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Sommario del 20/12/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Attentato Berlino. Francesco: basta follia omicida del terrorismo

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La Germania in lutto dopo l’attentato di ieri sera al mercatino di Natale di Berlino, che ha causato la morte di 12 persone, uccise da un terrorista che con un camion si è lanciato contro la folla. Numerosi i feriti. Il Papa ha espresso profonda commozione non appena venuto a conoscenza del terribile atto di violenza. Ce ne parla Giancarlo La Vella

In un telegramma inviato all’arcivescovo di Berlino, mons. Heiner Koch, a firma del segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, il Pontefice “manifesta la propria partecipazione al lutto dei familiari” delle vittime, esprimendo la propria “compassione e assicurando la sua vicinanza al loro dolore. Nella preghiera affida i defunti alla misericordia di Dio, supplicandoLo anche per la guarigione dei feriti”. Il Santo Padre ringrazia, inoltre, “i servizi di soccorso e di sicurezza per il loro impegno fattivo”. Papa Francesco si unisce “a tutti gli uomini di buona volontà che s’impegnano, affinché la follia omicida del terrorismo non trovi più spazio nel nostro mondo”. Il Papa, infine, implora “da Dio Padre misericordioso la consolazione, la protezione e la confortatrice benedizione". Per un commento su questo nuovo tragico atto terroristico, sentiamo Luigi Geninazzi, giornalista di Avvenire, esperto dell’area europea:

R. – Quello che più colpisce di questa strage a Berlino è l’intreccio veramente scioccante di simbologie. Prima di tutto si tratta di un attentato che ha colpito la festa cristiana per eccellenza, in un Paese certo laicizzato, ma dove la tradizione religiosa è ancora forte. E quindi colpisce - come avvenuto a luglio, a Nizza, nella festa laica della Francia – una tradizione cristiana molto radicata della Germania. Il secondo simbolismo è che - non so se l’attentatore ne fosse cosciente – il farlo lì a due passi dalla Gedächtniskirche, la Chiesa che è stata bombardata nella Seconda Guerra Mondiale, che è stata ricostruita in parte e che è un po’ il monumento che ricorda la tragica storia del XX secolo della Germania, divisa e poi riunificata… Anche questo vuol dire che siamo di fronte a una nuova guerra, siamo di fronte ad un nuovo nemico. E poi – ovviamente – il terzo simbolismo è che colpisce il governo di Angela Merkel, che ha fatto una politica all’inizio molto generosa nei confronti dei profughi, ma che poi ha via via ristretto: e – se come potrebbe sembrare – l’attentatore è un profugo, questo ovviamente è una pugnalata al cuore della Germania, con evidenti contraccolpi sulla campagna elettorale in vista delle elezioni cruciali del prossimo settembre.

D. – Dietro questo episodio c'è il sedicente Stato Islamico puramente come elemento ispiratore o - secondo te - con un ruolo più decisivo?

R. – E’ chiaro che ormai questi lupi solitari agiscono in questo modo e anche con un dispendio di forze, di tattica e di strategia minimo, perché non devono neanche procurarsi un’arma: prendo un tir, uccido l’autista, mi metto alla guida e compio una strage… Questo vuol dire che siamo tutti veramente inermi e impotenti.

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Papa: vicino a popolo russo, scosso da omicidio ambasciatore

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Il Papa esprime cordoglio per l'uccisione dell'ambasciatore russo in Turchia, Andrei Karlov, avvenuto ieri. In un telegramma al presidente Vladimir Putin, Francesco assicura la sua vicinanza al popolo russo. Stamattina il segretario Vaticano per i rapporti con gli Stati, mons. Richard Gallagher, aveva telefonato all’ambasciatore russo presso la Santa Sede, Alexander Avdeev, per esprimere le sue condoglianze per l’omicidio dell’ambasciatore. Ad uccidere Karlov è stato un poliziotto turco fuori servizio, poi ucciso dagli agenti. Intanto, il governo russo ha inviato in Turchia un team di 18 tra investigatori, agenti e diplomatici per indagare sull'assassinio e il ministro degli Esteri turco Cavusoglu, ha assicurato al suo omologo russo Lavrov che Ankara farà "tutto il possibile" per individuare i mandati e collaborerà con Mosca nel quadro della commissione congiunta che si occuperà delle indagini. Sull'omicidio di ieri ad Ankara Elvira Ragosta ha intervistato il prof. Aldo Ferrari dell’Ispi: 

