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Sommario del 03/02/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: vera giustizia è il perdono, Dio vuole salvare tutti

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Dio non cerca mai la condanna di un peccatore ma la sua salvezza, perché “la giustizia di Dio è il perdono”. Il pensiero-cardine del Pontificato di Francesco è stato ripetuto durante la catechesi dell’udienza generale in Piazza San Pietro, dedicata al rapporto tra giustizia e misericordia. Nel ringraziare alla fine l’esibizione di un gruppo di circensi, il Papa ha poi osservato: ciò che è bello ha bisogno di lavoro, la vita “senza sforzo” è una tentazione. Il servizio di Alessandro De Carolis

Per redimere un colpevole la giustizia umana lo condanna e lo punisce, quella divina lo comprende e lo perdona. Quello che sulla terra appare del tutto inconciliabile – il diritto scritto nei codici non si basa sull’esercizio della misericordia – è invece legge nel cielo perché, afferma in modo limpido Papa Francesco, “la giustizia di Dio è il perdono”.

Il tribunale della coscienza
La catechesi tenuta in Piazza San Pietro si addentra in un ambito in partenza ostico. Chi amministra la giustizia, spiega Francesco, lo fa in modo “retributivo”, infliggendo cioè una pena al colpevole. Ma questa strada, osserva, “non porta ancora alla vera giustizia perché in realtà non vince il male, ma semplicemente lo argina”. “Vera giustizia”, sostiene il Papa, è invece quella di Dio, che risponde al male “con il bene”. Una giustizia che non passa per il tribunale ma si appella alla coscienza del colpevole, “per invitarlo alla conversione, aiutandolo a capire che sta facendo il male”:

“E questo è bello: la persuasione. Questo è male, questo è così… Il cuore si apre al perdono che gli viene offerto. È questo il modo di risolvere i contrasti all’interno delle famiglie, nelle relazioni tra sposi o tra genitori e figli, dove l’offeso ama il colpevole e desidera salvare la relazione che lo lega all’altro. Non tagliare quella relazione, quel rapporto”.

La giustizia del perdono
“Certo – riconosce il Papa – questo è un cammino difficile” e ne indica il perché:

“Richiede che chi ha subìto il torto sia pronto a perdonare e desideri la salvezza e il bene di chi lo ha offeso. Ma solo così la giustizia può trionfare, perché, se il colpevole riconosce il male fatto e smette di farlo, ecco che il male non c’è più, e colui che era ingiusto diventa giusto, perché perdonato e aiutato a ritrovare la via del bene. E qui c’entra proprio il perdono, la misericordia”.

Dio vuole salvare tutti
Ed ecco la legge che, assicura Francesco, “è il cuore di Dio”, un Padre buono che nei confronti di ogni peccatore “continuamente” offre il suo perdono, giacché “non vuole la nostra condanna, ma la nostra salvezza”:

“Dio non vuole la condanna si nessuno, di nessuno! Qualcuno di voi potrà farmi la domanda: “Ma Padre, la condanna di Pilato se la meritava? Dio la voleva?” – “No! Dio voleva salvare Pilato e anche Giuda, tutti! Lui il Signore della misericordia vuole salvare tutti!”. Il problema è lasciare che Lui entri nel cuore”.

Trovare un “padre” nel confessionale
Una condizione, quella del pentirsi del male fatto, che entra nella dinamica cristiana del Sacramento della Riconciliazione. E qui, Papa Francesco, tagliando l’ultima parte della catechesi scritta, si lancia in un nuovo e appassionato appello spontaneo alla misericordia nel confessionale:

”Nel confessionale tutti andiamo a trovare un padre; un padre che ci aiuti a cambiare vita; un padre che ci dia la forza di andare avanti; un padre che ci perdoni in nome di Dio. E per questo essere confessori è una responsabilità tanto grande, tanto grande, perché quel figlio, quella figlia che viene da te cerca soltanto di trovare un padre. E tu, prete, che sei lì nel confessionale, tu stai lì al posto del Padre che fa giustizia con la sua misericordia”.

I mediocri non si sforzano
Anche in questa occasione il momento dei saluti ai gruppi di fedeli in Piazza è stato rallegrato dall’esibizione di alcuni artisti dell’American Circus. Osservando i numeri e l’abilità posta nell’eseguirli, Francesco ha tratto un insegnamento di portata universale:

“Questo non si improvvisa. Dietro questo spettacolo di bellezza, ci sono ore e ore e ore di allenamento che danno fastidio (...) e questo è un esempio per tutti noi, perché la seduzione della vita facile, trovare un fine buono senza sforzo, è una tentazione e voi con questo che avete fatto oggi e con l’allenamento che c’è dietro ci date una testimonianza che la vita senza sforzarsi continuamente è una vita mediocre”.

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Francesco: vengo in Messico per essere strumento di pace

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Rinnovamento spirituale, lotta alla corruzione e alla violenza, impegno per il dialogo e la pace. Sono i temi forti che Papa Francesco ha affrontato in un’intervista all’agenzia informativa messicana “Notimex” a pochi giorni dal suo viaggio apostolico in Messico che si svolgerà dal 12 al 18 febbraio. L’agenzia di stampa ha raccolto una serie di domande da parte di cittadini messicani per realizzare una video-intervista al Pontefice, registrata nei giorni scorsi a Casa Santa Marta. Filo conduttore di tutte le risposte di Francesco la sua devozione filiale per la Vergine di Guadalupe. Il servizio di Alessandro Gisotti

“In Messico voglio essere uno strumento di pace”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nell’intervista all’agenzia di Stato messicana “Notimex”. Il Papa precisa che vuole essere “strumento di pace” assieme a tutto il popolo messicano. “Da solo – annota – non potrei, sarebbe una follia”. “Il Messico della violenza, della corruzione, del traffico di droga – aggiunge – non è il Messico che vuole la nostra Madre” di Guadalupe. Vengo in Messico, riprende, “per pregare con voi affinché i problemi di violenza e corruzione” si “risolvano”. Vengo, incalza, “per esortarvi a lottare ogni giorno contro la corruzione, contro la guerra, contro la divisione, il crimine organizzato, contro il traffico degli esseri umani”. E sottolinea che “bisogna combattere ogni giorno per la pace, non per la guerra”. 

