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Sommario del 14/12/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa: gioia più bella del Natale è sentire che Dio ci ha perdonato

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“Il male non trionferà per sempre”, Dio viene a instaurare un regno di pace. Così il Papa, stamanI, nella catechesi all’udienza generale tenuta nell'Aula Paolo VI in Vaticano. Francesco si è soffermato sulla gioia del Natale, la gioia di essere perdonati da Dio, e ha invitato i cristiani a farsi messaggeri di speranza perché il mondo non può aspettare. Il servizio di Debora Donnini

La speranza nasce quando vediamo Dio nel presepio, il piccolo bambino di Betlemme, bisognoso di tutto. Di fronte a questo, “i piccoli del mondo sapranno che la promessa si è compiuta”. Nella seconda udienza generale dedicata alla speranza cristiana, Francesco spiega in cosa consista. Parte dalle parole del profeta Isaia, che annunciano la venuta del Signore che libera il suo popolo. E’ il momento storico della fine dell’esilio a Babilonia e Dio si avvicina a quel “piccolo resto”, che ha continuato a resistere nella fede, anche in mezzo al buio.

Il male non trionferà, Dio viene a instaurare un regno di pace
Il brano proclamato all’udienza è un canto di esultanza, proprio in risposta a questo avvicinarsi di Dio, e parla della bellezza dei “piedi del messaggero che annuncia la pace”. Questo dunque il motivo della speranza:

“Quando tutto sembra finito, quando, di fronte a tante realtà negative, la fede si fa faticosa e viene la tentazione di dire che niente più ha senso, ecco invece la bella notizia portata da quei piedi veloci: Dio sta venendo a realizzare qualcosa di nuovo, a instaurare un regno di pace; Dio ha ‘snudato il suo braccio’ e viene a portare libertà e consolazione. Il male non trionferà per sempre, c’è una fine al dolore. La disperazione è vinta perché Dio è tra noi”.

Siamo testardi ma dobbiamo imparare che Dio vince il peccato
Il Papa sottolinea con forza che Dio “non ha abbandonato il suo popolo” perché “la sua grazia è più grande del peccato”. “Questo dobbiamo impararlo”, raccomanda Papa Francesco che, come spesso fa, instaura un dialogo con i fedeli presenti:

“Questo dobbiamo impararlo, Perché noi siamo testardi e non lo impariamo. Ma io farò la domanda: chi è più grande, Dio o il peccato? (I fedeli: 'Dio!') E chi vince alla fine? Dio o il peccato? (I fedeli: 'Dio!'). Egli è capace di vincere il peccato più grosso, più vergognoso, più terribile, il peggiore dei peccati? Con che arma vince Dio il peccato? (I fedeli: 'Con l’amore!')”.

L’uomo quindi viene liberato “da ciò che sfigura in lui l’immagine bella di Dio perché quando siamo in peccato l’immagine di Dio è sfigurata”, sottolinea Francesco.

La gioia del Natale è sentire che “il Signore mi ha perdonato”
E il compimento di questo amore sarà proprio quel regno di perdono e di pace, che si celebra con il Natale:

“E la gioia più bella del Natale è quella gioia interiore di pace: il Signore ha cancellato i miei peccati, il Signore mi ha perdonato, il Signore ha avuto misericordia di me, è venuto a salvarmi. Quella è la gioia del Natale!”.

I cristiani corrano come messaggeri di speranza: l’umanità ha sete di pace
Il Papa quindi esorta i cristiani a diventare “uomini e donne di speranza”, collaborando così alla venuta di questo regno. “Quanto è brutto –  nota Francesco – quando troviamo un cristiano che ha perso la speranza”, mentre Dio distrugge i muri col perdono. Bisogna quindi portare al mondo questo messaggio:

“Il messaggio della Buona Notizia che ci è affidato è urgente, dobbiamo anche noi correre come il messaggero sui monti, perché il mondo non può aspettare, l’umanità ha fame e sete di giustizia, di verità, di pace”.

La sorpresa del Natale: la potenza del Dio che salva, racchiusa in un bambino appena nato
In un bimbo appena nato, avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia, è quindi racchiusa “tutta la potenza del Dio che salva”. "Il Natale è un giorno per aprire il cuore”, dice Francesco, a tanta piccolezza e meraviglia. La sorpresa del Natale è infatti quella “di un Dio bambino, di un Dio povero, di un Dio debole”, in un parola “di un Dio che abbandona la sua grandezza per farsi vicino a ognuno di noi”.

Nei saluti finali, il Papa ricorda l’odierna memoria di San Giovanni della Croce e, rivolgendosi ad alcuni sacerdoti novelli dei Legionari di Cristo e ai seminaristi di Brescia presenti, auspica che vivano il sacerdozio “con autenticità, spirito di servizio e capacità di mediazione tra la grazia di Dio e la fragilità della condizione umana”. E raccomanda: “Dovete essere mediatori, mai intermediari”.

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Papa scherza sugli auguri in anticipo: "Nella mia terra porta jella"

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Grande festa oggi durante l’udienza generale: i fedeli presenti in Aula Paolo VI hanno fatto gli auguri a Papa Francesco che sabato prossimo 17 dicembre compirà 80 anni. Il servizio di Sergio Centofanti

Canti, applausi, strette di mano, abbracci affettuosi: il Papa s’immerge tra i fedeli e riceve gli auguri di tanti pellegrini. Una signora gli presenta una torta con due candeline a forma di "8" e di "0", sono già accese e Papa Francesco le spegne soffiando. Poi, scherzando sugli auguri ricevuti con tre giorni di anticipo, dice:

“Ringrazio tutti voi degli auguri per il mio prossimo compleanno, grazie tante! Ma vi dirò una cosa che vi farà ridere, vi farà ridere: nella mia terra fare gli auguri in anticipo porta la jella! E chi fa gli auguri in anticipo è uno iettatore!”.

