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Sommario del 16/12/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa riceve Santos e Uribe: impegnarsi per dialogo e pace in Colombia

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Papa Francesco ha ricevuto stamani in udienza, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il Presidente della Repubblica di Colombia, Juan Manuel Santos Calderón. Successivamente ha incontrato il senatore Álvaro Uribe Vélez, ex Presidente colombiano prima in udienza privata e poi con il Presidente Santos. Sul contenuto di questi incontri nel contesto degli sforzi per la pace nel Paese latinoamericano, il servizio di Alessandro Gisotti

Durante il colloquio con il Presidente Santos, informa il comunicato della Sala Stampa Vaticana, “è stato espresso apprezzamento per il sostegno del Papa al processo di pace e si è auspicato che tale pace sia stabile e duratura”. Si è rilevata, a tal fine, “l’importanza dell’incontro e dell’unità tra le forze politiche colombiane e dell’impegno delle Farc-Ep, mentre la Chiesa locale potrà continuare ad offrire il suo contributo in favore della riconciliazione nazionale e dell’educazione al perdono e alla concordia”. Infine, sono stati affrontati “alcuni temi legati all’attualità regionale”. Il Santo Padre, prosegue la nota, ha incontrato in seguito il senatore Álvaro Uribe Vélez, già Presidente colombiano, prima in udienza privata e poi insieme al Presidente Santos. Il Papa, sottolinea la Sala Stampa “ha parlato della cultura dell’incontro e ha rilevato l’importanza del dialogo sincero tra tutti gli attori della società colombiana in questo momento storico”.

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Papa: i cristiani aprano la strada a Gesù, ne diano testimonianza

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I cristiani guardino al “grande” Giovanni Battista come ad un modello di testimonianza umile di Gesù, che annienta se stesso fino alla morte, per indicare la venuta del Figlio di Dio. E’ quanto ha detto Papa Francesco nella Messa a Casa Santa Marta rivolgendosi ai fedeli presenti alla celebrazione, religiosi, vescovi, sacerdoti e coppie di sposi al loro 50esimo di vita consacrata o matrimoniale.Il servizio di Gabriella Ceraso: 

Giovanni Battista il testimone che indica Gesù
La liturgia della Chiesa anche oggi, come negli ultimi due giorni, fa riflettere sulla figura di Giovanni il Battista, presentato nel Vangelo come il “testimone”. “Ed è questa la sua vocazione” spiega il Papa nell’omelia, ”dare testimonianza di Gesù”, “indicare Gesù”, come fa la “lampada” nei confronti della luce:

“Lampada che indica dov’è la luce, dà testimonianza della luce. Lui era la voce. Lui stesso dice di sé: 'Io sono la voce che grida nel deserto'. Lui era la voce ma che dà testimonianza della Parola, indica la Parola, il Verbo di Dio, la Parola. Lui soltanto voce. La Parola. Lui era il predicatore della penitenza che battezzava, il battista, ma lascia in chiaro, dice chiaramente: ‘Dopo di me viene un altro che è più forte di me, è più grande di me, al quale non sono degno di allacciare i calzari. E questo vi battezzerà in fuoco e Spirito Santo’ ”.

L'umilità di Giovanni, il suo annientarsi è un modello per i cristiani
Giovanni è dunque il “provvisorio che indica il definitivo” e il definitivo è Gesù. “Questa”, osserva il Papa, “è la sua grandezza”, dimostrata ogni volta che il popolo e i dottori della legge gli domandavano se fosse o meno il Messia, e lui in modo chiaro rispondeva: “Io non lo sono”

“E questa testimonianza provvisoria ma sicura, forte, quella fiaccola che non si è lasciata spegnere dal vento della vanità, quella voce che non si è lasciata diminuire dalla forza dell’orgoglio diviene sempre uno che indica l’altro e apre la porta all’altra testimonianza, quella del Padre, quella che Gesù dice oggi: ‘Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni, quella del Padre. E Giovanni il battista apre la porta a questa testimonianza’. E si sente la voce del Padre: ‘Questo è il mio Figlio’. E’ stato Giovanni ad aprire questa porta. E’ grande questo Giovanni, sempre si lascia da parte”.

E’ “umile”, “si annienta Giovanni”, sottolinea ancora il Papa, ”prendendo la stessa strada che prenderà Gesù dopo”, quella dello “svuotarsi di sé”. E sarà così fino alla fine: “nell’oscuro di una cella, in carcere, decapitato, per il capriccio di una ballerina, l’invidia di un’adultera e la debolezza di un ubriaco”. Dovendo farne un ritratto, è il pensiero di Francesco, “soltanto questo dovremmo dipingere”. Un'immagine che il Papa volge poi ai fedeli presenti, religiosi, vescovi e anche coppie che celebrano il 50esimo, esprimendo loro un auspicio:

Cristiani con la loro vita aprano la strada a Gesù
“E’ una bella giornata per domandarsi sulla propria vita cristiana, se la propria vita cristiana ha sempre aperto la strada a Gesù, se la propria vita è stata piena di quel gesto: indicare Gesù. Ringraziare per tante volte che l’hanno fatto, ringraziare e ricominciare, dopo il 50.esimo, con questa vecchiaia giovane o gioventù invecchiata - come il  buon vino! - dare il passo in avanti per continuare a essere testimone di Gesù. Che Giovanni, il grande testimone, vi aiuti in questa nuova strada che oggi voi, dopo la celebrazione del 50esimo, di sacerdozio, di vita consacrata e di matrimonio, incominciate”.

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Terza predica d'Avvento di p. Cantalamessa: "La sobria ebbrezza dello Spirito"

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Terza predica di Avvento questa mattina in Vaticano alla presenza di Papa Francesco e della Curia romana. La riflessione proposta dal padre Raniero Cantalamessa ha avuto per tema: “La sobria ebbrezza dello Spirito”.  La Pentecoste, ha sottolineato il predicatore della Casa Pontificia, “non è un evento chiuso, ma una possibilità sempre aperta nella Chiesa.” Il servizio di Adriana Masotti

“Una chance per la Chiesa”, così il Beato Paolo VI definì il Rinnovamento carismatico cattolico in occasione del suo primo Congresso mondiale nel 1975, aggiungendo che il motto del movimento poteva essere una frase di sant’Ambrogio: ‘con gioia beviamo sobri l’abbondanza dello Spirito’.

Ed è da questa esortazione rivolta a tutti i cristiani che prende il via la predica di padre Cantalamessa precisando che nel testo originale “l’abbondanza dello Spirito” suonava piuttosto come “l’ebbrezza dello Spirito”, espressione considerata successivamente troppo audace. I Padri della Chiesa svilupparono allora il tema della “sobria ebbrezza” giocando ora sull’analogia, ora sul contrasto tra ebbrezza materiale ed ebbrezza spirituale.

"L’analogia consiste nel fatto che tutti e due i tipi di ebbrezza infondono allegria, fanno dimenticare gli affanni e fanno uscire da se stessi. Il contrasto consiste nel fatto che mentre l’ebbrezza materiale (da alcol, da droga, dal sesso, dal successo) rende vacillanti e insicuri, quella spirituale rende stabili nel bene (…)   Quelli che a Pentecoste, scambiarono gli apostoli per ubriachi avevano ragione, scrive san Cirillo di Gerusalemme; sbagliavano solo nell’attribuire tale ebbrezza al vino ordinario, mentre si trattava del “vino nuovo”, spremuto dalla “vite vera” che è Cristo".

Come fare per riprendere questo ideale della sobria ebbrezza e incarnarlo nella presente situazione storica ed ecclesiale? si domanda padre Cantalamessa. Dove sta scritto infatti che un modo così “forte” di sperimentare lo Spirito era appannaggio esclusivo dei Padri e dei primi tempi della Chiesa, ma che non lo è più per noi?

