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Sommario del 09/12/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: nel presepe rivediamo dramma migranti, solidali con i più deboli

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Papa Francesco ha ricevuto, stamani in udienza, nell’Aula Paolo VI, le delegazioni del Comune trentino di Scurelle – Associazione Foreste del Lagorai, e dell’arcidiocesi e del governo di Malta, donatori quest’anno rispettivamente dell’albero di Natale e del Presepe che campeggiano in Piazza San Pietro. 1500 circa le persone presenti, tra cui anche alcuni dei bambini che hanno realizzato le sfere che addobbano l’abete. A loro è andato il grazie di Francesco. Il servizio di Adriana Masotti

Un abete rosso alto 25 metri proveniente dalle montagne del Trentino, un Presepe formato da 17 figure con la tradizionale “croce di Malta” e il ‘luzzu’, tipica imbarcazione dell’arcipelago maltese. Il Papa esprime la sua riconoscenza per i doni che saranno ammirati in Piazza San Pietro dai pellegrini di tutto il mondo durante l’Avvento e le festività del Natale.

Nel presepe rivediamo il dramma dei migranti di oggi
Il suo commento riguardo al presepe va alla barca posta sulla scena che richiama anche la triste e tragica realtà dei migranti sui barconi diretti verso l’Italia:

"Nell’esperienza dolorosa di questi fratelli e sorelle, rivediamo quella del bambino Gesù, che al momento della nascita non trovò alloggio e venne alla luce nella grotta di Betlemme; e poi fu portato in Egitto per sfuggire alla minaccia di Erode".

Nel presepe un messaggio di fraternità e accoglienza
Francesco ricorda poi il messaggio di fraternità, di condivisione, di accoglienza e di solidarietà che porta ogni presepe:

"Anche i presepi allestiti nelle chiese, nelle case e in tanti luoghi pubblici sono un invito a far posto nella nostra vita e nella società a Dio, nascosto nel volto di tante persone che sono in condizioni di disagio, di povertà e di tribolazione".

Lasciamoci attrarre dalla bontà di Dio, contempliamo la sua misericordia
L’albero di Natale parla anche della bellezza delle montagne e invita a contemplare il Creatore e a rispettare la natura, opera delle sue mani. Papa Francesco sottolinea:

"Il presepe e l’albero formano quindi un messaggio di speranza e di amore, e aiutano a creare il clima natalizio favorevole per vivere con fede il mistero della Nascita del Redentore, venuto sulla terra con semplicità e mitezza. Lasciamoci attrarre, con animo di fanciulli, davanti al presepe, perché lì si comprende la bontà di Dio e si contempla la sua misericordia, che si è fatta carne umana per intenerire i nostri sguardi".

Nel pomeriggio, alle 16.30, la cerimonia di inaugurazione del Presepe e dell’albero che quest’anno rimarranno illuminati fino alla notte di domenica 8 gennaio 2017.

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Francesco: rigidità e mondanità, un disastro per i sacerdoti

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I sacerdoti siano mediatori dell’amore di Dio, non intermediari che pensano al proprio interesse. E’ il monito di Papa Francesco nell’omelia alla Messa mattutina a Casa Santa Marta, tutta incentrata sulle tentazioni che possono mettere a rischio il servizio dei sacerdoti. Il Papa ha messo in guardia dai “rigidi” che caricano sui fedeli cose che loro non portano. Ancora, ha denunciato la tentazione della mondanità che trasforma il sacerdote in un funzionario e lo porta ad essere "ridicolo". Il servizio di Alessandro Gisotti

Sono come bambini ai quali offri una cosa e non gli piace, gli offri il contrario e non va bene lo stesso. Papa Francesco ha preso spunto dalle parole di Gesù che, nel Vangelo odierno, sottolinea l’insoddisfazione del popolo, mai contento. Anche oggi, ha subito osservato il Pontefice, “ci sono cristiani insoddisfatti - tanti - che non riescono a capire cosa il Signore ci ha insegnato, non riescono a capire il nocciolo proprio della rivelazione del Vangelo”. Quindi, si è soffermato sui preti “insoddisfatti” che, ha avvertito, “fanno tanto male”. Vivono insoddisfatti cercano sempre nuovi progetti, “perché il loro cuore è lontano dalla logica di Gesù” e per questo “si lamentano o vivono tristi”.

No ai sacerdoti intermediari, sì a sacerdoti mediatori dell’amore di Dio
La logica di Gesù, ha ripreso, dovrebbe dare invece “piena soddisfazione” a un sacerdote. “E’ la logica del mediatore”. “Gesù – ha sottolineato – è il mediatore fra Dio e noi. E noi dobbiamo prendere questa strada di mediatori”, “non l’altra figura che assomiglia tanto ma non è la stessa: intermediari”. L’intermediario, infatti, “fa il suo lavoro e prende la paga”, “lui mai perde”. Totalmente diverso è il mediatore:

“Il mediatore perde se stesso per unire le parti, dà la vita, se stesso, il prezzo è quello: la propria vita, paga con la propria vita, la propria stanchezza, il proprio lavoro, tante cose, ma - in questo caso il parroco - per unire il gregge, per unire la gente, per portarla a Gesù. La logica di Gesù come mediatore è la logica di annientare se stesso. San Paolo nella Lettera ai Filippesi è chiaro su questo: ‘Annientò se stesso, svuotò se stesso’ ma per fare questa unione, fino alla morte, morte di croce. Quella è la logica: svuotarsi, annientarsi”.

