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Sommario del 10/12/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: no a modello di sviluppo che pensa solo agli affari

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Lo sviluppo agricolo è fondamentale eppure oggi viene orientato verso modelli che guardano solo agli affari. E’ il monito levato da Papa Francesco nell’udienza ai partecipanti alla riunione dell’ICRA, l’Associazione Internazionale Rurale Cattolica. Il Papa ha messo in guardia da una produzione che mette a rischio i ritmi della vita agricola. Ha quindi auspicato che si usi “tenerezza” anche nel rapporto con il Creato. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Un lavoro a volte molto faticoso, ma compiuto nella consapevolezza di fare qualcosa per gli altri, coltivando con passione la terra per garantirne i frutti”. Papa Francesco ha sottolineato così l’importanza di chi lavora nel settore rurale.

Cambiamenti climatici aggravati da negligenza umana
Ha così rilevato il paradosso di “un’agricoltura non più considerata settore primario dell’economia, ma che mantiene una evidente rilevanza nelle politiche di sviluppo” e anche “negli squilibri della sicurezza alimentare come pure nella vita delle comunità rurali”. Francesco non ha mancato quindi di rilevare che molti disagi sono causati da “cambiamenti climatici, purtroppo aggravati dalla negligenza umana”.

No al sacrificio dei ritmi della vita agricola in nome degli affari
In alcune aree geografiche, infatti, ha sottolineato il Papa, “lo sviluppo agricolo resta la principale risposta possibile alla povertà e alla scarsità di cibo”. Questo però, è il suo ammonimento, “significa rimediare” all’“iniqua acquisizione di terre la cui produzione è sottratta ai legittimi beneficiari, ad ingiusti metodi speculativi o alla mancanza di politiche specifiche, nazionali e internazionali”:

“Guardando il mondo rurale oggi, emerge il primato della dimensione del mercato, che orienta azioni e decisioni. Gli affari, anzitutto! Gli affari, anzitutto … Anche a costo di sacrificare i ritmi della vita agricola, con i suoi momenti di lavoro e di tempo libero, del riposo settimanale e della cura della famiglia. Per quanti vivono la realtà rurale questo significa constatare che lo sviluppo non è uguale per tutti, come se la vita delle comunità dei campi avesse un valore più basso”.

“La stessa solidarietà, largamente invocata come rimedio – ha proseguito – è insufficiente se non è accompagnata dalla giustizia nell’attribuzione delle terre, nei salari agricoli o nell’accesso al mercato”. Per i piccoli contadini, ha aggiunto con rammarico, “la partecipazione alle decisioni resta lontana, per l’assenza delle istituzioni locali e la mancanza di regole certe che riconoscano come valori l’onestà, la correttezza e soprattutto la lealtà”.

Evitare l’incauto ricorso a tecniche che mettono a rischio la biodiversità
Quindi, ha incoraggiato le organizzazioni di ispirazione cattolica ad avere “un ruolo propositivo” che “aiuti il mondo rurale a non rimanere ai margini delle decisioni politiche, dei piani normativi o dell’azione nei diversi settori della vita sociale e dell’economia”. Ed ha sostenuto la posizione dei membri dell’ICRA “giustamente critici sul modello orientato all’agribusiness", ma ponendo "l’accento piuttosto sui bisogni reali, secondo le condizioni delle persone e dei luoghi”:

“Questo permette di evitare non solo perdite e sprechi nella produzione, ma anche l’incauto ricorso a tecniche che, in nome di un abbondante raccolto, possono eliminare la varietà delle specie e la ricchezza della biodiversità, anche… non si sa le conseguenze sulla salute umana. Quando vediamo tante cosiddette ‘malattie rare’ che non si sa da dove vengono, dobbiamo pensare …”.

Avere tenerezza anche nel nostro rapporto con il Creato
Il Papa ha concluso il suo discorso raccontando un “aneddoto personale”, un colloquio con un contadino che gli raccontava della potatura degli olivi:

“Un contadino semplice che coltivava le olive. E quando mi raccontava il modo come lo faceva, vi assicuro che io ho visto lì tenerezza; aveva quel rapporto con la natura. E potava i suoi alberi come se fosse il papà: con tenerezza. Che non si perda questo rapporto con la natura, con il Creato. Questo ci dignifica tutti”.

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Papa a seminaristi: siate uomini di relazione, con lo sguardo di Gesù

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“Essere un uomo di relazione”: chi si prepara al sacerdozio deve prendere questa decisione nel suo cuore. Lo sottolinea Papa Francesco nel discorso consegnato alla Comunità del Pontificio Seminario Regionale Pugliese Pio XI, oltre 300 persone, ricevute nella Sala Clementina, fra loro numerosi seminaristi. Francesco chiede a chi si prepara a diventare sacerdote di vigilare sul rischio del narcisismo e di non escludere nessuno. Il servizio di Debora Donnini

I seminaristi vigilino sul rischio del narcisismo
L’appartenenza al Signore, alla Chiesa e al Regno, propria del ministero del sacerdote, non si improvvisa ma deve essere coltivata negli anni del Seminario. Francesco riprende questa riflessione sul ministero dei presbiteri, espressa già durante l’Assemblea dei vescovi italiani della scorsa primavera. La stessa parola appartenenza significa “sentirsi parte di un tutto”. Per fare questo, però, avverte il Papa, bisogna smettere di “pensare che io sia il tutto della mia vita”: 

“Il primo ostacolo da superare è dunque il narcisismo. È la tentazione più pericolosa. Non tutto inizia e finisce con me, posso e devo guardare oltre me stesso, fino ad accorgermi della bellezza e della profondità del mistero che mi circonda, della vita che mi supera, della fede in Dio che sostiene ogni cosa e ogni persona, anche me”.

