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Sommario del 06/12/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: conosce la dottrina cristiana chi conosce la tenerezza di Dio

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Chi non conosce la tenerezza di Dio non conosce la dottrina cristiana: è quanto ha detto il Papa nell'omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta, dedicata in gran parte alla figura di Giuda. Ce ne parla Sergio Centofanti

Giuda, immagine evangelica della pecora smarrita
Al centro dell’omelia del Papa è il Vangelo della pecora smarrita con la gioia per la consolazione del Signore che non smette mai di cercarci. “Lui viene come un giudice” – spiega Francesco – “ma un giudice che carezza, un giudice che è pieno di tenerezza: fa di tutto per salvarci”: non viene “a condannare ma a salvare”, cerca ognuno di noi, ci ama personalmente, “non ama la massa indistinta”, ma “ci ama per nome, ci ama come siamo”. La pecora smarrita – commenta il Papa – “non si è persa perché non aveva la bussola in mano. Conosceva bene il cammino”. Si è persa perché “aveva il cuore malato”, accecato da una “dissociazione interiore” e fugge “per allontanarsi dal Signore, per saziare quel buio interiore che la portava alla doppia vita”: essere nel gregge e scappare nel buio. “Il Signore conosce queste cose” e “va a cercarla”. “La figura che più mi fa capire l’atteggiamento del Signore con la pecora smarrita - confessa il Papa - è l’atteggiamento del Signore con Giuda”:

“La pecora smarrita più perfetta nel Vangelo è Giuda: un uomo che sempre, sempre aveva qualcosa di amarezza nel cuore, qualcosa da criticare degli altri, sempre in distacco. Non sapeva la dolcezza della gratuità di vivere con tutti gli altri. E sempre, siccome non era soddisfatta questa pecora – Giuda non era un uomo soddisfatto! – scappava. Scappava perché era ladro, andava per quella parte, lui. Altri sono lussuriosi, altri… Ma sempre scappano perché c’è quel buio nel cuore che li distacca dal gregge. E’ quella doppia vita, quella doppia vita di tanti cristiani, anche, con dolore, possiamo dire, preti, vescovi… E Giuda era vescovo, era uno dei primi vescovi, eh? La pecora smarrita. Poveretto! Poveretto questo fratello Giuda come lo chiamava don Mazzolari, in quel sermone tanto bello: ‘Fratello Giuda, cosa succede nel tuo cuore?’. Noi dobbiamo capire le pecore smarrite. Anche noi abbiamo sempre qualcosina, piccolina o non tanto piccolina, delle pecore smarrite”.

Il pentimento di Giuda
Quello che fa la pecora smarrita - sottolinea il Papa – non è tanto uno sbaglio quanto  una malattia che c’è nel cuore e che il diavolo sfrutta. Così, Giuda, con il suo “cuore diviso, dissociato”, è “l’icona della pecora smarrita” e che il pastore va a cercare. Ma Giuda non capisce e “alla fine quando ha visto quello che la propria doppia vita ha fatto nella comunità, il male che ha seminato, col suo buio interiore, che lo portava a scappare sempre, cercando luci che non erano la luce del Signore ma luci come addobbi di Natale”, “luci artificiali”, “si è disperato”. Il Papa commenta:

”C’è una parola nella Bibbia - il Signore è buono, anche per queste pecore, non smette mai di cercarle - c’è una parola che dice che Giuda si è impiccato, impiccato e ‘pentito’. Io credo che il Signore prenderà quella parola e la porterà con sé, non so, può darsi, ma quella parola ci fa dubitare. Ma quella parola cosa significa? Che fino alla fine l’amore di Dio lavorava in quell’anima, fino al momento della disperazione. E questo è l’atteggiamento del buon pastore con le pecore smarrite. Questo è l’annuncio, il lieto annuncio che ci porta il Natale e che ci chiede questa sincera esultanza che cambia il cuore, che ci porta a lasciarci consolare dal Signore e non dalle consolazioni che noi andiamo a cercare per sfogarci, per fuggire dalla realtà, fuggire dalla tortura interiore, dalla divisione interiore”.

Il potere di Dio è la sua tenerezza
Gesù, quando trova la pecora smarrita non la insulta, anche se ha fatto tanto male. Nell’orto degli ulivi chiama Giuda “Amico”. Sono le carezze di Dio:

“Chi non conosce le carezze del Signore non conosce la dottrina cristiana! Chi non si lascia carezzare dal Signore è perduto! E’ questo il lieto annuncio, questa è la sincera esultanza che noi oggi vogliamo. Questa è la gioia, questa è la consolazione che cerchiamo: che venga il Signore con la sua potenza, che sono le carezze, a trovarci, a salvarci, come la pecora smarrita e a portarci nel gregge della sua Chiesa. Che il Signore ci dia questa grazia, di aspettare il Natale con le nostre ferite, con i nostri peccati, sinceramente riconosciuti, di aspettare la potenza di questo Dio che viene a consolarci, che viene con potere ma il suo potere è la tenerezza, le carezze che sono nate dal suo cuore, il suo cuore tanto buono che ha dato la vita per noi”.

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Santa Sede: con il Papa per il bando totale delle armi atomiche

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“Nella promozione della sicurezza nucleare, la comunità internazionale abbracci un’etica di responsabilità, al fine di favorire un clima di fiducia e di rafforzare la sicurezza collaborativa attraverso il dialogo multilaterale”. Così mons. Antoine Camilleri, Sotto-segretario per i rapporti con gli Stati intervenuto alla seconda Conferenza dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, Aiea, in corso a Vienna.