La pace è un lavoro quotidiano che nasce dal dialogo
La pace, ribadisce Francesco, “è un lavoro artigianale, un lavoro di tutti giorni” che si vede “nel modo come educo un bambino o come accarezzo un bambino”. Questi sono “tutti semi di pace”. La pace, dice ancora, “nasce dalla tenerezza, dalla comprensione”. E mette l’accento sul dialogo, “la parola chiave della pace”: “dialogo tra i dirigenti, con il popolo e dentro il popolo”. Nella famiglia come nei quartieri, avverte, bisogna dialogare, “essere aperti a parlare con gli altri, ascoltare le ragioni altrui, lasciarsi correggere”. Ma si può dialogare con un delinquente, si chiede il Papa? “Possiamo dialogare con chi può cambiare il cuore di questo delinquente”, è la sua risposta. Ancora esorta a “non entrare in alcun intreccio che per guadagnare denaro, mi renda schiavo tutta la vita in una guerra interna e mi toglie la libertà, giacché la pace dà la libertà”. “Abbiamo la stessa Madre – prosegue – parliamo un momento con Lei”. Francesco incoraggia a chiedere dunque alla Vergine di Guadalupe il dono della pace, “la pace del cuore, della famiglia, della città, di tutto il Paese”.

Quando ho un problema, mi affido alla Vergine di Guadalupe
Francesco si sofferma ampiamente sulla sua devozione per la Madonna di Guadalupe che, ricorda, ha visitato due volte: la prima per un incontro di gesuiti negli anni ’70, la seconda per un viaggio di Giovanni Paolo II vent’anni dopo. Spesso, confida il Papa, “quando ho paura di qualche problema”, “ripeto a me stesso le parole” della Vergine a Juan Diego: “Non avere paura, non ci sono qui io che sono tua madre?”. A volte, prosegue, “mi pongo davanti alla sua immagine e resto a guardarla”, “sento che è Madre, che cura, che protegge, che porta avanti un popolo, una famiglia”, che ti accarezza con tenerezza e fa sparire la paura. “Una delle due volte che l’ho visitata – racconta – mi volevano spiegare l’immagine, ma ho preferito di no, ho preferito rimanere in silenzio a guardarla”. Questa immagine “dice molto, è un immagine eloquente, l’immagine di una Madre che dà riparo, che cura, che è coinvolta con il suo popolo”. Francesco rivela poi che, proprio poco prima di venire a Roma per il Conclave, stava pensando di far costruire a Buenos Aires una chiesa dedicata a San Juan Diego, patrono dei fiorai. E afferma che la Madre è “il grande fiore del Messico”.

La fede sia sempre in cammino e in uscita
Il Papa non manca poi di parlare del “rinnovamento spirituale” dei messicani che auspica da questa sua visita. “Io – afferma – vengo per servirvi, per essere un servitore della vostra fede” perché “è per questo motivo che sono diventato sacerdote, per servire, perché ho sentito questa vocazione a servire la vostra fede, la fede del popolo”. Questa fede, riprende, deve “uscire fuori e porsi nella vita di tutti i giorni, una fede pubblica”. E la fede, prosegue, “si fa forte soprattutto nei momenti di crisi”. E’ vero, constata, che “oggi c’è una crisi di fede nel mondo, ma al tempo stesso abbiamo una grande benedizione e un gran desiderio che la fede esca, che la fede si faccia missionaria, che la fede non sia imbottigliata come in un barattolo di latta”. “La nostra fede – ribadisce – non è una fede da museo, la Chiesa non è un museo, la nostra fede nasce dal contatto, dal dialogo con Gesù”; è una fede che “deve uscire nelle strade” e “non solo per una processione”, deve arrivare “nei luoghi di lavoro, a scuola, in famiglia”, altrimenti “non serve”. La fede, afferma ancora una volta, “deve essere in cammino come Gesù”. Il Papa avverte che “non dobbiamo rimanere rinchiusi con il nostro Gesù e non lasciarlo uscire, perché Gesù esce con noi, se noi non usciamo, non esce neanche Lui”. Di qui l’invito a “rinnovare la fede”, renderla “in uscita, in cammino” senza paura dei conflitti. “La fede – rimarca – deve essere la mia ispirazione a coinvolgermi con il popolo, e questo comporta dei rischi, dei pericoli”.

Vengo in Messico a farmi contagiare dalla vostra fede
“Io – afferma il Papa – non vengo in Messico come un Re Magio, carico di cose da portare”, vengo piuttosto “come un pellegrino a cercare che il popolo messicano mi dia qualcosa”. “Tranquilli – scherza – non vengo a passare con il cestino, però vengo a cercare la ricchezza della fede che voi avete, vengo a farmi contagiare dalla ricchezza di questa fede”. Voi, dice Francesco, “non siete un popolo orfano, perché vi gloriate di avere una Madre e quando un uomo o una donna o un popolo non si dimentica di sua Madre, si riceve una ricchezza che non si riesce a descrivere”. E ricorda il detto che dice che “anche un messicano ateo è guadalupano”. La Madre, conclude, “questa è la grande ricchezza che vengo a cercare in Messico”.

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Papa: consacrati siano uomini e donne dell'incontro

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Nel giorno in cui la Chiesa ha celebrato la Festa della Presentazione di Gesù al tempio, si è concluso l’Anno della Vita Consacrata, iniziato il 30 novembre del 2014. Nella Santa Messa presieduta nella Basilica di San Pietro, Papa Francesco ha esortato le persone consacrate ad essere uomini e donne dell’incontro, custodi dello stupore, e a vivere la gioia della gratitudine. L'Anno della Vita Consacrata - ha detto - è stato "vissuto con tanto entusiasmo" e ora, "come un fiume", "confluisce nel mare della misericordia, in questo immenso mistero di amore che stiamo sperimentando con il Giubileo straordinario". Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Un bambino come tanti, ma unico, “ci ha portato la misericordia e la tenerezza di Dio”. E’ Gesù, il volto della Misericordia del Padre, la  novità e il compimento - ha detto il Papa - che “si presenta a noi come la perenne sorpresa di Dio”. “I consacrati e le consacrate – ha aggiunto il Pontefice – sono chiamati ad essere uomini e donne dell’incontro”, ad essere “segno concreto e profetico della vicinanza di Dio”:

“Tutte le forme di vita consacrata, ognuna secondo le sue caratteristiche, sono chiamate ad essere in stato permanente di missione, condividendo le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di coloro che soffrono”.