"In passato, l’ordine che veniva inculcato era, in genere, quello che va dalla sobrietà all’ebbrezza. In altre parole, la via per giungere all’ebbrezza spirituale, o al fervore, si pensava, è la sobrietà, cioè l’astinenza dalle cose della carne, il digiunare dal mondo e da se stessi, in una parola la mortificazione. (...) Siamo agli stadi della vita spirituale detti purgativo e illuminativo. In essi l’anima si libera faticosamente delle sue abitudini naturali, per prepararsi all’unione con Dio e alle sue comunicazioni di grazia."

Noi, prosegue il predicatore,  siamo eredi di una spiritualità che concepiva il cammino di perfezione secondo questa successione che però rischia di spostare troppo l’accento dalla grazia allo sforzo dell’uomo. Invece secondo il Nuovo Testamento c’è una circolarità tra le due cose: la sobrietà è necessaria per giungere all’ebbrezza dello Spirito, e l’ebbrezza dello Spirito è necessaria per giungere a praticare la sobrietà.

"Questa seconda via – quella che va dall’ebbrezza alla sobrietà – fu la via che Gesù fece seguire ai suoi apostoli. Pur avendo avuto per maestro e direttore spirituale lo stesso Gesù, prima della Pentecoste essi non furono in grado di mettere in pratica quasi nessuno dei precetti evangelici. Ma quando, a Pentecoste, furono battezzati con lo Spirito Santo, allora li vediamo trasformati, divenuti capaci di sopportare per Cristo disagi di ogni genere e infine lo stesso martirio. Lo Spirito Santo fu la causa del loro fervore, ben più che l’effetto di esso."

Noi abbiamo bisogno della sobria ebbrezza dello Spirito, ancora più di quanto ne avessero i Padri, dice padre Cantalamessa. Dove attingere allo Spirito?

Oltre ai luoghi classici - l’Eucaristia e le Scritture – seguendo sant’Ambrogio vediamo una terza possibilità quella già vissuta dagli Apostoli a Pentecoste. Dice infatti sant’Ambrogio: “C’è anche un’altra ebbrezza che si opera tramite la penetrante pioggia dello Spirito Santo”. Padre Cantalamessa porta l’esempio di un rito semplice in uso all’interno del Rinnovamento carismatico e cioè il battesimo nello Spirito, un’esperienza di grazia che rinnova la vita cristiana delle persone che lo chiedono. Non è l’unico modo possibile per sperimentare la grazia di Pentecoste, afferma il predicatore, ma può essere uno strumento utile, del resto ci sono innumerevoli cristiani che hanno fatto una esperienza analoga, ricevendo un evidente incremento di grazia in seguito a un ritiro, un incontro, una lettura…

Il Beato Paolo VI parlò di “perenne Pentecoste” e padre Cantalamessa conclude proprio con le sue parole:

“La Chiesa ha bisogno della sua perenne Pentecoste; ha bisogno di fuoco nel cuore, di parola sulle labbra, di profezia nello sguardo...Ha bisogno, la Chiesa, di riacquistare l’ansia, il gusto la certezza della sua verità...E poi ha bisogno, la Chiesa, di sentire rifluire per tutte le sue umane facoltà l’onda dell’amore, di quell’amore che si chiama carità, e che appunto è diffusa nei nostri cuori proprio dallo Spirito Santo che a noi è stato dato”

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Gli 80 anni di Francesco. Mons. Becciu: è facile lavorare con un Papa così!

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Una giornata “normale”. Così Papa Francesco vivrà, domani, il giorno del suo 80.mo compleanno. Una ricorrenza che viene accompagnata dall’affetto di tantissime persone in tutto il mondo, anche al di là della Chiesa cattolica. Con particolare emozione, poi, il compleanno del Pontefice viene vissuto dai suoi più stretti collaboratori. In questa intervista esclusiva alla Radio Vaticana, realizzata da Alessandro Gisotti, l’arcivescovo Angelo Becciu, Sostituto della Segreteria di Stato rivolge i suoi auguri al Papa e racconta come il Santo Padre vive la sua quotidianità, con sobrietà e attenzione per gli altri: 

R. – Esprimere auguri al Papa …  devono nascere dal cuore; oltre a quelli formali, di buona salute – glieli auguriamo di cuore, chiaro, la buona salute – io quasi quasi direi l’augurio che mantenga questa gioia che manifesta e che promana continuamente da lui. Io penso che è l’augurio che gli vorrei fare: che con l’andar degli anni, mantenga sempre questo stile gioioso, questa maniera di comunicare alla gente e che aiuta tutti a fare passi avanti nella vita spirituale.

D. – Fin dagli anni in cui era arcivescovo a Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio ha sempre vissuto il suo compleanno con sobrietà, e lo vediamo anche in questa occasione, pensando poi più agli altri che a se stesso. C’è un insegnamento, secondo lei? Ci dà un insegnamento in questo, lo stile del Papa, anche in occasione del suo compleanno?

R. – E’ tutto coerenza. E’ coerenza con il suo stile di vita, e quindi anche celebrare il compleanno, lo sappiamo. Per lui, domani, di straordinario c’è la Messa che celebrerà con i cardinali e poi continua – mi sottolineava l’altro giorno – una “giornata normale”. La lezione che dà a noi tutti è che dobbiamo dare veramente importanza alle cose essenziali della vita e – lasciamolo dire – alle cose essenziali del Vangelo. Non devono esserci occasioni per esaltare – almeno mi pare che questa sia la “lezione” del Papa – noi stessi, noi preti, noi consacrati, ma direi noi cristiani: non devono esserci occasioni per esaltare noi stessi ma dedicarci al servizio del Vangelo, noi siamo strumenti di questo disegno di Dio. Mi pare che venga questo: la sobrietà della vita, diamo importanza alle cose veramente essenziali!

D. – Il Papa compie 80 anni: in tante occasioni ha messo e continua a mettere l’accento sull’importanza del patto tra giovani e anziani. Come spiega che proprio un uomo anziano anagraficamente, come lo è il Santo Padre – forse anziano solo anagraficamente, dovremmo aggiungere – sia così ascoltato e seguito dai giovani, proprio come punto di riferimento?

R. – Eh, questa è una bella domanda! E’ una bella domanda perché ci pone degli interrogativi: come mai il Papa riesce a comunicare con i giovani? Io una risposta me la darei. Anzitutto, è un uomo diretto: sa parlare con i giovani ma sa parlare ai giovani perché comunica ideali. I giovani percepiscono chi comunica solo vaghe, vuote parole e chi invece propone proposte forti nella vita. Lui le propone perché quando parla con i giovani scatta un feeling, un feeling speciale, proprio perché il Papa si rifa al Vangelo e parla di Vangelo, parla di cose essenziali e radicali. Ecco: in questo è un leader, in questo conquista l’ammirazione dei giovani perché – ripeto – vedono in lui un uomo che parla al cuore, ma parla al cuore dando proposte vere, sincere. Mi pare sia così; i giovani sono così: o parli loro in maniera vera, oppure ti lasciano perdere.

D. – Lei ha un rapporto di collaborazione quotidiana con il Santo Padre. Ci sono cose che fanno arrabbiare il Papa, e cosa invece lo rende più gioioso, secondo la sua esperienza? Cosa la colpisce del suo carattere?

