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Sommario del 28/12/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa all'udienza generale: anche lamentarsi con Dio è pregare

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Sperare sempre in Dio, non temere di lamentarsi con Lui e “non avere paura di vedere la realtà per quello che è”: così il Papa nella catechesi all’ultima udienza generale dell'anno, stamane nell’Aula Paolo VI in Vaticano, affrontando il tema della speranza cristiana. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Papa Francesco si è soffermato sulla figura di Abramo, “padre nella fede e nella speranza”, che anziano e con una moglie sterile seppe credere a Dio che gli prometteva un figlio. La sua fede “si apre a una speranza in apparenza irragionevole”:

“E' la capacità di andare al di là dei ragionamenti umani, della saggezza e della prudenza del mondo, al di là di ciò che è normalmente ritenuto buonsenso, per credere nell’impossibile".

La speranza "apre nuovi orizzonti”:

“Rende capaci di sognare ciò che non è neppure immaginabile. La speranza fa entrare nel buio di un futuro incerto per camminare nella luce”.

Ma è "un cammino difficile”, ha ricordato il Papa; viene anche per Abramo il momento dello sconforto, “si sente solo, è vecchio e stanco” e si lamenta con Dio di morire senza una discendenza, “quasi non avesse tenuto fede alla sua parola”:

“Eppure, già questo suo lamentarsi è una forma di fede, è una preghiera!".

Questo impariamo da Abramo:

"Delle volte io sento, quando confesso: 'Eh, mi sono lamentato con il Signore …”. Ed io rispondo: ‘Ma no! Lamentati, Lui è Padre!’. E questo è un modo di pregare: lamentati con il Signore, questo è buono".

Nonostante tutto Abramo continua a credere in Dio e "a sperare che qualcosa potrebbe accadere”. Altrimenti perché “lagnarsi con Lui, richiamarlo alle sue promesse?":

“La fede non è solo silenzio che tutto accetta senza replicare, la speranza non è certezza che ti mette al sicuro dal dubbio e dalla perplessità. Ma tante volte, la speranza è buio; ma è lì, la speranza … che ti porta avanti".  

Fede "è anche lottare con Dio”:

“Mostrargli la nostra amarezza, senza 'pie' finzioni. 'Mi sono arrabbiato con Dio e gli detto questo, questo, questo …'. Ma Lui è Padre, Lui ti ha capito: vai in pace, eh!".

Bisogna “avere questo coraggio!, ha sollecitato Francesco:

“E speranza è anche non avere paura di vedere la realtà per quello che è e accettarne le contraddizioni".

Questo è "il cammino della speranza che ognuno di noi deve percorrere”:

“La speranza non delude”. 

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Papa: il Natale è la festa della speranza perché Dio si fida di noi

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Al termine della catechesi il Papa ha salutato i pellegrini presenti in Aula Paolo VI e ha rivolto loro i suoi auguri di Natale e di felice anno nuovo. Ce ne parla Sergio Centofanti:

 

Sono giunti da tutto il mondo per incontrare il Papa per l'ultima udienza generale dell'anno: America Latina, Stati Uniti, Europa, Medio Oriente, alcuni fedeli vengono anche dal Bangladesh. Francesco augura a tutti “di custodire la gioia del Natale, incontrando nella preghiera il Salvatore che desidera farsi vicino" a ciascuno di noi:

“Questa è la nostra speranza natalizia: è nato per noi Gesù Cristo, il Salvatore, il Dio con noi; perciò non abbiamo paura dell’avvenire. Andiamo incontro al futuro, in comunione con Cristo!”.

In Gesù Bambino – afferma il Papa – ci è rivelato “il volto tenero e misericordioso del Padre Celeste” che vuole riempirci di “ogni consolazione e ogni grazia” perché noi le trasmettiamo a tutti:

“Il Natale di Gesù è la festa della fiducia e della speranza perché Dio è con noi e si fida ancora di noi! Portiamo allora ai nostri fratelli la bella buona notizia che siamo amati immensamente e singolarmente da Dio, e irradiamo intorno a noi la gioia e la pace che quest’amore ci dà!”.

Il Papa ringrazia per gli auguri ricevuti e per le preghiere per il suo ministero, invoca la pace per il mondo intero. Quindi saluta gli artisti del Golden Circus di Liana Orfei che si esibiscono davanti a un Pontefice divertito e sorridente e tra gli applausi di tutti. “La bellezza  - afferma Francesco - sempre ci avvicina a Dio”. Poi rivolge il suo saluto ai fedeli di Sant’Andrea delle Fratte in Roma, venuti con l’effigie della Madonna della Medaglia Miracolosa, che verrà esposta nella Basilica di San Pietro. Infine, saluta gli sposi novelli:

“Io li chiamo i coraggiosi, perché ci vuole coraggio per sposarsi e farlo e per tutta la vita: bravi!  … Esorto voi, cari coraggiosi, a mantenere costanti, nel costruire la vostra famiglia, l’amore e la dedizione oltre ogni sacrificio, e non finire la giornata senza fare la pace  fra voi”.

