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Sommario del 25/12/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Pace per il mondo sofferente. Così il Papa nel Messaggio natalizio

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“Un bambino è nato per noi… E’ il Principe della pace. Accogliamolo”! In questo Santo Natale Papa Francesco, nel Messaggio natalizio con la Benedizione Urbi et Orbi dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietro, ha rivolto stamani ai circa 40 mila pellegrini di tutto il mondo il suo pensiero a quei Paesi colpiti da conflitti e tensioni. Il Pontefice ha invocato il sollievo portato dal Bambino Gesù anche per tutti coloro che soffrono a causa del terrorismo, per i migranti, i rifugiati, i terremotati, per chi è in povertà, nella fame e per i bambini. E nel tweet odierno, lanciato sull’account ‘@Pontifex’, Francesco ribadisce: “Cristo è nato per noi, esultiamo nel giorno della nostra salvezza”. Il servizio di Giancarlo La Vella: 

“Cari fratelli e sorelle, buon Natale!”.

E’ un paterno abbraccio al mondo il messaggio natalizio di Papa Francesco, che guarda alle sofferenze alle quali ancora oggi Dio risponde col suo amore, facendosi uomo nella povertà e nella semplicità del Bambino nato in una mangiatoia. E’ Gesù, il Salvatore.

“Il potere di questo Bambino, Figlio di Dio e di Maria, non è il potere di questo mondo, basato sulla forza e sulla ricchezza; è il potere dell’amore”.

E’ quel potere – afferma Francesco – “che ha creato il mondo, la vita, che perdona le colpe, riconcilia i nemici, trasforma il male in bene. Questo potere dell’amore – continua – è il potere del servizio, che instaura nel mondo il regno di Dio, regno di giustizia e di pace”.

E, proprio con la speranza di pace portata dall’annuncio della nascita di Gesù, il Papa passa in rassegna quei popoli “feriti dalla guerra e da aspri conflitti”, a cominciare dalla Siria. Per la fine della sanguinosa crisi siriana il Santo Padre auspica che “si raggiunga una soluzione negoziale e si ristabilisca la convivenza civile nel Paese”.

"Pace agli uomini e alle donne nella martoriata Siria, dove troppo sangue è stato sparso. Soprattutto nella città di Aleppo, teatro nelle ultime settimane di una delle battaglie più atroci, è quanto mai urgente che, rispettando il diritto umanitario, si garantiscano assistenza e conforto alla stremata popolazione civile, che si trova ancora in una situazione disperata e di grande sofferenza e miseria".

Poi il Papa rivolge un pensiero particolare alla Terra Santa, scelta e prediletta da Dio, perché presto sia risolta la questione israelo-palestinese.

"Israeliani e Palestinesi abbiano il coraggio e la determinazione di scrivere una nuova pagina della storia, in cui odio e vendetta cedano il posto alla volontà di costruire insieme un futuro di reciproca comprensione e armonia".

E ancora, speranze di pace per l’Iraq, la Libia e lo Yemen, dove le popolazioni patiscono la guerra ed efferate azioni terroristiche. Nelle parole del Papa, poi, il dramma della Nigeria:

“...dove il terrorismo fondamentalista sfrutta anche i bambini per perpetrare orrore e morte”.

Francesco chiede il dono della pace pure per il Sud Sudan e la Repubblica Democratica del Congo, perché si risanino le divisioni e si intraprenda “un cammino di sviluppo e di condivisione, preferendo la cultura del dialogo alla logica dello scontro”.

L’abbraccio del Santo Padre va anche all’Ucraina orientale “dove, a causa del conflitto, è urgente una comune volontà nel recare sollievo alla popolazione e dare attuazione agli impegni assunti”.

E, nel lungo elenco dei Paesi alla ricerca della concordia, il Pontefice guarda al “caro popolo colombiano, che ambisce a compiere un nuovo e coraggioso cammino di dialogo e di riconciliazione”, e al Venezuela, “affinché si ponga fine alle attuali tensioni in vista di un avvenire di speranza per tutta la popolazione”.

Poi il Papa guarda all’Asia: al Myanmar, affinché possa raggiungere una situazione di pacifica convivenza, e alla penisola coreana, affinché si superino le tensioni “in un rinnovato spirito di collaborazione”.

Accorato il pensiero di Francesco per chi è stato colpito dal terrorismo, per gli abbandonati e gli esclusi , “quelli che soffrono la fame e le vittime di violenze". Il Papa invoca la pace per i profughi, i migranti e i rifugiati e “quanti oggi sono oggetto della tratta delle persone”. C’è bisogno di pace – afferma – anche per i popoli impoveriti dalle “ambizioni economiche di pochi e dall’avida ingordigia del dio denaro che porta alla schiavitù. Pace a chi è segnato dal disagio sociale ed economico e a chi patisce le conseguenze dei terremoti o di altre catastrofi naturali”. Poi un pensiero all’infanzia ferita e sfruttata.

“Pace ai bambini, in questo giorno speciale in cui Dio si fa bambino, soprattutto a quelli privati delle gioie dell’infanzia a causa della fame, delle guerre e dell’egoismo degli adulti”.