R. – Ma … arrabbiare, non lo so … Io l’ho visto poche volte, quasi mai, arrabbiato. Certamente triste, certamente dispiaciuto quando vi sono notizie negative e quando vede certi comportamenti che non sono lineari, soprattutto parlo di persone che dovrebbero dare testimonianza evangelica e non la danno … Queste cose sì, lo rendono triste. Ma ieri, mi pare, lo diceva: “Peccatori, sì, lo siamo tutti”, e lui ha un grande atteggiamento misericordioso davvero verso chi sbaglia se si sente mortificato dallo sbaglio, pentito, ma non tollera i corrotti, dice lui, cioè quelli che veramente con animo malvagio compiono del male o strumentalizzano addirittura – ecco, per noi di Chiesa – strumentalizzano le cose sacre per esaltare se stessi, per raggiungere scopi non proprio nobili e accettabili. Questo sì. Del suo carattere, cosa mi piace? Eh, sono tanti aspetti: lui è molto semplice, e poi sa mettere a proprio agio le persone che lo incontrano; si interessa delle piccole cose; lui sottolinea spesso la tenerezza: è tenero con le persone, basta vedere come sa stare con i bambini … ma con tutte le persone! Se poi sa che uno ha una sofferenza, gli sta vicino, lo cerca o gli telefona … Ecco, insomma, è facile trattare con un Papa così!

D. – Da ultimo, il compleanno del Papa ricorre proprio mentre si avvicina il Natale del Signore. Qual è il regalo che pensa gli sarebbe più gradito, in questo tempo forte dell’anno, peraltro pochi giorni dopo la fine del Giubileo della misericordia?

R. – Penso che il più bel regalo sarebbe sapere che i vari focolai di guerra si spengano, magari; ed è un dono che dobbiamo chiedere per il Natale. E poi, un altro regalo è che i cristiani si impegnino a dar vita – come ha detto qualcuno – “all’epoca della Misericordia”, quindi che l’Anno della Misericordia non si riduca a una semplice parentesi ma sia lo slancio per un nuovo stile di vita personale e anche ecclesiale. E poi, l’altro regalo, che potrebbe essere? Ma … forse, vederci un po’ più gioiosi tutti, attorno a lui, di ricevere questo messaggio della gioia, di essere portatori di gioia!

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Altre udienze e nomine di Papa Francesco

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Le altre udienze e nomine di Papa Francesco: consulta il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede.

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Santa Sede: tratta di esseri umani è un “cancro sociale”

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Contro la tratta di esseri umani sono necessarie azioni rigorose in grado di contrastare efficacemente quanti traggono profitti da questi abusi E’ quanto ha affermato mons. Janusz Urbańczyk, rappresentante permanente della Santa Sede presso Organizzazione per la sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce), intervenendo ieri a Vienna alla 1124.ma seduta plenaria del Consiglio permanente di questo organismo intergovernativo.

Il traffico di esseri umani è un “cancro sociale”
La Santa Sede – ha ricordato mons. Janusz Urbańczyk - si è più volte espressa contro la piaga del traffico di esseri umani, il lavoro forzato e tutte le forme di schiavitù moderna, soffermandosi spesso sull’aberrante sfruttamento dei bambini. Sono anche state intraprese azioni, attraverso le istituzioni della Chiesa cattolica in tutto il mondo, per porre fine, una volta e per sempre, a questo “cancro sociale”, uno dei più grandi flagelli del nostro tempo.

Contro la tratta un “network della solidarietà”
In varie parti del mondo, molti istituti religiosi cattolici, parrocchie, organizzazione caritative e gruppi di laici si impegnano ogni giorno nella lotta contro questa tratta, per prevenirla e per assistere le vittime. Opponendosi alle reti criminali – ha spiegato il presule - hanno stabilito un efficace “network della solidarietà” che permette un rapido scambio di informazioni e di programmi. Queste molteplici realtà collaborano anche con governi e autorità locali.

Dal Papa azioni concrete
Come i suoi predecessori, Papa Francesco ha condannato questo “problema enorme e nascosto” e ha anche promosso azioni concrete. Nel 2014 – ha ricordato il rappresentante permanente della Santa Sede presso l’Osce - il Santo Padre ha firmato con altri leader religiosi la Dichiarazione congiunta contro la schiavitù moderna e ha creato il cosiddetto “gruppo di Santa Marta” contro il traffico di esseri umani. Si tratta di un’alleanza responsabile tra forze di polizia e alti rappresentanti della Chiesa in tutto il mondo che mira, insieme con la società civile, a sradicare la tratta di esseri umani attraverso lo sviluppo di strategie di prevenzione e di reinserimento delle vittime.

Ascoltate molte voci disperate
Grazie al lavoro di questo gruppo, che comprende la cooperazione tra Chiesa e polizie, “molte voci disperate e silenziose – ha sottolineato mons. Janusz Urbańczyk - sono state ascoltate”. Ciò che è necessario – come ha ricordato Papa Francesco è uno sforzo concertato, efficace, mirato per eliminare le cause che alimentano questo complesso fenomeno e accompagnare le persone che cadono in questa trappola. Tali persone – aveva detto il Pontefice incontrando lo scorso 27 ottobre i membri del “gruppo Santa Marta” - sono le più indifese. E sono “derubate – aveva aggiunto il Papa - della loro dignità”, dell’integrità fisica e psicologica ed anche della vita.

La tratta è uno dei crimini più atroci
Gli Stati membri delle Nazioni Unite – ha osservato inoltre il presule - hanno recentemente riaffermato il loro imperativo morale per combattere questa massiccia violazione dei diritti umani fondamentali. In linea con questo indirizzo, la Santa Sede esorta tutti gli Stati a riconoscere la tratta di essere umani “come uno dei crimini più atroci” e a proseguire negli sforzi per sradicare questa piaga. Particolare attenzione deve essere data a questo crimine quando le vittime sono bambini. Minori impiegati come soldati in conflitti, vittime della pornografia, dello sfruttamento e di reti criminali inserite nel traffico della droga. Bambini – ha aggiunto - che sono costretti a fuggire da persecuzioni, rischiando di essere isolati e abbandonati.

Necessarie azioni rigorose ed efficaci
Questo desolante scenario non risparmia neanche i Paesi dell’Osce. L’unico modo per fermare le molteplici forme di schiavitù che coinvolgono i minori – ha concluso mons. Janusz Urbańczyk - non può prescindere dall’intraprendere azioni rigorose ed efficaci contro quanti traggono profitti da questi abusi. (A cura di Amedeo Lomonaco)

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Mons. Auza all'Onu: fermare proliferazione armi distruzione di massa

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Il vero dramma di una milizia pesantemente munita di armi di distruzione di massa è che non ha regole per fare una guerra. Tutto può essere un obiettivo: un madre con il figlio, un quartiere di famiglie. Chiunque un nemico, anche un uomo vecchio e disarmato.

Armati e impuniti
Mons. Berandito Auza affronta un tema scottante evitando concetti teorici. Al dibattito in seno al Consiglio di sicurezza dell’Onu, dedicato all’agenda globale sulla non proliferazione delle armi di distruzione di massa, il rappresentante vaticano punta il dito contro i cosiddetti “attori non statali” il cui coinvolgimento “in guerre e conflitti – afferma – è ultimamente aumentato e ciò ha avuto effetti orribili sulle popolazioni civili, in maggior parte donne, bambini, anziani e disabili”. Questo perché, spiega, “gli attori non statali usano le armi di distruzione di massa impunemente e nella più totale illegalità, mostrando poco o nessun riguardo per l'immunità dei civili”.

Condanna senza riserve
A preoccupare, osserva mons. Auza, sono “i progressi tecnologici” registrati “nella potenza distruttiva dei sistemi d'arma”, che producono “catastrofi sempre più spaventose”. Per la Santa Sede, asserisce con fermezza, “qualsiasi atto, qualsiasi arma che mira indiscriminatamente a distruggere intere città o vaste regioni assieme ai loro abitanti è contro l’intero diritto umanitario internazionale e contro tutte le idee di civiltà, e merita una inequivocabile condanna, senza riserve e senza esitazioni”. Mons. Auza stigmatizza anche il commercio di armi che a “diversi livelli”, sostiene, vede alcuni Stati fornire armi ad altri Stati “pur sapendo che esse saranno utilizzate per perpetuare atrocità di massa, sopprimere i diritti umani fondamentali e arretrare lo sviluppo di interi popoli e nazioni”. “Transazioni”, soggiunge ricordando Papa Francesco, che permettono guadagni ingenti e facili a prezzo di sangue innocente.