Gesù è “la novità che fa nuove tutte le cose”. “Chi incontra davvero Gesù - ha ricordato il Santo Padre - non può rimanere uguale a prima”. Diventa testimone, rende possibile l’incontro per gli altri:

“E si fa anche promotore della cultura dell’incontro, evitando l’autoreferenzialità che ci fa rimanere chiusi in noi stessi”.

Riferendosi alla Festa della Presentazione di Gesù al tempio, Papa Francesco ha ricordato che Giuseppe e Maria “si stupivano delle cose” che si dicevano di loro Figlio. “Anche noi come cristiani e come persone consacrate – ha affermato il Santo Padre - siamo custodi dello stupore”:

“Uno stupore che chiede di essere sempre rinnovato; guai all’abitudine nella vita spirituale; guai a cristallizzare i nostri carismi in una dottrina astratta: i carismi dei fondatori – come ho detto altre volte – non sono da sigillare in bottiglia, non sono pezzi da museo. I nostri fondatori sono stati mossi dallo Spirito e non hanno avuto paura di sporcarsi le mani con la vita quotidiana, con i problemi della gente, percorrendo con coraggio le periferie geografiche ed esistenziali”.

I fondatori degli istituti di vita consacrata – ha detto il Papa - hanno custodito nel loro cuore lo stupore per l’incontro con Cristo:

“Non si sono fermati davanti agli ostacoli e alle incomprensioni degli altri, perché hanno mantenuto nel cuore lo stupore per l’incontro con Cristo. Non hanno addomesticato la grazia del Vangelo; hanno avuto sempre nel cuore una sana inquietudine per il Signore, un desiderio struggente di portarlo agli altri, come hanno fatto Maria e Giuseppe nel tempio. Anche noi siamo chiamati oggi a compiere scelte profetiche e coraggiose”.

Impariamo a vivere con gratitudine - ha detto infine il Pontefice – l’incontro con Gesù e il dono della vocazione:

“Com’è bello quando incontriamo il volto felice di persone consacrate, magari già avanti negli anni come Simeone o Anna, contente e piene di gratitudine per la propria vocazione. Questa è una parola che può sintetizzare tutto quello che abbiamo vissuto in questo Anno della Vita Consacrata: gratitudine per il dono dello Spirito Santo, che sempre anima la Chiesa attraverso i diversi carismi”.

Dopo la Santa Messa, Papa Francesco ha parlato a braccio dal sagrato della Basilica di San Pietro. Il Santo Padre ha esortato a non dimenticare “la prima chiamata”, a ricordare lo stupore di quella vocazione. Il Pontefice ha anche sottolineato che “il midollo della vita consacrata è la preghiera”. “Continuate – ha concluso il Papa - a lavorare e a guardare al domani con speranza, chiedendo sempre al Signore che ci mandi nuove vocazioni, così la nostra opera di consacrazione potrà andare avanti”.

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Parolin in Slovenia: accogliere migranti, difendere famiglia

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Seconda giornata oggi della visita in Slovenia del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, in occasione dell’inaugurazione della nuova nunziatura apostolica a Lubiana, dove ha incontrato le massime autorità dello Stato. Il servizio di Roberta Gisotti

“Offrire una voce morale” “nelle relazioni internazionali”, “ricordare l’esistenza di valori trascendenti” e “difendere i pilastri su cui si regge ogni società civile, come la famiglia, sottoposti a forti pressioni da una complessa interazione di forze nel mondo di oggi”. Così il cardinale Parolin inaugurando stamane la nuova sede della rappresentanza pontificia nella capitale della Slovenia, ponendo in risalto “l’accresciuto ruolo” di questo Paese di “tradizione cristiana”, in seno alla comunità internazionale. Il cardinale Parolin è giunto sul luogo dopo aver incontrato il presidente della Repubblica, Borut Pahor, mentre ieri si è intrattenuto con il primo ministro, Miro Cerar, prima di celebrare la Messa nella cattedrale, a conclusione dell’Anno della Vita consacrata.

Domani visita al campo profughi
Rivolto a tutti i fedeli, in particolare ai consacrati e consacrate il porporato ha invitato durante l’omelia a “non perdere di vista le cose fondamentali, evitando il rischio di tralasciare l’importante per l’urgente, l’essenziale per il contingente. Tra le mille occupazioni e i tanti interessi tra le tante cose da fare e da seguire - ha sollecitato - rimanga sempre lo spazio per alimentare ogni giorno il rapporto personale con il Signore”. Prevista domani per il cardinale Parolin una visita al campo profughi di Dobova. Proprio il tema dell’immigrazione è stato al centro dell’incontro tra il segretario di Stato Vaticano e il primo ministro Cerar e della dichiarazione congiunta rilasciata presso la sede del governo sloveno. Tema, è stato sottolineato dal porporato, “tra i più urgenti, importanti e delicati che il mondo si trova ad affrontare".

“Vorrei riconoscere gli sforzi che sta facendo la Slovenia per risolvere in maniera umana e solidale questa questione, punto sul quale il Papa insiste, contro una cultura dell’indifferenza e dello scarto, che rischia di mettere da parte le persone più deboli e più vulnerabili”.

“Non si tratta - ha osservato il cardinale Parolin - di lasciare solo alcun Paese”:

“...ma si tratta di mettersi insieme. L’Europa ha le risorse, ha i valori per trovare risposta a questo problema”.

