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Sommario del 11/12/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: per Siria una scelta di civiltà. Sì a pace, no a distruzione

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Non dimentichiamo Aleppo: questo l’appello del Papa all’Angelus, in cui ha chiesto di fare una scelta di pace per tutti coloro che stanno soffrendo a causa della guerra e della distruzione. Francesco ha anche pregato per i morti e per i feriti della violenza in altri Paesi del mondo, come l'Egitto e, nell’approssimarsi del Natale, ha invitato ad aprirsi alla gioia profonda nell’attesa dell’arrivo del Signore. Servizio di Francesca Sabatinelli

E’ un drammatico appello quello che Francesco lancia dopo l’Angelus, per ricordare che nella Siria tutta, e ad Aleppo in particolare, vi sono persone che soffrono. Ogni giorno sono vicino a loro, dice il Papa, soprattutto nella preghiera:

“Non dobbiamo dimenticare che Aleppo è una città, che lì c’è della gente: famiglie, bambini, anziani, persone malate… Purtroppo ci siamo ormai abituati alla guerra, alla distruzione, ma non dobbiamo dimenticare che la Siria è un Paese pieno di storia, di cultura, di fede. Non possiamo accettare che questo sia negato dalla guerra, che è un cumulo di soprusi e di falsità. Faccio appello all’impegno di tutti, perché si faccia una scelta di civiltà: no alla distruzione, sì alla pace, sì alla gente di Aleppo e della Siria”.

Il pensiero del Papa è andato anche agli "efferati attacchi terroristici" che hanno colpito, nelle ultime ore, diversi luoghi tra i quali Il Cairo, in Egitto, dove un attentato in una chiesetta, nei pressi della cattedrale copta di San Marco, ha provocato decine di morti e feriti:

"Diversi sono i luoghi, ma purtroppo unica è la violenza che semina morte e distruzione, e unica è anche la risposta: fede in Dio e unità nei valori umani e civili. Vorrei esprimere una particolare vicinanza al mio caro fratello Papa Tawadros II e alla sua comunità, pregando per i morti e i feriti".

In questa terza domenica di Avvento, Francesco richiama all’invito di San Paolo a rallegrarsi nel Signore, spiegando che si tratta di gioia profonda:

“Non è un’allegria superficiale o puramente emotiva quella alla quale ci esorta l’Apostolo, e nemmeno quella mondana o quella allegria del consumismo, no, non è questa, ma si tratta di una gioia più autentica, di cui siamo chiamati a riscoprire il sapore, il sapore della vera gioia. E’ una gioia che tocca l’intimo del nostro essere, mentre attendiamo Gesù che è già venuto a portare la salvezza al mondo, il Messia promesso, nato a Betlemme dalla Vergine Maria”.

Di fronte ad una situazione di desolazione, di un destino inesorabile senza Dio, prosegue il Papa, come quella raccontata da Isaia, la salvezza è annunciata dalla venuta del Signore, che tutto trasforma, che “afferra tutto l’essere umano e lo rigenera”:

“Dio è entrato nella storia per liberarci dalla schiavitù del peccato; ha posto la sua tenda in mezzo a noi per condividere la nostra esistenza, guarire le nostre piaghe, fasciare le nostre ferite e donarci la vita nuova. La gioia è il frutto di questo intervento di salvezza e di amore di Dio".

Tutti i cristiani sono chiamati a farsi coinvolgere dal sentimento di esultanza: 

"Un cristiano che non è gioioso, qualcosa manca a questo cristiano, o non è cristiano! La gioia del cuore, la gioia dentro che ci porta avanti e ci dà il coraggio".

Il Signore che libera da tutte le schiavitù interiori ed esterne, indica "la strada della fedeltà, della pazienza e della perseveranza perché, al suo ritorno, la nostra gioia sarà piena”:

“Il Natale è vicino, i segni del suo approssimarsi sono evidenti per le nostre strade e anche nelle nostre case; anche qui in Piazza è stato posto il presepio con accanto l’albero. Questi segni esterni ci invitano ad accogliere il Signore che sempre viene e bussa alla nostra porta, bussa al nostro cuore, per avvicinarci; ci invitano a riconoscere i suoi passi tra quelli dei fratelli che ci passano accanto, specialmente i più deboli e bisognosi".

Francesco, in conclusione, chiede quindi di condividere con gli altri la gioia dell’imminente arrivo del Redentore “donando conforto e speranza ai poveri, agli ammalati, alle persone sole e infelici”.