Nuova etica globale
Dunque, è la considerazione del presule, “combattere e sconfiggere l'illegale e criminale commercio di armi è fondamentale per prevenire gli attori non statali nel possesso e nell’uso delle armi di distruzione di massa e in tal modo prevenire le atrocità che commetteranno nell’usare quelle armi. Rafforzare le leggi e le convenzioni a livello multilaterale, bilaterale e nazionale è un passo necessario nella giusta direzione”. Tutto quanto ruota attorno al commercio e alle politiche in materia di armi di distruzione di massa e di tutti sistemi d'arma deve essere sostituito, propone mons. Auza, “da una nuova etica globale” che induca i Paesi a ricercare “sicurezza, legittimità e forza” non nella produzione di armi quanto nell’investire “le proprie risorse promuovendo lo sviluppo socioeconomico, la partecipazione diplomatica e politica, il rispetto dei diritti umani fondamentali e dello Stato di diritto e la cooperazione e la solidarietà a livello regionale e internazionale”.

Agenda 2030 illusoria senza stop alle armi
​“La non proliferazione, il controllo degli armamenti e il disarmo sono alla base della sicurezza globale, del rispetto per i diritti umani e dello sviluppo sostenibile”, ribadisce l’osservatore vaticano. “Senza di loro – conclude – il raggiungimento della tanto decantata Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile sarà seriamente compromessa. Senza di loro, catastrofi che avrebbero potuto essere evitate nei riguardi delle persone e dei popoli continueranno a verificarsi. Senza una maggiore cooperazione internazionale e regionale, in particolare tra gli Stati produttori di armi nel rigore del controllo e nella limitazione del movimento di armi di distruzione di massa, è illusorio parlare di una strategia globale in grado di fermare la proliferazione di tali armi da parte e tra gli attori non statali”. (A cura di Alessandro De Carolis)

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Mons. Camilleri: barbarie anti-cristiana in Siria e Iraq

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Mons. Antoine Camilleri, sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati, è intervenuto all'apertura della conferenza sulla lotta all'intolleranza e alla discriminazione nei confronti dei cristiani, organizzata dall’Osce, svoltasi a Vienna mercoledì scorso. “Cartina di tornasole”, “sintesi”, “chiave di volta”. Li scrive così, mons. Antoine Camilleri, come pilastri che sorreggono un diritto troppo spesso brutalizzato: quello alla libertà religiosa. Diritto che, sostiene a nome della Santa Sede, è base degli altri diritti umani e libertà fondamentali.

Libertà di credo cuore dei diritti umani
Il sottosegretario per i Rapporti con gli Stati legge il discorso di apertura della Conferenza di Vienna sulla lotta contro la discriminazione e l’intolleranza nei confronti dei cristiani. Essere liberi di professare il proprio credo “è il cuore stesso dei diritti umani”, affermò una volta Giovanni Paolo II. Il rappresentante vaticano cita la frase all’inizio dell’intervento che poi articola in tre punti, iniziando col puntare i riflettori sull’intolleranza e le discriminazione anticristiane in quanto tali, affermando che entrambe, quando vengono perpetrate “per motivi religiosi, non sono solo indici di violazione dei diritti umani, ma si sono anche dimostrate terreno fertile per altre violazioni di diritti umani che ostacolano e minacciano la coesione sociale e che possono portare a violenza e conflitto,  anche tra Stati”. 

Barbarie anticristiana, non solo Siria e Iraq
Il secondo punto si concentra sulle “molteplici forme” nelle quali intolleranza e discriminazioni si manifestano nel mondo e qui il pensiero di mons. Camilleri corre subito alla Siria e all’Iraq, a quelle “atrocità perpetrate nei confronti dei cristiani” così “raccapriccianti – dice – da non riuscire a trovare le parole adeguate”. “La loro sofferenza – insiste – non deve essere dimenticata” e neanche “l’ombra mortale dell’estremismo violento e del terrorismo” scesa “ancora una volta sulla comunità copta in Egitto”. Tuttavia, osserva il sottosegretario ai Rapporti con gli Stati, questi “crimini d’odio” colpiscono anche molte comunità cristiane dell’area Osce, oggetto della Conferenza di Vienna. “La distruzione premeditata di chiese, cappelle e sale, il vandalismo deliberato nei confronti di spazi e simboli religiosi, compresi croci, statue e altri manufatti cristiani, come anche il furto e l’abuso sacrilego di ciò che i cristiani considerano sacro, sono tutti esempi – elenca – non solo di atti irriguardosi, ma anche intolleranti e il più delle volte criminali commessi a causa di pregiudizi”.

La “persecuzione educata”
Per spiegare il terzo punto del suo intervento – le “nuove forme di intolleranza e di discriminazione” contri i cristiani – mons. Camilleri prende a prestito le parole di Benedetto XVI, che non molti anni fa denunciava la “crescente marginalizzazione della religione” ad opera di chi vorrebbe che essa fosse “messa a tacere o tutt’al più relegata alla sfera puramente privata”, ridotta a mera “libertà di culto”. Sono le nuove forme del “sentimento anticristiano”, quelle più sottili e talvolta paradossali che contrappongono la libertà di credo “a qualche nozione generale di tolleranza e di non-discriminazione”. È quella che si riscontra in “molti paesi” e che Papa Francesco ha definito con dolorosa ironia la “persecuzione educata dei cristiani”: in altre parole, “sotto le parvenze della ‘correttezza politica’, la fede e la morale cristiana sono considerate ostili e offensive, e dunque un qualcosa che deve essere eliminato dal discorso pubblico”.

Liberi anche se scomodi
L’Osce, ricorda mons. Camilleri, da molto tempo ha tutelato la libertà dei cristiani di professare la propria fede pubblicamente e questo “anche se l’opinione maggioritaria trova scomoda la sua proclamazione”. Per combattere il proliferare di intolleranza e discriminazione, termina il rappresentante vaticano, è necessario ribadire che “la religione o la fede – e quindi il cristianesimo – ha una capacità illimitata di bene” per gli individui e per la società.  La Santa Sede, soggiunge, è convinta che “la dimensione della fede può favorire il rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti umani, sostenere la democrazia e lo Stato di diritto e contribuire alla ricerca della verità e della giustizia”. E che “il dialogo e la collaborazione tra le religioni e con le religioni sono un mezzo importante per promuovere sicurezza, fiducia, riconciliazione, rispetto e comprensione reciproci e a favorire la pace”. (A cura di Alessandro De Carolis)

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Concerto in Vaticano per Centrafrica e terremotati, Sms solidale 45523

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E’ stato presentato stamani nella Sala Stampa della Santa Sede il Concerto di beneficenza “Avrai”, che si terrà domani sera nell’Aula Paolo VI. Dalle ore 20 diretta a reti unificate della Rai, Rtl e Radio Vaticana. Il Concerto celebra il Bicentenario della Gendarmeria Vaticana e sarà eseguito dall’artista Claudio Baglioni per aiutare due importanti progetti: un ospedale pediatrico a Bangui, nella Repubblica Centrafricana, e le vittime del terremoto in Centro Italia. Oltre alla vendita dei biglietti  sarà possibile donare con sms al numero 45523. Alla conferenza stampa erano presenti, tra gli altri, il cardinale Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, Domenico Giani, comandante del Corpo della Gendarmeria e il cantautore, Claudio Baglioni. Il servizio di Giancarlo La Vella

Sono stati già raccolti 500 mila euro dalla vendita dei biglietti dell’Aula Paolo VI per la partecipazione al concerto. La somma sinora raccolta, che è possibile accrescere con contributi, anche piccoli, con un sms al numero solidale 45523, grazie anche alla gratuita opera dei personaggi e delle istituzioni coinvolti, sarà devoluta interamente ai due progetti di solidarietà. L’attenzione per il dramma della Repubblica Centrafricana, sconvolta dalla guerra civile, è nata grazie all’apertura dell’Anno Santo nella cattedrale della capitale Bangui, dove Papa Francesco aprì la prima Porta Santa. Lo sottolinea il cardinale Nzapalainga, giunto in Vaticano accompagnato da un gruppo di bambini centrafricani, che parteciperanno all’evento. Sul significato di questa presenza particolare, sentiamo il Comandante della Gendarmeria Vaticana, Domenico Giani:

R.: Il progetto nasce a Bangui e i bambini sono i destinatari di questo progetto. Quindi ci faceva piacere che loro potessero essere insieme a noi a vivere questo momento molto bello.