Francesco chiede infine a tutti gli uomini di buona volontà di continuare a “costruire un mondo più umano e più giusto, sostenuti dalla convinzione che solo con la pace c’è la possibilità di un futuro più prospero per tutti”. Un cammino in cui ci illumina la lode al Bambino portatore di fratellanza e concordia.

“Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio: è il 'Principe della pace'. Accogliamolo!".

Infine dopo la benedizione, con la concessione dell’indulgenza plenaria, ancora gli auguri del Papa.

“In questo giorno di gioia siamo tutti chiamati a contemplare il Bambino Gesù, che ridona la speranza ad ogni uomo sulla faccia della terra. Con la sua grazia, diamo voce e diamo corpo a questa speranza, testimoniando la solidarietà e la pace. Buon Natale a tutti!”.

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Papa: mondanità ha preso in ostaggio il Natale, non dimenticare bimbi

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Nella notte di Natale, che è di “gloria, di “gioia” e di “luce”, lasciamoci interpellare dal Bambino Gesù e da tutti quei bambini che oggi giacciono nelle “squallide mangiatoie di dignità”: nei rifugi per scampare ai bombardamenti, sui marciapiedi delle grandi città, sul fondo dei barconi carichi di migranti. Così Papa Francesco, celebrando in Basilica Vaticana la Santa Messa della notte di Natale. L’esortazione del Pontefice è stata a lasciare le illusioni dell’effimero per andare all’essenziale, ritrovando la pace nella semplicità di “Dio-bambino”. Il servizio di Giada Aquilino

Di fronte a una mondanità che “ha preso in ostaggio il Natale”, lasciamoci “interpellare” dal Bambino nella mangiatoia, che è il “segno di sempre” per trovare Gesù. Questa l’esortazione del Papa nella Messa della Notte di Natale, celebrata in San Pietro. Ma Francesco invita pure ad andare oltre:

“Lasciamoci interpellare anche dai bambini che, oggi, non sono adagiati in una culla e accarezzati dall’affetto di una madre e di un padre, ma giacciono nelle squallide ‘mangiatoie di dignità’: nel rifugio sotterraneo per scampare ai bombardamenti, sul marciapiede di una grande città, sul fondo di un barcone sovraccarico di migranti”.

E non solo: il Pontefice spinge a non rimanere indifferenti neppure di fronte ai “bambini che non vengono lasciati nascere” o a “quelli che piangono perché nessuno sazia la loro fame” o “non tengono in mano giocattoli, ma armi”. D’altra parte, spiega, nel Bambino Gesù “che ci è donato” si fa concreto l’amore di Dio “per noi”: il Signore “si fa presente” non tra i “grandi”, ma “nella povertà di una stalla”, non nei “fasti dell’apparenza”, ma nella “semplicità della vita”; non nel potere, ma in una piccolezza “che sorprende”:

“Per incontrarlo bisogna andare lì, dove Egli sta: occorre chinarsi, abbassarsi, farsi piccoli. Il Bambino che nasce ci interpella: ci chiama a lasciare le illusioni dell’effimero per andare all’essenziale, a rinunciare alle nostre insaziabili pretese, ad abbandonare l’insoddisfazione perenne e la tristezza per qualche cosa che sempre ci mancherà. Ci farà bene lasciare queste cose per ritrovare nella semplicità di Dio-bambino la pace, la gioia, il senso luminoso della vita”.

Il mistero del Natale è allo stesso tempo “di speranza e di tristezza”. L’amore, sottolinea il Papa, non è accolto e la vita “viene scartata”: Giuseppe e Maria infatti trovarono le porte chiuse e posero Gesù in una mangiatoia.

“Gesù nasce rifiutato da alcuni e nell’indifferenza dei più. Anche oggi ci può essere la stessa indifferenza, quando Natale diventa una festa dove i protagonisti siamo noi, anziché Lui; quando le luci del commercio gettano nell’ombra la luce di Dio; quando ci affanniamo per i regali e restiamo insensibili a chi è emarginato. Questa mondanità ci ha preso in ostaggio il Natale: bisogna liberarlo”.

Ma a Natale, prosegue il Pontefice, nonostante le “nostre tenebre” la luce di Dio risplende ed è per questo che c’è un sapore di speranza: con una “luce gentile” Dio, “innamorato di noi”, ci attira con la sua tenerezza, “nascendo povero e fragile in mezzo a noi, come uno di noi”:

“Nasce a Betlemme, che significa ‘casa del pane’. Sembra così volerci dire che nasce come pane per noi; viene alla vita per darci la sua vita; viene nel nostro mondo per portarci il suo amore. Non viene a divorare e a comandare, ma a nutrire e servire. Così c’è un filo diretto che collega la mangiatoia e la croce, dove Gesù sarà pane spezzato: è il filo diretto dell’amore che si dona e ci salva, che dà luce alla nostra vita, pace ai nostri cuori”.

