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Sommario del 21/12/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: aprire il cuore alla speranza del Natale

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La speranza ci fa camminare mentre le nostre sicurezze, specialmente materiali, non ci salveranno. Nella catechesi dell’udienza generale stamani in Aula Paolo VI, il Papa chiede di aprire il cuore per dire “sì” a Gesù e di camminare con la voglia di fare il bene. Prosegue dunque il ciclo di catechesi dedicate alla speranza cristiana, visibile anche nel presepe che Francesco invita a contemplare. Presente all’udienza anche una delegazione dei panificatori romani, che ha donato al Papa un presepe fatto di pane, opera del maestro Fabio Albanesi. Il servizio di Debora Donnini

Una speranza che fa camminare, non statica, è quella di cui parla il Papa all’udienza generale. La speranza normalmente si riferisce a ciò che non  si vede ma il Natale ci parla invece di una speranza visibile perché fondata su Dio. Una speranza che entra nel mondo con l’Incarnazione di Gesù, speranza nella vita eterna: 

“Egli entra nel mondo e ci dona la forza di camminare con Lui: Dio cammina con noi in Gesù e camminare con Lui verso la pienezza della vita ci dà la forza di stare in maniera nuova nel presente, benché faticoso. Sperare allora per il cristiano significa la certezza di essere in cammino con Cristo verso il Padre che ci attende. La speranza mai è ferma, la speranza sempre è in cammino e ci fa camminare”.

Il cuore sia aperto alla speranza
Francesco esorta quindi a chiedersi se il nostro cuore sia aperto alla speranza per camminare con Gesù, nonostante le fatiche del presente:

“Camminando in questo mondo, con speranza, siamo salvi. E qui possiamo farci la domanda, ognuno di noi: io cammino con speranza o la mia vita interiore è ferma, chiusa? Il mio cuore è un cassetto chiuso o è un cassetto aperto alla speranza che mi fa camminare non da solo, con Gesù?”.

Fermarsi a guardare il presepe
Il Papa si sofferma quindi sul presepe che nella sua semplicità trasmette speranza, a cominciare dal luogo, Betlemme, dove mille anni prima era nato Davide, un piccolo borgo non una capitale. E per questo – sottolinea Francesco – preferita dalla Provvidenza divina, “che ama agire attraverso i piccoli e gli umili”. Qui nasce Gesù “nel quale la speranza di Dio e la speranza dell’uomo si incontrano”. Quindi i personaggi che lo compongono. Maria, “Madre della speranza”, che con il suo “sì” apre a Dio la porta del nostro mondo e vede nel Bambino l’amore di Dio. Accanto a lei, Giuseppe, anche lui ha creduto alle parole dell’angelo e medita guardando Gesù, mediante il quale “Dio salverà l’umanità dalla morte e dal peccato”. “E’ importante guardare il presepe”, dice Francesco per vedere “quanta speranza c’è in questa gente”.

Non confidare nelle sicurezze ma camminare nella vita con la voglia di fare il bene
E poi ci sono i pastori, i piccoli, che aspettano il Messia e vedono nel Bambino la realizzazione delle promesse. Sperano, diversamente da chi confida nelle proprie sicurezze, “specialmente materiali”, e non attende la salvezza da Dio:

“Mettiamoci questo in testa: le nostre sicurezze non ci salveranno; l’unica sicurezza che ci salva è quella della speranza in Dio. Ci salva perché è forte e ci fa camminare nella vita con gioia, con la voglia di fare il bene, con la voglia di diventare felici per l’eternità”.

La speranza si esprime anche nel coro degli angeli: il ringraziamento a Dio che ha inaugurato il suo Regno di pace. “Contemplando il presepe, ci prepariamo al Natale”, dice il Papa, e “sarà veramente una bella festa, se accoglieremo Gesù, seme di speranza che Dio depone nei solchi della nostra storia personale e comunitaria”:

“Ogni ‘sì’ a Gesù che viene è un germoglio di speranza. Abbiamo fiducia in questo germoglio di speranza, in questo sì: ‘Sì, Gesù, tu puoi salvarmi, tu puoi salvarmi’. Buon Natale di speranza a tutti!”.

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Appello Papa ai leader congolesi: ascoltino il dolore del popolo

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Un appello ai politici congolesi perché vedano le sofferenze del loro popolo è stato lanciato oggi a margine dell’udienza generale, da Papa Francesco, che ha ricordato il recente incontro con i vertici della Conferenza episcopale della Repubblica Democratica del Congo, invoca il bene comune per un Paese dilaniato dalla violenza. Francesca Sabatinelli: 

Si appella ai leader politici della Repubblica Democratica del Congo Papa Francesco, per chiedere loro di ascoltare le loro coscienze, soprattutto per guardare alle sofferenze che in questo momento vive la popolazione:

“Rivolgo nuovamente un accorato appello a tutti i congolesi perché, in questo delicato momento della loro storia, siano artefici di riconciliazione e di pace. Coloro che hanno responsabilità politiche ascoltino la voce della propria coscienza, sappiano vedere le crudeli sofferenze dei loro connazionali e abbiano a cuore il bene comune”.

Sarebbero almeno 26, secondo le associazioni dei diritti umani, le vittime della violenza scoppiata tra le forze dell’ordine e i manifestanti contrari al Presidente Kabila. Polizia e militari avrebbero aperto il fuoco contro i civili e i timori sono che le vittime in realtà possano essere molte di più . Gli incidenti sono avvenuti nella capitale Kinshasa, dove le guardie sono andate casa per casa ad arrestare giovani, mentre i dimostranti davano fuoco al quartier generale del partito di maggioranza. Colloqui tra le parti al governo e le opposizioni dovrebbero riprendere oggi con la mediazione della Chiesa cattolica. Kabila, che è al potere dal 2001, secondo la costituzione non potrebbe più candidarsi per un altro mandato, ma una corte ha stabilito che potrà rimanere al potere almeno fino alle prossime elezioni, che previste per novembre, sono state invece rimandate a  tempo indeterminato. Il leader del principale partito di opposizione, Etienne Tshisekedi ha sollecitato una resistenza pacifica in risposta a quello che ha definito “il colpo di stato” di Kabila. L’impasse politica ha provocato una diffusa agitazione in tutto il Paese,  che rimane uno dei più poveri e più instabili del mondo.