E, in uno sorta di ideale, ma concreto e solidale abbraccio, gli stessi bambini centrafricani hanno dato il loro aiuto ai bambini terremotati del Centro Italia. Sentiamo Mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana:

R.: Io penso che sia stata veramente una sorpresa, un po’ per tutti quanti noi, scoprire che chi è nel bisogno riesce ancora a pensare a quelli che sono nel bisogno come loro in questo momento. Io penso che sia stato un insegnamento un po’ per tutti noi. Un insegnamento molto bello.

Obiettivo primario degli aiuti della Cei – ha sottolineato mons. Galantino – sono le famiglie, poi si penserà agli edifici e alle Chiese.

Un’iniziativa nata in sordina, dunque, ma poi diventata qualcosa di importante grazie alla volontà di Papa Francesco e alla disponibilità di Claudio Baglioni, che, attraverso la sua musica, farà da promotore dell’iniziativa:

R.: Noi musicanti leggeri quasi sempre ci prestiamo ad operazioni di questo tipo. In un ideale esercito della buona volontà, noi non siamo i fanti, cioè quelli che conducono la battaglia giorno per giorno, in mezzo al fango, in trincea; siamo invece i trombettieri, siamo quelli che suonano la carica. Questo concerto serve un po’ a questo: serve a risvegliare, in questa situazione anche un po’ torpida e anche un po’ rassegnata, la comunità in generale, che è vero che si adopera, però c’è poi il rischio che, dopo il primo intervento materiale, venga a mancare la cura di ogni giorno. 

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Decalogo Comunicatore. Viganò: lettura in filigrana di Papa Francesco

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“L’amore per sua natura è comunicazione”. E’ questo il cuore del nuovo libro del nostro collega Alessandro Gisotti, che, a partire dal documento di Papa Francesco “Comunicazione  e Misericordia: un incontro fecondo” ha elaborato il “Decalogo del buon comunicatore secondo Papa Francesco”. Il volume è stato presentato ieri all’Università Lateranense dal Prefetto della Segreteria della comunicazione della Santa Sede, mons. Dario Edoardo Viganò che si è soffermato anche sulla riforma dei media vaticani. Il servizio di Eugenio Murrali

“La misericordia – scrive Gisotti – non può essere solo il contenuto della nostra comunicazione, ma anche lo stile del nostro modo di comunicare”. Con queste premesse, l’autore declina il suo 'decalogo', arricchito da una prefazione del card. Tagle, presidente di Caritas internationalis. Dieci regole per aiutare i professionisti a costruire ponti, in ambito mediatico, ma anche tutte le persone a creare un dialogo vero tra le anime. Mons. Dario Edoardo Viganò spiega la forza della narrazione di Papa Francesco proposta da Gisotti:

“In un momento in cui tutto è caratterizzato dalla velocità, per cui sembra che il miglior giornalista sia quello che faccia uno scoop, credo che questo libro ci aiuti a ripensare l’informazione come un’informazione pensata, un’informazione mediata e quindi con una capacità di raggiungere i problemi veri e proprii secondo quelle logiche di comprensione della realtà. Nasce da una capacità di lettura in filigrana del Magistero di Papa Francesco".

Alessandro Gisotti stesso descrive il legame profondo tra amore e comunicazione:

“Papa Francesco ci dà delle buone regole di comunicazione: non soltanto a noi comunicatori “professionisti”, ma come lui dice che l’amore per natura è comunicazione, allora in quanto esseri capaci di amare, noi tutti siamo naturalmente comunicatori. E credo che attraverso queste piccole buone regole che ci dà Papa Francesco, possiamo avere una comunicazione di misericordia centrata sulla persona”.

Inclusione, incontro, riconciliazione, ascolto, prossimità, un nuovo modo di dialogare. Ma anche, ha sottolineato Viganò, “l’uscita da un paradigma di comunicazione calcistica che divide il mondo in chi vince e chi perde e separa nettamente i peccatori dai giusti”.
Il buon comunicatore di misericordia, continua il prefetto riprendendo le regole del Decalogo, deve avere la pazienza e la speranza di un contadino che semina, aspetta, lascia crescere e sa quando è il momento, di dividere la zizzania senza recare danno al buon grano.  “Comunicare con tutti – osserva poi – ma anche comunicare tutti”, senza escludere quelle “periferie esistenziali” di cui parla Papa Francesco.
E su come il libro sappia raccontare l’energia espressiva del Pontefice, quelle parole che, ci dice Gisotti, “sono ognuna un battito del cuore”, si sofferma Massimiliano Padula, presidente dell’Aiart, Associazione Italiana Ascoltatori Radio e Televisione:  

“E’ una narrazione ottima della figura di Papa Francesco, non soltanto dal punto di vista della comunicazione, ma soprattutto della persona Francesco, che percepisce una comunicazione profondamente umana, quindi la prossimità, il dono, il perdono, l’incontro”.

La presentazione è stata anche l’occasione per offrire un breve resoconto sulla riforma dei media vaticani dopo la diciassettesima sessione del C9, il Consiglio dei Cardinali che affiancano Papa Francesco nella riforma della curia romana. Ha sintetizzato Viganò:

“Questa è una riforma della Curia per la Curia. Siamo di fronte a una riforma il cui criterio che la governa è quello di un cambiamento dello scenario mediale, dentro cui storie gloriose devono immettersi. Ci vuole da un lato rispetto per le storie gloriose, dall’altro lato però anche sapere che ciò che sta avvenendo non è il piegare queste storie, ma creare qualcosa di diverso. In questo momento siamo nella fase poco più della metà della riforma; gli ultimi sei mesi del 2015 hanno accorpato Sala Stampa vaticana, l’ex Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali e Servizio Internet. Quest’anno è stato fatto un grande lavoro sia di formazione che di coinvolgimento che di costruzione di gruppi trasversali sulle due realtà di fatto, dal punto di vista della comunicazione, di massimo impatto: la Radio da un lato, e il Centro Televisivo Vaticano. Il 31 dicembre diventeremo tutti una grande famiglia. Da questo momento si inizierà a costruire dei modelli dell’informazione del Papa, del magistero della Chiesa non più a silos ma in maniera trasversale. Quindi passeremo alla costruzione di un processo multimedia. Questo porterà – speriamo per Pasqua – a un unico grande nuovo portale accanto al Vatican.va che avrà testi scritti per web, video, foto, podcast in tutte le lingue che per ora ci sono. Ci sono alcune redazioni linguistiche che vanno assolutamente sviluppate, e penso soprattutto a quella cinese e a quella di lingua araba. Partiremo con 6-8 lingue, quelle fondamentali prima, in questo nuovo content-hub; man mano si inseriranno le altre. E l’anno prossimo invece sarà il momento in cui diventeranno familiari la Lev, la Tipografia, il Servizio fotografico e l’Osservatore Romano”.

