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Sommario del 01/12/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: riconoscere le resistenze alla grazia. No al gattopardismo spirituale

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Tutti abbiamo nel cuore delle resistenze alla grazia: bisogna trovarle e chiedere aiuto al Signore, riconoscendosi peccatori. E’ l’esortazione di Francesco nell’omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta, nella prima settimana dell’Avvento. Francesco si sofferma sulle resistenze nascoste delle parole vuote, giustificatorie o accusatorie. Il Papa mette in guardia dal “gattopardismo spirituale” di chi dice che tutto cambierà per poi non cambiare nulla. Il servizio di Debora Donnini

“La tua grazia vinca le resistenze del peccato”. Da questa preghiera proposta dall’odierna Colletta parte l’omelia del Papa che si concentra sulle resistenze ad andare avanti, che sempre ci sono nella vita cristiana. Papa Francesco distingue diversi tipi di resistenze. Ci sono le “resistenze aperte, che nascono dalla buona volontà” come quella di Saulo che resisteva alla grazia ma “era convinto di fare la volontà di Dio”. E’ Gesù stesso a dirgli di fermarsi e Saulo si converte. “Le resistenze aperte sono sane”, nel senso che “sono aperte alla grazia per convertirsi”. Tutti infatti siamo peccatori.

Le resistenze nascoste fermano un processo di conversione
Per il Papa invece “le resistenze nascoste” sono le più pericolose perché sono quelle che non si fanno vedere. “Ognuno di noi ha il proprio stile di resistenza nascosta alla grazia”. Bisogna però trovarlo “e metterlo davanti al Signore, affinché lui ci purifichi”. E’ la resistenza di cui Stefano accusava i Dottori della Legge: resistere allo Spirito Santo mentre volevano apparire come se stessero cercando la gloria di Dio. Dire questo a Stefano costò la vita:

“Queste resistenze nascoste, che tutti abbiamo, di che natura sono? Sempre vengono per fermare un processo di conversione. Sempre! E’ fermare, non è lottare contro. No, no! E’ stare fermo; sorridere, forse: ma tu non passi. Resistere passivamente, nascostamente. Quando c’è un processo di cambiamento in una istituzione, in una famiglia, io sento dire: ‘Ma, ci sono resistenze lì’… Ma grazie a Dio! Se non ci fossero, la cosa non sarebbe di Dio. Quando ci sono queste resistenze è il diavolo che le semina lì, perché il Signore non vada avanti”.

La resistenza delle parole vuote: attenzione al gattopardismo spirituale
Francesco parla quindi di tre tipi di resistenze nascoste. C’è la resistenza delle “parole vuote”. Per farla comprendere, si rifà al Vangelo odierno quando Gesù avverte che non chiunque dice “Signore, Signore” entrerà nel regno dei cieli. Come nella Parabola dei due figli che il Padre invia alla vigna: uno dice di “no” e poi va, mentre l’altro dice di “sì” e poi non va:

“Dire di sì, tutto sì, molto diplomaticamente; ma è ‘no, no, no’. Tante parole: ‘Sì, sì, sì; cambieremo tutto! Si!’, per non cambiare nulla, no? Lì c’è il gattopardismo spirituale: quelli che tutto sì, ma che è tutto no. E’ la resistenza delle parole vuote”.

Le resistenze delle parole giustificatorie e accusatorie
Poi c’è la resistenza “delle parole giustificatorie”, e cioè quando una persona si giustifica continuamente, “sempre c’è una ragione da opporre”: “No, quello l’ho fatto per quello”. Quando ci sono tante giustificazioni, “non è il buon odore di Dio”, dice il Papa, ma “c’è il brutto odore del diavolo”. “Il cristiano non ha bisogno di giustificarsi”, chiarisce Francesco. “E’ stato giustificato dalla Parola di Dio”. Si tratta dunque di resistenza delle parole “che cercano di giustificare la mia posizione per non seguire quello che il Signore mi indica”, spiega il Papa.

E poi c’è la resistenza “delle parole accusatorie”: quando si accusano gli altri per non guardare se stessi, non si ha bisogno di conversione e così si resiste alla grazia come mette in evidenza la Parabola del fariseo e del pubblicano. 

Far cadere le resistenze
Le resistenze dunque non sono solo quelle grandi resistenze storiche come la linea Maginot o altre, ma quelle che “ci sono dentro il nostro cuore e tutti i giorni!”. La resistenza alla grazia è un buon segno “perché ci indica che il Signore sta lavorando in noi”. Dobbiamo quindi “far cadere le resistenze, perché la grazia vada avanti”. La resistenza infatti cerca sempre di nascondersi con le formalità delle parole vuote, delle parole giustificatorie, delle parole accusatorie e tante altre, cerca di “non lasciarsi portare avanti dal Signore” perché “sempre c’è una croce”. “Dove c’è il Signore – piccola o grande – ci sarà una croce. E’ la resistenza alla Croce, la resistenza al Signore che ci porta alla redenzione”,  spiega il Papa.

Di fronte alle resistenze chiedere l'aiuto del Signore e riconoscersi peccatori
Quindi, quando ci sono delle resistenze non bisogna avere paura ma chiedere aiuto al Signore riconoscendosi peccatori:

“Io vi dirò di non avere paura quando ognuno di voi, ognuno di noi, trova che nel suo cuore ci sono resistenze. Ma dirlo chiaramente al Signore: ‘Guarda, Signore, io cerco di coprire questo, di fare questo per non lasciare entrare la tua parola’. E dire questa parola tanto bella, no? 'Signore, con grande forza, soccorrimi. La tua grazia vinca le resistenze del peccato'. Le resistenze sono sempre un frutto del peccato originale che noi portiamo. E’ brutto avere resistenze? No, è bello! Il brutto è prenderla come difesa dalla grazia del Signore. Avere resistenze è normale; è dire ‘Sono peccatore, aiutami Signore!’. Prepariamoci con questa riflessione al prossimo Natale”.

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Il Papa ricorda Charles de Foucauld a 100 anni dall'assassinio

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Al termine della Messa a Santa Marta, Papa Francesco ha ricordato che oggi ricorre il centesimo anniversario dell’assassinio del Beato Charles de Foucauld, avvenuto in Algeria il primo dicembre 1916. Era “un uomo - ha detto - che ha vinto tante resistenze e ha dato una testimonianza che ha fatto bene alla Chiesa. Chiediamo che ci benedica dal cielo e ci aiuti a camminare sulle sue tracce di povertà, contemplazione e servizio ai poveri”. Sulla figura di Charles de Foucauld ascoltiamo il servizio di Sergio Centofanti. 

Charles de Foucauld nasce da famiglia nobile a Strasburgo il 15 settembre 1858. Persi a 6 anni entrambi i genitori, vive in modo disordinato. Entra nell’esercito francese ma viene congedato per indisciplina. Inizia a viaggiare in Nord Africa come esploratore. Non crede in niente, ma resta colpito dalla fede di alcuni musulmani. E’ un incontro che lo riavvicina al cristianesimo. Ritrova la fede nel confessionale: qui scopre quel Dio misericordioso e pieno di tenerezza che aveva sempre cercato senza saperlo.

“Dio costruisce sul nulla” - affermava Charles de Foucauld - “E' con la sua morte che Gesù ha salvato il mondo; è con il niente degli apostoli che ha fondato la Chiesa; è con la santità e nel nulla dei mezzi umani che si conquista il cielo e che la fede viene propagata". Può parlare così perché ha fatto esperienza di essere niente. E nel fallimento più totale viene ritrovato da Dio nel deserto in mezzo agli arabi.