I futuri sacerdoti si preparino a essere uomini di relazione, senza paura di sporcarsi le mani
Non bisogna quindi avere paura di risparmiarsi o di perdere qualcosa di noi. Senza vigilare sul rischio di essere narcisisti, “nessun cammino vocazionale è realmente possibile”. Appartenere significa anche “saper entrare in relazione”. Papa Francesco chiede quindi ai futuri sacerdoti di prepararsi a essere uomini di relazione e che questa sia la prima meta formativa. Man mano che l’ordinazione si avvicina, bisogna verificare se la propria capacità relazionale sta crescendo, perché la costruzione della comunità che un giorno i sacerdoti guideranno, “inizia nella vita di tutti i giorni in seminario”:

“Non sentitevi diversi dai vostri coetanei, non ritenete di essere migliori degli altri giovani, imparate a stare con tutti, non abbiate paura di sporcarvi le mani. Se domani sarete preti che vivono in mezzo al popolo santo di Dio, oggi iniziate ad essere giovani che sanno stare con tutti, che sanno imparare qualcosa da ogni persona che incontrano, con umiltà e intelligenza. E alla base di tutte le relazioni ci sia la relazione con Cristo: man mano che lo conoscete, che lo ascoltate, che vi legate a Lui nella fiducia e nell’amore, fate vostro il suo amore, mettetelo nei rapporti con gli altri, diventate ‘canali’ del suo amore attraverso la vostra maturità relazionale”.

Appartenere significa anche rivolgere a tutti lo sguardo misericordioso di Cristo
Il luogo in cui cresce la relazione con Cristo è infatti la preghiera e il frutto più maturo di questa è la carità. Infine appartenere significa non scartare nessuno e perdonare:

“Chi cresce nell’appartenenza a Cristo e scopre in Lui uno sguardo che si rivolge a tutti, come può nel suo stile di vita essere un uomo che esclude? Iniziate dalla vita comune che fate in seminario: c’è qualcuno che è escluso? Che rimane ai margini? La vostra appartenenza a Cristo vi chiede di andargli incontro, di portarlo al centro, di aiutarlo a sentirsi anche lui parte della comunità”.

Francesco conclude il discorso con un avvertimento: l’abbondanza di vocazioni, che vive il Seminario Regionale pugliese Pio XI, è anche una responsabilità: “occorre stare attenti alla qualità del cammino formativo, i numeri non bastano”.

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Altre udienze e nomine

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Per le altre udienze e nomine odierne consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Spadaro: Papa avanti con le riforme con serenità

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Questa domenica alle 23.15 andrà in onda su Sky Atlantic un docufilm su Papa Francesco. Un programma realizzato con la collaborazione di padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica. Sergio Centofanti lo ha intervistato: 

R. – Non si tratta di un film in senso tradizionale; si tratta di un documentario che cerca di valorizzare la prospettiva dei fedeli su Papa Francesco. Quindi abbiamo i margini anche non ben definiti, anche un po’ sgranati, ma fatti dai fedeli e costruiti e montati in maniera decisamente artistica: l’influsso, per esempio, di Martin Scorsese è molto chiaro. Si costruisce così un percorso che è profondamente intimo, profondamente umano, di un Papa che non è un Papa simpatico, “nice” - come a volte si dice - come se fosse dolce, un po’ dolciastro; ma al contrario, viene fuori l’immagine di un Papa che vive una dimensione profondamente drammatica della storia. Quindi, diciamo, un documentario, un docu-film di profonda e grande intensità e assolutamente originale.

D. – Ci sono parole inedite del Papa in questo docu-film?

R. – Non ci sono parole inedite nel senso proprio del termine; si tratta di una raccolta di audio del Papa - che vengono ascoltati per la prima volta - che si trovano all’interno di alcune interviste. Tra queste c’è anche la mia del 2013, la prima lunga, grande intervista a Papa Francesco in cui si fanno ascoltare per la prima volta alcune sue parole, che però corrispondono perfettamente al testo che è stato trascritto, quindi in questo senso non c’è l’elemento inedito, ma c’è un elemento inedito in audio e in video.

D. – Il Papa compirà 80 anni il prossimo 17 dicembre. Lei è molto vicino al Papa: come si sta avvicinando a questa importante data, anche nel contesto del dibattito che continua a suscitare l’Esortazione apostolica “Amoris Laetitia”?

R. – Per noi è una data importante: lui vive – ha sempre vissuto, del resto – questi appuntamenti con grande serenità e con grande pace. Direi che il suo ottantesimo compleanno per lui sarà un giorno come altri. Certamente una cosa però chiede, un regalo: la preghiera. L’ha sempre fatto, continua a farlo. Come vive questi giorni? Direi con grande, assoluta tranquillità. Il Papa sa perfettamente che il processo di riforma della Chiesa, se effettivo, crea e sviluppa delle tensioni che è bene che si esprimano, in qualche modo. Quindi direi che è un Papa sereno che chiede di pregare per sé e per la Chiesa.

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Santa Sede all'Osce: l'esclusione causa guerre e violenze

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Si è svolto l’8 e il 9 dicembre ad Amburgo il 23.mo vertice ministeriale dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa). Presenti tutti i ministri degli Esteri dei 57 Paesi membri e degli 11 Stati partner. Al centro, i principali temi economici e politici del panorama internazionale. In primis, la lotta al terrorismo globale e la guerra in Siria, nonché la questione del disarmo e le restrizioni ai diritti umani in molte aree del mondo. A rappresentare la Santa Sede è stato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.