Una riforma ambiziosa, che mira, con quello stesso spirito del Decalogo di Gisotti, a una comunicazione efficace del messaggio vaticano, nel segno della misericordia, un contributo ulteriore alla rivoluzione della tenerezza voluta da Papa Francesco.

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Oggi in Primo Piano



Siria: interrotta evacuazione di Aleppo. L'Is si riorganizza

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È stata interrotta a causa di alcuni ribelli che non avrebbero rispettato l’accordo raggiunto, l’evacuazione di Aleppo Est, da dove sono uscite già migliaia di persone. E mentre Mosca fa sapere di lavorare con una delegazione turca all’avvio di un negoziato tra Damasco e l’opposizione che dovrebbe svolgersi in Kazakhstan, la riconquista di Palmira da parte del sedicente Stato Islamico fa temere un rinforzo nell’area dei jihadisti che starebbero spostando truppe dall’Iraq ed effettuando scorrerie in tutta la provincia di Homs. Sulle prospettive future dell’Is, Roberta Barbi ha sentito Alberto Negri, esperto dell’area mediorientale per “Il Sole 24 Ore”:

 

R. – Innanzitutto lo Stato Islamico (Is) si sta concentrando in Siria, perché è chiaro che, ancora prima che cominciasse l’assedio vero e proprio di Mosul, in Iraq - la roccaforte dell’Is dall’altra parte - molti dei combattenti e delle loro famiglie sono usciti da Mosul e si sono diretti verso le roccaforti siriane, soprattutto quella di Raqqa. Questo è stato evidente fin dall’inizio: addirittura si era favoleggiato che al Baghdadi fosse rimasto a Mosul, ma era assolutamente improbabile. Probabilmente, gran parte della dirigenza dell’Is è nell’area che è a cavallo tra la Siria e l’Iraq oggi. E poi adesso c’è la concentrazione di gran parte dei jihadisti nella zona di Idlib, e lì bisogna vedere fino a che punto questo potrà avere un peso nel momento in cui comincerà - semmai lo farà - l’offensiva della coalizione internazionale su Raqqa, che è una delle questioni più intricate che ci sono oggi.

D. – In Occidente si sente sempre dire che l’Is sta arretrando e ora che Aleppo è caduta, molti temevano nuovi attacchi terroristici in Europa; invece i jihadisti si stanno riorganizzando “a casa loro”. Secondo Putin questo è dovuto alla mancata coordinazione tra la coalizione internazionale a guida americana, le autorità siriane e la Russia…

R. – Ci sono molte verità e anche molte falsità in questa vicenda dell’Is. La realtà è che la caduta di Aleppo ha rappresentato una vittoria per Assad, ma anche una sconfitta epocale per i gruppi jihadisti: da al Nusra ad Aleppo, ma anche allo stesso Is, perché anche l’Is è entrata - nonostante si sia detto il contrario - dentro la battaglia di Aleppo. Quindi la caduta di Aleppo è assolutamente importante. Per quanto riguarda il coordinamento, questo non c’è mai stato tra Mosca e Washington, e la chiave più evidente è stata proprio l’assedio di Mosul. Perché noi non dobbiamo dimenticare che il primo accordo di cessate-il-fuoco tra Kerry e Lavrov aveva come condizione che gli Usa separassero il destino dei guerriglieri jihadisti da quelli di al Nusra legati ad al Qaeda. Questo gli americani non lo hanno fatto, e quindi i russi e l’esercito siriano sono andati ulteriormente dentro e hanno continuato l’assedio della parte orientale. Quello che teme la Russia, così come gli iraniani e Assad, è che con la caduta di Mosul gran parte degli uomini dell’Is possano arrivare in Siria, e quindi minacciare le conquiste fatte recentemente da Assad; ma addirittura diventare pericolosi per l’area costiera dove, con gli attentati terroristici, possono minacciare anche le basi dei russi.

D. – Secondo alcuni analisti ora il Califfato punterà più su terrorismo e guerriglia che su tattiche convenzionali di combattimento…

R. – Questa può essere un’evoluzione anche molto probabile, lo si diceva già parecchio tempo fa. Nel momento in cui, come organizzazione di guerriglia, non si è più in grado di controllare una parte del territorio, è chiaro che si possono usare tattiche come quella del terrorismo, che è poi quella che ha usato al Qaeda. Del resto questi gruppi si adattano alle situazioni che hanno: al Qaeda, per esempio, in Yemen si dà agli attentati ma anche a tattiche di guerriglia vera e propria. In Afghanistan, dopo che perse il territorio per la caduta del regime dei Talebani, è tornato a fare il terrorismo, e l’Is - che poi nasce da una costola di al Qaeda, non dimentichiamolo mai – è pronta a usare queste tattiche che peraltro continua a usare oggi, perché le tattiche di guerriglia che ho visto usare dall’Is adesso, anche a Mosul, sono quelli delle autobombe, gli attacchi improvvisi, gli attentati: cioè si usano tecniche di stampo terroristico.

D. – Aleppo intanto sta vivendo le sue prime ore di tregua. Già migliaia di persone hanno lasciato la città, ma oggi l’evacuazione è stata sospesa dalle forze del governo, secondo cui “i miliziani armati non hanno rispettato l’accordo”. È una minaccia alla riconquistata pace?

R. – Aleppo è stata liberata, ma non è libera. Parlare di pace in Siria mi sembra assolutamente molto ottimistico. La Siria non ha prospettive di pace: ci sono prospettive di spartizioni in zone di influenza. Il 27 dicembre ci sarà una riunione tra la Russia, la Turchia e l’Iran: un’ipotesi, forse la più ottimistica, è quella di avere un conflitto a più bassa intensità.

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Brasile: politica di austerità per 20 anni, tagli a sanità e istruzione

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Un piano di austerità per salvare il Brasile dalla recessione, questo il piano che il Paese ha varato, con 53 voti favorevoli, per i prossimi venti anni tagliando la spesa sociale. Il provvedimento modifica dunque la Costituzione ponendo un tetto alla spesa pubblica, diminuendo drasticamente settori dell’economia brasiliana quali sanità e istruzione, a scapito delle fasce più povere della popolazione. Con questo emendamento costituzionale, chiamato “Pec 55”, il governo di Michel Temer è teso a riportare nei ranghi la finanza pubblica contando anche su investimenti provenienti dall’estero. Violenti gli scontri nella città di Brasilia dove la polizia ha messo sotto controllo gli uffici pubblici della capitale, e molti manifestanti hanno raggiunto gli uffici locali di Rede Globo, emittente locale accusata di divulgare informazione a favore del governo. Ad analizzare la situazione e il provvedimento, ritenuto da molti incostituzionale perché viola diritti inalienabili della popolazione, il prof. Roberto Vecchi, Direttore Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Moderne dell' Università di Bologna , nell’intervista di Sabrina Spagnoli: 

R. – La Corte Suprema ha provato a sospendere il presidente del Senato per le sue collusioni con il sistema di corruzione; non vi è riuscito perché poi la stessa Corte Suprema lo ha riabilitato anche se ha interrotto poi la linea diretta successoria della presidenza. La crisi è una crisi molto complessa. Il tema della corruzione, che era stato usato selettivamente per provocare la deposizione della presidente Dilma Rousseff, potenzialmente potrebbe minare questo governo. Esistono delle deposizioni di pentiti che fanno pensare che la stessa presidenza sia in un qualche modo a rischio in questo momento; e ciò crea evidentemente un conflitto fortissimo fra i poteri principali dello Stato: il sistema giudiziario, l’esecutivo, e la Corte Suprema che dovrebbe sopraintendere ai rapporti complessivi.

D. - Si dice infatti che il Paese sia in crisi per il buco economico lasciato dalle Olimpiadi, ma in realtà non è questa solamente la causa scatenante..