A capirlo, in quella notte di oltre duemila anni fa, furono i pastori, “tra gli emarginati di allora”. Ma agli occhi di Dio “nessuno è emarginato”: per questo furono “gli invitati di Natale”. L’invito è allora ad andare da Gesù, “con fiducia”, a partire - dice il Papa - da quello in cui ci sentiamo emarginati, dai nostri limiti, dai nostri peccati.

“Lasciamoci toccare dalla tenerezza che salva. Avviciniamoci a Dio che si fa vicino, fermiamoci a guardare il presepe, immaginiamo la nascita di Gesù: la luce e la pace, la somma povertà e il rifiuto. Entriamo nel vero Natale con i pastori, portiamo a Gesù quello che siamo, le nostre emarginazioni, le nostre ferite non guarite, i nostri peccati”.

Così, in Gesù, assaporeremo il vero spirito del Natale, cioè “la bellezza di essere amati da Dio”: diciamo “semplicemente” grazie perché ha fatto “tutto questo” per noi, conclude Francesco, prima di deporre l’immagine del Bambino Gesù nel presepe della Basilica, posto in una cappella laterale. Ad accompagnare il Papa nella processione, 12 bambini di tutto il mondo, simbolo di quei piccoli a cui Francesco ha voluto dedicare il proprio pensiero natalizio.

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Oggi in Primo Piano



Natale in Terra Santa: Pizzaballa, apriamo porte e troviamoci fratelli

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Proseguono le celebrazioni del Natale in Terra Santa, dopo l’avvio nella giornata di ieri. Nella Basilica della Natività a Betlemme, stamani Santa Messa presieduta dall’amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa. Il servizio di Sara Fornari

Mille e trecento i biglietti della Messa di ieri nella Basilica della Natività, cui hanno partecipato rappresentanze diplomatiche e autorità politiche e dove ha portato il suo saluto il presidente palestinese Mahmoud Abbas. La celebrazione è stata presieduta da mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del patriarcato di Gerusalemme dei latini.

La Basilica nella sua luce calda e accogliente, i canti lieti che si sono alzati al cielo, i fedeli da tutte le nazioni che hanno riempito la Basilica: Messa celebrata accanto alla Grotta della nascita dove alla fine del pontificale di mezzanotte è stato portato in processione il bambinello. È il Natale a Betlemme dove, certo, è più facile aver presente l’evento che parla a ogni uomo, “l'annuncio di una salvezza che attende di essere accolta per realizzarsi”: Mons. Pizzaballa lo ha sottolineato nella sua omelia. “All’indomani del Giubileo della Misericordia, possiamo leggere il Natale come la porta che Dio mantiene aperta per uscire verso l’uomo e invitarlo ad entrare nella comunione con lui”.

Alla porta aperta di Dio, ha spiegato l'amministratore apostolico del Patriarcato di Gerusalemme dei latini, corrispondono le porte degli uomini disponibili a farlo entrare o quelle che si chiudono, come “il cuore di Erode, le case di chi non ha posto per Lui, chi ha i suoi beni da difendere, le sue idee da imporre”.

La porta aperta è un invito alla nostra libertà ad aprire le porte a Cristo per rendere “possibile o impossibile la pace che attendiamo, l'incontro che salva”. L’arcivescovo ricorda come “speranze di pace troppo spesso deluse, violenze e attentati ricorrenti” ci spingono “a trincerarci, a blindare le porte, a fuggire lontano piuttosto che restare, resistendo nella fiducia e nella speranza”. 

Ma le porte chiuse, i confini difesi, ha notato il pastore alla guida del Patriarcato latino, “sono una metafora della paura che genera le dinamiche violente del momento presente”. “Le nostre speranze, qui come in troppi Paesi del mondo, naufragano in mezzo alla corruzione, all'impero del denaro, alla violenza settaria in Siria, Iraq, Egitto, Giordania. Ma anche nella nostra Terra Santa continua a salire la sete di giustizia e dignità, di verità e amore vero. Continuiamo, infatti, a rifiutarci e a negarci vicendevolmente”, dice poi mons. Pizzaballa, descrivendo una “psicologia del nemico” che si trasforma in ideologia, genera uno stile di vita aggressivo, un modo conflittuale di porsi di fronte agli altri, senza speranza per il futuro. “Dalle porte di casa fino ai confini degli Stati, è tutto un chiudersi nella paura e nella diffidenza, nell’esclusione e nella guerra. Ci sentiamo tutti esclusi, bloccati, separati”.

Il Natale, invece, racconta di una gioia e di una pace che giungono se apriremo le porte; se condivideremo la buona volontà di Dio che apre anziché chiudere, dona anziché prendere, perdona anziché vendicarsi. In questo modo, “possiamo passare dalla ideologia del nemico alla logica della fraternità, mossi da un Dio che ha avuto fiducia nell’uomo prima ancora che noi avessimo fiducia in Lui”. “Usciremo dalle nostre chiusure, andremo incontro a Colui che ci chiama?”, prosegue mons. Pizzaballa. O resteremo chiusi per “conservare il nostro potere, difendere i nostri interessi, pronti anche a escludere l’altro? Ci affideremo ancora alle nostre strategie politiche o militari dal corto respiro”?