Diventa sacerdote. Annuncia il Vangelo ai Tuareg, servendo e assistendo i poveri del Sahara: è  più povero di loro ma li istruisce e li difende dai predoni. E durante un assalto dei predoni resta ucciso: cercavano il suo tesoro, di cui spesso parlava. Non avevano capito che quel tesoro era Gesù nel Tabernacolo. Charles de Foucauld aveva fatto dell’Eucaristia il centro della sua esistenza.

Viene beatificato in San Pietro il 13 novembre 2005. Charles de Foucauld così si rivolgeva a Dio ogni giorno: “Padre, mi abbandono a Te, fa di me ciò che ti piace. Qualsiasi cosa tu faccia di me, ti ringrazio. Sono pronto a tutto, accetto tutto, purché la tua volontà si compia in me e in tutte le tue creature: non desidero nient'altro, mio Dio. Rimetto l'anima mia nelle tue mani, te la dono, mio Dio, con tutto l’amore del mio cuore, perché ti amo. E’ per me un’esigenza d’amore il donarmi a Te, l’affidarmi alle tue mani, senza misure, con infinita fiducia: perché tu sei mio Padre”.

Ma qual è la caratteristica più attuale del carisma del Beato Charles de Foucauld? Massimiliano Menichetti lo ha chiesto al vicepostulatore della Causa di Canonizzazione, padre Andrea Mandonico: 

R. – In un modo come il nostro, senz’altro la fraternità; poi, la testimonianza cristiana, un modo che vale per tutti, non solo per chi è in terra di missione, ma per tutti noi. Essere noi stessi Vangeli viventi e testimoniarlo con la vita, con il modo di fare. E il terzo aspetto importante è quello di essere prossimo, Eucaristia per gli altri, dono per gli altri. Pensi a tutta quella grande gamma, quella grande estensione che consente di essere dono nella vita familiare, nel lavoro, nell’incontro con gli altri, nel rapporto con gli altri, nel dialogo … possiamo prenderlo proprio come base, come fondamento della nostra vita cristiana.

D. – Questa la spiritualità si ritrova anche in Papa Francesco …

R. – Certo! Basta leggere la “Evangelii Gaudium” con questo occhio e si trovano i passaggi magnifici proprio di corrispondenza tra quello che Papa Francesco scrive e quello che il Beato fratel Carlo ci ha lasciato come spiritualità. Per esempio, la vicinanza all’altro, non restare chiusi in se stessi, andare alle periferie del mondo e lui è andato in quel momento in mezzo ai Tuareg, che erano sconosciuti; e poi, dove il Papa parla della spiritualità come importanza dell’intercessione, della preghiera, questo aspetto in fratel Carlo è stato veramente un grande pilastro, quello di pregare perché tutti vadano in paradiso.

D. – Che significava per lui “incarnare la vita nascosta di Nazareth”?

R. – Vivere come Gesù ha vissuto a Nazareth, in mezzo agli altri, facendosi prossimo con gli altri, vedendo in loro – dice sempre – il volto di Gesù. Portare l’Eucaristia, non solo nell’adorazione, nella celebrazione, nell’adorazione eucaristica, ma facendosi Eucaristia lui stesso, cioè dono per questi fratelli. Proprio, ritorniamo al discorso che facevamo prima della possibilità della vicinanza a questi fratelli più poveri. E poi, un’altra cosa importante: lui diceva “diventare Vangelo vivente”, lo lascia scritto, è un mandato anche per i suoi discepoli. Portare Gesù secondo lo stile di Nazareth non è predicarlo, ma è gridarlo con la propria vita, quindi una vita evangelica, una vita santa, seguendo quello che gli aveva detto il suo direttore spirituale: “Con questa vita santa e buona suscita negli altri l’interrogativo: "Come mai quest’uomo è così buono?". Io sono così buono – dice – perché il mio padrone è ancora più buono di me.

D. – Una vita mirabolante, comunque sempre orientata alla missionarietà …

R. – Come Maria aveva nascosto in sé Gesù nel proprio grembo e l’ha portato nella casa di Zaccaria e portandolo ha santificato, ha redento, ha salvato tutta la famiglia, la casa di Zaccaria, così anch’io – dice – devo portare Gesù nell’Eucaristia e nel Vangelo in mezzo ai popoli che ancora non lo conoscono, cercando di essere fratello di tutti.

D. – Essere fratello di tutti per lui significa imparare subito la lingua dei Tuareg …

R. - Impara il tamec e scrive il famoso dizionario in quattro volumi, tuareg-francese, che ancora oggi è un caposaldo per coloro che vogliono affrontare lo studio sui tuareg.

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Papa: opportunità di lavoro ai giovani per evitare fuga cervelli

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Con “valide opportunità occupazionali” nella società, è possibile evitare la cosiddetta ‘fuga di cervelli’. È una delle riflessioni di Papa Francesco, che in Sala Clementina ha ricevuto i 150 partecipanti al IV Congresso mondiale di Pastorale per gli studenti internazionali, promosso dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti e dedicato alle sfide morali in vista di una società più sana. Ad introdurre i presenti, tra cui molti operatori pastorali e studenti universitari, il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del dicastero vaticano. Il servizio di Giada Aquilino

Costruire una società “più sana”, un mondo “più umano”, puntando su un arricchimento “personale e culturale” che permetta poi ad ogni giovane di “inserirsi più facilmente nel mondo del lavoro”, assicurandosi un posto nella comunità e “diventandone parte integrante”. Papa Francesco esorta così gli studenti internazionali e al contempo ricorda le possibilità da offrire loro:

“La società è chiamata ad offrire alle nuove generazioni valide opportunità occupazionali, evitando la cosiddetta ‘fuga di cervelli’. Che qualcuno scelga liberamente di andare a specializzarsi e a lavorare all’estero, è cosa buona e feconda; invece è doloroso che giovani preparati siano indotti ad abbandonare il proprio Paese perché mancano adeguate possibilità di inserimento”.

Il fenomeno degli studenti internazionali non è nuovo, nota il Pontefice, tuttavia si è intensificato “a causa della cosiddetta globalizzazione”, che abbattendo i confini “spazio-temporali” ha favorito l’incontro e lo scambio tra le culture, non senza – osserva però il Papa – “effetti negativi”:

“Assistiamo a risvolti negativi, come l’insorgere di certe chiusure, meccanismi di difesa di fronte alla diversità, muri interiori che non permettono di guardare il fratello o la sorella negli occhi e di accorgersi dei suoi reali bisogni. Anche tra i giovani – e questo è molto triste – può insinuarsi la ‘globalizzazione dell’indifferenza’, che ci rende ‘incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri’”.

Papa Francesco vuole invece “scommettere” sul fatto che il modo di vivere la globalizzazione da parte dei giovani possa “produrre esiti positivi e attivare grandi potenzialità”:

“Voi studenti, passando del tempo lontano dal vostro Paese, in famiglie e contesti differenti, potete sviluppare una notevole capacità di adattamento, imparando a essere custodi degli altri come fratelli e del creato come casa comune, e questo è decisivo per rendere il mondo più umano”.