R. - Si tratta di un atto effettivamente molto grave che avviene nel momento di grande difficoltà politica soprattutto per il conflitto siriano, dopo che Russia e Turchia, che in questo conflitto hanno posizioni diverse – sono praticamente su fronti opposti – erano riuscite negli ultimi mesi a ricucire i loro rapporti. Evidentemente un omicidio di questo tipo rischia almeno nelle intenzioni di chi lo ha compiuto con ogni probabilità di compromettere o di rendere maggiormente difficili i rapporti di collaborazione tra Ankara e Mosca. Ma non credo che questo potrà avvenire, perché entrambi i Paesi sono fortemente interessati alla prosecuzione dei rapporti positivi degli ultimi mesi; hanno bisogno di collaborare, e quindi non credo che questa tragedia cambierà sensibilmente il corso degli eventi.

D. – Quale potrebbe essere il motivo di colpire l’ambasciatore russo in Turchia?

R. – Sicuramente da parte di chi ha compiuto l’attentato c’è, anzitutto, una forte volontà di esprimere una protesta violenta contro la politica russa in Siria; è evidente che molti in Turchia non sono contenti dell’andamento della guerra.

D. - Quali conseguenze potrebbe aver questo omicidio sugli equilibri mediorientali anche alla luce dell’incontro tra i ministri degli esteri di Russia, Turchia e Iran di oggi?

R. - Penso non avrà conseguenze dirompenti, perché non è nell’interesse di nessuno. A questo punto si vuole concludere al più preso il conflitto in Siria e tutte le potenze sono interessate a trovare un equilibrio verso il quale si stava faticosamente – se vogliamo, purtroppo, sanguinosamente – procedendo.

D. - E quali effetti ipotizzare all’interno della Turchia di questo episodio?

R. - Io temo, come è avvenuto altre volte, che la Turchia non farà indagini serie e approfondite; molti sono stati gli omicidi rimasti insoluti, incomprensibili negli ultimi mesi, quasi certamente il governo cercherà di incolpare Gülen anche di questo attentato. 

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Francesco nomina Barbara Jatta direttore dei Musei Vaticani

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Il Papa ha nominato direttore dei Musei Vaticani, con decorrenza dal primo gennaio 2017, la dott.ssa Barbara Jatta, finora vice‑direttore dei medesimi Musei Vaticani. Si tratta della prima donna alla guida dei Musei Vaticani. Nata a Roma il 6 ottobre 1962, ha conseguito la Laurea in Lettere presso l'Università "La Sapienza" di Roma nel 1986 e l'anno successivo il Diploma di Archivista presso la Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica. Nel 1991 si specializza in Storia dell'Arte presso la Scuola di Specializzazione dell'Università degli Studi di Roma e, successivamente, svolge lezioni di Storia della Grafica e delle Tecniche di Incisione, pubblicando articoli, recensioni e cataloghi di mostre specializzate.

Dal 1994 è Docente Incaricato per l'insegnamento di "Storia delle arti grafiche" presso l'Università di Napoli, Istituto Suor Orsola Benincasa, nell'ambito del Corso di Laurea in Lettere, indirizzo in Conservazione dei Beni Culturali. Entrata presso la Biblioteca Apostolica Vaticana nel 1996, è stata responsabile del Gabinetto delle Stampe fino alla nomina, avvenuta nel 2010, a Curatore della Grafica del Dipartimento degli Stampati. Nel giugno scorso è stata trasferita dalla Biblioteca Apostolica Vaticana alla Direzione dei Musei Vaticani, con l'incarico di vice-direttore.

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Lateranense: studenti a servizio dei poveri, seguendo l'invito del Papa

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In un mondo sfigurato dalla violenza e, come ci raccontano le cronache delle ultime ore, da atti di cieco terrorismo, ci sono giovani che – spinti dall’esempio di Papa Francesco – si impegnano per il prossimo, dedicano il loro tempo in favore di chi ha bisogno. E’ questo il senso profondo dell’iniziativa “50oreXRoma”, promosso dalla Pastorale Universitaria della Pontificia Università Lateranense. Gli studenti dell’ateneo si sono impegnati a donare 50 ore del proprio tempo a coloro che a Roma vivono nelle “periferie esistenziali” tante volte evocate dal Pontefice. Finora hanno aderito 130 studenti per un totale di 7 mila ore. Per una testimonianza su come sia nata questa iniziativa e come si svolgerà concretamente, Alessandro Gisotti ha intervistato don Mirko Integlia, direttore della Pastorale Universitaria della Lateranense: 

