronica e poi dopo avevano creato un istituto “Centro nazionale universitario di calcolo elettronico”, poi diventato istituto del Cnr, e lì a un certo punto si capì che si potevano fare questi collegamenti in Internet. Furono fatti con molto coraggio… La base di partenza era una cultura diffusa – tra l’altro, all’epoca nasceva anche il corso di laurea in scienza dell’informazione … Adesso, quella che sembra una celebrazione è una celebrazione che però testimonia anche che tutti gli ingredienti ci sono ancora. Noi ora ci proiettiamo assolutamente verso il futuro, verso l’Internet del futuro, in cui si mettono in collegamento le cose e non più solo le persone. La cosa affascinante è che questa cultura non si è persa, in Italia, anzi si è super rafforzata.

D. – Nel 1986, la prima mail partì da Pisa, dal Consiglio nazionale delle ricerche, per arrivare negli Usa, il primo collegamento ad “Arpanet”. Il tutto è passato inosservato: perché?

R. – Io mi sto rendendo conto sempre di più che il compito nostro, di operatori della scienza, è quello di continuare a informare su quello che si fa. Bisogna che davvero le persone siano consapevoli di quello che fa la scienza, dei risultati della scienza con i loro limiti, – appunto, certezze e incertezze – in modo da apprezzare non solo l’importanza di sapere di dover finanziare la scienza, ma anche a questioni legate, per esempio, ai temi del clima, oppure i temi delle grandi scelte che uno deve operare in fatto di energie… E la storia di Internet, adesso, è un po’ la stessa questione. All’epoca passò inosservata: sembrò una cosa da specialisti, da fisici, che magari volevano trasmettere dati di esperimenti di altre energie. Adesso, bisogna che tutti siano consapevoli dell’importanza di questo. Quello che è passato inosservato ora è una lezione per il presente…

D. – E’ una storia culturale, più che tecnologica e informatica per specialisti?

R. – E’ cultura. E’ cultura, sì.

D. – Era l’inizio di una rivoluzione che allora non potevamo capire…

R. – Le cose veramente importanti, quando si parte con una cosa nuova, è che si sa da dove si parte – o si pensa di sapere da dove si parte – ma non si sa mai dove si arriva: cioè, le strade non sono mai dritte. La cosa più importante è che ci siano delle sorprese, ci siano delle cose che uno non prevedeva.

D. – L’Italia, in particolare il Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa, era un’eccellenza mondiale, per l’informatica. Cosa è successo, poi?

R. – L’Italia, nel campo dell’informatica, ha sempre viaggiato forte. La base dell’informatica, poi, è matematica, è tanta bella roba: la cultura c’è… E’ successo che probabilmente c’è stata negli ultimi decenni una sorta di frattura tra il mondo della ricerca del Cnr in particolare e quello universitario, che invece era stata l’arma di successo di quella vittoria, e noi adesso stiamo semplicemente ritornando a quello schema. In quei giorni in cui avvenivano queste cose di Internet, c’era tanta gente giovanissima... Cioè, le avventure le iniziano sempre i giovani.

D. – Quanto è importante questa giornata e di cosa avete parlato a Pisa?

R. – La giornata è inserita in un contesto totalmente nazionale: la giornata qui – ma non so, ci sarà un migliaio di altri posti in Italia dove si sta celebrando la stessa cosa – finora è stato tutto un succedersi di celebrazioni in ricordo del passato, ma anche di proiezioni verso il futuro. Questa giornata è esattamente nella direzione di rendere il più possibile tutta la popolazione informata su queste belle possibilità. Queste cose di cui stiamo parlando adesso partirono con Guglielmo Marconi, che era stato il secondo presidente del Consiglio nazionale delle ricerche. Abbiamo una storia che si tramanda, al tempo stesso abbiamo questa creatività, ingrediente fondamentale: se non c’è quello, non si fa nulla. Si tratta di mettere tutti in condizioni di operare con strategia.