D’altra parte, aggiunge, “nel nostro tempo”, le sfide morali da affrontare sono molte e non è sempre facile “lottare” per l’affermazione della verità e dei valori, “soprattutto quando si è giovani”. “Con l’aiuto di Dio” ogni ostacolo può essere superato, assicura il Pontefice invitando i ragazzi a non fermarsi e scoraggiarsi “mai”. Invita poi a “contrapporre” alla concezione moderna dell’intellettuale, “impegnato nella realizzazione di sé stesso e in cerca di riconoscimenti personali, spesso senza tener conto del prossimo”, un modello più solidale, che si adoperi “per il bene comune e per la pace”:

“Solo così il mondo intellettuale diventa capace di costruire una società più sana. Chi ha il dono di poter studiare ha anche una responsabilità di servizio per il bene dell’umanità. Il sapere è una via privilegiata per lo sviluppo integrale della società”.

L’essere studenti in un Paese diverso dal proprio, sottolinea, permette di apprendere lingue, usi e costumi nuovi, aprendosi “senza paura all’altro e al diverso”:

“Questo porta gli studenti, e chi li accoglie, a diventare più tolleranti e ospitali. Aumentando le capacità relazionali, cresce la fiducia in sé stessi e negli altri, gli orizzonti si espandono, la visione del futuro si amplia e nasce il desiderio di costruire insieme il bene comune”.

Le scuole e le università sono dunque un “ambito privilegiato” per il consolidamento di coscienze sensibili verso lo sviluppo più solidale e per portare avanti l’impegno “di evangelizzazione”. Agli insegnanti e agli operatori pastorali Francesco affida il compito di “infondere nei giovani l’amore per il Vangelo”, per viverlo, annunciarlo e “contagiare il mondo con la gioia di Cristo”:

“È importante che il periodo trascorso all’estero diventi un’occasione di crescita umana e culturale per gli studenti e sia per loro un punto di partenza per tornare nel Paese di origine a dare il loro contributo qualificato e anche con la spinta interiore a trasmettere la gioia della Buona Notizia”.

Il Papa pensa ad un’educazione “che insegni a pensare criticamente e che offra un percorso di maturazione nei valori”, in modo che si formino “giovani assetati di verità e non di potere”, pronti a difendere i valori e a vivere la misericordia e la carità, pilastri “fondamentali” per una società più sana. Riprende l’invito ai giovani di San Giovanni Paolo II ad essere “sentinelle del mattino”, con lo sguardo rivolto a Cristo e alla storia, annunciando la salvezza di Gesù e la sua luce “in un mondo troppo spesso oscurato dalle tenebre dell’indifferenza, dell’egoismo e della guerra”.

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Papa riceve delegazione Georgia e ricorda la sua visita apostolica

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Una visita “che porta tanti ricordi”. Papa Francesco ha esordito così nel suo saluto alla delegazione di fedeli dell'Amministrazione Apostolica del Caucaso per ringraziare il Santo Padre della Visita in Georgia, lo scorso settembre. Il Papa ha sottolineato di aver trovato nel popolo georgiano “cultura” e “spiritualità”, “un popolo che loda Gesù Cristo come il Salvatore”. Francesco ha così rammentato con affetto e ammirazione la figura del Patriarca Elia II, definito “un uomo di Dio”. Il Papa si è detto sicuro che il cammino ecumenico andrà avanti, che bisogna “cercare il modo, senza forzare, di camminare insieme, lentamente”. Infine, l’invito ai fedeli ad un “lavoro di lievito” per far “crescere la massa”. (A.G.)

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Francesco: mettere fine alla schiavitù dei bambini-soldato

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“In questo mondo, che ha sviluppato le tecnologie più sofisticate, si vendono armi che finiscono nelle mani dei bambini-soldato”. E’ la denuncia di Papa Francesco, levata nel videomessaggio per l'Intenzione di preghiera del mese di dicembre. Il Papa ribadisce l’urgenza di “fare tutto il possibile perché la dignità dei bambini sia rispettata e porre fine a questa forma di schiavitù”. Quindi, si rivolge a tutte le persone di buona volontà: “Chiunque tu sia – afferma il Papa – se sei commosso come me, ti chiedo di unirti a questa intenzione di preghiera: 'Perché sia eliminata in ogni parte del mondo la piaga dei bambini-soldato'”.

L’impegno di Francesco per sradicare la piaga dei bambini-soldato
Fin dall’inizio del suo Pontificato, Francesco ha più volte denunciato con forza – in discorsi, omelie e messaggi – il fenomeno aberrante dei bambini ridotti in schiavitù per combattere le guerre degli adulti. In occasione dell’Urbi et Orbi per il Natale 2014 aveva parlato di bambini vittime dei “nuovi Erode”. Denuncia che aveva ribadito nell’Urbi et Orbi del Natale scorso, dove aveva espresso la sua vicinanza a tutti i bambini-soldato.

In Uganda l’incontro commovente con un ex bambino-soldato
Particolarmente toccante l’incontro che Francesco ha avuto con i giovani in Uganda, durante il suo viaggio apostolico del novembre 2015. Il Papa si commosse ad ascoltare la testimonianza di un ragazzo che era stato costretto a diventare un bambino-soldato. A lui e a tutti i giovani vittime di questa terribile piaga, il Papa rivolse parole di vicinanza e incoraggiamento, invitandoli a vincere l’odio con l’amore, nella convinzione che “Dio è più forte di ogni campagna di reclutamento”. (A cura di Alessandro Gisotti)

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Altre udienze e nomine

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Per le altre udienze e nomine del Papa, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Oggi in Primo Piano



Bartolomeo I: con Papa Francesco per guarire il dolore del mondo

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“Con Sua Santità Papa Francesco di Roma, condividiamo le stesse preoccupazioni, gli stessi obiettivi e la stessa attitudine nel rispondere alla crisi sociale e umanitaria dei tempi moderni. Entrambi sottolineiamo l’entità sociale della libertà, dell’amore e della solidarietà; entrambi esortiamo alla relazione e non all’isolamento, all’essere e non all’avere, alla amicizia e non all’avidità. Facciamo resistenza a qualsiasi idealizzazione dell’individualismo e del consumismo. Ci impegniamo per un mondo più giusto, per il rispetto dei diritti umani, e in particolare per il diritto alla libertà religiosa”. Parole che sottolineano la perfetta sintonia che intercorre tra Roma e Costantinopoli - riporta l'agenzia Sir - sono state espresse ieri dal Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I nel suo messaggio di saluto rivolto alla delegazione della Santa Sede che ha partecipato a Istanbul alla celebrazione di Sant’Andrea nel quadro del tradizionale scambio di delegazioni per le rispettive feste dei santi patroni: il 29 giugno a Roma per la celebrazione dei Santi Pietro e Paolo e il 30 novembre a Istanbul per la celebrazione di Sant’Andrea.

La delegazione della Santa Sede
La delegazione vaticana è stata guidata dal card. Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e vi hanno fatto parte il vescovo Brian Farrell e mons. Andrea Palmieri, rispettivamente segretario e sottosegretario del Dicastero. A Istanbul si è unito il nunzio apostolico in Turchia, l’arcivescovo Paul F. Russell.