R. – No, assolutamente. È chiaro che i grandi eventi abbiano dei costi, ma nello slancio del Brasile degli scorsi anni le Olimpiadi sarebbero state una specie di vetrina. Quello che è cambiato è il modello economico. La deposizione del governo precedente ha lasciato spazio al ritorno di un’economia più “finanziarizzata”. Il Brasile è un Paese che ha avuto negli ultimi anni uno stretto controllo dell’accesso al credito e dei tassi di interesse per favorire il consumo e il mercato interno; il nuovo governo invece va nella direzione contraria, ripristinando le condizioni economiche del Brasile degli anni 90: una piena apertura neoliberale all’internazionalizzazione e un altissimo tasso degli interessi bancari. Questo favorisce soltanto una porzione ristretta di popolazione, mentre ne danneggia la stragrande maggioranza.

D. – Con questa manovra si bloccheranno le spese per salute e istruzione, e a pagarne le conseguenze saranno ovviamente i più poveri. Ma il governo in questo caso è consapevole che rischia di favorire modalità illecite di sopravvivenza?

R. – Sì, senz’altro. La famosa proposta di emendamento costituzionale 55, che mette sotto controllo per 20 anni, di fatto congela, la spesa pubblica, è un’operazione politica lucidissima, che vuole minare diritti che sono diventati negli ultimi anni universali, e che devono mettere in atto dei processi di integrazione fondamentali per un Paese ancora disintegrato. Non è un caso peraltro che l’ultima votazione su questo emendamento sia avvenuta il 13 dicembre, esattamente in corrispondenza con uno degli anniversari più tragici della storia brasiliana: il 13 dicembre 1968 la dittatura militare adottò le “leggi di eccezione” che resero ancora più dura la repressione violenta all’interno del Paese. E devo dire che questo citazionismo della politica attuale non è casuale. E allora questo emendamento vuol dire sostanzialmente rinnegare i diritti della stragrande maggioranza della popolazione, e conservare tutti i privilegi della élite, esattamente nella direzione contraria a quella dei governi in particolare di Lula e del primo mandato di Dilma Rousseff. Quindi direi che il problema non è tanto il possibile inasprimento della violenza sociale: la violenza sociale è già all’interno di questo emendamento perché vuol dire esclusione per larghi strati della popolazione nei prossimi 20 anni. Chiudere la spesa sociale in un Paese che ha avuto un grosso progetto nazionale negli ultimi mandati presidenziali vuol dire distruggere una generazione di brasiliani: quella più giovane. Per questo, non a caso, in molti Stati del sud est del Brasile le scuole oggi sono occupate. Oggi l’avanguardia del movimento di protesta è costituita proprio dagli studenti: medi e universitari, i quali sono consapevoli che le prime vittime di questo provvedimento sono le nuove generazioni. L’idea è quella di conservare un Brasile “escludente”, e, in nome di alcuni privilegi, di minare alla base l’universalismo delle politiche pubbliche.

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Fecondazione assistita: Londra apre a bambini con tre genitori

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Ieri l’Autorità britannica per la Fecondazione e l’Embriologia, (Hfea) ha dato il via libera ai trattamenti di fecondazione assistita con donazione di mitocondri, cioè gli elementi considerati la centrale energetica della cellula, che determinerà la nascita di figli con materiale genetico proveniente da tre genitori. Il Regno Unito è il primo Paese al mondo ad approvare l'utilizzo di questa tecnica nei trattamenti per la fertilità umana e il primo bambino potrebbe nascere già alla fine del prossimo anno. Il servizio di Marina Tomarro

Un bambino con tre genitori. E’ la nuova discussa tecnica di concepimento a cui l’Autorità britannica per la Fecondazione e l’Embriologia, ha dato il via libera. Si tratta di una fecondazione assistita che prevede di sostituite una piccola parte del Dna materno, quando questo presenta anomalie, con quello di una donna sana, e quindi l’embrione dovrebbe avere il Dna di due donne e un uomo. Ma molte le riserve sia etiche che scientifiche su questa nuova tecnica di fecondazione. Ascoltiamo Alberto Gambino presidente dell'Associazione "Scienza e vita":

R. – Chi porta avanti queste tecniche lo fa per eliminare delle patologie, ma in realtà ci sono tante incertezze, perché non si sa in alcun modo se quel patrimonio immesso nell’altro portatore genetico possa effettivamente migliorare davvero una situazione deficitaria. Poi, in realtà, spesso c’è lo scivolamento con queste tecniche verso la fase embrionale: non si tratta spesso di gameti, ma in realtà si opera poi nello stesso modo attraverso embrioni. Anzi, nei primi casi, si è andati direttamente a fare questa – chiamiamola – “ingegneria genetica”, partendo già dall’embrione e non solo dall’ovocita e, appunto, dai gameti. Questo fa anche capire che si tratta di uno scenario in cui apparentemente si parla di vicende che ancora non attengono alla vita umana, ma alla sua fase preliminare e invece sono spesso – nei fatti – legate soprattutto alla vita embrionale.

D. – Tante sono le riserve, sia etiche che scientifiche, riguardo a queste nuove tecniche di fecondazione assistita. Ma quali possono essere i rischi?

R. – Intanto che si vada a banalizzare l’evento della nascita, come se si potesse predeterminare un essere umano a tavolino, in provetta. E questo in realtà, è già presente nella fecondazione eterologa, con il gamete esterno alla coppia; e quindi anche il diritto del nascituro, che è quello poi di conoscere fino in fondo le origini genetiche e avere anche un patrimonio genetico che è legato a due soggetti e non a tre, viene violato.

D. – C’è possibilità che questa tecnica possa arrivare anche in Italia?

R. – Certamente, che c’è la possibilità che possa arrivare anche in Italia, anche perché il quadro legislativo italiano oggi è molto frammentato: la nostra Corte Costituzionale ha sostanzialmente demolito la Legge 40 e quindi anche questo tipo di tecnica – come del resto l’eterologa, che oggi è già ammessa in Italia – può anch’essa arrivare in Italia. E’ chiaro che chi porta avanti queste tecniche vorrebbe avere dei figli che non abbiano difetti e patologie e su questo ci mancherebbe altro: tutti vorremmo avere dei figli che siano sani! Però forzare il dato della natura, il dato genetico, inserire un terzo soggetto, significa – per certi versi – anche andare a svilire la personalità del soggetto che poi viene al mondo: in un modo o in un altro gli si stanno dando tre genitorialità e questo apre davvero a degli scenari inquietanti…

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Messaggio di Natale vescovi argentini: lavoro e salario degno per tutti

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“Il Natale, una festa di fede vissuta in famiglia, ci invita a rafforzare i nostri rapporti personali e a lasciarci commuovere da questo Dio mansueto che entra nelle nostre case per restare”. Con queste parole i vescovi argentini hanno presentato il Messaggio per il Natale 2016 dal titolo “Gesù entra a casa nostra per restare”. A conclusione della riunione del Consiglio permanente della Conferenza episcopale, i vescovi hanno voluto cogliere l’occasione delle festività natalizie per ribadire la grave crisi lavorativa ed economica che colpisce le famiglie argentine, sempre più povere e senza prospettive.

Le statistiche mostrano il numero di poveri non il loro dolore
“Niente è facile nell’Argentina di ieri e di oggi – affermano i vescovi – soprattutto, per coloro che dipendono da uno o due stipendi e ancor di più se si tratta di una famiglia esclusa dal mondo del lavoro e dal sistema previdenziale”. Il messaggio ribadisce che con questa situazione il Paese mostra “il suo lato peggiore” perché si fa fatica a credere che “nella terra benedetta dal pane (grano)” a un argentino su tre manca il cibo, il lavoro, la salute, l’educazione e le pari opportunità per progredire. “Le statistiche mostrano il numero di poveri, ma non potranno mai rispecchiare il dolore, l’angoscia e l’indignazione dei genitori che non riescono a mantenere le proprie famiglie”, affermano i vescovi.

