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Sommario del 30/04/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: i confessori siano padri, non inquisitori

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Chi sceglie di riavvicinarsi a Dio attraverso il Sacramento della Riconciliazione si senta accolto da confessori delicati e paterni e non faccia invece esperienza di una “sala di tortura”. È l’auspicio che Papa Francesco ha espresso durante la catechesi giubilare in una Piazza San Pietro gremita da decine di migliaia di persone. La riconciliazione, ha detto, favorisce la pace, i diritti delle persone, la solidarietà. Il servizio di Alessandro De Carolis

Costruire ponti di riconciliazione. In casa, tra fratelli che non si parlano per faide e dissapori incancreniti. Nella società, perché su un ponte può passare una strada di pace. Costruirli fin dentro un confessionale, perché chi cerca il perdono di Dio deve trovarsi davanti un padre che lo favorisce e non un inquisitore che tormenta.

Dio non si rassegna
Una folla enorme, 80 mila persone sotto il sole dell’ultimo di aprile, ascolta il Papa ripetere una delle parole d’ordine dell’Anno Santo. La riconciliazione, dice subito, è “un aspetto importante della misericordia", ma non è così scontato farne esperienza:

“Spesso riteniamo che i nostri peccati allontanino il Signore da noi: in realtà, peccando, noi ci allontaniamo da Lui, ma Lui, vedendoci nel pericolo, ancora di più ci viene a cercare. Dio non si rassegna mai alla possibilità che una persona rimanga estranea al suo amore, a condizione però di trovare in lei qualche segno di pentimento per il male compiuto”.

Nostalgia e ritorno sincero
“Quando pecchiamo, noi voltiamo le spalle a Dio”, ma è Gesù che non le volta mai al peccatore e anzi, ripete una volta ancora Francesco, “viene a cercarci come un bravo pastore che non è contento fino a quando non ha ritrovato la pecora perduta”:

“Lasciamoci riconciliare con Dio! Questo Giubileo della Misericordia è un tempo di riconciliazione per tutti. Tante persone vorrebbero riconciliarsi con Dio ma non sanno come fare, o non si sentono degni, o non vogliono ammetterlo nemmeno a sé stessi. La comunità cristiana può e deve favorire il ritorno sincero a Dio di quanti sentono la sua nostalgia”.

Perdonare, non torturare
“Soprattutto”, rimarca il Papa, favoriscano l’abbraccio della riconciliazione tra l’uomo e Dio coloro che sono preposti ad amministrare questo Sacramento tra le pareti di un confessionale. L’appello di Francesco ai confessori non è nuovo, ma quello che riecheggia a questo punto in Piazza è, come le altre volte, molto accorato:

“Per favore, non mettere ostacoli alle persone che vogliono riconciliarsi con Dio. Il confessore deve essere un padre! E’ al posto di Dio Padre! Il confessore deve accogliere le persone che vengono da lui per riconciliarsi con Dio e aiutarli nel cammino di questa riconciliazione che stiamo facendo. E’ un ministero tanto bello: non è una sala di tortura né un interrogatorio, no, è il Padre che riceve, Dio Padre, Gesù, che riceve e accoglie questa persona e perdona”.

Un servizio alla pace
Inoltre, indica Francesco, “fare esperienza della riconciliazione con Dio permette di scoprire la necessità di altre forme di riconciliazione: nelle famiglie, nei rapporti interpersonali, nelle comunità ecclesiali, come pure nelle relazioni sociali e internazionali:

“Facciamo ponti di riconciliazione anche fra noi, incominciando dalla stessa famiglia. Quanti fratelli hanno litigato e si sono allontanati soltanto per l’eredità. Ma guarda, questo non va! Quest’anno è l’anno della riconciliazione, con Dio e fra noi! La riconciliazione infatti è anche un servizio alla pace, al riconoscimento dei diritti fondamentali delle persone, alla solidarietà e all’accoglienza di tutti”.

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Il Papa ai militari: siate costruttori di ponti e seminatori di pace

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In Piazza San Pietro erano presenti migliaia di soldati, circa 20 mila, giunti da tutto il mondo in occasione del Giubileo della Misericordia. Il Papa li ha salutati con gioia invitandoli a costruire la pace e la giustizia. Il servizio di Sergio Centofanti: 

Le bande musicali delle varie Forze armate e di Polizia sfilano in Via della Conciliazione per il Giubileo dei militari suonando i rispettivi inni. In Piazza San Pietro, donne e uomini dei diversi Corpi portano la loro testimonianza: l'aiuto a persone in difficoltà, il salvataggio di migranti in balia del mare, il trasporto urgente di neonati in elicottero al Bambino Gesù. Interventi per gli altri che spesso mettono a rischio anche la propria vita. C'è poi il grazie a Dio, commosso, di chi ha salvato e di chi è stato salvato. La vostra missione - ha detto Papa Francesco - è quella "di garantire un ambiente sicuro, affinché ogni cittadino possa vivere in pace e serenità":

"Siate strumenti di riconciliazione, costruttori di ponti e seminatori di pace. Siete infatti chiamati non solo a prevenire, gestire, o porre fine ai conflitti, ma anche a contribuire alla costruzione di un ordine fondato sulla verità, sulla giustizia, sull’amore e sulla libertà, secondo la definizione di pace di San Giovanni XXIII nell’Enciclica Pacem in terris (nn.18 ss)”.

Sono tante le sfide di oggi - ha detto il Papa - ma nella prospettiva cristiana c'è la "certezza della vittoria dell’amore sull’odio, della pace sulla guerra":

“L’affermazione della pace non è impresa facile, soprattutto a causa della guerra, che inaridisce i cuori e accresce violenza e odio. Vi esorto a non scoraggiarvi". 

Domenica mattina i militari partecipano alla Messa conclusiva del loro Giubileo presieduta dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin nella Basilica Vaticana e poi saranno in Piazza San Pietro per il Regina Caeli del Papa.

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Il grazie dei militari al Papa: aiutare gli altri è messaggio di pace

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I militari hanno invaso pacificamente San Pietro per ascoltare la voce di Papa Francesco in occasione dell'Anno Santo della Misericordia. Giovani e meno giovani, padri e madri di famiglia che svolgono il loro lavoro al servizio della pace. Hanno espresso la loro gratitudine al Pontefice per quanto sta facendo per la riconciliazione nel mondo. Ascoltiamo i commenti di alcuni militari raccolti in Piazza San Pietro da Daniele Gargagliano

R. – Il messaggio del nostro Santo Padre rispecchia quello che dice Gesù nel Vangelo: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”. Con questo principio, è chiaro, si creano ponti nella società e anche tra le forze armate, tutti quelli che si occupano di sicurezza …

D. – Giovanni Paolo II vi aveva definiti ministri della sicurezza e della libertà dei popoli. Cosa significa, oggi, portare avanti questo messaggio?

R. – Significa impegnarsi ancora, con coerenza e con serenità, facendo sempre il nostro servizio umile secondo le nostre caratteristiche sul campo.

R. – “Costruttori di ponti” significa che ogni militare deve sia interfacciarsi con le altre forze armate, sia rendersi utile per il proprio Paese. Questa esperienza oggi è stata veramente molto emozionante, proprio perché abbiamo avuto l’opportunità di confrontarci anche con le altre forze armate, di fronte al Papa con tutto quello che ha detto.

D. – Papa Francesco vi ha definito “costruttori di ponti” per portare pace e sicurezza, soprattutto in quegli scenari geopolitici – penso al Medio Oriente – più difficili …

R. – Sì, è un periodo molto difficile, soprattutto in questo momento storico, soprattutto per i Paesi europei che si interfacciano adesso anche con i Paesi orientali. Penso che il messaggio del Papa sia un messaggio funzionale anche ad avere un approccio diverso con questi Paesi in modo che si possano trovare nuovi metodi di risoluzione di determinati problemi.

D. – Ci parli del ruolo che portate avanti nelle missioni di pace come aviazione …

R. – Portiamo ricostruzione – quindi scuole, ospedali, strade … - e poi abbiamo dei ponti aerei per persone con malattie particolari e che quindi vengono curate in Italia; provvediamo all’immediato trasporto sia di personale sia di materiale …

D. – Il Papa ha parlato di “costruttori di pace”…

R. – Noi della Guardia Costiera lo interpretiamo nel porgere nel modo migliore possibile l’aiuto a chi ne ha bisogno in ambito mare. Mi viene in mente il discorso dei migranti, dove ovviamente siamo coinvolti in prima persona, e dove soccorrere le persone in difficoltà è un messaggio di pace.