La radice di ogni male è l'esclusione
Esclusione. È il nemico occulto della pace e dunque della sicurezza. Quello che scava dietro la facciata degli “impegni solenni”, generando discriminazioni di tutti i tipi e corruzione, quindi assenza di diritti, la morte della dignità delle persone, la paura, la ribellione, la guerra. Una filiera del male dal costo sociale abnorme, che mons. Gallagher denuncia con un intervento dai passaggi intensi. Sono “diversi – afferma – i conflitti che continuano a traumatizzare alcune parti della regione dell’Osce”, anche perché, sottolinea, in certi casi neanche le “Missioni speciali” dell’organismo di sicurezza e cooperazione continentale “sono capaci di mantenere il cessate-il-fuoco o assicurare l’attuazione degli accordi raggiunti”, come per esempio in Ucraina, uno dei “conflitti congelati” dello scacchiere mondiale. Il risultato è un desolante orizzonte che, “da est a ovest di Vienna”, mostra – osserva mons. Gallagher, una preoccupante e “continua presenza di crimini e atti di odio”, di “intolleranza”, di varia natura. Dove alligna l’esclusione, elenca, scaturisce il campionario degli orrori, “il traffico umano, la vendita di organi e tessuti umani, lo sfruttamento sessuale di ragazzi e ragazze, il lavoro schiavo, compresa la prostituzione, il commercio di droghe e armi, il terrorismo ed il crimine organizzato internazionale".

Donne e religioni, artefici di pace
Dunque, pace e sicurezza per l’Europa sono una questione di inclusione sociale ed economica, per le quali il segretario per i Rapporti con gli Stati invoca con un senso di urgenza “passi concreti” e “misure immediate”. E ne indica alcuni direttamente, rinnovando anzitutto la richiesta di “un maggiore coinvolgimento delle donne” nella “prevenzione e nella risoluzione dei conflitti”. E, analogamente, una nuova considerazione del “ruolo costruttivo delle religioni”. Altro che ritenere le fedi come “fattore negativo nella società”: mons. Gallagher bolla come “falsa” questa “idea diffusa” e piuttosto ricorda come in tempi recenti il dialogo costruito da Papa Francesco abbia portato a “risultati promettenti” in Africa e America Latina e ricorda anche il caso emblematico della lettera spedita nel 1965 dai vescovi polacchi a quelli tedeschi, gesto fondamentale per la “riconciliazione” post bellica tra le due nazioni.

Non abbandonare i migranti
Il rappresentante vaticano stigmatizza la piaga della corruzione (dove c’è, si produce “violenza” e “sono i poveri a soffrire”), quindi affronta anche il nodo delle migrazioni. La sostanza non cambia. “Questi movimenti – dice senza giri di parole – sono la conseguenza di disuguaglianze sociali ed economiche, conflitti violenti, catastrofi ambientali e naturali”, di “persecuzioni religiose ed etniche”. Chi lascia la propria terra per un’altra, ripete mons. Gallagher, non deve essere trattato “come una minaccia alla stabilità e alla sicurezza nazionale” e quindi abbandonato “allo sfruttamento da parte di persone senza scrupoli”. Piuttosto dei migranti, sostiene, va “riconosciuto e affermato il contributo notevole e positivo che danno ai Paesi riceventi”.

Buon governo e connettività
La Santa Sede, chiosa mons. Gallagher, “apprezza gli sforzi per costruire un consenso sulla decisione del Consiglio ministeriale in merito al rafforzamento del buon governo e alla promozione della connettività”. Sarebbe “uno strumento – commenta – molto utile per affrontare gli aspetti più ampi dell’esclusione economica e sociale”. (A cura di Alessandro De Carolis)

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Inaugurati in Piazza San Pietro albero di Natale e presepe

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Un abete rosso alto 25 metri proveniente dal Trentino e un presepe donato da Malta che rappresenta il dramma dei migranti. Questi i simboli del Natale 2016 in San Pietro. Inaugurati ed illuminati ieri pomeriggio, resteranno in piazza fino al prossimo 8 gennaio. Il servizio di Michele Raviart: 

La banda della Gendarmeria vaticana accompagna l’inaugurazione del Presepe e dell’Albero di Natale in Piazza San Pietro. Il primo, donato da Malta e realizzato dall’artista Manwel Grech, è composto da 17 figure. Tra i simboli che ricordano l’isola del Mediterraneo, il “luzzu”, la tipica imbarcazione locale. Queste le parole del cardinale Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato della Città del Vaticano:

"Dagli albori del cristianesimo, quando Paolo Apostolo naufragò nel suo viaggio a Roma per esservi giudicato, Malta è terra del Vangelo. E’ significativa poi la presenza di un barcone, con il quale i migranti tentano di sfidare il mare per raggiungere l’Europa in cerca di un rifugio o di un futuro migliore".

Come ha ricordato il Papa nell’udienza che ha preceduto l’inaugurazione i presepi allestiti nelle chiese, nelle case e nei luoghi pubblici “sono un invito a far posto nella nostra vita e nella società a Dio”. Spiega mons. Charles Scicluna, arcivescovo di Malta, citando una delle figure del Presepe:

"Quel pastore che dorme sotto la casa maltese, col balcone con la Croce di Malta, è un po’ tutti noi, che siamo distratti: c’è il pericolo che il Natale passi e che noi continuiamo a dormire, a non partecipare all’evento della grazia e della misericordia".