Lottare contro la povertà
Raccomandando di rimuovere le cause di questi esodi, conflitti e povertà. Ha poi elogiando i buoni rapporti tra Santa Sede e Slovenia, dove la  Chiesa cattolica è maggioritaria:

“Più Stato e Chiesa cercano di collaborare, più questo andrà a beneficio della popolazione e delle fasce anche più deboli e più vulnerabili, senza togliere nulla a quello che ormai nella nostra società pluralistica è un dato di fatto: che lo Stato deve avere relazioni con tutte le confessioni religiose”.

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Papa ringrazia Trento per il Presepe: da San Pietro andrà a Betlemme

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Papa Francesco, all'udienza generale, ha salutato i fedeli di Trento, accompagnati dall’arcivescovo Luigi Bressan e dalle autorità della Provincia autonoma, ringraziandoli per l’allestimento del Presepio in Piazza San Pietro, realizzato dai maestri scultori di Tesero, e che "tanti pellegrini hanno potuto ammirare" da fine novembre. Nel pomeriggio, la cerimonia di chiusura del Presepe alla presenza del presule e del presidente della Provincia Ugo Rossi. Da qui, verrà portato a Betlemme per continuare a portare un messaggio di pace e di speranza.

Mons. Bressan: un grande onore per il nostro popolo
L’allestimento composto di 24 figure a grandezza naturale in legno scolpito e dipinto, proveniente dalla Magnifica Comunità di Fiemme, e certificato Pefc, riproduce le tipiche costruzioni rurali del Trentino. “E’ stato un grande onore per il nostro popolo - ha spiegato mons. Bressan - Papa Francesco ha avuto l’opportunità di contemplarlo più volte e milioni di persone lo hanno potuto ammirare. Ora c’è un po’ di nostalgia nel vedere terminare questa esposizione, ma nello stesso tempo, una grande gioia nel sapere che il nostro Presepe possa andare in Terra Santa ed essere testimonianza di quella fraternità che Gesù ha portato tra noi e della quale vogliamo essere costruttori”. "E' una scelta che ci riempie di orgoglio - ha spiegato Mauro Gilmozzi, assessore alle Infrastrutture e all'Ambiente della Provincia - ed è un grande riconoscimento alle eccellenze del nostro artigianato e alla dedizione dei nostri cittadini che da secoli si impegnano per tenere viva la tradizione del Presepe". (A cura di Marina Tomarro)

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Card Erdő: grati al Papa per il Congresso eucaristico a Budapest

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Il Congresso eucaristico internazionale celebrato di recente a Cebu, nelle Filippine, si è concluso con l’annuncio di Papa Francesco che, in un videomessaggio, ha indicato in Budapest la sede del prossimo appuntamento del 2020. Al microfono del responsabile del Programma ungherese della nostra emittente, Laszlo Vertesaljai, il cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest e Primate d'Ungheria, racconta come sia stata accolta a Cebu questa decisione del Papa: 

R. – Prima di tutto già lì, alla Statio Orbis, alla fine della celebrazione, abbiamo seguito il messaggio del Santo Padre. Con la delegazione ungherese abbiamo gridato con gioia “Viva il Santo Padre” e lo abbiamo ringraziato pubblicamente di questa sua splendida decisione. E infatti la delegazione ungherese, che era presente a Cebu, composta da vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli laici, attraverso il legato pontificio, il cardinale Charles Bo, ha già ringraziato personalmente il Santo Padre. Per noi sicuramente l’esperienza fatta nelle Isole Filippine ha mostrato quanta possibilità si nasconda già nella preparazione di un Congresso eucaristico internazionale. Certamente, abbiamo i ricordi del Congresso eucaristico del ’38. Pure in quell’anno infatti abbiamo potuto organizzare il Congresso internazionale dopo il Congresso eucaristico di Manila. Quindi, come se fosse una legge della natura: dopo le Isole Filippine tocca all’Ungheria. Eppure, abbiamo visto che ci sono tante possibilità nuove, tante richieste nuove, nel modo di celebrare il Congresso eucaristico. Abbiamo visto che la Santissima Eucaristia dà ispirazione per l’attenzione verso i poveri, per l’approfondimento della fratellanza fra i popoli, per la sensibilità verso i portatori di handicap. Abbiamo visto anche la luce che l’Eucaristia genera sulla vita delle famiglie. Abbiamo fatto l’esperienza di molti frutti del rinnovamento eucaristico, tra i quali l’attrazione per la gioventù, la massiccia partecipazione dei giovani come volontari nella preparazione del Congresso, che è stata fantastica. Poi l’approfondimento del dialogo interreligioso, tanto attuale in Asia, ma anche in altre parti del mondo, che è d’ispirazione per la missione. Siamo convinti quindi che il prossimo Congresso eucaristico potrà diventare un’occasione di autentico rinnovamento spirituale anche per la nostra Chiesa in Ungheria.

D. – Questa notizia è un dono e una sfida nello stesso tempo. Certamente, tutta la Chiesa in Ungheria si impegnerà con grande gioia e zelo apostolico nella preparazione spirituale e concreta…

R. – Certamente. Per cui tra poco fonderemo una commissione molto grande, con sottocommissioni con compiti speciali, che dovrà preparare il Congresso eucaristico. Dobbiamo programmare anche il contenuto teologico e spirituale e dobbiamo trovare una frase, una citazione biblica, che sia il tema centrale del Congresso. Questo infatti aiuta molto anche nell’organizzazione teologica del programma. Dobbiamo lavorare molto sull’aspetto artistico, sulla musica sacra. Per la Chiesa ungherese, per esempio, rappresenta una grande occasione per adottare finalmente lo spirito del rinnovamento liturgico anche nella musica sacra.

D. – Nel 1939, cioè 78 anni fa, Budapest ha già ospitato, come lei ha menzionato, un Congresso eucaristico internazionale. E’ ancora presente la memoria di questo grande evento?

R. – Sì, molto presente. 50 anni dopo e 70 anni dopo è stato celebrato anche l’anniversario del Congresso eucaristico. Ha lasciato, quindi, un ricordo indimenticabile nella popolazione, non soltanto fra i cattolici. E’ vero che subito dopo il Congresso eucaristico cominciava la guerra, quindi era una data molto significativa, un ultimo tentativo di chiedere ai popoli di conservare la pace. La celebrazione del ’38 aveva infatti questo aspetto.