La presenza della delegazione della Santa Sede un contributo al dialogo tra le due Chiese
“La vostra presenza qui – ha detto il Patriarca rivolgendosi alla delegazione – è di per se stessa un contributo alla via del dialogo tra le nostre Chiese che era e rimane un dialogo dell’amore nella verità e un dialogo di verità nell’amore”. Nel suo saluto il Patriarca fa riferimento al problema dei rifugiati: “Dobbiamo lavorare per risolvere e guarire il dolore umano. Ricordiamo con emozione il nostro incontro a Lesbo lo scorso aprile, alla presenza anche di Sua Beatitudine l’arcivescovo di Atene Ieronymos, al fine di sostenere i rifugiati e gli immigrati, sottolineando in tal modo l’entità del problema per incoraggiare una mobilitazione più ampia per la sua soluzione".

La delegazione vaticana torna con gli auguri del Patriarca per il prossimo 80° compleanno del Papa
"Il nostro recente incontro con Papa Francesco ad Assisi e la nostra preghiera comune per la pace - osserva Bartolomeo I - ci hanno ulteriormente confermato che le nostre Chiese devono intensificare i loro sforzi per combattere contro il fanatismo, l’ingiustizia e la violenza, ma anche per promuovere una cultura della solidarietà”. Il Patriarca ha poi approfittato della presenza della delegazione vaticana per far giungere a Papa Francesco gli auguri per l’ 80° compleanno che il Papa festeggerà il 17 dicembre. (R.P.)

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Aleppo, enorme cimitero. Mons. Audo: civili come scudi umani

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In Siria continua l’assedio nella città di Aleppo, dove la situazione appare disperata. Dal punto di vista politico, secondo indiscrezioni, sarebbero in corso ad Ankara, in Turchia, tentativi di mediazione tra gruppi di ribelli e Mosca, mentre oggi in Parlamento Putin ha detto: “Continuiamo a unire gli sforzi con gli Stati Uniti per combattere la minaccia del terrorismo globale”. Sul terreno, intanto, razzi lanciati ieri sui civili in fuga hanno ucciso circa 45 persone, tra cui molte donne e bambini. Per una testimonianza di quanto sta accadendo ad Aleppo e su cosa si dovrebbe fare, Roberta Barbi ha sentito mons. Antoine Audo, presidente di Caritas Siria e vescovo caldeo della città: 

R. – Trovare una soluzione di pace e lasciare questi gruppi armati partire senza rischio, ma lasciare soprattutto a queste famiglie il potere di scegliere dove andare, perché il governo siriano è deciso a riprendere tutta la parte Est.

D. – Sembra che oggi siano ripresi i bombardamenti sulla parte Est della città, dove pare restino circa 200 mila civili controllati da miliziani antigovernativi e assediati dalle forze lealiste. Com’è la situazione?

R. – La situazione è molto grave a causa proprio dei bombardamenti. Lei immagini che abbiamo visto alla televisione sono quelle della distruzione della parte Est della città, perché ci sono bombardamenti molto, molto gravi e molto intensi. La seconda cosa che dobbiamo dire – e questo adesso è conosciuto – che i gruppi armati usano la gente, i civili, per proteggersi, come strumento di protezione. Tanti hanno cercato di uscire, di andare via, ma non viene dato loro il permesso di andare nella parte Ovest. Questa è la situazione! Usano i civili come scudi umani: questa è la loro strategia. Povera gente, si trova tra due pressioni: sotto i bombardamenti dell’esercito del governo e sotto il dominio dei gruppi armati. Come sempre sono i poveri a pagare il prezzo di questa guerra!

D. – Il sottosegretario delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, Stephen O’Brian, ha detto che da sabato scorso da Aleppo Est sono fuggite circa 25 mila persone; secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani sono addirittura il doppio…

R. – Senza dubbio quelli che possono vanno nella parte Ovest, dove hanno parenti e hanno possibilità di accoglienza; lì ci sono organismi internazionali, come la Croce Rossa, la Caritas e tanti altri organismi… Penso che partano verso Idlib, dove c’è una presenza di questi gruppi armati o forse verso la Turchia: veramente non ho un’idea precisa. Vanno dove possono essere lontani dai bombardamenti e dalla morte.

D. – Egitto, Spagna e Nuova Zelanda hanno preparato una bozza di risoluzione che chiede dieci giorni di tregua per Aleppo, così da poter consentire la consegna degli aiuti. Come vive la popolazione sotto assedio?

R. – È una situazione terribile: senza acqua, senza elettricità e senza cibo. Si deve trovare veramente una soluzione affinché cessino i bombardamenti, così che questa gente assediata dai gruppi armati possa partire con libertà e che non sia usata come strumento di pressione. 

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Afghanistan, Onu: è emergenza sfollati privi di aiuti umanitari

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Più di mezzo milione di sfollati nell'ultimo anno in Afghanistan che, sommandosi a quelli già presenti all'interno del Paese, fanno un totale di 1,3 milioni: è l'ultimo dato allarmante di cui parla l'Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari della Nazioni Unite (Ocha) a Kabul, sottolineando che la condizione più preoccupante è quella di un incremento costante di questi numeri, raddoppiati rispetto al 2014 e quadruplicati dal 2013. Per la prima volta inoltre, sostiene l'Ocha, in un Paese dove sempre più distretti sono colpiti dagli scontri tra ribelli, talebani e Daesh - sono 198 su 399 quelli interessati dal conflitto - gli sfollati si trovano sparsi in 34 province. Francesco Gnagni ne ha parlato con Marco Lombardi, responsabile dei progetti educativi in Afghanistan dell'Università Cattolica di Milano: 

R. – Il numero degli sfollati in Afghanistan sta aumentando e sta aumentando con delle conseguenze indirette rilevanti: per esempio recentemente Kabul è stata dichiarata area sicura e questo permette che ci sia una forma formale di deresponsabilizzazione nell’accoglienza dei nuovi rifugiati che l’Afghanistan produrrà. D’altra parte la situazione afghana è in deterioramento e non ci aspettiamo che le cose migliorino: l’Afghanistan, abbandonato a se stesso, è diventato un luogo di incertissima governance da parte del governo afghano; è diventato un luogo di conquista non solo da parte dei vecchi talebani, perché sta anche subendo le pressioni del Daesh e del terrorismo che noi conosciamo. Quindi il risultato è quello di avere un progressivo numero in aumento di persone che lasciano i loro luoghi di residenza. La gente ha paura; la gente non vede un futuro; la gente è incerta; la gente non vede un governo che possa dare qualche sicurezza; la gente vede soprattutto un governo che è sempre molto corrotto: è quindi gente che scappa!

D. – Molti di loro sembrano anche impossibilitati dal ricevere aiuti umanitari. Il rappresentante dei coordinamenti umanitari dell’Onu sostiene che queste statistiche devono portare ad un ripensamento dell’assistenza agli sfollati e che cioè non devono essere soltanto portati aiuti, ma devono anche essere mirati a ricostruire le loro vite…

R. – Direi che questa strategia è fondamentale! Portare aiuti agli sfollati è una risposta umanitaria che permette la sopravvivenza nell’emergenza. Ma non è la soluzione del problema: la soluzione del problema sta nel risolvere le cause stesse del problema e nel caso dell’Afghanistan un buono governo è auspicabile sempre. Il grande punto di domanda è l’aumento della sicurezza. Dall’altra la politica che deve essere sviluppata è sicuramente quella di non portare semplicemente aiuti umanitari, ma mettere la gente nella condizione di ripristinare condizioni normali di vita. Anche perché viviamo in un mondo che sta purtroppo aumentando in termini di conflitti e ricordiamoci che Papa Francesco ha azzeccato una definizione che nessun politico ha mai accettato o che si permette di dire e cioè che stiamo combattendo "la terza guerra mondiale a pezzi”; oggi viviamo di conflitti persi per il mondo, che sono però interrelati fra di loro: questi non fanno che promuovere il numero di sfollati e quindi di rifugiati, di gente che scappa. E quando il numero dei rifugiati aumenta così tanto, non possiamo permetterci che si svuotino aree del Pianeta, che restano in mano a governi fallimentari o addirittura vengano occupate dal terrorismo. Dobbiamo rinforzare la capacità della gente a continuare a vivere il territorio: è molto più difficile e oltretutto richiede una assunzione di responsabilità da parte dei governi completamente diversa rispetto al passato. E’ più facile aiutare buttando una moneta o una pagnotta che non, invece, aiutare intervenendo per dare la possibilità di ricostruire insieme il futuro.

