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Sommario del 13/12/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: il clericalismo è un male che allontana il popolo dalla Chiesa

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Lo spirito del clericalismo è un male presente anche oggi nella Chiesa e la vittima è il popolo, che si sente scartato, abusato. E’ quanto ha affermato il Papa nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, nel giorno del 47.mo anniversario della sua ordinazione sacerdotale. Erano presenti alla celebrazione anche i cardinali del Consiglio dei nove. Francesco ha messo in guardia i pastori dal diventare intellettuali della religione con una morale lontana dalla Rivelazione di Dio. Il servizio di Gabriella Ceraso

Il popolo umile e povero che ha fede nel Signore è la vittima degli “intellettuali della religione”, “i sedotti dal clericalismo”, che nel Regno dei cieli saranno preceduti dai peccatori pentiti.

La legge dei sommi sacerdoti lontana dalla Rivelazione
Il Papa citando Gesù che nell’odierno Vangelo di Matteo si rivolge ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo, si sofferma proprio sul loro ruolo. “Avevano l’autorità giuridica, morale, religiosa”,dice, ”decidevano tutto”. Anna e Caifa, per esempio,spiega Francesco, “hanno giudicato Gesù”, erano i sacerdoti e i capi che hanno “deciso di uccidere Lazzaro”, o ancora, da loro è andato Giuda per “negoziare” e così “è stato venduto Gesù”. Uno stato di “prepotenza e tirannia verso il popolo” a cui sono arrivati, dice il Papa, strumentalizzando la legge:

“Ma una legge che loro hanno rifatto tante volte: tante volte fino ad arrivare perfino a 500 comandamenti. Tutto era regolato, tutto! Una legge scientificamente costruita, perché questa gente era saggia, conosceva bene. Facevano tutte queste sfumature, no? Ma era una legge senza memoria: avevano dimenticato il Primo Comandamento, che Dio ha dato al nostro padre Abramo: 'Cammina nella mia presenza e sii irreprensibile' ".

Il popolo scartato dagli intellettuali della religione
Loro dunque, prosegue Francesco, “avevano dimenticato i Dieci Comandamenti di Mosè”: “con la legge fatta da loro”, “intellettualistica, sofisticata, casistica”, “cancellano la legge fatta dal Signore”, mancano della “memoria che attacca l’oggi con la Rivelazione”. E la loro vittima, come è stato Gesù, è ogni giorno il “popolo umile e povero che confida nel Signore”, “quelli che sono scartati”, sottolinea il Papa, che conoscono il pentimento anche se non compiono la legge, e soffrono queste ingiustizie. Si sentono “condannati”, “abusati”, ribadisce Francesco, da chi è “vanitoso, orgoglioso, superbo”. E “uno scarto di questa gente”, osserva il Papa, è stato Giuda:

“Giuda è stato un traditore, ha peccato di brutto, eh! Ha peccato forte. Ma poi il Vangelo dice: 'Pentito, è andato da loro a ridare le monete'. E loro cosa hanno fatto? 'Ma, tu sei stato il nostro socio. Stai tranquillo… Noi abbiamo il potere di perdonarti tutto!'. No! 'Arrangiati come tu puoi! E’ un problema tuo!'. E lo hanno lasciato solo: scartato! Il povero Giuda traditore e pentito non è stato accolto dai pastori. Perché questi avevano dimenticato cosa fosse un pastore. Erano gli intellettuali della religione, quelli che avevano il potere, che portavano avanti la catechesi del popolo con una morale fatta dalla loro intelligenza e non dalla rivelazione di Dio”.

“Un popolo umile, scartato e bastonato da questa gente”: anche oggi, è l’osservazione di Francesco, nella Chiesa accadono queste cose . “C’è quello spirito di clericalismo”,spiega, “i chierici si sentono superiori, si allontanano dalla gente,”non hanno tempo per ascoltare i poveri, i sofferenti, i carcerati, gli ammalati”:

Il male del clericalismo c'è anche nella Chiesa di oggi
“Il male del clericalismo è una cosa molto brutta! E’ una edizione nuova di questa gente. E la vittima è la stessa: il popolo povero e umile, che aspetta nel Signore. Il Padre sempre ha cercato di avvicinarsi a noi: ha inviato suo Figlio. Stiamo aspettando, aspettando in attesa gioiosa, esultanti. Ma il Figlio non è entrato nel gioco di questa gente: il Figlio è andato con gli ammalati, i poveri, gli scartati, i pubblicani, i peccatori - ed è scandaloso quello…  -  le prostitute. Anche oggi Gesù dice a tutti noi e a anche a quelli che sono sedotti dal clericalismo: “I peccatori e le prostitute andranno avanti a voi nel Regno dei Cieli”.

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Sala Stampa: compleanno Francesco, giornata normale ricca di impegni

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Sabato 17 dicembre, giorno del suo 80.mo compleanno, informa una nota della Sala Stampa vaticana, Papa Francesco presiederà – alle ore 8, nella Cappella Paolina in Vaticano – una concelebrazione eucaristica con i Cardinali residenti a Roma. Per il Papa, il resto della giornata sarà “normale”, ricca di impegni: riceverà il presidente della Repubblica di Malta, il prefetto della Congregazione per i Vescovi, il vescovo di Chur, in Svizzera, e la Comunità di Nomadelfia. Chi volesse inviare gli auguri al Santo Padre, può farlo via email ai seguenti indirizzi:

Papafranciscus80@vatican.va (Latino); PapaFrancesco80@vatican.va (Italiano); PapaFrancisco80@vatican.va (Spagnolo / Portoghese) PopeFrancis80@vatican.va (Inglese); PapeFrancois80@vatican.va (Francese); PapstFranziskus80@vatican.va (Tedesco); PapiezFranciszek80@vatican.va  (Polacco).

Sui social media, conclude la Sala Stampa della Santa Sede, verrà creato l’hashtag #Pontifex80 per l’occasione.

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Vergine di Guadalupe. Papa: Maria luce in una società cieca davanti a esclusi

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La fede di Maria illumina una società cieca di fronte a quelli che sono esclusi “dall’orgoglio accecante di pochi”. Così il Papa nell’omelia della Messa, celebrata in spagnolo ieri pomeriggio, nella Basilica  di San Pietro, in occasione della Festa della Beata Vergine Maria di Guadalupe, Patrona delle Americhe e delle Filippine. A partecipare tanti gruppi di fedeli delle comunità latinoamericane e filippine presenti a Roma, come anche numerosi cardinali, vescovi, religiosi e membri della Curia romana. A tutti Francesco chiede di imitare Maria e guardare gli altri con il suo stesso sguardo. Il servizio di Debora Donnini

I canti nei vari idiomi indigeni, dal nahuatl al quechua fino al guaranì, e l’ingresso delle bandiere in rappresentanza dei diversi Paesi devoti a Maria, fanno da cornice alla Messa nella Festa della Madonna di Guadalupe. Forte la partecipazione di Francesco: questa è la terza volta consecutiva che celebra la Messa in onore di Nostra Signora di Guadalupe. Brilla ancora infatti l’immagine del Papa nel suo pellegrinaggio al Santuario messicano.