La risposta è nelle nostre scelte libere e responsabili, ha ammonito il pastore, esortando: “Mentre guardiamo a Cristo bambino, Porta aperta del Padre che nessun rifiuto può chiudere, si riaccende la fiducia e si rianima la speranza e ancora cantiamo: Tu sei la nostra speranza: non saremo delusi”!

Su questo Natale a Betlemme, Giada Aquilino ha intervistato proprio mons. Pierbattista Pizzaballa, che quest’anno ha presieduto le celebrazioni per la prima volta da amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme: 

R. - Innanzitutto, è un Natale pieno di gente, di tanti pellegrini da tutto il mondo e questo ci fa molto piacere. Soltanto nel Campo dei pastori, nella notte, ci sono stati oltre 80 gruppi, 80 Messe cattoliche, più altrettante protestanti nei diversi altari, nelle diverse cappelle: è il segno che sono tornati i pellegrini e di questo siamo contenti. Vogliamo per un po’ mettere da parte i problemi, diventare come i bambini e gioire insieme a loro.

D. - La situazione dei cristiani qual è in Terra Santa, ma anche in Paesi quali la Siria, l’Iraq, l’Egitto?

R. – Se confrontiamo i cristiani d’Israele e di Palestina con quelli di Siria, Egitto e Iraq non abbiamo il diritto di lamentarci, perché le tragedie che stanno vivendo quei Paesi sono molto lontane dal nostro contesto. Naturalmente, anche qui ci sono problemi, come quello del rifiuto di parlarsi tra israeliani e palestinesi o del muro che divide molte famiglie. Insomma, situazioni sociali purtroppo note e che non trovano soluzione né prospettiva.

D. - A Betlemme l’entrata solenne, per la prima volta, da amministratore apostolico del Partiarcato latino di Gerusalemme, poi la Santa Messa di Natale. Che messaggio vuole trasmettere?

R. - Natale dev’essere cercato. L’Angelo dice ai pastori: “Andate, vi annuncio una grande gioia: è nato il Salvatore”. Ma non finisce tutto lì: bisogna andare a cercarlo il Salvatore e non dobbiamo attendere che la salvezza venga dall’alto, stando seduti in casa nostra, bisogna uscire dalle nostre certezze, dai nostri confini, dal nostro mondo per incontrare l’altro e lì trovare la salvezza, il Salvatore.

D. - Qualche giorno fa lei ha esortato a rinnovare la nostra fede in Dio dal volto “apparentemente debole”, appunto quello del Bambino Gesù. Quali sono le sue speranze?

R. - Le mie speranze sono che guardando quel Bambino e guardando la sua fragilità, dove tutti ci ritroviamo, possiamo ritrovarci fratelli anche qui, in Terra Santa, e smettere di negarci l’un l’altro.

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Natale in Siria. Card. Zenari: "I bambini i più sofferenti"

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"Il Natale in Siria al sesto anno di guerra, appare oggi come il primo Natale dei cristiani". Così, al microfono di Giancarlo La Vella, il nunzio apostolico a Damasco, il cardinale Mario Zenari, si sofferma sul dramma vissuto dalla popolazione, soprattutto dai bambini, immersa in tanta violenza: 

R. – Natale è la festa di Gesù Bambino, è la festa della Santa Famiglia e il pensiero va immediatamente ai bambini della Siria, quelli più provati, e alle famiglie siriane; ma occorre dire che in generale i bambini sono quelli che hanno pagato le conseguenze più gravi di questi quasi sei anni di terribile guerra. Le ultime immagini ce li hanno fatti vedere al freddo, sfollati, con le famiglie o senza genitori, a volte denutriti. Pensiamo a quanti sono rimasti traumatizzati, alle migliaia morti sotto le macerie o colpiti da pallottole, alcuni feriti, alcuni anche mutilati. Possiamo dire che questa guerra è stata una strage degli innocenti …

D. – Una guerra che rischia di disgregare il tessuto sociale siriano, a partire dalla famiglia: anche questo è, purtroppo, uno degli aspetti di questo Natale…

R. – Natale ci fa pensare alle famiglie, alla Santa Famiglia di Nazareth, alla povertà della Grotta di Betlemme, al viaggio di Maria e Giuseppe. Quante famiglie vediamo sfollate, senza casa, senza lavoro, famiglie disgregate perché magari il papà è morto o perché è dovuto emigrare. Direi, quindi, che la festa del Natale ci fa meditare sulla sorte di tanti bambini e di tante famiglie che hanno sofferto o che stanno soffrendo…

D. – A queste persone sofferenti riesce ad arrivare la solidarietà della comunità internazionale?

R. – Si ripete quello che accadde alla nascita di Gesù: allora c’era indifferenza e anche oggi c’è molta indifferenza, però allora ci fu la solidarietà di gente umile come i pastori, credo che non si debba quindi dimenticare la solidarietà di tanta gente verso le persone così colpite da questo terribile conflitto. Più di 13 milioni di persone hanno bisogno di aiuti, lo sforzo della comunità internazionale, anche se ha fallito sul piano politico, è presente e cerca di fare arrivare gli aiuti; ci sono poi tante organizzazioni umanitarie internazionali. Vorrei anche dedicare un pensiero ai tanti volontari che lavorano in queste organizzazioni umanitarie, si calcola che siano oltre mille i volontari che hanno perso la vita…