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Ungheria: concluso l'incontro della pastorale universitaria europea

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Si è concluso oggi a Szeged, in Ungheria, un incontro di tre giorni dei delegati nazionali per la pastorale universitaria organizzato dal Ccee, il Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, sul tema “Accompagnare la risposta alla chiamata di Dio”. L’evento è il secondo di quattro incontri preparatori al Simposio del 2017, in programma a Barcellona, in Spagna. Al microfono di padre Leszek Gesiak, responsabile del Programma Polacco della Radio Vaticana, ascoltiamo l’arcivescovo di di Łódź, mons. Marek Jędraszewski:

Una volta l’anno si tiene un incontro della sezione universitaria che fa parte della Commissione scuola, catechesi e università del Ccee. L’incontro a Szeged in Ungheria ha due scopi molto importanti: prima di tutto, quello di preparare il grande Congresso che si terrà il prossimo anno a Barcellona. Una cosa eccezionale di questo Congresso è il fatto che tutte e tre le sezioni si incontreranno per parlare della situazione dei giovani e dei giovani adulti di oggi, tanti dei quali si sentono una minoranza nei loro ambienti. È una grande sfida quella che è di fronte a noi, perché la catechesi, le scuole cattoliche e la pastorale universitaria pongono la stessa domanda per cercare di trovare una risposta complessa che possa aiutarci a portare avanti dei programmi giusti in futuro. Questo dunque è il primo scopo dell’incontro di Szeged.

Il secondo riguarda la pastorale universitaria: facciamo la stessa cosa ogni anno, però, qui a Szeged, abbiamo cambiato il modo di procedere dei nostri lavori: ora sono infatti gli studenti a preparare le relazioni, a porci le domande, e non come avveniva di solito, quando i discorsi erano fatti dai professori e dagli specialisti. No, stiamo ascoltando i giovani, con le loro domande, le loro osservazioni e le loro proposte, al fine di capire anche meglio le sfide pastorali che sono davanti a noi preti, professori e tutti coloro che sono responsabili dell’ambiente universitario nell’Europa di oggi. Penso che questo modo di procedere sia molto fruttuoso. E poi ci fa una grande impressione il fatto di poter ascoltare i giovani con il loro entusiasmo di fede e la loro fiducia che possa essere proprio la Chiesa a rispondere alle loro aspettative. In questo senso penso che l’incontro di Szeged sia un successo.

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Nella Chiesa e nel mondo



India. Andhra Pradesh: vescovo cattolico rapito e malmenato

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La comunità cristiana dell’Andhra Pradesh è di nuovo sotto attacco. Questa volta, ad essere colpito è stato uno dei vertici della Chiesa locale. Si tratta di mons. Gallela Prasad, vescovo della diocesi di Cuddapah, aggredito da ignoti mentre ritornava da Karunagari (nel distretto di Kadapa), dove aveva celebrato una funzione religiosa. La Federazione delle Chiese telegu (Ftc), organo al vertice delle varie denominazioni cristiane presenti negli Stati dell’Andhra Pradesh e del Telangana, ha condannato con forza “la crudele aggressione” contro il vescovo cattolico. L’incidente è avvenuto lo scorso 25 aprile - riferisce l'agenzia AsiaNews - ma è stato reso noto solo ieri. Lo riporta il sito Matters India, citando la dichiarazione dell’arcivescovo Thumma Bala di Hyderabad, presidente della Federazione cristiana.

Rapiti e malmenati per tutta la notte
L’arcivescovo ha raccontato che mons. Prasad è stato aggredito mentre si trovava in macchina, di ritorno da Kadapa, a circa 425 km a sud di Hyderabad (la capitale del Telangana). La macchina che trasportava il vescovo è stata fermata da ignoti, che hanno bendato il religioso e il suo autista e poi li hanno rinchiusi in un luogo sconosciuto. Qui sono stati malmenati per ore durante tutta la notte.

Giustizia per le minoranze e protezione per i leader delle comunità religiose
Mons. Bala ha dichiarato: “È incredibile che tale violenta atrocità sia stata perpetrata contro un alto esponente della comunità di minoranza”. Il presidente della Ftc ha condannato “le modalità impietose dell’attacco contro una persona che ha dedicato tutta la sua vita a Dio e al servizio dei bisognosi e degli emarginati”. L’arcivescovo ha poi chiesto alla polizia e alle autorità di registrare il caso e arrestare i responsabili di “questo crimine efferato, in modo da assicurare giustizia e sicurezza per le minoranze e proteggere le vite dei leader delle comunità religiose”.

E' la prima aggressione ad un alto esponente religioso
L’aggressione contro il vescovo cattolico non è il primo episodio di violenza contro i cristiani dell’Andhra Pradesh, anche se è il primo perpetrato contro i vertici religiosi. Da tempo la minoranza cristiana è nel mirino degli estremisti indù, che nel 2014 hanno anche ucciso un pastore protestante. (R.P.)