Una società che si vanta del progresso ma cieca davanti agli esclusi
L’omelia del Papa parte proprio dal Vangelo proclamato, la visita di Maria ad Elisabetta, entrambe incinte. Al centro l’esclamazione di Elisabetta: “Beata colei che ha creduto”. Un’omelia dunque sulla fede di Maria che illumina “la nostra società”, che spesso lascia tanti “fuori gioco”, specialmente chi ha difficoltà a raggiungere il minimo indispensabile:

“Es una sociedad que le gusta jactarse de sus avances científicos y tecnológicos...
E' una società alla quale piace vantarsi dei suoi progressi scientifici e tecnologici, ma che è diventata cieca e insensibile davanti a migliaia di volti che restano indietro nel cammino, esclusi dall’orgoglio accecante di pochi”.

Si tratta dunque di una società che finisce col creare una cultura di disillusione e angoscia. Sembrerebbe, nota Francesco, che ci siamo abituati a vivere “nella società della sfiducia”. Il Papa ripercorre quindi la sofferenza del mondo:

“Qué difícil es presumir de la sociedad del bienestar …
Quanto è difficile vantarsi della società del benessere quando vediamo che il nostro caro continente americano si è abituato a vedere migliaia e migliaia di bambini e di giovani di strada che mendicano e dormono nelle stazioni dei treni, nei sotterranei della metropolitana o dove riescono a trovare un posto. Bambini e giovani sfruttati in lavori clandestini o costretti a trovare una moneta agli incroci delle strade, pulendo i parabrezza delle nostre auto e sentono che nel ‘treno della vita’ non c’è posto per loro”.

E ancora le famiglie segnate dal dolore di vedere i propri figli vittime dei “mercanti della morte”. “Quanto è duro – nota – vedere come abbiamo normalizzato l’esclusione dei nostri anziani obbligandoli a vivere nella solitudine”, o vedere le donne, alcune da bambine o adolescenti, sottoposte a varie forme di violenza.

Davanti a situazioni difficili, imparare dalla fede di Maria: non siamo un popolo orfano
Sono situazioni che “possono farci dubitare della nostra fede”, dice il Papa:

“Frente a todas estas situaciones, tenemos que decir con Isabel: ‘Feliz de ti por haber creído’…
Davanti a tutte queste situazioni, così tutti dobbiamo dire con Elisabetta: ‘Beata colei che ha creduto’, e imparare da quella fede forte e servizievole, che ha caratterizzato e caratterizza nostra Madre. Celebrare Maria è, in primo luogo, fare memoria della madre, fare memoria che non siamo né mai saremo un popolo orfano. Abbiamo una Madre! E dove è la madre c’è sempre presenza e sapore di casa. Dove è la madre, i fratelli potranno litigare ma sempre trionferà il senso dell’unità”.

Dove c’è una Madre, non mancherà “la lotta per la fraternità”. E il Papa racconta di essere sempre stato impressionato in America Latina da “quelle madri lottatrici che, spesso da sole, riescono a mandare avanti i figli". “Così è Maria con noi: siamo i suoi figli”, afferma Francesco che la definisce “donna lottatrice di fronte alla società della sfiducia”, “donna che lotta per rafforzare la gioia del Vangelo”, “per dare ‘carne’ al Vangelo”.

“Dio ci fa visita nelle viscere di una donna, muovendo le viscere di un’altra donna con un canto di benedizione”, prosegue il Pontefice. “Quando Dio ci viene incontro muove le nostre viscere” fino a trasformare tutta la nostra vita in lode. Maria è dunque “la prima discepola e missionaria”, che esce a far visita così come nel 1531 fece in Messico, a Tepeyac, quando apparve all’indio Juan Diego, per accompagnare un popolo che era in gestazione con dolore, “diventando Madre sua e di tutti nostri popoli”.

Guardiamo gli altri con lo stesso sguardo di Maria
Il Papa chiede che impariamo da questa fede perché Maria è come icona del discepolo, donna che sa accompagnare “la nostra fede” nelle diverse tappe. Una fede forte, dice il Papa richiamandosi ad un brano di Romano Guardini. Quindi sottolinea l'importanza della sua presenza:

“Su presencia nos lleva a la reconciliación, dándonos fuerza para generar lazos …
La sua presenza ci porta alla riconciliazione, dandoci forza per generare legami nella nostra benedetta terra latinoamericana, dicendo 'sì' alla vita e 'no' a ogni tipo di indifferenza, di esclusione, di scarto dei popoli o di persone”.

“Non abbiamo paura di uscire a guardare gli altri con il suo stesso sguardo. Uno sguardo che ci fa fratelli”, chiede il Papa. E questo si può fare perché c’è la consapevolezza di essere tra le braccia di nostra madre.

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Lettera del Papa ad Assad. Card. Zenari: speriamo in una soluzione

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E’ sempre più complesso lo scenario in Siria dove la guerra non ha fine. E il Papa dopo l’appello di ieri all’Angelus, fa sentire nuovamente la sua voce contro ogni forma di estremismo, per la cessazione delle violenza e il rispetto del diritto umanitario internazionale. Lo fa in una lettera inviata al presidente siriano Assad e consegnata dal Nunzio apostolico, il cardinale Mario Zenari. Intanto Aleppo resta sotto le bombe dei lealisti e Palmira è assediata dallo Stato Islamico. Il servizio è di Gabriella Ceraso:

Il Papa affida al Nunzio in Siria Mario Zenari, elevato alla porpora cardinalizia proprio in segno di affetto per l’amato popolo siriano, la lettera per il presidente. Nel testo, come riferisce la Sala stampa vaticana, un appello a Bashar al Assad e alla comunità internazionale per la "fine della violenza" e per una "soluzione pacifica delle ostilità". Ma anche la "condanna di tutte le forme di estremismo e terrorismo da qualsiasi parte esse provengano" e l’esortazione al Presidente ad "assicurare che il diritto umanitario internazionale sia pienamente rispettato con riguardo alla protezione dei civili e all’accesso agli aiuti umanitari". Di una visita di cortesia, dopo il conferimento della porpora, parla ai nostri microfoni lo stesso Nunzio il cardinale Mario Zenari riferendo dell'incontro con il presidente siriano: 

R. – Sono stato ricevuto questa mattina dal presidente per una visita di cortesia, visto che tornavo come cardinale ed era qualcosa di unico, e lo hanno capito tutti - dal governo ai cittadini - che era un gesto del Papa di vicinanza alla sofferenza dei siriani. In occasione di questa visita, con il clima di questa nomina, ho consegnato una lettera del Papa. Non è difficile arguire che cosa ci sia scritto in questa lettera. E' chiaro che è tutto quello che il Papa ha sempre detto riguardo al conflitto siriano e quindi anche questa sottolineatura all’aspetto umanitario, in primis.