Ma ascoltiamo, al microfono di Francesco Gnagni, le voci di alcuni fedeli che hanno partecipato all’udienza generale:

R. - Facciamo gli auguri con tutto il cuore per il compleanno del Papa ... anche se ci ha detto che porta un po’ male farli in anticipo!

D. - Ma ci credete voi a questo o vi prendeva in giro?

R. - No! Ma noi con tutto il cuore facciamo gli auguri a Papa Francesco perché gli vogliamo tanto bene! Siamo venuti qui per questo motivo … Nonostante la stanchezza dopo un lungo viaggio siamo qui proprio per vederlo, per sentire le sue parole che ci danno coraggio e forza per affrontare la vita.

D. - Che cosa vi ha colpito del discorso di oggi?

R. - Il riferimento all’amore che vince su tutto.

D. - Il Papa ha detto che porta sfortuna fare gli auguri in anticipo … Ci credete?

R. - (Una persona anziana, ridendo) Ha scherzato! Non è vero! Tanti auguri, tanti, tanti, …

R. – Feliz cumpleaños a nuestro Papa, tan querido Papa Francisco!

R. – (Un bambino) Tanti auguri Papa Francesco!

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Video Papa per non udenti. Vicariato: incoraggiamento pastorale sordi

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Un video di pochi secondi ma dal grande significato. Papa Francesco ha augurato un Santo Natale 2016 nella lingua dei segni, chiedendo ai non udenti di pregare per lui. La sequenza è stata pubblicata sull’account twitter di mons. Yoannis Lahzi Gaid, della segretaria particolare del Papa, ed è subito diventata, come si dice nel gergo dei social media, “virale”. Già il 26 maggio scorso, all’inizio dell’udienza generale in Piazza San Pietro, Francesco aveva salutato i fedeli nella lingua dei segni. Quel giorno, infatti, tra i 20 mila presenti c’era anche un gruppo di circa 60 persone dell’Ente nazionale sordi. Sul significato di questo piccolo video, Alessandro Gisotti ha intervistato don Mario Teti, incaricato della pastorale per i fedeli sordi del Vicariato di Roma: 

R. - Io ricordo ancora con piacere quando il Papa è stato eletto e stavo con i sordi e si è affacciato dal balcone a San Pietro e i sordi sono rimasti così stupefatti! La sua espressività, che per i sordi è molto importante… Ed è sempre piaciuta ai sordi la persona di Papa Francesco. Quindi, questo video che i sordi stessi mi hanno inviato può essere un segno positivo, una cosa molto gradita per loro, che hanno gradito tantissimo lo sforzo di essere comunicativo anche nella lingua italiana dei segni.

D. – Un piccolo video che vuol dire che il Vangelo arriva a tutti, non ci sono davvero barriere...

R. – Certamente. E’ quello che poi ci ha insegnato Gesù: andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo in ogni lingua. Come poi è stata anche la mia chiamata come sacerdote diocesano, della diocesi di Roma. C’è stata la chiamata proprio all’interno della mia chiamata da parte dei sordi, ma è stata come una chiamata da parte di Dio che mi ha mandato a cercare di comunicare il Vangelo, spiegare il Vangelo, nella loro lingua, ai sordi italiani.

D. – A che punto siamo su questo fronte? Quanto è impegnata le Chiesa e quanto rispondono poi i fedeli a questa disabilità?

R.  – La Chiesa è sempre stata impegnata su questo fronte. Chiaramente, come dice Gesù: pregate perché mandi operai per la sua messe. Quindi bisogna pregare anche che mandi operai specializzati per la “messe” dei sordi. Perché ci sono tanti sordi che sono pronti a ricevere il messaggio solo che sono pochi gli operai. Ecco, dobbiamo pregare per questo.

D. - In qualche modo questo video di Francesco può essere anche un incoraggiamento? Come lo fa lui, ovviamente, lo devono fare anche gli altri e quindi innanzitutto i sacerdoti...

R. - Questo appello di Papa Francesco dovrebbe essere rivolto soprattutto ai sacerdoti giovani, hanno la freschezza di imparare, perché imparare la lingua dei segni implica anche un impegno notevole, di tempo e di energie. Quindi dovrebbe essere rivolto ai giovani sacerdoti di tutta Italia, che accolgano questo invito a sentirsi chiamati anche ad essere impegnati per il mondo dei sordi.

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C9: spinta missionaria e sinodalità nella riforma dei dicasteri

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Si conclude nel pomeriggio l'ultima riunione di quest’anno del Consiglio dei Nove Cardinali, istituito dal Papa nel settembre del 2013, con il compito di coadiuvarlo nel governo della Chiesa e nel progetto di riforma della Curia Romana. Sui tre giorni di lavori, della XVII sessione del C9, cui ha partecipato anche Francesco, ha riferito stamane in un briefing Greg Burke, direttore della Sala Stampa vaticana. Due i temi fondamentali emersi come linee-guida della riforma per i dicasteri: la spinta missionaria e la sinodalità. Il servizio di Roberta Gisotti:  

Prosegue l’impegno dei nove cardinali consiglieri del Papa per migliorare il servizio reso dai vari dicasteri vaticani alla Chiesa universale, in vista della nuova Costituzione apostolica. All’ordine del giorno la riforma delle Congregazioni per l’Evangelizzazione dei Popoli, per i Vescovi e per le Chiese Orientali, oltre che la Segreteria di Stato, ‘motore’ della Curia, soffermandosi in particolare sul ruolo del segretario di Stato, ha riferito Greg Burke:

“I cardinali cercano di fare una riforma che manca da quasi trenta anni: la Pastor Bonus è del 1988. L’aspetto fondamentale, credo, sia lo spirito che il Papa suggerisce proprio verso lo zelo missionario e la sinodalità, nel senso che dove non c’è bisogno di una centralizzazione le Chiese locali sono importanti".