Il sacerdote autentico, ha soggiunto, “è un mediatore molto vicino al suo popolo”, l’intermediario invece fa il suo lavoro ma poi ne prende un altro “sempre come funzionario”, “non sa cosa significhi sporcarsi le mani” in mezzo alla realtà. Ed è per questo, ha ribadito, che quando “il sacerdote cambia da mediatore a intermediario non è felice, è triste”. E cerca un po’ di felicità “nel farsi vedere, nel far sentire l’autorità”.

La rigidità porta ad allontanare le persone che cercano consolazione
Agli intermediari del suo tempo, ha aggiunto, “Gesù diceva che piaceva loro passeggiare per le piazze” per farsi vedere e onorare:

“Ma anche per rendersi importanti, i sacerdoti intermediari prendono il cammino della rigidità: tante volte, staccati dalla gente, non sanno che cos’è il dolore umano; perdono quello che avevano imparato a casa loro, col lavoro del papà, della mamma, del nonno, della nonna, dei fratelli… Perdono queste cose. Sono rigidi, quei rigidi che caricano sui fedeli tante cose che loro non portano, come diceva Gesù agli intermediari del suo tempo. La rigidità. Frusta in mano col popolo di Dio: ‘Questo non si può, questo non si può…’. E tanta gente che si avvicina cercando un po’ di consolazione, un po’ di comprensione viene cacciata via con questa rigidità”.

Quando il sacerdote rigido e mondano diventa funzionario finisce nel ridicolo
Tuttavia, ha ammonito, la rigidità “non si può mantenere tanto tempo, totalmente. E fondamentalmente è schizoide: finirai per apparire rigido ma dentro sarai un disastro”. E con la rigidità, la mondanità. “Un sacerdote mondano, rigido – ha detto Francesco – è uno insoddisfatto perché ha preso la strada sbagliata”:

“Su rigidità e mondanità, è successo tempo fa che è venuto da me un anziano monsignore della curia, che lavora, un uomo normale, un uomo buono, innamorato di Gesù e mi ha raccontato che era andato all’Euroclero a comprarsi un paio di camicie e ha visto davanti allo specchio un ragazzo - lui pensa non avesse più di 25 anni, o prete giovane o (che stava) per diventare prete - davanti allo specchio, con un mantello, grande, largo, col velluto, la catena d’argento e si guardava. E poi ha preso il ‘saturno’, l’ha messo e si guardava. Un rigido mondano. E quel sacerdote - è saggio quel monsignore, molto saggio - è riuscito a superare il dolore, con una battuta di sano umorismo e ha aggiunto: ‘E poi si dice che la Chiesa non permette il sacerdozio alle donne!’. Così che il mestiere che fa il sacerdote quando diventa funzionario finisce nel ridicolo, sempre”.

Un buon sacerdote si riconosce se sa giocare con un bambino
“Nell’esame di coscienza – ha detto poi il Papa – considerate questo: oggi sono stato funzionario o mediatore? Ho custodito me stesso, ho cercato me stesso, la mia comodità, il mio ordine o ho lasciato che la giornata andasse al servizio degli altri?”. Una volta, ha raccontato, una persona mi “diceva che lui riconosceva i sacerdoti dall’atteggiamento con i bambini: se sanno carezzare un bambino, sorridere a un bambino, giocare con un bambino… E’ interessante questo perché significa che sanno abbassarsi, avvicinarsi alle piccole cose”. Invece, ha affermato, “l’intermediario è triste, sempre con quella faccia triste o troppo seria, faccia scura. L’intermediario ha lo sguardo scuro, molto scuro! Il mediatore - ha ripreso - è aperto: il sorriso, l’accoglienza, la comprensione, le carezze”.

Policarpo, San Francesco Saverio, San Paolo: tre icone di sacerdoti mediatori
Nella parte finale dell’omelia il Papa ha quindi proposto, tre “icone” di “sacerdoti mediatori e non intermediari”. Il primo è il “grande” Policarpo che “non negozia la sua vocazione e va coraggioso alla pira e quando il fuoco viene intorno a lui, i fedeli che erano lì, hanno sentito l’odore del pane”. “Così – ha detto – finisce un mediatore: come un pezzo di pane per i suoi fedeli”. L’altra icona è San Francesco Saverio, che muore giovane sulla spiaggia di San-cian, “guardando la Cina” dove voleva andare ma non potrà perché il Signore lo prende a Sé. E poi, l’ultima icona: l’anziano San Paolo alle Tre Fontane. “Quella mattina presto – ha rammentato – i soldati sono andati da lui, l’hanno preso, e lui camminava incurvato”. Sapeva benissimo che questo accadeva per il tradimento di alcuni all’interno della comunità cristiana ma lui ha lottato tanto, tanto, nella sua vita, che si offre al Signore come un sacrificio”. “Tre icone - ha concluso - che possono aiutarci. Guardiamo lì: come voglio finire la mia vita di sacerdote? Come funzionario, come intermediario o come mediatore, cioè in croce?”.