L’albero di Natale, un abete rosso di 85 anni, proviene dal comune di Scurelle, nella Valsugana trentina. Per la prima volta si tratta di una pianta ecosostenibile. Lo stesso giorno in cui è stato abbattuto sono stati piantati 49 nuovi alberi, a dimostrare l’attenzione ai ritmi della natura. A decorare l’albero, le ceramiche dei bambini in cura nei i reparti oncologici degli ospedali italiani. Mons. Lauro Tisi, arcivescovo di Trento:

"L’altezza di questo albero e la sua collocazione accanto al Presepio di Malta, me lo fa immaginare anche un po’ come un faro, un faro che diventa in questa ora un po’ difficile, per non dire difficile della storia, presenza e luce. E il suo essere accanto alla Grotta mi permette di dare un nome a questa luce: Gesù di Nazareth".

All’accensione dell’albero, la gioia dei fedeli presenti:

R. - Come ogni anno nell’albero, nelle luci, si vede sempre una speranza.

R. - In questo mondo pieno di conflitti rappresenta una guida, un abbraccio, la possibilità di mandare un messaggio di pace da questo posto meraviglioso e fantastico come San Pietro!

D. – Quest’anno l’albero è ecosostenibile? Che significato ha per lei questo?

R. – Noi veniamo dalle Cinque Terre, dove c’è il presepe fatto con le luci a risparmio energetico. E quindi è importante rinnovare questi simboli, però con un occhio anche alla sostenibilità.

D. – Il presepe richiama direttamente i migranti: che cosa può rappresentare per loro?

R. – Per i migranti certamente rappresenta un punto di speranza: quello che molti, anche tra noi, hanno vissuto nel trasferirsi in altri posti.

R. - La barca simboleggia i migranti che vengono in Europa in cerca di una vita migliore. È Cristo che viene ad abitare in questo mondo di oggi e che vuole portare sempre lo stesso messaggio di pace.

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Oggi in Primo Piano



Diplomazia al lavoro sulla Siria: si cerca l'intesa politica

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Diplomazia a lavoro, in queste ore a Parigi e a Ginevra, per tentare di salvare Aleppo dalla distruzione totale. Nella città siriana l’offensiva del governo, supportato da Mosca, contro i ribelli asserragliati nei quartieri orientali, è alla stretta finale. Oltre 1.200 i ribelli che si sarebbero arresi e circa 50 mila i civili evacuati. Intanto i miliziani del sedicente Stato Islamico sono tornati a minacciare la città di Palmira. Il servizio di Gabriella Ceraso:

La fragile tregua umanitaria proclamata da Mosca giovedì si sarebbe conclusa in poche ore già nelle serata di ieri, ma avrebbe permesso, stando a fonti russe, ad almeno 50 mila civili di uscire dai quartieri di Aleppo Est grazie ai corridoi umanitari. Bombardamenti, colpi di artiglieria e raid sarebbero in seguito ripresi: almeno 15 le vittime oggi. Ora da Parigi dove europei, statunitensi, Paesi arabi, sono a colloquio, si viene a sapere che le forze di opposizione siriane anch’esse presenti al tavolo sarebbero pronte a riprendere i negoziati con il regime "senza pre-condizioni” per un'autentica transizione politica. Poi sarà la volta dei colloqui militari sempre oggi, ma a Ginevra tra statunitensi e russi per trovare una soluzione per un effettivo cessate il fuoco. Intanto la guerra continua anche intorno ad Aleppo, innanzitutto a Palmira dove l’Is, che ha perso uno dei suoi leader, l’ideatore degli attacchi a Charlie Hebdo, ucciso dai raid Usa a novembre, è tornato a colpire impossessandosi di siti strategici. Quale dunque il futuro ad oggi di Aleppo e del resto della Siria? Lo abbiamo chiesto a Camille Eid, giornalista libanese del quotidiano Avvenire

R. – Mi sembra che il destino di Aleppo sia già segnato. La sua caduta segnerà sì un punto a favore di Assad, ma non la fine della guerra. La città di Aleppo si trova in una zona che è quasi completamente accerchiata o dai ribelli, ad Ovest, o dall’Is, ad Est. Quindi bisognerà lavorare – militarmente purtroppo – per riprendere il controllo dell’intera provincia di Idlib.

D. – Guerra o contro i ribelli o contro l’Is. Proprio l’Is si sta ripresentando a Palmira. C’è il dubbio che si possa ricominciare proprio da capo?

R. – Forse proprio l’occupazione della città non la vedo come una cosa immediata. Però l’Is è rimasto comunque nei dintorni, e negli ultimi giorni ha dimostrato tutta la sua capacità, occupando diversi pozzi di petrolio o siti strategici. Non si può quindi parlare di colpi di coda, ma di una vera e propria capacità militare, perché sta dimostrando di riuscire a resistere sia nella zona di Palmira che a Nord di Aleppo che nella città di Mosul.

D. – Lei sostiene anche che le pressioni che l’Is sta ricevendo in Siria e in Iraq lo starebbero portando a guardare più verso Oriente, in particolare alle Filippine. Ci sarebbe proprio una proclamazione imminente di una nuova provincia del gruppo terroristico lì…

R. – Questo però non vuol dire attualmente che i capi dell’Is pensino di trasferirsi; anche se chiaramente è sottintesa una forte ripresa delle azioni militari.

