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Sommario del 30/12/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Rapporto Fides: 28 gli operatori pastorali uccisi nel 2016 nel mondo

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Nel corso del 2016 sono stati uccisi nel mondo 28 operatori pastorali cattolici e, per l’ottavo anno consecutivo, il numero più elevato si registra in America. A pubblicarne l’elenco, con una breve biografia di ciascuno, è l’agenzia Fides nel suo annuale rapporto di fine anno. Drammaticamente cresciuto il numero delle religiose uccise, nove, più del doppio rispetto al 2015. Adriana Masotti

Quattordici sacerdoti, nove religiose, un seminarista, quattro laici: sono gli operatori cattolici morti quest’anno in modo violento, dodici nel continente americano, ucciso un sacerdote anche in Europa, e precisamente in Francia: si tratta di padre Jacques Hamel, vittima del terrorismo mentre celebrava la Messa.

Tentativi di rapina o di furto, lo scenario a volte feroce, in cui nella maggior parte dei casi gli operatori sono stati uccisi, in contesti di degrado e povertà. E in questi contesti i sacerdoti, le religiose e i laici uccisi, erano tra coloro che denunciavano con coraggio le ingiustizie, la corruzione, la povertà, nel nome del Vangelo. Operavano a fianco dei più bisognosi e qualcuno di loro è stato ucciso proprio dalle stesse persone che aiutava. Il rapporto di Fides ricorda i tre sacerdoti rapiti e uccisi in Messico, probabilmente per il loro impegno nella lotta al narcotraffico e anche il sacerdote José Luis Sánchez Ruiz, sempre in Messico, rapito e poi rilasciato con "evidenti segni di tortura", dopo aver ricevuto minacce a causa delle dure critiche contro la corruzione e il crimine. Altri uccisi in Brasile, Venezuela, Colombia, Haiti, ma anche in Florida negli Stati Uniti. In Africa sacerdoti, religiose e operatori Caritas hanno perso la vita, vittime di agguati e aggressioni, in Nigeria, Sud Sudan, Repubblica democratica del Congo. In Asia sono stati uccisi operatori nelle Filippine, in Indonesia, Siria e di recente quattro suore missionarie della Carità nello Yemen.

Nel Rapporto emerge anche la preoccupazione della comunità cristiana per la sorte di altri operatori pastorali sequestrati o scomparsi, di cui non si hanno più notizie. L’Agenzia Fides infine ricorda che all’elenco redatto annualmente, deve sempre essere aggiunta la lunga lista dei tanti uomini e donne, di cui forse non si avrà mai notizia, che in ogni angolo del pianeta soffrono e pagano con la vita la loro fede in Gesù Cristo.

Per un commento al Rapporto pubblicato oggi, Stefano Leszczynski ha intervistato Stefano Lodigiani, coordinatore della redazione di Fides e curatore del dossier: 

R. – L’America continua a registrare un numero elevato soprattutto di sacerdoti uccisi e molti altri vengono minacciati, rapiti, sequestrati, torturati, poi rilasciati, perché c’è un contesto di particolare violenza, denunciato più volte dalla Chiesa, violenza a tutti i livelli, corruzione, naturalmente legata ai traffici illeciti. Quindi, molto spesso, i sacerdoti, le suore, i laici sono tra coloro che alzano la voce, denunciano a voce alta queste ingiustizie, sempre nel nome del Vangelo e per questo danno fastidio.

D. - Questo cosa ci dice? Il fatto che non spicchi l’odio alla fede nell’uccisione di questi operatori pastorali bensì motivazioni più di tipo sociale, forse, cosa ci dice anche di quello che è l’impegno della Chiesa nel mondo?

R. – La Chiesa nel mondo è impegnata ad annunciare il Vangelo ma questo Vangelo non è un annuncio disincarnato, quindi se ci sono situazioni contrarie ai principi cristiani, contrarie ai valori del Vangelo, gli operatori pastorali che in coscienza svolgono la loro missione devono denunciarle e, chiaramente, danno fastidio per questo. Lo stesso Papa Francesco, proprio nell’Angelus della festa di Santo Stefano, ha sottolineato che il mondo odia i cristiani per la stessa ragione per cui ha odiato Gesù: perché Lui ha portato la luce di Dio e il mondo preferisce le tenebre per nascondere le sue opere malvagie.

D. – Il sacrificio di questi operatori pastorali non è invano, molti seguono il loro esempio…

R. – Certo, fortunatamente, si richiama sempre in questo contesto la famosa frase di Tertulliano: “Il sangue dei martiri è il seme dei cristiani”. Se noi pensiamo che Tertulliano è vissuto tra il I e il II secolo, e noi ci troviamo ben oltre l’anno 2000, si può capire l’attualità di questo messaggio e anche l’attualità del martirio che fa parte del Dna del cristiano in generale ma del missionario in particolare. Non dimentichiamo che i cristiani traggono origine dalla Croce, quindi dal martirio del Figlio di Dio, che è morto sulla Croce, quindi versando il suo sangue per la salvezza dell’umanità. In un certo senso siamo figli del martirio, siamo figli della Croce, anche se dopo la Croce ci aspetta la Risurrezione: questa è la nostra fede.

D. – C’è ancora un ultimo dato che viene riportato e sottolineato nel rapporto di Fides e che risulta preoccupante, cioè quello degli operatori pastorali scomparsi, di cui non si ha più notizia…

R.  – Esatto, anche qui abbiamo purtroppo diversi sacerdoti che sono stati rapiti, sequestrati, di cui non si hanno più notizie, un po’ a tutte le latitudini. E questo aggrava ancora di più la situazione in quanto si teme quasi che anche solamente far ritrovare il loro corpo, sia pure purtroppo senza vita, possa suscitare un nuovo vigore nella comunità cristiana di cui facevano parte. Quindi si aggiunge una nuova efferatezza proprio nel far scomparire anche il loro corpo in modo che di queste persone non si abbia più traccia. Comunque, non per questo la memoria della comunità cristiana si perde, anzi continua ancora con maggiore fede e con maggiore speranza nel suo cammino di annuncio del Vangelo.