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Omaggio all’Immacolata: il Papa prega per bambini, famiglie e lavoratori

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“Porto con me tutti coloro che il tuo Figlio mi ha affidato”. Così il Papa, nel tradizionale omaggio all’Immacolata in Piazza Mignanelli, accanto a Piazza di Spagna, a Roma. Francesco ha pregato ai piedi della statua della Vergine, circondato dalla folla che si è radunata sin dalla mattina. Ha invocato la tenerezza della Madre di Dio, portando e affidando alla Vergine i drammi e le difficoltà dei bambini, delle famiglie, dei lavoratori e degli ultimi. Ad accoglierlo, tra gli altri, il cardinale Agostino Vallini, vicario del Papa per la diocesi di Roma, il sindaco capitolino Virgina Raggi e il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti. Massimiliano Menichetti

Le note dell’Ave Maria di Lourdes hanno accompagnato l’arrivo del Papa in piazza Mignanelli, vicino Piazza di Spagna, dove sorge la colonna che sorregge la statua dell'Immacolata. Numerose le corone di fiori deposte sul piedistallo, lì davanti, il Papa ha sostato in preghiera: “Nel giorno della tua festa - ha detto - vengo a Te"  e "porto con me tutti coloro che il tuo Figlio mi ha affidato”, “perché Tu li benedica e li salvi dai pericoli”:

“Ti porto, Madre, i bambini, specialmente quelli soli, abbandonati, e che per questo vengono ingannati e sfruttati. Ti porto, Madre, le famiglie, che mandano avanti la vita e la società con il loro impegno quotidiano e nascosto; in modo particolare le famiglie che fanno più fatica per tanti problemi interni ed esterni”.

La preghiera per i lavoratori
Nella preghiera del Papa anche “tutti i lavoratori”, "chi per necessità, si sforza di svolgere un lavoro indegno - afferma - e chi il lavoro l’ha perso o non riesce a trovarlo”. Francesco ribadisce il “bisogno” dello “sguardo immacolato” di Maria, “per ritrovare la capacità di guardare le persone e le cose con rispetto e riconoscenza”, “senza interessi egoistici o ipocrisie”, parla della necessità del "cuore immacolato" della Madonna "per amare in maniera gratuita", “cercando il bene dell’altro”, “rinunciando a maschere e trucchi. “Abbiamo bisogno delle tue mani immacolate” – dice ancora il Papa – “per accarezzare con tenerezza”:

“Per toccare la carne di Gesù nei fratelli poveri, malati, disprezzati, per rialzare chi è caduto e sostenere chi vacilla”.

Non cedere allo scoraggiamento
“Abbiamo bisogno dei tuoi piedi immacolati - continua il Papa - per andare incontro a chi non sa fare il primo passo”, "per camminare sui sentieri di chi è smarrito, per andare a trovare le persone sole”. Quindi invoca la Vergine che ci ricorda “che prima di tutto c’è la grazia di Dio”, “l’amore di Gesù”, “la forza dello Spirito Santo che tutto rinnova”:

"Fa’ che non cediamo allo scoraggiamento, ma, confidando nel tuo costante aiuto, ci impegniamo a fondo per rinnovare noi stessi, questa Città e il mondo intero. Prega per noi, Santa Madre di Dio!".

La preghiera a Santa Maria Maggiore
Poi le litanie, il tradizionale omaggio floreale, quindi i saluti. Il Pontefice si è trattenuto con i tantissimi fedeli arrivati dalla mattina, i malati, i volontari, prima del trasferimento, come consuetudine, a Santa Maria Maggiore, per un momento di raccoglimento davanti all'immagine della Salus Populi Romani.

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Tweet Papa: impegnarsi affinché non accada più crimine di genocidio

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“Preghiamo per tutte le vittime di genocidio e impegniamoci affinché tale crimine non accada più nel mondo”. E’ il tweet di Papa Francesco pubblicato OGGI sul suo account Twitter in 9 lingue @Pontifex. Proprio il 9 dicembre del 1948 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottava la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio.

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Predica d’Avvento. P. Cantalamessa: peccatore è creatura di Dio

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Seconda predica di Avvento stamani nella Cappella Redemptoris Mater in Vaticano del predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, alla presenza di Papa Francesco e della Curia romana. Il tema delle meditazioni è “Beviamo, sobri, l’ebbrezza dello Spirito”: nella predica odierna, il cappuccino si è soffermato sullo Spirito Santo e il carisma del discernimento. Il servizio di Giada Aquilino

“Abbandonarci” allo Spirito Santo, che “dirige tutti” e “non è diretto da nessuno”, “guida” e “non è guidato”. Padre Raniero Cantalamessa prosegue così le riflessioni sull’opera dello Spirito Santo nella vita della Chiesa e del cristiano, soffermandosi in particolare sul significato del discernimento. All’origine, spiega il predicatore della Casa Pontificia, l’espressione indica il dono che permette di distinguere le parole “che vengono dallo Spirito di Cristo” da quelle che provengono da altri spiriti, cioè “dell’uomo”, “demoniaco” o “del mondo”. Con l’evangelista Giovanni il discernimento “comincia ad essere usato in funzione teologica”, come criterio per discernere “le vere dalle false dottrine, l’ortodossia dall’eresia”.

No al peccato, sì al peccatore
Padre Cantalamessa sottolinea come esistano due campi in cui esercitare il dono del discernimento della voce dello Spirito: quello ecclesiale e quello personale. La Chiesa, sulla spinta del Vaticano II, scruta i segni dei tempi alla luce del Vangelo, non per applicare “alle situazioni e ai problemi nuovi che emergono nella società” i rimedi e le regole “di sempre”, bensì per dare ad essi risposte nuove, “adatte ad ogni generazione”. In fatto di morale, la regola costante dell’agire di Gesù nel Vangelo - ricorda - si riassume in poche parole: “No al peccato, sì al peccatore”:

“Il peccatore è una creatura di Dio, fatta a sua immagine, e conserva la propria dignità, nonostante tutte le aberrazioni; il peccato, al contrario, non è opera di Dio, non viene da lui, ma dal nemico. È lo stesso motivo per cui Cristo si è fatto in tutto simile a noi, ‘fuorché nel peccato’”.