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Il Papa in visita al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione

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Visita a sorpresa di Papa Francesco al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione.Ieri il Pontefice si è recato nella sede del dicastero romano, in via della Conciliazione, per ringraziare i superiori, gli officiali e i dipendenti per il grande sforzo organizzativo messo in campo durante il Giubileo straordinario della Misericordia. Giunto inaspettatamente e accompagnato solo da un gendarme, il Papa è stato accolto dall’arcivescovo presidente Rino Fisichella e si è trattenuto per una quindicina di minuti con i presenti. "Dimostrando un grande senso di umanità e di amicizia nei nostri confronti — ha riferito il presule all’Osservatore Romano — il Papa ha voluto farci personalmente gli auguri per le feste natalizie, rinnovando la sua gratitudine per quanto da noi fatto nell’anno santo". Un gesto di fraternità, lo ha definito mons. Fisichella, il quale ha poi aggiunto come tutti al Pontificio Consiglio siano "rimasti colpiti dalla sua affabilità. Ci ha raccontato la propria gioia per l’esperienza del Giubileo — ha concluso — e ci ha raccomandato in particolare l’importanza dei missionari della misericordia".

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Provvedimento di clemenza del Papa per il rev. Vallejo Balda

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Considerato che il rev. Vallejo Balda ha già scontato oltre la metà della pena il Santo Padre Francesco gli ha concesso il beneficio della liberazione condizionale. Lo riferisce ieri sera una Nota della Sala Stampa vaticana. Si tratta di un provvedimento di clemenza che gli permette di riacquistare la libertà. La pena non è estinta, ma egli gode di libertà condizionale. A partire da ieri sera il sacerdote lascia il carcere e viene a cessare ogni legame di dipendenza lavorativa con la Santa Sede; rientra nella giurisdizione del vescovo di Astorga, in Spagna, sua diocesi di appartenenza.

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Presepe P. San Pietro: gendarme e vigile del fuoco vaticani deporranno Bambinello

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Durante la celebrazione della Santa Messa della Vigilia di Natale, saranno quest’anno un gendarme ed un vigile del fuoco del Vaticano a porre nella mangiatoia del presepe in Piazza San Pietro l’immagine del Bambino Gesù. Lo comunica una nota del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano che spiega come l’evento avverrà, com’è tradizione, al momento del Canto del “Gloria”. La decisione dei superiori di tale organismo, nel bicentenario della fondazione del corpo della Gendarmeria, vuole essere “un piccolo gesto di apprezzamento e gratitudine per degli uomini che si sono messi generosamente a disposizione del prossimo in difficoltà, lavorando senza risparmiarsi”. Nei giorni immediatamente successivi alle forti scosse di terremoto che il 24 agosto e poi il 30 ottobre scorsi hanno colpito le regioni del Centro Italia, si ricorda, i vigili del fuoco ed i gendarmi hanno collaborato con le forze dell’ordine italiane, la Protezione Civile ed i tanti volontari nei soccorsi alle vittime sotto le macerie, “nelle operazioni di smassamento e nel controllo e pattugliamento dei paesi al fine di contrastare eventuali episodi di sciacallaggio”. A Norcia, si evidenzia in particolare, i vigili del fuoco hanno provveduto “ad accompagnare le famiglie a recuperare i propri effetti personali dalle case inagibili ed al recupero delle opere d’arte sepolte dalle macerie delle varie chiese dell’Archidiocesi di Spoleto-Norcia”. 

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Le nomine di Papa Francesco

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Per le nomine episcopali di Papa Francesco, consultare il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede

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Auza: fine conflitti per rimuovere cause della tratta di esseri umani

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Per la Santa Sede il dramma della tratta delle persone è una questione di prioritaria importanza. “Le persone di buona volontà, qualunque sia il loro credo religioso, non possono mai permettere che donne, bambini e uomini siano trattati come oggetti”. Non possono acconsentire che siano violati, ingannati, spesso venduti e rivenduti a scopo di lucro, con devastazioni nella mente e nel corpo, prima di essere uccisi o abbandonati. E’ quanto ha affermato l’osservatore permanente della Santa Sede all’Onu, mons. Bernardito Auza, intervenendo ieri a New York ad un dibattito promosso dalla presidenza della Spagna e incentrato sul traffico di esseri umani in situazioni di conflitto.

La tratta è vergognosa
“La tratta di esseri umani è vergognosa”. “Deve essere condannata - ha osservato il presule - in modo inequivocabile”. La legge deve colpire, con tutta la sua forza, chi compie tali crimini. Il traffico di esseri umani - ha ricordato mons. Auza riferendosi ad un recente rapporto sulla tratta - è “un fenomeno internazionale” e la soluzione di questa piaga richiede la collaborazione di molte agenzie dell’Onu, la cooperazione di governi regionali e locali e il lavoro di organizzazioni della società civile, in particolare di quelle religiose.

Papa Francesco: tutte le persone sono uguali
Mons. Auza ha poi ricordato le parole pronunciate, lo scorso 2 dicembre, da Papa Francesco in occasione della cerimonia per la firma della dichiarazione contro la schiavitù da parte dei leader religiosi. “Ogni persona e tutte le persone - aveva affermato il Santo Padre - sono uguali e si deve riconoscere loro la stessa libertà e la stessa dignità”. “Qualsiasi relazione discriminante che non rispetta la convinzione fondamentale che l’altro è come me stesso costituisce un delitto, e tante volte un delitto aberrante”.