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Francesco benedice i bambinelli: Gesù ci aiuti ad amare

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“Cari ragazzi, quando pregherete davanti al vostro presepe con i vostri genitori, chiedete a Gesù Bambino di aiutarci tutti ad amare Dio e il prossimo”. Con queste parole, il Papa durante l’Angelus ha salutato i numerosi bambini e adolescenti del Centro oratori romani, giunti a piazza San Pietro per la tradizionale benedizione dei "Bambinelli", che la notte di Natale, verranno posti nei presepi delle case romane. E nella mattinata, i piccoli, assieme ai loro catechisti e gli animatori, hanno partecipato ad una messa nella Basilica di san Pietro, presieduta dal cardinale Angelo Comastri.  Ascoltiamo le loro testimonianze raccolte da Marina Tomarro

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Papa a seminaristi: sacerdote non si stacchi mai da Gesù e dalla gente

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“Un sacerdote che si stacca dal popolo non è capace di dare il messaggio di Gesù”. Lo afferma Francesco nel discorso a braccio rivolto ieri alla Comunità del Pontificio Seminario Regionale Pugliese Pio XI e il cui testo integrale è stato pubblicato in serata dalla Sala Stampa vaticana: oltre 300 persone ricevute nella Sala Clementina, fra loro numerosi i seminaristi. Consegnato invece il discorso preparato. Il Papa chiede dunque ai sacerdoti di essere vicini al popolo, di essere padri, di “dare le carezze di Gesù alla gente” e di non aver paura della povertà, che “è madre e muro”. Il servizio di Debora Donnini

Un discorso intenso, a braccio, ricco di spunti personali. Ai futuri presbiteri il Papa raccomanda prima di tutto di essere padri per i fedeli. E fa riferimento agli scandali dei sacerdoti:

“La stampa le compra bene quelle notizie, paga bene quelle notizie. Perché è così: la regola dello scandalo ha una quota alta nella borsa dei media! Come formare un sacerdote affinché nella sua vita non ci sia un fallimento, non crolli? Ma solo questo? No, di più! Perché la sua vita sia feconda. Sì, feconda! Non solo che sia un buon prete che segue tutte le regole. No, no. Che dia vita agli altri! Che sia padre di una comunità. Un sacerdote che non è padre non serve”.

Quindi ricorda la storia di tanti bravi parroci in Italia. “Guardate i vostri padri nella fede”, esorta Francesco e chiedete la grazia della “memoria ecclesiale”. Bisogna prendere la lunga tradizione di sacerdoti bravi, che ha la Chiesa, portarla avanti e lasciarla in eredità: “Padri che ricevono la paternità degli altri e la danno agli altri”.

I sacerdoti siano vicini alla gente
E per far capire cosa significhi essere vicino alla gente, Francesco racconta di un parroco di un piccolo paese, che conosceva il nome di ogni parrocchiano.  “Vicinanza al popolo”, come Gesù che si è fatto vicino “fino a prendere la nostra carne”. Quindi fa riferimento a quanto detto prima dal Rettore, che aveva citato un’immagine in cui il piede di Gesù impedisce che si chiuda la Porta della Misericordia:

“Un sacerdote che si distacca dal popolo non è capace di dare il messaggio di Gesù. Non è capace di dare le carezze di Gesù alla gente; non è capace – e prendo l’immagine tua – di mettere il piede perché non si chiuda la porta. Vicinanza alla gente. E vicinanza vuol dire pazienza; vuol dire bruciare [consumare] la vita, perché – diciamo la verità – il santo Popolo di Dio stanca, stanca! Ma che cosa bella è trovare un sacerdote che finisce la giornata stanco e che non ha bisogno delle pastiglie per addormentarsi bene!”.

La povertà custodisce il sacerdote: è madre e muro
Quindi il suo discorso si sofferma sulla povertà, che è “madre e muro” e custodisce. A volte si ha la parrocchia e si vuole un’altra altra cosa, magari aprire una scuola. “Se hai paura della povertà, la tua vocazione è in pericolo”, dice Francesco, perché “la povertà sarà quello che farà crescere la tua donazione al Signore” e farà da muro “per custodirti, perché la povertà nella vita consacrata, nella vita dei sacerdoti, è madre e muro”.

Fa male alla Chiesa quando un sacerdote si allontana dalla gente. Non c’è altra strada che quella dell’Incarnazione: 

“Le proposte gnostiche sono tante oggi, e uno può essere un buon sacerdote, ma non cattolico, gnostico, ma non cattolico. No, no! Cattolico, incarnato, vicino, che sa accarezzare e soffrire con la carne di Gesù negli ammalati, nei bambini, nella gente, nei problemi, nei tanti problemi che ha la nostra gente. Questa vicinanza vi aiuterà tanto, tanto, tanto!”.