Avere fiducia nello Spirito Santo
Un fattore “importante” per assolvere il compito di discernimento dei segni dei tempi è - spiega padre Cantalamessa - la collegialità dei vescovi, apportando “la varietà delle situazioni locali e dei punti di vista, le luci e i doni diversi, di cui ogni chiesa e ogni vescovo è portatore”. D’altra parte, lo Spirito guida la Chiesa “a volte direttamente e carismaticamente”, attraverso rivelazione e ispirazione profetica, a volte “collegialmente, attraverso il paziente e difficile confronto, e perfino il compromesso, tra le parti e i punti di vista diversi”:

“Bisogna dunque avere fiducia nella capacità dello Spirito di operare, alla fine, l’accordo, anche se a volte può sembrare che l’intero processo sfugga di mano. Ogni volta che i pastori delle Chiese cristiane, a livello locale o universale, si riuniscono per fare discernimento o prendere decisioni importanti, dovrebbe esserci nel cuore di ognuno la fiduciosa certezza che il Veni creator ha racchiuso nei nostri due versi: Ductore sic te praeviovitemus omne noxium, ‘con te che ci fai da guida, eviteremo ogni male’”.

Per quanto riguarda il discernimento nella vita personale, lo Spirito Santo “aiuta a valutare le situazioni e orientare le scelte”, non solo in base a criteri di saggezza e prudenza umana, ma anche “alla luce dei principi soprannaturali della fede”.

Il discernimento non è una tecnica, un carisma
Sant’Ignazio, sottolinea il cappuccino, insegna a “porsi in uno stato di totale disponibilità ad accogliere la volontà di Dio”, con una esperienza di pace interiore che “diventa così il criterio principale in ogni discernimento”. Il “pericolo” di alcuni modi moderni di intendere e praticare il discernimento - aggiunge - è quello “di accentuare a tal punto gli aspetti psicologici” da dimenticare “l’agente primario di ogni discernimento”, cioè lo Spirito Santo:

“Lo Spirito Santo è lui stesso la volontà sostanziale di Dio e quando entra in un’anima 'si manifesta come la volontà stessa di Dio per colui nel quale si trova'. Il discernimento non è, nel suo fondo, né un’arte, né una tecnica, ma un carisma, cioè un dono dello Spirito! Gli aspetti psicologici hanno una grande importanza, ma ‘secondaria’, vengono cioè in secondo luogo”.

Lasciarsi scrutare sotto la luce di Dio
Lo Spirito Santo diffonde nell’anima la sua luce attraverso “la parola della Scrittura”:

“Accanto all’ascolto della Parola, la pratica più comune per esercitare il discernimento a livello personale è l'esame di coscienza. Esso però non dovrebbe essere limitato alla sola preparazione alla confessione, ma diventare una capacità costante di mettersi sotto la luce di Dio e lasciarsi ‘scrutare’ nell’intimo da lui”.

Ne nasce quindi una “rinnovata decisione di affidarci in tutto e per tutto alla guida interiore dello Spirito Santo”: ne abbiamo il più luminoso esempio nella vita stessa di Gesù, che – conclude il predicatore della Casa Pontificia – “non intraprese mai nulla senza lo Spirito Santo”.

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Udienze e nomine di Papa Francesco

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Le udienze e nomine di Papa Francesco. Consulta il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede.

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Sindaci europei in Vaticano: i rifugiati sono nostri fratelli e sorelle

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“Basta guerre, basta razzismo, basta morte”, lo ha detto con forza Ada Colau, sindaco di Barcellona e promotrice del Summit “Europa: i rifugiati sono nostri fratelli e sorelle”. L’incontro, oggi e domani nella Casina Pio IV, in Vaticano, è stato organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze. In un clima da veri “costruttori di pace”, i circa 80 sindaci invitati stanno scambiandosi esperienze e proposte sul tema dei flussi migratori. E per domani è prevista anche un’udienza papale. Il servizio di Eugenio Murrali: 

Uno scambio costruttivo, ma anche un momento di forte denuncia per il dolore che i sindaci, specialmente quelli in prima linea, incontrano nello sguardo dei richiedenti asilo. Prima a intervenire Virginia Raggi, che innanzitutto ha ringraziato Papa Francesco "per questa iniziativa, che è un'ulteriore conferma, se mai ce ne fosse bisogno, del grande ruolo di stimolo e di persuasione morale del suo pontificato sui temi di carattere sociale e umanitario". Quindi, ha ricordato come Roma sia una città votata all’accoglienza, ma che deve fare di più, specialmente per evitare lo scontro tra poveri. Intense le parole di Ada Colau, sindaco di Barcellona. Per lei è imperdonabile un’Europa che non accoglie:

“Le persone rifugiate non solo non sono un peso, ma sono venute a salvare noi, sono la nostra speranza di fronte a un’Europa i cui valori fondativi sono entrati profondamente in crisi, di fronte al populismo xenofobo e al nazionalismo egoista. Loro, continua la Adau, sono l’opportunità di costruire un’Europa più forte, autentico referente internazionale dei diritti umani".