D. – Nonostante il conflitto, sono visibili i segni di questo Natale nelle comunità cristiane?

R. – Le comunità cristiane, come sempre, celebrano con un clima di festa: ci sono delle corali, ci sono i presepi e dove c’è la possibilità di avere la corrente elettrica si cerca di mettere delle luci e l’albero. Naturalmente le celebrazioni si tengono in orari convenienti per la gente, come le cinque del pomeriggio. Vorrei anche dire che alcune comunità, per esempio ad Aleppo, non possono utilizzare le chiese o le cattedrali perché in questi ultimi anni sono state semidistrutte o distrutte completamente. Direi che quello che più ha colpito le comunità cristiane, se c’è una nota di sofferenza, è proprio il fatto che non possono celebrare nelle loro chiese, nelle loro cattedrali. La ferita più grave è l’emigrazione e questa si vede, si tocca con mano, andando nelle nostre chiese si notano dei vuoti, soprattutto tra le file dei giovani. Ed è una ferita che pesa molto su queste chiese.

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Natale in India. P. Torriani, condivisione e dialogo con tutti

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"Condivisione e dialogo con tutti e tra le diverse religioni: è questa la chiave della festa nella nostra comunità di Mumbai": così racconta il Natale padre Carlo Torriani, missionario del Pime che opera tra i lebbrosi e gli ultimi della società. L'intervista è di Gabriella Ceraso

R. – È vacanza in tutta l’India, il Natale e il Venerdì Santo sono le due feste cristiane che si celebrano in tutto il Paese. È un momento di incontro. Anche da noi per esempio, nel nostro ashram, vengono famiglie indù, offrono il pranzo a tutta la comunità indù e anche a quelle delle altre religioni: giainisti, buddisti...

D. – Il vostro è un Natale soprattutto tra i lebbrosi, piccoli e adulti: cosa fate? Come lo trascorrete?

R. – Con i bambini. Vestiamo qualcuno da Santa Claus, facciamo il presepe, generalmente nel refettorio, dove vengono tutti. Abbiamo una cappella con i simboli di dodici religioni e ogni giorno recitiamo la preghiera di una religione differente.

D. – Qual è il senso che la gente dà, che la vostra comunità dà, a questo momento?

R. – La comunità ha l’idea di condivisione, un momento in cui, se Dio è venuto a condividere la nostra vita, anche noi dobbiamo essere pronti a condividere tra di noi: questo è il messaggio della festa del Natale.

D. – Qual è il suo augurio per questo Santo Natale, per la gente con cui lei vive la maggior parte del suo tempo?

R. – Il mio augurio è quello della condivisione. Come dico sempre, Gesù è venuto a condividere la nostra vita, allora dobbiamo anche noi condividere, con le persone che sono ammalate o povere: dobbiamo cercare di condividere la nostra vita.

D. – Quest’anno Madre Teresa di Calcutta è diventata Santa, ne è nato un dono speciale per l’India, secondo lei?

R. – È popolarissima in India. La figura di Madre Teresa viene portata in giro anche da chi non è cristiano. È stato molto ben accettato da tutta l’India il fatto che sia stata proclamata Santa. Se Madre Teresa è stata capace di uscire dal convento per condividere la sua vita con i poveri, dobbiamo anche noi essere capaci di uscire dal nostro ambiente, dalla nostra sicurezza, per condividere la vita dei poveri. E in India ce ne sono ancora moltissimi.

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P. Gallego: in Colombia il Natale rafforza le speranze di pace

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Pace e dialogo: è quanto sognano in questo Natale le popolazioni dell'America Latina, specie i colombiani, che quest'anno vedono realizzarsi una speranza maturata in oltre 50 anni di guerra. La firma dell'accordo tra governo e guerriglieri delle Farc e il premio Nobel per la pace assegnato al presidente Santos, segnano sicuramente una svolta in cui tutti sono chiamati a dare il proprio contributo. E' quanto racconta padre William Gallego, sacerdote della diocesi di Quibdò, in Colombia, al microfono di Gabriella Ceraso

R. – Diciamo che come sempre il Natale porta la speranza: è Gesù che ci aiuta ad accendere anche quelle luci che, alle volte, sembrano spente. Abbiamo vissuto un anno molto difficile, un anno anche molto travagliato soprattutto riguardo ai dialoghi dell’Avana e poi con il referendum. Ora vogliamo riaccendere di nuovo la speranza della pace. Il Papa ci è stato molto vicino in questo processo di pace, ci ha sempre rivolto parole che ci incoraggiano ad andare avanti, i bambini si sentono in prima fila come strumenti di questa pace ed hanno nel cuore la voglia di pace.

D. – Nella vostra comunità il Natale come si prepara? Come si vive? Quali sono le cose che lo contraddistinguono?

R. – Noi celebriamo il Natale cominciando con la Novena, poi visitiamo tutti i quartieri che appartengono alla parrocchia e la gente del posto prepara qualcosa da mangiare ai bambini, i dolci tradizionali, e tutti partecipano a questa festa.