Il traffico di persone è un crimine di ‘lesa umanità’
“Per questo - aveva aggiunto il Pontefice - dichiariamo in nome di tutti e di ognuno dei nostri credo che la schiavitù moderna - in forma di tratta delle persone, lavoro forzato, prostituzione, traffico di organi - è un crimine di ‘lesa umanità’. Le sue vittime sono di ogni condizione, ma il più delle volte si riscontrano tra i più poveri e i più vulnerabili dei nostri fratelli e sorelle”.

Con la tratta le persone sono derubate della loro dignità
Ci sono cause e fattori diversi che alimentano forme di schiavitù moderne come la tratta di persone. Tra queste - ha detto mons. Auza - ci sono la povertà, il sottosviluppo e l’esclusione, soprattutto quando si riscontrano gravi lacune nell’accesso all’istruzione e inesistenti opportunità di lavoro. In questo drammatico scenario, in cui corruzione e avidità sfrenata derubano la persona di una vita dignitosa, il traffico di narcotici e di armi, il riciclaggio di denaro e la prostituzione minorile - ha ricordato inoltre il presule - sono alcuni dei reati legati alla tratta di esseri umani.

La guerra è la causa più grave della tratta
Ma il singolo fattore che più di tutti alimenta la tratta - ha detto infine mons Auza - è la guerra. I conflitti spingono milioni di persone a diventare rifugiati. E questo li rende molto vulnerabili per i trafficanti. La lotta contro la tratta, per essere efficace, non può prescindere dalla comunità internazionale. La Santa Sede - ha concluso il presule - resta fermamente convinta che le vie per risolvere questioni aperte devono essere quelle della diplomazia e del dialogo. La Santa Sede incoraggia anche il Consiglio di Sicurezza a proseguire nell’opera di contrasto contro il traffico di persone, in primo luogo attraverso la prevenzione e la fine dei conflitti armati. (A cura di Amedeo Lomonaco)

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Oggi in Primo Piano



Attentato di Berlino: si cerca sospetto tunisino. Allerta in Europa

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Novità nelle indagini sull’attentato di Berlino. Un tunisino di 21 anni, secondo fonti di stampa, viene ricercato dalla polizia in relazione alla strage avvenuta nel mercatino di Natale, in cui sono morte 12 persone e 48 sono rimaste ferite, tutte falciate da un camion guidato dall’attentatore. E’ tornato, invece, in libertà il pakistano, ritenuto in un primo momento autore dell'azione. Un messaggio di fraternità e solidarietà è stato inviato da mons. Andrè Marceau, vescovo di Nizza, teatro di un sanguinoso attentato con le stesse modalità, all’arcivescovo di Berlino, mons. Heiner Koch. Intanto in tutta Europa massimo livello delle misure di sicurezza antiterrorismo. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Gabriele Iacovino, responsabile analisti del Centro Studi Internazionali (CESI): 

R. – Purtroppo siamo davanti a una minaccia poco prevedibile e, di fatto, è comunque difficile mettere in atto delle contromisure effettive: lo stesso controllo dei luoghi di aggregazione può essere efficace, ma purtroppo fino a un certo punto. Inevitabilmente, però, non possiamo stare fermi davanti a questa nuova tipologia di minaccia.

D. – Sarebbe possibile sviluppare, in qualche modo, misure di intelligence e non tanto per vedere se ci siano collegamenti diretti con il sedicente Stato Islamico, quanto per vedere se ci sono persone, i cosiddetti lupi solitari, che operano in proprio?

R. – In questi casi l’attività di intelligence ovviamente è necessaria, ma difficilmente può avere degli effetti su questa tipologia di minaccia. Anche perché si immagini quante persone dovrebbero essere impiegate per controllare un numero di potenziali attentatori che, di fatto, è poco prevedibile, perché c’è una radicalizzazione che va avanti – soprattutto attraverso il web – e che è la forza più grande del messaggio fondamentalista di Daesh.

D. – Questi attentati stanno, quindi, riuscendo nell’intento di destabilizzare la vita in Europa soprattutto in una fase come questa, di fine anno e di festività natalizie?

R. – Questo è uno dei più grandi effetti del cambiamento tra al-Qaeda e il sedicente Stato Islamico: quest'ultimo non è più un gruppo che attraverso le proprie ramificazioni cerca di fare degli attentati contro luoghi sensibili in Occidente, ma un gruppo che si fa ideologia: chiunque può raccogliere il messaggio dello Stato Islamico su Internet e su tutti quei canali di comunicazione dove questo messaggio viene diffuso. 

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Mons. Pizzaballa: in Medio Oriente non tutti assetati di violenza

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La situazione in Terra Santa “fa eco” a quella del mondo intero, che si trova a fronteggiare “l’estremismo crescente e il fondamentalismo”: a colpire è che proprio il fondamentalismo sia “radicato” nelle giovani generazioni. Così mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme, sull’attuale situazione internazionale. Tenendo una conferenza stampa natalizia a Gerusalemme, l’arcivescovo ha messo in luce come all’origine di tanta violenza oggi ci siano proprio l’estremismo, il commercio delle armi, gli interessi fra potenze. Giada Aquilino lo ha intervistato: 

R. – Tutte queste cose insieme. Anzitutto c’è la paura, perché è la paura che determina le nostre scelte e i nostri orientamenti e non il contrario. Ci sono interessi, naturalmente le armi e i venditori di armi; c’è una guerra intra-musulmana tra sunniti e sciiti; c’è il fondamentalismo religioso di matrice islamica, con Is e Daesh, ma anche altre forme meno conosciute, ma non meno letali; c’è una situazione economica spaventosa, con una maggioranza della popolazione - che ha meno di 30 anni - che non ha prospettive, che è senza lavoro; c’è una situazione sociale, religiosa e politica veramente molto grave, che rende poi tutto il contesto oltre che confuso anche molto frustrante.

D. – In questi giorni in Europa, di fronte agli ultimi attentati, al camion sulla folla in Germania, come già successe a Nizza, è stata evocata la modalità degli attentatori mediorientali. Si può ricordare solo questo del Medio Oriente?