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I fedeli all'udienza generale: più unità nella Chiesa e pace nel mondo

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La speranza cristiana è stato il tema dell’udienza generale di oggi, l’ultima del 2016. Un’occasione per riflettere sulle parole del Papa in vista dell’imminente nuovo anno e di pregare per la Chiesa e per il mondo. Ascoltiamo le voci di alcuni fedeli presenti in Aula Paolo VI, raccolte da Michele Raviart

R. - Tante volte anche noi perdiamo la speranza, vediamo sempre tutto nero, invece il Papa ci ha detto che non dobbiamo mai perdere la speranza.

R. - A noi che siamo una coppia giovane, sposata da poco, ha dato una speranza in più in questo tempo difficile dove non ci sono più certezze, il lavoro non è sicuro. Ci ha detto: “Siete coraggiosi, voi giovani sposi che siete qui davanti. Intraprendete questo lungo viaggio che è il matrimonio”. Ci ha dato un coraggio maggiore per intraprendere quelle che sono le difficoltà della vita.

R. - Sono parole di pace e di tranquillità che naturalmente speriamo portino serenità alle famiglie.

R. – Mi ha dato una carica in più per andare avanti, per lottare, per non arrendermi alle prime difficoltà, ma di vedere qualcos’altro, di cercare sempre, perché c’è sempre la possibilità di trovare qualcosa di buono anche dove non c’è, anche nel buio. La speranza non deve mai morire.

D. - Quali sono le sue speranze per la Chiesa nel 2017? Oggi era l’ultima udienza generale dell’anno …

R. - Personalmente vorrei vivere uno spirito di maggiore unità, di comprensione tra noi cristiani. Estendo poi questo desiderio a tutto il mondo. Questo è più difficile. Però, contro ogni speranza, come ha detto il Santo Padre, dobbiamo anche credere che questo sia possibile.

R. - Che Dio illumini tutti i cristiani e non solo, che li aiuti a cercare una soluzione per la pace per tutti.

R. - Speriamo in bene. La pace, la pace, la pace per tutto il mondo!

R. - Di sicuro come si sta comportando la Chiesa, da fedele sono molto felice, perché Papa Francesco sta aprendo le porte a tutti.

D. – Cosa l’ha colpita del Papa quest’anno?

R. - Tutte le cose positive che ha fatto. Ti sconvolge veramente e ti cambia la vita. Per me è diventata una vita positiva. La fede ti entra realmente dentro.

R. - La semplicità, il fatto di sperare nonostante ci troviamo in un momento molto difficile e la voglia di continuare nella speranza. É una cosa importantissima, profonda, emozionante, parole forti, toccanti.

R. - L’umiltà, il sorriso, il sapersi divertire e stare insieme a tutti quanti senza vedere le differenze tra le persone.

R. - Sicuramente un Papa buono e generoso. Penso che comunque sia quello che serve in questo momento.

R. - Mi ha colpito molto quando ho visto quell’uomo, tra la gente, che ha abbracciato il Papa e gli ha raccontato il suo dolore. Il Papa, anche se era la prima volta che lo vedeva, lo ha accolto come un padre.

R. - Come sempre mi colpisce l’immediatezza del Papa, la sua semplicità sia nella parola che nei gesti.

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Il card. Ryłko è il nuovo arciprete della Basilica di S. Maria Maggiore

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Papa Francesco ha accolto la rinuncia, presentata dal cardinale Santos Abril y Castelló, dall'incarico di arciprete e amministratore della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore e ha chiamato a succedergli il cardinale Stanisław Ryłko, presidente emerito del Pontificio Consiglio per i Laici.

Il cardinale Ryłko, 71 anni, polacco, era dal 4 ottobre 2003 presidente del Pontificio Consiglio per i Laici. Il cardinale Santos Abril y Castelló, 81 anni, spagnolo, era stato nominato arciprete della Basilica di Santa Maria Maggiore il 21 novembre 2011.

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Nomine in Brasile, Camerun e Stati Uniti

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Per le altre nomine odierne del Papa consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Il Papa invia 6 milioni di euro per la crisi umanitaria in Ucraina

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Di fronte alla crisi umanitaria in Ucraina, che dall’inizio del conflitto, nel 2014, ha visto 9.758 morti e oltre 22 mila feriti, il Papa sta portando un aiuto concreto alla popolazione. Dei 12 milioni di euro raccolti il 24 aprile scorso, con la colletta voluta dal Pontefice nelle chiese europee, quasi sei milioni sono in corso di stanziamento. Eugenio Murrali ha intervistato mons. Giovanni Pietro Dal Toso, segretario del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, che sta gestendo la distribuzione dei fondi: 

R. – Ci sono stati due viaggi da parte del nostro Pontificio Consiglio, attraverso i quali abbiamo messo in piedi un piccolo Comitato tecnico, a Zaporizhia. E non posso anche non menzionare che, nel giugno di quest’anno, anche il cardinale Segretario di Stato, mons. Pietro Parolin, ha fatto una visita in Ucraina per dare una visibilità concreta anche alla vicinanza del Papa alla popolazione ucraina. È arrivata questa prima tranche di aiuti perché ci sono stati degli incontri con parrocchie, organizzazioni, comunità di diverse appartenenze religiose, ai quali si è spiegato come si può accedere ai fondi.