D. – Il Natale è anche, forse, il momento in cui affidare a Dio le speranze per il futuro. Cosa sognate?

R. – Tutti sogniamo la pace! Tutti! Noi diciamo sempre che la pace comincia da ciascuno di noi, dal nostro cuore, dalle nostre famiglie. Ogni colombiano ha questo desiderio: che non sia soltanto un sogno, ma una realtà in cui tutti possiamo vivere come figli di Dio, ciascuno con la propria cultura, le proprie diversità.

D. – Qual è il suo augurio?

R. – Penso che l’augurio che tutti noi possiamo fare è che ciascuno capisca che deve essere strumento di questa pace, come diceva San Francesco.

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Natale in Centrafrica: p. Gazzera, clima più sereno ma ancora violenze

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Una guerra tra poveri, sempre più lontana dal palcoscenico mondiale: è quella che si consuma nel Centrafrica, tuttora terreno di scontri e violenza, soprattutto dopo l’abbandono dei 2 mila soldati francesi al termine dell’operazione militare “Sangaris”, avviata nel 2013 dalla Francia. Sono almeno 90 le persone rimaste uccise, nelle scorse settimane, nei combattimenti che hanno colpito la città di Bria, nella parte centro orientale del territorio. Due mesi fa, era ottobre, il massacro in un campo per sfollati nella parte settentrionale di Kaga-Bandoro. Almeno 37 le vittime per vendetta da parte di miliziani per l’uccisione di quattro musulmani. Nonostante il clima di tensione, si pensa al Natale, sicuramente più dimesso rispetto al resto del mondo, ma certamente evento di grande serenità e gioia nel ricordo della visita di Papa Francesco nel novembre 2015, con l'apertura della Porta Santa per il Giubileo della Misericordia. A raccontare il Natale in Centrafrica e l’attuale situazione nel Paese è padre Aurelio Gazzera, carmelitano missionario in Repubblica Centrafricana, intervistato da Sabrina Spagnoli

R. – Il Natale in Centrafrica è molto più semplice che nel resto del mondo. Il Natale in genere è vissuto con qualche decorazione nelle chiese, con i presepi che sono abbastanza comuni un po’ ovunque, c'è soprattutto questa atmosfera un po’ più serena, più concentrata sul mistero del dono della nascita di Gesù e di questo Dio che si incarna, che comunque è sempre una sorpresa per tutti.

D. – Qual è attualmente la situazione? Cosa sta accadendo?

R. – La situazione è sempre piuttosto tesa. La visita del Papa, l’anno scorso, ha fatto molto, però c’è ancora molto da fare. Ci sono ancora tre quarti del Paese praticamente in mano ai ribelli, ai movimenti armati, il resto fatica ad andare avanti, anche perché molto del commercio e dell’economia è andato distrutto durante la guerra.

D. – Quali, ancora oggi, le cause che provocano scontri e colpi di Stato?

R. – Sono parecchie. Intanto, ci sono gli interessi di vari Paesi. Ci sono poi tensioni anche a livello di religione, quindi con alcuni Paesi del Golfo Arabo, ad esempio, che spingono per una maggiore presenza musulmana che nel Paese è sempre stata abbastanza ridotta, intorno al 10% e che però, in questi ultimi tre anni, si è fatta più battagliera, creando anche problemi, nonostante poi la maggioranza delle popolazioni cristiana e musulmana abbia sempre convissuto abbastanza bene.

D. – Quanto ha contato la visita di Papa Francesco per avviare il processo di rifiuto della violenza?

R. – La sua visita è stata uno "shock salutare" un po’ per tutti, ha permesso di capire che si poteva far fronte alla tensione in un altro modo, con maggiore apertura per creare ponti e cercare di costruire luoghi dove incontrarsi e dove discutere. Concretamente, quello che di positivo è successo dalla visita del Papa è che le tensioni e le violenze, pure se ci sono ancora, sono molto limitate soprattutto nel tempo, per cui non c’è più quella escalation che c’era prima che Francesco arrivasse.

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Terremoto. Cittareale, don Fabio: Natale indimenticabile tra la gente

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E' un Natale diverso, lontano dalle famiglie e dai luoghi più cari, tra le macerie, per tutti coloro che nel centro Italia sono stati colpiti dal terremoto di agosto e di ottobre. A mantenere unita la comunità, anche in queste feste, ci sono i sacerdoti, come don Fabio Gammarota, parroco di Cittareale e Posta, in provincia di Rieti. Gabriella Ceraso ha raccolto la sua testimonianza: 

R. –  Questo, per noi ad Amatrice, Cittareale, Posta, Borbona, Norcia, è un Natale che certamente non dimenticheremo. È un Natale dove la riflessione si impone, sul senso e sulla qualità dell’esistenza e della vita, che fa dare importanza all’oggi, a ciò che siamo, non badando minimamente alla forma. La sostanza è l'insegnamento del terremoto: insegna a essere uomini e donne di sostanza, diretti. È il Natale della concretezza.