Duro il sindaco di Lisbona, Fernando Medina, che si è scagliato contro l’assenza di volontà politica e ha ricordato come in passato alcuni Stati europei abbiano accolto grandi numeri di rifugiati. Spyros Galinos, sindaco di Lesbo, che insieme a Giusi Nicolini di Lampedusa è uno dei più impegnati nelle emergenze e nel primo soccorso di chi arriva sulle coste europee, ha detto che il nostro continente o è l’Europa dell’accoglienza e della democrazia o semplicemente non è Europa. Tante le testimonianze pratiche dell’accoglienza che le città offrono ai richiedenti asilo, ne hanno parlato, tra gli altri, il sindaco di Ginevra, di Berlino, di Dresda, di Valencia, di Madrid. Si è puntato il dito contro le guerre e i cambiamenti climatici, cause principali della sofferenza di chi fugge da violenza e povertà. Incisivo il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, che ha affermato:

"A Palermo non abbiamo migranti, perché, per una decisione del sindaco, chiunque arriva a Palermo diventa palermitano".

E non ha esitato a utilizzare il termine “genocidio” di fronte alla morte di tanti civili, nel nostro mare, nell’indifferenza di molti, e per colpa di un sistema che costringe chi fugge ad affidarsi alle mani criminali di chi spesso li consegna alla morte, certamente al dolore.

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Santa Sede e Mauritania stabiliscono relazioni diplomatiche

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La Santa Sede e la Repubblica Islamica di Mauritania, desiderose di assicurare mutui amichevoli rapporti, hanno deciso di comune accordo di stabilire tra di loro relazioni diplomatiche, a livello di Nunziatura Apostolica da parte della Santa Sede e di Ambasciata da parte della Repubblica Islamica di Mauritania.

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Oggi in Primo Piano



Siria: violata tregua ad Aleppo Est, fuggiti 8500 civili

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L'artiglieria delle forze del governo di Damasco continua a colpire i quartieri di Aleppo ancora in mano ai ribelli, nonostante l'annuncio russo di una pausa umanitaria. E’ quanto afferma l’Osservatorio siriano per i diritti umani. Intanto, l’Onu denuncia che in queste ore i gruppi dell’opposizione stanno impedendo ai civili di lasciare le zone orientali di Aleppo e segnala la scomparsa di centinaia di uomini e ragazzi in fuga nei giorni scorsi. Ieri, il ministro degli Esteri russo Lavrov aveva annunciato una pausa delle operazioni e circa 8500 civili, tra cui 3 mila bambini, hanno lasciato la parte Est della città nelle ultime 24 ore. E per oggi è atteso il voto dell'Assemblea generale dell'Onu su una bozza di risoluzione che chiede il cessate il fuoco e accesso agli aiuti. Sull’aspetto umanitario del conflitto e l’evoluzione della guerra, Marco Guerra ha sentito Paolo Branca, docente di Storia dei Paesi arabi e dell'Islam, dell'Università Cattolica di Milano: 

R. – Purtroppo, le guerre cosiddette moderne hanno dimostrato questo cinismo, in cui anche l’attacco alle città, ai civili, viene usato come strumento di pressione e questo intristisce: che dopo cinque anni di guerra di distruzione totale di un Paese come la Siria, si sia ancora a questo livello veramente infimo di consapevolezza che chi pianterà la sua bandiera, la pianterà su un cumulo di macerie.

D. – Assad parla della riconquista di Aleppo come di “una vittoria che non significa la fine della guerra”, e sembra che Damasco voglia andare avanti finché non avrà riconquistato tutte le roccaforti dei ribelli. Si allontana quindi una soluzione diplomatica della crisi siriana?

R. – Non so se sia mai stata vicina … Purtroppo, quando le guerre prendono questo carattere etnico-religioso, di fazioni opposte – abbiamo visto anche l’Iraq – fa pensare più a una guerra di distruzione totale del nemico. Questo è particolarmente grave in un posto fatto così, a mosaico, di popoli e di religioni come lo è la Siria; e soprattutto, la parte del presidente Assad, che avrebbe dovuto guidare una transizione e invece non ha fatto nulla per impedire la distruzione quasi totale del suo stesso Paese.

D. – La coalizione a guida Usa che ruolo sta giocando, in queste ultime settimane? E’ plausibile che la nuova amministrazione di Washington stia lasciando campo libero a Mosca e Damasco?

R. – Ma, di fatto è già così da tempo! Io avevo paura che, al di là della crisi umanitaria, ci sarebbe stata una crisi della politica internazionale, che forse sarebbe stata ancora più tragica. Insomma, vediamo come tutto il Medio Oriente, il Nord Africa – pensiamo anche alla Libia – vede praticamente l’assenza dell’Europa o anche degli Stati Uniti, e vecchi giocatori come la Russia di Putin stanno riguadagnando terreno in un’area che sta diventando un po’ marginale nei grandi giochi internazionali, perché tutto ormai si gioca sul Pacifico, nel braccio di ferro tra Stati Uniti e Cina. Noi, insieme ai nostri dirimpettai del Mediterraneo, stiamo diventando una sine cura in cui chiunque può lanciare le sue avventure, essendo poi tra l’altro quelli che pagano il prezzo con l’arrivo dei disperati che scappano.