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Francesco: gioia per Osservatore Romano in Argentina. Vian: è un Papa missionario

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“Con gioia saluto la nuova presenza de L’Osservatore Romano in Argentina”. E’ quanto si legge in un chirografo di Papa Francesco in occasione del lancio dell’edizione argentina dell’Osservatore Romano, diretto dal biblista protestante Marcelo Figueroa. “Attraverso il quotidiano della Santa Sede – scrive il Papa – si potrà conoscere direttamente il servizio del Papa”. Il Papa benedice quanti “lavorano a questo progetto, al servizio del Regno di Dio” e chiede “ai lettori di non dimenticare di pregare” per lui. Per una riflessione sul 2016 di Papa Francesco, e in particolare sull'Anno Santo che l'ha caratterizzato, Fabio Colagrande si è rivolto proprio al direttore de L'Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian

R. – Il bilancio vero lo fa ogni persona nel suo cuore, ma da quello che si può valutare esteriormente, sembra che ci sia stato in tutto il mondo – e anche a Roma lo abbiamo visto – una sorta di risveglio interiore, un risveglio che ha portato donne e uomini, anche fuori dai confini visibili della Chiesa cattolica, a interrogarsi sul senso della propria vita. Questo è un bilancio sicuramente positivo. Il Papa insiste sulla misericordia che è il cuore del Vangelo; insiste in modo molto visibile, perché nella lettera conclusiva del Giubileo vi è stata questa formalizzazione dell’estensione a ogni confessore della facoltà di assolvere dal peccato di aborto, che è importante perché in realtà segue – e questa è una caratteristica di Papa Francesco – il movimento della Chiesa, cioè è una facoltà che di fatto già era largamente concessa ai confessori, ma che in questo modo è più facilitata. Si è detto: “E’ stata meno burocratizzata”.

D. – Un anno in cui il Papa ha confermato la sua visione di una Chiesa in uscita …

R. – La caratteristica della Chiesa è quella di essere missionaria: è la missione, è l’uscita della Chiesa da se stessa, per testimoniare e annunciare il Vangelo. E Francesco interpreta questa categoria in modi che sono consueti ai Pontefici, ormai, da più di mezzo secolo, cioè viaggiando fuori d’Italia e in Italia, ma ogni giorno anche aprendo le sue Messe quotidiane – come già avevano fatto in parte i suoi predecessori – ai fedeli; e poi, con questo incontro continuo con la gente. Insomma, se si volesse riassumere brevissimamente l’anno appena trascorso, e che per il Papa ha segnato l’80.mo compleanno mentre si avvia a concludere il quarto anno di pontificato e a iniziare il quinto, è stato l’anno di un Papa missionario! Un Papa che sta spingendo la Chiesa alla missione: questo è anche il senso di un documento che ha attirato fortemente l’attenzione nella Chiesa e fuori dalla Chiesa, come l’Esortazione apostolica “Amoris Laetitia”.

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Festa Santa Famiglia. Belletti: una scommessa che si puo' vincere!

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Festa oggi della Santa Famiglia, che seppe accogliere in Terra il figlio di Dio. Un istituzione la famiglia nei millenni diversamente promossa e tutelata ma anche attraversata specie negli ultimi decenni da ondate di avversione e di attacchi alla sua identità di unione fondata sul matrimonio di un uomo e una donna. Dunque, quale significato sociale riveste oggi questa festa? Roberta Gisotti lo ha chiesto al prof. Francesco Belletti, sociologo, direttore del Centro internazionale di studi sulla famiglia (Cisf): 

R. – Festeggiare la Santa Famiglia significa partire da quella accoglienza di Maria ad una chiamata incomprensibile. In fondo, oggi tutti i giovani si trovano in questa situazione, è come se davanti alla scelta del matrimonio e dell’impegno tutti si dicessero: “Ma perché? Come faccio a farlo? Come faccio a scommettere sulla famiglia?”. Eppure tutti hanno un grande desiderio, infinito, di essere in un posto dove si appartiene, in un posto dentro cui le persone sono legate da un vincolo che è quello del dono reciproco, della solidarietà, del dare la vita per gli altri. Ecco, credo che nell’esperienza umana sapere da dove si viene e il potere essere in un posto che è casa propria sia decisivo. Quindi al di là dei cambiamenti culturali, degli attacchi degli ultimi decenni, la famiglia rimane un valore che ogni uomo e ogni donna oggi ancora desiderano.

D.  – Si dice spesso che la famiglia tradizionale sia in crisi ma quanto di questa crisi si può imputare alla mancata tutela sociale di questa istituzione?

R. – Questo è proprio un frutto degli ultimi decenni, di quella che in sociologia si definisce la “postmodernità”. Sta vincendo un paradigma individualista e anche Papa Francesco ci ricorda questa deriva di un narcisismo, di un uomo che pensa di poter bastare  a se stesso. Invece la famiglia è proprio il luogo dell’altro, è proprio il luogo in cui io desidero stare con l’altro, voglio stare negli stessi spazi per tutta la vita. Ed è questa la grande domanda, del non essere soli, quello che risuonava nel linguaggio biblico: 'non è bene che l’uomo sia solo'. Ecco, la famiglia è la risposta, il dono che Dio ci ha dato perché non siamo soli. A me parlare di famiglia tradizionale quasi disturba, nel senso che oggi la parola 'tradizionale' è come se rimandasse a una cosa già passata, non più valida. Invece oggi la famiglia è l’esperienza più nuova che un giovane possa inventarsi. E’ proprio la scommessa della vita. E, moltissime storie di famiglie, di coppie che stanno insieme da 50, 60 anni, dicono che questa scommessa si può vincere.

D. – Dunque, i diritti individuali e i diritti della famiglia: gli uni stanno scalzando gli altri, con quali conseguenze?

R. – L’individualismo è il vero nemico oggi della famiglia: cioè, che le persone oggi pensino di bastare a se stesse, come se il legame familiare fosse un nemico della propria libertà. E invece attraverso i legami tra le persone, la famiglia restituisce senso all’esperienza della vita e restituisce solidarietà, legami significativi. E’ la prima risorsa. Infatti, le persone più in difficoltà sono quelle che non hanno legami familiari. Invece davanti anche a povertà, davanti a grandi shock, perdite di lavoro, ecc. se la famiglia tiene la persona è tenuta insieme. Quindi veramente la festa della Santa Famiglia è una grande occasione per ripensare alla famiglia e anche per rendersi conto che la famiglia è una grande risorsa di ogni società. Quindi l’assenza di politiche per la famiglia, l’indifferenza dei pubblici poteri, che spesso si nota di fronte alla famiglia, è una grave colpa, una grave mancanza: sostenere le famiglie significa investire sulla coesione, investire sulla solidarietà, tenere insieme il Paese.

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Le nomine di Papa Francesco

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Le nomine di Papa Francesco. Consulta il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede.