L’emergenza dichiarata dallo Stato dimostra la crudele realtà
I vescovi riferiscono che la sola dichiarazione di Emergenza nazionale da parte dello Stato dimostra la “brutale e crudele realtà” che patisce oggi il popolo argentino. “Facciamo un appello ai responsabili dell’economia nazionale per investire nella creazione di fonti di lavoro degno e ben retribuito”. Secondo i vescovi argentini, “i calcoli meschini, la speculazione finanziaria e la subordinazione del bene comune ai risultati elettorali, non rispondono alle aspettative e solo danneggiano il Paese”. Nel messaggio i vescovi insistono nella necessità di aprire un dialogo “responsabile e permanente” per rafforzare la “fragilità” della convivenza sociale. Quindi, “nessuno si senta escluso – affermano – perché la Patria ha bisogno di gesti di grandezza”.

L’Anno Santo della Misericordia un invito alla carità
​“Il Giubileo dell’Anno Santo ci ha unito ancora di più alla persona di Papa Francesco, instancabile apostolo della misericordia divina”, affermano i vescovi. “Siamo convinti – aggiungono – che i suoi insegnamenti ci impegnano a portare la fede tra le nostre mani perché compiano gesti di carità verso tanta miseria umana”. Nel messaggio, la Chiesa argentina ricorda anche la grazia ricevuta per il riconoscimento della santità di due dei suoi figli, San José Gabriel del Rosario Brochero e  la Beata María Antonia de San José. “Entrambi – si legge nel testo – evangelizzatori entusiasti e solleciti con i malati, i poveri e i carcerati”. Il messaggio dei vescovi si conclude con un augurio di Buon Natale e l’invito a diventare una Chiesa più umile, purificata e fraterna. (A cura di Alina Tufani)

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Fillippine: Chiesa preoccupata per uccisioni di drogati e spacciatori

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Non possiamo “prevenire le uccisioni perché non sappiamo quando avverranno, non sappiamo come vengono portate a termine e chi sono i colpevoli. Quello che possiamo fare è aiutare i tossicodipendenti con la riabilitazione e risvegliare la coscienza del popolo”. Lo afferma all'agenzia AsiaNews mons. Broderick S. Pabillo, vescovo ausiliare di Manila, allarmato dal continuo aumento di omicidi extragiudiziali di sospetti trafficanti di droga nel Paese.

Ci sono altri modi per affrontare il problema della droga
La Chiesa, afferma il vescovo, può essere attiva in molti modi: “Dobbiamo far comprendere alle persone che c’è qualcosa di sbagliato in questa situazione. Dobbiamo appellarci al governo perché interrompa tutto questo. Abbiamo il dovere di parlare in modo pubblico, in modo che i governanti si rendano conto che ci sono persone contrarie alle uccisioni e la loro coscienza venga toccata. Speriamo che i responsabili decidano di cambiare politica, perché ci sono altri modi per affrontare il problema della droga”.

La mattanza del neo Presidente è stata criticata dalla comunità internazionale
Negli ultimi sei mesi, da quando Rodrigo Duterte è diventato Presidente, almeno 6mila persone sono state assassinate senza un processo con l’accusa di spaccio e consumo di droga. La mattanza, promessa dal neo Presidente in campagna elettorale, è stata criticata dalla comunità internazionale e lo stesso Duterte è accusato di aver commesso un omicidio quando era sindaco di Davao. Oggi gli Stati Uniti hanno dichiarato che non rinnoveranno un ingente pacchetto di aiuti per le Filippine a causa delle “gravi preoccupazioni” destate dall’amministrazione Duterte.

La Chiesa è attiva nell’aiuto concreto ai tossicodipendenti
Mons. Pabillo afferma che oltre a condannare le uccisioni, la Chiesa è attiva nell’aiuto concreto ai tossicodipendenti: “Abbiamo organizzato molti gruppi, nelle parrocchie e nelle chiese, che stanno creando vari tipi di programmi di riabilitazione per i malati. Gli operatori riuniscono i bisognosi, insieme ai capi villaggio e ai membri della polizia, forniscono loro educazione, fanno seminari e lezioni sui valori religiosi, sulla salute e su esercizi che possono fare per migliorare la propria condizione”. I programmi variano da parrocchia a parrocchia. “Tramite esercizi e giochi – continua il vescovo – insegniamo ai tossicodipendenti a prendersi cura delle proprie famiglie. Alcune parrocchie fanno anche progetti di reinserimento nel lavoro, in modo che i drogati si allontanino dalla dipendenza”. Iniziative come queste sono presenti a Manila, nelle Visayas e in altre regioni delle Filippine. Nella capitale vengono coinvolti psicologi che lavorano insieme alla Chiesa. (R.P.)

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Taizé: a Riga in Lettonia il 39.mo incontro europeo dei giovani

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A fine anno 2016, Riga sarà capitale dei giovani europei. Migliaia di giovani dall’Europa e da altri Paesi saranno quest’anno nella capitale della Lettonia per cinque giorni dal 28 dicembre al 1° gennaio per partecipare al 39° incontro europeo dei giovani, organizzato dalla comunità di Taizé.

I giovani invitati dalle Chiese lettoni
Ad invitare Taizé a Riga sono state le Chiese della Lettonia, con il sostegno delle autorità civili. Quattro responsabili di Chiese - riferisce l'agenzia Sir - hanno firmato la lettera d’invito indirizzata a Taizé: l’arcivescovo luterano, l’arcivescovo cattolico, il metropolita ortodosso e il vescovo dell’unione delle Chiese battiste lettoni. Prima dell’incontro, messaggi d’amicizia saranno inviati da Papa Francesco, i Patriarchi orientali e i responsabili anglicano, luterano e riformato. 

Il benvenuto del Presidente della Lettonia
A dare il benvenuto ai giovani di Taizé, c’è anche Raimonds Vējonis, Presidente della Lettonia, che recentemente così si è espresso parlando del prossimo incontro europeo: “Più di diecimila giovani da tutta l’Europa e da altri continenti stanno già preparando il loro viaggio in Lettonia. Alla fine dell’anno, l’incontro europeo dei giovani si svolgerà a Riga. Prepariamoci ad aprire le porte delle nostre case e anche i nostri cuori a questi pellegrini!”.

Presenti anche giovani di Ucraina, Bielorussia e Russia
Per cinque giorni i partecipanti saranno accolti dalle comunità cristiane della regione e alloggiati presso gli abitanti. “Nel difficile contesto che attualmente attraversa l’Europa – scrivono in un comunicato diffuso oggi dai frère di Taizé - i giovani partecipanti porteranno un messaggio di pace e di riconciliazione”. I partecipanti – giovani dai 18 ai 35 anni – passeranno il capodanno in modo del tutto originale, in preghiera, facendo incontri, vivendo la condivisione e la solidarietà. “A fronte delle attuali tensioni – sottolinea Taizé -, la presenza di numerosi giovani da Ucraina, Bielorussia e Russia rivestirà una particolare importanza. È la prima volta che un incontro europeo è organizzato in un Paese che nel passato faceva parte dell’Unione sovietica”. 

“Insieme per aprire strade di speranza”
Grazie all’accoglienza in tutta la regione, la maggior parte dei pellegrini saranno ospitati in famiglie. Un centinaio di comunità ecclesiali riceveranno i giovani partecipanti. Sostenuti dall’esempio di testimoni della Lettonia, i giovani pellegrini sono invitati ad andare tutti insieme alle fonti della fede. Frère Alois, priore della comunità, esporrà quattro proposte per il 2017, “Insieme per aprire strade di speranza”, ispirate dal recente incontro di Taizé a Cotonou (in Benin, Africa). Taizé è una comunità ecumenica e internazionale, formata da un centinaio di fratelli, che accoglie decine di migliaia di giovani cristiani nel corso di ogni anno. (R.P.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 351

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.