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Presentato al Papa il libro “La Squadra Pontificia ai Dardanelli 1657"

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Questa mattina, al termine dell’Udienza generale, è stato donata a Papa Francesco una copia del volume “La Squadra Pontificia ai Dardanelli 1657 / İlk Çanakkale Zaferi 1657”, da parte dell’autore, Rinaldo Marmara. Il libro è una traslitterazione italiana e turca di un manoscritto dal fondo Chigi della Biblioteca Apostolica Vaticana, ed è un resoconto della flotta pontificia che partecipò nella seconda battaglia dei Dardanelli nel 1657. Ieri sera, nel corso della presentazione del libro l’Autore ha dichiarato che il suo obiettivo era di rendere accessibile agli storici e ai ricercatori turchi un’importante documentazione contenuta negli archivi vaticani e nella Biblioteca Vaticana. “Il libro – si legge in una nota ufficiale – nonostante le dolorose memorie della storia, illustra l’importanza delle ricerche erudite e dell’apertura degli archivi alle investigazioni storiche al servizio della verità e della costruzione di ponti di cooperazione e di mutua comprensione”.

Alla luce di ciò, si precisa, “è stato notato e apprezzato il rinnovato impegno della Turchia a rendere i propri archivi disponibili agli storici e ai ricercatori delle parti interessate, con l’intenzione di arrivare congiuntamente ad una migliore comprensione degli eventi storici, del dolore e delle sofferenze sostenute, indipendentemente dalla propria identità religiosa o etnica, da tutte le parti coinvolte in guerre e conflitti, inclusi i tragici eventi del 1915”.

“La memoria della sofferenza e del dolore, sia del lontano passato che di quello più recente, come nel caso dell’assassinio di Taha Carım, Ambasciatore della Turchia presso la Santa Sede, nel giugno del 1977, per mano di un gruppo terroristico, ci esorta a riconoscere – prosegue la nota – anche la sofferenza del presente e a condannare ogni atto di violenza e di terrorismo, che continua a causare vittime ancor oggi”. La nota conclude definendo “particolarmente odiosa e offensiva” la violenza e il terrorismo “commesso in nome di Dio e della religione” e citando le parole di Papa Francesco nella Repubblica Centroafricana: “Tra cristiani e musulmani siamo fratelli… Insieme, diciamo no all’odio, no alla vendetta, no alla violenza, in particolare a quella che è perpetrata in nome di una religione o di Dio”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Un'altra giustizia: all'udienza generale il Papa ricorda che Dio non vuole la nostra condanna ma la nostra salvezza.

Come s'impasta la pace: Francesco dialoga con i messicani in vista del prossimo viaggio.

Sulla conferenza, a Londra, dei donatori un articolo di Nigel Baker dal titolo "Per dare sostegno alla speranza del popolo siriano".

Tra cibori, capitelli e amboni: Vincenzo Fiocchi Nicolai sulla scultura nella Roma dell'alto medioevo.

Uno sguardo altro: Silvia Guidi su una stampa - pubblicata dalla Biblioteca vaticana - per celebrare il giubileo della misericordia.

Padre Pio costruttore della misericordia: documentario del Ctv.

Voce morale: il cardinale segretario di Stato a Lubiana parla del ruolo della Santa Sede nelle relazioni internazionali.

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Oggi in Primo Piano



Virus Zika: allarme per contagio in Texas. L'esperto: cautela

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Dopo la dichiarazione ufficiale da parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) di stato di “emergenza di salute pubblica internazionale” per il propagarsi del virus Zika, è allarme in Texas per un eventuale caso di trasmissione per via sessuale. Il servizio di Giada Aquilino

E' una vera e propria corsa al vaccino quella scattata tra le aziende farmaceutiche mondiali per sconfiggere il virus Zika. Il Texas ha confermato il caso di un paziente contagiato dal virus per via sessuale, da una persona infetta rientrata dal Venezuela: secondo le autorità sanitarie della contea di Dallas si tratterebbe della prima volta in cui si riesce ad appurare la trasmissione di Zika non soltanto attraverso la puntura di una zanzara. L’Oms invita però alla cautela e sottolinea come siano necessari ulteriori accertamenti. Mentre l'Unicef ha lanciato un appello per raccogliere 9 milioni di dollari per programmi destinati a limitare la diffusione del virus in America Latina e Caraibi, nella regione i Paesi in cui Zika si è diffuso e rappresenta un potenziale pericolo - perché, non è ancora provato, provocherebbe microcefalia fetale - sono diventati 28 e spaziano dal Messico al Paraguay, da Capo Verde al Brasile. Qui, a 6 mesi dai giochi olimpici di Rio de Janeiro, sono stati confermati 400 casi di microcefalia e 3.600 rimangono sospetti. La presidente Dilma Rousseff ha assicurato che le “risorse finanziarie non mancheranno” per la lotta agli insetti portatori di Zika ed oggi parlerà alla nazione in un messaggio televisivo a reti unificate, per sensibilizzare la popolazione all’emergenza. In 11 città del Paese intanto gli stanziamenti per il tradizionale Carnevale sono stati destinati alla lotta contro la zanzara ‘Aedes aegypti’.

Su un’eventuale trasmissione di Zika per via sessuale e non soltanto attraverso la puntura di una zanzara, Giada Aquilino ha intervistato il prof. Aldo Morrone, primario all’Istituto San Gallicano di Roma e specialista in dermatologia tropicale: 

R. – Dobbiamo essere molto cauti nel dimostrare che è avvenuto attraverso il rapporto sessuale, perché questo virus era già stato identificato nel liquido seminale. Quindi un caso di possibile trasmissione sessuale da persona a persona era stato descritto già in passato ma non confermato. Quindi si tratta di confermare questa notizia ed eventualmente in quel caso valutare quali possono essere i casi a trasmissione per via sessuale. Ma la malattia si trasmette per ora solo e caratteristicamente attraverso le punture di zanzara.

D. - L’Organizzazione mondiale della sanità ha infatti invitato alla cautela ed ha sottolineato come siano necessari ulteriori accertamenti. Che rischi ci sarebbero?