La cosa più importante è stare con Gesù
Quindi il Papa esorta i sacerdoti a passare del tempo davanti al Tabernacolo: “Non lasciare Gesù solo nel Tabernacolo!”, esclama, perché è Lui che dà la forza,  e “tu devi essere per la tua gente come Gesù”. E Francesco sottolinea che la cosa più importante è stare con Gesù: è Lui che farà il resto:

“Perché la Chiesa non è una ong, e la pastorale non è un piano pastorale. Questo aiuta, è uno strumento; ma la pastorale è il dialogo, il colloquio continuo – sia sacramentale, sia catechetico, sia di insegnamento – con la gente. Stare vicino alla gente e dare quello che Gesù mi dice. E la pastorale chi la porta avanti? Il Consiglio pastorale della diocesi? No. Anche questo è uno strumento. La porta avanti lo Spirito Santo”.

Al centro c’è dunque lo Spirito Santo. E il Papa esorta a saper distinguere le ispirazioni che vengono dallo Spirito Santo da quelle che invece sono dell’altro spirito, “quello cattivo”. E chiede di riflettere, nella vita pastorale, sulla “docilità allo Spirito” e sullo “zelo apostolico”.

I quattro pilastri nella vita del seminarista
Il Papa ricorda quindi i quattro pilastri nella vita del seminarista: la preghiera, la vita comunitaria, la vita di studio e la vita apostolica. Anche lo studio è importante, perché il mondo non tollera la figuraccia di un sacerdote che non capisca le cose, sottolinea. Per Francesco tutti e quattro i pilastri sono necessari nella formazione e se ne manca qualcuno, la formazione non è equilibrata. Infine li esorta, nel caso avessero qualche problema con il vescovo, a farlo sapere a lui per primo e non agli altri nelle chiacchiere: “Voi – sottolinea – non chiacchierate mai”.  

Suor Bernadetta e il sacerdote che tiene il telefono sul comodino
Francesco aveva iniziato il suo discorso ricordando la figura di una suora, Bernadetta, che era “delle vostre parti”. In Argentina, racconta, viveva vicino “alla nostra casa di formazione”.  Da maestro dei novizi e anche da Provinciale, quando aveva qualche problema con qualcuno, lo mandava da lei a parlare. “E lei, due ‘schiaffi spirituali’ e la cosa si sistemava”, dice Francesco che elogia la “saggezza delle donne di Dio, delle mamme”, “che sanno dire le cose che il Signore vuole che siano dette”. Francesco rende dunque omaggio a lei e a tutte quelle donne sagge che “consacrano la vita al Signore” e sono vicine alla formazione dei preti nei seminari”. Quindi conclude il suo intenso discorso sulla vita sacerdotale con un icona, quella del parroco che tiene il telefono sul comodino e che si alza, se chiamato, a qualsiasi ora della notte, per andare da un malato o dare i sacramenti:

“Questo è lo zelo apostolico, questo è sciogliere la vita al servizio degli altri. E alla fine cosa ti resta? Cosa? La gioia del servizio del Signore!”.

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Laos, nuovi beati. Il Papa: siano di incoraggiamento ai missionari

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Sono 17 i martiri uccisi in Laos tra il 1954 e il 1970 dai miliziani comunisti del Pathet Lao, beatificati oggi a Vientiane, capitale del Paese del sud-est asiatico. Tra loro un missionario trentino, padre Mario Borzaga, dei Missionari Oblati di Maria Immacolata. Ai nuovi Beati è andato il pensiero di Papa Francesco che, all'Angelus, ha auspicato che "la loro eroica fedeltà a Cristo possa essere di incoraggiamento e di esempio ai missionari e specialmente ai catechisti, che nelle terre di missione svolgono una preziosa e insostituibile opera apostolica, per la quale tutta la Chiesa è loro grata". I catechisti "fanno un così bel lavoro", ha proseguito il Papa, chiedendo un applauso per tutti loro, perché portano "il messaggio del Signore perché cresca in noi".  Il servizio di Sergio Centofanti

Un evento storico per la piccola comunità cattolica del Laos, appena l’1% dei quasi 7 milioni di laotiani, che nella stragrande maggioranza (67%) è di religione buddista. Dei 17 nuovi Beati dieci sono missionari francesi delle Missions Etrangères de Paris e degli Oblati di Maria Immacolata. Oblato è anche padre Mario Borzaga, trentino, ucciso nel 1960 all’età di 27 anni insieme a un catechista laotiano, Paolo Thoj Xyooj, mentre si recavano ad annunciare il Vangelo in un villaggio nel Nord del Paese. “Senza di lui non saremmo diventati cristiani”, hanno testimoniato alcuni locali dopo la morte di padre Borzaga. Tra i nuovi beati ci sono anche il prete Joseph Tien, ucciso nel 1954, e altri quattro laici, tutti laotiani.