La logica dell’etica globale sostituisca la logica della paura
“La logica della paura e della diffidenza che trova la sua sintesi nella deterrenza nucleare – ha spiegato - deve essere sostituita da una nuova logica di etica globale. Abbiamo bisogno di un’etica di responsabilità, solidarietà e sicurezza collaborativa adeguata al compito di tenere sotto controllo il potere della tecnologia nucleare”. Secondo mons. Camilleri “le minacce alla sicurezza nucleare costituiscono gravi sfide sul piano tecnico e su quello diplomatico” e “per rispondervi, occorre affrontare le dinamiche più ampie della sicurezza, della politica, dell’economia e della cultura, che guidano attori statali e non statali nel cercare sicurezza, legittimità o potere nelle armi nucleari”

Necessario proteggere il materiale nucleare e le informazioni
La Santa Sede ritiene di grande importanza la promozione della sicurezza nucleare sia ai fini del rafforzamento del regime di non proliferazione e del processo di disarmo nucleare, sia per la promozione di tecnologie nucleari a scopo pacifici.  Mons. Camilleri  indica due ambiti in cui sono richiesti sforzi maggiori:  “la protezione fisica del materiale nucleare, poiché il mancato controllo” di questo “potrebbe avere conseguenze catastrofiche”; in secondo luogo evidenzia l’importanza del contrasto di minacce interne e la prevenzione di cyber-attacchi a dati e strutture sensibili a partire da un aumento del “livello di sicurezza delle informazioni e dei computer”, preservando “la riservatezza delle informazioni pertinenti alla sicurezza nucleare”. 

Con il Papa per una totale messa al bando delle armi nucleari
Il Sotto-segretario per i rapporti con gli Stati rileva i notevoli progressi compiuti nel rafforzare la sicurezza e la protezione nucleare, ringraziando l’Aiea per l’impegno profuso negli anni; nel contempo si sottolinea come molto del successo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica dipenda “dall’impegno degli Stati membri nel rispettare i propri impegni giuridici ed etici. “Le responsabilità  degli Stati membri – puntualizza mons. Camilleri – devono rimanere al centro del nostro dibattito”. A conclusione del suo intervento il rappresentante vaticano a Vienna chiarisce che “non ci si può fare illusioni riguardo alla gravità delle sfide che si pongono alla comunità internazionale, ma “a motivo di queste sfide la Santa Sede ribadisce il proprio sostegno all’Aiea” in linea con l’esortazione di Francesco alla comunità internazionale, pronunciata all’Onu nel 2015, ad “impegnarsi per un mondo senza armi nucleari, applicando pienamente il Trattato di non proliferazione, nella lettera e nello spirito, verso una totale messa al bando di questi ordigni”.  (A cura di Paolo Ondarza)

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Cristiani e indù in dialogo per essere luce e pace nel mondo

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“Luce e pace. Cristiani e induisti in dialogo”, questo il tema della conferenza che si tiene oggi a Roma, alla Pontificia Università Gregoriana, per iniziativa del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, in collaborazione con l'Ufficio Nazionale per l'Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso della CEI, l'Unione Induista Italiana Santana Dharma Samgha, il Movimento dei  Focolari e Religions for Peace sezione Italia. Il  nostro  raduno, ha detto, il card. Jean-Louis Taurand, presidente del Dicastero vaticano per il dialogo, sia uno strumento per trasformarci "in messaggeri di pace e costruttori di comunione in  contrapposizione  a  tutti  quelli  che  seminano  conflitto,  divisione e  intolleranza". Il servizio di Adriana Masotti

L’accensione della tradizionale lampada a olio indiana e il discorso di benvenuto del Rettore, Keynote Address, hanno aperto questa mattina i lavori. E’ seguito l’intervento del card. Tauran che si è detto felice di essere presente a questa prima Conferenza Indù Cristiana organizzata in  Italia dal suo Dicastero. Ci troviamo insieme, ha detto, “in spirito di amicizia, riconoscendo il reciproco bisogno della presenza dell'altro per costruire un  mondo nuovo sulla base di una  coesistenza armoniosa tra i popoli di tutte le fedi”.

Il porporato racconta che la sua prima partecipazione a un dialogo indù cristiano fu nel  giugno  2009 a Mumbai, in India. Fu una  grande esperienza di condivisione e di scambio di opinioni che si rinnovò nei successivi incontri anche a Londra e a Washington.

“Quando noi che professiamo religioni diverse, ci incontriamo per condividere le nostre esperienze, prosegue il card. Tauran, sentiamo il bisogno di crescere sempre più nel rispetto reciproco, nella stima della vita e della fede dell'altro”.

Oggi la globalizzazione rende il dialogo interreligioso necessario, non più un optional, ma un imperativo  morale. “Le religioni predicano l'amore, la compassione e l'unità, non l'odio” , dice e ricorda le parole di Benedetto XVI: la violenza è "l'antitesi della religione e  contribuisce a distruggerla". “Le religioni perciò non sono la causa  dei problemi, ma piuttosto fanno parte delle soluzioni di problemi creati da fanatici  religiosi con  interessi  nascosti” che non hanno capito la loro fede. E vivere la fede significa rispettare la dignità di ogni essere umano, prendersi cura  della terra, la casa comune, ma  anche condurre una vita virtuosa.  Il card. Tauran cita Papa  Francesco per il quale la pace significa  perdono, guarigione  delle  ferite, superamento  delle  chiusure mentali, collaborazione per costruire un mondo migliore, apprendere  l'arte  della  reciproca comunione. A questo, conclude, auspico possa servire questo nostro radunarci insieme.

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Mons. Jurkovic all'Onu: dalla globalizzazione alla ricchezza condivisa

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“Tradurre le dichiarazioni in azioni e gli impegni assunti in risultati”. È questa la direzione che deve intraprendere il commercio globale per raggiungere gli obiettivi della nuova Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. È  quanto ha affermato mons. Ivan Jurkovič,  osservatore permanente della Santa Sede presso Nazioni Unite di Ginevra, intervenendo ieri alla riunione del Consiglio dell’Unctad, la Conferenza delle Onu sul Commercio e lo Sviluppo.