D. – Quanto è difficile portare avanti le operazioni di soccorso in mare, per voi che siete la Guardia Costiera?

R. – E’ durissimo: turni estenuanti, continui impegni lavorativi, soste quasi nulle però con grandi soddisfazioni: riuscire a portare in salvo chi è più sfortunato di noi.

D. – Per l’Esercito italiano, qual è l’importanza di quanto ha detto il Papa che vi ha esortati ad essere “costruttori di pace”?

R. – Effettivamente, questo è un anno di riconciliazione per tutti. Bisogna cercare di impegnarsi, in tutto e per tutto. Si può fare. Ce la possiamo fare.

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Papa per il 1° maggio: lavorare è proprio della persona umana

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Questa domenica, primo maggio, sono in programma in tutto il mondo manifestazioni per la festa internazionale del lavoro. Il Papa, in un tweet, scrive che “Lavorare è proprio della persona umana: esprime la sua dignità di creatura fatta a immagine di Dio”. La disoccupazione è un male che colpisce tutti i continenti e da molti anni affligge anche l’Europa. Nella zona euro, a marzo, i senza lavoro erano il 10,2%, un dato in calo dal 2011, ma ancora troppo alto. Alessandro Guarasci: 

In tutta Europa c’è una ripresa dei dati legati al lavoro, una ripresa però ancora debole. E infatti sono in cerca di lavoro 16,4 milioni di persone. L’Italia è in fondo alla classifica. Tra i 28 paesi dell'Ue solo Croazia (55,8%) e Grecia (50,8%) presentano un tasso di occupazione più basso dell’Italia, che si ferma al 56,3%. Preoccupa la disoccupazione giovanile, colpisce un terzo di chi ha tra i 15 e i 24 anni, a tre anni dalla laurea lavora solo il 57% dei giovani. Sergio Silvani, del Consiglio generale del Movimento Cristiano Lavoratori (Mcl):

"I nostri giovani sono grandissimi ricercatori e danno delle grandi soddisfazioni alle società all’estero. E noi non riusciamo, nel nostro Paese, ad investire sulla ricerca, che ci potrebbe portare anche benessere e innovazione. Non possiamo certo competere con i cinesi sul manifatturiero: dobbiamo competere su altre cose! E questo i nostri giovani possono farlo e questo noi chiediamo".

Nei primi mesi del 2016 sono calate le denunce di incidenti mortali, ma si fa ancora poco per tutelare i lavoratori nelle fabbriche e negli uffici. Diego Barbato, presidente dell’Unione imprenditori Cristiani di Roma (Ucid):

"Gli esempi più recenti vedono che le imprese in cui si ha una particolare attenzione verso il lavoratore, sono imprese - diciamo - eccellenti. E questo in tutti i sensi: sia da un punto di vista di lavoro al proprio interno, ma eccellenti anche per i risultati dell’azienda stessa".

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Mons. Chullikatt nuovo nunzio in Kazakhstan e Tadjikistan

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Papa Francesco ha incontrato nel corso della mattinata il cardinale Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi.

Il Pontefice ha nominato nunzio apostolico in Kazakhstan e in Tadjikistan l’arcivescovo Francis Assisi Chullikatt.

In Sudafrica, il Papa ha nominato vicario apostolico di Ingwawuma padre Mandla Siegfried Jwara, dei Missionari di Mariannhill, finora parroco e superiore regionale della Provincia di Umtata della sua Congregazione. Il neo presule è nato il 1° febbraio 1957 a St. Nivard, in Diocesi di Mariannhill. Dopo aver frequentato le scuole di Kwa-Hluzingqondo a uMkhomazi, e completato l’High School Education nel 1980, il 1° febbraio 1981 è entrato nella Congregazione dei Missionari di Mariannhill e ha svolto il Noviziato nel Monastero di Mariannhill. Ha emesso la Prima Professione nel 1982 e quella Perpetua nel 1986, completando poi la preparazione filosofica e teologica presso il St. Joseph’s Theological Institute di Cedara (1982-1987). È stato ordinato sacerdote il 14 febbraio 1987. Successivamente ha ricoperto i seguenti incarichi e compiuto ulteriori studi: 1987-1992 - Vicario parrocchiale e Parroco nella Claivaux Mission in Mpendle (Diocesi di Mariannhill); 1992-1993 - Diploma in Human Development, Leadership, Formation & Community Building all’ Institute of St. Anselm, Londra, Inghilterra; 1993-1998 - Maestro dei Novizi nel Monastero di Mariannhill e per un breve periodo Rettore C.M.M a Merrivale, oltre che Consigliere Provinciale. Al contempo, ha conseguito un Master’s Degree in Teologia (nel 1998) presso la University of KwaZulu-Natal, Pietermaritzburgh; 1998-2002 - Provinciale C.M.M (Provincia di Mariannhill); 2002- 2004: Consigliere Generale C.M.M (a Roma); 2005-2006 - parroco a Port St. John e nella Missione St. Patrick e Consigliere Provinciale C.M.M.

In Polonia, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Przemyśl dei Latini, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Józef Michalik. Al suo posto, il Pontefice ha nominato mons. Adam Szal, finora ausiliare della medesima arcidiocesi. Mons. Szal è nato il 24 dicembre 1953 a Łańcut (arcidiocesi di Przemyśl dei Latini). Superati gli esami di maturità, nel 1972 fu ammesso al Seminario Maggiore di Przemyśl e il 31 maggio 1979 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale per la medesima diocesi. Per 4 anni è stato Vicario parrocchiale: a Lutcza (1979-1981) e a Krosno (1982-1983). Ha studiato Storia della Chiesa presso l’Università Cattolica di Lublino (1983-1987). È stato Vicario parrocchiale a Przeworsk (1987-1988). Poi è stato Bibliotecario e Prefetto di disciplina del Seminario (1988-1994). Dal 1987 è Docente di Storia della Chiesa nel Seminario Maggiore. Negli anni 1994-1996 è stato Redattore del supplemento diocesano del settimanale Niedziela e dal 1994 al 2000 è stato Rettore del Seminario Maggiore di Przemyśl. Il 16 novembre 2000 è stato nominato Vescovo titolare di Lavello ed Ausiliare di Przemyśl dei Latini e il 23 dicembre 2000 ha ricevuto l’ordinazione episcopale. Attualmente è Vescovo Ausiliare e Vicario generale di Przemyśl. Nell’ambito della Conferenza Episcopale è Membro della Commissione episcopale per le missioni, Delegato per il Movimento Luce-Vita, nonché membro della Commissione di sorveglianza dell’Ufficio nazionale di organizzazione delle Giornate Mondiali della Gioventù.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Niente ostacoli alla riconciliazione: all'udienza giubilare il Papa parla della misericordia auspicando che le confessioni non siano torture o interrogazioni.

Nascita di un nuovo spazio urbano: Carlo Carletti su una lettura dell'Italia archeologica.

Meditazioni sulla sabbia: Antonella Lumini sul deserto come scuola di consapevolezza e responsabilità.

Come muoiono i santi: Cristiana Dobner recensisce l'ultimo libro di Antonio Maria Sicari.

Personaggi in movimento: Davide Carbonaro su san Giovanni Leonardi amico dei santi.

Nella logica del reciproco ascolto: Maurizio Gronchi sulla prospettiva di "Amoris laetitia".