D. – Ma perché proprio nelle Filippine? Ci sono margini diversi, margini di manovra più ampi? Non mi sembra, perché mi pare che Duterte abbia già dichiarato loro guerra su tuti i fronti, no?

R. – Esattamente; però possiamo parlare di un terreno abbastanza “fertile”, nel senso che quando si parla di Filippine si intende l’isola meridionale di Mindanao, dove da decenni cova sotto le ceneri una rivolta della popolazione musulmana. Per cui ci sono diversi gruppi che hanno giurato fedeltà al Califfato e lì, guidati dall’Is, potrebbero tornare alla ribellione. Sono ipotesi: ci sono chiaramente diversi punti – in Africa piuttosto che nello stesso Medio Oriente – nello Yemen o in altri luoghi – che potrebbero “sostituire” il terreno perso dall’Is in Siria e in Iraq.

D. – Oggi giornata di lavoro della diplomazia: in base a quello che sta succedendo ad Aleppo cambieranno i termini in cui si svolgono questi colloqui?

R. – Chiaramente si tratta di un tempo perso. Nel giro di poche settimane ci sarà una nuova amministrazione americana; per cui gli americani puntano sull’educazione dei loro esperti presenti ad Aleppo Est. Per quanto riguarda la vittoria di Assad, si tratta di capire se l’amministrazione americana sarà disposta ad arrivare a un compromesso, e concentrare quindi tutti gli sforzi contro l’Is. Oppure se continueremo ad assistere alla vittoria di una parte su un fronte e a quella dei suoi rivali sull’altro fronte. In questo modo – chiaramente – la guerra non potrà avere fine.

D. – Esiste un’opposizione moderata ad Assad con un progetto credibile di transizione politica?

R. – I moderati, che all’inizio della rivolta contro Assad rappresentavano il nuovo volto di una Siria democratica, più realista hanno ora un ruolo molto attenuato. Continuano ad apparire a livello mediatico; ma il loro peso sul terreno, in un momento in cui sono le armi a dettare la politica, purtroppo non lo vedo un progetto credibile.

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Francia: siti pro-vita, sale protesta contro legge bavaglio

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In Francia fa discutere la proposta di legge per oscurare i siti pro-life che propongono alternative all’aborto. Sul provvedimento,  già approvato in uno dei due rami del parlamento, hanno espresso perplessità o aperta opposizione anche molte testate laiche come "Le Monde", che parlano di legge liberticida e misura bavaglio. Marco Guerra ne ha parlato con il direttore di "Famille Chrétienne", Antoine-Marie Izoard

R. – Siamo di fronte a un governo che, non avendo la possibilità – e comprendiamone anche il perché, è così per tutti i governi, oggi come oggi – di affrontare i problemi del lavoro, i problemi economici, delle imprese e così via, di fare grandi, enormi riforme strutturali, allora si è preso la libertà di fare riforme di società, riforme ideologiche e a questo punto abbiamo avuto la legge del “mariage pour tous”, del matrimonio per tutti, e poi abbiamo questa legge, stranissima, del rifiuto ad alcuni siti di proporre altro che l’aborto. Abortire, in Francia, è possibile dal 1974, ma se questo diritto diventa un diritto fondamentale, vuol dire che in Francia non possiamo dire o proporre alle donne altro che l’aborto ... E allora sono nati questi siti perché c’era il nulla nel consigliare le donne che avrebbero voluto riflettere un po’, prendersi del tempo – magari non tanto – ma prendersi il tempo di comprendere cosa sia una gravidanza. Quando uno va sui siti del governo o del Ministero della Sanità, che propongono informazioni sull’aborto, sulla cosiddetta “Ivg” (interruption volontaire de grossesse), l'interruzione volontaria della gravidanza, si arriva alla conclusione che sia l’unica via possibile perché uno non vede che esiste la possibilità di tenersi il bambino. I siti pro-life danno informazioni precise su cosa sia un aborto e su cosa significhi tenere un bambino e quali siano le possibilità di accompagnamento delle mamme. E’ una cosa che i siti del governo non fanno. E allora, ovviamente, c’era questo buco, questo passaggio in cui i siti pro-life si sono inseriti. Poi, c’è un’altra cosa da sapere. Io ho letto su alcuni siti del governo francese, del Ministero della Salute, degli articoli incredibili: non si parla del feto, non si parla del bambino, non si parla dell’embrione, neanche delle cellule; si parla del contenuto della gravidanza. Siamo arrivati a usare termini che fanno schifo – chiedo scusa per questa parola – ma siamo arrivati a non poter dire, a non poter nominare il bambino, il feto, il fatto che ci sia una vita, lì … E allora parliamo del contenuto della gravidanza. A questo punto siamo arrivati, proprio a delle cose incredibili …

D. – Anche alcuni intellettuali della sinistra e alcuni giornali liberal si sono schierati contro questo provvedimento. Quindi, nell’opinione pubblica francese c’è un acceso dibattito su questo tema …

R. – Se alcuni intellettuali, alcuni filosofi o persone di sinistra incominciano a reagire a questo progetto, è perché si vede che sui siti del governo non c’è tutta l’informazione che dovrebbe esserci. Si parla solo del diritto all’aborto e di come procurare un aborto. E basta. Non si parla di tenere il bambino, non si parla del bambino, non si nomina nemmeno, il bambino; si parla di contenuto della gravidanza.

D. – Cosa succederebbe se entrasse in vigore questa legge per una testata come quella che lei dirige, “Famille Chrétienne”? Ci sarebbero effetti negativi reali, subito?