D. – Lei, come altri parroci, è stato in questo percorso al fianco alla gente fino al giorno di Natale. Siete riusciti a creare anche una preparazione con le persone così sbandate, divise, impaurite?

R. – La presenza sacerdotale è sostanzialmente una presenza data dall’"esserci" e dal condividere la medesima condizione disastrata di vita e, credetemi, lo è. Il sottoscritto sta in un camper, l’altra notte faceva meno 13°. All'esserci non c'è preparazione. Perché le comunità sono fortemente decentrate, sono difficilmente raggiungibili, diciamo anche che forse, da parte di alcuni, non c’è neanche più di tanto la volontà di essere raggiunti.

D. – Il Natale dovrebbe essere un momento di gioia, in famiglia, di unità. Come si può, in assenza di queste cose, non farsi prendere dallo sconforto?

R. – Laddove non arriva l’uomo, arriva Dio. Laddove le nostre realtà non giungono a vedere esiti positivi, si auspica che Dio provveda in qualche modo. Siamo nelle sue mani e ricordiamo di essere semplicemente, oggi più che mai, servi inutili, importanti, ma non essenziali, operatori che sono preposti al servizio a favore della vita. Questa è l’unica speranza.

D. – Noi la immaginiamo con i suoi fedeli, sotto una tenda, questo Natale, a Cittareale, assieme a tutte le persone che vi hanno sempre aiutato, in primo luogo i Vigili del Fuoco. E vi immaginiamo così, comunque riuniti in preghiera…

R. – Alla ricerca di essere consolati dallo sguardo di quel Bambino, quel Gesù che ha condiviso con noi tutto il cammino. E non siamo certamente noi a trovare Lui, ma è Lui che cerca noi.

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A Matera, la più grande rappresentazione della Natività al mondo

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Fino al 7 gennaio a Matera si svolge la più grande rappresentazione della Natività al mondo. Nella suggestiva cornice dei Sassi, 400 volontari, dei quali 150 figuranti, danno vita a ‘Dies Natalis’, un evento straordinario costellato di giochi di luci, quadri plastici, degustazioni e mercatini natalizi. Ad arricchire il presepe, la presenza di migranti di altre nazionalità ed i costumi realizzati dalle detenute del carcere di Lecce. Federico Piana ne ha parlato con Claudio Paternò, curatore dell’iniziativa: 

R. – Per la partenza del presepe, abbiamo realizzato un video-mapping, che è una sorta di pre-show che introduce il visitatore ai temi narranti del presepe; quindi raccontiamo in questo momento fantastico di proiezione, sulla chiesa di San Pietro Caveoso di Matera, gli elementi che anticipano la grande narrazione del “Dies Natalis”; dopo di questo si entra, attraversando una porta: c’è sempre la presenza di un angelo che accompagna il visitatore in tutte le tappe del percorso. Attraverso cinque stazioni ci sono cinque momenti che, appunto, raccontano questa grande narrazione biblica dell’evento natalizio. Alla fine del percorso, poi, abbiamo voluto rendere un omaggio a San Francesco riproponendo il presepe classico, quello che siamo abituati a conoscere. Durante il percorso, invece, oltre a queste cinque stazioni, ci sono i nostri volontari figuranti in costume ed una voce narrante che accompagna e spiega i momenti salienti della narrazione biblica del Natale.

D. – Ci sono anche dei migranti in questo percorso…

R. – Sì. Non è una semplice rappresentazione: abbiamo riempito questo presepe di significati, di simboli. Tra questi ci sono i migranti, sempre presenti nelle preghiere di Papa Francesco. Abbiamo voluto che questo presepe fosse un presepe teso ad integrare, teso a dare messaggi positivi: quindi abbiamo non solo i tanti migranti che hanno voluto dare la propria disponibilità come volontari a partecipare a questo grande progetto, ma – ad esempio – mi piace ricordare anche che tanti costumi sono stati realizzati dalle detenute del carcere di Lecce. Per noi è un momento importante di inclusione, di messaggi positivi: il Natale non può essere semplicemente una festa, ma vuole essere anche un momento in cui i buoni propositi diventano azioni concrete.

D. – Sono previste poi delle degustazioni?

R. – Certamente! Appunto, ricordiamo che comunque è una festa, quindi durante il percorso l’Associazione dei cuochi della Basilicata offre una degustazione dei piatti tipici della nostra terra. E’ un momento non solo per interrompere il percorso, ma anche conviviale, un momento in cui si sente il clima della festa: non solo spettacolarità, non solo contenuti, pure momenti per vivere in maniera felice questo evento.

D. – Presenti inoltre percorsi per disabili sensoriali e ipovedenti: questo aiuta molto perché magari molte persone che non hanno la possibilità possono venire a Matera e “gustare” questo presepe importante…

R. – Sì: voglio ringraziare tutti i volontari e le associazioni che ci stanno dando una mano, che hanno dato la loro disponibilità a rendere possibile vivere questo momento di festa anche per quelle persone che hanno maggiori difficoltà a farlo. Nel caso specifico, il sasso caveoso in particolare è un ambiente bellissimo, straordinario ma non propriamente accessibile; queste associazioni di volontari rendono possibile anche a persone ipovedenti o non vedenti percorrere tutto il presepe e quindi “gustare” questo momento.