R. – No. Il Medio Oriente purtroppo è anche questo, però il Medio Oriente è fatto da milioni di persone che nono sono tutte assettate di violenza: ci sono tantissime persone - ebrei, cristiani musulmani - che si mettono in gioco. E soprattutto i piccoli e il Natale ci ricorda proprio questo: che sono i piccoli, i “piccoli del Vangelo” - che significa i poveri, le persone semplici, quelle del territorio e la gente di strada - che lavorano insieme, che si incontrano, che cercano di vivere una vita dignitosa, rispettandosi a vicenda.

D. – Quali auspici per la soluzione della crisi israelo-palestinese, per cui purtroppo negli ultimi mesi si registra uno stallo? E poi: le polemiche che ci sono sul progetto di togliere dalle mosche di Israele gli altoparlanti utilizzati dai muezzin per la chiamata alla preghiera islamica possono portare ad ulteriori tensioni?

R. – Bisogna essere molto realisti: non è che la pace arriverà domani. La pace bisogna ricostruirla e, purtroppo, richiederà tempi lunghi. Però bisogna cominciare, anzitutto a parlarsi: in questo momento non ci si parla proprio e non c’è alcun canale di comunicazione e questo può solo deteriorare le relazioni tra le due parti. E’ necessario parlarsi: questa è la prima cosa. Per quanto riguarda poi la legge sulla riduzione del volume della voce dei muezzin è un precedente pericoloso: ci sono tanti altri modi per risolvere i problemi di inquinamento acustico, semmai esistono. Questo apre un precedente pericoloso, che tocca la libertà di culto, la libertà di religione e tocca sensibilità già molto ferite, che ritengo invece sia opportuno lasciare tranquille.

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Siria: rinviata di 24 ore l'evacuazione di Aleppo Est

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Nonostante la risoluzione firmata pochi giorni fa dall’Onu, è stata rinviata di circa 24 ore l’evacuazione delle ultime zone di Aleppo est ancora in mano ai ribelli, secondo quanto rendono noto gli attivisti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani. Francesco Gnagni ha sentito lo scrittore e giornalista Shady Hamadi, attivista per i diritti umani in esilio dalla Siria: 

R. – L’evacuazione procede. Molti civili sono stati spostati verso Idlib, una località sotto il costante bombardamento dell’aviazione russa: quindi molti di loro raccontavano di aver lasciato la morte per assedio o per fame, per trovarne un’altra – a Idlib – sotto i bombardamenti. Quindi, in generale, è il formato scelto per questa evocazione che ritarda in qualche maniera la morte, perché di questo si tratta spostando migliaia di civili in un’altra località. Il dato più significativo – a mio giudizio – è quello di una vera e propria pulizia religiosa e di un cambiamento demografico: ci sono due villaggi sciiti sotto assedio da parte dell’opposizione e gli abitanti – circa 4 mila persone – sono stati spostati nei quartieri dove prima vivevano altri abitanti, quello di Aleppo Est, che invece vengono portati verso questa provincia di Idlib. Quindi, in qualche maniera, c’è un cambiamento demografico nella Siria, in cui intere fasce – in questo caso di popolazioni sunnite – vengono spostate in altri territori, a fronte degli sciiti che vengono invece spostati dai loro luoghi di origine verso quartieri che erano sunniti.

D. – Pare poi che la strada che collega Aleppo con la roccaforte del sedicente Stato Islamico del Nord della Siria, secondo quanto sostiene l’esercito di Ankara, sia sotto il pieno controllo delle milizie filoturche dell’esercito siriano libero: mi conferma?

R. – Le dico di più: l’accordo – quello che è stato firmato tra la Turchia e la Russia e che in qualche maniera fino a qualche tempo fa ci sembrano su fronti opposti – deve essere letto come il risultato di un prevalere di agende a breve termine: i turchi sono interessati a costruire uno stato cuscinetto per proteggersi dal confine nord della Siria e quindi dalla creazione di uno Stato curdo; in cambio hanno chiesto la città di Albad,  della quale hanno assunto il controllo, e hanno dato una mano ai russi a prendere invece il controllo di Aleppo. Quindi è chiaro che hanno in mano loro – i turchi in questo caso – il fronte nord della Siria, il confine nord, e quindi anche i destini di quell’opposizione che ancora rimane e che si è fidata dei turchi fino a ieri.

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Il card. Bagnasco ai deputati: agire per l'emergenza lavoro

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Il presidente della Conferenza episcopale Italiana, cardinale Angelo Bagnasco, ha espresso indignazione e sgomento per gli attentati in Germania e in Turchia. Il porporato lo ha detto durante la Messa ai parlamentari italiani in occasione del Natale, celebrata ieri sera a Roma. Attenzione anche per la questione lavoro. Il servizio di Alessandro Guarasci

La crisi morde ancora, e questo la Chiesa lo vede nelle parrocchie, nelle mense, nei dormitori. Dunque per il cardinale Angelo Bagnasco è necessario agire con decisione da parte del nuovo governo.

“Vediamo, nelle nostre parrocchie, i nostri sacerdoti, io in primo luogo, che il problema più urgente, che la gente sente nella carne, è il lavoro. E la disoccupazione è molto alta, specialmente quella dei giovani, disoccupazione o inoccupazione. E questo diventa, si impone come esigenza primaria, perché senza un lavoro, come dice il Papa, non c’è dignità e non c’è progetto di vita”.

Per il presidente dei vescovi italiani, “non si può  vivere alla giornata appiattiti sul presente, circoscritti a obiettivi a volte mediocri perché legati a piccoli interessi individuali”. E allora, “pensare che un cristiano debba mettere tra parentesi la sua fede per aver accesso al pubblico agone, è chiedere di vivere schizofrenici. La Chiesa non ha mai preteso di appellarsi all'autorità di Dio nel dialogo e nella cultura con il mondo ma sempre ha usato la Ragione per offrire ragioni ai principi e alle norme consapevole – ha aggiunto – che ciò che fa parte della Rivelazione è detto anche nel libro della Natura di cui l'uomo è culmine e splendore”.