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Nigeria: rapito il vicario generale della diocesi di Otukpo

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Padre John Adeyi, vicario generale della diocesi di Otukpo, nello Stato nigeriano di Benue, è stato rapito da sconosciti domenica 24 aprile, dopo aver celebrato la Messa in una delle parrocchie a lui affidate nel villaggio di Okwungaga. L’auto del sacerdote - riferisce l'agenzia Fides - è stata bloccata sulla strada Odoba Otukpa-Okwungaga

Chiesto un riscatto alla famiglia
Secondo la famiglia, i rapitori hanno chiesto per la liberazione del sacerdote un riscatto di 25 milioni di naira (poco più di 100.000 Euro) ridotto in seguito a 10 milioni (circa 45.000 Euro). La regione dove è avvenuta il rapimento è funestata da tempo da una serie di sequestri di persona a scopo di estorsione. (L.M.)

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Caritas Ecuador: Campagna per l’emergenza terremoto

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E’ appena iniziata la Campagna "Juntos levantemos Ecuador" (Insieme rimettiamo in piedi l'Ecuador), promossa dalla Caritas dell'arcidiocesi di Portoviejo insieme a una importante azienda che opera nel settore delle grande distribuzione in 81 città dell’Ecuador, la Tia. La Campagna, secondo le informazioni pervenute all'agenzia Fides, prevede la consegna di 3 milioni di mattoni per ricostruire gli alloggi distrutti dal terremoto per le famiglie più bisognose, che adesso non hanno nemmeno un posto dove dormire. La Campagna è stata lanciata ieri da mons. Luis Cabrera Herrera, arcivescovo di Guayaquil, e dagli altri responsabili dell’iniziativa.

Ultimo bilancio: 659 morti ed oltre 17mila feriti
La situazione nella costa nord del Paese rimane ancora terribile, a quasi due settimane dal tremendo sisma che l’ha colpita la notte del 16 aprile. L’ultimo rapporto del governo segnala 659 morti, 17.638 feriti, 48 dispersi. Altri numeri indicano una vera emergenza sociale: 27.732 persone sono state assistite negli ospedali e nei Centri sanitari d’emergenza. Il 75% della popolazione di Manabi e di Esmeraldas può avere l’acqua potabile. I senza tetto sono circa 29.067, anche se i soccorritori ancora non riescono a taggiungere tutti i piccoli centri abitati. Risultano gravemente danneggiate le città di Manta, Portoviejo, Pedernales, Bahía, Jama y Canoa.

Gli aiuti della comunità internazionale
​Iniziano intanto ad arrivare in Ecuador gli aiuti destinati alle popolazioni terremotate provenienti dalle Caritas del resto del continente e dell’Europa, Di fronte alle numerose manifestazioni di solidarietà - riporta l'agenzia Sir - Alfredo de la Fuente, referente Caritas nella provincia del Manabí, afferma: “Si sta verificando una solidarietà orizzontale, ho visto rinascere la solidarietà tra popolo e popolo, è confortante vedere come ci stanno aiutando”. Nel suo comunicato Caritas Ecuador riferisce che le distribuzioni di cibo, medicinali e generi di prima necessità procede con gradualità, ma al tempo stesso chiede che non si esaurisca il flusso di aiuti, dopo le prime donazioni di questi giorni, dovute anche al forte impatto emotivo. (C.E.)

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Cina: quasi 20 mila battezzati a Pasqua nella comunità cattolica

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Quasi 20 mila battesimi sono stati celebrati a Pasqua (esattamente 19.615) nelle diverse comunità cattoliche della Cina continentale. Secondo la statistica realizzata e pubblicata da Faith dell’He Bei per il nono anno consecutivo, ripresa dall'agenzia Fides, si rileva che il numero è aumentato leggermente rispetto all’anno scorso e che la maggior parte dei battezzati sono adulti. Comunque la Pasqua non è l’unico momento in cui si celebrano i battesimi, inoltre è stato impossibile raccogliere le statistiche di tante comunità, per cui le cifre indicate non sono complete.