Padre Borzaga era stato ordinato sacerdote a 25 anni con il proposito di non essere mai un “parassita dell’altare”. Voleva portare Gesù nelle regioni più abbandonate dagli uomini. Così parte per il Laos imparando lingua, costumi, e abitudini dei locali. E’ sacerdote, insegnante, infermiere, amico, fratello. Presto si scontra con la durezza della missione in un Paese ferito dalla guerra. Nel suo “Diario di un uomo felice”, descrive il momento più buio della sua vita: aveva sognato una strada gloriosa per la santità e ora si trovava in un buco con la paura di metter fuori il naso. E’ costretto a fuggire e nascondersi. Si sente abbandonato da Dio, pensa di impazzire, ma poi dice: “Non c’è più nulla da fare se non credere e amare. Non c’è più d’aver paura. Dio mi ha messo qui e qui rimango. Gesù mi ama e anche io lo amo”.

Si espone di nuovo. Ricomincia la sua missione, ma i guerriglieri comunisti lo catturano. Il catechista laotiano potrebbe salvare la vita, ma vuole restare con lui. Vengono uccisi. I loro corpi non saranno mai trovati. Nel suo Diario, padre Borzaga aveva scritto: “Ho capito la mia vocazione: essere un uomo felice pur nello sforzo di identificarmi con Cristo crocifisso … voglio essere come l’Eucaristia … se accetto la mia morte in unione con quella di Gesù, è proprio Gesù che io riesco a dare con le mie stesse mani ai fratelli”.

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Oggi in Primo Piano



Aleppo, civili in fuga. A Palmira scontri tra governativi e Is

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Non si fermano le violenze in Siria. Continua l’esodo dei civili da Aleppo est, mentre a Palmira proseguono gli scontri tra esercito siriano e miliziani del sedicente Stato islamico. Il servizio di Elvira Ragosta

Diecimila civili in fuga da Aleppo est, dove i combattimenti continuano violenti, come riferisce l’Osservatorio siriano per i diritti umani. Nella martoriata città, simbolo della guerra civile siriana, le truppe governative continuano a strappare ai ribelli i quartieri orientali. “I civili che fuggono da Aleppo vanno messi sotto la protezione dell’Onu”: aveva ribadito ieri l’inviato delle Nazioni Unite per la Siria, Staffan de Mistura, aggiungendo che “chi è scappato dalle zone controllate dai ribelli per recarsi in quelle occidentali in mano al regime, potrebbe essere catturato o aver subito violenza”.

E mentre si attendono segnali diplomatici dai colloqui tra Stati Uniti e Russia sul futuro di Aleppo, i governativi provano a liberare Palmira dall’Is per la seconda volta. Già sotto occupazione jihadista dal maggio 2015 allo scorso marzo, e in parte distrutta, la storica città, gioiello di architettura del Medio Oriente era stata, nei giorni scorsi, in parte riconquistata dai miliziani.  La notte scorsa i raid russi avevano quasi costretto alla fuga i membri del Califfato, che poi, così come riferito dall'Osservatorio nazionale per i diritti umani,  sarebbero tornati ad avanzare da nord-est. Secondo le informazioni del Comitato locale dell'opposizione, i jihadisti sarebbero avanzati anche da nord-ovest, riconquistando un sobborgo e il castello di Palmira. Nel mosaico di questa guerra frammentata, continua anche l’offensiva delle forze curde e arabe per liberare Raqqa, eletta capitale dello Stato islamico in Siria. Gli Stati Uniti hanno inviato 200 militari in aiuto alle forze siriane locali per scacciare i miliziani dell’Is.

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Egitto, morti e feriti in un attentato contro una chiesa copta

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Un altro attacco diretto alla comunità copta. Al Cairo la cattedrale di San Marco è stata colpita da un attentato dinamitardo che ancora non ha avuto rivendicazione.