Ripensare globalizzazione per creare una prosperità condivisa
Nonostante gli indubbi vantaggi della liberalizzazione del commercio globale e i passi avanti compiuti negli ultimi decenni dalla comunità internazionale per rendere accessibili i mercati ai Paesi in via di sviluppo con il loro ingresso nell’Organizzazione mondiale del Commercio – ha osservato il presule –, l’economia mondiale stenta a riprendersi dalla crisi economica e finanziaria mondiale iniziata nel 2008-2009 , che pesa soprattutto sulle nazioni più povere, ma anche sulle economie industrializzate creando crescenti disuguaglianze. Di fronte a questo scenario, ha evidenziato, “la grande sfida politica che ha di fronte oggi la comunità internazionale è quella di passare dalla globalizzazione a una narrazione più costruttiva della creazione di una ricchezza condivisa”.

Promuovere un circolo virtuoso per il bene comune
Per fare ciò - ha proseguito l’osservatore vaticano - le politiche delle istituzioni multilaterali e i 17 obiettivi dell’Agenda per lo sviluppo post-2015 non possono limitarsi a mantenere una sorta di equilibrio tra interessi particolari, ma devono mirare al bene comune. Questo richiede, da un lato,  l’autocontrollo di ciascun membro della comunità internazionale e,  dall’altro, la loro collaborazione.

Passare dalle parole ai fatti
“Se veramente  vogliamo il successo dell’Agenda 2030 – ha quindi concluso mons. Jurkovič - dobbiamo continuare ad implementare l’Addis Abeba Action Agenda  (il Programma di Azione adottato nel 2015 dalla Terza Conferenza delle Nazioni Unite sui finanziamenti allo sviluppo n.d.r.). Il nostro comune obiettivo deve essere di trasformare la nostra decisione in azione”. (A cura di Lisa Zengarini)

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Nomine

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Per le nomine odierne, consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Oggi in Primo Piano



Siria. Padre Jacques Mourad: il dialogo è l'unico strumento

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Nell'infuriare dei combattimenti, che dal 2011 stanno sconvolgendo la Siria, e per il quale si parla di quasi 400mila vittime, i cristiani locali con grande fatica riescono a trovare pace e speranza. In modo particolare alla luce degli ultimi eventi, come la possibile caduta della parte orientale di Aleppo, o al tentativo della parti coinvolte nel conflitto di trovare un'intesa strategica. Francesco Gnagni ne ha parlato con il sacerdote e monaco siriano, nonchè priore del monastero di Mar Elian, Padre Jacques Mourad, rapito nel maggio 2015 in Siria dall'Isis, e che è in seguito riuscito a liberarsi e a scappare: 

R. - Nous comme chrétiens de la Sirie …
Noi come cristiani della Siria, e seguendo il messaggio della Chiesa e del Vaticano, ricordiamo che lungo la strada della violenza, c’è – al tempo stesso - bisogno di un po’ di misericordia, di un po’ di ritorno al senso umano, perché a farne sempre le spese sono i civili, che non hanno nulla a che fare con questa battaglia, che è veramente terribile. È terribile che tutte queste persone muoiano a causa di questa guerra. L’appello che vogliamo lanciare è di trovare degli strumenti più tranquilli, che parlino più al cuore, perché non si può andare avanti cosi: la gente muore tutti i giorni!

D. - Il Consiglio di sicurezza dell’Onu si pronuncerà sul nuovo progetto di risoluzione che chiede una tregua delle ostilità di almeno sette giorni e un corridoio umanitario per raggiungere la popolazione assediata. Lei, padre, di questo cosa ne pensa?

R. - Bien sûr, la seule solution aujourd’hui …
Certamente, l’unica soluzione oggi è quella di essere realisti: l’unica soluzione da parte dell’Onu per salvare le persone è la speranza riguardo alla situazione di Aleppo. Speriamo vivamente che queste persone siano positive, che ascoltino questo appello, perché tutto quello che vogliamo è salvare la vita di queste persone, è salvare  la vita dei bambini e delle donne, di tutti questi civili che non hanno nulla a che fare con questa guerra.

D. – Tutti sembrano concordare sul fatto che ciò che manca è il dialogo e che la diplomazia è l’unica via d’uscita. Lei, padre, il dramma di questa guerra lo ha conosciuto dall’interno, in prima persona. Quando sente parlare di dialogo, pensa che ci sia spazio per la speranza?

R. - Le dialogue est le seul moyen …
Il dialogo è l’unico strumento, l’unica strada di cui ha bisogno la nostra epoca per trovare la soluzione riguardo a tutte le questioni politiche, a tutte le guerre e a tutti i problemi tra i Paesi. Ma per dialogare c’è bisogno di una certa serenità, di una certa franchezza, di una certa giustizia. Il dialogo non porta a nessun risultato se non è basato sulla giustizia, sulla disponibilità umana e spirituale.

D. – Tuttavia, l’asse Mosca–Damasco–Teheran può conquistare la città di Aleppo, ma il prezzo può esser alto soprattutto per le popolazioni civili. C’è, quindi, il pericolo che nel frattempo Aleppo diventi ancor più un grande cimitero?

R. – Oui, si le bombardements, si les rebelles continuent …
Se continueranno i bombardamenti e se i ribelli continueranno a combattere contro i soldati del governo, certamente ci saranno ancora più morti, ancora più vittime a Aleppo!

D. – L’elezione di Trump, secondo lei, può spingere Mosca a negoziare con i ribelli siriani per trovare un’intesa con gli Stati Uniti prima che il nuovo presidente entri alla Casa Bianca, in modo da negoziare quindi su quelli che sono gli interessi principali della Russia?

R. – J’espère que ce change diplomatique entre les deux Pays …
Spero che questo scambio diplomatico tra i due Paesi porterà ad un accordo riguardo alla questione della guerra in Siria. Lo spero vivamente! Probabilmente sarà la Provvidenza che arriverà ad entrambe le parti e le guiderà nel trovare un accordo per una soluzione.