D. – Con quali criteri avete selezionato, attraverso il vostro Comitato tecnico, le proposte?

R. – Prima di tutto, il criterio doveva essere quello degli aiuti umanitari: per esempio garantire la sopravvivenza, poter offrire programmi di riscaldamento, garantire medicinali, il funzionamento quindi di ospedali, con la cura medica di tante persone che sono abbandonate a se stesse. Poi c’è anche il problema dei profughi, perché, anche se questo è meno noto, in Ucraina esistono due milioni di profughi che si sono allontanati dalle zone di guerra e si sono in parte riversati su Kiev o sulle zone di confine, e non hanno ancora un luogo stabile dove stare. Noi abbiamo voluto applicare alcuni criteri: i progetti devono essere comunitari, cioè non portati avanti da singole persone. Un altro criterio è la distribuzione geografica, un altro ancora è che non si facesse distinzione di appartenenza religiosa. Abbiamo escluso progetti di costruzione o di ricostruzione, perché ci sembrava che in questa prima fase la cosa più importante fosse garantire la sopravvivenza. In questo periodo, abbiamo avuto una grande collaborazione anche con alcune entità delle Nazioni Unite, le quali avevano anche una maggiore possibilità di accesso anche in zone difficili.

D. – Come continuerete a vigilare su questi progetti?

R. – Innanzitutto, con il Comitato tecnico che continua a lavorare alacremente, accompagnato e sostenuto dal nunzio apostolico in Ucraina, mons. Gugerotti. Il Comitato tecnico si incaricherà di inviare il denaro concretamente a questi progetti, e poi di valutare la loro effettiva realizzazione.

D. – Alla fine di questa selezione, voi siete arrivati a 20 progetti di larga scala e 39 iniziative di solidarietà…

R. – Abbiamo stabilito tre forme di progetti: i primi per le immediate necessità, che a volte si presentano e che non hanno bisogno di molta burocrazia: ci sono  villaggi in cui mancano beni basilari. Per gli aiuti più strutturati, abbiamo diviso i progetti in due tipologie: i progetti piccoli e quelli più grandi. Progetti piccoli significa progetti fino a 20mila euro, quelli grandi fino a 250mila euro. L’iniziativa adesso ha visto l’utilizzo di una prima tranche di aiuti: dovremo vedere, nel prossimo futuro, anche di continuare con l’utilizzo del denaro arrivato, individuando nuovi progetti e nuove necessità.

D. – C’è stata una particolare attenzione ai minori nelle vostre scelte?

R. – Certamente. Abbiamo visto che la questione educativa resta sempre centrale nelle situazioni di crisi. Quindi anche in questa crisi abbiamo voluto garantire ai bambini un'attenzione speciale.

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Boom di ascolti "Stanotte a S. Pietro". Viganò: progetti allo studio

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Quasi 6 milioni di telespettatori (il 25,4% di share), il record di ascolti dell’intera giornata e non solo della prima serata. E’ il dato registrato da “Stanotte a San Pietro”, il programma di Alberto Angela andato in onda ieri sera su Rai1. Si è trattato di una importante coproduzione realizzata dalla Tv di Stato italiana e dalla Segreteria per la Comunicazione, il dicastero dei media vaticani guidato dal prefetto mons. Dario Edoardo Viganò. Il servizio di Alessandro De Carolis

Lo scrigno dei tesori vaticani ha un immenso potere di attrattiva a qualsiasi ora del giorno. Ma il poterlo ammirare di notte passando dalla Cupola di Michelangelo ai Giardini Vaticani, dal Giudizio Universale della Sistina al capolavoro della Pietà – con i tenui bagliori lunari ad alternarsi alla maestria dell’illuminazione artificiale – aggiunge fascino a fascino.

Capolavori e tecnologia
In questa quiete non spezzata dai rumori della folla, Alberto Angela ha preso per mano i quasi 6 milioni di spettatori che hanno seguito il programma "Stanotte a San Pietro" e li ha condotti di meraviglia in meraviglia, proposte con immagini e dettagli che solo l’altissima definizione della tecnologia in 4K oggi può consentire. Dietro e intorno alle telecamere, i professionisti della Rai e del Centro Televisivo Vaticano (Ctv), con il supporto dell’Officina della Comunicazione, una Casa di produzione televisiva ormai partner stabile del Ctv in questo tipo di iniziative. Compagni di viaggio di Alberto Angela, Carlo Verdone e Giancarlo Giannini.

Nuova strategia
“Stanotte a San Pietro” rientra nella strategia comunicativa messa in campo dalla Segreteria per la Comunicazione, che intende condividere questo tipo di progetti con enti diversi, quelli più idonei a garantire il livello più alto di esecuzione a seconda del tipo stesso di progetto. In questo caso, mostrare le bellezze del Vaticano sulla rete ammiraglia della Rai – abituata per tradizione a veicolare contenuti storici e culturali di spessore – con lo stile di un grande divulgatore come Alberto Angela ha portato al successo certificato dal boom di ascolti.