Ospiti del C9 il cardinale Farrel, prefetto del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, che ha approfondito il ruolo dei laici, a partire dalla lettera inviata da Papa nel marzo scorso al cardinale Oullet, presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina; e a seguire il cardinale Turkson, prefetto del Dicastero per il Servizio allo Sviluppo umano integrale, accompagnato da mons. Tomasi, che ne ha illustrato i compiti, come un’attuazione della Costituzione conciliare Gaudium et Spes. Tra i porporati del C9, il cardinale O'Malley ha aggiornato sui lavori della Pontificia Commissione per la tutela dei minori, da lui presieduta, ed il cardinale Pell sulle attività della Segreteria per l'Economia. Nel pomeriggio interviene mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione, per riferire sui passi compiuti e da fare per la riforma dei media, specie per la formazione del personale. Ma quale clima si respira nel C9? Greg Burke:

“Vedere questi nove cardinali, che sono uomini di Chiesa di grande esperienza e giungono da tante parti del mondo, dà serenità. Credo che si rendano conto dell’importanza della riforma per la Chiesa universale”.

Questi i porporati membri del C9: Pietro Parolin, segretario di Stato (Italia), Andrés Rodríguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa (Honduras), coordinatore del gruppo, Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato, Francisco Javier Errázuriz Ossa, arcivescovo emerito di Santiago del Cile (Cile), Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay (India), Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga (Germania), Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo), Sean Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston (Stati Uniti), George Pell, prefetto della Segreteria per l'Economia (Australia).

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Nomine di Papa Francesco

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Le nomine di Papa Francesco. Consulta il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede.

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Santa Sede: ridare diritti e dignità agli anziani

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Un nuovo trattato, una convenzione, un qualche nuovo documento che ribadisca ciò che in fondo è stato affermato giù più volte. Tutto può andar bene, se poi i principi enunciati vengono rispettati. Altrimenti si tratterebbe di altre parole inutili che nessun anziano merita di ricevere. Sta in questa considerazione uno dei passaggi-chiave dell’intervento di mons. Bernardito Auza alla sessione del gruppo di lavoro (Oewg) che si sta occupando, in sede Onu, di tutelare i diritti e la dignità delle persone anziane.

Un mondo “anziano”
L’osservatore vaticano apre il suo intervento con alcune cifre che danno tridimensionalità a uno scenario globale molto serio: “Entro il 2030 – enuncia – il numero di persone in tutto il mondo oltre i 60 anni di età è destinato a crescere del 56%, da 901 milioni a 1 miliardo e 400 milioni. Entro il 2050, la stessa fascia di popolazione è destinata a raddoppiare, raggiungendo quasi i 2,1 miliardi”. E questo “aumento della popolazione anziana” si unisce, soggiunge mons. Auza, a “un aumento della speranza di vita media” che “metterà a dura prova i sistemi sanitari e le reti di sicurezza sociale”.

Diversamente necessari
Qui però nascono i problemi sulla dignità di chi ha un’età non più verde. Perché, osserva il presule, si tende a pensare e a “trattare gli anziani come fossero unicamente un onere economico e sociale incombente”. A parte il fatto che un anziano può sempre dare, in modi diversi, il proprio “contributo sociale”, bisogna “riconoscere – ribadisce mons. Auza – che la dignità non scompare con l'età o con una diminuzione della produttività di mercato”. Come fare per impedire questa concezione errata?

Serve un nuovo trattato?
L’osservatore pontificio ricorda che se esiste “consenso sull’importanza dell’affrontare le gravi lacune che esistono nella tutela dei diritti umani delle persone anziane”, questo poi manca “sul come porvi rimedio”. Alcuni Stati, prosegue, hanno proposto l’adozione di un “nuovo meccanismo” di tutela, altri che si rispettassero “gli impegni” già assunti “in altri trattati e convenzioni”. Altri ancora che “la base per la tutela degli anziani deve essere trovata all’interno del Piano d’Azione internazionale di Madrid sull'invecchiamento e negli impegni assunti per l'attuazione dell’Agenda del 2030”.

Fatti oltre i documenti
“A prescindere dalla forma che la protezione dei diritti umani delle persone anziane può assumere – è l’opinione di mons. Auza – è essenziale garantire che le misure concordate siano adeguate per proteggere, rispettare e realizzare i particolari diritti umani delle persone anziane” giacché “l'esperienza ci ha dimostrato che trattati, convegni, conferenze e dichiarazioni, mentre contribuiscono alla costruzione del consenso e delle norme internazionali, spesso difettano della volontà politica necessaria per la loro piena attuazione. E non possiamo permettere che i nostri anziani siano lasciati indietro da parole che non hanno un seguito”.