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Siria: Msf in piazza per chiedere tregua umanitaria

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Emergenza umanitaria sempre più grave in Siria. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha bocciato ieri la nuova risoluzione per il raggiungimento di una tregua e la creazione di corridoi umanitari. A porre il veto sono state Russia e Cina. Sempre drammatica la situazione ad Aleppo. L’organizzazione umanitaria Medici senza Frontiere lancia un nuovo accorato appello in cui si chiede la fine dei bombardamenti su civili e ospedali. Oggi manifestazione a Roma per promuovere un intervento in tal senso del governo italiano. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Loris De Filippi, presidente di Medici senza Frontiere: 

R. – Quello che bisogna dire è che solo ad Aleppo Est 30 strutture sanitarie sono state bombardate. Delle circa 30 ambulanze ora ce ne sono 5 funzionanti e, una volta che le persone vengono raccolte dalle macerie, non si capisce bene dove possano essere portate, perché gli ospedali sono seriamente danneggiati.

D. - C’è ormai una confusione tra il conflitto e il coinvolgimento dei civili e delle strutture sanitarie. Come mai sta avvenendo questo?

R. - Per varie ragioni. La più probabile è che l’area dei bombardamenti è talmente estesa che tocca necessariamente i civili e le strutture sanitarie. È evidente che in questo momento bisognerebbe fare una pausa, tentare di evacuare i feriti che ci sono e che non vengono seguiti in questo momento; inoltre tentare di approvvigionare dal punto di vista sanitario le strutture che tentano di continuare a lavorare, perché il numero dei civili colpiti è in costante crescita: dal 23 settembre al 24 novembre ci sono stati più di 4350 feriti di cui 510 bambini, mentre ci è stato segnalato il decesso di 1060 persone tra cui 150 bambini. In questo caso parliamo solo delle persone che giungono negli ospedali in qualche modo approvvigionati da noi. Sicuramente ci sono altre vittime civili sotto le macerie e altre che vengono sepolte in un modo abbastanza rapido e non rientrano nei conteggi ufficiali. Quindi siamo in una fase drammatica e il racconto delle persone con cui lavoravamo e che continuiamo ad appoggiare diventa sempre più drammatico; viene rotto dal pianto, dalla loro disperazione. Una situazione così grave, come quella dell’ultima settimana, non si è mai vista durante l’assedio.

D. - Il “No” al Consiglio di Sicurezza a una nuova tregua e quindi alla possibilità di aprire corridoi umanitari, in che posizione sta mettendo le organizzazioni umanitarie, quindi anche Medici senza Frontiere?

R. – E’ proprio per questo motivo che questa sera, a Roma, scendiamo in piazza a Montecitorio, per pregare veramente tutte le autorità a tenere in considerazione questo fatto: non è pensabile, nemmeno durante un conflitto, che i civili soffrano così gravemente la mancanza di aiuto umanitario. Tutto questo va contro la risoluzione recente ratificata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, la n. 2286, che impegna gli Stati membri a proteggere i civili e i servizi medici di cui hanno particolare bisogno per sopravvivere. 

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Bartolomeo: chiesa del Sacro Cuore alla comunità ortodossa un gesto d'amore

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Un “esempio di amore fraterno”. Un “importante gesto d’amore”. Anzi un vero e proprio “abbraccio” dell’arcidiocesi di Bari-Bitonto con “la nostra Sacra arcidiocesi d’Italia e Malta” per “la concessione di questo Sacro Tempio per gli usi liturgici della nostra locale comunità greco-ortodossa”. Così ieri sera il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I ha definito la consegna della chiesa del Sacro Cuore alla comunità ortodossa al termine dei vespri ecumenici che si sono celebrati nella nuova sede.

La chiesa è il luogo in cui la Liturgia” forma la comunità
Nella piccola chiesa, gremita di fedeli, al termine della liturgia - riferisce l'agenzia Sir - è avvenuta la consegna del luogo di culto con la firma dell’atto di affidamento da parte dell’arcivescovo di Bari-Bitonto mons. Francesco Cacucci e del metropolita Gennadios. Poi ha preso la parola il patriarca Bartolomeo. “La chiesa – ha detto – è il centro della vita parrocchiale, è il luogo in cui si celebra il Santo Mistero della Divina Eucarestia e tutti gli altri Santi Misteri, è il luogo della contemplazione e della preghiera, è il luogo in cui la Liturgia” forma la comunità.

La consegna della chiesa è frutto dello storico incontro tra Paolo VI e il Patriarca Atenagora
“Questo esempio di amore fraterno, che rinsalda gli storici legami tra questa Chiesa di Bari con il nostro Trono Ecumenico di Costantinopoli – ha ricordato il Patriarca -, è il frutto maturo delle relazioni delle nostre Santissime Chiese, dopo l’incontro benedetto dal Signore, avvenuto più di 50 anni orsono a Gerusalemme, tra i nostri grandi Padri nella Fede, il Papa Paolo VI ed il Patriarca Atenagora, sulle cui orme camminiamo e continueremo a camminare anche la nostra Modestia e il nostro amato Fratello, il Vescovo della Antica Roma, Papa Francesco”. 

Il dialogo teologico tra le due Chiese avanza e i rapporti sono fraterni
“In questo tempo – ha quindi proseguito Bartolomeo – il Signore, il Re della Pace e Salvatore delle nostre anime, ha operato con potenza. Il dialogo teologico tra le nostre Chiese avanza, i rapporti sono fraterni, rispettosi, calorosi, e anche quando le difficoltà compaiono, la pazienza e la preghiera sono le nostre armi. Anche in questo il nostro Santo Padre Nicola ci è Maestro. Voglia Dio, per le preghiere del Santo dell’Unità, San Nicola, benedire questa Comunità, tutta la città e tutti coloro che in essa vivono, operano e lavorano per il bene di essa; voglia dare Sapienza e Saggezza alla Sua Chiesa ed ai suoi pastori e a voi amato Fratello Arcivescovo, che ringraziamo di tutto cuore, affinché il nome di Dio sia sempre invocato e glorificato nei secoli”. (R.P.)