R. – Questo progetto è un cammino che parte da lontano, anzitutto dalla nostra riflessione, insieme ai ragazzi, sui diversi discorsi che Papa Francesco ha fatto alle università e in particolare alle università cattoliche e pontificie e che, a nostro parere, è un discorso che se preso sul serio può essere rivoluzionario perché lui parla di questo rapporto tra l’università e i problemi reali della gente. Ci ha colpito, ad esempio, quando incontrando i giovani a Torino ha usato questa espressione che più o meno ricordo a memoria: “L’università è anche servire”. Poi, c’è stata una seconda fase di questo cammino che è il progetto nato nel 2015 di volontariato internazionale, chiamato “12XLui”, che invia i giovani nelle periferie del mondo, durante il periodo estivo per ben un mese. E poi sono stati proprio i ragazzi a dire: “Ma questa esperienza che facciamo durante l’estate non possiamo farla anche per quelli che ci sono più vicini, più prossimi?”. E quindi nella città di Roma. Da questo è nato “50 ore per Roma”: cioè, queste 50 ore che da qui ad aprile gli studenti mettono a disposizione delle realtà in cui la Chiesa di Roma e non solo serve i poveri, i sofferenti, quelli che sono soli, gli emarginati, i migranti, i carcerati e tutte le realtà di povertà  e di disagio.

D. – Gli studenti che hanno aderito sono già 130, per un totale di settemila ore di servizio, come e dove si svolgeranno queste "opere di misericordia" dire, che nascono dopo il Giubileo …

R. – Le realtà nelle quali presteranno il loro servizio sono diverse. Tutte hanno accolto con grande entusiasmo questa iniziativa. Ne cito alcune. La Caritas di Roma, dove i ragazzi svolgeranno ben 5 diversi servizi. C’è la Comunità di Sant’Egidio, con altrettanti servizi anche molto diversi: ad esempio, c’è la mensa per i poveri, ci sono le scuole della pace, queste scuole ormai molto conosciute che ci sono nelle periferie di Roma in cui si aiutano i ragazzi nel loro percorso scolastico. C’è la comunità Nuovi Orizzonti di Chiara Amirante, in particolare con il servizio ai giovani tossicodipendenti. C’è il servizio ai malati nel Policlinico di Tor Vergata. Ci sono le opere caritative del Sovrano Ordine di Malta e altri servizi stanno per essere definiti, come il soccorso con beni di prima necessità a quelle persone che ancora vivono il disagio nelle zone terremotate colpite di recente. Quindi i servizi sono tanti anche perché i giovani sono tanti, 130! Quindi distribuire settemila ore richiede anche un lavoro organizzativo molto articolato e non facile!

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Le nomine di Papa Francesco

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Le nomine episcopali di Papa Francesco. Consulta il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede .

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Oggi in Primo Piano



Mons. Pizzaballa: tragedia per i cristiani del Medio Oriente

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“La situazione dei cristiani in Siria, Iraq e Egitto è una completa tragedia”. Così mons. Pierbattista Pizzaballa, nella sua prima conferenza stampa natalizia da amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme. Il circolo “vizioso” della violenza, ha aggiunto parlando a Gerusalemme, sembra “senza speranza e senza fine”, ma ha comunque esortato a non rassegnarsi a tale situazione di crisi. Ce ne parla Giorgio Bernardelli, giornalista di "Mondo e Missione", esperto di questioni mediorientali, intervistato da Giada Aquilino

R. - L’amministratore apostolico del Patriarcato latino ha usato parole forti: ha parlato senza mezzi termini della situazione dei cristiani tra Siria, Iraq ed Egitto come di una vera e propria tragedia. Mons. Pizzaballa ha invitato a guardare non solo alle immagini di ogni giorno, al dramma di Aleppo che tutti conosciamo, ma a collocarlo nella lunga stagione che il Medio Oriente sta vivendo, nei conflitti che continuano ad essere alimentati dal commercio delle armi, dagli interessi delle potenze e da un fondamentalismo che avanza in maniera implacabile. Ha dato anche un messaggio molto chiaro: ha detto che con gli eserciti si può vincere una guerra, ma che per ricostruire serve invece la politica. Ed è proprio quello che oggi non vediamo.