D. – Diciamo che la Siria tornerà sotto l’influenza russa, come era prima della crisi?

R. – E’ dai tempi di Nasser che non si aveva una presenza russa così decisa nel Mediterraneo orientale; e anche i giochi con Erdogan mi pare che vadano in questa direzione. Ciò che preoccupa è la quasi indifferenza dei blocco occidentale che ha messo in piedi questa coalizione che è del tutto nominale; ma in realtà, ha lasciato il campo alle iniziative altrui …

D. – L’Onu, in queste ore, denuncia la scomparsa di centinaia di uomini fuggiti da Aleppo Est: è il momento delle ritorsioni, delle vendette … C’è il pericolo che questa crisi siriana, appunto, continui lungo la direttrice di una guerra civile senza fine?

R. – Purtroppo, il precedente dell’Iraq preoccupa: essendosi spaccato il Paese, anche se non nominalmente ma de facto in una zona curda al Nord e in una zona sunnita al Centro e sciita al Sud, il Paese non è più tornato a nessuna stabilità. La Siria non è così nettamente divisa in fasce d’influenza però, appunto, dicevamo prima, è un mosaico. Purtroppo, il carattere settario di questa guerra civile, che non è però divisa in fasce così precise come in Iraq, rende ancora più frastagliata, sul terreno, la situazione e le vendette trasversali possono addirittura passare di villaggio in villaggio, di quartiere in quartiere.

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Sud Corea: impeachment per corruzione della presidente Park

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Il Parlamento della Corea del Sud ha votato oggi a stragrande maggioranza per la messa in stato d’accusa per corruzione della presidente Park Geun-hye. L'impeachment dovrà ora essere confermato o meno dalla Corte Costituzionale di Seul entro sei mesi. Sulle conseguenze politiche della clamorosa svolta in Sud Corea, Giancarlo La Vella ha sentito Francesco Sisci, corrispondente per Il Sole 24 Ore dall’Estremo Oriente: 

R. - Secondo me è molto pericoloso per la stabilità di tutta la regione. Questo impeachment apre a un candidato di sinistra e potrebbe essere di quelli che hanno timore sia della Corea del Nord sia di una Cina molto più assertiva. Infatti, alle spalle di questo impeachment c’è la questione molto più delicata dei missili schierati dalla Sud Corea, insieme all’America, puntati nominalmente contro la Nord Corea, ma, in realtà, una minaccia, o comunque sentita come tale, anche dalla Cina. Il timore è che un prossimo presidente possa rimettere in discussione questi missili e aprire fratture imprevedibili. D’altro canto, una vittoria politica di questo tipo "ringalluzzirebbe" Kim Jong-un, il dittatore nordcoreano, provando, sia ai cinesi che a tutto il mondo, che la tattica dell’affermazione dura ha un peso in Sud Corea. Quindi, sarebbe una cosa, secondo me, molto delicata e molto pericolosa.

D. – Quindi, sulla questione sudcoreana si sta giocando una partita che coinvolge non solo la Nord Corea e la Cina, ma anche gli Stati Uniti di Trump?

R. – Assolutamente, sì. Ricordiamoci che proprio 15 anni fa, la presidenza allora di Bush jr cominciò con la negazione della politica dell’allora presidente sudcoreano Kim Dae-jung. Questa politica voleva aprire alla Nord Corea, ma poi venne smentita da Bush, che la usò anche per applicare crescenti pressioni, non solo sulla Nord Corea, ma anche sulla Cina. Poi, ci fu l’11 settembre e le cose cambiarono. Oggi, in qualche modo, mi sembra che molte cose in Asia siano tornate a quel gennaio del 2001. Paradossalmente, possono portare un aumento di tensione generalizzata nella regione, in cui la Sud Corea di nuovo potrebbe essere un elemento di particolare importanza.

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Rebus legge elettorale, riflessione del costituzionalista Ceccanti

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Proseguono le consultazioni al Quirinale dopo le dimissioni di Matteo Renzi. Adesso tra gli aspetti che dovranno affrontare le forze politiche italiane c'è la legge elettorale, per dare al Paese maggioranze stabili. Ma al momento ci sono due sistemi diversi per Camera e Senato. I particolari da Alessandro Guarasci

Al momento ci sono due leggi elettorali. Alla Camera l’Italicum che prevede un sistema proporzionale, soglia di sbarramento al 3%, cento collegi plurinominali con i capilista bloccati. C’è un premio di maggioranza di 340 seggi per la lista che ha superato il 40%, in caso contrario i due partiti più votati andranno al ballottaggio. Il 24 gennaio la Consulta però si dovrebbe esprimere su alcuni aspetti dell’Italicum. Al Senato invece c’è il Consultellum, un proporzionale puro con voto di preferenza, frutto di un intervento della Corte Costituzionale sulla legge Calderoli. Ma nel caso non si riuscisse a raggiungere un accordo in Parlamento si potrebbe andare a votare in queste condizioni? Sentiamo il costituzionalista Stefano Ceccanti:

R. – Si deve sempre poter votare, anche senza un intervento del parlamento in carica, perché altrimenti se ci fosse l’idea teorica di un vuoto e fosse necessario l’intervento del parlamento, questo potrebbe bloccare le elezioni e sopravvivere in eterno. In questo momento si andrebbe a votare con la legge "Italicum" per la Camera dei deputati, anche se è pendente un giudizio di fronte alla Corte Costituzionale, e si andrebbe a votare con il cosiddetto “Consultellum” al Senato, che scaturisce dalla sentenza della Corte. Lì, in teoria, ci sarebbe, un piccolo buco perché la Corte ha inserito la preferenza unica e occorrerebbe fare un decreto legge per colmare questo vuoto, ma sarebbe perfettamente legittimo perché la legge deve essere sempre operativa.