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Colombia: Parlamento approva in via definitiva l’accordo di pace

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Ventiquattr’ore dopo il Senato, anche la Camera dei rappresentanti della Colombia ha dato ieri il via libera definitivo al nuovo accordo di pace tra Governo e Farc. Un voto avvenuto all’unanimità (130 sì), così come era avvenuto nella Camera alta (70 voti). In entrambi i casi - riporta l'agenzia Sir - i rappresentanti del Centro democratico, il partito dell’ex presidente Alvaro Uribe e maggior forza di opposizione, non hanno partecipato al voto.

Non è mancata la polarizzazione politica, causa del fallimento del primo accordo di pace
In effetti, al di là degli esiti del voto, non è venuta meno nella vita politica del Paese la polarizzazione che aveva portato al fallimento del primo accordo di pace, poi modificato, con la bocciatura avvenuta nel plebiscito del 2 ottobre. Per gran parte delle forze politiche i cambiamenti rispetto a quell’accordo sono stati sostanziali. Per il Centro Democratico il nuovo accordo è un “coniglio” tirato fuori dal prestigiatore, cioè il Presidente Santos (#noalconejo è l’hashtag che su twitter accompagna le prese di posizione di Uribe).

La Chiesa ha appoggiato il nuovo accordo
La Chiesa colombiana si era già espressa nei giorni scorsi sul nuovo accordo, esprimendo “felicitazione e speranza nella sua implementazione” e, tornando a promuovere la campagna informativa “Acciones Conscientes, Tu Compromiso con el Futuro” per diffondere tra la popolazione e, in particolare, tra gli operatori pastorali una cultura di pace e accompagnare nel territorio la conoscenza sui contenuti dell’accordo. Fin da subito, infatti, inizierà la smobilitazione dei guerriglieri, che saranno radunati per un periodo in alcuni punti del Paese e reintrodotti gradualmente nella vita civile. 

Chiesa colombiana impegnata nell'opera di pacificazione e riconciliazione
La Chiesa sta promuovendo in questi giorni laboratori in vari punti del Paese, promossi dalla Commissione di conciliazione nazionale, con l’obiettivo di coinvolgere leader sociali, campesinos, vittime del conflitto nella necessaria opera di pacificazione e riconciliazione. In particolare, in questa settimana, due laboratori si sono svolti nelle diocesi di Istmina-Tadó (nel dipartimento del Chocó, nella parte occidentale del paese) e di Arauca (nell’omonimo dipartimento orientale, ai confini con il Venezuela). (R.P.)

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Congo: uccisa da alcuni banditi una suora a Bukavu

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L’hanno uccisa martedì pomeriggio nel suo ufficio, al centro di formazione professionale di cui era responsabile nella parrocchia Mater Dei di Bukavu. Colpita a morte in un assalto all’arma bianca, probabilmente da banditi che volevano rapinarla. È morta così suor Marie Claire Agano, congolese, della congregazione delle Francescane di Cristo Re. A rilanciare la notizia - riferisce il sito di Mondo e Missione - è stata la comunità locale di Bukavu attraverso i social network.

Suor Marie Claire va ad aggiungersi a una lunga lista di religiosi che a Bukavu hanno donato la vita per il Vangelo
Proprio sul numero di queste mese di Mondo e Missione – ricordando le tre consorelle Olga Raschietti, Lucia Pulici e Bernardetta Boggian uccise nel 2014 nel vicino Burundi dopo aver a lungo prestato il loro servizio missionario nella Repubblica Democratica del Congo – suor Teresina Caffi, missionaria saveriana che fa la spola tra l’Italia e questo martoriato Paese africano, ricordava la figura dell’arcivescovo Christophe Munzihirwa, pastore coraggioso di Bukavu, ucciso vent’anni fa in quest’area del mondo da troppo tempo senza pace. «Morire è… un atto che si prepara durante tutta l’esistenza che lo precede. E il silenzio finale è una parola di grande ricchezza per colui che sa ascoltare dall’interno», diceva mons. Munzihirwa.

L'uccisione in un clima di violenza diffusa alimentata dalla piaga dei 'minerali insanguinati'
Parole che nel contesto del Sud del Kivu – la regione di cui Bukavu è capoluogo – richiamano subito alla mente il clima di violenza diffusa alimentata dalla piaga dei «minerali insanguinati»: oro, coltan, cassiterite e tante altre ricchezze minerarie che continuano ad alimentare il conflitto e ad arricchire tutti tranne la popolazione congolese.

A Bukavu «non si sceglie come morire, ma come vivere"
Bukavu come frontiera dell’amore in un contesto segnato dalla violenza: così l’ha vissuto anche suor Marie Claire. «Non si sceglie come morire, ma come vivere – ricorda suor Teresina Caffi nell’articolo di Mondo e Missione -. E tale scelta può condurre a questo esito, non necessario, non cercato, ma possibile. Penso che una persona diventa libera quando, per le cose in cui crede, o meglio per le persone con cui vive, è disposta a mettere in conto anche di morire. Allora nulla ti può fermare. Allora soltanto forse cominci, timidamente ma veramente, ad amare». (R.P.)

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Indonesia: preghiera per la pace in tutto il Paese

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Ribadire pacificamente i principi di tolleranza, amore, unità nella diversità, accoglienza dell'altro, legalità, pace: con questo spirito, indossando fasce rosse e bianche (colori nazionali dell'Indonesia) milioni di cittadini in tutto il Paese, fedeli appartenenti a tutte le comunità religiose, hanno simbolicamente condiviso ieri una grande "preghiera per l'unità" e sono scesi in piazza per lanciare un messaggio di pace. L’iniziativa giunge due giorni prima della nuova manifestazione, indetta da gruppi radicali islamici, che chiedono al governo e alla magistratura di arrestare il governatore cristiano di Giacarta, Basuki Tjahaja Purnama, detto “Ahok”, accusato di presunta blasfemia.

Hanno partecipato molti leader religiosi della Chiesa cattolica
Attivisti, leader religiosi, artisti, musicisti, funzionari pubblici, studenti, capi militari e rappresentanti della comunità cristiana (sacerdoti, religiosi e laici) si sono uniti alla manifestazione. Come riferisce l'agenzia Fides,  hanno partecipato molti leader religiosi della Chiesa cattolica. “Indossiamo fasce rosse e bianche e preghiamo per la pace in Indonesia” ha detto il Generale Gatot Nurmantyo, tra gli organizzatori della manifestazione, durante un corteo che ha attraversato il centro di Giacarta, proprio negli stessi luoghi che domani, vedranno sfilare i gruppi radicali. La manifestazione è stata punteggiata da preghiere, canti, danze, discorsi, tutti centrati sul tema “unità nella diversità” e sull’urgenza di costruire la pace e il bene del Paese.