L'attacco durante la messa, le vittime donne e bambini
Tutta da ricostruire la dinamica, l’esplosione sarebbe avvenuta all’ingresso di una chiesa adiacente alla cattedrale, quella dei Santi Pietro e Paolo, nella sezione femminile, mentre si celebrava la Messa. Oltre venti i morti, decine i feriti, e tra le vittime la maggior parte sarebbero donne e bambini.

I copti, comunità nel mirino
Negli ultimi tre anni, i cristiani d’Egitto hanno subito circa 40 attacchi, con decine di morti.

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Nigeria, crolla tetto di una chiesa evangelica, circa 160 morti

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E’ di almeno 160 morti il bilancio del crollo di una chiesa evangelica avvenuto ieri a Uyo, nel Sud della Nigeria. Secondo quanto riferito da testimoni e da un funzionario locale, nella Reigners Bible Church era in corso una cerimonia per la consacrazione a vescovo del fondatore, Akan Weeks, a cui erano presenti centinaia di fedeli.

La chiesa era ancora in costruzione
Gli operai addetti alla costruzione della chiesa, negli ultimi giorni, avevano accelerato i lavori per consentire lo svolgimento della cerimonia. Centinaia di persone, tra cui Udom Emmanuel, governatore dello Stato di Akwa Ibom, di cui Uyo è capitale, erano radunati in chiesa quando le travi di metallo del tetto hanno ceduto e si sono abbattute sui fedeli. Il governatore Emmanuel e il vescovo Weeks sono rimasti illesi.

Il bilancio delle vittime è destinato ad aumentare
I soccorritori sono ancora al lavoro e una gru sta ancora rimuovendo i detriti. Fonti ospedaliere riferiscono che il bilancio di 160 vittime è destinato ad aumentare.

Attentato nel Nord-Est del Paese
Nel Nord del Paese è di almeno tre morti e 11 feriti il bilancio di un doppio attacco kamikaze per il quale sono state usate due bambine di sette e otto anni.L'attentato è  avvenuto vicino a un affollato mercato di Maiduguri, capitale dello Stato del Borno, spesso preso di mira dai miliziani jihadisti di Boko Haram. Secondo un membro delle milizie civili locali, le due bambine sono scese da un risciò e si sono avvicinate ai banchi dei venditori di uccelli dove una delle due ha attivato la cintura esplosiva. La seconda si sarebbe invece fatta esplodere all'arrivo dei soccorsi. Venerdì scorso, 45 persone erano morte in un altro duplice attentato contro un mercato di Madagali, nello Stato confinante di Adamawa. Queste stragi sono attribuite di norma alla setta salafita Boko Haram, che dal 2009 ha già causato 20.000 morti. (E.R.)

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Istanbul, attentato con vittime. Per Ankara dietro c'è il Pkk

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Due esplosioni, a 45 secondi di distanza, hanno scosso ieri sera la città turca di Istanbul. L’attentato è avvenuto vicino allo stadio, poco dopo la fine della partita Besiktas-Bursapor, provocando 38 morti e oltre 160 feriti. Il ministro dell'Interno di Ankara, Suleyman Soylu, ha confermato che 30 delle vittime sono poliziotti, 7 i civili, più una persona di cui non si è ancora ricostruita l'identità. I tifosi erano già usciti dallo stadio, quando la prima autobomba ha colpito un bus di poliziotti; poco dopo un kamikaze si è fatto saltare in aria in un parco poco distante dalla prima esplosione.

Le autorità turche attribuiscono la responsabilità al Pkk
Poco dopo l’attentato, il presidente turco Erdogan, che al momento dell’esplosione si trovava a Istanbul, ha dichiarato “Quando la Turchia fa un passo positivo verso il futuro, la risposta delle organizzazioni terroristiche è il sangue, la brutalità, il caos". Secondo il vice primo ministro turco, Numan Kurtulmus, "ci sono indicazioni per cui il partito fuorilegge dei lavoratori del Kurdistan (PKK) potrebbe essere dietro gli attacchi". Avviate le indagini sull’attentato, 10 le persone già arrestate.(E.R.)