R. - Se questo dovesse essere confermato c’è il rischio di dover valutare una nuova malattia a trasmissione sessuale e ciò che significa che la modalità preminente di contagio dovrebbe essere questo. In realtà in questo caso, anche se confermato, la modalità preminente di contagio rimane attraverso la puntura dell’insetto e quindi potrebbe essere un caso clinico che non fa però storia nell’evoluzione epidemiologica della malattia. Per cui io consiglio di stare tranquilli su questa situazione e soprattutto come ha confermato l’Oms eventuali restrizioni ad andare alle donne in gravidanze nelle aree dei Paesi dove è presente la zanzara Aedes aegypti. Non sono stati confermati i rapporti diretti,causali tra l’infezione, la trasmissione delle puntura della zanzara del virus e i casi di microcefalia e i casi Guillain-Barré che causa una paralisi nervosa che è stato ipotizzato possa essere correlabile con la puntura di zanzara ma ancora non è stato dimostrato. Siamo in una fase dove c’è necessità di studi, di dati epidemiologici e soprattutto, a mio parere, ancora una volta la necessità di andare nei Paesi dove è nata questa infezione in particolare in Uganda e in Africa e anche in altri Paesi dell’America latina e della Polinesia.

D. - Recentemente l’Oms ha annunciato la fine dell’epidemia di ebola di Africa occidentale. A poche settimane questo nuovo allarme. È ormai così ampio e frequente il rischio di una pandemia?

R. - L’Oms ha annunciato che non ci sono più casi clinici; l’epidemia è domata e controllata, ma che nell’area dell’Africa occidentale in particolare possa esserci in futuro una nuova situazione di epidemia del virus ebola è possibile, perché noi non abbiamo mai impostato delle grandi campagne di  eradicazione di questi virus e di queste malattie nei confronti dei Paesi dove nascono e si sviluppano per una disattenzione pericolosa e gravissima nei confronti delle persone che vivono in quelle aree del mondo e ce ne interessiamo soltanto quando queste malattie o queste infezioni attraversano i confini ed arrivano fin da noi in Europa e Stati Uniti d’America.

D. - Tra le aziende farmaceutiche mondiali è scattata una vera e propria corsa al vaccino. Ci possono essere anche rischi che ad influire siano poi anche degli interessi economici?

R. - Gli interessi economici ogni volta che c’è una situazione di epidemia sono sempre ben presenti. Dobbiamo differenziare gli interessi economici leciti di chi effettivamente intende trovare delle modalità farmacologiche di arresto della malattia e gli interessi illeciti che spesso di nascondono a livello internazionale. Quindi ci vuole un’attenzione da parte delle istituzioni sanitarie nazionali e mondiali come l’Oms, perché non si lasci spazio alla criminalità organizzata quando si tratta di grandissime epidemie come questa. Ma, soprattutto, è necessario intervenire prima che le infezioni si trasmettano, quindi attraverso il contrasto nei confronti delle zanzare che possono essere allontanate, come noi abbiamo fatto in Europa attraverso l’eliminazione della zanzara della malaria Anopheles. Questo non è stato fatto in Africa e quindi il rischio della risorgenza di nuove infezioni determinate soprattutto da zanzare è possibile.

D. - Accortezze per chi viaggia?

R. - Sono quelle che abbiamo sempre dato nei confronti delle aree dove ci sono altri tipi di zanzara: usare i repellenti raccomandati dalle autorità sanitarie, coprire la pelle esposta con maniche lunghe, camice, pantaloni e cappelli, dormire sotto le zanzariere e,  per quanto riguarda le persone che vivono in quelle aree, evitare i serbatoi di acqua a cielo aperto e soprattutto l’accumulo di spazzatura.

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Elisa Gomez: utero in affitto non dà diritti, riduce in schiavitù

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“La maternità surrogata è la più forte violenza fatta alle donne e ai bambini dopo la fine della schiavitù, va abolita”. Così ieri dal Parlamento francese si è levata unanime la voce di associazioni, parlamentari e intellettuali di tutto il mondo e dei più diversi schieramenti. Insieme anche a rappresentanti cattolici, hanno firmato una Carta dall’alto valore simbolico in nome di una battaglia che ha bisogno di leggi precise . Intanto da Roma è arrivata, grazie all’Associazione Pro Vita, la drammatica testimonianza di Elisa Anne Gomez, madre surrogata, che denuncia: ”L’utero in affitto non dà diritti, ma riduce in schiavitù”. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

“E’ un nuovo lucroso ramo dell’economia della vita che tenta di assumere apparenza etica per nascondere il fatto che può compiersi solo dopo la rottura di ogni etica”. Ieri, nella prestigiosa Sala Victor Hugo del Parlamento francese, è emersa questa verità sulla maternità surrogata da intellettuali, politici di vari schieramenti, associazioni femministe e cattoliche. E la Carta sottoscritta in questa mobilitazione senza precedenti denuncia un sistema che fabbrica bambini come merce e che usa il corpo delle donne per farli crescere e poi venderli senza diritti, dignità, valore. Nessuna regolamentazione per tale pratica: occorre, dicono i firmatari, abolirla in tutto il mondo dove fa vittime specie nelle popolazioni povere del sud. Ma per necessità economiche può accadere anche nei ricchi Stati Uniti. Elisa Anne Gomez, 46 anni e due figli, vive sola in Minnesota dove la pratica non è vietata né regolamentata. Diventa madre surrogata per necessità per una coppia di omosessuali. Una scelta fatta per disperazione, ma che la trasforma in una vittima, dopo il parto, privata di diritti che le erano stati promessi, anche con l’appoggio dei giudici, come spiega ai nostri microfoni:

R. – Well, because during the pregnancy everything …

Perché durante la maternità è andato tutto bene, poi con il parto hanno cambiato atteggiamento. Fin dall’inizio era previsto che io fossi la madre, ma ora ovviamente non mi vedono più così. Quindi, sì, mi hanno manipolato.