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"I Giubilei": documentario del Ctv in onda su Rai1

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Dopo il grande successo di “Stanotte a San Pietro”, Rai1 torna a ospitare una nuova produzione del Centro Televisivo Vaticano. Domani, alle 15.05, andrà in onda il documentario “I Giubilei – La strada del perdono”, che racconta con immagini suggestive e voci di esperti la storia degli Anni Santi fino all’ultimo indetto da Papa Francesco e appena concluso. Il servizio di Alessandro De Carolis

“Come i Roman per l'essercito molto/l'anno del giubileo, su per lo ponte/hanno a passar la gente modo colto/che da l'un lato tutti hanno la fronte/verso 'l castello e vanno a Santo Pietro/da l'altra sponda vanno verso 'l monte”. Nel canto XVIII dell’Inferno, Dante Alighieri fotografava così il flusso dei pellegrini che dal ponte di Castel Sant’Angelo si dirigevano verso la Basilica vaticana, sfiorato dai pedoni in marcia nella direzione opposta. Se la Divina Commedia offre uno spaccato della Roma Giubilare del 1300, data del primo Anno Santo, molti sono i documenti e le tracce che l’arte, la musica, la letteratura, compresa la viabilità hanno lasciato nella storia dei Giubilei. Ed è questa storia che indaga il documentario realizzato dal Ctv e dall’Officina della Comunicazione.

Giubilei tra storia e cultura
Con una narrazione moderna fitta di rimandi tra attualità e passato, sostenuta da immagini di repertorio tratte dagli archivi del Ctv e dell’Istituto Luce, l’itinerario costruito nei secoli dall’avvicendarsi degli Anni Santi mette in risalto l’intreccio di sacro e profano che ogni Giubileo ha prodotto, plasmando usi, costumi e l’ambiente teatro dei movimenti di massa dei pellegrini, soprattutto in Europa, fino ad arrivare al Giubileo della Misericordia appena concluso.

Utile opportunità
Non mancano nel documentario interventi di prestigio che a vario titolo illustrano aspetti legati ai Giubilei, come il card. Angelo Comastri che parla tra l’altro del significato della Porta Santa o il prof. Alberto Melloni che traccia alcune linee guida nell’interpretazione degli eventi giubilari. Anche questo documentario, afferma il prefetto della Segreteria per la Comunicazione, mons. Dario Edoardo Viganò, ribadisce “l’idea di un gruppo al lavoro attorno ad un progetto: il Ctv con Officina della Comunicazione, Rai Uno con cui ci si è confrontati circa l’utile opportunità che il servizio pubblico possa mettere in onda, a fine evento, una trasmissione di tale valore”.

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Oggi in Primo Piano



Siria: regge le tregua mediata da Russia e Turchia, Colloqui di pace a gennaio ad Astana

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In Siria è in vigore dalla mezzanotte locale il cessate il fuoco, mediato dalla Russia e dalla Turchia. Violazioni della tregua, tuttavia, sono state segnalate in diverse zone del Paese. Restano infatti esclusi dall’accordo lo Stato Islamico, gli altri gruppi radicali islamisti e i curdi. Intanto Assad chiede all’Europa di togliere l’embargo e assicura un ruolo per le minoranze e la comunità cristiana nella ricostruzione. Il servizio di Marco Guerra: 

Scontri tra le forze governative e gruppi di ribelli sono scoppiati nei dintorni di Damasco. Altri combattimenti sono stati registrati nelle provincie di Hama ed Idlib, mentre raid russi hanno ucciso almeno 12 jihadisti dell’Is. Non è chiaro quali fazioni siano coinvolte nelle violenze. Fatto sta che le Forze Armate siriane hanno chiarito che dal cessate il fuoco sono esclusi "lo Stato Islamico, al-Nusra e i gruppi ad essi legati". Poi ci sono anche le milizie curde che, secondo media arabi, lamentano di essere state tagliate fuori dall’intesa. Tuttavia questa volta il cessate il fuoco sembra reggere su basi più solide di quelli precedenti. Il ministro della Difesa russo Serghei Shoigu ha sottolineato che l’accordo è stato sottoscritto da  unità che contano 60mila effettivi. Il Presidente Assad ha detto di “essere pronto a rispettare” questo negoziato da Mosca e Ankara. Anche gli Stati Uniti, i grandi esclusi, parlano di “sviluppo positivo”. D’altra parte i fautori dell’intesa - Russia, Turchia e Iran - sono quelli che hanno offerto il maggiore sostegno militare alle parti in conflitto. Ma la vera svolta potrebbe essere l’impegno preso dal governo di Damasco e dai ribelli a partecipare a negoziati su una soluzione politica del conflitto, che dovrebbero tenersi ad Astana, in Kazakistan, entro un mese. In vista dell’appuntamento il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov allarga l’invito anche agli altri attori regionali: Egitto, Arabia Saudita, Qatar, Iraq, Giordania e "un rappresentante dell'Onu". Il vertice – fa sapere il Presidente turco Erdogan – non sostituisce i colloqui di pace di Ginevra. Per un’analisi sentiamo Maria Grazia Enardu, docente di Storia relazioni internazionali all'Università di Firenze: 

R. – Per Putin è sicuramente un punto di svolta, perché lui si è preparato per l’interregno tra le due presidenze americane da molto tempo e quindi alcune cose vanno chiuse con il vecchio Presidente, prima del nuovo. Tutto è stato sagomato su questo, compreso l’avvio di una terza tregua che dovrebbe essere migliore delle due fallite già quest’anno. Putin gioca a rilanciare alla grande la Russia a livello globale, ma soprattutto in Medio Oriente, e nulla in questo senso è più importante della Siria, anche perché sta cercando di allineare non solo le varie fazioni siriane, ma anche i suoi principali amici nell’area.

D. – Importante, poi, sarà il passo dei negoziati che dovrebbero tenersi ad Astana entro un mese. Ma a questo punto ci si chiede chi deve parlare?

R. – Pare che, appunto, nel primo gruppo siano inclusi i siriani, forse l’Egitto e in ogni caso le due principali potenze del Medio Oriente secondo la Russia e cioè l’Iran e la Turchia. Solo in un secondo tempo sarebbero inseriti Paesi arabi come l’Arabia Saudita e la Giordania. E questo perché nella prima fase la Russia ha assoluta necessità di comporre i dissidi – assai forti! – tra turchi e iraniani: solo se questo primo passo riesce può coinvolgere altri. Ma questo naturalmente è un passo molto lungo, anche perché il disordine siriano è tale da non poter essere composto neanche su pressioni esterne.

D. – Tutto questo sembra escludere le potenze occidentali e gli Stati Uniti. Si può arrivare ad una pace senza considerare anche l’Europa e l’America?