Anziani saremo tutti
Mons. Auza sollecita a porre la questione nell’ottica indicata da Papa Francesco, per cui gli anziani non possono patire la solitudine o l’abbandono generati dalla “cultura dello scarto”, quella che “giudica ogni essere umano semplicemente per la sua utilità presunta”. Al contrario, dice, gli anziani “giocano un ruolo importante” e ciò va riscoperto specie in momento storico in cui tanti lottano “per trovare la propria identità e sono incerti del futuro”. E poi, conclude con sano realismo mons. Auza, “quando si parla di invecchiamento e di persone anziane, stiamo parlando di una categoria di persone alla quale nel tempo inesorabilmente apparterremo. Le decisioni che prendiamo e il lavoro che facciamo oggi avranno riflesso su tutti noi domani”. (A cura di Alessandro De Carolis)

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Oggi in Primo Piano



Siria: sospeso l'accordo, non prosegue l'evacuazione dei civili

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Non si fermano i bombardamenti su Aleppo Est. L’accordo tra le forze governative di Assad e l’opposizione siriana, annunciato ieri, è sospeso. Ed è scontro tra i lealisti e alcune sacche di resistenza dei ribelli. L’Onu, insieme a molte organizzazioni umanitarie, lancia un grido di denuncia per la grave situazione dei civili. Il servizio di Eugenio Murrali

Di sicuro c’è solo che la situazione umanitaria è disperata, mentre le due parti si rimpallano l’accusa di aver violato la tregua, causando la sospensione dell’accordo, che Russia e Turchia avevano annunciato solo ieri. Oggi il Presidente turco Erdogan ha affermato che chiamerà il Presidente Putin alla ricerca di una soluzione, mentre i ministri degli esteri, insieme a quello iraniano, si sarebbero già sentiti per tentare di ripristinare la tregua.

Secondo quanto riportato dal Ministero della difesa russo, questa mattina un gruppo di oppositori resistenti ha esploso colpi contro una colonna di ribelli in fase di evacuazione, questo avrebbe prima rallentato le operazioni e poi portato alla sospensione dell’accordo. La Turchia sostiene invece che sia il regime a impedire il cessate il fuoco e un portavoce dei ribelli avrebbe aggiunto che sono state imposte nuove condizioni ai vinti.

Si moltiplicano gli appelli di fronte all’emergenza umanitaria. L’Onu vuole inviare osservatori imparziali a presiedere l’evacuazione, e Medici Senza Frontiere chiede a tutte le parti di fermare la violenza sui civili, perché non è stato possibile spostare i pazienti, rifornire gli ospedali e dare assistenza alle persone intrappolate nell'area.

Anche mons. Antoine Audo, presidente di Caritas Siria e vescovo caldeo di Aleppo, ha fatto un appello ai nostri microfoni per la cessazione di ogni ostilità:

"La cosa più importante è difendere i civili, soprattutto i bambini, i ragazzi, le donne, le famiglie. Speriamo che con il Natale che arriva si ascolti il grido dei bambini e che ci sia un miracolo: ci si fermi adesso, si accetti un dialogo serio per difendere la causa e la pace dei più poveri".

Sul fronte della lotta contro il sedicente Stato Islamico: l’esercito turco avrebbe circondato Al-Bab, città al nord d’Aleppo considerata una roccaforte dell’Is. Mentre Daesh ha diffuso un video in cui sostiene di aver conquistato una base militare russa a Palmira.

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Gesuiti di Aleppo: conviviamo con la morte, ma Dio c'è sempre

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“Il crocifisso è crivellato di colpi e mutilato, e tuttavia è restato sulla croce cinque anni, solidale con le nostre sofferenze e il nostro isolamento. È là, sfigurato come la nostra città, e ci mostra il dolore di Dio di fronte alla brutalità degli uomini”. Sono parole dei Padri Gesuiti della Comunità di san Vartan di Aleppo, raccolte da Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs). Sabato scorso, alle 17.45, quattro granate da obici hanno colpito la loro residenza. La Messa quotidiana prevista per quell’ora – hanno affermato i religiosi – era stata provvidenzialmente celebrata in altro luogo di culto, e solo per questo è stata evitata una strage. 

I danni all’edificio sono stati tuttavia consistenti
I Gesuiti tuttavia non perdono la speranza: “Di fronte ad una catastrofe la gente pensa che Dio non avrebbe dovuto permetterla. Ma noi che conviviamo con la morte, evitabile se si lasciasse la città, vediamo che Dio c’è sempre. La sua Provvidenza allevia il male, nella misura permessa dalla libertà dell’uomo”.

La solidarietà della comunità cattolica italiana
A due ore di auto da Aleppo ci sono i villaggi di Michrefeh, Rable e Ain Hlaquim, appartenenti alla diocesi di Laocidea. Ad un’altitudine di 700 metri vivono alcune migliaia di famiglie, e per assicurare a 600 di esse il riscaldamento, Aiuto alla Chiesa che Soffre Italia sta raccogliendo fondi con un’apposita Campagna natalizia. E sempre a Laodicea la Fondazione sta finanziando un altro progetto per garantire latte e pannolini a 650 bambini, d’intesa con mons. Antoine Chbeir, vescovo maronita del nord della Siria. Due progetti per dimostrare la libera solidarietà della comunità italiana, e per collaborare con la Provvidenza che, come ci hanno detto i Gesuiti di san Vartan, allevia il male della martoriata nazione siriana. (R.P.)