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Migranti: giro di vite della Merkel. Ancora sbarchi a Pozzallo

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"Non tutti i profughi entrati in Germania potranno rimanere, la situazione straordinaria l'anno scorso non si potrà ripetere”: le parole, oggi, della cancelliera Angela Merkel segnano un’inversione di tendenza della politica di accoglienza tedesca, che però si scontra con gli incessanti sbarchi sulle coste italiane. Francesca Sabatinelli

Un giro di vite, quello della cancelliera Merkel, imposto dalla incalzante sfiducia dei tedeschi verso la Cdu, una restrizione che si scontra però con i numeri sempre più drammatici delle traversate del Mediterraneo. Secondo l’ammiraglio Credendino, comandate dell’operazione navale europea Sophia, sarebbero tra le 150 mila e le 200 mila le persone pronte a lasciare la Libia per raggiungere l'Europa attraverso l’approdo sulle coste italiane. A Pozzallo, uno dei luoghi di maggiore sbarco, la situazione è estremamente difficile, è da lì che arrivano i racconti della paura e delle violenze a cui sono sottoposti i migranti. A centinaia sono arrivati ieri, perlopiù uomini, provenienti da Libia, Siria, Guinea Bissau, Mali, Niger, Nigeria, Sierra Leone, e tra loro molti minori non accompagnati. don Paolo Catinello è il direttore dell’Ufficio Migrantes della diocesi di Noto, cui appartiene Pozzallo:

R. – Si vive una situazione di emergenza. In questo momento stanno nascendo delle case di accoglienza, soprattutto per minori, perché l’emergenza riguarda soprattutto i giovani e i giovanissimi che stanno arrivando negli ultimi giorni. Ecco il perché dell’importanza di un’accoglienza che sia competente e professionale. Ma ci accorgiamo anche di come si faccia una grande fatica. Pozzallo è una piccola cittadina, i servizi, gli strumenti che possiamo avere a disposizione, purtroppo, non riescono a colmare le esigenze delle tante persone che arrivano. Ormai siamo arrivati a numeri molto importanti. In ogni caso, sta nascendo una bella “disponibilità” a collaborare con le case di accoglienza per minori, soprattutto con le nostre parrocchie, dove già in questo Natale verranno avviate delle attività volte all’integrazione.

D. – Lei parlava soprattutto di giovani. Chi sono? Da dove arrivano?

R. – Da questo punto di vista – le dico la verità – non ci sono dei dati certi. Perlomeno io non ne ho in questo momento, perché il fenomeno è in continuo divenire. Qui parliamo di una situazione che cambia di ora in ora. Però è chiaro che arrivano molte persone dall’Africa centrale, tantissime. Vorrei dire solo questo: noi cristiani cattolici crediamo nel Dio dell’alleanza, per cui bisogna crescere sicuramente in una collaborazione, in una sinergia, proprio perché l’uomo ritorna ad essere al centro di tutto. Però ci accorgiamo che spesso c’è diffidenza tra le istituzioni e la Chiesa, oppure non c’è comunicazione, oltre al fatto che purtroppo, lo sappiamo, anche dietro a tanta accoglienza c’è anche tanto interesse economico.

D. - La popolazione, i cittadini di Pozzallo, ma anche di tutto il resto di quella zona, come stanno affrontando la situazione?

R. - Qui sono “abituati”, però è anche vero che si comincia ad assaporare un po’ di sfiducia tra le persone perché, da questo punto di vista, si sentono quasi sole ed abbandonate laddove non c’è un venirci incontro rispetto alle situazioni. Quindi non dipende da una questione di pregiudizio verso i ragazzi che, in questo momento, accogliamo qui a Pozzallo, quanto dal fatto che anche le istituzioni spesso si sentono impotenti dinanzi un fenomeno così grande. Noi, come Caritas, stiamo cercando di avviare relazioni per integrare queste persone attraverso iniziative laddove già vengono accolte, perché Pozzallo è un hotspot e quindi molti arrivano per ripartire immediatamente, o dopo pochi giorni. Quindi il fenomeno – ripeto – ha dei numeri sicuramente importanti, ma al momento non riesco neppure a decifrarli. E le situazioni non sono delle migliori. Vorrei semplicemente aggiungere questo:  che tutte le persone di buona volontà che abbiamo anche qui a Pozzallo, oltre alle nostre comunità parrocchiali, si sensibilizzino verso questo fenomeno. Parliamo veramente di fratelli, di persone che hanno tanto bisogno, prima di un tetto e poi di trovare calore umano. Questa è la cosa più importante. 

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Vescovi Burundi: solo piccoli passi verso la riconciliazione

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“Apprezziamo i passi effettuati e ringraziamo coloro che vi hanno contribuito” affermano i vescovi del Burundi nella loro Lettera pastorale pubblicata per la chiusura dell’Anno Santo della Misericordia. “All’apertura dell’Anno giubilare avevamo auspicato che quest’Anno fosse per i burundesi un’opportunità di riconciliazione, perché i contendenti si sedessero, si dicessero la verità in un dialogo franco che permettesse di risolvere i problemi del Paese, in modo tale che i burundesi possano vivere nella pace e nella sicurezza” spiega il Messaggio ripreso dall’agenzia Fides.

I rifugiati all'estero hanno paura a rientrare in patria
“Ci sono ancora tanti fratelli e sorelle che sono rifugiati al di fuori del Paese” ricordano i vescovi. “Nonostante abbiano sentito il nostro appello, non osano rientrare perché non si sentono rassicurati. Non c’è qualcosa da correggere perché si sentano sicuri?” sottolinea il messaggio. I vescovi lamentano che quanti sono rimasti nel Paese “diffidano gli uni degli altri, e sembra che si spiino reciprocamente, avendo paura di dire la verità a voce alta, non si ha più fiducia del proprio vicino, proprio quando invece è il momento di dire la verità e di accogliere la verità che salva e riconcilia”.

La rielezione di Nkurunziza ha aggravato la situazione con omicidi e sparizioni di oppositori
La crisi politica burundese risale all’aprile 2015, quando il Presidente Pierre Nkurunziza annunciò la decisione di ripresentarsi alle elezioni per un terzo mandato, in violazione della Costituzione e degli accordi di pace di Arusha. La rielezione di Nkurunziza, nel luglio dello stesso anno, ha aggravato la situazione con omicidi e sparizioni di persone legate all’opposizione e la comparsa di gruppi di guerriglia anti Nkurunziza. Le violenze hanno finora provocato 500 morti e spinto alla fuga nei Paesi limitrofi circa 300.000 persone. (L.M.) 