R. – Allora: qualcuno dice che non solo i siti pro-life sono minacciati di chiusura da questa legge, ma anche i siti come la mia rivista, “Famille Chrétienne”, che domani potrebbe pubblicare un articolo sull’accompagnamento delle mamme … domani il governo potrebbe decidere di chiuderli. Penso che questo forse sia esagerato, ma un pizzico di minaccia lo sentiamo: sentiamo la minaccia alle nostre spalle, a questo punto.

D. – La legge prevede due anni di reclusione e 30 mila euro di multa per chi fa questa propaganda pro-life

R. – E’ una legge bavaglio che ti impedisce di pronunciarti per una via diversa da quella dell’aborto. Io non capisco – e in questo riprendo anche quanto detto dall’arcivescovo di Parigi, il cardinale Vingt-Trois – non capisco come il governo sia così radicale su queste tematiche ideologiche e non faccia niente per chiudere siti integralisti, di radicalizzazione jihadista e così via. Ci sono dibattiti che sono proprio vietati. Noi, a “Famille Chrétienne”, la settimana prossima proponiamo un dossier proprio su questo: sui dibattiti vietati, sul fatto che ormai c’è un pensiero unico corretto politico, secondo cui non si deve parlare di queste cose …

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Diritti umani sempre più negati: vita, libertà di coscienza, migrazioni

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Nella Giornata mondiale dei Diritti umani il Papa ha pubblicato questo tweet: “Lavoriamo tutti con decisione perché nessuno sia escluso dall’effettivo riconoscimento dei diritti fondamentali della persona umana”. La Giornata è un'occasione per ricordare quanti vedono calpestati i propri diritti, innanzitutto il primo diritto, quello alla vita, ormai negato in un silenzio quasi generale. Ci sono poi i diritti fondamentali al cibo, all'assistenza sanitaria, alla casa, al lavoro, conculcati a centinaia di milioni di persone. Sempre più negato anche il diritto alla libertà religiosa, unito alla libertà di coscienza e di espressione, libertà violate perfino nei Paesi occidentali che più fanno vanto di essere tolleranti e democratici. Per questa Giornata, la Caritas Italiana ha pubblicato un Dossier dal titolo "Divieto di accesso. Flussi migratori e diritti negati", dove si spiega il dramma di chi non ha né diritto di migrare né diritto di restare nel proprio Paese. Il rapporto si concentra in particolare sull’Africa. Il servizio di Marina Tomarro: 

Sono 244 milioni i migranti presenti nel mondo, di questi il 43% è nato in Asia, il 25% in Europa, il 15% in America Latina e solo il 14% in Africa. Nonostante questi dati però l’Africa risulta come uno dei continenti a più alto tasso di migrazione. Ascoltiamo il commento di Paolo Beccegato, vicedirettore di Caritas italiana e tra gli autori del dossier:

R. – Certamente l’Africa è quella parte di mondo dove i diritti umani sono meno garantiti. Quest’anno, in particolare, abbiamo messo a fuoco il tema del diritto di restare nella propria terra e anche del diritto di migrare; perché in alcuni momenti per una persona, una famiglia, ma anche per intere porzioni di popolazione, questa diventa l’unica possibilità per vivere. Quindi è un diritto a vivere. In Africa si concentrano tutta una serie di fenomeni, in particolare quelli migratori, ma che sono correlati con altri: penso al tema delle guerre, del cambiamento climatico e dell’inquinamento antropico - quindi causato direttamente dall’uomo - soprattutto con riguardo a quei Paesi dell’Africa che sono diventati un po’ la “spazzatura” del mondo. Ecco, abbiamo messo questi fenomeni sotto i riflettori, denunciando la lesione dei diritti umani fondamentali di queste persone.

D. - Spesso chi decide di migrare lo fa a causa della povertà estrema o per sfuggire ai conflitti e alle violenze che negli ultimi anni hanno segnato Paesi come il Sud Sudan, la Repubblica Centrafricana e il Burundi. Le destinazioni principali dei rifugiati, che sono il 4,1% della popolazione africana, sono l’Etiopia, l’Eritrea e il Kenya. Tra le destinazioni extracontinentali al primo posto c’è l’Europa, che nel 2015 ha visto l’arrivo di nove milioni di migranti africani. Tanti sono gli abusi subiti da queste persone per riuscire a scappare. Infatti, il 74% dei migranti durante il viaggio subisce la detenzione, mentre il 53% rimane vittima della tratta. Le difficoltà continuano anche una volta giunti alla meta...

R.  – Certamente la restrizione, cioè una normativa via via sempre più stringente verso l’afflusso di migranti: persone che emigrano sia per motivi legati alla povertà o alla ricerca di una vita migliore, ma anche i richiedenti asilo e i rifugiati in senso stretto. Questa restrizione riduce spesso queste persone ad uno stato di irregolarità, che significa mancanza di documenti, visti o permessi di soggiorno. E quindi il problema principale è certamente quello di ricondurre queste situazioni a percorsi di legalità; spesso anche le Chiese locali e la Caritas accompagnano le persone nella difesa dei propri diritti, perché certamente non è una colpa l’essere povero o in fuga da una guerra. Ovviamente, poi, si trovano quasi sempre a fare dei lavori molto umili, molto spesso in nero o senza le tutele di sicurezza a cui i cittadini dei rispettivi Paesi sono invece sottoposti o ai quali vengono garantite. E quindi spesso si trovano a fare quei lavori anche più rischiosi della loro vita.

D. - Fondamentale diventa allora anche il ruolo delle istituzioni per favorire una immigrazione che sia sempre più a favore della dignità umana...