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Oggi in Primo Piano



Fontana di Trevi, rossa come il sangue dei cristiani dimenticati dal mondo

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Il mondo apra gli occhi sulle persecuzioni anticristiane di oggi, basta con il silenzio complice! E’ il grido che si è levato ieri sera a Roma durante una iniziativa promossa da Aiuto alla Chiesa che Soffre: la Fontana di Trevi, grazie a un gioco di luci, si è tinta di rosso per ricordare i 200 milioni di cristiani perseguitati in questo inizio di 21.mo secolo. Il vescovo caldeo di Aleppo Antoine Audo ha denunciato l’indifferenza dei Paesi ricchi. Presente anche il segretario generale della Cei, Nunzio Galantino, che ha detto: "Siamo qui per far sentire ai cristiani perseguitati che non sono abbandonati, non sono soli, e per chiedere alla gente che attraversa queste piazze di non dimenticare l'esistenza di queste persone".  Il servizio di Marina Tomarro

L’acqua della fontana più famosa del mondo che si tinge di rosso, colore del sangue dei tanti martiri cristiani che continuano a morire in terre non troppo lontane da noi in Siria in Iraq, così come in Africa o nel più lontano Pakistan. “La salvezza della croce - ha ricordato il cardinale Mauro Piacenza, presidente internazionale di Aiuto alla Chiesa che Soffre – giunge anche attraverso queste morti innocenti che rendono il cristianesimo fecondo e pieno d’amore. Ascoltiamo il commento del vescovo caldeo di Aleppo Antoine Audo:

R. - Penso che sia importante, perché ha luogo in una piazza famosa di Roma: tutti conoscono Fontana di Trevi! E’ molto importante, dunque, fare qui questa manifestazione per mostrare il coraggio, la determinazione nella difesa dei deboli. Non vogliamo dire che difendiamo soltanto i cristiani, perché difendendo i martiri cristiani, difendiamo la dignità umana intera, il rispetto della libertà di coscienza. Questa è la sfida grande per il mondo di oggi.

Mons. Audo ha lanciato un appello contro l’indifferenza dell’Occidente: “Del milione e mezzo di cristiani che vivevano in Siria prima della guerra - ha spiegato - ne sono rimasti appena 500mila. Nella sola Aleppo c'erano 160mila fedeli: oggi sono 40mila". Mentre i cristiani di Homs non hanno più chiese, quelli di Malula, dove c'erano i santuari più antichi, sono costretti a fuggire. Ascoltiamo la sua testimonianza sulla situazione ad Aleppo:

R. - Prima vivevamo in una buona situazione, soprattutto economica - c’era lavoro - e in una situazione di pace: Aleppo era davvero una città a tutti gli effetti. Tutto questo è stato distrutto. La vita ad Aleppo è distrutta: è una città senza gioia, una città piena di paura. C’è stato un deterioramento a tutti i livelli.

D. – Proprio in queste ultime ore, è sempre più drammatica la situazione. Ci può raccontare che cosa sta succedendo nella sua città?

R. – Da cinque anni viviamo questa situazione: ogni giorno bombe; ogni giorno bombardamenti; ogni giorno gente che viene uccisa, ferita. Tutto questo è diventato il nostro pane quotidiano. Stavolta è molto grave, però, perché da una parte a Ginevra c’è un dialogo e, dall’altra, ci sono le violenze. Il messaggio è che non c’è soluzione politica, ma militare. E’ triste questo e vuol dire ancora anni di guerra.

D. – E’ proprio di queste ore la notizia di una tregua temporanea a Damasco e nella provincia di Latakia, ma non ad Aleppo. Che cosa ne pensa?

R. – E’ un buon segno se c’è una tregua, malgrado queste violenze. Ad Aleppo la questione è più complicata, perché dietro c’è la Turchia e proprio dalla Turchia arriva gente e arrivano armi per fare la guerra. Questa può essere una spiegazione della situazione.

All’evento era presente anche Maddalena Santoro, sorella di, don Andrea Santoro, assassinato in Turchia nel 2006. Ricordati anche Shahbaz Bhatti, primo e unico ministro cattolico nel Pakistan, ucciso nel 2011, Asia Bibi, la donna cristiana detenuta in Pakistan per l’accusa di blasfemia dal 2009, le quattro missionarie della Carità trucidate nel marzo scorso in Yemen e i 148 studenti dell'Università di Garissa uccisi lo scorso anno in Kenya. Ascoltiamo la testimonianza di Luca un giovane studente keniota amico di alcune delle vittime dell’attentato di Garissa:

R. – I sopravvissuti hanno detto che non si sarebbero mai aspettati che potesse succedere una cosa del genere nella loro vita e soprattutto ai loro amici e compagni, massacrati tutti dai terroristi che vengono dalla Somalia.

D. – Chi è sopravvissuto in che modo continua a vivere lì?

R. – Quelli che sono sopravvissuti, nella confusione sono riusciti a scappare, correndo anche senza vestiti. La loro vita non è quella di prima: è cambiato tutto. Sono terrorizzati e molti di loro non vogliono neanche tornare in quell'università. Il governo ha aiutato a spostarli in altre università.

D. – Quanto aiuta la fede in questi momenti?

R. – La fede, con la forza di Dio, aiuta sempre. Se qualcuno crede veramente e ha fiducia in Dio, Dio lo può salvare.

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Iraq. Attentato Is a Baghdad contro un santuario sciita

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È salito a 21 morti – 24 secondo alcune fonti – e 42 feriti il bilancio, ancora provvisorio, dell’attentato avvenuto questa mattina nella zona di Al Nahrahuan, periferia sudorientale di Baghdad, in Iraq. Obiettivo dell’attacco rivendicato dal sedicente Stato islamico, i pellegrini che si stavano recando sulla tomba dell’imam Moussa al-Kazim, uno dei santuari sciiti più venerati del Paese. Per un’analisi della situazione, Roberta Barbi ha parlato con il prof. Paolo Branca, docente di Storia dei Paesi arabi presso l’Università Cattolica di Milano: 

R. – La cosa che fa impressione è il fatto che i nomi di questi luoghi colpiti sono nomi di santuari: come se da noi ogni poco scoppiasse una bomba a Lourdes, Fatima, alla Madonna di Pompei o a quella di Loreto. Quindi, fa molta impressione che si sia arrivati a questa lotta settaria, che tra l’altro va avanti da molto tempo e non si capisce neppure con quali vantaggi, perché non mi pare abbia portato nessuna delle due fazioni a una situazione di prevalenza sulle altre.

D. – Un attentato contro gli sciiti, la settimana scorsa una chiesa devastata nel centro di Mosul dai militanti del sedicente Stato islamico: si può parlare di una vera e propria strategia contro le minoranze?

R. – Sicuramente, questi Paesi sono sempre stati dei mosaici dal punto di vista etnico oltreché religioso. Non dimentichiamo i curdi o altre popolazioni che, pur essendo musulmane-sunnite, stanno passando i loro guai. La cosa preoccupante è che, approfittando di questo caos, sembra che ciascuno voglia pareggiare i conti, vendicarsi e ipotecare in qualche modo il futuro. Mi pare però che ci sia ben poco da parlare di futuro se si va avanti così, perché questi Paesi sono assolutamente distrutti, in ginocchio anche per quanto riguarda il sistema educativo, sanitario, è quasi impossibile sopravviverci.

D. – L’Iraq è ormai in preda a una fortissima crisi politica. Questo come influenzerà la lotta all’Is, che controlla ormai larghe porzioni di territorio a ovest e a nord di Baghdad?

R. – Purtroppo, vediamo che i Paesi stabili nell’area sono sempre meno e che il contagio sta diffondendosi, perché c’è anche la Libia, lo Yemen, e altri Paesi che sembravano stabili o che avessero ritrovato una calma, come l’Egitto, possiamo vedere invece che è una calma più apparente che sostanziale. Questo è veramente molto pericoloso, soprattutto per l’Europa nel medio-lungo periodo, in quanto il mondo arabo, nordafricano e mediorientale, è sempre stato anche un filtro rispetto alle migrazioni che venivano dall’Africa nera o dall’area caucasica e non si vede chi riesca a immaginare una strategia, perché questa devastazione finisca e si ritorni a una situazione di normalità, che dovrebbe essere a vantaggio di tutti.

D. – Attualmente, la comunità internazionale cosa sta facendo?

R. – Molto poco, mi sembra di poter dire. Infatti, abbiamo potuto constatare che qualcuno come Putin ha avuto via libera in un intervento piuttosto avventuroso che ha riportato la Russia nel Mediterraneo, cosa che non si vedeva dai tempi di Nasser. Quindi, ho paura che la fine del sistema bipolare – quindi la caduta dell’Unione Sovietica – non abbia aperto una fase con un’unica potenza regolatrice di tutto, ma abbia invece causato un caos diffuso, in cui mi pare, tra l’altro, che gli Stati Uniti stiano anche un po’ tirandosi indietro. Questo fa emergere ancora di più la debolezza della politica europeam in una zona così vicina e vitale per noi.