D. - Però non rischiamo un periodo di ingovernabilità? Avremmo due leggi elettorali completamente differenti …

R. - Si deve sempre poter votare, un altro conto è se sia opportuno votare. Ovviamente sarebbe opportuno votare nel momento in cui le due leggi fossero spinte a convergere, se non ad essere addirittura identiche. Dobbiamo però capire una cosa: il fatto che le leggi siano molto simili o identiche, è una garanzia di razionalità del sistema, perché tutte e due le Camere a questo punto, dopo il referendum, devono dare la fiducia al governo. Ma che esca fuori dalle urne un risultato coerente in ambedue le camere può anche non accadere, nel senso che i giovani tra i 18 e i 25 anni votano solo alla Camera; anche con una legge identica possono uscire maggioranze diverse. Infine con legge a base proporzionale è altamente improbabile che escano fuori maggioranze alle urne. Quindi in qualche modo bisognerà cercare di comporre delle coalizioni post-voto senza la garanzia che questo succeda.

D. - Secondo lei è possibile trasporre l’Italicum anche al Senato come vorrebbero i Cinque Stelle?

R. - Mi sembra che questo sarebbe politicamente inopportuno, almeno fino alla sentenza della Corte costituzionale.

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Pakistan: per i bambini cristiani la scuola è un sogno

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Per i bambini cristiani, l’istruzione in Pakistan non è un ‘diritto’. Sulla carta è garantita una educazione scolastica che nella realtà non trova alcun riscontro. In molti non dispongono di libri né di alcun materiale scolastico, negli istituti manca addirittura l'acqua e ad aggravare pesantemente le loro condizioni c'è un forte clima discriminatorio. Clarissa Guerrieri ne ha parlato con Stefano Vecchia, giornalista esperto di questioni asiatiche: 

R. – Ci sono tre ordini di problemi riguardo l’educazione: il primo è quello della povertà, il secondo è legato al fattore socio-culturale che riguarda in particolar modo le bambine - circa il 62 percento delle bambine che frequentano le elementari  poi subisce una decimazione quando passa alla scuola media; soltanto il 24 percento delle donne in Pakistan risulta alfabetizzata -; il terzo fattore è di tipo religioso, socio-religioso. La povertà costringe quindi le famiglie a mandare i loro figli in scuole di basso livello che risulta in una carenza di istruzione adeguata.

D. - In che modo vengono aiutati e soprattutto da chi?

R. – Un sostegno governativo. C’è poi un prelievo annuale di fondi da un apposito bilancio destinato alle minoranze meno privilegiate.

D. – Per i bambini cristiani le difficoltà aumentano. Sa spiegarci come mai c’è questo enorme limite in Pakistan?

R. - Purtroppo negli ultimi anni la situazione si è aggravata, le tensioni socio-religiose hanno influenzato in maniera molto forte le comunità. Le aggressioni degli ultimi anni hanno creato una situazione veramente difficile per i battezzati.

D. - Come mai le autorità pakistane ignorano quello che accade?

R. - Negli ultimi tempi in realtà stanno dando dei segnali di reazione, però le difficoltà sono tante. Adesso anche le organizzazioni non governative si trovano in difficoltà.

D. - Lei pensa che il governo aiuterà questi giovani con progetti nelle scuole in futuro?

R. - Non ci sono progetti specifici. Il Paese ha delle leggi che sulla carta sono buone leggi. Mancano i fondi adeguati. Quindi la questione è proprio questa: il Paese deve ritrovare uno slancio anche ideale, che di conseguenza renda disponibile delle risorse finanziarie e umane per un vero sviluppo.

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Giornata contro la corruzione: serve impegno per la trasparenza

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Si celebra oggi in tutto il mondo la Giornata internazionale contro la corruzione, istituita nel 2003 dall’Onu per sensibilizzare l’opinione pubblica a livello globale sulle conseguenze del problema. Anche Papa Francesco aveva lanciato un appello contro la corruzione, durante l'udienza generale di mercoledì scorso. Francesco Gnagni ne ha parlato con Alberto Vannucci, docente all’Università di Pisa ed esperto di corruzione politico-amministrativa: 

R. - Abbiamo diversi indicatori che purtroppo danno segnali abbastanza sconfortanti, nelle classifiche di percezione del fenomeno degli esperti siamo al penultimo posto in Europa; altri indicatori – è uscito proprio oggi, Giornata mondiale delle corruzione – una rilevazione di Eurobarometro che mostra come il 98 per cento degli imprenditori italiani ritiene che la corruzione sia una pratica diffusa nei contatti con la Pubblica amministrazione; è la più alta percentuale in Europa. Sul versante dell’anticorruzione i segnali sono contrastanti, nel senso che è stato messo sicuramente in campo per la prima volta uno sforzo istituzionale cospicuo, consistente; basti pensare all’istituzione dell’Autorità nazionale anticorruzione. Questo grande sforzo, in qualche modo, stenta ancora a tradursi in risultati concreti, misurabili. La stessa Autorità anticorruzione nel fare una valutazione di queste politiche anticorruzione, sottolinea come molto spesso l’approccio prevalente sia di tipo formalistico; si parla di una cultura dell’adempimento, cioè questi piani si approvano perché lo si deve fare, ma di fatto nessuno va a verificare che in qualche modo la trasparenza degli strumenti e l’integrità dell’azione amministrativa sia effettivamente garantita. Questa delusione affiora anche da quel sondaggio che descrivevo prima: il 71 per cento dei cittadini italiani ritiene lo sforzo del governo nell’impegno all’anticorruzione totalmente insoddisfacente. Anche qui è una percentuale altissima, una tra le più alte a livello europeo.