Ma a preoccupare è anche il piano internazionale. Gli attentati in Germania e Turchia fanno nascere indignazione e sgomento, dice il cardinale.

"E non vogliamo dimenticare tutti i popoli che ancora sono ogni giorno martoriati da ogni forma di violenza e soffrono per l'insicurezza, l'oscurità del loro futuro, e per la tragedia del loro presente".

Per tutti i popoli del mondo, quindi, serve giustizia e riconciliazione.

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Mons. Nosiglia: a Natale aprire la porta del cuore e della casa agli altri

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Si intitola ‘Sto alla tua porta e busso’ la Lettera che mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, ha indirizzato alle famiglie per Natale.  “Aprendo la porta a Gesù Cristo impariamo ad aprire la porta del cuore e della casa agli altri: a figli, anziani, parenti, i vicini di casa, amici, colleghi di lavoro, poveri e emarginati”. “Natale, ha sottolineato l’arcivescovo nella presentazione della Lettera di Natale ieri a Torino, è la festa dell’incontro tra Dio e ogni uomo”. Ascoltiamo mons. Cesare Nosiglia al microfono di Luca Collodi: 

R. – Quando si conosce l’altro, ci si incontra, ci si guarda negli occhi, tante remore, tanti muri si abbattono. Perché io mi sono accorto – e ho fatto l’esperienza – che a Torino la gente spesso ha paura dell’immigrato, del rifugiato, del povero che non conosce. Ma quelli che sono vicini, che fanno parte della tua comunità, che si inseriscono, sono introdotti nella tua comunità, incominci a conoscerli e ti accorgi che sono persone normali, che però hanno bisogno, sono in necessità, come anche tu a volte hai bisogno. E questo crea relazione e creando relazione, si crea indubbiamente amicizia e tutto sommato è la via semplice che conduce poi anche all’integrazione.

D. – Nella lettera di Natale alla città di Torino non si parla solo di immigrati. La crisi ha colpito molto anche le famiglie italiane…

R. – Più volte mi sono sentito dire: “Dobbiamo pensare prima ai nostri e poi agli altri!”. Io dico che dobbiamo pensare anzitutto alle persone. La persona in quanto tale va amata, va accolta, va sostenuta. “I nostri” – “i loro”, non esistono. Per un cristiano, ogni persona è figlio di Dio, ogni persona è un fratello e tutti siamo chiamati a riconoscerci tali.  Allora le barriere si superano. Qualsiasi persona che sia vicina, che comunque chieda qualcosa che io posso dare, dobbiamo essere disponibili. Così si superano tante remore e tante difficoltà. Porto sempre l’esempio del “Padre Nostro”: Gesù ci ha insegnato a dire “Padre nostro”, non “Padre mio, mio, mio”. Che confine ha questo “nostro”? Quelli della mia famiglia? Quelli del mio vicinato? Quelli della mia città? Quelli del mio Paese? E’ un “nostro” universale, quello che Gesù ha voluto darci…

D. – Mons. Nosiglia, la lettera guarda anche al sociale, alla mancanza del lavoro, alla povertà e sollecita un confronto con le Istituzioni, le fondazioni bancarie, le imprese e i sindacati…

R. – Abbiamo attivato una cosiddetta agorà sociale, in cui abbiamo posto al centro il problema della formazione e del welfare e invitato a confrontarsi, in modo concreto, tutte le realtà: quelle ecclesiali, quelle civili, quelle istituzionali, il volontariato, l’Unione industriali. Per questo abbiamo costituito una cabina di regia che cerca di dare operativamente una risposta alle esigenze più importanti. La prima e fondamentale che abbiamo oggi  a Torino è il lavoro. Il lavoro condiziona poi tutto il resto. Condiziona l’affitto di casa, e quindi chi non può pagare l’affitto si trova poi senza casa; condiziona a volte la vita stessa delle famiglie nel rapporto reciproco tra genitori e figli; condiziona soprattutto i giovani che si trovano in una situazione di apnea oppure di limbo, nel senso che non hanno più speranza per il futuro. Io sto avvicinando molti giovani, molti adolescenti in questo momento. Spesso chiedo loro: “Ma cosa vedete come futuro?”. Rispondono: “Un muro”. Il muro si può abbattere, ma dobbiamo farlo insieme, ciascuno prendendo le proprie responsabilità. Solo facendo squadra, facendo rete – come si dice oggi – un po’ tra tutte le realtà che contano, che hanno possibilità di dare risposte concrete ai nostri giovani come a tutta la gente, si può uscire fuori dalla crisi.

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Roma: bocciato il Bilancio di previsione 2017 del Comune

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L’amministrazione Raggi ha tempo fino al prossimo 28 febbraio per ripresentare il Bilancio di previsione 2017 del Comune di Roma e Luigi Di Maio dei Cinque Stelle assicura: “Staremo nei termini di legge”. Riguardo alla bocciatura del Documento di programmazione, l’Oref, Organismo comunale di revisione contabile, parla di approssimazione, di non chiare strategie per il recupero delle entrate con il rischio di un mancato rispetto dell’equilibrio di bilancio. Intanto, le altre forze politiche parlano di “disastro totale” e chiedono le dimissioni del sindaco. Adriana Masotti ha sentito Leonardo Becchetti, professore ordinario di Economia politica presso l'Università Tor Vergata di Roma: 

R. – Intanto non c’è da essere felici. Da cittadino romano penso che sia un problema molto serio il fatto che in questa città in particolare, aldilà delle appartenenze ai partiti, si distrugga la classe politica e si distruggano opportunità. Quindi questo è un primo punto. Il secondo punto - in particolare guardando ai Cinque Stelle a Roma – è chiaro che c’è un rapporto problematico tra loro e il mondo della competenze; credo che i Cinque stelle dovrebbero fare un’analisi per capire perché questo rapporto è così difficile; magari per le condizioni che loro pongono alla partecipazione politica, che sono troppo dure, o per una diffidenza che hanno nei confronti dei mondi professionali e produttivi … Ma credo che il vero dato di fondo sia questo: non c’è un’osmosi, non c’è un rapporto, non c’è un interscambio e questo impoverisce i Cinque Stelle e riduce anche le possibilità che persone valide della società civile entrino poi a far parte di queste Giunte. L’altro dato di fondo è questo: in questo momento sarebbero state necessarie iniziative molto drastiche, molto dure dal punto di vista del bilancio. Quindi, i primi cento giorni, avrebbero dovuto essere utilizzati magati per rinegoziare subito il debito del Comune di Roma e continuare con politiche di risanamento molto dure, i Cinque Stelle su questo non hanno seguito questo percorso. Quindi direi che la combinazione di questi due fattori ci porta in questo momento in questa situazione.