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Gambia: Presidente uscente Jammeh contesta vittoria opposizione

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Una raccolta di firme per invalidare le elezioni presidenziali di inizio dicembre e far sì che in Gambia si voti di nuovo. La stanno portando avanti il partito maggioritario e il capo di Stato uscente Yahya Jammeh. Dopo 22 anni al potere, Jammeh in un primo tempo aveva riconosciuto la vittoria del leader dell'opposizione Adama Barrow, ma successivamente l'ha contestata. Nonostante il tentativo di mediazione dell'Organizzazione dei Paesi dell'Africa Occidentale (Ecowas) e le pressioni internazionali, Jammeh continua a parlare di brogli e irregolarità nei registri elettorali. Giada Aquilino ne ha parlato con l’africanista Anna Bono

R. - La ragione effettiva è che Yahya Jammeh rifiuta di cedere il potere. In un primo momento aveva accettato la vittoria dell’avversario, quindi sembrava finalmente un caso esemplare: è stato addirittura citato come tale per gli altri Paesi africani, di un leader che accetta la sconfitta e cede il potere senza creare problemi. Passati alcuni giorni, ha però cambiato idea e quindi ha cominciato a dire che c’erano delle irregolarità e che quindi andavano rifatte le elezioni.

D. - Perché questo cambio di passo?

R. - È un leader giovane, ha solo 51 anni, penso che intenda rimanere al potere. E’ quello che sta cercando di fare. Quindi si mette in linea con tanti suoi colleghi in Africa che si comportano allo stesso modo, cioè preso il potere cercano di mantenerlo il più a lungo possibile con la forza, con degli espedienti, modificando la costituzione, insomma ricorrendo a tutti i mezzi possibili. E va ancora bene quando questo poi non scatena conflitti cruenti.

D. - Chi è Yahya Jammeh?

R. - Yahya Jammeh ha preso il potere 22 anni fa con un colpo di Stato incruento. Quella del Gambia va considerata una democrazia apparente: in realtà governa con mano dura e creando non pochi problemi. Per quattro volte è stato rieletto, questo era il quinto mandato. Nel frattempo questo piccolissimo Paese ha subito le conseguenze di un governo poco attento ai bisogni della popolazione. E il Presidente è accusato di reprimere il dissenso, la protesta, l’opposizione in modo decisamente duro.

D. - Perché nemmeno la mediazione dell’Ecowas riesce a cambiare il corso degli eventi?

R. - La mediazione è appena iniziata. Tra l’altro il responsabile dell’Ecowas, che è un organismo regionale, ha già dichiarato ufficialmente che non si può escludere un intervento militare. Lo ha detto proprio esplicitamente: lo abbiamo già fatto in altre occasioni, si potrebbe fare anche in questa occasione, ha spiegato. Al momento ci sono 4 - 5 leader africani in Gambia che cercano di far ragionare il Presidente, di mediare, di trovare una soluzione. Una informazione che dà l’idea della gravità di questa situazione è che la sede della commissione elettorale, in cui sono contenuti tutti i dati elettorali, è presidiata al momento dalle forze di sicurezza e quindi è impedito l’accesso a qualunque dipendente. Non solo: il capo di Stato maggiore, che nei giorni scorsi aveva dichiarato la sua fedeltà al nuovo Presidente, invece ha cambiato opinione e ha ufficialmente dichiarato fedeltà al Presidente Jammeh.

D. - C’è il rischio che la situazione internamente degeneri?

R. - Certo c’è questo rischio. Dipenderà da come deciderà di muoversi l’opposizione. L’aspetto nuovo e positivo che si era verificato nelle settimane e nei mesi scorsi è che finalmente l’opposizione era riuscita a coalizzarsi: sette partiti hanno sostenuto il candidato che sfidava Jammeh. E questo è uno dei motivi per cui ha vinto, almeno ufficialmente, guardando i dati ufficiali, con un distacco notevole dal Presidente uscente. E poi bisognerà vedere come si muoverà l’esercito e cosa succederà nelle prossime ore.

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Ordine di Malta: si faccia rete per salvare le donne migranti

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Un momento per confrontarsi su una delle sfide più attuali con cui il mondo fa i conti: le migrazioni, il destino dei migranti, delle donne prima di tutto. E' stato quello offerto ieri da un seminario organizzato dall'Ambasciata dell'Ordine di Malta presso la Santa Sede in collaborazione con l'Osservatore Romano, dove forte è stata la denuncia delle violenze che le migranti sono costrette a subire nel loro percorso alla ricerca di una vita migliore. Francesca Sabatinelli: 

Partono conoscendo il rischio, come Ada che, prima di attraversare il confine tra El Salvador e Messico, per l’equivalente di tre dollari, e senza ricetta medica, compera la cosiddetta “iniezione anti-Messico”, il Depo-Provera, anticoncezionale composto da un solo ormone che per novanta giorni copre dalle gravidanze, inevitabili per chi, come le donne migranti sanno, subirà stupri durante il viaggio, in questo caso verso gli Stati Uniti, dai delinquenti, dagli agenti di polizia, ma anche dagli stessi compagni di tragitto. E’ una delle storie di “Donne in Fuga”, ultimo numero del 2016 del Mensile dell’Osservatore Romano “Donne Chiesa Mondo”, dedicato “alla solitudine del percorso” delle migranti “vittime impotenti di violenze continue” che in nome di una vita futura vivono “un vero e proprio calvario”. Lucetta Scaraffia, consulente editoriale del giornale:

"È molto importante che questo dramma delle donne, che è triplo rispetto a quello degli uomini perché riguarda la violenza, la fatica di affrontare quel percorso incinte, con dei bambini, allattando i neonati, venga reso noto, venga conosciuto da tutti e si faccia qualcosa. Questa è la cosa fondamentale, perché queste donne stanno diventando veramente un esempio di dolore, di sofferenza di vittime di cui tutti noi dovremmo vergognarci. Bisogna anche ricordare che queste donne non solo vengono violentate in Libia, ma anche qui da noi vengono vendute nella tratta, sulle nostre strade - anche minorenni - e nessuno dice nulla".