Preoccupazione della Chiesa per l'unità della nazione
Mons. Agustinus Tri Budi Utomo, vicario generale della diocesi di Surabaya, capitale della provincia di East Java, nota a Fides che “la Chiesa cattolica esprime preoccupazione per l'unità della nazione, e conferma il sostegno alla Costituzione e ai principi della democrazia”. A Surabaya, dove sono scese in strada circa 10mila persone, vi erano molti fedeli cristiani nel corteo. “Bisogna essere forti e liberi dalla paura, di fronte alla verità e alla giustizia” nota il vicario.

Il corteo un test per il consolidamento della democrazia in Indonesia
Riconoscendo la presenza di numerosi cattolici, padre Budi Utomo ha spiegato che l’esperimento di questo corteo, diffuso capillarmente in tutto il territorio nazionale, “è interessante per testare il consolidamento della democrazia in Indonesia e la consapevolezza di questi valori nella vita della popolazione indonesiana. La gente ha confermato il proprio sostegno all'esercito e alla polizia, per salvaguardare il Paese”.

Il corteo si è chiuso con una preghiera comune
​A Bandung, capitale della provincia di West Java, le persone in strada erano 15mila. Il corteo si è chiuso con una preghiera comune guidata da sei leader religiosi, in rappresentanza di confucianesimo, induismo, buddismo, protestantesimo, cattolicesimo e islam. Tutti hanno pregato per l'unità della nazione. Parlando a Fides, il vicario generale della diocesi di Bandung, padre Yustinus Hilman Pudjiatmoko, ha ricordato le parole di una canzone ascoltata al corteo che invitava a “costruire l’anima e il corpo della grande Indonesia” (P.A.- P.P.)

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Fondi Ue per ricostruire zone terremotate. Boccardo: buona notizia

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La Commissione europea propone di finanziare totalmente le operazioni di ricostruzione legate al terremoto nel Centro Italia nell'ambito dei programmi dei fondi strutturali. Lo ha detto il commissario europeo alle Politiche regionali Corina Cretu intervenendo in un dibattito al Parlamento europeo. Bruxelles propone di modificare il regolamento sulla politica di coesione 2014-2020 e introdurre la possibilità di finanziare totalmente la ricostruzione, compreso il restauro del patrimonio culturale, col Fondo europeo di sviluppo regionale.  Da parte sua il presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker ha detto: "È nostro dovere di europei restare a fianco dell'Italia e dei suoi cittadini, che in questi momenti difficili stanno dando prova di un coraggio straordinario, per aiutarli a superare il prima possibile le conseguenze dei terremoti e a ricostruire completamente le aree danneggiate. La ricostruzione della bellissima Basilica di San Benedetto a Norcia con l'aiuto dei fondi Ue sarà un simbolo duraturo della solidarietà europea e della capacità di riprendersi del popolo italiano". Da Bruxelles è previsto l’arrivo di una prima tranche dei fondi di solidarietà entro una settimana, 30 milioni di euro, l'importo più alto versato a titolo di anticipo. Clarissa Guerrieri ha raccolto il commento di mons. Renato Boccardo, vescovo di Norcia: 

R. – Fino ad ora, io non ho nessuna notizia se non quelle della stampa; ho sentito del proposito dell’Unione Europea di sostenere la ricostruzione e dunque anche della Basilica di San Benedetto. E’ una buona notizia, sicuramente. Adesso bisogna vedere concretamente come questi propositi si realizzeranno. Senza dimenticare che l’urgenza è quella di dare una casa alle persone sfollate.

D. – Che cosa pensa dell’iniziativa della Commissione europea?

R. – Che la Commissione europea metta a disposizione dell’Italia dei fondi dal fondo di solidarietà per la ricostruzione è sicuramente un segno particolarmente positivo ed è quello della solidarietà che unisce i popoli dell’Europa che così mettono in atto quello che è il vero patrimonio comune del continente, cioè la visione dell’uomo e della società che si ispira a quei criteri che devono stare necessariamente alla base della vita comune: l’accoglienza, la solidarietà, la sensibilità nei confronti di chi è nella difficoltà e nel bisogno, la promozione del bene comune.

D. – Ha fiducia nella data di arrivo della prima donazione prevista entro una settimana?

R. – E’ difficile rispondere: questa donazione, dove arriverà? A chi arriverà? Come verrà gestita? Con quali criteri di base sarà utilizzata per la ricostruzione? Sono domande legittime che non tolgono nulla all’apprezzamento e alla fiducia nei confronti di questi gesto così significativo, ma che attendono risposte efficaci e urgenti, nel senso che l’inverno ormai non soltanto è alle porte ma è arrivato, il freddo si fa sentire e questa gente non può continuare a vivere sotto le tende in una situazione di precarietà e di incertezza, aggravati adesso anche dal clima deteriore.

D. – La gente cosa pensa di quello che è stato deciso a Bruxelles?

R. – C’è grande apprezzamento e una grande attesa. Ogni gesto di solidarietà e di buona volontà è accolto a braccia aperte ed è benvenuto.

D. – Come stanno vivendo questo periodo tanto delicato e tanto particolare i terremotati?

R. – Questa è la grande questione: è gente che ormai da tre mesi deve convivere quotidianamente – giorno e notte – con le scosse del terremoto, e dunque oltre a vedere le case danneggiate che si danneggiano sempre di più – perché ogni scossa aggrava la situazione – è gente che vive continuamente in una situazione di precarietà. E’ urgente trovare soluzioni che garantiscano stabilità e dignità alla vita quotidiana.

D. – Prevede il ritorno a una normalità per la vita di queste popolazioni?

R. – Io lo spero! Se ci sarà, richiederà tanto tempo e tanta buona volontà e tanta responsabilità da parte di tutti. Per ritornare alla normalità abbiamo bisogno di tutti questi elementi.

D. – Restando in tema di fede, come mai – secondo lei – è stata scelta come punto di partenza della ricostruzione proprio la Basilica di Norcia?

R. – Io credo che la Basilica di San Benedetto rimanga ad ogni livello un punto di riferimento, per il contributo che l’ideale benedettino ha dato all’edificazione dell’Europa. Ora, certo, i muri ricordano un luogo; l’importante è non perdere l’ispirazione, cioè il messaggio di Benedetto, il suo umanesimo cristiano, il suo modo di considerare la vita della società. Io credo che questa sensibilità che si raccoglie attorno alla facciata della Basilica, perché è l’unica parte della Basilica che rimane in piedi, dice questa eredità culturale e spirituale dell’Europa. Senza dimenticare, però, che i muri non sono i custodi della spiritualità e del messaggio benedettini: lo sono le persone. E dunque tocca a tutti noi, eredi di questo grande patrimonio, mantenerlo vivo e far sì che continui a portar frutto.