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Somalia: ancora scontri tra i clan, futuro sempre incerto

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Non sembrano arrestarsi gli scontri all’interno della Somalia, il Paese da giorni è preda di attacchi terroristici da parte dei jihadisti di al Shabaab che sempre più spesso colpiscono i civili che si rifiutano di pagare dazi al fine di finanziare il gruppo antigovernativo. Risale infatti a fine novembre l’attentato in un mercato di Mogadiscio dove 17 persone hanno perso la vita e 20 sono rimasti feriti. Nel contempo, le forze di sicurezza dello Stato del Puntland avanzano verso Qandala per riprendere il controllo della città, ormai assediata dai fedeli del seidcente Stato Islamico. A ciò si affianca una grave siccità che sta lasciando morire di fame e di sete la popolazione, e le elezioni presidenziali rimandate alla fine di dicembre. A spiegare l’attuale situazione politica della Somalia e il suo futuro, la Prof.ssa Anna Bono, docente di Storia e Istituzioni dell’Africa dell'Università di Torino, al microfono di Sabrina Spagnoli:  

R. – La situazione politica in Somalia è quella che si trascina ormai da anni. Le istituzioni politiche esistono, sono state create ormai da dieci anni, si sono trasferite da molto tempo in Somalia. Si tratta di un governo che ha diversi problemi: il primo è il fatto di passare da una crisi all’altra, poi di avere un controllo del territorio e quindi del Paese molto, molto fraglie. Una buona parte del territorio somalo è ancora del tutto fuori controllo perché è controllata dal gruppo jihadista anti governativo al Shabaab. Il governo della Somalia si regge sul piano militare grazie all’esistenza di una missione dell’Unione Africana, e dal punto di vista economico, grazie a contributi internazionali che di anno in anno finanziano il governo e le sue istituzioni. Quindi è una situazione critica, aggravata da livelli di tassi di corruzione accertati elevatissimi che mandano in fumo milioni, miliardi di dollari. Questo completa il quadro di una situazione molto critica, difficile, soprattutto pensando alle aspettative che si erano nutrite: il Paese già da anni avrebbe dovuto andare al voto e quindi acquisire delle vere e proprie istituzioni democratiche, cosa che ancora non succede. Proprio in questi giorni c’è stato un ulteriore rinvio del voto.

D. - Il Paese comunque sta morendo per una grande siccità e ci sono stati anche diversi scontri tra i residenti dei  villaggi con il gruppo degli al Shabaab. Come mai questo accanimento verso i civili?

R. - Perché devono sopravvivere anche loro e finanziarsi. Naturalmente non è la comunità internazionale a fare questo, i mezzi sono altri. Uno di questi è anche quello di estorcere risorse alla popolazione sotto forma di tasse e di dazi. Non è l’unico modo con il quale si finanzia al Shabaab; un altro, purtroppo, è il contrabbando di prodotti di origine animale, frutto di bracconaggio. Si ritiene che abbia altri tipi di finanziamento come d’altra parte succede per le altre cellule e gruppi legati ad  al Qaeda.

D. - Si parla infatti anche di un traffico di armi nel Paese. Quindi anche questo può essere un motivo di sostentamento economico?

R. - Non solo! Anche il contrabbando di un tipo di droga molto popolare in Somalia proveniente dal Kenya; anche questo è uno dei cespiti cui ricorre al Shabaab.

D. - Le elezioni presidenziali sono state rimandate a fine dicembre anche per possibili incursioni di al Shabaab ai danni dei civili votanti. Che futuro si staglia per il Paese?

R. - È un futuro molto incerto. La popolazione somala in questo momento – e non è la prima volta -, è in una situazione di particolare difficoltà. Il futuro del Paese dipende da un lato dal senso di responsabilità e da una reale volontà di governo e di buon governo da parte di chi uscirà finalmente – si spera – da queste elezioni che comunque sono elezioni solo apparentemente democratiche, perché nel Paese non è ancora stato fatto nemmeno un censimento; quindi non è la popolazione a votare ma dei delegati. Poi la sconfitta di al-Shabaab è l’altro fattore necessario per dare un futuro, una speranza al Paese. É una situazione migliore rispetto agli anni passati; voglio ricordare che la Somalia è in guerra dal 1991, quando è caduto il regime di Siad Barre, ed ha attraversato periodi ancora peggiori, se mai possibile. Certo che il fattore tribale, in questo caso lo scontro tra i clan, non è mai finito e finché non viene meno prima di tutto questo aspetto, cioè l’incapacità dei clan somali di organizzarsi e di condividere e spartire il potere nell’interesse di tutto il Paese, non c’è futuro stabile per la nazione che non può indefinitamente dipendere da aiuti internazionali e da eserciti stranieri.

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Aumentano disuguaglianze in Italia: a rischio famiglie numerose

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Un quarto degli italiani è a rischio povertà o esclusione sociale. Lo comunica l'Istat nel suo report "Condizioni di vita e reddito". Le persone che vivono in famiglie con cinque o più componenti sono quelle più in difficoltà. Continua ad aumentare la distanza tra il Nord e il Sud del Paese e tra i redditi più modesti e quelli più sostanziosi. Il servizio di Francesco Gnagni: 

Il 28,7% delle persone residenti in Italia nel 2015 sono a rischio di povertà o esclusione sociale: è la dolorosa situazione descritta dall’Istat nel suo ultimo rapporto sulle condizioni di vita e il reddito degli italiani. Questo significa che queste persone si trovano davanti al rischio di povertà, di grave deprivazione materiale o di bassa intensità di lavoro.