Sempre più curata la preparazione spirituale
La provincia dell’He Bei, considerata la roccaforte del cattolicesimo in Cina, è di nuovo in cima alla lista per il maggior numero di battezzati, 4.063, mentre la provincia nord-orientale di Ji Lin ha avuto l’aumento maggiore, con 775 battesimi, 5 volte più dell’anno scorso. La preparazione spirituale dei catecumeni inoltre viene sempre più curata: “dopo gli scrutini e il battesimo, il cammino spirituale continua e si intensifica con il pellegrinaggio e il ritiro spirituale, perché i catecumeni siano autentici testimoni della fede e missionari nell’ambiente di vita e di lavoro” hanno sottolineato alcuni sacerdoti diocesani.

Catechisti laici protagonisti dell’evangelizzazione
Don Yang Hai Long, della provincia di Hai Nan, che ha avuto 12 battezzati, ha sottolineato: “da noi i laici sono protagonisti dell’evangelizzazione. Abbiamo infatti un territorio vastissimo, con grandi difficoltà di trasporto e pochi sacerdoti disponibili, solo due. Quindi negli ultimi anni abbiamo formato un gruppo solido di laici catechisti, che si sono assunti la maggior parte del lavoro catechistico. Noi sacerdoti così abbiamo potuto dedicarci in misura maggiore alla pastorale”. (N.Z.)

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Chiesa Congo Brazzaville: no alle violenze dopo le presidenziali

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Pregare, riflettere, volgersi verso il futuro: è l’invito che mons. Louis Portella Mbuyu, vescovo della diocesi di Kinkala, nella Repubblica del Congo, ha rivolto ai suoi fedeli dopo gli scontri dei giorni scorsi scaturiti da contestazioni all’esito delle elezioni presidenziali del 20 marzo. Alle urne ha avuto la meglio Denis Sassou Nguesso, al terzo mandato consecutivo grazie ad un referendum costituzionale che lo scorso ottobre ha rimosso il limite dei due mandati presidenziali da 7 anni. 

La Chiesa invita a non scoraggiarsi
Nguesso, 72 anni, guida il Paese da circa 32 anni; è stato Presidente dal 1979 al 1992 ed è tornato al potere nel 1997 dopo la guerra civile. Nel 2002 e nel 2009 è stato rieletto Presidente, contestato dall’opposizione. Preoccupato per le reazioni al terzo mandato che hanno dato vita a violenze e ad interventi delle forze dell’ordine, con parecchi feriti e almeno 17 morti, mons. Mbuyu ha scritto un messaggio esortando a non lasciarsi trascinare nello scoraggiamento e nello sconforto.

Perdonatevi e incoraggiatevi a vicenda
Nelle parole del presule, pubblicate da La Semaine Africaine, l’incoraggiamento ad invocare la misericordia di Dio e a “supplicare il Signore per una pace vera, nell’amore, nella verità e nella giustizia”, e ancora a riflettere per trarre insegnamenti dal passato, per riscoprire cosa ciascuno deve essere e deve fare per il bene del Paese. Di fronte agli anni a venire il vescovo di Kinkala aggiunge quanto importante sia perdonarsi gli uni gli altri senza lasciarsi bloccare e paralizzare dal male subito e suggerisce a darsi coraggio, “nel senso di una più grande solidarietà, di un più grande dinamismo per lo sviluppo”. 

Messaggio per i giovani: non lasciatevi manipolare
“In questa prospettiva – scrive mons. Mbuyu – mi rivolgo particolarmente ai giovani: non lasciatevi abbattere davanti a questo avvenire che vi sembra incerto e quasi bloccato. Non lasciatevi manipolare da alcuna forza politica perché niente comprometta il vostro futuro. Prendete coscienza delle sfide del momento. Siate sempre coraggiosi e cercate di lavorare, anche con piccoli mezzi, per sovvenire alle vostre vite”. (T.C.)

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Corridoi umanitari: in arrivo il 3 maggio a Fiumicino 103 profughi

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Sono 103 i profughi – cristiani e musulmani tra 0 e 83 anni – che il prossimo 3 maggio arriveranno all’aeroporto di Fiumicino da Beirut grazie ai “corridoi umanitari”: il progetto pilota – spiega l’agenzia di stampa Nev – che nel quadro di un accordo tra governo italiano, Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), Comunità di Sant’Egidio e Tavola valdese, ha già portato in Italia 97 profughi siriani, e che in tutto prevede l’arrivo di un migliaio di casi umanitari in due anni, non solo dal Libano, ma presto anche dal Marocco e dall’Etiopia.