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Referendum, Gandolfini: votare No contro deriva autoritaria

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Prosegue il dibattito in Italia sul referendum costituzionale del 4 dicembre. Tra i contrari a questa riforma il Comitato promotore del Family day. Per il presidente Massimo Gandolfini il Paese rischia una deriva autoritaria. Alessandro Guarasci lo ha intervistato: 

R. – E’ un riforma pericolosamente accentratrice in maniera verticale del potere legislativo. In altre parole, l’esecutivo può far pesare in maniera – secondo noi – pericolosa la sua funzione anche sul potere legislativo che spetterebbe al Parlamento. Ma la motivazione che, coniugata a questa, ci ha mosso è vedere qual è l’orientamento dell’attuale governo e dell’attuale esecutivo nei confronti di leggi eticamente e antropologicamente sensibili, di cui la capofila è stata quella delle unioni civili nella primavera scorsa, ma legata a questa viene dichiarato ogni giorno di più che c’è tutta una strategia, una vera e propria strategia nazionale e politica per cui si parla di adozioni a coppie omo-genitoriali, si parla di educazione gender nelle scuole, si parla di legalizzazione della cannabis e di introduzione nel nostro ordinamento del suicidio assistito e dell’eutanasia …

D. – Però, la legge sulle unioni civili è passata anche con il bicameralismo paritario. Dunque perché dover legare queste cose a una forma di approvazione delle leggi?

R. – Una legge così eticamente sensibile che passa con due voti di fiducia è stato prima di tutto una mancanza profonda di rispetto e di presa in carico delle istanze che due Family day avevano portato avanti. Il secondo punto è la inaffidabilità del premier: aveva dichiarato, all’inizio della sua 17.ma legislatura, che non avrebbe mai tirato fuori argomenti etici, soprattutto che non ci avrebbe mai messo il voto di fiducia e si è comportato in maniera esattamente opposta.

D. – Ma allora, qui subentrano valutazioni di tipo politico e non – tra virgolette – di merito sul testo del referendum …

R. – No, no: adesso le do anche la valutazione di merito. Se è successo quello che è successo con il bicameralismo paritario, figuratevi domani che cosa succede – o potrebbe succedere – quando dovesse passare l’attuale riforma in cui c’è una sola Camera; combinato con l’Italicum, in quella Camera l’esecutivo avrà il 55%, il che vuol dire la maggioranza assoluta; con la clausola di supremazia potrà togliere in qualsiasi momento al Senato qualsiasi sua interlocuzione; con la cosiddetta clausola del voto a data certa, entro 70 giorni qualsiasi disegno di legge di provenienza governativa dovrà essere approvato da quell’unica Camera nella quale il governo conta il 55% dei votanti, di superiorità, lei capisce che di fatto viene instaurato un regime terribilmente autoritario che di fatto può fare passare tutto.

D. – L’Italicum, comunque, non è oggetto del referendum e può essere cambiato con legge ordinaria …

R. – … Certo …

D. – … ma il fatto che comunque i meccanismi parlamentari possano essere più semplici e che una legge non ci metta anche due-tre anni prima di essere approvata, non è un aspetto positivo per voi?

R. – Bisogna dire chiaro e tondo: è una bugia. Perché i tempi legislativi medi in Italia, soprattutto per istanze di ordine governativo, sono esattamente nella media di tutti gli altri Stati europei – Francia, Germania – a cui continuamente guardiamo.

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Referendum, Marazziti: con il Sì, istituzioni più efficienti

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In vista del referendum costituzionale di domenica 4 dicembre, i fautori del Sì chiedono agli elettori di far passare le riforma soprattutto per sveltire il processo di approvazione delle leggi. Tra i favorevoli a cambiare la Costituzione, Mario Marazziti, del movimento Democrazia Solidale. Alessandro Guarasci lo ha intervistato: 

R. – Ci sono molte favole su questa riforma costituzionale. La prima favola è proprio quella di una svolta autoritaria: in questa riforma della Costituzione – con la riforma del Senato, l’abolizione del Cnel e le altre riforme – non c’è una parola sui poteri dell’esecutivo, sui poteri del governo, non c’è nulla. Bene: questa riforma invece è essenziale per ricreare un minimo di uguaglianza sul territorio nazionale.

D. – Dov’è che, secondo voi, Stato e Regioni entrano in conflitto?

R. – Da due anni non c’è settore della sanità che non chieda di risolvere il conflitto tra Stato e Regioni con una maggiore uguaglianza e certezza del diritto. Questo sta bloccando tutto. In più, c’è una disuguaglianza ormai inaccettabile: 27 Euro a persona nel sociale in Calabria; 277 in Valle d’Aosta; 170 o 160 in Lombardia e in Emilia; 54 in Campania. Questo è quello che noi andiamo a ritoccare, a riformare: cioè la sanità, l’istruzione, il sociale, diventano materie di interesse prioritariamente nazionale; le regioni avranno modo di fare quello che possono fare per avvicinare tutto ai cittadini.

D. – Marazziti, riuscirà però questo Senato veramente a dirimere i conflitti tra Stato e Regioni? Per molti questo Senato non sarà fatto di eletti…

R. – Questa riforma costituzionale noi l’abbiamo fatta – ed è un "miracolo" averla fatta – nelle condizioni date: cioè, con maggioranze strette, dopo 20 anni di immobilismo; e ricordiamo che il presidente Napolitano ha accettato il reincarico solo a condizione che si mettesse mano a questa riforma della Costituzione, delle istituzioni, per ricreare funzionalità.

D. – Ma questo concretamente, secondo voi, che cosa comporta?

R. – Per esempio, una legge come la legge sulla cittadinanza per i bambini immigrati, per quelli che studiano in Italia, che noi abbiamo approvato 414 giorni fa alla Camera dei Deputati – è stato un percorso importantissimo – e il Senato non ce l’ha rimandata indietro.

D. – Ma voi siete davvero sicuri che un Senato creato in questo modo possa poi incidere sulla vita della Repubblica?

R. – Il nuovo Senato sarà anzitutto un Senato “delle Regioni”, che era già un’idea dei costituenti. Il nuovo Senato avrà quindi la priorità sulle materie regionali e locali, non alla fine del processo, come adesso con la Conferenza Stato-Regioni, ma all’inizio. La seconda cosa è che sulle altre materie il Senato non è esautorato: ci sarà rapidità assoluta e monocameralismo per una serie di materie, non ci sarà più la fiducia data anche dal Senato; ma quello che è importante è che se il Senato vuole – se i 100 senatori vogliono, se 55 di questi 100 senatori vogliono – possono chiedere di intervenire su tutte le leggi approvate alla Camera dei Deputati, ma lo possono fare entro 10 giorni dall’approvazione della Camera, e avranno 30 giorni per fare le proprie osservazioni e i propri cambiamenti. Quindi, qualunque legge in 40 giorni tornerà dal Senato, e la seconda Camera avrà modo di intervenire lo stesso. Quindi né autoritarismo né svolta monocratica né confusione di conflitti: tutto questo è la realtà, il resto sono favole.