Ritrovata collaborazione
Il programma trasmesso ieri, afferma mons. Dario Viganò, “è il segno di una ritrovata collaborazione con la Rai, in particolare con Rai1, che potrà aprire a nuovi progetti condivisi in futuro”. Inoltre, soggiunge il massimo responsabile dei media vaticani, “si possono pensare anche grandi format di comunicazione radiofonica. Alcuni – conclude – li abbiamo allo studio”.

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Oggi in Primo Piano



Siria: vicina una tregua mediata da Turchia e Russia

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Russia e Turchia hanno raggiunto un importante accordo per il cessate il  fuoco in tutta la Siria sul modello di Aleppo  che dovrebbe iniziare alla mezzanotte di oggi. Lo riferisce l'agenzia turca Anadolu citando una fonte confidenziale coperta da anonimato. Per il momento il Cremlino non conferma e non smentisce la notizia, ma la diplomazia resta al lavoro: il capo della diplomazia russa Serghei Lavrov e l’inviato per la Siria De Mistura hanno avuto oggi un colloquio telefonico. Il servizio di Marco Guerra

"Non posso rispondere a questa domanda, non ho sufficienti informazioni". Così Il portavoce del Cremlino ha commentato quanto pubblicato stamane dall’agenzia di  stampa turca Anadolu, secondo cui Mosca e Ankara avrebbero raggiunto, con Damasco e i gruppi di opposizione, un accordo sul cessate il fuoco in tutta la Siria. Lo stop alle armi è previsto “in tutte le zone di combattimento tra le forze governative e quelle ribelli”, i “gruppi terroristici saranno esclusi”. Questi i termini dell’intesa. Secondo fonti anonime citate dall’agenzia turca, nel caso di successo della tregua, il mese prossimo il regime di Assad e l'opposizione inizieranno negoziati di pace ad Astana, in Kazakistan, con la mediazione di Turchia, Russia e Iran.  Sempre stando alle indiscrezioni, questa iniziativa è frutto di intensi contatti diplomatici tenuti nei giorni scorsi tra le due potenze. Intanto in seno alle Nazioni Unite, resta alta la tensione con la Russia che ha definito “categoricamente inaccettabile” una bozza franco-britannica che suggeriva nuove sanzioni. Infine sul terreno non si fermano le violenze: 22 persone appartenenti a due famiglie sono state uccise in raid compiuti da aerei non identificati su un'area nel nord-est della Siria controllata dallo Stato Islamico. Per un commento sulle trattative tra Russia e Turchia, sentiamo il giornalista esperto di mondo arabo, Zouhir Louassini:

R. – Io credo che sia la logica delle cose. La Turchia si è resa conto che l’Occidente non sta più di tanto dando una mano, anche se ci ha provato, ma in fin dei conti ora è la Russia che ha in mano le vere carte. La Turchia deve trovare una soluzione, e una mezza sconfitta è meglio di una sconfitta completa. Anche i turchi, infatti, si sono resi conto che andare verso questa linea, cercando di lottare contro il regime di Assad, non può dare risultati, soprattutto in questo momento, con il chiaro appoggio dei russi. E allora, quello che la Turchia ha fatto realmente è stato semplicemente difendere i propri interessi. La guerra in Siria sta diventando un problema serio per i turchi, perché questi ultimi hanno il problema dei curdi; e la creazione di uno Stato tra la Turchia e la Siria, che sia anche un’autonomia curda, può essere un problema per i turchi che, come noto, hanno un serio problema con la minoranza curda turca. Dunque la soluzione sempre più vicina è la seguente: un accordo tra i turchi, i russi e probabilmente anche gli iraniani, nell’attesa che si avvicinino anche i sauditi e qualche Paese del Golfo. Questa è l’unica strada al momento. Gli Stati Uniti in questa storia sono rimasti praticamente fuori.

D. – L’Occidente sembra essere estromesso dalle trattative sul futuro della Siria…

R. – L’Occidente ha dimostrato di essere incapace di prendere una decisione compatta. Come sempre, sembra un club e non un’alleanza; dove ognuno dice la sua. E invece i russi hanno le idee chiare: hanno deciso di appoggiare il regime di Assad e lo hanno fatto a modo loro. Il problema vero è che, come sempre, a pagare per questi “giochetti” sono le persone innocenti.

D. – In ogni caso, la comunità internazionale deve prendere atto che Assad sarà ancora presente nel futuro della Siria…

R. – Non è detto. Se ai russi converrà, sì. Sulla Siria si stanno mettendo d’accordo tutti i Paesi tranne che i siriani, nel senso che il regime di Assad non conta più nulla per nessuno; sono i turchi, i russi, gli iraniani e i sauditi. Ma il regime di Assad è totalmente prigioniero della logica russa.

D. – Assistiamo a una trattativa per procura tra grandi potenze; e quindi anche questa che sta avvenendo in Siria si può definire una “guerra per procura”?

R. – Io credo che all’inizio fosse un problema interno; però, man mano che non riusciva a risolversi, è diventato prima un problema regionale, poi una guerra quasi mondiale. La stessa cosa può dirsi dello Yemen e dell’Iraq: è una situazione quasi di guerra completa che ha colpito una zona dove c’è un misto di tutto: equilibri  internazionali, ideologie, e soprattutto grandi interessi.