Un dato pressoché stabile rispetto al 2014, che certifica però l’aumento, pur lieve ma comunque preoccupante, degli individui a rischio di povertà. L’area più esposta a questo problema è il  Mezzogiorno, dove la percentuale sale al 46,4%, e in aumento anche al Centro, da 22,1% a 24%, mentre al Nord si registra un lieve calo dal 17,9% al 17,4%. E le persone più a rischio sono quelle che vivono in famiglie numerose, con 5 o più componenti. Ne abbiamo parlato con Federica De Lauso, ricercatrice dell’ufficio studi di Caritas Italiana:

R. – Il segnale importante è che sicuramente non scende la percentuale delle persone che, in Italia, vivono in uno stato di vulnerabilità: quindi si parla ormai di quasi oltre il 28 per cento della popolazione che vive in uno stato di rischio. Quello che possiamo evidenziare e che i dati ultimi, pubblicati appunto dall’Istat ci confermano, è che in Italia si registra purtroppo una forte diseguaglianza di quelli che sono i redditi percepiti e cioè c’è in Italia una maggiore diseguaglianza dei redditi rispetto ad altri Paesi: siamo al 16.mo posto e siamo quindi oltre la media europea. E questo perché dal 2009 al 2014 c’è stata una contrazione dei redditi, in termini reali, che è stata molto più forte per le famiglie con redditi più bassi: c’è stato un calo del 13 per cento, a fronte di un calo medio del 9 per cento. Tutto questo ha portato ad un aumento della diseguaglianza tale che oggi le famiglie più benestanti vivono con un reddito che è quasi cinque volte il reddito delle famiglie più povere: c’è stato, quindi, un aumento di quello che è il divario tra famiglie più benestanti e famiglie povere.

D. – Un dato forte è quello sulle famiglie numerose, con 5 o più componenti, che sono tra le persone più a rischio…

R. – L’Istat differenzia le famiglie con cinque o più componenti, senza il dettaglio dei figli minori e quindi dove ci possono anche essere chiaramente anche anziani compresi nel nucleo familiare. Diversa è, invece, la situazione molto vulnerabile delle famiglie con minori, in cui addirittura il rischio di povertà e di esclusione sociale sale al 51,2 per cento. E’ chiaro che c’è un calo demografico, ma laddove ci sono i minori - e quindi i nuclei con figli minori – adducendo quel totale risulta molto alto il tasso di vulnerabilità.

D. – Quali sono le prime emergenze e dove lavorare per sanare queste ferite?

R. – Ribadiamo che l’unica strada percorribile è quella, appunto, di un piano pluriennale di contrasto alla povertà che dia un sostegno al reddito, che porti all’introduzione all’interno Paese di una misura che è universalistica – appunto di contrasto alla povertà - così come a Caritas Italia dice ormai da anni in linea con quella che è l’alleanza contro la povertà: quel cartello di oltre 35 realtà associativa e del mondo dei sindacati che cerca, appunto, di favorire l’introduzione di questo intervento di contrasto alla povertà strutturato.  

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Madre Teresa: meriti scientifici e grandi intuizioni sociali

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“Fede, scienza e carità. Madre Teresa e l’Università Cattolica”. Tema di un incontro ospitato nel Policlinico Agostino Gemelli, nell’ambito della mostra - allestita nello stesso Ateneo - dedicata alla spiritualità e al messaggio della Santa fondatrice della Missionarie della Carità, che nel 1981 fu insignita nell’Università del Sacro Cuore, a Roma, della Laurea Honoris causa in Medicina e chirurgia. Tra i relatori, il prof. Antonio Gasbarrini, ordinario di Patologia speciale medica e Semeiotica medica, chiamato ad illustrare i meriti scientifici di Madre Teresa? Roberta Gisotti lo ha intervistato: 

D. - Prof. Gasbarrini, certo siamo abituati a pensare Madre Teresa, come una santa, non come una scienziata, invece lo è stata?

R. – Santa Madre Teresa è stata geniale nelle sue intuizioni scientifiche. Lei ha cominciato la sua missione nel 1948; fino a quel momento lei era un’istitutrice: insegnava in una scuola ai figli dei coloni britannici. In quell’anno assiste, purtroppo, al grande massacro tra le comunità indù e musulmane e si rende conto del dramma che c’è al di fuori di quella scuola. A questo punto, comincia il suo mandato: c’era qualcosa fuori da quella scuola da fare! Va in qualche modo anche in contrasto con quello che una suora che insegnava nel 1948 poteva fare e decide di uscire, di andare sul territorio. Lei va direttamente negli slum di Calcutta - immaginate quali potevano essere le condizioni di vita e sanitarie - e si occupa all’inizio di igiene e di nutrizione. Questa credo che sia la più incredibile modalità con cui è cominciata quella che noi adesso chiamiamo ‘assistenza territoriale’, quando i nostri assistenti sanitari vanno nelle aree disagiate. Poi, con Kalighat, con la sua prima casa per i malati terminali, ha un’intuizione geniale: le persone che morivano negli slum, dovevano avere una dignità della morte. E lei inventa, in qualche modo per prima, l’hospice residenziale, cioè quelle strutture dove le persone, a fine vita – pensiamo ai malati oncologici o a quelli con importanti malattie croniche – devono andare per avere un’assistenza dignitosa e anche un fine vita dignitoso. E lei lo inventa nel 1950. Poi si occupa dei lebbrosi: capisce che i contagi vanno limitati, che bisogna stare in comunità ristrette; però poi bisogna anche dare la dignità del lavoro a queste persone. E quindi per prima, capisce l’importanza dei luoghi delimitati, con i volontari che permettono il reinserimento di queste persone. A 300 chilometri da Calcutta, nella città della pace, insegna ai lebbrosi a lavorare. E quindi si inventa in qualche modo la terapia occupazionale, che per noi è la normalità: pensate a un carcerato che deve essere reinserito nella società. E lei, nel 1960, già sperimenta la terapia occupazionale. Si occupa anche di disabili mentali: per prima capisce che devono essere portati fuori dalle strutture - i manicomi all’epoca erano delle strutture di contenzione di queste persone - e lei inventa dei luoghi dove si insegnava ai malati psichiatrici a scrivere, a leggere, gli si dava un lavoro. Ed un’altra intuizione incredibile, su cui combatte tutta la sua vita, riguarda la vita nascente: lei prende i bambini che tutti rifiutavano, che venivano lasciati per strada, e invece di relegarli in orfanotrofi, lei in maniera intuitiva - incredibile - capisce l’importanza dell’adozione: cioè del garantire una famiglia a questi bambini. Poi l’opera di Madre Teresa si espande ed esce dall’India, va nel mondo occidentale, si occupa di emarginazione, di alcolizzati, delle persone che sono escluse dalla società. E questo è quello che le Missionarie della carità stanno facendo nel nostro mondo, dove magari non ci sono delle malattie croniche o infettive incredibili, perché l’igiene funziona, ma dove degli emarginati non si occupa nessuno. Quindi, Madre Teresa non ha mai fatto nessuna grande scoperta, però ha capito, prima di tutte, i cardini dell’assistenza sociale, e lo ha fatto come poteva fare solo lei: in silenzio e con dedizione assoluta.