D. - Questo in qualche modo potrebbe essere un bilancio di quello che è stato fino ad oggi l’operato dell’Anac, l’autorità anticorruzione?

R. - No, a mio giudizio, la percezione diffusa riflette soprattutto forse la parziale delusione per la difficoltà di tradurre questo impegno in risultati verificabili e misurabili. È presto, in realtà, per misurare i risultati di un lavoro come quello dell’Autorità nazionale anticorruzione che è un lavoro difficilissimo, di prevenzione, che deve andare ad incidere su una cifra culturale; un orientamento diffuso che si traduce poi in un insieme di valori che dovrebbero in qualche modo caratterizzare l’impegno all’interno dell’attività politica della vita amministrativa i cui effetti si possono produrre soltanto nel medio-lungo periodo.

D. - Papa Francesco non perde occasione per denunciare la corruzione, paragonandola prima ad una droga che uccide, che crea povertà, poi a una forma di bestemmia e, più recentemente, ha detto che per combattere la corruzione bisogna incominciare dalle coscienze personali. È cosi? C’è anche un lavoro culturale a fare?

R. - Assolutamente sì. Credo che le parole di Papa Francesco siano tra quelle più alte nobili e analiticamente condivisibili dal punto di vista scientifico. Lui ha descritto il fenomeno della corruzione come una sorta di realtà che dà assuefazione; ha parlato delle tangenti come di una droga, ha descritto i processi di autolegittimazione di chi si lascia coinvolgere in questa realtà, come di uno dei fattori che in qualche modo creano una barriera che la rendono impermeabile anche a quello che dovrebbe essere il più potente antidoto: la sensazione che i corrotti in fondo stanno tradendo il mandato di fiducia che hanno ricevuto dalla loro comunità; e che quindi ciò che portano a casa, il frutto delle tangenti, è un pane sporco, come lo ha definito Papa Bergoglio con un’immagine – secondo me – straordinaria. Quindi credo che il lavoro da fare investa soprattutto il profilo dei valori che dovrebbero animare l’azione di chi opera ad ogni livello e soprattutto nel mondo della politica, dell’amministrazione, ma anche della società, del mondo dell’economia. Quindi, far capire che questa realtà della corruzione si associa inevitabilmente a un venir meno di quella dignità che si associa al lavoro onesto – come l’ha descritta Papa Bergoglio – che viene fatto nell’intesse non solo proprio ma anche della comunità nella quale si vive.

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Cento anni fa nasceva Aldo Moro

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Il 9 dicembre di 100 anni fa nasceva Aldo Moro. Le Istituzioni italiane lo ricordano come illustre rappresentante della politica italiana del '900 cui ha dedicato la sua vita sin dalla sua iscrizione poco più che ventenne alla Fuci, la federazione degli universitari cattolici. Tra i fondatori della Democrazia Cristiana, è stato presidente del Consiglio e ministro degli Esteri nei difficili anni '70 che si concluderanno col suo rapimento e l’uccisione da parte delle Brigate Rosse. Come ricordare questa figura oggi e quale il suo lascito? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Massimo Bray, già ministro dei Beni culturali e oggi presidente dell’Istituto Treccani: 

R. – Protagonista della nostra storia, un grandissimo statista nella storia europea ed internazionale che capisce quelli che sono i cambiamenti sociali, che vede aprire prima al centro-sinistra, al Partito socialista con cui ha un dialogo fitto, e poi addirittura al Partito comunista. Fa tutto questo sempre con questa capacità di tenere sempre unito il Paese. Moro capisce che bisogna avvicinare le classi dirigenti ai cittadini, che la politica deve saper ascoltare, … Ci sono dei passi bellissimi in cui lui ci dice di fare attenzione, perché la mediazione non vuol dire compromesso e il compromesso non vuol dire cercare di rallentare il corso della storia; bisogna invece mettere a fuoco gli obiettivi dopo aver ascoltato quelle che sono le aspettative dei cittadini. Questo è il Moro che mi piace ricordare.

D. – C’era qualcosa di Moro che dava fastidio?

R. – Penso che ciò che dava fastidio di Moro fosse, da una parte, questa capacità di ricercare sempre una sintesi nella politica, che forse è quello che abbiamo smarrito oggi; questo ovviamente vuol dire aver molta pazienza, mettersi in discussione, avere un forte spirito critico per veder i limiti e – in quel momento – i limiti di alcune politiche anche della Democrazia cristiana.

D. - Cosa, di quel mondo, secondo lei è rimasto a livello di convinzioni, di energie, di impegno?

R. – Credo che dal punto di vista antropologico il Paese sia cambiato; non c’è più questa capacità di fare sintesi, di fare sistema, di lavorare insieme per raggiungere gli obiettivi, non c’è più la capacità di mettersi in discussione, di saper anche riuscire a sorprendere con delle aperture importanti. Oggi c’è quasi questa contrapposizione tra leader, quindi tra personalità legate a forti individualità; è davvero molto diverso da quello che pensava Moro. Tutto questo è avvenuto – credo – perché la politica si è piegata probabilmente ad altri interessi, non ha saputo né interpretarli né correggerli né guidarli. Però, credo che gran parte degli scenari che vediamo di fronte a noi – che mi preoccupano e non posso condividere - sono dovuti a questa debolezza della politica.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 344

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.