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Gentiloni formerà il nuovo governo. Da Mattarella l'incarico

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Il Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha affidato l’incarico di formare il nuovo governo al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni che, come prassi, ha accettato con riserva. Sembra dunque chiudersi la crisi politica provocata dalla vittoria del no al referendum costituzionale di domenica scorsa, con le conseguenti dimissioni del premier Matteo Renzi. Servizio di Giampiero Guadagni

Come da previsioni degli ultimi giorni, dopo il no di Renzi al reincarico, Mattarella ha dunque scelto Paolo Gentiloni per formare il nuovo governo, che dovrà avere come priorità la nuova legge elettorale prima di tornare al voto.  Gentiloni ha garantito che cercherà di svolgere il compito con dignità e responsabilità, precisando che il governo avrà la stessa maggioranza di quello precedente. La riserva sarà, quindi, sciolta nel più breve tempo possibile per fare in modo, come spiegato ieri sera da Mattarella in chiusura di consultazioni, che al Consiglio europeo di giovedì ci sia un esecutivo nella pienezza delle sue funzioni. Fortemente critiche le opposizioni, convinte si tratterà di un governo fotocopia di quello di Renzi. Lega e Movimento 5 Stelle, in particolare, annunciano battaglia fuori e dentro il Parlamento. 62 anni, attuale ministro degli Esteri, Gentiloni è stato tra i fondatori della Margherita e poi del Pd. Giornalista di professione, è stato portavoce del sindaco di Roma Rutelli gestendo la sfida del Grande Giubileo del 2000. Una curiosità storica: il premier incaricato è discendente di Vincenzo Ottorino Gentiloni, firmatario dell’omonimo patto che, in vista delle elezioni del 1913, segnò l’ingresso dei cattolici nella politica italiana.

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Venezuela. Card. Porras: popolo deve decidere destino del Paese

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Continua la crisi politica e umanitaria in Venezuela, con un difficile dialogo tra il presidente Maduro e le opposizioni. Il Paese è stato sospeso dal Mercosur, il mercato comune dell’America Latina, per non averne rispettato i parametri economici e democratici, mentre la popolazione soffre per la mancanza di cibo e medicinali. Intanto, è stato fissato per il prossimo 13 gennaio il terzo incontro di mediazione tra le parti, che era precedentemente saltato e al quale parteciperà tra gli altri di mons. Claudio Maria Celli, come rappresentante della Santa Sede. Da parte sua, il cardinale Baltazar Enrique Porras Cardozo, arcivescovo di Merida, ha affermato che la Costituzione nazionale stabilisce che è il popolo ad avere il potere di decidere democraticamente del destino del Paese. Il cardinale Jorge Urosa Savino, arcivescovo di Caracas, in un incontro con la stampa, ha parlato della lettera inviata dal cardinale Parolin al governo, in cui il segretario di Stato vaticano indica le condizioni perché ci sia un vero dialogo: la liberazione dei prigionieri politici, il calendario elettorale e il rispetto per l'Assemblea nazionale. Per un punto sulla situazione nel Paese sudamericano, Michele Raviart ha intervistato Luis Badilla, direttore del Sismografo: 

R. – Da quello che è successo negli ultimi giorni, in particolare l’incontro che non si è potuto realizzare - il terzo - fra il governo e i partiti dell’opposizione, sembra di capire, seguendo la stampa locale, che è subentrata una certa tranquillità nonostante qualche intemperanza di tipo verbale da una parte e dall’altra. Alcune cose del momento sembrano abbastanza promettenti, come ad esempio il fatto che il governo abbia in definitiva accettato gli aiuti che può portare la Caritas venezuelana, con il sostegno delle Caritas di tutto il mondo, sia per quanto riguarda il cibo sia per quanto riguarda i farmaci, i due bisogni estremi, immediati, urgenti della popolazione. Anche questo è un elemento di distensione che avvicina le parti e fa calare le tensione nel Paese.

D. - Uno sguardo ai negoziati e al ruolo che sta svolgendo la Santa Sede: si parla di liberazione dei detenuti politici, di percorso elettorale certo, qual è la situazione?

R. - Sembrerebbe che tutte queste sottolineature di cui ha parlato molto in questi giorni la stampa venezuelana, pronunciate da esponenti dell’una e dell’altra parte, riguardino contenuti che sono già presenti nelle discussioni. Secondo me, la cosa fondamentale è di tipo umano. La crisi dura da oltre quattro anni ed è stata sempre un crescendo di tensione, di violenze verbali, di accuse gratuite da entrambe le parti, perché qui non c’è una parte innocente ed una parte colpevole ; si è creato un clima che blocca, o addirittura impedisce, che si possa arrivare ad un accordo su cose sulle quali in realtà non c’è una grande distanza. Ritengo che la cosa fondamentale del ruolo dell’inviato del Santo Padre sia proprio creare le condizioni perché due parti, che non riescono a guardarsi in faccia, possano farlo e dialogare con sincerità, con onestà, con disponibilità, perché questo è quello che chiede il popolo del Venezuela.