D. – Ricordiamo che ci sono gli sciiti, i sunniti e i curdi: è un’ipotesi ancora sul tavolo quella della divisione del Paese in aree di influenza?

R. – È sempre sul tavolo: in Siria, in Iraq e nello stesso Yemen. Dividere ancora di più le zone arabe è una probabilità, solo che non c’è alcuna volontà da parte dei turchi, e soprattutto dei russi, di applicare questa logica. Può essere anche una divisione che si basi su delle autonomie: questa può essere una soluzione accettabile da tutti, tranne che dai turchi che non vogliono vedere uno Stato curdo, di qualsiasi tipo esso sia, perché quest’ultimo, essendo il loro uno spazio strategico, può significare un problema grosso per la Turchia stessa. 

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Bangladesh: a Natale sventato attentato contro chiesa cattolica

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Le forze antiterrorismo - riferisce l'agenzia AsiaNews - hanno sventato un attentato contro una chiesa cattolica della capitale, pianificato per il giorno di Natale. Lo rivela un funzionario di polizia, che riporta la notizia dell’arresto di esponenti del gruppo estremista “Nuovo Jamaatul Mujahideen Bangladesh” (Neo-Jmb) che progettavano di farsi esplodere nella chiesa del Santo Spirito, nel quartiere di Banani.

Per Natale aumentatI controlli e misure di sicurezza per 62 chiese di Dhaka 
L’arresto dei militanti è avvenuto il 24 dicembre in un’abitazione nell’area di Ashkona, ma i dettagli dell’operazione sono trapelati solo ieri. Gli agenti del Counter Terrorism and Transnational Crime (Cttc) hanno fermato il nuovo leader operativo del gruppo terrorista, Moinul Islam alias Abu Musa, insieme ad altri complici.

Trovati documenti e carte che delineano le modalità dell’attacco
Monirul Islam, capo de Cttc, riferisce al Dhaka Tribune che l’appartamento era usato come rifugio dagli attentatori. All’interno sono stati trovati documenti e carte che delineano le modalità dell’attacco, al quale avrebbe dovuto prendere parte anche una donna. Gli agenti sostengono che da mesi il gruppo stava riorganizzando la propria leadership, dopo che i capi sono stati via via decimati nei raid successivi alla strage di stranieri avvenuta il primo luglio scorso all’Holey Artisan Bakery Cafè di Dhaka. Ora le indagini sono concentrate per rintracciare fonti di finanziamento e altri probabili fiancheggiatori. (R.P.)

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Kenya. Campo Dadaab non può chiudere: a rischio 276mila rifugiati

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Chiudere il Campo rifugiati di Dadaab significa mettere in pericolo la vita di più di 270mila persone, consegnandoli nelle mani dei trafficanti di uomini, o peggio, della jihad. Questo il rischio in cui Nairobi farebbe incorrere migliaia di migranti fuggiti dalla guerra civile in Somalia. Per questo motivo sono già in 35mila ad aver abbandonato il Campo per timore della deportazione o dell’espulsione. Un inganno, secondo molte ong, per spingere quante più persone fuori dal Paese. Non è infatti la prima volta che Uhuru Kenyatta, Presidente del Kenya, minaccia di abbattere il Campo, ma il 2017 sembra essere l’anno decisivo in quanto tempo di elezioni presidenziali in cui temi come sicurezza e rifugiati fanno leva sul sentimento elettorale. Sabrina Spagnoli ha chiesto a Federica Nogarotto, direttore supporto alle operazioni di Medici Senza Frontiere, quali sarebbero le ripercussioni dovute allo smantellamento di Dadaab:

 

R. – Chiudere il Campo in questo momento senza offrire altre soluzioni durevoli, e che abbiano una sostenibilità, spinge i rifugiati in una zona che è tuttora in pieno conflitto, ma che lo è dagli ultimi 25 anni. Per cui è chiaro che non è una soluzione o un’opzione da prendere in considerazione. Il sistema sanitario, per esempio, che è in Somalia da più di 20 anni, è completamente piegato, e non può garantire le cure di base alle persone. Oltre a questo, da  una intervista che abbiamo fatto con 5.500 persone più o meno, abbiamo riscontrato che il 97% degli intervistati considera che ci sia un alto rischio di essere reclutati da gruppi armati in Somalia, come al-Shabaab per esempio.

D. – Si parla di rimpatri volontari in Somalia per i rifugiati, però non si direbbe che siano poi tanto volontari…

R. – Dai contatti che abbiamo con la popolazione che abita in questo momento a Dadaab e nei Campi vicini, tutti ci stanno dicendo che sono molto spaventati dalla mancanza di sicurezza che c’è in Somalia in questo momento, e dall’elevato rischio di violenze sessuali. Medici Senza Frontiere (Msf) mette in discussione la natura volontaria di questi rimpatri: il fatto che l’Alto Commissariato per i rifugiati stia cercando di facilitare tutto questo ci fa dubitare molto. La condizione cruciale è che i rimpatri debbano essere volontari, ma non vediamo la volontarietà dello spostamento di queste persone.