R. – Questa non è una pace: questo è un tentativo russo di avviare un negoziato funzionale ai propri interessi! Se si arriverà a discutere di una pace vera, probabilmente tutti gli altri soggetti rientreranno in gioco, anche perché nessuna pace degna di questo nome può esistere senza misure di sostegno per tutte le componenti di una Siria che sarà inevitabilmente fratturata.

D. – Quindi finché rimane solo il pallino in mano russa questo negoziato potrebbe essere un fallimento…

R. – Questo negoziato è un modo di rendersi visibile e di prendere tempo. E’ anche molto interessante la sede scelta e cioè la capitale del Kazakistan, che è un enorme Stato ex-sovietico, guidato da un leader che sta lì dal 1991 e con cui Mosca cerca sempre di intrattenere amichevoli rapporti. Questo è anche un modo per blandire gli ex Stati di una volta…

D. – Volendo immaginare il prossimo futuro: che Siria sarà? Assad ha detto che vuole includere tutte le minoranze nella ricostruzione, anche quella cristiana…

R. – Assad fa bene a parlare di includere le minoranze, perché la sua è la minoranza alauita del 10%, almeno secondo i vecchi numeri… E’ inevitabile che ci sia una ricomposizione, ma questa ricomposizione non può che essere nella frattura non solo originale di un Paese che era un mosaico assai diversificato, ma anche dai grandi esodi – sia all’interno della Siria, sia nei Paesi vicini – di profughi che raramente potranno davvero tornare alle loro case: dovranno cercare un’altra sede… La Siria che nascerà sarà divisa almeno in due parti e non dimentichiamo che anche in Siria ci sono i curdi.

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Iraq: 10 anni fa l'uccisione di Saddam Hussein

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In Iraq continua l’offensiva dei governativi su Mosul per liberare la città dall’occupazione del sedicente Stato islamico. Oggi, intanto, ricorre il decimo anno dalla morte di Saddam Hussein, che fu presidente iracheno dal 1979 al 2003. L’ex rais, fu catturato dai militari americani a Tikrit, sua città natale, e poi impiccato dopo la condanna a morte  del tribunale speciale di Baghdad per il massacro di Dujail del 1982 in cui morirono 148 sciiti. Sulla figura di Saddam Hussein, Elvira Ragosta ha intervistato Raffaele Marchetti, docente di Relazioni Internazionali alla Luiss: 

R. – E’ stata una figura di un leader politico centrale per oltre un decennio nel Grande Medio Oriente; è stato inizialmente un alleato dell’Occidente: gli Stati Uniti l’hanno sostenuto nella guerra contro l’Iran e poi il rapporto si è capovolto, nel giro di pochi anni, con l’invasione del Kuwait, con ricadute e con il seguente intervento americano che poi ha portato alla sua uccisione.

D. – Saddam Hussein è stato al potere dal 1979 al 2003: il suo è stato un regime caratterizzato anche dai massacri dei curdi e degli sciiti …

R. – Certamente ci sono stati molti aspetti negativi del suo regime. Le minoranze hanno avuto sempre una vita molto, molto difficile: sciiti e curdi hanno sempre avuto momenti di difficilissima gestione, sono stati perseguitati, ci sono stati massacri per cui il leader è stato poi incriminato.

D. – Dalla morte di Saddam Hussein, come è cambiato l’Iraq, oggi in parte occupato dal sedicente Stato islamico?

R. – C’è stato un capovolgimento radicale del contesto geopolitico. Durante il periodo-Saddam, nel bene e nel male il Paese era stabile ed era unificato sotto la sua guida, una guida – tutto sommato – abbastanza laica e pluralista: ricordiamo figure preminenti nel suo governo che erano figure cristiane. Oggi il Paese è disaggregato, è fondamentalmente a guida sunnita; c’è una parte che è sotto il controllo dell’Isis; i curdi sono sempre più autonomi a nord, e la sua disaggregazione crea instabilità in tutto il Grande Medio Oriente. Certamente, quindi, l’uscita di scena di Saddam ha contribuito a destabilizzare l’area.

D. – A proposito dell’Is, è ripresa l’offensiva delle forze irachene appoggiate dalla coalizione internazionale per liberare Mosul, nominata capitale irachena dell’autoproclamato califfato nel 2014. Quanto è importante sconfiggere l’Is in questo momento?

R. – Certamente l’Isis è un cancro che va debellato, però questo non sarà sicuramente la fine del grande periodo di instabilità mediorientale. Rimarrà la tensione tra sunniti e sciiti; c’è tutta la questione dei curdi: dei curdi in Iraq così come dei curdi in Siria; e c’è poi la questione più generale del ruolo dell’Islam politico all’interno dei regimi mediorientali: problemi che devono ancora trovare una soluzione efficace …

D. – Che cosa prevedere per il futuro politico dell’Iraq una volta che sarà avvenuta la liberazione dalla presenza del sedicente Stato islamico?

R. – Qui ci sono due tipi di scenari: c’è uno scenario che vede un Iraq frammentato, diviso, in cui la parte a Est rimane sotto il controllo sciita, la parte a Ovest si organizza sotto una guida sunnita più indipendente, e a Nord abbiamo i curdi: una sorta di federazione dove di fatto troviamo tre aree che hanno una quasi-autonomia. L’altro scenario è, invece, la ricostituzione di uno Stato forte, unitario, stabile che certamente giocherebbe un ruolo cruciale di leadership nel Medio Oriente, ma questo secondo scenario cozza contro la fortissima presenza iraniana, sostenuta in parte dagli Stati Uniti con l’Accordo sul nucleare iraniano: quindi, questa è una questione che rimane sospesa, soprattutto se noi pensiamo agli orientamenti che sono stati annunciati dalla nuova presidenza americana di Trump che punta a rinegoziare il ruolo dell’Iran nel contesto mediorientale.

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Usa: espulsi 35 diplomatici russi coinvolti nell'attacco hacker

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Il Dipartimento di Stato americano ha disposto l’allontanamento di 35 diplomatici russi, sospettati di essere coinvolti nel presunto attacco hacker che avrebbe favorito Donald Trump nelle recenti elezioni. Sanzioni anche per quattro dirigenti dei servizi militari russi e per tre società private. “Tutti gli americani dovrebbero essere allarmati dalle azioni russe”, ha spiegato il Presidente Obama, mentre in risposta il Cremlino, che ha sempre negato ogni coinvolgimento nelle vicenda, ha chiuso la scuola anglo-americana a Mosca. Un episodio che riporta ai tempi della guerra fredda, come spiega Luigi Bonanate, docente emerito di relazioni internazionali all’università di Torino, al microfono di Michele Raviart

R. – A me, questo episodio fa venire in mente quando queste cose succedevano negli anni Cinquanta, nella vera guerra fredda che era quasi calda, insomma … Allora, avevano il significato di contenere comunque lo scontro nei limiti; adesso siamo in una situazione esattamente opposta: siamo in uno scontro nascente. Se posso aggiungere un piccolo tassello, la crisi siriana avviene senza che gli Stati Uniti ci abbiano messo becco. Chi ha deciso tutto è stata la Russia. Questo ci fa vedere che quella che è stata la massima potenza mondiale per 50 anni – gli Stati Uniti – per cui si pensava che non potesse cader foglia che gli Stati Uniti non volessero, bene, adesso cadono enormi quantità di foglie e gli Stati Uniti quasi non se ne accorgono. Di fronte a tutto ciò, ecco che arriviamo alla decisione di Obama di oggi.