D. – Lei ha avuto l’impressione che il presidente la prendesse con impegno?

R. – L’impressione che ho avuto è che ha ricevuto questa lettera del Papa -  direi - con molta riconoscenza. L’ha letta, l’ha apprezzata: questo sì lo posso dire…

D. – E’ sicuramente un passo forte e importante e dato che quetso è un momento particolarmente delicato per la Siria, forse le speranze possono crescere?

R. – E’ quello che vogliamo tutti: che si apra qualche spiraglio, che ci sia qualche schiarita di soluzione. Certo è che la via non è facile! Bisogna continuare su questa strada della cessazione della violenza, dell’accesso degli aiuti umanitari e della riconciliazione, soprattutto in questo momento ad Aleppo  è la popolazione civile quella che paga le conseguenze più nefaste di questo conflitto. Come fedeli, come cristiani preghiamo…

L’appello del Papa arriva quando Aleppo è per il 96% nelle mani ormai dei lealisti sorretti dai russi e dall’Iran. I ribelli dei quartieri orientali, dopo l’evacuazione di centinaia di migliaia di civili in oltre un mese, restano in poco più di 8 km quadrati. Le cifre sono della Difesa russa che indica anche la situazione attuale di Palmira. Lì l’Is è arrivato alla periferia della città, facendosi strada anche con autobomba. Un'offensiva che Mosca attribuisce allo stop ai combattimenti degli statunitensi a Raqqa e alle numerose tregue ad Aleppo che avrebbero consentito un rafforzamento dei miliziani jihadisti nelle cui file stanno convergendo anche combattenti in fuga dall’Iraq.

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Morto prelato Opus Dei, Echevarría. Papa: generoso servitore della Chiesa

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E’ morto ieri sera, nella festa della Madonna di Guadalupe, mons. Javier Echevarría, vescovo e secondo successore di San Josemaría Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei. Il prelato è deceduto a 84 anni. In un telegramma di cordoglio, Francesco esprime la sua vicinanza spirituale ai membri dell’Opus Dei e ricorda il servizio d’amore alla Chiesa di mons. Echevarria, seguendo l’esempio offerto da San Josemaría Escrivá de Balaguer e dal Beato Alvaro del Portillo. Il Papa definisce mons. Echevarría un testimone paterno e generoso di vita sacerdotale ed episcopale, un fedele servitore del Signore.

Nato a Madrid nel 1932, dove conobbe san Josemaría, ne fu segretario dal 1953 al 1975. Nel 1994 è stato eletto prelato dell’Opus Dei. Ha ricevuto dalle mani di Giovanni Paolo II l’ordinazione episcopale il 6 gennaio del 1995 nella Basilica di San Pietro. I funerali si terranno nella chiesa romana di Sant'Eugenio, giovedì prossimo alle ore 19. Mons. Echevarría era inoltre Gran Cancelliere della Pontificia Università della Santa Croce Il vicario generale della prelatura dell’Opus Dei, mons. Fernando Ocáriz, ha potuto amministrargli gli ultimi sacramenti poco prima della morte. Proprio mons. Ocáriz racconta - al microfono di Alessandro Gisotti - gli ultimi momenti del prelato dell’Opus Dei e traccia un ritratto della sua figura: 

R. - Ho avuto l’occasione di dargli l’unzione degli infermi, l’ha ricevuta gioioso … E poco dopo è venuto meno, serenamente… Un po’ come è stata la sua vita, una vita di servizio, di dedizione alla gente… Dunque, una sensazione di pena ma anche di serenità perché da persone così buone siamo certi che avremo anche l’aiuto dal Cielo! E’ una persona che, come è noto, ha vissuto con due Santi: con San Josemaría, moltissimi anni, e poi con il Beato Álvaro del Portillo. Ha imparato da loro a essere molto fedele alla Chiesa - ad amare la Chiesa! - al Papa, alle anime… Mi ha impressionato la capacità di essere alla “portata della gente”, di ascoltare, di non avere mai fretta per le conversazioni con le persone, anche conversazioni improvvise di qualcuno che si avvicinava… Un sacerdote e vescovo fedele, buono, alla mano.

D. - Da oltre 20 anni guidava l’Opus dei: qual è l’eredità più forte che lascia mons. Echevarría all’Opus Dei ma anche alla Chiesa?

R. - Direi la fedeltà allo spirito ricevuto da San Josemaría: cioè, lui è stato il secondo successore del fondatore che ha avuto sempre un po’ nella mente la fedeltà allo spirito ricevuto. Una fedeltà che non era semplicemente una ripetizione ma - riprendendo anche quello che diceva il fondatore - quello che rimane è il nocciolo, lo spirito: i modi di fare, di parlare cambiano con il tempo, ma quello che rimane è la fedeltà allo spirito e questo è un po’ anche la verità che riceviamo di essere fedeli allo Spirito ma aperti sempre alle novità.

D. – Ovviamente il prelato Echevarría conosceva bene San Giovanni Paolo II; Benedetto XVI ma anche Papa Francesco. Cosa può dirci del rapporto con i Papi che ha avuto il prelato dell’Opus dei?

R. – Da un lato, un grande affetto per il Papa - per tutti! - e anche un senso di fedeltà perché quello che per tutti cattolici deve essere, ed è, una fedeltà a Cristo, alla Chiesa, non è separabile dalla fedeltà al Vicario di Cristo, alla Chiesa, al Papa… Quando aveva occasione di incontrare il Papa, sempre aveva un senso di gioia e di emozione.

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Papa al Global Forum di Dhaka: migrazioni e sviluppo sono connessi

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Papa Francesco «incoraggia i governi e le autorità politiche regionali ad affrontare la crisi provocata dallo sfollamento di massa delle persone», ricordando sempre che i fenomeni migratori e lo sviluppo sono intimamente connessi «con le questioni urgenti della povertà, della guerra e del traffico di esseri umani» e la corrispondente «necessità di uno sviluppo ambientale e umano sostenibile». È quanto ha scritto il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, nel messaggio indirizzato ai partecipanti al nono Global forum su migrazioni e sviluppo, che si è concluso ieri a Dhaka, capitale del Bangladesh.