D. – Il Presidente Kenyatta sarebbe convinto che la chiusura del Campo preservi il territorio dagli al-Shabaab; però molti vedono in questo suo procrastinare la chiusura (che era fissata al 30 novembre, ndr) solamente un modo per guadagnare tempo anche in vista delle prossime elezioni, e per ricevere nuovi fondi dalla comunità internazionale…

R. – Potrebbe anche essere una cosa di questo tipo. È vero che i finanziamenti da parte dei Paesi donatori devono essere indirizzati nella direzione corretta per poter garantire un’assistenza duratura nel Paese di accoglienza dei rifugiati; quindi vuol dire anche in Kenya. E non devono essere indirizzati invece per supportare ciò che essenzialmente è un rimpatrio forzato in una zona di guerra come la Somalia.

D. – Quali sarebbero altre soluzioni praticabili qualora la chiusura diventi inevitabile?

R. – È molto complicato dare una risposta a questa domanda; certo è che non è il trasferimento una soluzione. Il reinsediamento in Paesi terzi o l’integrazione dei rifugiati con la comunità keniota potrebbero essere altre valide alternative ai rimpatri. Certo è che noi non siamo assolutamente convinti, e non crediamo in questo spostamento forzato e nel rimpatrio della popolazione del campo di rifugiati più vecchio del mondo.

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Africa: per il Natale i vescovi auspicano pace e tolleranza

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Pace, riconciliazione, amore, tolleranza: questi i punti-chiave dei messaggi natalizi diffusi in questi giorni da diverse Conferenze episcopali africane, in particolare quelle presenti in Paesi dilaniati da lunghi conflitti. “Prendiamo esempio da Gesù – scrive a tal proposito il card. Jean-Pierre Kutwa, arcivescovo di Abidjan, in Costa d’Avorio – e intraprendiamo la via dell’amore senza esclusioni, la strada della felicità condivisa, il percorso della pace e del perdono”. Quindi, il porporato lancia un appello ai fedeli cristiani, ai politici ed ai leader religiosi del Paese affinché “respingano le tenebre della divisione e dell’odio e coltivino la pace e la riconciliazione”.

Dalle Mauritius, appello ecumenico
Dalle Mauritius, invece, arriva per la prima volta un messaggio di Natale ecumenico, siglato congiuntamente dal card. Maurice Piat, vescovo cattolico di Port-Louis, e dal capo della Chiesa anglicana locale, Ian Ernest. Al centro del documento, l’importanza del “dono di sé” che, scrivono i due esponenti religiosi, “è il dono più grande” che si possa offrire al prossimo.

Il dramma della Repubblica Democratica del Congo
E ancora: sull’essere solidali si incentra il messaggio natalizio di mons. Denis Amuzu-Dzakpah, arcivescovo di Lomé, in Togo, il quale sottolinea "il profondo desiderio di pace e il grande spirito di solidarietà" associato al Natale. Gli fa eco il card. Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo, che esorta i cristiani del Paese a rinunciare alla violenza e a diventare operatori di pace. La nazione congolese è infatti devastata, da diverso tempo, da scontri tra le forze dell’ordine ed i manifestanti contrari al presidente Kabila. Al potere dal 2001, secondo la Costituzione vigente Kabila non potrebbe più candidarsi per un altro mandato, ma la Corte ha stabilito che potrà rimanere al potere almeno fino alle prossime elezioni, che previste inizialmente per novembre, sono state invece rimandate a tempo indeterminato.

La pace implica la giustizia e la verità
Di qui, il richiamo del card. Monsengwo a rispettare la vita dei cittadini, perché "la pace del Natale esclude omicidi, uccisioni, violenza" ed implica, invece, “la giustizia, l'amore, la verità". In tal modo, il porporato fa eco all’appello lanciato da Papa Francesco all’udienza generale del 21 dicembre: “Rivolgo un accorato appello a tutti i congolesi – ha detto il Pontefice - perché, in questo delicato momento della loro storia, siano artefici di riconciliazione e di pace. Coloro che hanno responsabilità politiche ascoltino la voce della propria coscienza, sappiano vedere le crudeli sofferenze dei loro connazionali e abbiano a cuore il bene comune”.

In Senegal, no alla pena di morte
Dal suo canto, in Senegal, mons. Benjamin Ndiaye, arcivescovo di Dakar, ribadisce la sua opposizione al ritorno della pena di morte, abolita nel 2004. A causa, infatti, dell'aumento della criminalità, nel Paese si è riacceso il dibattito sul ripristino della pena capitale. Al contempo, mons. Ndiaye deplora la violenza contro le donne ed i bambini ed i tanti comportamenti sbagliati presenti nella società. "C’è da credere che la nostra società sia affetta da una mancanza di standard etici e morali – denuncia il presule - dalla fretta e dall'impazienza, da un deficit di coscienza civica, dall’indisciplina e da una tendenza sempre più materialistica e consumistica”.