Si faccia rete a favore delle donne è stato l’appello dei presenti al seminario, dove ad essere raccontata, oltre alla violenza, è stata anche la solidarietà. Come quella che anima quotidianamente la vita di suor Angela Bipendu, medico volontario del Cisom, il Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta. Originaria della Repubblica democratica del Congo, Suor Angela è divenuta cardiochirurgo alla facoltà di medicina di Palermo e ora assiste i migranti che attraversano il Mediterraneo per arrivare a Lampedusa:

R. - Io mi occupo del primissimo soccorso per questi nostri fratelli che vengono dall’Africa. L’emozione è grandissima, perché quando loro salgono sulle nostre unità sono già al sicuro, in loro persone vedi già la tranquillità. Malgrado questo, hanno sempre la paura di dove andranno a finire, di cosa andranno a fare. Però in noi c’è quell’emozione di aver portato in salvo 140 persone che si trovavano su di un gommone, seguito da un altro, e poi un altro e un altro ancora,  … Quindi su l’unità operativa mi ritrovo con ottocento, con mille persone da gestire, e siamo solo n medico ed un’infermiera e non bastiamo. Però, dinanzi a Dio dico: Ti ringrazio perché le ho portato in salvo; ma non le ho portate in salvo io ma Lui, che fa di tutto per salvare queste persone.

D. - Lei non porta il velo quando è in azione. Non indossa l’abbigliamento da suora. Quando sanno, capiscono o lei dice loro di essere una suora cattolica, c’è qualche reazione?

R. - Hanno il sospetto, tolgo il velo però metto sempre la cuffia. A volte la Croce mi tradisce perché nel prestare soccorso esce fuori, loro la vedono ed iniziamo a pregare. Poi la domenica successiva, se sono a Lampedusa ci incontriamo in chiesa e facciamo festa, anche con i musulmani che vengono non entrano però si mettono furi la chiesa, e guardano.

D. - L’emozione più grande?

R. - Quando vedo questi bambini piccoli piccoli. Ultimamente un bambino di un giorno , appena nato in Libia, e portato su un gommone. L’emozione più grande è vedere queste persone in salvo. È una grandissima emozione.

A denunciare la tratta delle donne e i “consumatori” che usano il corpo delle ragazze è stata ancora una  volta Suor Eugenia Bonetti Missionaria della Consolata, Responsabile dell'Ufficio Tratta Donne e Minori dell'USMI e presidente dell’Associazione “Slaves No More:

"I numeri aumentano sempre di più. Sono più di venti anni che lavoro in questa situazione, vedo che non si è risolta. Ci sono stati dei cambiamenti, però il problema rimane se noi non tocchiamo le cause. Tra le cause principali cui dovremmo dare più attenzione: la lotta alla povertà, alla corruzione e all’ignoranza. Se noi non facciamo veramente queste tre lotte per poter ridare a queste persone la loro dignità, la possibilità di poter riprendere in mano la loro vita e riprendere in mano il loro futuro non si risolverà niente. È fondamentale, soprattutto, la lotta alla povertà e offrire opportunità! Hanno dei Paesi ricchissimi, la Nigeria è ricchissimo! Ma in mano a chi? A chi la sfrutta, a chi la usa, a chi non dà opportunità a queste migliaia e migliaia, milioni di persone che hanno voglia di un futuro, hanno voglia di diventare veramente protagonisti della loro vita, ma questa opportunità a loro non viene offerta perché non hanno la possibilità di andare a scuola".

Suor Bonetti torna poi a parlare di quella che per lei è “la grossa spina”, il Cie, centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, vicino a Roma, dove continuano ad arrivare centinaia di ragazze nigeriane che nel loro viaggio hanno subito abusi di ogni genere e che poi o vengono espulse o finiscono in strada:

"Vediamo che sono passati mesi, anni e la situazione non migliora, ma è sempre più deteriorata, soprattutto perché adesso arrivano ragazze, da Lampedusa o da questi sbarchi, che hanno già vissuto violenze su  violenze. Poi, sono ancora sotto le grinfie delle ‘madame’, dei trafficanti, che attendono soltanto il momento di poterle riacciuffare da Ponte Galeria per buttarle sulle strade per avere i guadagni. Ponte Galeria è veramente un grosso problema, c’è da domandarsi: serve? A cosa serve? A chi serve? Quanta spesa c’è nel gestire Ponte Galeria? Non sarebbe meglio usare questi soldi per vere gestioni, diverse, che offrano davvero a queste persone l’opportunità di una vita diversa, di una vita migliore?".

Amare le parole del cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti:

"A pagare di più questo fenomeno già pesante per l’umanità sono proprio le donne, perché con le donne arriva il problema della tratta, della vulnerabilità. Come spesso accade, tra uomini e donne, le donne sono sempre coloro che soffrono di più. È una realtà. L’Europa non si manifesta come la culla dei diritti umani della solidarietà, cioè quei valori sui quali si basava - è brutto dirlo al passato, vorrei ancora dire si basa – e dovrebbe fare molto di più. È triste, perché l’Europa è ricca. Noi tutti siamo ricchi rispetto a questo mondo, tutti. Però siamo egoisti".