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Francia: protesta sociale e scontri per la riforma del lavoro

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Place de la République e Pont d'Austerlitz a Parigi, ma anche le piazze di Marsiglia e Rennes. Sono i punti dove in Francia è dilagata nelle ultime ore la protesta sociale, con scontri tra polizia e manifestanti del movimento “Nuit debout”, che da settimane si oppone alla nuova legislazione sul lavoro. Solo nella capitale la polizia ha fermato 24 persone, dopo un fitto lancio di pietre e oggetti e l’uso da parte degli agenti di lacrimogeni, proiettili di gomma e idranti. Oltre 170 mila i dimostranti in tutto il Paese, secondo le forze dell’ordine, 500 mila secondo gli organizzatori dei cortei, che con i sindacati protestano contro il testo di legge presentato dal ministro del Lavoro, Miryam El Khomri. Il progetto non prevede l’aumento dell’orario di lavoro settimanale oltre le 35 ore, ma cambia la retribuzione delle ore di straordinario, cioè l’abbassa al 10% in più di quella ordinaria. Giada Aquilino ne ha parlato con Massimo Nava, editorialista del Corriere della Sera e conoscitore della società francese: 

R. – La legge francese è una fotocopia del concetto di "flexicurity", che ormai indirizza il mercato del lavoro in tutti i Paesi europei: vale a dire tutele crescenti in caso di licenziamento, contratti a tempo indeterminato – tant’è vero che la legge francese tassa più fortemente i contratti a tempo determinato – e una maggiore libertà di licenziamento per quanto riguarda gli imprenditori. Comunque, la sostanza, poi, della protesta è quello che è il nodo di fondo della società francese: un potere di blocco di corporazioni sindacali contro delle riforme che, in qualche modo, comunque dovrebbero favorire crescita e ripresa e, al tempo stesso, mettere fine o arginare il fatto che il precariato, i lavori part-time, i lavori a tempo determinato sono ormai la norma proprio per la rigidità del mercato del lavoro.

D. – Uno dei punti su cui si discute è la retribuzione delle ore di straordinario. Perché?

R. – La Legge entrata in vigore ormai quasi 20 anni fa sostanzialmente riduce l’orario di lavoro a 35 ore: tutto il resto è straordinario. Si è poi visto, col tempo, che la legge è di fatto praticamente inapplicabile, con conseguenze anche drammatiche in certi settori, come ad esempio la sanità. E’ chiaro che, se ogni ora in più viene considerata straordinario oppure viene “riguadagnata” attraverso ulteriori ferie o riposi compensativi, tutto questo comporta dei costi del lavoro esorbitanti e perdita di competitività. Quindi, si capisce perché, poi, la Francia soffra pesatamente.

D. – Perché però i sindacati, proprio a proposito delle ore di straordinario, mettono in guardia dal rischio di riduzione dei benefici per i lavoratori?

R. – In una situazione di crisi, un po’ di sacrifici vengono chiesti a tutti ed è ovviamente molto più favorevole guadagnare con lo straordinario per ogni ora lavorata in più. D’altra parte, la scommessa è su un mercato del lavoro bloccato, che lascia fuori intere generazioni, quindi milioni di giovani: la disoccupazione è fissa all’11-12% e non scende da anni. Allo stesso tempo, non si tiene conto che i sindacati, soprattutto nel privato, hanno un numero di iscritti assolutamente esiguo - parliamo del 5-6% – e che la maggioranza della popolazione tendenzialmente vorrebbe più crescita e più posti di lavoro.

D. – Le proteste di questi giorni hanno portato alla ribalta “Nuit debout”, il movimento che organizza proteste simili a quelle degli “Indignados” spagnoli. Che realtà è?

R. – Ha una radice e un’origine completamente diversa, che in qualche misura si è un po’ saldata alla protesta per il mercato del lavoro, perché raccoglie movimenti di giovani e di studenti che già in passato si sono sempre opposti a riforme di questo genere. Inizialmente, è stato un grande “happening” con venature sociali, di costume, e anche con riflessioni sulle libertà civili, sulle misure antiterrorismo, sulla ferita profonda che c’è nella società francese dopo gli attentati e quindi anche sul rapporto con l’islam e sulle conflittualità di ordine etnico-religioso. Tutto questo è stato anche un bell’esempio intellettuale e sociale di risveglio civile. Poi, ci sono state polemiche che hanno creato tensioni nel movimento. Oggi, si qualifica sostanzialmente sul versante soprattutto di estrema sinistra e comunque di contestazione molto forte al governo di Manuel Valls, al presidente Hollande e quindi al partito socialista al governo, in un momento in cui ci si prepara alle elezioni presidenziali dell’anno prossimo.

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Nigeria tra violenza e speranza. Chesto riscatto per p. Adeyi

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Ore di apprensione nella diocesi di Otukpo, nello Stato nigeriano di Benue, dove è stato rapito il vicario generale, padre John Adeyi. Il sequestro è avvenuto, secondo l’agenzia Fides, domenica scorsa dopo la Messa nel villaggio di Okwungaga. I rapitori avrebbero chiesto un riscatto di 10 milioni Naira, circa 45 mila Euro. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con padre Silvio Roggia, missionario salesiano in Nigeria e Ghana, che ha lavorato anche presso la diocesi di Otukpo, da poco rientrato in Italia: 

R. – E’ una notizia che ci rattrista e preoccupa. I rapimenti sono un male che affligge il Paese e molti sono per ricatto, per soldi. La Chiesa finora è stata abbastanza ferma nel non cedere a questo tipo di ricatto, però, certamente, la situazione è molto triste e difficile.

D. – I timori ci sono sempre, ma ci sono rischi concreti o si tratta di rapimenti con mero fine estorsivo e se non si ottengono i soldi si rilascia il sequestrato?

R. – Dipende molto dalle zone. Ho avuto casi simili in cui le cose si sono risolte per il meglio, vedendo che non era possibile insistere con il tentativo di estorsione. Alla fine, quindi, le cose si sono concluse in modo tranquillo per chi era coinvolto. Però, non si può dire che sarà sicuramente così.

D. – La linea che è stata seguita fino ad ora è quella di non pagare il riscatto…

R. – In alcune diocesi si è fatto così. Non so se è la linea seguiranno in questo momento.

D. – Lei è stato otto anni in Nigeria, poi in Ghana. Continua comunque a tornare nel Paese?

R. – Sì, abbastanza di sovente, perché siamo collegati: Nigeria, Ghana, Sierra Leone e Liberia sono Paesi anglofoni. Ci muoviamo in questi quattro Paesi.

D. – In questi ultimi tempi, si parla di Nigeria spesso solo in relazione agli attentati degli estremisti islamici di Boko Haram. Ma qual è il volto del Paese?

R. – La Nigeria è un Paese molto grande sia come estensione geografica – è tre volte più grande dell’Italia – sia per numero di abitanti che è di 370 milioni. E’ il Paese più popoloso dell’Africa, con una grande varietà di culture, etnie e storia. E’ difficile, quindi, dall’esterno, rendersi conto di questa varietà. C’è sicuramente il fenomeno del terrorismo e affligge soprattutto il nordest del Paese, ma non è qualcosa che coinvolge tutta la popolazione, come se fosse una guerra civile.

D. – Potremmo dire che se si mette l’accento solo sul terrorismo, non si descrive la realtà del Paese…

R. – E’ un po’ come dire che l’Italia è la mafia. Insomma, la mafia è un problema dell’Italia, ma non è tutta l’Italia. Qui è lo stesso.

D. – Anche se i numeri degli attentati spaventano…

R. – I numeri sì, fanno spavento! C’è sempre il tentativo dei terroristi di apparire sui grandi schermi, di fare notizia, per poter destabilizzare, spaventare appunto.