A Natale, celebrare la vita donata da Dio
“Natale – conclude l’arcivescovo di Dakar – è invece la celebrazione della vita donata da Dio”. Di qui, l’augurio che “la gioia” di tale solennità e “la pace di Dio regnino nei cuori” di tutti gli uomini. (A cura di Isabella Piro)

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Nepal: il governo ha ripristinato le festività natalizie

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Il governo del Nepal, dopo aver rimosso dal calendario le celebrazioni pubbliche per la festività del Natale ad aprile 2016, ha deciso – in seguito a pressioni da parte di gruppi di minoranze – di indire la festività nazionale. Per l’occasione, sono stati addobbati negozi e centri commerciali con decorazioni e luminosi alberi di Natale. I cristiani - riferisce l'agenzia AsiaNews - hanno cantato inni, si sono scambiati regali, hanno glorificato la nascita di Gesù Cristo e recitato preghiere. Anche migliaia di non-cristiani hanno preso parte alle festività e alle celebrazioni.

Alle celebrazioni pubbliche anche le massime cariche dello Stato
Al programma pubblico delle celebrazioni ha partecipato anche la Presidentessa nepalese Bidya Devi Bhandari, che ha presieduto le festività come ospite-capo. La Bhandari si è riferita ai leader cristiani augurandosi che quest’occasione “possa rafforzare i sentimenti d’amore e unità fra i cittadini nepalesi e ispirare tutti quanti al rispetto della Costituzione in nome di un pacifico e prosperoso Nepal”. Anche il Primo ministro Pushpa Kamal Dahal ha augurato “pace, felicità, prosperità, buona salute, unità e fratellanza a tutti i cristiani nepalesi residenti in patria e all’estero”. Persino l’ex re nepalese Gyanendra Shah e suo figlio si sono uniti alle celebrazioni.

Perché il Natale era stato rimosso dalle festività nazionali dal governo nepalese
Quando il governo del Nepal aveva deciso di rimuovere la festività del Natale, ad AsiaNews, il ministro dell’Interno Shakti Basnet aveva spiegato di esser stato: "costretto ad eliminare il Natale dalle feste pubbliche per controllare l’aumento delle festività nazionali. Ad ogni modo - aveva detto - garantiremo ai dipendenti pubblici di fare vacanza». Il pastore Cb Gahatraj, segretario generale della Federazione nazionale dei cristiani, aveva denunciato: «I cristiani non lavorano solo per il governo. Se il Natale non sarà festa nazionale, i lavoratori del settore privato non potranno celebrarlo. Il governo accorda l’esistenza di 83 feste per gli indù e le altre comunità, ma nessuna per i cristiani".

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A Napoli pranzo del card. Sepe con 600 poveri

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Un pranzo per 600 poveri nella Cattedrale di Napoli. Oggi il cardinale arcivescovo della città, Crescenzio Sepe, ha aperto le porte del Duomo per accogliere i più disagiati e poter offrire loro un pasto in occasione delle festività natalizie. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato: 

R. – E’ un’iniziativa ormai tradizionale perché è da un po’ di anni che tra Natale e Capodanno invitiamo tutti i poveri delle varie categorie: quelli del dormitorio, quelli che frequentano le Suore di Madre Teresa, quelli delle parrocchie, coloro che ogni giorno ospitano questi nostri fratelli in un abbraccio un po’ più globale, per far sentire loro il calore che la Chiesa di Napoli porta nei loro riguardi. E quest’anno si è scelta la Cattedrale, per rendere ancora più forte, più significativa questa iniziativa, perché Cristo è nella Cattedrale quando celebriamo, ma è anche nella Cattedrale quando accogliamo questi nostri fratelli.

D. – Quest’anno è stato offerto un menù molto particolare, che si discosta un po’ dalla tradizione …

R. – Sì, quest’anno è stata offerta loro la pizza, il panuozzo, un po’ di mozzarella … insomma, una cosa un po’ diversa che li ha resi molto contenti perché è stata come una curiosità. Ma poi, c’è stata un’altra cosa che quest’anno abbiamo voluto realizzare, a ognuno di loro viene dato un buono con il quale potranno andare in alcuni negozi che sono gestiti un po’ anche dalla Caritas dove possono prendere un capo di vestiario che a loro necessita o piace. Quindi, anche questo è un modo molto semplice ma anche segno di vicinanza e di fraternità.

D. – Di Napoli si parla spesso con risvolti estremamente drammatici. Ultimamente se n’è parlato anche per la riqualificazione delle famose “Vele”. Che cammino sta facendo la città?

R. – Mi pare che questa volta l’abbiano presa a cuore, speriamo che possano poi anche realizzare le cose. Credo che ci siano già degli stanziamenti, che già sia stato fatto un piano e nei prossimi mesi dovrebbe iniziare da una parte l’abbattimento delle famose “Vele”, però io ho detto che prima di abbattere occorre dare un alloggio a quelli che poi saranno i cosiddetti sfollati. Già una decina di famiglie hanno lasciato queste “Vele” e hanno preso questi appartamenti, e lì hanno mostrato tanta bontà, perché dicono: “Noi stiamo incominciando a vivere una nuova vita”. Quindi, spero che finalmente questo progetto possa realizzarsi, liberare soprattutto quel quartiere di Scampia, liberarlo da quel degrado in cui purtroppo da troppi anni sono costretti a vivere.