D. – Non aveva capito che avrebbe dovuto perdere tutti i suoi diritti rispetto a questa gravidanza?

R. – No, that’s not what we spoke about…
No, non è questo quello di cui avevamo parlato, non era questo l’accordo. L’accordo era quello che sarei rimasta la madre della bambina. E' una questione di diritto e di libertà. Io sono una madre e il mio diritto come madre dovrebbe essere quello di aiutare il mio figlio biologico. Non si può stipulare un contratto sulla vita umana.

D. – Cosa si sentirebbe di dire in base alla sua esperienza ad altre donne che stanno valutando l’ipotesi di diventare madri surrogate e che cosa pensa anche della campagna che nel mondo si sta conducendo per l’abolizione di questa pratica?

R. – I would say, you know…
Direi che quello che mi è successo potrebbe accadere anche a loro. Pensano che possa essere meraviglioso e pensano che tutto andrà bene, ma non è così. E’ accaduto a diverse persone e potrebbe accadere anche a loro e al loro figlio. Bisogna fermare la coercizione, bisogna smettere di pensare all’adozione e pensare al bambino. Un figlio ha diritto alla propria madre, un figlio ha diritto a conoscere la sua provenienza. Io sono a favore della parità dei diritti da molti punti di vista, ma qui i diritti vengono negati.

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John Kerry a Roma: moltiplicare sforzi contro Is

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“Schiacceremo il sedicente Stato Islamico in ogni parte del mondo” perché “da noi il mondo chiede sicurezza”. Così il segretario di Stato americano, John Kerry, a margine della riunione che si è tenuta oggi a Roma tra 23 Paesi più l’Unione Europea, parte della coalizione internazionale anti-Is. Rafforzati gli impegni economici e gli aiuti umanitari a Siria e Iraq. Kerry ha anche elogiato il ruolo dell’Italia, “alleato grandioso”, per i suoi contributi in Iraq e Libia. Il servizio di Michele Raviart

"Daesh does not have any notion of how to build a future..".
“Lo Stato Islamico non ha nessuna idea di futuro, vuole tornare a un tempo senza tolleranza religiosa, politica e senza diritti umani”. John Kerry denuncia i crimini del sedicente Califfato e parla dei progressi della coalizione internazionale. Dallo scorso giugno l’Is ha perso il 40% del territorio controllato in Iraq e del 20% di quello controllato in Siria. Sarà una guerra lunga, dice il segretario di Stato americano, “più lunga di quella contro Al Qaeda” e che si combatterà su tre fronti. In Iraq, dove la coalizione intensificherà il sostegno alle truppe di terra irachene nel proteggere le città riconquistate di Ramadi e Tikrit. In Siria, dove è necessario un cessate il fuoco ora che sono in corso i negoziati a Ginevra e dove Kerry chiede un passo indietro ad Assad che, non permettendo gli accessi alla città di Madaya, ha “creato una situazione che non si vedeva dalla seconda guerra mondiale”. Anche In Libia, spiega il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni, c’è il rischio che il sedicente Stato Islamico “moltiplichi la sua attività d’azione”.

"Italy is ready to respond to the request..."
L’Italia, dice Gentiloni, è pronta a rispondere alle richieste del nuovo governo nato dall’accordo Onu, "anche sul tema della sicurezza”, sebbene non sia all’orizzonte nessun intervento militare. Nel combattere l’Is ogni Paese è concentrato su alcuni aspetti particolari, ribadisce il ministro, ricordando l’impegno italiano nell’addestramento di peshmerga curdi e della polizia irachena.

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In due anni spariti 10 mila bambini profughi in Europa

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Sarebbero 10 mila i migranti minorenni di cui si è persa traccia in Europa, a denunciarlo è l’Europol, l’Agenzia di sicurezza europea. Sono per lo più di età compresa tra i 10 e i 18 anni, provenienti soprattutto da Siria, Eritrea e Somalia, in viaggio spesso da soli lungo le rotte balcaniche e nel Mediterraneo per raggiungere il nord Europa. L’Europol non esclude che molti potrebbero essere caduti in mano a organizzazioni criminali e terroristiche. Stefano Pesce ha raggiunto al telefono Michele Prosperi, dell’organizzazione umanitaria "Save The Children": 

R. – L’allarme dell’Europol riguarda i minori non accompagnati. La stragrande maggioranza sono maschi, anche giovanissimi, 11-12-13 anni. Stanno affrontando il loro viaggio da soli, sono partiti dai loro Paesi da soli e la loro necessità può essere quella di trovare un futuro qui in Italia, cioè nel Paese in cui sono arrivati, sono entrati in Europa, oppure di raggiungere altri Paesi europei.

D. – Qual è la misura di questo fenomeno?

R. – Se guardiamo i dati del Ministero dell’interno, nel 2015 sono sbarcati in Italia 12.272 minori non accompagnati. All’interno di questo numero, quasi 5.000 sono i minori non accompagnati provenienti dall’Eritrea, dalla Somalia e dalla Siria, che hanno l’intenzione di raggiungere i Paesi del Nord Europa. E quindi non vogliono essere identificati in Italia, non vogliono entrare nel sistema di accoglienza, ma si rimettono in contatto con i trafficanti, con la loro rete di supporto, per poter proseguire subito il viaggio. Sono proprio loro che rappresentano la necessità di protezione maggiore.

D. – Nella denuncia dell’Europol, c’è anche l’avvertimento che i minori non accompagnati possono essere anche facile preda degli stessi terroristi…

R. – Sono vulnerabili, perché non hanno adulti di riferimento. Sono esposti al rischio di violenze o di sfruttamento. Si trovano in una condizione di bisogno: nei vari momenti – nell’attraversamento delle frontiere, nelle permanenze temporanee – sempre con la necessità di nascondersi in qualche maniera. Non c’è un sistema che è in grado di tracciare questa cosa a livello di autorità e di dire che effettivamente, sì, questi minori sono arrivati in questi Paesi. Nessuno ha la possibilità di dare questo dato. Per cui, è un po’ come se questa fosse una realtà invisibile... La realtà però è più consistente.

D. – Quali sono le carenze da parte dell’Europa e dell’Italia nell’accoglienza e nella gestione di questi migranti minorenni?