D. – Lei però ribadisce che non bisogna fermarsi a questo e che in Nigeria c’è sviluppo e crescita…

R. – Perché mentre la Nigeria è diventato il primo Paese in Africa sotto il profilo economico, superando in questi ultimi anni il Sudafrica, vuol dire quindi che c’è tutto un movimento, anche interno. E’ vero che il grande motore che adesso si sta inceppando è il petrolio. Il Paese è il primo esportatore di greggio del continente e il fatto che ora i prezzi del petrolio siano andati giù, sarà sicuramente una difficoltà in più. Però, la “resilience”, la capacità di resistere, è incredibile in questo popolo. C’è continuamente voglia di ripartire e trovare una maniera per stare a galla. E’ una forza che noi vediamo anche nei nostri giovani. Per esempio, abbiamo tante scuole tecniche, dove i giovani vengono anche da 200-300-400 chilometri di distanza, con il mimino per sopravvivere eppure si organizzano e riescono a trovare sistemazioni e studiare. La scuola è una delle risorse più importanti per ripartire. Ci sono tanti problemi, tanti scioperi, tante difficoltà, ma c’è anche tanta voglia di imparare, di crescere.

D. – Uno dei problemi grandi del Paese è la corruzione e anche un forte divario tra chi si sta arricchendo e chi no…

R. – C’è gente che è ricchissima e all’estremo c’è altrettanta povertà. Mettendo vicini questi due aspetti, la società ha un fremito interno. I giovani vorrebbero poter arrivare in fretta ad avere questa abbondanza, ma certamente non ci sono scorciatoie. Ci sono, quindi, tante situazioni di insicurezza, di crimine, di corruzione per potere, in realtà, raggiungere questi obiettivi alti. Il mio auspicio è che essendoci questa capacità di rinascere, risorgere, anche nelle situazioni difficili, e anche una ricchezza culturale notevolissima, sempre più tutti questi fattori riescano a essere messi insieme per il meglio, come sta già capitando. In alcune città, in alcuni Stati, si vede che c’è stato un cammino notevolissimo negli ultimi anni.

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Galantino: 8 per mille per essere più vicini alla gente, noi trasparenti

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Questa domenica, in Italia, sarà la giornata di sensibilizzazione per il sostegno economico alla Chiesa Cattolica. Grazie a questa voce, solo nel 2015, sono stati realizzati nel Terzo Mondo 748 progetti, per un importo totale di 94 milioni di euro. Diocesi e parrocchie sono in prima fila nell'aiuto a poveri, emerginati e rifugiati. Un impegno che si rafforza in questo Anno della Misericordia. Alessandro Guarasci ha sentito il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino

R. – Se è vero che la missione della Chiesa è quella di fare e far fare esperienza della vicinanza di Dio agli ultimi, il sostegno economico alla Chiesa, soprattutto in questo periodo, è un modo concreto per condividere tutto quello che laici, religiosi e preti – attraverso tante realtà – fanno, soprattutto nelle periferie. Forse dovremmo imparare a comunicare di più e meglio quello che si fa con la somma dell’8 per mille destinato alla Chiesa cattolica. E questo proprio per evitare che i pochi – e comunque sempre deprecabili esempi negativi – mettano in cattiva luce e gettino ombra sulle straordinarie opere rese possibili propri attraverso l’8 per mille.

D. – Che cosa è cambiato nella vita di tante persone grazie anche alle opere realizzate con il contributo della Chiesa? Pensiamo ai poveri, agli immigrati…

R. – La Chiesa cattolica non si interessa agli ultimi perché ci sono i soldi dell’8 per mille da spendere: lo ha sempre fatto! Oggi, grazie all’8 per mille, può fare di più. Oltre a spendere i proventi dell’8 per mille per i poveri, per gli immigrati, per la promozione umana e per quella culturale, ricordo che la Chiesa cattolica utilizza una parte dell’8 per mille anche per il sostentamento del clero, con cifre assolutamente lontane da quelle che, ancora qualche giorno fa, venivano rese pubbliche da un settimanale. Guardi, io sono vescovo da quattro anni e non ho mai percepito 3 mila euro mensili, come ho letto su quel settimanale qualche giorno fa… E non solo: lo stipendio di un sacerdote è intorno ai mille euro. Penso che non ci sia niente di scandaloso che un sacerdote prenda questo stipendio per il lavoro che fa, anche se fosse solo equiparato a quello di un assistente sociale, perché gran parte dei nostri parroci sta in paesini, sta in periferia… E poi attenti, perché lì sopra si parlava dei cardinali: i cardinali non toccano l’8 per mille, non c’entrano niente con l’8 per mille! Un'altra precisazione: dal 2009 non viene rivalutato lo stipendio né dei sacerdoti né tantomeno dei vescovi.

D. – E poi cosa vuole aggiungere?

R. – A chi cerca di presentare, come dato deprecabile, sul quale poi lucrare, il fatto che l’impiego dell’8 per mille venga utilizzato anche per il culto, vorrei ricordare che nelle spese di culto vanno contemplati i tanti cantieri di edilizia, di culto e di restauro dei beni culturali. Sa quanti sono i cantieri aperti oggi? 920! Migliaia di persone mantengono la loro famiglia, lavorando in questi 920 cantieri. Vengono conservati, custoditi e resi fruibili veri e propri tesori di arte e di cultura altrimenti destinati ad andare in malora. E poi – ripeto – vengono costruiti luoghi di aggregazione. Se si spiegasse bene che spese di culto sono anche queste, forse la gente capirebbe meglio quanto pretestuose siano certe prese di posizione di chi identifica il culto con l'incenso e le candele. Se si piegasse bene che anche questo fa parte delle spese di culto, capirebbero quanto pretestuose siano certe sdegnose prese di distanza dalla voce culto, molto articolata, che alcuni fanno.

D. – Secondo lei, ci sono anche altri pregiudizi da sfatare, perché a volte l’8 per mille è anche oggetto di scontro fra forze politiche dentro la nostra società…

R. – I settori che criticano l’8 per mille alla Chiesa cattolica, secondo me, sono almeno di due specie. Vi sono quelli che, per partito preso, sentono forte la missione di andare contro tutto ciò che fa o dice la Chiesa cattolica: e siamo di fronte ad atteggiamenti assolutamente e chiaramente ideologici. Questa prima categoria calunnia a prescindere. Io mi chiedo come si faccia a chiudere gli occhi di fronte ai 25 mila immigrati accolti oggi? Come si fa a chiudere gli occhi di fronte alle mense Caritas presenti nei piccoli e nei grandi centri? Come si fa a chiudere gli occhi di fronte ai progetti di promozione e di formazione che si realizzano nei Paesi in via di sviluppo?

D. – Ci dà qualche numero su questo?

R. – Nel 2015 sono stati realizzati nel Terzo Mondo 748 progetti, per un importo totale di 94 milioni; nel 2016 – fino ad oggi – sono stati già approvati 67 progetti, per un importo di 23 milioni e mezzo. Quello che gli Stati o lo Stato o il governo riescono a fatica a fare, la Chiesa lo fa da sempre! Vi è poi l’altra categoria di realtà e di persone che, approfittando di questo atteggiamento negativo ed ideologico, fa tutto ciò che è possibile per monetizzare a proprio vantaggio queste critiche.

D. – Ovvero?

R. – A proposito di pregiudizi, penso di averne citato già qualcuno finora… Ma aggiungo anche quello che nell’8 per mille vede una specie di appropriazione indebita da parte della Chiesa cattolica: voglio allora ricordare che non è solo la Chiesa cattolica che beneficia delle destinazione dell’8 per mille. Certo, la Chiesa cattolica ha un ritorno maggiore: mica dobbiamo chiedere scusa per il fatto che tanta gente ha fiducia nella Chiesa cattolica! Il modo di distribuire l'8 per mille è un esempio di partecipazione democratica, tanto che con un po' di ritardo lo hanno capito anche realtà inizialmente contrarie, in maniera sdegnosa e sdegnata, al sistema dell'8 per mille, e che oggi ne beneficiano o cercano, legittimamente, di pubblicizzarlo e di pubblicizzarsi. Un altro pregiudizio vede o afferma che non si sa come venga impiegato e speso l’8 per mille: ogni anno la Conferenza episcopale italiana consegna al governo la distribuzione dell’8 per mille, come viene speso l'8 per mille; i bilanci della Conferenza episcopale italiana, riguardanti l’8 per mille, sono bilanci pubblici; inoltre ogni diocesi pubblica ogni anno il suo bilancio, lo pubblica sul Bollettino diocesano, lo pubblica sul sito della diocesi. Quindi questo è il secondo pregiudizio che, secondo me, va sfatato! Mi sembra di aver dato un quadro chiaro e con un invito a guardare con un occhio meno ideologico a quello che si fa.