Nella capitale del Bangladesh la Santa Sede era rappresentata dal sottosegretario del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, lo scalabriniano Gabriele Bentoglio, che durante i lavori ha letto il messaggio in lingua inglese. In esso, richiamando la lettera enciclica Laudato si’, il Pontefice auspica che tra gli argomenti affrontati vi siano «l’urgenza di un’autentica leadership globale in grado di gestire l’economia internazionale, bilanciando le esigenze delle singole economie nelle attuali condizioni di crisi; la necessità del disarmo, della sicurezza alimentare e della pace; e la necessità di proteggere l’ambiente e di regolamentare le migrazioni». Nella convinzione che solo una strategia integrale permette di combattere la povertà, di restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo di prendersi cura della natura.

Nella circostanza padre Bentoglio ha anche tenuto una relazione, sottolineando come attualmente la migrazione sia «una realtà in crescita e permanente del mondo in cui viviamo. Tuttavia, — è stata la sua denuncia — vi è una crescente tendenza a dare maggiore considerazione ai problemi associati a questo fenomeno piuttosto che alle opportunità che esso offre in termini di sviluppo». Per questo, ha proseguito, «la Santa Sede cerca di affrontare l’argomento attraverso la lente della tutela della dignità umana e della promozione della solidarietà», incoraggiando sia la società civile sia i governi a prendere in considerazione questo tipo di strategia.

«La Santa Sede — ha spiegato il missionario scalabriniano — sottolinea continuamente la centralità e la dignità di ogni essere umano, e mette in evidenza i diritti e i doveri dei migranti, a prescindere dal loro stato di migrazione». In tale contesto, il contributo positivo dei migranti verso lo sviluppo — e in particolare verso il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile 2030 — è «di fondamentale importanza».

Il relatore ha poi fatto riferimento alla battaglia condotta dalla Chiesa contro gli stereotipi e i pregiudizi a essi associati, esortando a un «approccio realistico e rispettoso, che sia attento ai diritti umani, e che allo stesso tempo includa la formazione e l’educazione», primo passo verso la realizzazione di efficaci politiche di integrazione.

Del resto, ha chiarito, quest’ultima dovrebbe rappresentare l’ideale traguardo di «un processo attraverso il quale i nuovi arrivati migranti e le comunità che li accolgono si adattano reciprocamente l’uno all’altro, sia a livello istituzionale sia individuale». Anche perché «la complessità della migrazione rende difficile considerare separatamente i suoi diversi aspetti». Di conseguenza «la prospettiva dell’integrazione — che nella visione di Papa Francesco comprende il passaggio verso una “cultura dell’incontro” — implica il considerare la persona del migrante nel suo complesso».

«In realtà — ha detto padre Bentoglio — non si tratta di statistiche o di numeri, ma di esseri umani, di persone reali, non di idee astratte, che meritano protezione e rispetto per la loro dignità». Senza però dimenticare, ha subito aggiunto, che «questo processo, allo stesso modo, richiede anche uno sforzo da parte degli immigrati ad assumere responsabilmente i loro doveri verso la società che li accoglie, come ad esempio l’apprendimento della lingua, rispettando con gratitudine il patrimonio materiale e spirituale del Paese ospitante, obbedendo alle sue leggi e contribuendo attivamente e volentieri al bene comune di tutta la nazione».

Infine il sottosegretario ha ribadito come le migrazioni siano «una questione che va affrontata alla radice». Per questo «fin dall’inizio del suo pontificato — ha concluso — Papa Francesco ha sollecitato l’adozione di soluzioni sostenibili. Guerre, violazioni dei diritti umani, corruzione, povertà, disuguaglianze e disastri ambientali sono importanti fattori che contribuiscono alle migrazioni. E non possiamo dimenticare che i più vulnerabili, come i bambini e le donne, sono i primi a subirne gli effetti».

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Enoc: ospedale Bambino Gesù con il Papa in Centrafrica e Giordania

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“Siamo grati al Papa per l’incarico che ci ha affidato”. Così Mariella Enoc, presidente dell'Ospedale Bambino Gesù, sulla ricostruzione dell’ospedale Pediatrico di Bangui, in Centrafrica. Sabato prossimo il concerto in Vaticano, con Claudio Baglioni, finanzierà anche questa iniziativa oltre ad aiutare le vittime del terremoto in Centro Italia. Si possono donare 2 euro con un “sms” da rete cellulare, oppure 5 o 10 euro, chiamando da rete fissa il numero solidale 45523. Sull’impegno dell'Ospedale Bambino Gesù in Africa, Massimiliano Menichetti ha intervistato la stessa dott.ssa Mariella Enoc

R. – Ci siamo assunti un impegno totale: dal mese di aprile stiamo pagando, come Ospedale Bambino Gesù di Roma, 16 medici per l’ospedale pediatrico di Bangui, in cui non c’erano medici; stiamo terminando la Convenzione con la Facoltà di Medicina, per realizzare la scuola di pediatrica, perché in Centrafrica c’è un solo pediatra in tutto il Paese. C’è ormai un contatto pronto e - online ovviamente - abbiamo strutturato le aule e preparato tutto per questa formazione. Un medico che da molti anni lavora in questo centro pediatrico è già stato tre mesi a Roma per rinnovare la formazione. Il nostro desiderio è quello di aiutare i centrafricani ad essere loro stessi gli artefici di questo loro ospedale. Noi vogliamo aiutarli, ma essendo il meno presenti possibile, perché deve diventare una struttura loro, guidata da loro. Io credo che sia questo lavorare con l’Africa e non solo per l’Africa.

D. – In particolare, grazie ai proventi del Concerto, che cosa si costruirà a Bangui?

R. – Cominceremo a sistemare una struttura, che è già presente e che il governo ci ha permesso di usare, perché l’ospedale pediatrico è del governo. E comincerà subito questa ristrutturazione: in questa struttura metteremo i bambini malnutriti, che attualmente sono in tende. Cominceremo poi a ristrutturare altri reparti, soprattutto destinati ai bambini malarici e ad altre patologie croniche. Cercheremo di realizzare degli spazi anche per le mamme, che in questo momento vivono sui letti dei piccoli…

D. – Voi ospitate già dei bambini del Centrafrica che sono ricoverati presso la vostra struttura…

R. – Sì. Noi siamo riusciti, grazie al grande impegno della nunziatura, a far venire due bambini – e sta arrivando anche un terzo – con patologie molto gravi. E questo anche grazie all’ambasciatrice italiana in Camerun e in Centrafrica, perché ovviamente questi bambini non hanno alcun tipo di documento ed è stato molto complicato fare il passaporto e fargli avere il visto. Mi pare, però, che si sia aperto un canale importante.