D. - Ne è un esempio la crisi israelo-palestinese, con lo stallo registrato finora?

R. - Sì, sicuramente. Lo stallo nei negoziati sta portando ad una crescita del fondamentalismo anche all’interno della Terra Santa: è, questo, un fenomeno molto preoccupante. Mons. Pizzaballa ha parlato di una situazione in cui manca completamente una visione. Ha citato, come fatto molto grave, la mancanza di risposte sul fronte educativo: resta aperto tutto il problema delle scuole cristiane in Israele, che stanno attraversando una crisi senza precedenti e alle quali il governo israeliano continua a non dare risposte. Mons. Pizzaballa dice in sintesi: se anche chi educa al superamento dell’odio e della contrapposizione viene trattato in questo modo, è difficile vedere come si possa uscire da questa crescita dell’estremismo e del fondamentalismo.

D. - Ha citato altre criticità della situazione: ad esempio il muro di Cremisan…

R. - Sì, ha citato anche questo con molta amarezza dicendo che nonostante tutti i nostri appelli, nonostante quello che era stato detto circa l’esproprio delle terre delle famiglie cristiane, in questa zona tra l’altro così vicina a Betlemme alla fine il muro oggi è lì, è stato costruito e di fronte a questa ingiustizia non si è potuto fare nulla. Tutti gli appelli sono caduti invano.

D. - Di fronte invece al fatto che l’estremismo non riesce ad arrestarsi, ha fatto un esame delle cause?

R. - Il problema è che oggi in Israele e Palestina c’è chi educa all’estremismo e al fondamentalismo. Mons. Pizzaballa con molta chiarezza dice che o si parte da qui oppure tutto questo non potrà che crescere, creando ulteriori problemi a Gerusalemme.

D. - Quindi nelle sue parole il bilancio per questo 2016 qual è?

R. - È un bilancio di un tempo difficile, nessuno lo nasconde; un bilancio comunque da guardare senza rassegnazione. Proprio per questo lui ha parlato di un forte bisogno di rinnovamento che il patriarcato di Gerusalemme sta vivendo e ha annunciato un periodo di riforma che comincerà nei prossimi mesi, sia in termini di organizzazione di amministrazione sia di impegno pastorale, per testimoniare appunto quella speranza che il Natale a Betlemme viene ad annunciare anche in un contesto così difficile, così doloroso. Ha detto che ciò che noi possiamo fare davvero in una situazione così dolorosa è essere testimoni di misericordia e riconciliazione, ma è un impegno che poi passa anche attraverso tanti piccoli gesti, tante piccole opere da costruire nella quotidianità. Tra le luci dell’anno in via di conclusione, ha citato per esempio il restauro in corso sia al Santo Sepolcro sia alla Basilica della Natività: lavori che vengono realizzati insieme alle diverse confessioni cristiane. E proprio questo stile della collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà, compresi ebrei, musulmani, non credenti a Gerusalemme, è lo stile - ha detto - che la Chiesa di Terra Santa vuole adottare per essere più vicina ai poveri, educare i ragazzi, stare vicino ai rifugiati a chi è senza casa.

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Le yazide Nadia e Lamya: da schiave a paladine della lotta al razzismo

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“È sempre difficilissimo raccontare di essere state schiave del sesso, ma è diverso sentir parlare di numeri o incontrare vittime e noi vogliamo denunciare l'orrore dell'Is”. Sono parole delle due ragazze che sono state per mesi nelle mani di uomini del sedicente Stato islamico in Iraq e che hanno ricevuto il Premio Sacharov per la difesa dei diritti umani del Parlamento Europeo, nei giorni scorsi. Si chiamano Nadia Murad Basse e Lamya Haji Bashar e hanno rispettivamente 23 e 18 anni. Appartengono alla comunità degli yazidi, una minoranza religiosa, di etnia curda, con 4 mila anni di storia. Vivevano a Kocho, un villaggio vicino alla città di Sinjar, nel Nord dell’Iraq, a poca distanza dal confine siriano, quando il 3 agosto del 2014 miliziani dell’Is hanno portato l’orrore: hanno ucciso gli uomini, hanno catturato i bambini e le donne, che hanno passato in rassegna, per poi uccidere quelle che non avrebbero reso soldi al mercato delle schiave del sesso. Le più giovani sono state messe a disposizione dei miliziani a Mosul. Fausta Speranza ha incontrato Nadia e Lamya e ha parlato con loro del ruolo della comunità nella lotta contro la barbarie dell'Is e dei rischi di ogni forma di razzismo.

D. - Nadia, tu sei stata nominata a settembre scorso ambasciatrice dell'Onu sui temi della tratta di esseri umani. Qual è il cuore del tuo messaggio al mondo? 