R. – Globalmente parlando, tutti sappiamo come la migrazione sia una ricchezza per i Paesi che ospitano, ancor più quando i Paesi ospitanti hanno situazioni, come accade in Europa o in Italia, con un saldo demografico negativo. Il problema è la demagogia: cioè l’identificare talvolta queste persone come il capro espiatorio di mali ben più profondi e ben diversi delle società di accoglienza. Ecco perché una visione molto più ampia e lungimirante probabilmente è la cosa più importante a cui puntare, a partire dalla scuola stessa. Il mondo è sempre andato avanti così: mischiando provenienze diverse di persone. E queste mescolanze hanno sempre fatto fare dei salti anche nello sviluppo umano integrale delle persone. Quindi, non solo costringere chi arriva ad adeguarsi, come spesso si dice, a chi già è in un posto; ma costruire insieme il proprio futuro prendendo le parti migliori degli uni e degli altri.

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Nigeria: nello Stato di Borno, grave emergenza malnutrizione

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In Nigeria, ancora un attentato del gruppo terrorista Boko Haram, legato all’Is. Ieri due donne kamikaze si sono fatte esplodere in un mercato di Madagali, nello Stato di Adamawa, nel Nord-Est del Paese, provocando 45 morti e 33. Intanto, nel confinante Stato di Borno, dilaniato da scontri tra Boko Haram e l’esercito nigeriano, una terribile emergenza colpisce la popolazione, che ha urgente bisogno di cibo e cure mediche. Un'indagine effettuata da Medici Senza Frontiere in due degli undici campi rifugiati della città di Maiduguri, da maggio a ottobre 2016, ha rivelato che fino al 50 per cento dei bambini soffre di malnutrizione acuta. Il Programma Alimentare Mondiale dell'Onu sta intervenendo con un "Meccanismo di risposta rapida" portando cibo salva-vita e sostegno nutrizionale nei luoghi più remoti e inaccessibile degli Stati di Borno e Yobe, attraverso team di specialisti e prevede di fornire sostegno a quasi 300 mila persone. Sulla difficile situazione che sta vivendo la popolazione, Elvira Ragosta ha intervistato Massimo Alberizzi, direttore di Africa-express.info: 

R. – La situazione è drammatica, perché la gente muore e non ha da mangiare. Ma è anche difficile, perché gli aiuti in qualche caso ci sono, ma sono bloccati, fermi da qualche parte perché è impossibile raggiungere coloro che ne hanno bisogno.

D. – Ma come risolvere il problema delle aree in cui le Ong non riescono ad accedere?

R. – Il problema è che Boko Haram non accetta neanche le Organizzazioni non governative. I contatti ci sono ovviamente, sia tra le Ong che tra il governo e le organizzazioni governative. Ma Boko Haram non accetta che gli aiuti umanitari, i quali servono anche e soprattutto alla popolazione, non passino attraverso il loro controllo. Quindi c’è la fame che è usata come arma. Se la popolazione muore di fame, sta male o comunque si trova in una situazione disagiata, Boko Haram ci guadagna, e cinicamente utilizza questa politica per fare in modo poi che la popolazione si schieri contro il governo, un po’ perché non capisce, un po’ perché preda della propaganda degli stessi Boko Haram che dicono: “Vedi: il governo non ti aiuta…”

D. – Ecco, poi il problema ricade sulla popolazione. Secondo la denuncia di Medici Senza Frontiere sono "scomparsi" i bambini sotto i cinque anni nello Stato di Borno. Quindi si parla di una generazione annientata…

R. – Ormai lì non si va più a scuola, si cresce fuori dalla società in qualche modo. La gente scappa e cambia anche all’interno dello stesso Paese. Questo vuol dire perdere il lavoro, non andare a scuola, non fare le vaccinazioni: ecco, tutto un complesso di cose dovuto al terrorismo. Terrorismo vuole dire terrore: si “terrorizza” la popolazione, la quale, pur di sopravvivere ovviamente rinuncia anche ai servizi essenziali come le scuole. Già è difficile andare al mercato a fare la spesa; infatti a Madagali la bomba è stata messa in un mercato ortofrutticolo.

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Chiese svizzere: vivi non hanno diritto di decidere su vita nascituri

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“La protezione della dignità umana non ha nulla a che vedere con libertà di disporre di se stessi: al contrario, essa precede sempre l’autodeterminazione. L’essere umano non può garantire da sé la propria dignità, è dunque sempre la dignità altrui che occorre proteggere”. È quanto affermano le Chiese svizzere in una dichiarazione congiunta l’odierna Giornata mondiale dei diritti umani.

Una parte dell’umanità può arrogarsi il diritto di decidere della vita altrui
“In numerosi ambiti, come la migrazione, la mondializzazione e il commercio internazionale, il cambiamento climatico e la tutela dell’ambiente, o ancora l’inizio e la fine della vita, il rispetto dei diritti umani non è una cosa scontata”, sottolineano i leader cristiani. “Il motivo per cui l’esigenza etica dell’indisponibilità della dignità umana è generalmente rifiutata è che essa costituisce un ostacolo al progresso scientifico e tecnico e all’attività economica”. Ma “questo potere discrezionale ha un prezzo che viene pagato dalle persone che non possono disporre della propria vita perché non hanno né potere politico, né possibilità economiche”. Ed è così che “una parte dell’umanità può arrogarsi il diritto di decidere della vita altrui: i sazi decidono la sorte degli affamati, i potenti quella dei deboli, i vivi quella di chi non è ancora nato. Forse – si osserva - in un futuro non tanto lontano anche le persone anziane dovranno giustificare la loro pretesa di vivere nella nostra società godendo dello stesso rispetto e degli stessi diritti di chi conduce una vita produttiva”.