D. – Sabato gli 80 anni di Papa Francesco, il Concerto in Vaticano di Claudio Baglioni: ma voi giovedì mattina incontrerete in udienza il Papa. Cosa gli porterete?

R. – La restituzione di quello che lui ci ha chiesto di fare: quindi l’attività che stiamo facendo a Bangui, ma anche quello che stiamo facendo in Giordania per i bambini siriani. In Giordania c’è un ospedale di suore e tutto un reparto che viene gestito dai medici dell’Ospedale Bambino Gesù, che fanno riabilitazione non soltanto fisica, ma soprattutto neuropsichiatrica. Siamo in contatto con i campi profughi che sono proprio al confine con la Giordania; e anche io, al più presto, cercherò di andare, cercando di creare un corridoio umanitario migliore.

D. – Sabato alcuni bambini di Bangui, mettendo da parte i propri piccolissimi risparmi, li devolveranno ai bambini che vivono la drammatica situazione del terremoto in Centro Italia. Un po’ - si dice -  il sud del mondo che aiuta il nord del mondo. E’ così?

R. – E’ così ed è un’immagine anche molto bella, perché vorremmo davvero che nel futuro non ci fossero i poveri e i ricchi e che si riuscisse veramente a fare un cammino insieme…

D. – Lei incontrerà il Papa: cosa gli dirà? Cosa vorrebbe chiedergli?

R. – Più di quello che dà, è difficile chiedergli ancora qualcosa… Però gli chiederei di continuare ad affidarci incarichi come quello che ci ha affidato in Africa, perché ne siamo molto orgogliosi. E dirò un grazie, un grande grazie!

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Papa nomina mons. Burns vescovo di Dallas

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Negli Stati Uniti, Francesco ha nominato Vescovo di Dallas mons. Edward James Burns, finora Vescovo di Juneau. Per una biografia del nuovo vescovo di Dallas, consulta il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede.

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Onu: la Santa Sede contro l'uso delle armi convenzionali

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Ridurre almeno le terribili sofferenze umane causate dall’impiego di armi convenzionali sempre più sofisticate nei conflitti. È il monito di mons. Ivan Jurkovič, Osservatore permanente della Santa Sede all’Onu di Ginevra, intervenuto ieri alla Conferenza di revisione della Convenzione sulla proibizione o la limitazione dell'uso di alcune armi convenzionali che possono essere considerate dannose o aventi effetti indiscriminati (Ccw) in corso fino al 16 dicembre.

Non c’è spazio per decisioni deboli e compromessi
Nel suo intervento il rappresentante vaticano ha posto l’accento sul fatto che sono sempre i civili a pagare il prezzo più alto delle guerre, mentre a trarne profitto sono le industrie belliche.  “ Nel 2015 – ha ricordato - ogni minuto nel mondo 24 persone sono state costrette a fuggire dalle proprie case a causa di guerre e violenze. Ancora più tragico – ha aggiunto - è il fatto che la coscienza pubblica sembra essere diventata meno sensibile a queste vittime”, confermando quella globalizzazione dell’indifferenza denunciata da Papa Francesco. Vittime destinate ad aumentare,  viste le potenzialità sempre più distruttive delle nuove armi convenzionali. Di fronte a questa realtà, ha quindi ammonito il presule ,  “non c’è spazio per decisioni deboli e compromessi”, non solo per ovvie ragioni etiche, ma anche in virtù degli obblighi legali assunti dagli Stati Contraenti della Ccw.

Proibire le armi letali autonome
L’osservatore permanente si è soffermato in particolare su tre questioni da affrontare con urgenza. In primo luogo, l’uso di armi incendiarie nei conflitti i cui effetti sono particolarmente distruttivi  per le popolazioni civili: per questo urge rivedere il terzo protocollo della Convenzione,  vecchio di trent’anni e ormai inadeguato.  In secondo luogo, c’è la questione dell’impiego di ordigni esplosivi in aree abitate: nel 2015 queste armi  sono arrivate ad uccidere o ferire fino al 92% della popolazione civile in aree densamente abitate. Si tratta – ha osservato - di “danni collaterali” che dovrebbero suscitare seri interrogativi etici e giuridici, tanto più che queste cifre sono destinate a salire, considerati i processi di urbanizzazione in atto nel mondo. La terza questione urgente affrontare è l’utilizzo di armi letali autonome - le cosiddette Laws - che hanno contribuito a rendere ancora più “disumanizzante” la guerra. A questo proposto – ha detto il rappresentante vaticano – la Santa Sede ribadisce ancora una volta che l’unica opzione è la loro completa proibizione.

La sicurezza e la pace si possono raggiungere con la corsa agli armamenti
“La sicurezza internazionale e la pace – ha concluso - si possono raggiungere attraverso la promozione della cultura del dialogo e della cooperazione, non attraverso la corsa agli armamenti”. (A cura di Lisa Zengarini)

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Oggi in Primo Piano



Mons. Tobji: Aleppo appare unificata, ma proseguono le atrocità

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Fine della violenza in Siria e soluzione pacifica delle ostilità. Le ha invocate Papa Francesco nella lettera indirizzata al Presidente siriano Bashar al-Assad. Nella missiva, inviata tramite il card. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, il Pontefice condanna tutte le forme di estremismo e terrorismo ed esorta il Presidente ad assicurare che il diritto umanitario internazionale sia pienamente rispettato con riguardo alla protezione dei civili e all’accesso agli aiuti umanitari. Sul terreno, però, non cessano le atrocità: fonti Onu denunciano l’uccisione da parte delle forze lealiste di almeno 82 civili nei quartieri est di Aleppo, tra cui donne e bambini, sottolineando la “totale mancanza di umanità”. Secondo la Russia, intanto, le truppe siriane avrebbero ormai conquistato il 98% di Aleppo, con i miliziani costretti in una porzione limitata della città. L’arcivescovo maronita di Aleppo, mons. Joseph Tobji, parla di una speranza di pace che non abbandona la popolazione. L’intervista è di Giada Aquilino

R. – Abbiamo sofferto per cinque anni tutte le conseguenze degli atti terroristici e adesso la gente – già da ieri notte – sta manifestando nelle piazze perché finalmente speriamo in un po’ di pace. La guerra non piace a nessuno. Però, finalmente, Aleppo non è più Est o Ovest, è una città unificata.

D. – Dalle zone ancora in mano ai ribelli sono state evacuate migliaia di persone, civili. Ci sono notizie, al riguardo? Dov’è questa gente?