D. – Prof. Gasbarrini, dunque, fede, scienza, in questo caso scienza medica, scienza sociale e anche carità, non sono inconciliabili, ma è un modello nella prassi proponibile solo a persone eccezionali come Madre Teresa o a tutti gli operatori sanitari?

R. – A tutti gli operatori sanitari. Madre Teresa non ha mai voluto che quello che faceva lei rimanesse legato alla singola persona. Capite che un’altra intuizione geniale che ha avuto è che nelle sue case sparse per il mondo si applica sempre lo stesso modello: un modello scientifico e rigoroso; e lei lo ha capito forse prima di tutti. 

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Sindone tra scienza e fede: a Roma il Convegno "Vide e credette"

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“Vide e Credette”. La Sindone, scienza, fede e annuncio del mistero pasquale”. E’ questo il tema del Convegno internazionale che si terrà il 13 e 14 dicembre presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Oggi la presentazione nella sede della nostra emittente. Promosso tra gli altri dall’Istituto Scienza e fede, il convegno prevede il confronto tra diverse discipline in risposta agli interrogativi che il telo di lino conservato a Torino continua a suscitare. L’evento si svolge in occasione del decimo anniversario della mostra permanente “ Chi è l’uomo della sindone?” e ad un anno dalla scomparsa di un grande sindonologo, padre Héctor Guerra. Il servizio di Gabriella Ceraso

Un Convegno che parla a tutti con un obiettivo pastorale e divulgativo. “Ciò che conta” spiega padre Rafael Pascual Direttore dell’Istituto Scienza e Fede, “è comunicare la Sindone, è cosa questo prezioso telo di lino, ancora ci dice”:

“E’ far conoscere la Sindone al grande pubblico e vedere il modo più efficace per farlo capire. La Sindone ha un messaggio per l’uomo d’oggi, ma bisogna mediare questo messaggio e renderlo intellegibile per la gente”.

E sono diversi i canali individuati, in due giorni di lavori. Ci sarà l’indirizzo di insegnamento scolastico e catechistico, l'anali del rapporto con i mass media, ovvero chi e come parla della Sindone, e poi il focus su mostre e romanzi, perché la Sindone è anche racconto, come lo sono i Vangeli. 4 i romanzi che saranno presentati al Convegno:

“Un libro che è stato scritto in Messico, che ha come titolo ‘Il segreto di Torino’. Poi abbiamo due libri scritti dalla dott.ssa Ada Grossi: il primo ‘Il ladro di Dio’; e l’altro ‘Centoquarantanove anni’, che racconta il periodo in cui si sono perse un po’ le tracce della Sindone e che è una specie di ricostruzione ovviamente immaginativa di cosa sia successo negli anni dalla scomparsa a Costantinopoli alla sua riapparizione nel nord della Francia, a Lirey. E l’ultimo libro ‘Pietro, Giuseppe e il Lenzuolo’, scritto dal dott. Walter Memmolo, che presenta i primi anni della Sindone, come a dire cosa sarebbe successo con i Discepoli di Gesù cioè come hanno conservato, cercato di proteggere e di trasmettere la Sindone”.

A fare da sfondo al Convegno, la domanda principale che ancora tutti si pongono guardando il lino di oltre 4 metri, con impressa la doppia immagine di un corpo umano torturato:“ Ma chi è quest’uomo ?”. Ancora padre Rafael:

"Non è una risposta unica che noi vogliamo imporre. Vogliamo soltanto offrire gli elementi, gli strumenti e i dati, affinché ognuno possa poi dare questa risposta. Perché in realtà la Sindone è una sfida, come diceva Papa Giovanni Paolo II: una sfida all’intelligenza. E allora ognuno deve accogliere questa sfida e cercare di trovare la risposta. La cosa che mi sembra più significativa è che – da una parte – questa immagine è ancora incomprensibile per la stessa scienza e che – dall’altra – è evidente che questa immagine ci rimanda chiaramente al mistero di Gesù".

D. – C’è contrasto tra scienza e fede su questo lino?

R.- Io direi che c’è piuttosto una convergenza. La cosa che sorprende è proprio come la scienza si sia interessata: tanti scienziati si sono interessati alla Sindone e la stragrande maggioranza di questi scienziati ha trovato – proprio attraverso la Sindone – un modo per avvicinarsi alla fede e non di allontanarsi.

Anche il mondo della Scienza parlerà dunque al convegno presentando ricerche, tecnologie, studi medico legali. Nessun constrasto con la fede, anzi: il professor Paolo di Lazzaro, Fisico e Dirigente di Ricerca dell’Enea:

“Non daremo risposte. Il nostro scopo è quello di rendere noto che esiste questo oggetto, che rappresenta un grande punto interrogativo dal punto di vista della scienza ed è un oggetto di fronte al quale la scienza deve ammettere serenamente i propri limiti. Non è assolutamente possibile, né credo che sarà mai possibile ottenere una risposta definitiva se l’impronta dell’uomo della Sindone sia relativa al Gesù Nazzareno. Però bisogna ammettere che effettivamente i segni che troviamo sulla Sindone, anche specialmente da un punto di vista di medicina forense, sono esattamente la replica di quello che viene descritto nei Vangeli riguardo alle ultime ore di vita di Gesù”.

 

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 341

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.