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Gesuiti e Rotary: lavorare insieme per aiutare migliaia di rifugiati

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Accoglienza, educazione scolastica e formazione lavorativa per aiutare i rifugiati a ricominciare. Se n’è discusso ieri pomeriggio all’Università Lumsa di Roma nel corso di una tavola rotonda del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (Jrs) e del Rotary International in occasione dell’inizio del Giubileo dei Rotariani. C’era per noi Elvira Ragosta

Le stime dell’Onu parlano di oltre 60 milioni di persone in fuga da guerre o regimi persecutori. Ogni giorno in più di 40 mila scappano: rifugiati accolti per lo più nei Paesi vicini, in campi allestiti o nelle aree urbane. La necessità di aiutare queste persone non solo nell’accoglienza, ma anche nel dar loro la possibilità di ricostruirsi una vita è una priorità per il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati. Padre Thomas Smolich, direttore internazionale del Jrs:

“La situazione dei rifugiati adesso è una situazione globale: tutti abbiamo bisogno di lavorare insieme. E per noi l’educazione e la pianificazione del futuro dei rifugiati è la cosa più importante”.

La raccolta fondi con cui il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati intende realizzare nuovi progetti educativi si chiama “Mercy in Motion”. Ce la spiega Giulio D’Ercole, coordinatore della comunicazione per la campagna di raccolta:

“L’obiettivo, dal punto di vista del fund raising, è quello di riuscire a raccogliere 35 milioni di dollari entro la fine del 2016, in modo da poter implementare dei progetti che offrano dei servizi di educazione primaria, secondaria e terziaria e anche programmi di formazione professionale per i rifugiati, in modo tale da riuscire a servirne 100.000 in più entro il 2020 rispetto a quelli che già serviamo, che sono 120.000”.

“Bisogna guardare oltre l’asilo”, dice Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr per l’Europa meridionale, sottolineando l’importanza per i rifugiati di rientrare nei loro Paesi, e ricordando che in Europa i rifugiati sono solo 1 su 1000, in Libano 1 su 3, e che l’86% dei rifugiati siriani in Giordania vive sotto la soglia della povertà. Anche il Rotary si occupa delle esigenze dei rifugiati in tutto il mondo, fornendo cibo, alimenti e cure mediche. La tavola rotonda sull’argomento ospitata alla Lumsa ha segnato l’inizio del Giubileo dei rotariani di tutto il mondo. Giuseppe  Perrone, governatore del distretto Rotary 2080:

“L’importanza di questa iniziativa viene data dal tema che l’umanità deve affrontare. Da adesso e per i prossimi anni sappiamo che milioni di persone dovranno lasciare le loro case, le loro tradizioni, le loro abitudini per vari problemi: guerre, disperazione… E la società civile di cui Rotary è un rappresentante deve porsi il problema di essere disponibile all’accoglienza. L’accoglienza viene attraverso l’integrazione; l’integrazione passa attraverso la cultura e la conoscenza reciproca, che abbassa le difese e rende il ‘melting pot’ di cui poi Roma e l’Impero romano sono stati i fondatori, la casa migliore in cui  vivere”.

A portare la sua testimonianza un rifugiato siriano, Samaan, che negli anni Novanta ha studiato in Italia, in Siria era una guida turistica. E’ arrivato a Roma con un visto turistico insieme alla sua famiglia, moglie e due figli, e qui ha trovato ospitalità grazie all’aiuto del Centro Astalli:

“Non volevamo rischiare la nostra vita dentro un barcone di gomma e essere venduti dai commercianti di esseri umani. E allora siamo riusciti ad ottenere un visto e a venire in Italia. Siamo arrivati a Roma e tramite il Centro Astalli siamo riusciti a trovare una parrocchia che ci ha dato ospitalità; ho cominciato così ad inserirmi nella società italiana. Il popolo italiano è un popolo accogliente: ci ha trattato come esseri umani e non come ‘numeri’, come dice Papa Francesco. Noi non vediamo l’ora che finisca questa guerra assurda in Siria per poter tornare, perché lì abbiamo lasciato tutto. Essendo io un cristiano, cercherò di tonare appena possibile, perché non vogliamo svuotare il Medio Oriente dalla sua identità cristiana”.

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Omicidio Fortuna, Patriciello: su pedofilia muoversi per tempo

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"Abbiamo tirato un respiro di sollievo, se veramente si è arrivati alla verità", Don Patriciello, parroco di Caivano commenta così l'ordinanza di custodia cautelare eseguita nei confronti di Raimondo Caputo, il 43.enne accusato dell'omicidio di Fortuna, la bambina di 6 anni precipitata da un palazzo il 24 giugno 2014 nel Parco Verde di Caivano. Sui crimini della pedofilia si è espresso il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, auspicando che vi sia un'inchiesta ''rapida, ampia e severa''. Valentina Onori ha raccolto la testimonianza di don Maurizio Patriciello, parroco della chiesa di San Paolo Apostolo del quartiere napoletano: 

R. – Sono passati due anni di sofferenze inenarrabili per tutto il quartiere che è stato messo sotto osservazione, tutti hanno dubitato di tuttI. Io ho sempre detto, anche nel giorno stesso in cui abbiamo celebrato il funerale di Fortuna: “Chi sa, parli”. Ma ho anche aggiunto: “Chi non sa, taccia”, per non provocare altre inutili sofferenze ai poveri di quel quartiere che non potrebbero permettersi neanche un avvocato. Si è parlato di omertà: certamente qualcuno che sapeva e non ha parlato aveva i suoi interessi a non parlare. Però, c’è stato un errore per me gravissimo da parte di certa stampa e anche da parte di certe trasmissioni televisive, che hanno cominciato a parlare di “palazzo dell’orrore”. Questo ha dato una sofferenza immensa alle persone, ai bambini che abitano in quel palazzo, che magari sono del tutto innocenti e che non meritano di essere additati come tali. Ieri, abbiamo tirato un respiro di sollievo, se veramente si è arrivati alla verità.

D. – Bisognerebbe dichiarare lo stato di calamità criminale – si dice – nel quartiere…

R. – Però, bisogna fare attenzione, perché con troppa superficialità e irresponsabilità si è voluto fare un’equazione tra povertà, quartieri popolari e pedofilia. Questo sarebbe un regalo immenso fatto ai pedofili di tutto il mondo. I pedofili purtroppo li troviamo in tutte le fasce della popolazione, tra i ricchi e i poveri, tra i colti e gli ignoranti, tra i vecchi e i giovani... Ed è un problema molto grave che si arrivi sempre quando lo scempio già è avvenuto: per me, è una magra consolazione arrivare adesso a sapere “chi” ha fatto del male a Fortuna. Fortuna non c’è più, Fortuna è morta. Fortuna è stata scempiata, Fortuna è stata scaraventata giù! Bisogna arrivare prima, prima, prima, prima! Questo fatto è avvenuto nel Parco Verde in Caivano in provincia di Napoli. Poteva avvenire tranquillamente ai Parioli o a Posillipo o a Mergellina o al Vomero.

D. – In questo quartiere, in cui ci sono anche genitori che utilizzano i figli per spacciare droga, quali sono le difficoltà che incontra tutti i giorni?

R. –  Le difficoltà le ha dette ieri anche il procuratore di Napoli Nord, il dott. Greco, ha parlato di “un’infanzia abbandonata”. Io sono vent’anni che alzo la voce su questo! Questo problema c’è: sono quartieri difficili, sono quartieri nei quali c’è una disoccupazione altissima, dove ci sono persone che però cambierebbero vita se solamente fossero in grado di farlo, persone che scapperebbero da questi luoghi… Sono quartieri che sono stati abbandonati, innanzitutto dalle istituzioni: dovrebbe farsi un esame di coscienza lo Stato, in tutte le sue dimensioni, in tutte le sue sfaccettature. Se chiude la parrocchia, che pure dà un piccolo aiuto per pagare le bollette, per fare la spesa, per mandare i bambini a scuola, per comprare i quaderni, non c’è una mano! Anzi, le persone hanno il terrore di andare ai Servizi sociali, perché l’unica cosa che sanno fare – purtroppo – questi fratelli è far balenare loro la possibilità che gli saranno tolti i bambini.