D . - Da un lato abbiamo, da punto di vista internazionale, un Venezuela che è sempre più isolato e dall’altro c’è la popolazione che si trova in una grave crisi umanitaria …

R. - Ed è questo il problema che deve essere risolto. Qui c’è una cosa che ha detto spesso Papa Francesco riguardo ad altre crisi che può aiutare moltissimo. Papa Francesco in passato ha sempre parlato della necessità di usare la "lettura consensuale" dei conflitti: le due parti non solo si siedono a vedere come trovare accordi, ma leggono insieme la storia della crisi, perché solo una lettura fatta insieme, onesta, può portare a conclusioni positive. Però, se della crisi si ha una lettura storica, politica e sociale diversa, sarà sempre un dialogo tra sordi. E la Santa Sede sta facendo questo; non sta lì seduta per scaldare una sedia, non è stata chiamata per fare una figura decorativa: è stata chiamata – e la Santa Sede lo ha accettato – perché può avere un ruolo attivo di suggerimento, di consiglio, di accompagnamento e di incoraggiamento.

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Migranti, ancora salvataggi. La Aquarius unica nave operativa

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Sono proseguiti nelle ultime ore gli interventi a soccorso dei migranti che, a bordo di barconi, attraversano il Mediterraneo. Circa 200 le persone salvate in due operazioni a largo della Libia, dopo le centinaia trasportate nei giorni scorsi sulle coste siciliane soprattutto dalla nave Aquarius di Sos Méditerranée, l’organizzazione umanitaria franco-italo-tedesca che opera in partenariato con Medici senza frontiere. Francesca Sabatinelli ha intervistato Mathilde Auvillain che si trova a bordo della Aquarius: 

R. – Gli arrivi continuano ad un ritmo molto intenso malgrado le condizioni meteo marine invernali. A novembre ci sono stati tra i 13mila e i 14mila arrivi,  un numero quattro volte maggiore rispetto a quello dello stesso mese dello scorso anno. Questi ultimi giorni per noi di Aquarius sono stati intensissimi, abbiamo effettuato salvataggi abbastanza difficili. La Guardia costiera ci ha segnalato la presenza di persone in mare e quando ci sono persone in mare l’emergenza è assoluta: bisogna andare a tutta velocità verso l’imbarcazione perché queste persone vengono costrette a salire a bordo dei gommoni senza i giubbotti di salvataggio. I minuti sono contati, perché durante l’inverno le condizioni del mare possono cambiare da un momento all’altro, quindi ci aspettiamo momenti e salvataggi molto difficili.

D. – E la situazione di non riuscire a salvare le persone o di vederle morire è quella nella quale vi trovate spesso …

R. – Sì, ed è una situazione terribile e dobbiamo aspettarci di ritrovarci in questa situazione sempre più spesso, purtroppo, perché ora l’Aquarius è l’unica nave umanitaria presente nella zona di salvataggio. Nel resto dell’anno ci sono navi di altre Ong, ma che ora sono rientrate in porto. Ci ritroviamo soli ed è molto difficile, a bordo abbiamo uno staff medico di Medici Senza Frontiere, il partner di Sos Méditerranée in questo progetto, però riusciamo a sostenere solo pochi casi di rianimazione alla volta, pensiamo a cosa potrebbe significare ritrovarci con venti, trenta casi di ipotermia da trattare in emergenza, la situazione sarebbe molto difficile. E poi non è mai normale vedere persone morire sotto le nostre mani mentre si tenta di rianimarle; non è mai una cosa normale vedere le lacrime di una donna che vede sua sorella morire davanti ai propri occhi; non è mai normale ritrovarsi in questa situazione, dover gestire questa emergenza in mare e sentirsi molto lontani dall’attenzione e dall’aiuto dell’Europa.