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Aereo militare russo precipita nel Mar Nero: 92 persone a bordo

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Un aereo militare russo è precipitato nel Mar Nero, poco dopo il decollo da Sochi. Era in volo verso la provincia siriana di Latakia. A bordo del Tupolev-154 c’erano 92 persone: 8 membri dell'equipaggio e 84 passeggeri, tra cui anche i componenti del Coro dell'Esercito russo, nato dalle ceneri del Coro dell'Armata rossa, composto da circa 50 persone. Negli elenchi, risultano pure 9 giornalisti. Il ministero della Difesa di Mosca ha fatto sapere che nella zona dov'è caduto in acqua il velivolo "non ci sono segni di sopravvissuti".

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Uruguay. Card. Sturla Berhouet: il Natale scuota le coscienze

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Un Natale che “scuota le coscienze e l’indifferenza”: questo il messaggio natalizio dell’arcivescovo di Montevideo, in Uruguay, cardinale Fernando Sturla Berhouet che si è rivolto non solo ai cattolici del Paese, ma a tutta la popolazione. Un’occasione che sia di “dialogo tra credenti e non credenti, alle sfide che la realtà ci pone in un Paese cui vogliamo così bene”, sono le sue parole riportate dall’agenzia Fides e riferite soprattutto al dramma della povertà infantile.

Il dramma della povertà infantile nel Paese
In Uruguay un bambino su 5 nasce sotto il livello di povertà, “una tragedia per il presente e per il futuro”, l’ha definita il porporato, che precisa: “Un bambino che non mangia bene nei primi anni di crescita non sviluppa bene il cervello, così come la malnutrizione che poi non si recupera”.

La campagna della “Balconera”
A questo proposito l’arcivescovo ha citato la campagna “Natale con Gesù, dimostralo con una Balconera” (bandiera di stoffa con la scena del presepio NdR). “All’inizio non sapevamo se prepararne tremila o cinquemila - ha detto il cardinale - ma alla fine ne sono state richieste 28 mila e ancora la campagna non è finita”. L’iniziativa consiste nell’esporre una balconera sulla finestra di casa per mostrare pubblicamente che si celebra il Natale cristiano. “Dopo tanto tempo che è stato messo in un angolo come festività religiosa ed era diventato essenzialmente una festa laica e commerciale - ha concluso il porporato - si torna a vivere il Vangelo come la comunicazione di una Buona Notizia”. (R.B.)

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Nepal. Si celebra il Natale nonostante alcune limitazioni

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Una celebrazione natalizia di massa, quella di oggi a Kathmandu, in Nepal, dove da 8 anni - cioè da quando la Costituzione ha proclamato la natura laica dello Stato - ai cristiani è consentito celebrare la festa che ricorda la nascita di Gesù. Restano, tuttavia, alcune limitazioni, come racconta ad AsiaNews il parroco della cattedrale dell’Assunzione, padre Ignatius Rai: “È stata una vittoria di tutte le minoranze, ma nella pratica esigiamo più rispetto e più uguaglianza”.

Il Natale festeggiato anche dai non cristiani
Oggi nel Paese il Natale non è festeggiato solo dai cristiani, ma anche da appartenenti a diverse fedi religiose che lo riconoscono come appartenente alla propria cultura. “Siamo felici per la decisione della Corte di liberare gli otto cristiani accusati di conversioni forzate - ha affermato P. Gahatrai, segretario generale della Federazione cristiana - ancora oggi subiamo alcune discriminazioni come il provvedimento del governo che ha cancellato il Natale dal calendario delle feste nazionali”. (R.B.)

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Bangladesh. Evento interreligioso in occasione del Natale

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Un eccezionale scambio di auguri, questo Natale, si svolge a Dhaka, la capitale del Bangladesh. Come riferisce AsiaNews, protagonisti di questo evento nell’auditorium Krishbid Institution sono 1500 tra cristiani – in maggioranza cattolici – musulmani, indù e buddisti, alla presenza del primo ministro Sheikh Hasina e del neocardinale Patrick D’Rozario, primo prelato bengalese a prendere la porpora.

Il card. D’Rozario: sì alla libertà di culto
“Coloro che credono davvero nella religione hanno fiducia e confidano in loro stessi, non prenderanno mai misure ingiuste – è stato il discorso della premier – chi invece solo pretende di praticare la religione, crea conflitto tra le fedi”. Dal canto suo, il cardinale D’Rozario ha ringraziato il primo ministro “per la sua sincerità”. “Noi vogliamo essere liberi di praticare la religione e lavorare in questo Paese per il popolo, con il sostegno del governo”. Infine è intervenuto anche il ministro per gli Affari religiosi, Motiur Rahman, che ha lodato la Chiesa cattolica “per il ruolo determinante che svolge nello sviluppo dell’educazione e della situazione socioeconomica nel Paese”. (R.B.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 360

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.