Un incontro quello di ieri che intende essere solo il primo di una lunga serie che coinvolgerà  tutti coloro che a vario titolo sono impegnati nella difesa della dignità umana e, in particolare, delle donne, per rispondere  così, si sottolinea dallo stesso Ordine di Malta, “alle preoccupazione e alla priorità” espresse da Papa Francesco.

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Chiese cristiane di Londra: Campagna per accoglienza migranti

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#LondonUnited è l’hashtag con il quale le varie chiese cristiane londinesi vengono incoraggiate a condividere il loro lavoro compiuto al servizio della comunità per l’accoglienza degli stranieri.

In aumento gli episodi di intolleranza e xenofobia dopo la Brexit
Al lancio dell’iniziativa, avvenuta nei giorni scorsi – riporta l’agenzia Sir -  diversi leader hanno espresso la loro preoccupazione per l’intensificarsi degli episodi di intolleranza e xenofobia dopo il voto del referendum del 23 giugno nel quale il 52% dei cittadini britannici hanno scelto di lasciare l’Unione Europea. Oltre al card. Vincent Nichols, primate cattolico di Inghilterra e Galles, hanno partecipato all’incontro Sarah Teather, direttrice del “Jesuit Refugee Service”, l’organizzazione internazionale che aiuta rifugiati politici e migranti in difficoltà, John Perumbalath, arcidiacono anglicano di Barking e presidente del network per i richiedenti asilo delle chiese londinesi, e Angela Afzal, coordinatrice dell’organizzazione Capital Mass che aiuta le parrocchie più povere oltre a Matthew Ryder, il primo vicesindaco di colore della capitale scelto dal sindaco Sadiq Khan per seguire il settore integrazione.

Londra: una lunga tradizione di accoglienza
​“La ricca diversità delle nostre parrocchie e delle nostre scuole testimonia la lunga tradizione di accoglienza che Londra ha sempre onorato”, ha detto il card. Vincent Nichols. “Come cristiani siamo chiamati ad offrire la nostra amicizia e il nostro sostegno a coloro che ne hanno più bisogno”. (L.Z.)

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India: i vescovi chiedono una nuova politica verso i dalit

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Ieri la Conferenza episcopale indiana (Cbci) ha approvato un piano di politiche per migliorare le condizioni dei dalit all’interno della Chiesa cattolica in India. Si tratta di un lungo documento, frutto del lavoro a livello diocesano e locale di numerosi sacerdoti, laici, uomini e donne “di buona volontà” che hanno l’obiettivo comune di scardinare in via definitiva la tradizionale discriminazione di casta contro i dalit (intoccabili) in vigore da secoli. Il tema - riferisce l'agenzia AsiaNews - tocca in profondità la Chiesa locale, composta in maggioranza proprio da dalit: su un totale di 19 milioni, circa 12 milioni di cattolici sono “intoccabili”.

I cristiani dalit mantengono viva la visione del Regno di Dio di giustizia e amore
Il punto di partenza, scrivono i vescovi, “è affermare che la parola ‘Dalit’ non indica una connotazione negativa o una identità di casta. Piuttosto dobbiamo ripristinare una identità affermativa, umanizzante e dotata di potere, che pone una domanda alla nostra fede”. Il motivo, continuano, è che “i cristiani dalit mantengono viva la visione del Regno di Dio di giustizia e amore. Essi con coraggio invitano la Chiesa a porre giustizia e amore – valori fondamentali della Bibbia – al centro della sua missione”.

In India grandi saggi hanno immaginato una comune famiglia umana
L’evento storico si è svolto al Cbci Centre di New Delhi, alla presenza del card. Baselios Cleemis, presidente della Cbci, e di Arun Jaitley, ministro delle Finanze. Introducendo il documento, il card. Cleemis sottolinea: “L’India è la culla di molte civiltà e religioni. Grandi saggi hanno immaginato una comune famiglia umana e riconosciuto il raggio del Divino in ogni essere umano. Sfortunatamente nella società indiana ci sono ancora delle macchie, come il sistema delle caste e degli intoccabili”.

I dalit cristiani sono discriminati dalla legge indiana
In un contesto di “trasformazione statale e di giustizia di transizione”, i vescovi ritengono sia un “imperativo etico concepire un piano d’azione ispirato ad una visione di costruzione del regno di Dio”. L’urgenza deriva dalle attuali molteplici forme di discriminazione che i dalit soffrono in India, e in particolare i dalit cristiani. Mons. Anthonisamy Neethinathan, presidente dell’Ufficio per le caste e le classi svantaggiate della Cbci, spiega che mentre quelli indù, sikh e buddisti godono di agevolazioni e politiche mirate, i dalit cristiani “vengono privati dei mezzi di sostentamento, come vantaggi economici, opportunità di lavoro, rappresentazione politica e protezione legale, in base a quanto stabilito dal Prevention of Atrocities Act del 1989”. Questo deriva da un Ordine presidenziale del 1950, che stabilisce che chiunque “professa una religione diversa da induismo, sikhismo e buddismo non può essere ritenuto membro delle Scheduled Caste” (gruppi svantaggiati che ricevono aiuti e sussidi).