D. – Parallelamente a questi 35 diplomatici, sono state colpite anche alcune società e anche degli ufficiali dei servizi di intelligence russi: come si inquadra nel discorso generale del presunto hackeraggio?

R. – Questo è uno dei lati più sgradevoli e meno controllabili di tutta la vicenda. Cioè, purtroppo, la politica internazionale è sempre stata contraddistinta da altissimi livelli di segretezza, essenzialmente spionaggio, per definizione segreto dunque non controllabile. E questo è un male nelle relazioni internazionali. Una delle grandi lotte che noi dovremmo combattere è quella contro la politica in segreto: è non dimentichiamo che la migliore definizione di democrazia che si sia mai data è quella secondo cui la democrazia è politica in pubblico; noi invece viviamo in una politica in segreto …

D. – Ora a che livello si spostano le tensioni con la Russia? Cosa c’è da aspettarsi?

R. – Ma, è difficile a dirsi, perché ovviamente questi episodi in se stessi sono poco preoccupanti, presi uno per uno; credo che in queste situazioni si debba sempre partire da una considerazione di tipo generale: che cosa vuole Putin? Putin vuole ricostituire la Grande Madre Russia, cioè farla ritornare quella grande potenza che non era più. Il protagonista, oggi, è la Russia di Putin: lo si vede anche dal modo in cui ha gestito la questione siriana, tra le pagine più dolorose della Storia contemporanea. E’ intorno a Putin che dobbiamo organizzare i nostri sguardi.

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Siberia: dopo la fine dell'Urss 25 anni di Caritas tra i ghiacciai

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Anche nel freddo della Siberia, a 3mila chilometri a est da Mosca, si è festeggiato il Natale, e proprio in questa regione la Caritas questo mese ha compiuto 25 anni. Al microfono di Francesco Gnagni, il francescano polacco padre Gracjan Piotrowski, direttore della Caritas Siberiana, parla dell'operato e della storia dell'istituzione, e del cammino che si è fatto dalla sua nascita sino ad oggi: 

R. – 25 anni fa, quando è caduta l’Unione Sovietica, il Vaticano ha fatto le strutture ecclesiastiche in Russia, due amministrazioni apostoliche, una in parte europea e l’altra in parte asiatica con la sede vescovile a Novosibirsk. Così, subito, il vescovo ha anche aperto la Caritas, nel 1991. E’ chiaro che in questo periodo difficile ci voleva un sostegno per la gente che si trovava in una situazione abbastanza precaria. E con l’aiuto della Caritas tedesca è stata costruita la Casa per l’orfanotrofio dei bambini, poi il lavoro con i senzatetto, la Casa famiglia per le ragazze in una situazione difficile, i bambini con una situazione familiare difficile, il lavoro con i malati… Così, passo dopo passo, sono passati 25 anni.

D. – I cattolici in Russia sono una piccola minoranza però la sua diocesi è la seconda diocesi per estensione al mondo, con distanze tra le parrocchie anche molto grandi...

R. – Sì, la diocesi è così grande perché ci sono pochi parrocchiani. La media della gente che viene in parrocchia in Siberia è di 100, 150 persone, anche nelle grandi città. Ufficialmente si dice infatti che i cattolici in Russia sono l’1%. Certamente in città come Mosca e Pietroburgo ce ne sono di più ma noi col nostro lavoro dobbiamo prima di tutto dare testimonianza della nostra fede, mostrare la carità di Dio verso ogni persona.

D. – Come avete passato il Natale, come vi accingete a passare queste feste? Specialmente attraverso l’operato della Caritas che prova a scaldare i cuori anche in una terra nota per le temperature non proprio tropicali…

R. – Infatti, qualche giorno prima di Natale c’era il freddo, 36 gradi sotto lo zero, e avevamo un po’ paura che la gente non uscisse dalle case… Meno male che il Natale quest’anno era di domenica perché in Russia il giorno libero di Natale è quello ortodosso, cioè il 7 di gennaio. Invece, il Natale cattolico è un giorno di lavoro. Perciò è anche difficile sentire l’atmosfera del Natale quando tutti corrono a lavorare e si preparano per il Capodanno… La società non ci pensa neanche al Natale. Noi, nel nostro piccolo dobbiamo fare in modo che la gente abbia possibilità di venire in Chiesa, di incontrarsi, di fare festa.

D. – Come avete vissuto l’incontro e l’abbraccio di Cuba tra Papa Francesco e il patriarca di Mosca Kirill?

R. – Con grande gioia e speranza perché per noi che siamo una minoranza, qui, è molto importante lo stato delle relazioni fra la Chiesa cattolica e quella ortodossa. Grazie a questo incontro la gente ha sentito che la Chiesa cattolica non è così lontana dalla Chiesa ortodossa. Spero che questo incontro porterà ancora frutti in futuro perché non può cambiare tutto così in fretta, ci vuole tempo. Sicuramente ha portato una certa apertura da parte dei vescovi ortodossi, se non da tutti i parrocchiani o preti… Ma non ho dubbi che passo dopo passo, sarà ancora meglio.

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Venezuela. Card. Urosa: la pace può arrivare solo con il sostegno di tutti

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In un messaggio che sarà letto nelle Messe di domenica 1 gennaio 2017, 50.ma Giornata mondiale della pace, l'arcivescovo di Caracas, il card. Jorge Urosa Savino, insieme ai suoi vescovi ausiliari, esprime il sentimento della Chiesa cattolica dinanzi alla situazione che vive il Venezuela. "Il non riconoscere le facoltà dell'Assemblea nazionale, ha istituito una vera e propria situazione di dittatura, ignorando la volontà popolare espressa nel dicembre 2015" si legge nel messaggio ripreso dall'agenzia Fides.