D. - Queste persone che avete soccorso nelle settimane precedenti e che state ancora aiutando in questi giorni, da dove arrivano? Chi sono? Sappiamo che la maggior parte normalmente sono uomini però si sa anche che spesso ci sono minori non accompagnati …

R. - Dall’inizio della missione l’Aquarius ha accolto a bordo più di diecimila persone. La maggior parte di loro provengono dall’Africa Occidentale, quindi Paesi come Nigeria, Gambia, Guinea, Senegal, Mali. Tra queste diecimila persone c’erano circa  1500 minori non accompagnati, quindi ragazzi di dieci, dodici, quindici anni che viaggiano da soli. Abbiamo soccorso in mare anche 92 bambini con età inferiore ai cinque anni! Fa sempre impressione vedere questi bimbi, quando arrivano a bordo sono completamente traumatizzati, piangono. Due bambini sono nati proprio sull’Aquarius quest’anno. La maggior parte dei migranti che salviamo in mare sono uomini adulti che fuggono dalla miseria, dalle persecuzioni, che durante il loro viaggio si sono ritrovati in una trappola che si chiama Libia. Qui, uomini e donne subiscono dei trattamenti disumani, torture, violenze sistematiche, rapimenti ed estorsioni. Le donne vengono quasi tutte violentate, alcune arrivano incinte per via degli stupri. È una situazione veramente inaccettabile, e non hanno altra scelta, alla fine, che imbarcarsi per fuggire da questa trappola nella quale si sono ritrovati che è la Libia.

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Treviso: convento di francescani apre ad anziani e disabili

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I frati minori conventuali di San Francesco aprono le porte del convento di San Pietro di Barbozza, in provincia di Treviso, per l'accoglienza di laici, di anziani e di disabili, grazie alla firma di un accordo siglato con la cooperativa sociale Castel Monte. L'intento è quello di offrire la possibilità di soggiorno assieme ai frati, per condividerne le giornate e le mansioni lavorative e, anche, per recuperare e mantenere in vita un patrimonio immobiliare a disposizione della comunità. Francesco Gnagni ne ha parlato con padre Oliviero Svanera, nuovo Rettore della Pontificia Basilica di Sant'Antonio di Padova, guardiano della fraternità francescana e firmatario dell'accordo: 

R. – Nell’ambito di un ridisegno che un po’ tutte le congregazioni e gli ordini religiosi stanno facendo, per qualificare o ri-qualificare o, a volte, purtroppo, anche per chiudere esperienze di comunità, noi ci siamo domandati come valorizzare questo luogo che ha ampi spazi, anche conventuali, come accade spesso nei conventi. E dato che adesso, appunto, le forze sono ridotte, i frati sono pochi e gli ambienti sono ampi, ci siamo interrogati su come rinnovare la nostra presenza. Come accade per le vie della Provvidenza, siamo venuti a contatto con questa cooperativa che opera nell’ambito del sociale e quindi serve sia persone con disabilità, sia persone anziane, sia persone segnate da autismo. L'auspicio sarebbe che arrivassero dei laici per poter condividere l’esperienza di spiritualità e di convivenza con i Frati francescani .

D. – In pratica si tratta di aprire questo convento a cooperative che operano nell’ambito del sociale, quindi con i disabili …

R. – La novità è proprio questa possibilità di condividere un’esperienza religiosa nello stesso luogo, negli stessi spazi e anche con gli stessi ritmi, se si vorrà, condividendo anche gli spazi di preghiera, i tempi della refezione, del pranzo e quelli della spiritualità. Si partirà con un progetto di 12 stanze, 12 celle date a questi laici, uomini e donne, che andranno a vivere così negli ambienti che erano riservati ai frati. Si vorrebbe creare, proprio attraverso la vita condivisa con i frati, una dimensione di relazione coinvolgendo anche persone con disabilità, nel vero senso della parola, perché la cooperativa opera in questo campo e quindi già ha una serie di progetti, di laboratori legati proprio anche all’accompagnamento, all’educazione. Quindi, potrà esserci anche una condivisione o di tempi – in questo caso non di vita, ma di tempi – e di esperienze che si allargano.

D. – Sono state come sempre limpide le parole del Papa durante il Giubileo dei disabili: aveva detto che i malati non vanno ghettizzati ma amati, aggiungendo che la tentazione di rinchiudersi in se stessi si fa molto forte e si rischia di perdere l’occasione della vita: amare nonostante tutto. Sono anche queste parole che vi hanno ispirato?

R. – Sì, noi siamo molto legati a questa esperienza perché credo che sia nell’orizzonte francescano che noi conosciamo, perché  altrimenti non si capirebbero queste iniziative se non pensando al nostro caro San Francesco che, fin dall’inizio, ebbe attenzione verso i piccoli, verso le persone emarginate che allora erano i lebbrosi. Oggi possiamo allargare queste forme ad altre persone, che dal Papa vengono chiamati “gli scarti”, alle persone disabili, ma penso anche agli anziani, che spesso sono segnati da situazioni di mancata autosufficienza, o di poca attenzione o di poca premura da parte della società stessa nel suo insieme.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 346

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