R. – Il governo ha preparato già da quattro mesi dei luoghi di rifugio nei quali possano arrivare anche gli aiuti umanitari. Però, credo che ciò non sia sufficiente, perché non si prevedeva questa massa di gente. C’è anche da dire che alcuni di quelli che sono usciti da Aleppo Est, con l’entrata dell’esercito sono tornati a casa.

D. – Papa Francesco, in una lettera, si è rivolto al Presidente Bashar al Assad chiedendo la fine delle violenze e una soluzione pacifica delle ostilità. Che eco hanno avuto le parole del Papa?

R. – Hanno dato questa notizia su tutte le reti nazionali, tv e radio. Il Papa mai dimentica la Siria e questa volta ha scelto una lettera personale. Noi apprezziamo molto questo gesto e speriamo che si dia ascolto all’appello del Papa, a tutti i suoi appelli. La guerra è sempre una cosa diabolica, con danni non solo materiali, ma di sangue.

D. – Si avvicina il Natale: come la comunità cristiana di Aleppo si prepara, tra tante difficoltà?

R. – Quest’anno diversamente, con un po’ più di speranza. Noi maroniti, che non abbiamo più chiese perché sono state distrutte, celebreremo il Natale dentro la nostra cattedrale di Sant’Elia, che è semidistrutta; lo faremo sulle macerie, per dire che la speranza non muore, che la vita sorge dalla morte, che l’Emmanuele, Dio con noi, sta ancora con noi e non ci lascia.

D. – Qual è allora il messaggio di Natale dei cristiani di Aleppo ai cristiani del mondo?

R. – Pregate per noi. Voi avete dei fratelli, avete un polmone - come Corpo di Cristo - che è in Oriente e questo polmone si è infiammato: bisogna curarlo, sia con le preghiere sia con le azioni di carità.

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Mali-Ue: firmato accordo su migranti e cooperazione

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L’Unione Europea ha firmato con il Mali il primo di una serie di accordi per facilitare il ritorno dei migranti le cui richieste d’asilo sono state respinte, con l’obiettivo di frenare l’immigrazione affrontandone le cause nei paesi di origine e di transito. Francesco Gnagni ne ha parlato con Luigi Serra, già preside della facoltà di Studi Arabo-Islamici all’Università Orientale di Napoli ed esperto dell’area: 

R. – Io credo che l’atteggiamento e la scelta fatta dall’Unione Europea possa lasciar sperare in un cambiamento. Io penso che i flussi migratori siano irreversibili, perché concorrono a due fenomeni contestuali, l’uno concatenato all’altro ed esplicabile con l’altro.  Vale a dire: siamo autorizzati  a pensare che con l’inettitudine a risolvere questo grande problema, noi stiamo spopolando l’Africa delle forze migliori, giovani; dall’altro punto di vista si sta traumatizzando l’equilibrio socio-culturale e socio-politico, probabilmente si potrebbe anche aggiungere demografico, europeo e occidentale.

D. – E infatti il ministro degli Esteri olandese ha affermato che solo in questo modo, e cioè tramite la cooperazione, si può affrontare il problema migratorio alla radice. Condivide queste parole?

R. – Dietro questo accordo si può già cominciare a lavorare per creare vettori, strumenti, percorsi di cooperazione. Perché è l’unica maniera! Noi dobbiamo intervenire in quei luoghi; noi dobbiamo dare fiducia alle popolazioni africane, quali che siano i costi dell’Europa. Perché si tratta di investire sul capitale umano, sulle culture, sulle civiltà; di agire all’interno dei percorsi religiosi e quanto altro. Sicché ogni costo non è più un costo, ma è solo un investimento! Noi dobbiamo dare fiducia alle genti africani, convincendole che rimanere nella loro terra li aiuta forse a fare dell’Africa quello che ultimamente a Dakar: si diceva in un atelier del pensiero africano “L'avenir du monde se joue en Afrique”.

D. – E l’Europa spesso sembra non accorgersi di questo. L’accordo, tuttavia, prevede anche tutta una serie di iniziative per favorire il lavoro giovanile in Mali. Qual è, quindi, la situazione nel Paese?

R. – Il Mali si trova nel cuore di queste dinamiche, stretto fra Niger, Ciad, Nigeria, Algeria, Libia: Paesi che nell’apparente calma hanno i loro problemi – alludo alla Mauritania, alludo al Marocco, alludo all’Algeria e in parte alla Tunisia – chi nella sua dimensione attuale ha le sue tragedie e penso direttamente alla Libia. Quindi è un crogiuolo di vettori, in cui il fallimento dell’umanità può trovare attuazione. E non solo per via dei contrasti, dovuti alle forze interne a quei Paesi, al grande problema del terrorismo interpretato e attuato da Boko Haram di turno e quanto altro…

D. – Quali sono i risultati raggiunti finora e quali sono, invece, le emergenze in Mali?

R. – L’emergenza del Paese è anzitutto quella di andare oltre le aspettative che Minusma consentiva di immaginare, non avendo questi contingenti di presenza concordata militare e di sorveglianza in Mali tra le forze locali e l’Onu  dato alcun risultato effettivo. Perché il rischio di scontri, il rischio di conflittualità rimaneva forte e rimane ancora forte all’interno delle componenti. Il problema è quello di ancorare i giovani attraverso programmi di acculturazione innanzitutto, sia dal punto di vista puramente intellettuale e culturale, della formazione e dell’istruzione, sia anche dal punto di vista della individuazione di campi di attività, coerenti con le tradizioni locali, coerenti con le disponibilità locali di beni e di strutture, dando così al giovane e ai giovani una certezza di continuità nella strada intrapresa attraverso sostegni effettivi. E penso ad investimenti; penso a formatori; penso a processi di educazione nel materiale come nello spirituale…

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Egitto: il dolore dei copti dopo l'attentato ad una chiesa al Cairo

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Ci sarebbe il gruppo dei Fratelli Musulmani dietro all'attentato alla cattedrale copta del Cairo di domenica scorsa che ha provocato 25 morti. Lo sostiene il ministero dell'Interno egiziano, secondo cui l’organizzazione avrebbe finanziato l’autore dell'attacco. Intanto, in Egitto la comunità copto-ortodossa vive un momento difficile dopo l’episodio di sangue che fa seguito ad altri simili. Sul clima in Egitto, Giancarlo La Vella ha intervistato Luciano Ardesi, esperto di nord Africa: 

R. – La comunità copta vive molto male questo attentato di domenica, anche perché questo è solo l’ultimo di una serie di episodi che si susseguono con una frequenza straordinaria. Quindi c’è preoccupazione, anche perché la comunità copta ha sempre chiesto ai governi che si sono succeduti al Cairo di proteggere la comunità stessa. Invece si assiste allo stillicidio di attentati alle Chiese, in modo particolare ma non solo, anche alle case o alle iniziative sociali che la Chiesa copta mette in opera nel Paese.