Mai prima d'ora così tanti venezuelani hanno dovuto cercare il cibo nella spazzatura!
"La sofferenza di milioni di venezuelani chiede al governo di risolvere la gravissima crisi alimentare e di farmaci che attraversiamo, causata dall'applicazione di un sistema economico sbagliato, il totalitarismo socialista che attribuisce allo Stato il controllo totale dell’economia. Mai prima d'ora così tanti venezuelani hanno dovuto cercare il cibo nella spazzatura!”

Appello a costruire insieme la pace con il dialogo vero
Malgrado le forti parole del messaggio siano indirizzate all'arcidiocesi di Caracas, il testo riflette la situazione di tutto il Paese. Alla fine, insieme alla richiesta di evitare la violenza sociale, che pesa sui più poveri, c'è l’appello a costruire insieme la pace con il dialogo vero: "Questo 2016 è stato un anno difficile, pieno di ansie e difficoltà per tutti noi. Il dialogo tra il governo e l'opposizione, che è stato una fonte di speranza per ampi settori del Paese, è seriamente messo in discussione. Indipendentemente dal futuro di questo dialogo, che dovrebbe fornire soluzioni per la grave crisi in corso, dobbiamo ricordare che il popolo chiede la pace, la sicurezza personale e sociale, e le condizioni che permettono di lavorare e vivere in pace. Questo può avvenire solo con il sostegno di tutti". (C.E.)

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Vescovi francesi: appello contro la tratta di esseri umani

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Elaborare un piano nazionale per combattere la tratta di esseri umani, affinché si prenda coscienza di un fenomeno globale che va al di là della responsabilità dei singoli Stati: questo l’appello lanciato al governo francese dalla Conferenza episcopale d’Oltralpe. La richiesta arriva tramite un messaggio, a firma di mons. Jacques Blaquart, vescovo di Orleans e presidente del Consiglio per la solidarietà, diffuso in vista della “Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di esseri umani”, in programma l’8 febbraio.

Bambini e migranti, principali vittime della tratta
Nel documento, il presule sottolinea che “la tratta è una realtà poco conosciuta”, spesso intesa come “fenomeno di altri tempi o presente in luoghi lontani, in altri continenti”. Al contrario, la tratta oggi è il risultato di diverse cause: “crisi, conflitti, catastrofi naturali, migrazioni volontarie o spontanee di popolazioni”. Tra le vittime – è la nota di mons. Blaquart – “si contano molti bambini”, così come “numerosi migranti che diventato facili prede di schiavisti”.

L’impegno della Chiesa per combattere tale crimine
Quindi, la Chiesa francese ricorda le tante organizzazioni cristiane mobilitate contro la tratta e che operano a diversi livelli: “accompagnamento delle vittime, tutela dei soggetti a rischio, formazione di personale adatto, sensibilizzazione dell’opinione pubblica”. “Tutti i minori – ribadisce il vescovo di Orleans, facendo uno specifico riferimento ai bambini migranti e rifugiati – devono essere protetti dalla tratta nelle sue diverse forme”.

L’appello al mondo politico
Ciò che occorre, dunque, è “una vera politica pubblica” per combattere tale crimine ed essa va attuata attraverso specifiche misure sociali: “alloggio, alimentazione, salute, scolarizzazione o formazione professionale, accompagnamento giuridico, riconoscimento dello statuto di vittima a tutti i minori oggetti della tratta”.

Una “Giornata di preghiera” voluta da Papa Francesco
Istituita da Papa Francesco nel 2015, la “Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di esseri umani” ricorre l’8 febbraio, nella memoria liturgica di Santa Giuseppina Bakhita, schiava sudanese all’età di 9 anni, divenuta poi religiosa canossiana. (I.P.)

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Istat, economia cresce. Bentivogli (Fim Cisl): puntare sull'industria

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L’economia crescerà in modo positivo anche nei prossimi mesi. E’ quanto viene scritto nella nota mensile dell’Istat, che però mette in luce come in Italia il tasso di disoccupazione rimanga ancora superiore alla media degli altri paesi Ue. Alessandro Guarasci

L’Istat vede il bicchiere mezzo pieno. Dunque, mentre nell'area euro la crescita della produzione prosegue su toni moderati, in Italia ci sono segnali positivi: dunque, aumentano gli ordinativi del settore manifatturiero, migliora il giudizio dei consumatori. Siamo in una fase espansiva che proseguirà anche nel 2017. Segnali di debolezza continuano ad arrivare invece dal mercato del lavoro. La disoccupazione è all’11,6%, di più della media Ue, ma almeno calano gli inattivi, coloro che sono talmente scoraggiati da non cercare nemmeno lavoro. Marco Bentivogli, segretario generale dei metalmeccanici Cisl (Fim)

R. – E’ evidente che la crisi, così come l’abbiamo conosciuta, inizia ad allentare la sua morsa. Purtroppo c’è ancora una sfiducia piuttosto diffusa e gli investimenti e le assunzioni che in altre fasi con questi dati si sarebbero fatte, adesso sono rallentate. Per cui è certo che bisogna valorizzare le cose che vanno bene però il settore industriale, quello che io rappresento dal punto di vista sindacale, ha ancora forti difficoltà.

D. – Possiamo pensare che una parte dei problemi si riduca rivedendo il funzionamento dei voucher?

R. – No, assolutamente. La questione voucher è stata ovviamente strumentalizzata dentro un dibattito politico. Ricordo a tutti che i voucher sono stati sostanzialmente liberalizzati dal governo Monti. Sono nati nel 2008 e l’esplosione che c’è stata è ancora su soglie molto ridotte rispetto all’utilizzo che si fa di strumenti di questo tipo in altri Paesi. Ricordo a tutti che a 400 euro al mese in Germania ci sono i mini jobs che riguardano milioni di lavoratori e non, alcune centinaia di migliaia, come i lavoratori che in Italia utilizzano i voucher. Lo strumento dei voucher va ricondotto alla sua necessità iniziale per cui quello di coprire prestazioni occasionali. Si tratta solo di rialzare la testa e la guardia sui controlli, cosa che si è fatta sempre meno negli ultimi 20 anni.

D. – Una cosa che voi chiedete per il 2017 per rilanciare l’occupazione?

R. – Bisogna fare in modo che si faccia una vera politica per il lavoro e per noi questa politica si fa facendo ripartire l’industria. Noi abbiamo il settore creditizio, le infrastrutture, la burocrazia, la formazione, l’accesso alla possibilità di innovazione, l’energia, una politica energetica  nazionale vera. Io non dico che la riforma del mercato del lavoro non serve, ma per rendere l’habitat più favorevole per le imprese questi interventi sono assolutamente molto più urgenti.