R. – (parole in arabo)
Quando penso alla situazione, vedo un periodo terribile di oltre due anni in Iraq e tre anni in Siria e sento che il futuro di milioni di persone sarà molto triste. 'L’Is odia ciò che più è umano, a partire dal valore della persona e perseguita soprattutto yazidi e cristiani'. Credo che se tutto questo continuerà, significherà che ci saranno ancora più stupri, ancora più uccisioni, ancora più reclutamenti di bambini soldato… Ecco perché è veramente giunto il momento che ci sia una reazione: il mondo deve fare qualcosa. E’ giunto il tempo che l'Is si assuma le responsabilità di quanto ha fatto. Bisogna portare gli uomini dell'Is di fronte alla Corte penale internazionale. Ed è giunto il tempo di arrestare il terrorismo. Ma bisogna capire che i rischi sono due: il radicalismo e il terrorismo da una parte, ma anche risposte sbagliate a tutto ciò, dall'altra parte. Bisogna prevenire ogni forma di razzismo, che io invece vedo crescere ovunque. Ma in tutto questo non riesco a comprendere come l’intera comunità internazionale non riesca a fermare un gruppo di uomini in fondo piccolo come l'Is!

D. – Che cosa ti aspetti dall’Europa e dalla Comunità internazionale?

R. – (parole in arabo)
Chiediamo loro di essere dalla parte delle vittime, di creare una zona di sicurezza per gli yazidi e per altre minoranze. Con gli yazidi i più perseguitati sono i cristiani. E' certo che senza protezione e senza assunzione di responsabilità nei loro confronti, almeno mezzo milione di yazidi si metteranno in marcia verso l’Europa. I Paesi del mondo civile devono contribuire a trovare una soluzione.

D. – Nadia, sei stata travolta dal male. Ancora credi nel bene?

R. – (parole in arabo)
Hanno ucciso mia madre davanti ai miei occhi perché non avrebbe reso soldi al mercato delle schiave del sesso, ma non hanno cancellato i suoi insegnamenti. Lei è sempre stata una persona piena di rispetto per tutti e mi ha educato all'amore e al bene, mi ha insegnato a pregare. Queste cose l'Is non può distruggerle. Tante ragazzine in mano all'Is appena possono si tolgono la vita, perché non ce la fanno a sostenere tanto strazio. Io non ho mai pensato di uccidermi. Più il male mi toccava e più trovavo in me tutti gli insegnamenti di mia madre e della mia gente, ma soprattutto la forza di Dio che mai mi ha abbandonata. Più il male mi toccava, più trovavo il bene dentro di me.

D. - Lamya, dopo la fuga dall'Is sei stata gravemente ferita da una mina e hai dovuto subire diversi interventi chirurgici e sottoporti a molte cure in Germania. Cosa ti dà la forza di portare avanti la tua denuncia? 

R. – (parole in arabo)
Gli uomini dell'Is mi hanno violentata, mi hanno picchiata, mi hanno torturata e umiliata. Per otto mesi mi hanno fatto tutto il male che si possa fare. Non ci hanno mai considerate persone o esseri umani: ci hanno trattato come animali. Ci dicevano che eravamo un bottino di guerra. Non posso vivere pensando che altre ragazze stanno subendo ancora tutto questo. Vorrei dimenticare ma non posso. Ho visto violentare bambini, ho visto violentare donne di fronte ai loro bambini: vendute e rivendute o scambiate come merci. Non posso rimanere in silenzio. Non posso vedere cose così atroci e rimanere in silenzio. Questo è il motivo per cui ho deciso di non tacere. Ho deciso di raccontare i loro crimini, le loro storie, quello che hanno fatto alla minoranza yazida, a ragazzine come me … Ho deciso di parlare perché voglio che la gente sappia quello che mi hanno fatto. Mai più, mai più deve accadere quello che ho subito e ho visto io. Mai più. Si deve combattere l'Is e non si deve permettere che arrivi un altro Is, e magari per ragioni diverse faccia alle bambine quello che hanno fatto a me.

D. – Cosa pensi del fatto che questi uomini si definiscano religiosi?

R. – (parole in arabo)
Per me, l'Is non è Islam. Il vero Islam è diverso.

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Congo: Kabila non lascia presidenza, tensione tra polizia e manifestanti

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Tensioni in Congo tra polizia e manifestanti dopo che il presidente Joseph Kabila non ha lasciato il proprio mandato, nonostante il termine sia scaduto stanotte, rinviando in questo modo le elezioni presidenziali. Francesco Gnagni ha intervistato padre Freddy Kyombo Senga, missionario congolese dei Padri Bianchi e redattore della rivista “Le Petit Écho”: 