D. – Il ministero dell’Interno del Cairo punta il dito contro i Fratelli Musulmani: è plausibile un’ipotesi del genere?

R. – I Fratelli Musulmani da molti anni sono accusati dalla comunità copta di essere all’origine di questi attentati. Ed è probabile che in questo caso, se si confermassero questi sospetti, la comunità copta si sia trovata in mezzo a uno scontro tra i Fratelli Musulmani, che rimproverano al Presidente al-Sisi di aver destituito con il colpo di Stato del 2013 il proprio leader, Mohamed Morsi; e che quindi i copti in qualche modo paghino la guerra che i Fratelli Musulmani stanno conducendo contro l’attuale governo. Ma anche senza questo elemento rimane il fatto che questa guerra contro la comunità copta va avanti da troppo tempo.

D. – L’Egitto rimane comunque uno dei Paesi arabi più stabili nonostante questi episodi?

R. – Il tentativo del terrorismo in Egitto in questi anni è quello destabilizzare il Paese; certamente anche l’attentato di domenica non faciliterà la sua ripresa economica e la ripresa del turismo: l’Egitto sta soffrendo enormemente per questi attentati anche sul piano economico. Naturalmente questo si rifletterà anche sul piano politico. I copti sono da tanti anni discriminati sul piano sociale, del lavoro, della funzione pubblica: rimproverano al governo di essere stato troppo indulgente nei confronti di coloro che attaccano i cristiani in Egitto.

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Idos: cresce numero e qualità delle imprese di immigrati

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In Italia, a fine 2015, le persone non comunitarie rappresentavano la maggioranza dei lavoratori autonomi, esattamente il 69,9 per cento. Un sesto di essi aveva dei dipendenti. Sono alcuni dei dati contenuti nel Rapporto “Immigrazione e Imprenditoria 2016”, curato dal Centro Studi e Ricerche Idos, in collaborazione con MoneyGram e Cna, e presentato stamattina a Roma nella sede di Unioncamere. Qualche altra cifra: sempre a fine 2015, oltre 550 mila erano le aziende a guida immigrata registrate in Italia, il 9,1 per cento del totale, con la produzione del 6,7 per cento della ricchezza complessiva. Otto imprese su dieci si trovavano nel Centro Nord, quasi un terzo solo in Lombardia e nel Lazio. Significativo poi che tra il 2011 e il 2015 le aziende di immigrati siano aumentate di oltre il 21 per cento (+97mila), mentre nello stesso periodo il numero delle imprese registrate nel Paese ha fatto rilevare un calo complessivo dello 0,9%. Sul Rapporto, Adriana Masotti ha intervistato la curatrice, Maria Paola Nanni dell’Idos: 

R. – Sicuramente l’elemento che più caratterizza l’imprenditoria immigrata in Italia è una presenza nel mondo imprenditoriale che cresce, a ritmi anche sostenuti, rilevanti, nonostante la crisi economica. E soprattutto è una crescita che è in controtendenza rispetto a quello che invece si osserva tra le imprese guidate dai cittadini, i lavoratori nati in Italia. E questo quindi porta le imprese immigrate ad avere un ruolo sempre più importante, determinante soprattutto per quei settori caratterizzati da forti difficoltà di ricambio generazionale, perché magari poco appetibili per i giovani italiani che pure continuano ad essere segnati da una forte disoccupazione.

D. – E chi sono i gruppi di immigrati più presenti e attivi in Italia?

R. – Sul piano imprenditoriale sicuramente spicca il ruolo dei marocchini, dei cinesi, dei rumeni, dei bangladesi, come pure dei senegalesi e degli egiziani. Sono tutti gruppi che si sono evidenziati fin dall’inizio della loro presenza in Italia per una forte vocazione al lavoro autonomo, all’avvio di una vera e propria impresa e, tra l’altro, anche per specifiche tendenze alla concentrazione in determinati settori. I marocchini - è noto - sono dediti soprattutto al commercio, così come i senegalesi e i bangladesi, che pure però sono molto attivi anche nei servizi alle imprese nell’ambito ristorativo-alberghiero. I cinesi poi sono molto attivi nella manifattura, e quindi nella lavorazione di capi d’abbigliamento, ma sono molto attivi anche nel commercio, così come nel settore della ristorazione. Rumeni e albanesi invece da sempre si caratterizzano soprattutto per una forte competenza nel comparto edile.

D. – Quando si percorrono nelle nostre città, vie dove un tempo c’erano aziende, negozi, vetrine italiane, e adesso si vedono tutti nomi diversi, quale dovrebbe essere la reazione giusta da parte dei residenti autoctoni? Questo cambiamento è da vedere come una ricchezza o no?

R. – Questo evidentemente dipende anche molto dalla sensibilità personale. In termini statistici, guardando il tutto da una prospettiva più ampia, è evidente che si tratta di attività che di fatto hanno preso il posto di altre attività magari prima gestite da imprenditori italiani, perché si tratta di attività con bassi margini di guadagno e di crescita. Sono settori soprattutto legati ad un alto carico di lavoro per chi decide di investirci, di lavorarci. In questo i migranti possono far leva su quello che è definito il “capitale fiduciario” delle reti comunitarie: ovvero possono far poggiare la propria forza sull’aiuto di parenti e amici; e questo può essere un punto di forza che permette ai migranti di sostenere questo tipo di attività.

D. – L’alternativa sarebbe una serie di chiusure di esercizi ecc…

R. – Esatto, sarebbe la chiusura! In questo senso i migranti rivitalizzano anche il tessuto urbano commerciale dei piccoli centri e anche delle grandi città. È sicuramente un’opera di vivacizzazione, di dinamismo, che altrimenti scomparirebbe. Di fatto soffrono entrambi, anche gli stranieri, delle stesse problematiche, come un’eccessiva pressione fiscale o la difficoltà di accesso al credito. E i migranti in certi casi riescono a sostenere il carico perché legati a un forte spirito di sacrificio e perché hanno alle loro spalle un forte bisogno e l’urgenza di guadagnare: non possono permettersi lunghi periodi di disoccupazione. Per cui magari l’avvio di una piccola attività è funzionale a produrre un reddito, magari basso ma comunque un reddito.

D. – Il sottosegretario Luigi Bobba ha commentato il Rapporto dicendo che siamo passati ad una imprenditorialità immigrata matura, con grande beneficio per il sistema Italia…

R. – Sì, quello che si intende dire è che alla crescita quantitativa si comincia ad accompagnare anche una crescita qualitativa: è questa che va sostenuta. Quello che è importante in questi casi è non cadere in un’ottica oppositiva, competitiva, che rischia di indurre una competizione al ribasso. Quello che si vuole invece è una crescita qualitativa generale del Sistema Italia, inclusa la componente immigrata.