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Azzardo, è nuovo record. Don Zappolini: politica è colpevole

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Nuove cifre da record sul gioco d'azzardo in Italia: considerando anche la crisi economica, sale dell'8% la quantità totale di denaro impiegato nelle scommesse, che si attesta a 95 miliardi di euro. Con una quantità di tasse incassate dallo Stato pari a 18,5 mld, più 24% rispetto al 2015. Francesco Gnagni ha sentito Don Armando Zappolini, direttore del Coordinamento nazionale Comunità di accoglienza e portavoce della Campagna contro il gioco d'azzardo “Mettiamoci in gioco”: 

R. – Sono estremamente preoccupanti; sono dati che fanno vedere davvero quale sia la linea del governo. A parte le dichiarazioni, vicinanze, sensibilità... però poi di fatto non si incide nella sostanza del problema: le fasce più deboli sono quelle che più sono colpite da questo fenomeno, le macchinette, sia le slot che le Vlt, sono quelle che portano più del 5% delle entrate … C’è un sistema sempre più diffuso sulle spalle della vita delle persone; questa è una cosa sempre più inaccettabile.

D. - Le istituzioni non fanno che restare in silenzio su questo tema. Per esempio, per quanto riguarda la riduzione delle slot machine, anche nel 2016 non c’è stata traccia e pare che anche nel prossimo decreto Milleproroghe non si farà nulla. Questo problema verrà eluso. Perché secondo lei?

R. - Viene eluso intanto perché ci sono grandi interessi dietro; se il 51% delle persone ha giocato i soldi nelle slot o nelle Vlt la riduzione delle slot in realtà è anche un po’ un bluff perché di fatto le Vlt sono quelle molto più aggressive che producono maggiori incassi di denaro maggiori; quindi tolgono quelle dove si giocano le monete e si mettono quelle dove si giocano le banconote. Sarebbe positivo - noi abbiamo apprezzato questo proposito, ma anche qui, proposito  che non si è realizzato -  limitare questa diffusione ormai universale, quindi togliere le macchinette dai piccoli negozi, dalle ricevitorie, dagli uffici postali, dai supermercati, dalle stazioni, … Quindi, intanto dedicarle in sale più limitate. Però la sostanza non è incidere sull’offerta; la sostanza è incidere sulla domanda. È una politica che fa buoni propositi; intanto ci danno qualche persona vicina che dà testimonianza di sensibilità e fanno provvedimenti, spot che non toccano la quesitone del problema e continuano a fare soldi sulle povere persone. Questo è politicamente inaccettabile e qualcuno dovrà rendere conto a livello politico di questo prima o poi.

D. - Cosa spinge giovani anziani padri di famiglie a dilapidare stipendi nell’azzardo fino al punto di diventarne dipendenti? Quali e dove sono le cause? L’unico modo per fermare questa dipendenza secondo lei è il divieto imposto per legge oppure ci sono anche altre soluzioni come stare vicino a queste persone, ai loro problemi?

R. - Intanto si gioca come fenomeno culturale, quindi è chiaro che va fatta una Campagna a lungo termine sul modello di vita, sulla società e sul rapporto con il denaro. Quindi bisogna togliere questa idea della fortuna  come la soluzione dei problemi. Nel caso specifico delle fasce economicamente più deboli c’è l’aggressione pubblicitaria colpevole di diffondere messaggi sul vincere facile; questo colpisce fasce più precarie a livello economico. Questa è la cosa sbagliata: dare messaggi volutamente sbagliati a fasce deboli della popolazione che sono quelle che dovrebbero essere maggiormente tutelate. Penso che il divieto assoluto di pubblicità non sia la soluzione che risolve tutto, però sicuramente sarebbe un passo in avanti. Poi è chiaro che c’è bisogno di un grosso intervento educativo e culturale.

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Canada: sì dei vescovi a progetto di legge sulle cure palliative

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“Solo una strategia nazionale di cure palliative assicurerà ai canadesi giunti alla fine della vita un’assistenza rispettosa e degna della loro umanità”: lo scrive Michèle Boulva, direttrice esecutiva dell’Organismo cattolico per la vita e la famiglia (Ocvf), legato alla Conferenza episcopale canadese (Cecc-Cccb),  nella lettera inviata di recente ai deputati federali sul progetto di legge C-277.

Solo il 30% dei canadesi hanno accesso alle cure palliative
Il testo prevede l’introduzione di un quadro normativo in grado di garantire l’accesso a cure palliative di alta qualità a tutti i canadesi. Si tratta di “un orientamento determinante che permetterà di sostenere concretamente i malati”, afferma la responsabile dell’ organismo. Per questo l’Ocvf incoraggia i membri del parlamento ad adottare il progetto di legge, ricordandone l’urgenza, dal momento che si stima che “solo il 30% dei canadesi hanno accesso alle cure palliative quando ne hanno bisogno”.

Le cure palliative una  risposta compassionevole
Il 15 novembre scorso erano stati i rappresentanti religiosi ortodossi, protestanti, musulmani ed ebrei, insieme al presidente della Conferenza episcopale, David Douglas Crosby a scrivere una lettera alla relatrice della legge Marilyn Gladu.  “La compassione  è un elemento basilare della società canadese e un principio essenziale delle nostre rispettive tradizioni religiose – affermava la missiva. Crediamo che le cure palliative siano una risposta compassionevole per coloro che sono alle prese con la malattia o che arrivano al termine della vita. Costituiscono una pratica che riguarda tutta la persona, rispetta la dignità umana e dona conforto ai più vulnerabili tra noi”.

Una strategia di cure palliative per tutto il Canada
​A giugno – riporta L’Osservatore Romano - gli stessi responsabili religiosi avevano diffuso una dichiarazione comune con la quale chiedevano al governo di elaborare una “strategia  di cure palliative e per il fine vita per tutto il Canada in modo da rispondere al bisogno di assistenza di qualità superiore di tutti. Un piano da realizzare aumentando la presenza e l’accessibilità dei servizi essenziali e dei centri di cura in tutte le città, migliorando la qualità e la continuità dell’assistenza, offrendo maggiore sostegno ai familiari assistenti sotto forma di vantaggi finanziari e fiscali, assicurando che il sistema di cure sanitarie rispetti i bisogni psicosociali e spirituali dei pazienti e delle loro famiglie lungo tutto il percorso verso la morte. (L.Z.)