Il 37% dei dalit vive al di sotto della soglia di povertà; il 54% dei bambini è malnutrito
Nonostante la Costituzione indiana vieti il sistema delle caste, è ancora diffuso un sentimento di supremazia legato all’origine sociale. Ne è sintomo l’elevato numero di violenze, stupri, omicidi nei confronti dei dalit: ogni 18 minuti viene commesso un crimine contro di loro; ogni giorno tre donne vengono violentate, 11 persone picchiate, due case bruciate. Il 37% dei dalit vive al di sotto della soglia di povertà; il 54% dei bambini è malnutrito; 83 neonati su 1000 muoiono nel primo anno di età. Per quanto riguarda l’ambito educativo, il 45% dei dalit è analfabeta. Non solo, nel caso in cui essi riescano a farsi ammettere nelle scuole pubbliche – cosa assai difficile – il tasso di suicidio tra gli studenti è altissimo.

Puntare sull’accoglienza e sul sostegno alle vocazioni dei dalit
I vescovi esprimono la “necessità di affrontare con urgenza la questione”. Prima di tutto, devono avvenire cambiamenti nel campo dell’educazione, dell’accesso alle risorse economiche e ai posti di lavoro. Ciò può essere effettuato attraverso Caritas India, che può promuovere e finanziare opere e progetti. Non solo, si deve puntare sull’accoglienza e sul sostegno alle vocazioni dei dalit, sempre in aumento, e su una loro piena partecipazione nelle più alte sfere dirigenziali ecclesiastiche.(R.P.)

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Presepe di S. Anna in Vaticano fatto da artigiani terremotati

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Un presepe che racconta la nascita di Gesù ma anche gli ultimi eventi che hanno colpito il mondo. E’ quello della parrocchia di Sant’Anna in Vaticano, commissionato dal parroco, padre Bruno Silvestrini, a tre artigiani terremotati. Il servizio di Tiziana Campisi: 

Il cristianesimo nasce sulle rovine del Tempio; Gesù – Dio che si incarna e si fa uomo – è la Speranza. Speranza certa sulle macerie provocate dal male degli uomini, dalle sciagure e dalle catastrofi naturali. E’ il nuovo messaggio che il presepe della parrocchia di Sant’Anna in Vaticano vuole dare quest’anno; ripensato – dopo il terremoto dell’ottobre scorso nel centro Italia – da tre presepisti marchigiani che nel mese di settembre avevano cominciato a progettare la natività per la parrocchia del Papa. Mariano Piampiani, Sandro Brillarelli e Alberto Taborro da 10 anni partono da Tolentino per allestire il presepe della chiesa vaticana. La loro idea, inizialmente, era quella di una scenografia che ricordasse i luoghi tipici della Terra Santa, con la riproduzione – in omaggio alla città di Palmira – del tempio di Baal-Shamin, distrutto lo scorso anno dai jihadisti del sedicente Stato Islamico. Poi il sisma, che tra le altre regioni ha colpito anche le Marche, ha cambiato le cose. Lo racconta Mariano Piampiani:

“Quest’anno, che è il decimo anniversario dell’allestimento del presepe qui, a Sant’Anna, abbiamo riutilizzato, anche su richiesta del parroco, alcuni pezzi usati nelle precedenti edizioni, per riassumere un po’ tutta l’attività svolta nel corso di 10 anni. In alcune parti abbiamo pensato di riprodurre l’ambiente del deserto e da questo tema siamo partiti per svilupparlo in maniera diversa. Abbiamo quindi una riproduzione dell’antica Gerusalemme con il Tempio, l’apparizione dell’angelo di notte … Ma la novità è rappresentata dal tempio – nella realtà non più esistente perché è stato fatto esplodere l’anno scorso – crollato in parte, perché a metà lavorazione c’è stato il terremoto e quindi abbiamo rappresentato da quel momento in poi i crolli che abbiamo avuto nelle Marche, e a Tolentino in particolare.

Ma di che cosa è fatto il presepe di Sant’Anna in Vaticano? Lo spiega Sandro Brillarelli:

“Il materiale che usiamo si chiama polistirene, che è un materiale isolante per le intercapedini; con il cutter ci creiamo i sassi, i mattoni; per guarnire usiamo gesso, colla Vinavil e il pennello. Le palme sono fatte con la carta gommata: raddoppiandola ci si mette un fil di ferro molto sottile per dargli la piegatura tipica della palma …”.

E per Alberto Taborro l’esperienza di quest’anno da presepista ha assunto un significato particolare:

“Per me, quest’anno è stato un motivo in più per ripartire alla grande, per non pensare, perché ho avuto la mente impegnata sul presepe, che è una mia passione da molti anni, che mi dà soddisfazione… C’è stato un attimo di sbandamento, non avendo più la casa e dormendo fuori,  però la cosa importante era andare avanti, anche con il presepe. Ricostruire, perché tanto il Signore ci assiste sempre. Quindi non dobbiamo mai perdere la speranza, la fede. Mettiamo tutta la forza e tutta la grinta che abbiamo, perché la vita va avanti e si deve continuare per tutti, per l’uomo. A ricostruire è l’uomo, ad andare avanti e a mettersi in sicurezza. Certo, ultimamente, quando si entra in casa – in quella casa che ti dovrebbe accogliere, cullare, in cui la sera, dopo una giornata di lavoro, vuoi tornare, in cui vuoi riposare – adesso, sinceramente, l’unica cosa che provi, è la paura. Però bisogna vincere anche questo, avere la forza di andare avanti e di ricostruire. Per me, quest’anno, il presepe ha avuto proprio questo senso di ricostruire: abbiamo portato un pezzo buono e un pezzo che è crollato, quasi a cercare di ricostruire quella che è stata un po’ la disgrazia del crollo”.

Eccolo il messaggio di quest’anno: Gesù nasce anche tra le macerie della nostra vita, dove l’amore può ricostruire tutto.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 349

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.