R. – Questa mattina in Congo, da mezzanotte, la popolazione di Kinshasa aveva dato segno della fine del mandato di Joseph Kabila, battendo sulle pentole e facendo rumore con i vuvuzela. Ma prima c’è stata la proclamazione del nuovo governo da parte del presidente e inoltre la notte Etienne Tshisekedi, presidente dell’UDPS, ha chiesto alla popolazione in un video di mostrare la propria obbedienza, civica ma pacifica, nel sostenere che Kabila non può più comandare il Congo. Stamattina ci hanno segnalato dei problemi nel quartiere di Lemba a Kinshasa, questo è il segno che la popolazione mostra il suo malcontento: a Kinshasa ci sono militari ovunque e la popolazione non può manifestare. A Lubumbashi ci hanno segnalato che nel comune di Katuba ci sono stati dei problemi: in qualche scuola del centro di Lubumbashi sono stati mandati a casa gli alunni, ma per il resto era ancora tranquillo.

D. – Cosa chiedono le opposizioni e cosa dice la Costituzione a proposito della posizione del presidente?

R. – La costituzione dice che 90 giorni prima della fine del mandato del presidente, doveva indire le elezioni. Questo mandato è finito il 19 dicembre, ma il presidente non ha annunciato le elezioni per un problema di assenza di mezzi finanziari. L’opposizione non ci crede perché ogni anno nel budget vengono destinati soldi per la preparazione delle elezioni. Dunque l’opposizione crede che il presidente volesse restare al potere e continuare oltre il suo mandato. E’ quello che si chiama le “glissement”, il prolungamento. L’opposizione non vuole accettare che Kabila continui a goevrnare in Congo solo perché lui lo vuole e hanno rifiutato il dialogo fino a poco tempo fa, quando i vescovi hanno richiamato questa opposizione radicale a negoziare. L’opposizione chiede a Kabila di andarsene dopo la fine del suo mandato, per attuare una transizione diretta da qualcun altro, non da lui. Ma la costituzione prevede anche che in caso di vuoto di potere il presidente del Senato possa governare in attesa di organizzare le elezioni: ho l’impressione che il dialogo sia complicato in questo momento, nonostante i vescovi cerchino di sbloccare una situazione che ancora non va.

D. – C'è il rischio di un precipitarsi delle violenze?

R. – Sì, il rischio c’è sempre ma ho l’impressione che sia nell’opposizione che nella maggioranza non vogliano arrivare fino alla violenza. Per questo i vescovi della Conferenza episcopale del Congo si impegnano affinché non ci siano queste violenze. Penso che queste violenze non interessino a nessuno: né all’opposizione né a quelli che sono al potere, ma questi ultimi sono capaci di lasciarle sopraggiungere.

D. – Il Papa ha lanciato un appello per il Congo: come è stato recepito nel Paese?

R. – Sì, i media che ho ascoltato fino ad oggi accolgono con favore questo appello, ma la gente è contenta. Sperano poi che i politici lo ascoltino, e vedono che il Papa si interessa veramente al Congo, perché domenica la prima cosa che ha annunciato dopo l’Angelus è stata la richiesta di pregare per il Congo, che non ci siano problemi, che ci sia la pace e che le persone possano dialogare. E’ qualcosa di buono per il Congo, e penso che i media lo accoglieranno con il giusto valore. E penso anche che i congolesi sperano che il Papa vada a visitare presto il Congo perché questo li aiuti a rasserenare lo spirito.

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Giordania: Natale di solidarietà, cordoglio per l’attentato a Karak

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La Chiesa cattolica in Giordania ha deciso di annullare i festeggiamenti per la solennità del Santo Natale in segno di rispetto per le vittime dell’attacco terroristico a Karak. Questo quanto riportato dall’arcivescovo Maroun Lahham, vicario patriarcale per la Giordania del Patriarcato latino di Gerusalemme, che ha sottolineato la volontà dei vescovi di celebrare soltanto le Sante Messe.

Dolore in Giordania per l'attentato a Karak
Domenica scorsa l’assalto di un commando terrorista a Karak, a 120 chilometri a Sud di Amman, ha portato alla morte di 10 persone, di cui 7 appartenenti alle forze di sicurezza, 2 civili e una turista canadese. I quattro terroristi, dopo essersi scagliati contro militari e forze di polizia, sono stati uccisi dalle forze giordane.

Indagini sugli uomini responsabili dell’attentato e sulle armi
I terroristi, sui quali si indaga, erano in possesso di armi automatiche e cinture esplosive. Ordigni e altre armi sono state sequestrate in una casa di Qatraneh, identificata come base di una cellula terroristica. (G.A.)