D. – Quindi, mancano gli strumenti giusti?

R. – Mancano gli strumenti. Adesso, negli ultimi giorni, a Napoli ci sono stati tre omicidi: non si fa in tempo ad accompagnare al camposanto un morto ammazzato, che già te ne ammazzano un altro. Adesso, si parla di aprire le scuole anche di pomeriggio: è un bene? Certamente è un bene. Ma la mia domanda di persona che vive là, con i piedi per terra, è molto semplice: in questi quartieri c’è un’evasione scolastica molto alta, giusto? E se i bambini non vanno a scuola di mattina, ti pare che vanno a scuola di pomeriggio? Sono venuti i ministri. Però, tutto finisce là. E la gente è anche stanca delle cosiddette “passarelle”. Adesso, se mi permetto di far venire qualcuno in parrocchia penso che mi fischieranno! Le passarelle non sono mai servite a niente. Anzi, forse servono a spegnere la speranza. Detto questo, il passaggio successivo alla pedofilia, questo è tutto un altro discorso.

D. – Quali sono le azioni concrete per contrastarla?

R. – Beh, in questo caso di pedofilia c’è una persona che ha problemi. In questo momento, la Procura ci dice che si chiama Raimondo Caputo: è un signore che ha un nome, un cognome e un volto. C’è stato questo problema in questo palazzo in questo quartiere: lo affronterei da questo punto di vista. Per quanto riguarda il problema di Fortuna, io l’ho chiamata “piccola Fortuna sfortunata”, che è caduta nelle grinfie di questa persona, ma questa “persona” adesso mi sembra che abbia un nome e un cognome. Cioè, abbiamo un colpevole, come abbiamo un colpevole per altri omicidi, per altri fatti bruttissimi. Secondo me, per il “problema pedofilia” stiamo facendo troppo poco. Non ci vuole molto per capire che tutte le volte che interveniamo, interveniamo sempre quando lo scempio è già avvenuto, ma mai prima: non è mai preventivo il discorso. La gente si scandalizza: “Gettate via le chiavi!”, “Adesso la gogna!”. “Adesso la pena di morte”... E poi? Poi, i giorni passano e di questo problema non se ne parla più. Proprio questo succede. Un po’ come la camorra, no? Della camorra, a Napoli, si parla quando ci sono i morti. Ma quando i morti non ci sono, noi sappiamo troppo bene che la camorra a Napoli è viva e vegeta! Invece, il “problema pedofilia” dovrebbe essere affrontato in tutta la sua drammaticità. E’ qualcosa di incredibile, di inconcepibile! Pensare a un bambino nelle grinfie di un pedofilo è qualcosa che mi fa venire i brividi!

D. – Nelle sue omelie ha trattato l’argomento…

R. – Ne parliamo con i bambini a Messa. Guardi che i bambini di Parco Verde sono dei bambini intelligentissimi: alla Messa delle 10, l’omelia la fanno loro e trattano i problemi sociali. Loro sanno quello che è accaduto a Fortuna sanno, sanno bene. Logicamente, sono bambini sui 10 anni. Fortuna aveva 6 anni; il piccolo Antonio ne aveva 4, troppo piccolini. Ma questi bambini sono di un’intelligenza e di una prudenza superiore alla loro età: hanno imparato a vivere e anche a difendersi. E su questi quartieri tanta gente c’ha mangiato. Poi, le povertà sono state ammassate. Ammassare le povertà significa fare un gravissimo errore: significa farle moltiplicare a dismisura. E logicamente, in questi quartieri abbandonati dallo Stato, dove c’è tanta disoccupazione, la malavita organizzata trova il suo humus per potere andare avanti, per poter crescere, per affondare le radici.

D. – Lei conosceva Fortuna?

R. – Certo che l’ho conosciuta. Ricordo l’ultima volta che l’ho vista: era venuta con la sua mamma e con la sua nonna e io le avevo regalato delle caramelle che abbiamo sempre in sagrestia – ho sempre caramelle, cioccolatini per i bambini, la mia parrocchia è ricca di bambini. E lei con quel visino bellino, proprio così come lo vediamo sui giornali, aveva sorriso e aveva accettato queste caramelle, queste cioccolate, sorridendomi. E poi, non l’ho vista più.

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A padre Antonio Spadaro il Premio Fuci per comunicazione

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A Messina assegnato il Premio La Pira al padre gesuita Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, per le sue capacità di comunicatore. L’iniziativa, alla sua prima edizione, è della Fuci. Il servizio di Gianluca Rossellini

La Fuci, Federazione Universitaria Cattolica Italiana, nell'ambito di un'iniziativa dedicata a Giorgio La Pira, ha premiato nell'aula Magna del Rettorato dell'Università di Messina, padre Antonio Spadaro, direttore de "La Civiltà Cattolica". Quest'ultimo ha tenuto una Lectio Magistralis sul tema "Comunicare la Misericordia: la sfida di Francesco". Padre Spadaro parlando della cosiddetta "rivoluzione" del Papa ha spiegato: "Più che rivoluzione di Papa Francesco, parlerei di rivoluzione del Vangelo. Il Papa, infatti, ha sempre detto che il suo compito è quello di porre il Vangelo al centro della Chiesa. Ovviamente non è stato il primo, ma farlo in questo momento e in questo tempo, è una grande sfida che Francesco sta abbracciando con grande forza e coraggio".

Illustrando i viaggi che ha fatto con il Papa, padre Spadaro ha aggiunto: "Viaggiare con  lui a Lesbo è stata un'esperienza straordinaria perché si comprende come Francesco sia di fatto, non solo il Pontefice della Chiesa Cattolica, ma un leader mondiale ampiamente riconosciuto. Il suo messaggio di integrazione e di accoglienza è radicale, specialmente in questo momento dove le persone che fuggono da situazioni di guerra non sono considerate come si dovrebbe dalle istituzioni e dagli Stati. E' un Papa che vuole costruire ponti non muri". Commentando, il premio Fuci, un quadro che ritrae La Pira opera del maestro Dimitri Salonia, artista messinese conosciuto in ambito internazionale, Padre Spadaro ha sottolineato: "La Pira ha coniugato politica e cristianesimo, facendo capire come la professione politica non è qualcosa di estraneo al vivere cristiano, ma è anzi un frutto privilegiato e per il fedele laico anche obbligatorio. E' qualcosa che riguarda la sua identità e vedendo ciò che ha scritto di recente il Papa sul ruolo dei laici, possiamo dire che il messaggio di La Pira è profetico".

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Il commento di don Gianvito Sanfilippo al Vangelo della Domenica

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Nella sesta Domenica di Pasqua, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù dice ai suoi discepoli: 

“Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui … il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”. 

Su questo brano evangelico, ascoltiamo il commento di don Gianvito Sanfilippo, presbitero della Diocesi di Roma: 

Dio non si manifesta a tutti allo stesso modo, Egli si rivela gradualmente secondo le tappe del nostro cammino spirituale, ma soprattutto rispettando le nostre scelte libere. La sua Parola è determinante nella nostra relazione con Lui. Il Padre e il Figlio, infatti, si fanno presenti nel dono dello Spirito Santo nella misura della nostra obbedienza alla Parola che riflette la Volontà di Dio per noi, anche attraverso il Magistero e la Tradizione viva della Chiesa. Questa adesione al suo Volere è la misura del nostro amore al Signore, in essa sperimentiamo la dolcezza del Maestro interiore che ci guida alla verità tutta intera ricordandoci le gesta e le consegne del Salvatore, da essa proviene quella Pace che il mondo non conosce e quindi non può dare. È la Pace di Cristo, che non è assenza di guerre e divisioni, essa splende in ogni conflitto mediante il perdono gratuito, con l’amore al nemico, proprio di chi vince il male con il bene. Cerchiamo con zelo, allora, ciò che Gli è gradito, nelle Scritture, nella catechesi, apriamoci a quei carismi che il Paraclito suscita per rinnovare la Chiesa nelle grandi sfide che essa affronta nelle epoche più impegnative della sua storia.