Non solo famiglie siriane ma anche irachene
Data la loro condizione altamente vulnerabile, riporta l'agenzia Sir, i profughi – tra cui 41 minori – che la mattina del 3 maggio saliranno non su un gommone di trafficanti, bensì su un aereo di linea, saranno muniti di “visto per motivi umanitari” come previsto dal Codice dei visti del Regolamento Schengen n.810/2009: 33 nuclei famigliari, non solo siriani, ma anche iracheni stavolta, che grazie al progetto ecumenico dei “corridoi umanitari” entreranno in tutta sicurezza e legalmente in Italia.

Appena arrivati a Roma avanzeranno regolare richiesta d'asilo
Non appena arrivati, le famiglie di profughi potranno avanzare regolare richiesta di asilo. Torino, Milano, Firenze, Terni, Roma, Frosinone, Potenza tra le destinazioni finali delle varie famiglie, che saranno ospitate nelle strutture messe a disposizione dai promotori del progetto e dai loro partner. (R.P.)

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Terra Santa: accordo Patriarcato-Real Madrid per formare allenatori

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Un accordo per formare allenatori nelle scuole del Patriarcato Latino e promuovere così i valori positivi dello sport tra gli studenti è stato siglato ieri a Gerusalemme dalla Fondazione Real Madrid e dal patriarcato latino di Gerusalemme. La Fondazione, organismo tramite il quale il Real Madrid promuove attività sociali di integrazione e culturali veicolando i valori dello sport, è già presente in quattro scuole del Patriarcato e con questo accordo ha esteso il programma ad altre nove scuole in Palestina, Israele e Giordania. Le scuole sono a Beit Jala, Beit Sahour, Jaffa di Nazareth Reineh, Ramallah, Zababdeh, Madaba, e due scuole a Gaza.

La delegazione madridista ha visitato le strutture del Patriarcato
In occasione della sua visita in Terra Santa la Fondazione ha fornito tre giorni di formazione per tutti gli insegnanti di sport che lavorano nelle scuole coinvolte nel programma. La delegazione della squadra spagnola ha anche visitato le scuole di Beit Jala e Beit Sahour, il seminario di Beit Jala e la sala stampa del Patriarcato latino.

Presenti alla firma dell'accordo
L’accordo è stato firmato alla presenza di Fouad Twal, Patriarca latino di Gerusalemme, di mons. William Shomali, vicario patriarcale per Gerusalemme e la Palestina, di padre Faisal Hijazin, direttore delle scuole del Patriarcato in Israele Palestina, di padre Jamal Khader, rettore del seminario di Beit Jala e padre George Ayoub, cancelliere del Patriarcato latino. Per la Fondazione erano presenti, tra gli altri, Julio González Ronco, direttore generale della Fondazione, l’allenatore David Gil Chapado, responsabile tecnico del programma di formazione, e Leticia Olavarria , responsabile del progetto. (R.P.)

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Ischia: mons. Paglia e don Sciortino presentano l'Amoris laetitia

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La diocesi di Ischia comunica che lunedì 2 maggio, alle ore 20:30 nella cattedrale di Ischia (Na) verrà presentata l'esortazione apostolica post-sinodale di Papa Francesco "Amoris laetitia" (la gioia dell'Amore) sull'amore nella famiglia, alla presenza di mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia e don Antonio Sciortino direttore responsabile del settimanale Famiglia Cristiana.

La concretezza e la profondità dell’esortazione Amoris laetitia
“La lettura dell’Amoris laetitia è fondamentale per noi vescovi, per i sacerdoti, e per tutti gli operatori dell’apostolato familiare – ha affermato mons. Pietro Lagnese vescovo di Ischia al settimanale della diocesi, Kaire -  ma è importante che tutti i cattolici vedano l’impegno della Chiesa per essere vicina a loro. I lettori saranno piacevolmente sorpresi nello scoprire quanto concreta sia l’esortazione Amoris laetitia. Papa Francesco, con cuore di pastore, entra nelle realtà quotidiane della vita familiare semplicemente, ma in profondità.

Un evento aperto a tutti
​Come Chiesa di Ischia vogliamo seguire Francesco, vogliamo leggere l’esortazione in un modo non affrettato e impegnarci per metterla in pratica per far sì che anche la Chiesa di Ischia possa aprirsi e accogliere le ferite delle nostre famiglie” ha concluso mons. Lagnese. L’evento è aperto a tutti, cattolici praticanti e non, credenti cristiani e non. (A.D.C.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 120

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.