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Unicef Italia. Docufilm sui migranti minori: 6 mila sono scomparsi

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“Invisibili. Non è un viaggio, è una fuga. Storie di ragazzi che arrivano soli in Italia”. E’ il titolo del docufilm, che sarà presentato oggi pomeriggio a Roma. Un progetto delle giornaliste Floriana Bulfon e Cristina Mastrandrea, con regia, riprese e montaggio di Toni Trupia e Mario Poeta. Roberta Gisotti ha intervistato Giacomo Guerrera, presidente dell’Unicef-Italia, che ha promosso il film ed ospita l’evento: 

D.- Dr. Guerrera, il dramma dei migranti minori non accompagnati passa quasi inosservato all’attenzione dell’opinione pubblica. Questo film può aiutare a prenderne coscienza?

R. – Lo abbiamo fatto con questo scopo: noi abbiamo, in questo momento, in Italia, oltre 6 mila bambini che hanno fatto perdere le loro tracce e che quindi diventano, di fatto, invisibili e che sono esposti a qualsiasi forma di violenza, soprattutto da parte della malavita organizzata e non soltanto da quella… Il film mette in evidenza anche dei fenomeni che si sono verificati qui, a Roma, alla Stazione Termini, in cui dei ragazzini hanno subito delle violenze sessuali dietro compenso, perché sono minori che non hanno nulla e che sono esposti alla violenza della città. Va detto in maniera molto chiara che sono come degli schiavi.

D. – Lei ha parlato di 6 mila bambini che sarebbero scomparsi. Come è stato fatto questo conto e qualcuno li sta cercando questi 6 mila minori?

R. – Sono più di 22 mila i minori che sono stati identificati. Non è che questi 6 mila siano fuggiti non identificati… Ma questi bambini sono stati inseriti in centri di accoglienza in cui, molto spesso, il trattamento non è adeguato per ragazzini che hanno dei sogni, compreso quello di riunirsi ai propri familiari. La nostra Polizia, se li intercetta nelle strade delle nostre città, ha modo di individuarli e di sapere cosa stiano facendo; però bisogna creare un nucleo familiare, non dico nel senso biologico del termine ma nel senso legale: cioè creare una figura di “tutore volontario” e formarlo a questo scopo. Citavo prima quello che è successo nella nostra Stazione Termini, in cui è stato anche intercettato chi ha abusato di queste ragazzini e questo si vede pure nel film… Ma lo sa come è andata a finire, per quanto riguarda la nostra legge? Dato che un minore non può fare denunce, anche a fatto accertato, la persona – non essendoci nessuno a denunciarlo – è stata messa in libertà e naturalmente è scappata ed andata all’estero, perché non era un italiano…

D. – Quindi, ci sono delle lacune di assistenza sociale e delle lacune legislative che possono però essere colmate?

R. – Lei ha detto bene: il problema dei bambini migranti è un problema verso il quale non possiamo girare le spalle. Non possiamo continuare a lamentarci, tra l’altro per colpe nostre, perché non abbiamo fatto quello che dovevamo fare già da diversi decenni nei Paesi di origine di queste popolazioni. La nostra normativa e i nostri interventi vanno adeguati alle aspettative, alle possibilità di offrire a coloro che hanno raggiunto le nostre coste. E molti dei quali vogliono andare via dal nostro Paese: dobbiamo dirlo che sono pochi quelli che vogliono restare nel nostro Paese. Noi li vediamo in giro, perché magari sono stati sistemati nei centri di accoglienza. Allora l’Unicef scende in campo proprio perché vuole – a tutti i costi! – trovare una soluzione. Non possiamo ignorare che ormai ci sono e non possiamo neanche espellere questi minori: a quell’età non si espelle! Nel film si vede quello che questi ragazzi chiedono: ottenere un’attenzione diversa, entrare in un rapporto diverso anche con le istituzioni; vogliono sentirsi coinvolti. E’ quello che noi non riusciamo a fare in maniera adeguata, anche perché c’è una ‘cattiva’ informazione su questo fenomeno. Non tutti condividiamo questo tipo di accoglienza, che per certi versi è l’unica possibile… Però dobbiamo preoccuparci di creare le condizioni, affinché questa accoglienza non si traduca in un altro dramma, che questi bambini devono affrontare. 