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Nella Chiesa e nel mondo



Ccee: accoglienza e integrazione migranti unica risposta

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“Solo se amiamo e accogliamo l’altro con amore, la risposta sarà amore. Se invece abbiamo paura e ci difendiamo, la risposta saranno sfida e tensione”. Lo afferma mons. Duarte da Cunha, segretario generale del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), parlando della sfida migratoria che sta attraversando l’Europa e dei tentativi, da parte di alcuni Stati, di erigere nuovi muri.

Chiesa e coesione sociale
Il segretario generale del Ccee ha partecipato, nei giorni scorsi, a Parigi ad un incontro tra vescovi rappresentanti delle Conferenze episcopali di Francia, Regno Unito e Germania per fare il punto sulla situazione delle migrazioni, in particolare a Calais, lungo la frontiera tra Francia e Inghilterra. “La Chiesa – dice mons. da Cunha, citato dall’agenzia Sir – è in prima linea a prendersi cura della gente nel bisogno, ma è anche impegnata a costruire, non tanto a parole ma con gesti concreti, l’armonia e la coesione sociale”.

Due criteri: accoglienza e esame di coscienza
“E questo la Chiesa lo sta facendo in tutta Europa, dal nord al sud”, ribadisce il presule che indica, poi, due criteri con cui le Chiese europee possono guardare alla questione migratoria. “Il primo – dice mons. da Cunha – è che l’Europa è composta anche da tutte le organizzazioni, ecclesiali e non, impegnate sul campo e dalle migliaia di parrocchie che hanno aperto le porte: sono anche loro l’Europa, un popolo accogliente e positivo”. L’altro criterio è l’esame di coscienza: “Quello che sta accadendo in Europa oggi, il fatto che si stia chiudendo, che stia alzando i muri e sia impaurita – spiega il presule – è il frutto di un passato in cui abbiamo educato le persone a essere consumiste, egoiste, individualiste”.

Avviare processi di integrazione
“Non possiamo pensare – aggiunge mons. da Cunha – che dopo aver patrocinato per anni un’educazione vuota di valori, ci sia oggi una cultura di valori”. “Il problema – conclude il segretario generale del Ccee – è capire se si stia lavorando concretamente per gestire con realismo il fenomeno migratorio, avviando processi di integrazione”.

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Bolivia: polizia contro protesta disabili. Condanna della Chiesa

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La Segreteria generale della Conferenza episcopale boliviana ha condannato la violenza usata contro le persone diversamente abili che lo scorso mercoledì, 27 aprile, hanno manifestato di fronte alla sede di governo chiedendo migliori condizioni di vita nella loro difficile situazione. In un comunicato dal titolo “Segni di disumanità”, i vescovi affermano: “Denunciamo e condanniamo energicamente l’uso spropositato e non necessario della forza contro questi nostri fratelli che esigono solo di essere ascoltati e assisiti nella loro situazione di svantaggio sociale” .

Gas lacrimogeni contro i disabili
Ieri, il segretario generale dell’episcopato, mons. Aurelio Pesoa, ha letto il comunicato nel quale la Chiesa ha condannato l’uso di “sostanze chimiche” da parte delle forze di sicurezza dello Stato contro i manifestanti disabili. “Questo è un segno di insensibilità e di mancanza di umanità – si legge nel comunicato – e non possiamo tacere di fronte a tale violazione dei diritti umani”. Mons. Pesoa ha aggiunto che queste azioni, così come la costruzione di recinzioni di metallo intorno ad una piazza pubblica, rispecchiano un’immagine di autoritarismo e di chiusura che non permette un vero incontro con la società.

Indignazione e vergogna per questi atti
Il comunicato dei vescovi afferma che “la cittadinanza boliviana e l’insieme della società provano indignazione e vergogna per questi atti che descrivono piuttosto male i valori umani della nostra vita e della nostra fede cristiana”. Infine, l’episcopato lancia un appello ad aprire un dialogo fraterno e costruttivo che porti a soluzioni giuste e in particolare, “che migliorino la precaria situazione di vita delle persone disabili nel Paese”.

Oltre 35 giorni di marcia per l’aumento della pensione
È stato un vero shock, per la società boliviana, vedere scene raccapriccianti di persone, adulti e bambini, in sedie a rotelle, con bastoni e protesi di ogni genere, che tentano di scappare dal lancio di gas lacrimogeni e dalle recinzioni metalliche. Dopo 35 giorni di marcia, anche per più di 350 chilometri, assieme a familiari e accompagnatori, la carovana con centinaia di disabili provenienti di ogni parte del Paese è arrivata in città per chiedere l’aumento della pensione di disabilità. Il presidente Evo Morales – quel giorno di visita in Ecuador per portare aiuti ai terremotati – aveva già rifiutato l’aumento richiesto dai manifestanti di 500 bolivianos mensili (72 dollari circa) contro i 1.000 bolivianos (143 dollari circa) che attualmente ricevono. Nonostante i diversi incontri tra i rappresentanti dei disabili e il governo, il dialogo è ancora bloccato. (A cura di Alina Tufani)

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Svizzera. Vescovi: no a esportazione di armi in Arabia Saudita

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Una decisione che “intacca la credibilità della Svizzera nel mondo”, perché dà l’impressione di un Paese “non più patria di una tradizione umanitaria, ma attento solo ai propri interessi”. Così la Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale svizzera (Ces) bolla il via libera dato in questi giorni dal Consiglio federale all’esportazione di materiale bellico anche a diversi Paesi del Golfo, implicati a vario titolo nel conflitto in corso in Yemen, costato la vita finora a oltre seimila persone. Tra i beneficiari, l’Arabia Saudita alla guida della coalizione sunnita contro i ribelli sciiti Houti, che riceverà pezzi di ricambio per il suo sistema di difesa antiaerea e munizioni per 106 milioni di franchi svizzeri.

La pace non si costruisce esportando armi
In un comunicato diffuso oggi, la Commissione Giustizia e Pace ricorda che “la pace non può essere costruita facendo la guerra e promuovendo l’industria bellica” e osserva che l’argomento per cui anche altri Paesi forniscono armi non è eticamente sostenibile: “Il fatto che altri agiscano in modo immorale, non giustifica il nostro agire”. Inoltre, fornire materiale bellico a Paesi in guerra aggrava conflitti “le cui conseguenze ricadranno anche su di noi”.

Difesa dell’industria e condotta economica
“Per l’etica cristiana – sottolinea in conclusione il comunicato – la difesa dell’industria nazionale o il timore di un calo delle esportazioni, non possono giustificare qualsiasi condotta economica. Un commercio basato sui valori cristiani e guidato dalla politica guarda al bene comune, alla solidarietà come opzione per i poveri e gli emarginati in tutto il mondo e all’impegno a costruire la pace e a operare per la riduzione degli armamenti”. (L.Z.)

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Padova. Messa del card. Ranjith per i fedeli dello Sri Lanka

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Sarà una festosa “invasione” quella che gli immigrati dello Sri Lanka compiranno domenica primo maggio a Padova, in occasione del loro pellegrinaggio annuale presso la Basilica di Sant’Antonio. Circa 10 mila, infatti, i cingalesi attesi provenienti da tutta Italia, dove risiedono soprattutto nelle regioni settentrionali.

Messa in cingalese e tamil
Per loro, informa una nota, alle ore 12.15 si terrà una a celebrazione liturgica in lingua cingalese e tamil, che verrà trasmessa in diretta via satellite in Sri Lanka. A presiederla sarà cardinale Albert Malcom Ranjith, arcivescovo di Colombo e presidente della Conferenza episcopale dello Sri Lanka.

Omaggi floreali per il Santo
Durante l’offertorio, poi, i pellegrini cingalesi sfileranno, in una lunga processione, davanti all’altare per deporvi fiori, in segno di omaggio. Alla fine della celebrazione, anche la tomba di Sant’Antonio verrà ricoperta di fiori. Data la loro elevata quantità, molti di essi verranno poi donati a diverse Chiese e Case religiose della città.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 121

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.