D. - Guido Castelli, delegato alla finanza locale dell’Anci, dice che il vero problema di Roma è proprio la situazione finanziaria e il debito che sta esplodendo …

R. - Senz’altro. Il debito è stato negoziato prevalentemente in periodi in cui i tassi erano alti; il tasso medio di interesse che paga il Comune di Roma è esorbitante rispetto ai tassi che abbiamo oggi. Come ogni privato che con il meccanismo della surroga oggi va a rinegoziare il proprio mutuo, così il Comune di Roma dovrebbe assolutamente far partire la rinegoziazione del debito. Questo era qualcosa che tra l’altro molti candidati all’elezione a sindaco avevano messo in prima linea, impegno che consentirebbe di risparmiare molti milioni.

D. - Di Maio dice che si starà nei termini di legge per quanto riguarda la ripresentazione del bilancio e che c’era un buco enorme di bilancio relativo alle amministrazioni precedenti. Dice poi: “Siamo la prima forza politica del Paese e quindi proveranno ad infiltrarci ancora”, questo in riferimento a Marra in particolare …

R. - Torniamo proprio su quel punto che le dicevo prima: il fatto che quella che si dichiara essere la prima forza politica del Paese non riesca ad attingere al patrimonio di competenza di questa città, di questo Paese, è veramente qualcosa di preoccupante che dovrebbe per prima cosa interrogare loro. Dalla dichiarazione di Di Maio emerge proprio una diffidenza: si parte da una diffidenza molto forte che paradossalmente, magari, porta poi ad affidarsi anche a persone sbagliate. Sinceramente non vedo una capacità e credo che dovrebbero lavorare molto su questo punto, quindi incontrarsi e confrontarsi in maniera serena con la società civile e con le sue competenze.

D. - Se non ci sono soldi è probabile che a Roma ci saranno dei tagli ai servizi. Che percezione ha della capitale in questo momento lavorandoci e vivendoci?

R. - Viaggiando moltissimo in Italia e all’estero credo che non esistano città con una condizione così disastrata del manto stradale ad esempio; è una cosa che balza immediatamente agli occhi quando una persona viene a Roma, così come balzano agli occhi la scarsità dei servizi, il decoro e la sporcizia. Credo che queste dovrebbero essere le prime cose che un amministratore dovrebbe andare a curare e risolvere. È chiaro che in condizioni di ristrettezze economiche tutto questo è più difficile.

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Vescovi polacchi ai politici: mancano unità e concordia

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“In Polonia mancano unità e concordia”: l’osservazione è del primate polacco mons. Wojciech Polak, preoccupato per “l’aggravarsi delle divisioni” nella società a causa dei conflitti parlamentare e costituzionale in atto. Nonostante l’arcivescovo di Varsavia Praga, mons. Henryk Hoser, li abbia definiti “una spregevole lotta per il potere con il quale arrivano i soldi che danno possibilità di una vita migliore”, sia il card. Stanislaw Dziwisz, arcivescovo di Cracovia, che il presidente dei vescovi polacchi, mons. Stanislaw Gadecki, auspicano che il partito di governo PiS (Legge e giustizia), guidato da Jaroslaw Kaczynski, al pari dell’opposizione, siano capaci di “fare un passo indietro” per trovare “la via del dialogo”. 

Riflettere se e come cercare di costruire la pace
“Il conflitto non può essere risolto senza una discussione seria”, ha affermato mons. Gadecki ricordando che “prima del santo Natale ognuno dovrebbe riflettere se e come cerca di costruire la pace”. “Il Paese ha bisogno di pace”, ha sottolineato il presule, rammentando l’insegnamento sociale della Chiesa secondo cui “la pace sia frutto di giustizia e della carità”. Il card. Kazimierz Nycz, arcivescovo di Varsavia, facendo gli auguri di Natale ha parlato della speranza per una “riconciliazione nazionale”. (R.P.)

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Nigeria: rapito un altro sacerdote nella regione del Delta

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Rapito un altro sacerdote cattolico in Nigeria. Si tratta di padre Jude Onyebadi, parroco della chiesa di San Pietro e Paolo a Issele-Azagba, nella regione del Delta, nel sud del Paese. Secondo notizie riprese dall’agenzia Fides, è stato sequestrato il 16 dicembre da tre uomini armati che si sospetta siano pastori Fulani, nella sua piantagione di ananas.

I rapitori hanno chiesto un riscatto
I rapitori avrebbero richiesto inizialmente 50 milioni di Naira (152.000 Euro), poi scesi a 20 milioni (61.000 Euro), di Naira per la liberazione del sacerdote. Il direttore delle Comunicazioni sociali della diocesi di Issele-Uku, Charles Uganwa, ha confermato il rapimento ed ha invitato i rapitori a rilasciare l’ostaggio senza condizioni, ricordando che la Chiesa cattolica non paga riscatti.

L'ondata di rapimento di sacerdoti un assalto alla Chiesa
Nel 2016 diversi sacerdoti cattolici sono stati rapiti in Nigeria, specie nelle regioni del sud. Don Sylvester Onmoke,presidente dell’Associazione dei preti diocesani della Nigeria (president of the Nigeria Catholic Diocesan Priests Association) ha qualificato “la recente ondata di rapimenti di sacerdoti e religiosi come un assalto alla Chiesa”. (L.M.)