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Ad Acquasparta in corso 23.ma edizione del Presepe vivente

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23.ma edizione del Presepe vivente di Acquasparta organizzato dalla parrocchia e dalla Confraternita di San Giuseppe con il supporto di 200 volontari. L’iniziativa è partita con grande successo il 26 dicembre e replicherà il 1° e l’8 gennaio a Palazzo Cesi nel comune ternano e il 6 gennaio con la partecipazione al corteo “Viva la Befana” organizzato a Roma. Giulia Angelucci ne ha parlato con don Alessandro Fortunati, parroco di Santa Cecilia ad Acquasparta: 

R. – Il Presepe vivente di Acquasparta viene organizzato ormai da 23 anni dalla parrocchia e dalla Confraternità di San Giuseppe. Naturalmente, c’è una collaborazione con il Comune. Quest’anno c’è un’ulteriore collaborazione con l’ente “Il rinascimento di Acquasparta”, che cura l’omonima festa durante il periodo estivo. Quest’anno abbiamo avuto dei problemi legati al sisma, soprattutto quello del 30 ottobre, che hanno reso problematica l’organizzazione del centro storico e quindi c’è stata l’intuizione di poter sfruttare il palazzo storico che è nel centro di Acquasparta, che è il Palazzo Cesi. Abbiamo allestito la rappresentazione nel pian terreno, nei giardini del Palazzo, in una parte dei sotterranei che per la prima volta vengono aperti al pubblico. La particolarità di questo Presepe è il messaggio che viene veicolato attraverso delle rappresentazioni a ciclo continuo. In particolare c’è, quest’anno, la fusione tra il simbolo dei Re Magi legato a quello di Galileo Galilei, perché Galilei visse in questo palazzo sul finire dell’inverno del 1624. L’abbiamo riletto come uno dei Magi che cerca nelle stelle qualcosa che va oltre un viaggio: il senso della sua esistenza. Ci sono anche rappresentazioni di mestieri, di attività legate alla nostra tradizione e anche all’epoca della nascita di Gesù.

D. – Come cambia il senso di questo vostro Presepe vivente dopo i disastrosi eventi sismici?

R. – Noi siamo stati toccati relativamente dai recenti eventi sismici: una quarantina di case lesionate, tutte le chiese lesionate, il centro storico ha subito un colpo abbastanza grave con un certo spopolamento e un progressivo abbandono, ma anche un segno di rinascita, di coinvolgimento delle persone: ci sono tanti volontari, tanti giovani, anche. Vogliamo dare il senso della continuità e anche un po’ della novità.

D. – In questa programmazione ci sarà anche l’iniziativa a Roma, con il corteo di “Viva la Befana” …

R. – Non solamente Acquasparta ma anche altri quattro comuni della Bassa Umbria sono stati coinvolti in un grande corteo per accompagnare i Magi da Castel Sant’Angelo fino a Piazza San Pietro: è un segno di comunione con tutta la Chiesa, di unità anche fra i comuni di questo comprensorio e anche di promozione del territorio stesso; non solamente il Presepe vivente ma anche le altre associazioni che promuovono il territorio. Abbiamo già avuto con discreto successo la prima uscita del Presepe il 26 dicembre e abbiamo le altre due il primo e l’8 gennaio.

D. – Qual è la situazione dell’artigianato a Terni, in Umbria, anche ad Acquasparta stessa dove lei risiede?

R. – Questa nostra zona ha vissuto molto il legame con le acciaierie di Terni. Da un lato, ha penalizzato molto l’artigianato locale legato soprattutto ai “cocciari”, cioè alla produzione di ceramiche, ma anche altro piccolo artigianato. C’è una riscoperta, anche, dell’agricoltura e dell’artigianato locale legato anche a piccole imprese familiari. E’ faticoso perché la nostra zona sta subendo anche un progressivo spopolamento dovuto al calo demografico, alla diminuzione dell’immigrazione. Il presepe è anche un segno di valorizzazione, di promozione del territorio, di vicinanza alle persone che ancora tenacemente mantengono vive anche alcune tradizioni dell’artigianato legate, appunto, alla falegnameria, alla realizzazione dei cesti di vimini e ad altre piccole attività, magari condotte a livello familiare come il ricamo e altre ancora, che costituiscono la nostra tradizione artigiana.

Soddisfazione per l’iniziativa da parte di Roberto Romani, sindaco di Acquasparta: 

R. – Il presepe vivente di Acquasparta è ormai una tradizione consolidata che si svolge nel centro storico da alcuni anni; anzitutto, ripropone ai numerosissimi visitatori la bellezza dell’antico oppidum e i vari mestieri che per secoli sono stati praticati dai nostri antenati: il fabbro, il falegname, il calzolaio e il barbiere. La novità di quest’anno è che il presepe vivente è ambientato nel complesso monumentale di Palazzo Cesi e le varie scene che sono in esso rappresentate riguardano: in una prima parte, scene di vita rinascimentale per poi riprendere le varie arti e i vari mestieri dei nostri antenati e per concludersi nella Grotta dove è rappresentata la Natività. Nella prima giornata del 26 dicembre abbiamo contato oltre 1.500 presenze; la cornice importante di Palazzo Cesi qualifica ancor di più il già apprezzato presepe vivente. Palazzo Cesi, come molti sanno, è stato la sede storica dell’Accademia dei Lincei.

D. – Qual è la situazione dell’artigianato di Acquasparta, di Terni e più in generale dell’Umbria?

R. – Noi siamo stati lambiti dal terremoto, ma comunque abbiamo avuto alcuni danni che hanno riguardato alcune case e anche alcune attività, e quindi abbiamo aderito all’Ufficio unico per la ricostruzione; stiamo ripartendo, il presepe vivente è stato un’occasione per riprendere le attività normali di un borgo come quello di Acquasparta, un caratteristico borgo umbro, e quindi è stato un modo innanzitutto per la popolazione per sentirsi coinvolta, di partecipare, di riprendere il cammino, tutti insieme, e di attrarre turisti che così sono tornati nei nostri territori.

D. – Quanto è importante per voi partecipare anche a quest’altro tipo di iniziativa?

R. – Bè, abbiamo colto quest’opportunità di partecipare il 6 gennaio, a Roma, insieme ad altri comuni della Bassa Umbria – San Gemini, Amelia, Otricoli, Giove e anche Acquasparta – abbiamo messo insieme tutte le associazioni folkloristiche e culturali di cui il nostro territorio dei cinque comuni appena citati è molto ricco; sfileremo per Via della Conciliazione fino a Piazza San Pietro: per noi sarà un grande onore e una soddisfazione. Cercheremo di essere all’altezza e presenteremo in quella giornata ciò che di meglio abbiamo nei nostri luoghi. Saremo noi ad andare a Roma a far conoscere una parte, un pezzo della nostra storia, del nostro folklore e della nostra tradizione.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 365

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.