D. – Eminenza, in più di un’occasione lei ha mostrato di avere preoccupazione, soprattutto per la questione dei giovani. Ha indetto per febbraio a Napoli, proprio per questo, una riunione di tutti i vescovi del Sud, per parlare di giovani e lavoro …

R. – Ognuno di noi, ogni regione ecclesiastica, presenterà un progetto e chiediamo alle istituzioni di volerlo realizzare. Il progetto sarà fondato soprattutto sulla creazione di cooperative di giovani che dovrebbero poi portare avanti questi progetti.

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Caso di meningite a Roma: evento raro. Nessun rischio di contagio

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E’ stato il batterio dell’escherichia coli a far morire di meningite l’insegnante della scuola Cesare Battisti di Roma.  Lo hanno stabilito le analisi della Regione Lazio, che ha comunicato come non ci sia il pericolo di contagio. Alessandro Guarasci

Dapprima si era pensato al meningococco, tanto che era partita la profilassi nei confronti di tutti coloro che erano entrati in contatto con l’insegnate. Poi le analisi hanno chiarito: escherichia coli, un batterio presente nell’intestino di tutti noi, un’infezione che non può essere trasmessa da persona a persona. Giovanni Rezza, direttore del dipartimento malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità

R. – Succede purtroppo in rari casi. Diciamo che la meningite da escherichia coli può verificarsi soprattutto nei neonati o in bambini molto piccoli, specialmente se prematuri; raramente determina un quadro grave nell’adulto, a meno che non ci sia una suscettibilità di base all’infezione:

D. – O potrebbe esserci una forma di immunodepressione?

R. – Ma … questo è difficile dirlo non conoscendo il caso direttamente. Però è chiaro che c’è bisogno di una certa predisposizione di base.

D. – A questo punto, come si sarebbe potuto intervenire, secondo lei?

R. – Siccome il quadro – da quello che si è capito – è stato molto drammatico e si è evoluto in poche ore, purtroppo si sa che in queste infezioni batteriche quando danno un’infezione disseminata sono difficilissime da trattare. Sono quadri che spesso diventano irreversibili nel giro di poche ore. Per precauzione è stata fatta la profilassi dei contatti, e quindi anche degli studenti che erano stati a contatto con la povera professoressa: non sarebbe stato necessario nel caso dell’escherichia coli, ma io credo che sia stato bene farla perché quando la diagnosi non è certa è meglio eccedere in interventi piuttosto che non far nulla.

D. – Dunque, un evento improvviso, evoluto in poche ore e di fronte a cui è difficile intervenire; un evento raro, comunque …

R. – Certamente. Estremamente raro per quanto riguarda la causa, soprattutto in quella fascia di età.

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Honduras: vescovi vicini al dolore dei bambini costretti a emigrare

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Avvicinarsi alla realtà del popolo honduregno e offrire proposte per frenare la disuguaglianza, l'esclusione e la corruzione nel Paese: è quanto chiede al mondo politico la Conferenza episcopale dell'Honduras in un messaggio diffuso in occasione delle festività natalizie, intitolato “Da Betlemme a Nazaret”. Nel documento, ripreso dall’agenzia Fides, i vescovi ricordano che il 2017 sarà “un anno politico”, perché il 12 marzo si terranno le elezioni primarie, mentre a novembre sarà la volta delle consultazioni generali.

Tutelare bene comune, no a false promesse
Di qui, l’auspicio dei presuli affinché i futuri candidati alle cariche elettive sappiano “avvicinarsi alla realtà del popolo per analizzare, proporre e offrire alternative, così da superare la disuguaglianza e l'esclusione, e liberarci della corruzione”. "Felice anno politico a tutti voi – prosegue il messaggio – Buon anno se i cittadini si assumono la responsabilità del bene comune, di informare su proposte e progetti per controllare ciò che si promette e non lasciarsi trasportare dalle offerte o dalle parole fuorvianti che possono incantare".

Non dimenticare le persone vulnerabili e senza voce
A conclusione del comunicato, i presuli dell'Honduras esprimono anche preoccupazione per "il dolore" che vivono molti honduregni, soprattutto i bambini, "costretti ad emigrare, esposti allo sfruttamento e alla violenza nel loro percorso, mal pagati quando arrivano a destinazione, e criminalizzati dall'arroganza di coloro che approfittano della loro fatica". Per questo, i vescovi si impegnano a "rafforzare" la Pastorale della Mobilità umana, affinché ai bambini e agli adolescenti che emigrano "vulnerabili e senza voce", giunga "l'amore e la vicinanza di tutta la comunità".

Il dramma dei minori migranti non accompagnati
Secondo le cifre ufficiali, sono 10.468 i minori honduregni non accompagnati che sono riusciti ad attraversare il confine tra Messico e Stati Uniti nel 2016. Questa cifra rappresenta il 93,5% in più rispetto ai 5.409 arrivati in questo Paese nel 2015. (I.P.)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 363

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.