La dignità umana non si costruisce
Per questo, secondo le Chiese cristiane elvetiche, occorre rivedere radicalmente questa visione: “La disponibilità della dignità umana eretta a dogma nega a quest’ultima il posto che le spetta nel mondo, perché la dignità pertiene proprio a ciò che deve sempre restare fuori dalla portata dell’uomo. Essa non si costruisce: non può che essere riconosciuta come tale”, conclude il messaggio. (A cura di Lisa Zengarini)

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Vescovi irlandesi: diritto alla vita non è negoziabile

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I vescovi irlandesi esprimono un parere nettamente contrario all’abrogazione dell’ottavo emendamento della Costituzione (articolo 40.3.3), introdotto nel 1983, che equipara la vita della donna a quella del nascituro. Per la sua soppressione premono le associazioni pro-aborto nel Paese e il Governo di Dublino ha deciso di sottoporre la questione all’Assemblea dei Cittadini (An Tionól Saoránach), organismo consultivo creato quest’anno con il compito di presentare pareri su specifici temi da discutere in Parlamento.

L’articolo 40.3.3 stabilisce un giusto bilanciamento di diritti
Per questo la Conferenza episcopale irlandese ha preparato una relazione presentata ieri alla stessa assemblea, in cui espone le ragioni del no all’abrogazione. Intitolato “Two Lives, One Love” (Due vite, un amore), il documento sarà disponibile nelle prossime settimane in tutte le parrocchie. Oltre a riaffermare il principio della sacralità della vita umana dal concepimento alla morte naturale e la grave immoralità dell’aborto “in tutte le circostanze”, il testo evidenzia che l’emendamento costituzionale sancisce un “giusto bilanciamento di diritti”: quello della madre e quello del nascituro che, in tutte le fasi del suo sviluppo, è a tutti gli effetti una persona.

Il diritto alla vita un diritto umano fondamentale non negoziabile
I vescovi irlandesi ricordano che il diritto alla vita è un diritto umano fondamentale e, a differenza dei diritti civili, non è “concesso” da una società, ma può essere solo “riconosciuto” da un ordinamento. L’abrogazione dell’articolo 40.3.3, si sottolinea, “non avrebbe altro scopo che quello di sottrarre tale diritto ad alcune categorie di nascituri. Ma fare questo significa modificare radicalmente il principio, valido per tutti i nascituri e di fatto per tutti noi, che il diritto alla vita è un diritto umano fondamentale” .

La terminologia usata nel dibattito pubblico per legittimare l’aborto
I vescovi esprimono preoccupazione anche per il linguaggio usato nel dibattito pubblico in riferimento ai nascituri: termini tecnici come ‘feto’, ‘embrione’ o ‘zigoti’ vengono strumentalizzati per “spersonalizzare alcune categorie di bambini non nati in modo da normalizzare l’aborto”. Migliaia di irlandesi, si osserva ancora nel documento, “sono vivi grazie alla all’ottavo emendamento”.

L’abolizione  non porterà alcun beneficio neanche alle donne irlandesi
“L’articolo 40.3.3 della Costituzione irlandese – scrivono in conclusione i presuli – riflette una visione basata sul rispetto del diritto alla vita di ogni persona. Crediamo che la cancellazione dell’ottavo emendamento non avrà altro effetto che quello di esporre i bambini non nati a un rischio maggiore, mentre non porterà alcun beneficio alla vita e alla salute delle donne in Irlanda”. Di qui l’appello ai membri dell’Assemblea dei Cittadini di raccomandare al Governo di non modificarlo. (A cura di Lisa Zengarini)

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Commento di don Sanfilippo al Vangelo della III Domenica d'Avvento

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Nella terza Domenica d’Avvento, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Giovanni il Battista, trovandosi in carcere, manda i suoi discepoli a chiedere a Gesù se sia lui il Messia. Il Signore risponde:

«Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». 

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo, presbitero della diocesi di Roma: 

Chi accoglie l’invito dell’Avvento a preparare la strada al Signore che viene, incontra inevitabilmente tentazioni e prove necessarie a forgiare e accrescere la fede. Aumenta il nervosismo in famiglia, appaiono difficoltà impreviste nel lavoro, insorge qualche problema di salute, oppure, debolezze morali inaspettate ci umiliano, non senza alcuni momenti d’ansia e timore. Ed è proprio questa l’occasione di cui il nostro avversario si approfitta per infonderci nell’animo scoraggiamento e dubbi sull’amore di Dio, e facciamo fatica a riconoscere la presenza di Cristo nella quotidianità. È accaduto a Giovanni il Battista che arriva ad interrogare il Signore: “ Sei tu, o dobbiamo aspettarne un altro?”. Ma Gesù prontamente risponde: “Guarda il frutto della tua sofferenza: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, ai poveri è annunciato il Vangelo!”. Ecco cosa avviene attraverso questo combattimento spirituale: riscopriamo che tutto concorre al bene, Dio trasforma i problemi in benedizioni; torniamo a percorrere speditamente le strade della misericordia; siamo purificati dalle nostre mormorazioni lamentose e ritroviamo la forza per annunciare il Vangelo con i fatti e le parole. Fiumi di grazie, infatti, saranno effusi nei nostri cuori inariditi. “E beato colui che non si scandalizza di me”.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 345

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.