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Documento vescovi europei su povertà ed esclusione sociale

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Per rispondere alle esigenze dei 119 milioni di poveri in Europa oggi, la Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece) ritiene essere indispensabile costruire una “comunità di solidarietà e responsabilità” che potrà realizzarsi percorrendo sei piste. Le indicazioni sono contenute nella “Dichiarazione sulla povertà e l’esclusione sociale” resa pubblica ieri e maturata nel corso dell’Assemblea plenaria che si è svolta a fine ottobre. La prima strada passa attraverso la “promozione dello sviluppo integrale”, secondo la strategia “Europa 2020” che non va “persa di vista”, soprattutto quanto “agli indicatori sociali e ambientali”, e sostenendo “modi di consumo e di produzione alternativi”. 

Eliminare cause strutturali della povertà
Occorre poi “assicurare la coerenza delle politiche” in modo tale che “le politiche future” e in particolare quelle di “fiscalità equa” contribuiscano a “eliminare le cause strutturali della povertà”. In terzo luogo è necessario “riequilibrare interessi economici e diritti sociali” ponendo fine alla crescita delle disuguaglianze. 

Riconoscere le famiglie come attori chiave della società
“Difendere condizioni di lavoro adeguate” è un punto determinante in questa battaglia che l’Ue deve compiere “rafforzando la sua legislazione sul lavoro”, anche nel rispetto delle norme internazionali. “Riconoscere le famiglie come attori chiave della società” con “sostegni più importanti” e politiche “centrate su di esse” è un altro elemento, insieme a uno stile che favorisca “il dialogo e la cooperazione” con tutti gli attori, a partire dai poveri stessi.

Approccio integrale per combattere la povertà e l’esclusione sociale
Di fronte a “un quarto della popolazione ancora oggi esposta al rischio di povertà e di esclusione sociale” i vescovi europei incoraggiano “l’Ue e i suoi Stati membri a sviluppare, in collaborazione con la società civile e gli attori delle chiese, un approccio integrale di lotta contro la povertà e l’esclusione sociale in tutte le sue forme”. 

Il modello di “economia sociale" per un approccio integrale per combattere la povertà
​Il problema della povertà si è spostato “dalle periferie al cuore delle nostre società” e attanaglia oggi bambini, giovani, disoccupati di lungo periodo, “lavoratori poveri”, gruppi sociali discriminati. “I più vulnerabili dovrebbero essere al centro delle politiche locali nazionali e dell’Unione”, afferma il testo, guidate dai principi “della solidarietà e sussidiarietà”. In un’economia globale interdipendente anche i governi nazionali “dovrebbero cooperare almeno a livello europeo quanto alle norme e alle politiche sociali e fiscali”. Se la povertà è “il risultato di ostacoli strutturali”, solo il modello di “economia sociale di mercato” che lega “il principio del libero mercato con l’esigenza della solidarietà e i meccanismi di servizio al bene comune” offre un “approccio integrale per combattere la povertà”. (R.P.)

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La morte di mons. Irigoyen, una vita per le missioni

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Sabato 3 dicembre, festa di San Francesco Saverio, patrono delle Missioni, cui era particolarmente devoto, è morto a Roma mons. Jesus Irigoyen Urtasun, che ha dedicato tutta la sua vita all’animazione missionaria e a diffondere la conoscenza delle missioni attraverso gli strumenti della comunicazione sociale.

E' stato direttore dell'agenzia Fides
Per oltre 40 anni mons. Irigoyen ha lavorato all’agenzia Fides, prima come redattore di lingua spagnola, dal 1955 al 1969, quindi come direttore, dal 1969 al 1993, curando diverse pubblicazioni, tra cui alcune edizioni della “Guida delle Missioni cattoliche”. Anche quando i limiti di età gli avrebbero consentito il meritato riposo - riferisce l'agenzia Fides - mons. Irigoyen ha continuato a mettere pazientemente a disposizione la sua lunga esperienza come consulente dell’agenzia Fides, degli Officiali della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, dei Segretariati internazionali delle Pontiricie Opere Missionarie, di religiosi e religiose, di missionari e missionarie che ricorrevano a lui per le diverse e spesso complesse questioni riguardanti il mondo dell’evangelizzazione e delle missioni.

Nato in Spagna è giunto a Roma nel 1946
Nato a Lezaun in Navarra (Spagna), diocesi di Pamplona, il 12 giugno 1921, mons. Irigoyen studiò nel Seminario diocesano di Pamplona, dove fu ordinato sacerdote l’8 settembre 1946. Inviato a Roma per completare gli studi, vi giunse il 1° novembre 1946, alloggiando presso il Pontificio Collegio Spagnolo. Ha studiato Teologia e Diritto Canonico alla Pontificia Università Gregoriana, quindi Diritto Civile e Romano alla Pontificia Università Lateranense. Inoltre ha frequentato i tre Corsi dello Studio Rotale presso il Tribunale della Rota Romana ed il Corso di Prassi amministrativa nello Studio della Congregazione per il Clero.

La lunga collaborazione con la Radio Vaticana
Non tralasciando il ministero pastorale, esercitato per decenni nel Pensionato femminile universitario diretto dall’istituto Ravasco, mons. Irigoyen per più di mezzo secolo ha collaborato con la Radio Vaticana, soprattutto come responsabile del Programma missionario settimanale di lingua spagnola. E’ stato inoltre Consultore della Pontificia Commissione delle Comunicazioni Sociali e membro del Comitato di redazione della rivista del pontificio Consiglio della pastorale degli operatori sanitari. E’ stato anche chiamato a far parte della “Commissione per i nuovi martiri” del Comitato centrale del grande Giubileo dell’anno 2000.

Il suo impegno nel mondo missionario e in quello dei massa media
Nella sua lunga vita ha ricoperto numerosi incarichi sempre legati al mondo missionario e dei mezzi di comunicazione sociale. Membro del Capitolo di San Pietro, nel 1996 ebbe la gioia di celebrare il suo 50° anniversario di ordinazione sacerdotale con il Santo Padre Giovanni Paolo II e con altri 7.000 sacerdoti di tutto il mondo ordinati nel 1946, convenuti a Roma per la stessa circostanza. Dopo i funerali, celebrati nella Basilica Vaticana, mons. Irigoyen è stato sepolto nella cappella del Capitolo di San Pietro, nel cimitero del Verano, a Roma. (S.L.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 348

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.