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Bangladesh: a Dhaka poliziotti schierati a difesa di 62 chiese

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Alcuni leader cristiani del Bangladesh hanno incontrato il ministro dell’Interno e hanno chiesto al governo di garantire la sicurezza dei cristiani durante il periodo del Natale. Il ministro ha assicurato la protezione della polizia per 62 chiese della capitale. L’incontro si è svolto nell’ufficio del ministro a Dhaka, alla presenza di 25 rappresentanti della Bangladesh Christian Association (Bca). Nirmol Rozario, il presidente, riferisce all'agenzia AsiaNews: “Abbiamo portato al ministro gli auguri da parte di tutta la comunità cristiana gli abbiamo chiesto di schierare la polizia a protezione delle chiese durante la notte di Natale”.

Il governo ha assicurato la protezione delle chiese
Le preoccupazioni dei cristiani nascono dal clima di diffusa intolleranza presente nel Paese contro stranieri, sacerdoti, minoranze religiose cristiana e indù. Rozario aggiunge di aver chiesto al titolare dell’Interno di “assicurare la presenza costante dell’elettricità, in modo che le preghiere e la Messa di Natale non vengano interrotte da cali di corrente”. Da parte sua, il ministro Asaduzzaman Khan Kamal ha garantito maggiori misure di sicurezza su tutto il territorio, sia per la vigilia di Natale che per la notte di Capodanno. Egli ha affermato: “Siamo preoccupati per la difesa dei cristiani. La nostra polizia presidierà tutti gli eventi previsti nelle chiese per il periodo natalizio”.

Sistemi di sicurezza in tutto il Paese
​Nella sola capitale, il ministro ha allertato i controlli per 62 chiese ed ha garantito che in tutto il Paese verranno collocati sistemi di sorveglianza con telecamere a circuito chiuso. Inoltre sarà deviato il traffico attorno ai luoghi di culto cristiani. D’altro canto, il governo ha chiesto ai cristiani di non festeggiare con fuochi d’artificio. In Bangladesh i cristiani sono un’esigua minoranza, circa lo 0,6% su un totale di oltre 160 milioni di abitanti. La comunità più numerosa è quella cattolica, con quasi 600mila fedeli. (S.C.)

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Sisma: anziani, protocollo tra Sant'Egidio e Comune di Amatrice

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Un rafforzamento del tessuto sociale del territorio di Amatrice per favorire la permanenza degli anziani in un contesto abituale di vita o almeno il più vicino possibile agli ambienti familiari perduti. E’ questo l’obiettivo del protocollo d’intesa firmato ieri fra la Comunità di Sant’Egidio e il Comune di Amatrice per sostenere la popolazione anziana della cittadina colpita dal terremoto dello scorso 24 agosto e dalle successive scosse. Sant’Egidio, insieme ad Enel Cuore, si è resa disponibile a realizzare una centrale telefonica e un luogo di incontro destinato agli anziani, con orario di apertura diurno, cercando di coinvolgerli anche in azioni di sostegno a favore di chi, tra di loro, si trova in maggiori difficoltà. Su questo protocollo, Marina Tomarro ha intervistato Olga Madaro della Comunità di Sant’Egidio: 

R. – Il protocollo prevede l’avvio di un programma per il monitoraggio degli anziani che sono rimasti nel territorio, quindi che vivono nelle varie frazioni – anche ad Amatrice – e sostenere gli anziani, che invece sono stati trasferiti in altre strutture, dove si trovano fin dal 24 agosto, cioè dalla prima scossa, nel momento in cui hanno perso tutto: la casa e i loro averi. Questo programma prevede un monitoraggio telefonico, ma anche un centro dove gli anziani possano incontrarsi durante il giorno per stare insieme, soprattutto in questo periodo di freddo; prevede anche il sostegno per fare delle piccole pratiche o visite mediche. Il nostro obiettivo è quello di aiutare, quando poi ci saranno le ‘casette’, a creare quel tessuto sociale di cui gli anziani sono fondamento, essendo la memoria storica.

D. – La popolazione di Amatrice è formata da molti anziani; com’è la situazione in questo momento? Come vivono queste persone?

R. – La maggior parte vive in situazioni precarie perché vive in container, nelle ‘casette’; molti di loro sono voluti rimanere in prossimità dei luoghi nei quali vivevano prima, perché hanno gli animali, le galline e quindi sono rimasti volontariamente lì dove prima avevano la casa.

D. – In che modo è possibile aiutarli?

R. – Attraverso delle visite di sostegno, incoraggiandoli a rimanere lì dove sono, ma aiutandoli rispetto alla precarietà della situazione in cui si trovano attualmente. Tutto questo anche in sinergia con le altre organizzazioni che sono presenti già ad Amatrice e che stanno lavorando da sempre per aiutare la popolazione.

D. – Ha avuto possibilità di parlare con questi anziani? Quali sono le loro esigenze in questo momento? Cosa vorrebbero?

R. – Sentono moltissimo la mancanza di una cittadina, di un paese che non c’è più, dei legami con persone con cui condividevano la vita. Molti di loro hanno avuto anche perdite di familiari, di amici, di persone con cui hanno condiviso un’intera vita. Quindi c’è anche un grosso vuoto da un punto di vista affettivo ma spesso pure materiale. Per esempio, alcuni degli anziani che sono nella Rsa (residenza sanitaria assistenziale) si ritrovano a stare insieme con anziani che vengono dagli stessi paesi e questo li ha aiutati ad affrontare il fatto di non vivere più lì dove vivevano prima. Ma c’è una grande preoccupazione: quella di tornare appunto nei paesi o ad Amatrice dove ci sono tutti i loro ricordi, i loro legami.