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Assolta farmacista: aveva rifiutato di vendere pillola giorno dopo

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Il Tribunale di Gorizia ha assolto la farmacista triestina che nel 2013 aveva rifiutato di vendere una cosiddetta "pillola del giorno dopo". Era imputata di omissione o rifiuto di atti di ufficio perché, in qualità di farmacista e quindi incaricata di pubblico servizio, durante il turno notturno si rifiutava di consegnare il farmaco nonostante l'esibizione di ricetta medica. Luca Collodi ne ha parlato con Simone Pillon, l'avvocato che ha tutelato la farmacista nel sostenere il suo diritto all'obiezione di coscienza: 

R. - E' una sentenza innovativa, direi: la prima nel nostro Paese che riconosce l’obiezione di coscienza per i farmacisti per la somministrazione della pillola del giorno dopo. Ma il problema vero è che non avremmo neanche dovuto arrivare a questa sentenza, perché è comunque costata tre anni di processo a una madre di 5 figli oltretutto. Se ci fosse stata una legge che, come si chiede da anni, avesse regolato l’obiezione per tempo, non saremmo dovuti arrivare al sacrificio individuale di una persona che ha deciso di andare fino in fondo per non fare compromessi con la propria coscienza. Per me è stato un onore difendere una donna come questa, però non posso che auspicare che quanto prima si arrivi ad approvare una legge che riconosca il primo diritto di ogni essere umano, che dopo quello della vita ha come primario diritto quello della libertà!

D. - Avvocato Pillon, la sentenza ribadisce il diritto costituzionale all’obiezione di coscienza?

R. - Esattamente. La nostra Costituzione già più volte è stata interpretata in modo molto chiaro dalla Corte Costituzionale laddove si è voluto leggere nella libertà di pensiero, nella libertà di parola e nella libertà di religione il corollario e cioè il diritto costituzionale alla libertà di coscienza. Quindi il tribunale di Gorizia, coraggiosissimo, aveva già tutti i principi sufficienti e necessari per poter arrivare a un proscioglimento del genere.

D. - A che punto è in Parlamento la legge che tutela la libertà di coscienza? Se ne sta parlando molto?

R. - Il problema vero è che ci sono numerose proposte di legge che sono state presentate da diversi parlamentari. Ci sono anche due pareri del Comitato nazionale di bioetica che hanno entrambi sottolineato la necessità e l’urgenza di una legge di tal fatta ma il dibattito è bloccato per ragioni ideologiche. Si vuole sostanzialmente affermare che l’obiezione di coscienza non deve essere resa possibile. Noi chiediamo con forza che l’iter venga sbloccato e si riconosca il necessario bilanciamento dei diritti in una società che a parole si dice pluralista dal punto di vista etico ma poi nei fatti cerca in ogni modo di adottare il pensiero unico.

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Rai e Ctv insieme per “Stanotte a San Pietro” con Alberto Angela

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Il Vaticano, in tutta la sua maestosità e la sua suggestione notturna. Dopo il grande successo di “Stanotte a Firenze” Alberto Angela accompagna il pubblico di Rai1 in un nuovo, affascinante viaggio notturno nel suo programma “Stanotte a San Pietro. Viaggio tra le meraviglie del Vaticano” in onda in prima serata martedì 27 dicembre 2016. Una grande produzione - frutto di una feconda collaborazione tra Rai Uno e Centro Televisivo Vaticano - arricchita da ospiti d’eccezione come Giancarlo Giannini e Carlo Verdone - che si avvale della tecnologia 4K HDR, spettacolari riprese con droni, effetti speciali, minifiction… tutto al servizio di una grande operazione culturale realizzata dal Centro di Produzione di Napoli, il Centro Televisivo Vaticano in collaborazione con Officina della Comunicazione.

Un viaggio affascinante tra storia, arte e religiosità
Alberto Angela ci fa scoprire monumenti famosi - come la cupola di San Pietro, la sublime Pietà, gli affreschi della Cappella Sistina - e i giardini immersi nella quiete notturna. Ci porta sulle tracce dell’anziano Michelangelo e del giovane Raffaello, scoprendo anche luoghi normalmente chiusi al pubblico come l’Archivio segreto, la gendarmeria, la caserma delle Guardie Svizzere. Ci racconta una lunga storia di potere, spiritualità e mecenatismo che ha conosciuto anche momenti drammatici. Grazie alle tecniche della polizia scientifica - quasi in un moderno CSI – Alberto Angela riuscirà a far rivivere la città dei Papi in una luce nuova. “Stanotte al Museo” è un programma di Alberto Angela diretto da Gabriele Cipollitti, scritto con Aldo Piro, Etra Palazzi, Carlotta Ercolino, Paola Miletich, Vito Lamberti ed Emilio Quinto.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 355

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