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Giornata Aids. Caritas: fa meno paura, ma è rischioso non parlarne

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Oltre 30 milioni di persone nel mondo hanno perso la vita finora a causa del virus Hiv, soprattutto nelle regioni più povere del pianeta. Lo ricorda la Caritas italiana in occasione della Giornata mondiale di lotta all'Aids che si celebra oggi. All'udienza generale il Papa ha ricordato ieri la ricorrenza auspicando che tutti abbiano accesso alle cure e ai farmaci e raccomandando l'assunzione di comportamenti responsabili. La Caritas italiana è fortemente impegnata nell'opera di informazione e di educazione, in particolare dei giovani, riguardo ad una malattia di cui si continua a morire, ma di cui si parla sempre meno. Questo l'obiettivo anche dell'apertura oggi, agli studenti di alcune scuole romane, delle strutture di accoglienza per malati di Aids della Caritas di Roma a Villa Glori. Adriana Masotti ha chiesto a Fabiana Arrivi, come è nata l'idea delle tre case famiglia di cui attualmente è la responsabile: 

R. – Nel 1988, la Caritas diocesana di Roma ha iniziato a occuparsi di Aids. A quel tempo, l’epidemia era proprio agli inizi. Le persone contagiate, nel giro di poco tempo morivano e morivano anche per strada abbandonate negli ospedali … l’emarginazione e la paura nei confronti di questa malattia erano molto forti. E quindi, il bisogno, l’esigenza di un posto che accogliesse queste persone. L’inizio non è stato facile: ci sono state le rivolte delle persone del quartiere che non accettavano, avevano paura; nel tempo, la situazione si è evoluta. Sicuramente, dal punto di vista sanitario la terapia è diventata efficace e l’aspettativa di vita delle persone affette si è allungata. Mentre l’aspetto sanitario è migliorato notevolmente, la corretta informazione e il superamento del pregiudizio ha fatto passi avanti ma non quanto l’aspetto sanitario.

D. – Qual è oggi la realtà di Villa Glori? Chi sono le persone che ci vivono? Che cosa fanno?

R. – Villa Glori è passato da un servizio di accompagnamento alla morte a un servizio di promozione della persona, dove l’impegno contro l’emarginazione è importante e dove i residenti stessi partecipano anche alla formazione dei giovani, entrando in relazione con loro.

D. – Ecco, in questa Giornata le tre case-famiglia di Villa Glori si aprono proprio agli studenti delle scuole di Roma per una mattinata di incontro …

R. – Sì. Questa attenzione agli studenti e ai giovani c’è da tanto tempo, in tutta la Caritas, e in particolare sul tema Hiv/Aids, vista la mancanza di informazione che c’è tra i giovani e anche la discriminazione, la paura ancora di questa malattia di cui si parla sempre di meno. Si parla di meno sia perché, appunto, essendo migliorata la terapia, giustamente la malattia fa meno paura, ma non parlarne rischia di far dimenticare quali sono le modalità per evitare di contagiarsi, e questo l’abbiamo visto nei tanti incontri che da molti anni si fanno nelle scuole. Il percorso per gli studenti è stato pensato sotto due aspetti. Sicuramente, l’aspetto formativo più classico, quindi nella loro scuola, insieme ai nostri operatori, per aumentare le loro conoscenza; ma poi, anche diverse giornate qui, a Villa Gloria, insieme ai nostri residenti, perché è attraverso la relazione che la discriminazione diminuisce. E perciò hanno fatto questa bella esperienza di quotidianità anche condividendo le attività che i nostri residenti svolgono: lavori semplici di giardinaggio, laboratorio di ceramica … Quindi, condividendo momenti piacevoli con i nostri residenti, la paura e il pregiudizio diminuiscono molto. Una delle tre scuole è un liceo artistico che ha fatto i ritratti dei nostri residenti e ha scelto come titolo della mostra “Un tè a Villa Glori – l’arte del condividere”.

D. – I residenti raccontano ai giovani come vivono, come affrontano la malattia …

R. – Nella spontaneità del lavoro insieme, anche del guardare la televisione insieme, del farsi una partita a carte, spontaneamente i ragazzi fanno delle domande e i residenti raccontano della propria vita. E questo colpisce molto, ha un duplice effetto: sia di riduzione della discriminazione, perché si riducono le distanze, e sia di formazione perché poi vedono, collegano, quello che abbiamo studiato a scuola con la vita reale e le testimonianze spontanee che poi rimangono, segnano questi studenti.

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Don Di Noto: pedofilia e pedopornografia, tragedie dimenticate

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Un nuovo allarme è stato lanciato dall’Osservatorio mondiale contro la pedofilia e la pedopornografia dell’Associazione Meter. Il fondatore e presidente, don Fortunato Di Noto, denuncia al microfono di Roberta Gisotti la scarsa percezione nell’opinione pubblica di questa tragedia. 

D. - Don Di Noto, cosa avete documentato in questo ultimo rapporto sul fenomeno?

R. – Innanzitutto abbiamo dovuto segnalare ufficialmente alla Polizia postale italiana i riferimenti dei Siti - che sono nella dark net, nel deep web, cioè in questo mondo ‘oscuro’ di internet - con ben 82 mila video pedopornografici e numerosissimi neonati violentati e cosa ancora più impressionante è che più di 475 mila utenti hanno scaricato questo materiale, anche pagando con la moneta virtuale che è il ‘bitcoin’. Il fatto che ci inquieta sempre di più è che nessuno ha alzato un dito per reagire: cioè, stiamo parlato di decine di migliaia di bambini e, ripeto, moltissimi neonati abusati – abbiamo registrato anche un forum dove ci sono dialoghi italiani per scambiare il materiale, le informazioni - e di fatto la società civile, la società politica, la società culturale è come se fosse anestetizzata, come se probabilmente qualcuno possa arrivare a pensare che sono delle ‘bufale’. Invece sono realtà documentate e depositate alla Procura distrettuale, in questo caso di Catania.

D. – Forse viene rimossa questa realtà o che altra ragione possiamo ipotizzare?

R. – Ma è grave se viene rimossa! Lo stesso Papa Francesco lo scorso anno definì l’abuso sessuale sui minori una “tragedia”. E, di fronte alle tragedie umane non possiamo stare lì a guardare o eventualmente dire: ‘non mi interessa perché non mi tocca o perché è fuori dalla mia portata’. Se è vero come è vero, ci deve essere una sensibilità e un’azione concreta e globale perché qui è un problema che riguarda tutte le nazioni. Io mi chiedo ad esempio come è stato - sono stato il primo a scendere in piazza! - per la Giornata internazionale contro la violenza alle donne: tutti si sono mobilitati contro il femminicidio. Non c’è neanche un canale media che non abbia parlato di questo. Ma è possibile che di fronte a questi drammi che colpiscono i minori non se ne vuol parlare? Non credo che sia un fatto solo di rimozione, credo che sia anche un fatto proprio legato al non affrontare seriamente questo problema, che può essere affrontato e può essere debellato.

D. – Don Fortunato, cosa è il deep o dark web?

R. - In poche parole è il mondo sommerso del web, cioè noi conosciamo e navighiamo nel mondo conosciuto di Internet ma il deep web è un ambiente 550 volte più grande del web conosciuto, dove attraverso dei sistemi informatici c’è quasi il puro anonimato. Qui le organizzazioni criminali hanno impiantato lo scambio non soltanto di informazioni ma traffici di esseri umani, di pedopornografia, di droga, di malaffare … E allora questo dovrebbe impegnare maggiormente gli Stati che hanno gli strumenti tecnologici per poter affrontare il problema.

D. – Mi sembra che fino ad adesso sia stato fatto poco…

R. – Sì, si è fatto poco! Noi siamo convinti, anche tecnicamente parlando, di poter trovare le soluzioni però qui dipende dagli Stati, dalla collaborazione, dalla collaborazione tra le forze di Polizia, dalle informazioni che devono essere date ed evitando il concetto di privacy, che di fronte a certi crimini non dovrebbe esistere! Se ci sono traffici umani e di sfruttamento di bambini, non si può invocare la privacy, questo non deve accadere e questo deve essere superato da una logica intelligente e collaborativa.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 336

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.