D. – Avete organizzato delle iniziative in occasione del Natale?

R. – Noi accompagneremo alcuni degli anziani che sono nella Rsa a un pranzo che è stato organizzato ad Amatrice dalla Protezione Civile e dal sindaco: loro ne sono molto contenti, perché potranno incontrare nuovamente le persone che sono rimaste in zona. Molti di loro non ci sono più tornati, dal giorno del terremoto. Poi, invece, faremo una festa il pomeriggio – nella Rsa di Borbona – con tutti gli anziani, anche insieme ad alcuni familiari che verranno apposta per la festa, per stare insieme ai loro cari.

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Inaugurato il Presepe al Quirinale tra religiosità e tradizione popolare

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Inaugurata la scorsa settimana la mostra “Il Presepe. Religiosità e tradizione popolare” alla presenza del Capo di Stato Mattarella, nella Palazzina Gregoriana del Quirinale, dove è esposto il maestoso Presepe custodito all’interno del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma. Non si tratta di un mero e semplice simbolo delle festività, ma di una vera e propria testimonianza  strettamente connessa con le radici dell’Italia. Le figure che compongono l’opera raffigurano usi e costumi delle regioni italiane, opera di autorevoli maestri napoletani del XVIII e del XIX secolo. Non solo, il Presepe si pone anche come portatore di un discorso di stampo sociale ben preciso. A illustrare la composizione e il suo messaggio il Prof. Leandro Ventura, direttore del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, al microfono di Sabrina Spagnoli

R. – Sicuramente è un’importante testimonianza delle nostre radici culturali, tanto che già nel 1911, quando vennero raccolte le figure presepiali che costituiscono il nucleo del Presepe, sono state raccolte queste figure proprio per questo scopo. In occasione della mostra internazionale che si svolse a Roma nel 1911 per celebrare il cinquantesimo dell’Unità d’Italia, il curatore della mostra etnografica, Lamberto Loria, decise di presentare per Natale un presepio, proprio come espressione dell’unità nazionale. E si scelse appunto il presepe napoletano, perché era il presepio di maggiore tradizione. Vennero raccolte un migliaio di figure presepiali un po’ in tutta Italia sul mercato antiquario; e venne allestito questo presepio che doveva proprio rappresentare l’unità della nazione. Anche come origine storica questo presepio rappresenta l’Unità d’Italia e le tradizioni italiane.

D. – Le raffigurazioni di questo Presepe non si limitano solamente alla nascita di nostro Signore, ma rappresentano anche episodi ben più ampi…

R. – Come tutti i presepi napoletani, ovviamente, questo presepio racconta anche momenti di vita quotidiana: ci sono i vari dettagli un po’ canonici come l’osteria, il banco del lotto, il mercato… C’è anche il porto, la spiaggia con le barche sul fondo; ci sono delle figure che raccontano un contesto molto complesso e articolato che è quello della vita quotidiana. Però la raccolta del Museo delle arti e tradizioni popolari di figure presepiali, presenta anche una particolarità: noi abbiamo anche delle scene che raccontano gli episodi dell’infanzia di Cristo. Quindi sono tutta una serie di episodi legati al ciclo dell’infanzia, narrati sia attraverso i Vangeli canonici sia quelli apocrifi, che ci raccontano quello che è avvenuto prima e subito dopo il momento della Natività: quindi dall’annunciazione fino al Cristo tra i dottori. Quindi è un po’ un racconto ad ampio respiro che va oltre la scena delimitata del presepe.

D. – Qual è il messaggio di quest’opera? C’è comunque un discorso di tipo sociale?

R. – C’è un discorso di tipo sociale che si collega però, anch’esso, ad uno di tipo religioso, sicuramente. Perché è chiaro che il crollo del Paganesimo viene rappresentato dalle rovine del Tempio antico, piuttosto che in una capanna, una stalla o una grotta, all’interno delle quali si colloca la Sacra Famiglia: il nucleo centrale della scena della Natività. Però il discorso sociale riguarda ovviamente tutte le classi sociali, perché alla scena della Natività partecipano tutte le persone che appartengono ad ogni classe sociale della Napoli del 1700: dai popolani ai mendicanti agli aristocratici… Uomini e donne, senza distinzione di classe sociale e anche di appartenenza etnica; perché, tra le figure del Presepio, noi abbiamo figure occidentali ma anche orientali, e abbiamo individuato anche un ebreo. Sono cioè figure che raccontano l’universalità del messaggio di salvezza portato sulla terra dalla nascita di Cristo. 

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Venezuela: Chiesa preoccupata per le violenze ai commercianti

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“La violenza è l’arma di coloro che non hanno ragione”. Così, mons. Ulises Antonio Gutiérrez Reyes, arcivescovo di Ciudad Bolivar, ha voluto commentare, esprimendo forte sdegno per le violenze subite da 450 esercizi commerciali della città nello scorso fine settimana, secondo quanto diffuso dall’agenzia Fides.  

Lotta alla cultura del caos e tanta preoccupazione per il silenzio mediatico
“Siamo in grado di risolvere i nostri conflitti in un quadro civile, pacifico e democratico”, afferma alla Fides l’arcivescovo Reyes, anche se tiene a sottolineare come il Venezuela stia attraversando oggi tempi difficili. Viviamo in una società in cui alla radice si trova il peccato strutturale, che impone quindi sempre la cultura della morte, il caos e la confusione”. Mons. Reyes ribadisce poi di essere gravemente preoccupato per il silenzio mediatico, a livello regionale e nazionale, su questi atti, causati, secondo testimonianze sui social, dalle ultime misure del governo.

Appello del presidente della Camera di Commercio
Il presidente della Camera di Commercio dello stato di Bolivar, nel commentare l’accaduto, afferma: “E' la prima volta nella storia che accade una cosa del genere a Ciudad Bolivar, città che vive di commercio”. Notizia, quella delle barbarie, che colpisce ancor più dal momento che, continua  il Presidente,  l’80% del movimento economico della città è generato dal commercio e non ci sono industrie. (G.A.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 356

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.