R. – Per esempio, si potrebbe facilitare, semplificare e sostenere le procedure di riunificazione familiare per quelli, tra questi minori, che hanno questa opportunità. Oppure, stabilire meccanismi di ricollocamento che consentano ai minori di poter raggiungere in sicurezza, in modo protetto, i Paesi di destinazione. Questa sarebbe la risposta necessaria per far fronte a questo tipo di bisogno.

D. – Secondo lei, questo esodo, queste morti, possono rappresentare a lungo andare la scomparsa di una generazione in Siria?

R. – C’è un’intera generazione che è a rischio di scomparsa in Siria. A rischio di scomparsa, perché le vittime, tra i bambini civili, crescono ogni giorno. Crescono nelle città assediate, nelle aree di conflitto, perché esiste un’emergenza umanitaria assoluta rispetto alla disponibilità di cibo, di medicine, di assistenza salvavita per questi bambini, che sono la generazione della Siria di domani. “Save the Children” ha fatto tantissimo per i bambini da questo punto di vista perché anche i fondi che la comunità internazionale mette a disposizione per l’assistenza ai profughi siriani nei Paesi confinanti, che non hanno risorse sufficienti per dare assistenza, sono assolutamente insufficienti. Ci sono in questo momento delle situazioni molto critiche rispetto alla possibilità di dare assistenza, di offrire cibo e assistenza ai milioni di profughi che in questo momento stanno stazionando nei Paesi intorno alla Siria. Si tratta di un’emergenza umanitaria di proporzione estesa ed è la più grande che stiamo affrontando a partire dalla Seconda Guerra mondiale.

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Ganfolfini: iter ddl Cirinnà viola Costituzione, appello a Mattarella

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"L’Iter del ddl Cirinnà sta violando la Costituzione: prima della discussione parlamentare deve passare per la Commissione Giustizia, ci appelliamo al presidente della Repubblica": così Massimo Gangolfini, portavoce del Comitato “Difendiamo i nostri figli”, che ha promosso il Family Day. Per Gandolfini è necessario un confronto sereno e che la voce degli italiani sia ascoltata. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato: 

R. - Da una parte sul Family Day si è detto: “Ah sì, una bella manifestazione. E’ giusto che la gente rappresenti il proprio sentimento… Questo è il gioco della democrazia…”; dopodiché il risultato è stato: “Voi fate tutte le manifestazioni che volete, perché sono io quello che tira le somme e che decido quello che voglio!”. E questo è uno strappo inaccettabile! Faccio nuovamente presente che quel popolo era - tra virgolette - una piccola rappresentanza del popolo italiano che si riconosce in queste istanze: per cui parliamo di 30-40 milioni di persone e non soltanto quelle del Circo Massimo. Noi consideriamo molto grave l’atteggiamento soprattutto della forza di maggioranza del  Pd e del  premier, anche da un punto di vista strettamente democratico per sistemare la situazione di 7.513 coppie - ammesso che tutte lo vogliano – omogenitoriali e omosessuali,  che sono presenti in Italia, ferisce e oscura di fatto il sentimento di milioni e milioni di cittadini italiani. Questa non è democrazia!

D. – Ha ribadito più volte che è molto grave il fatto che non ci sia stata il passaggio in Commissione Giustizia, ma che si discuta già in aula…

R. – Perché questo è un aspetto costituzionale fondamentale. E’ una legge di una tale sensibilità e delicatezza che deve essere ampiamente condivisa tra le forze rappresentative e con il Paese. E quindi si faccia un bel passo indietro, si ritorni nell’alveo, all’interno del quale sistemi così complessi devono essere discussi, e probabilmente lì si troverà davvero una virtuosa mediazione.

D. – C’è spazio, secondo lei, per una mediazione a livello politico?

R. – I giochi sommersi non li conosco e credo che non li conosca bene nessuno! Per quello che sento le mediazioni attuali sono tutte mediazioni inaccettabili. Fa veramente specie che un governo e un premier non eletto dagli italiani venga a fare un’azione che è profondamente contraria allo spirito degli italiani. Questo non è leale! L’unica vera mediazione accettabile è fermarsi e ritornare in Commissione Giustizia e da parte nostra un forte appello al presidente della Repubblica, alla sua lealtà ed onestà.

D. – Ci sono alcuni che soffiano sul fuoco dello scontro…

R. – Si butta avanti l’ideologia dello scontro, così si aprono le strade al Ddl Cirinnà. Noi vorremmo, invece, un rapporto di ragionevolezza, tenendo presente da una parte i diritti civili legati alla persona per quanto riguarda le unioni civili e dall’altra parte il comune sentire della gente e soprattutto nel rigoroso rispetto del diritto del bambino di avere un padre e una madre. Non so se ci stiamo rendendo conto, ma stiamo creando, stiamo costruendo un tipo di società che la storia non conosce. E laddove è già stato praticato, non è aumentato il tasso di felicità della popolazione, le coppie non sono più unite, i bambini non sono meno abbandonati. Anzi tutte le statistiche ci dicono esattamente il contrario.

D. – Altro tema che viene portato: l’Italia è un fanalino di coda in Europa…

R. – L’Italia non solo non è un fanalino di coda, ma anzi penso che sia un faro di civiltà posto davanti a condizioni di inciviltà palesi: perché se passa questa idea che il bambino lo si può comprare dove si vuole, questo si chiami pure come se ne ha voglia, ma è una vera e propria inciviltà! Poi non ho capito perché quando si tratta di questioni economiche il leitmotiv del premier è “Noi non accettiamo lezioncine da nessuno in Europa! Noi non andiamo con il cappello in mano in Europa”; quando si tratta poi di mantenere ferme le tradizioni, la storia e la cultura del popolo italiano, siamo subito pronti a tirare fuori questo mantra “Dobbiamo allinearci all’Europa!”.

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S. Egidio: Europa e Usa, nuovi muri per gli immigrati

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Chiudere le porte a chi scappa dalla guerra o da situazioni di pericolo non è degno degli ideali che rappresentano le fondamenta dell’integrazione europea. E’ l’amara riflessione del presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo, emersa oggi durante una conferenza dal titolo “Migrazioni e integrazione, Stati Uniti ed Italia: due modelli a confronto”. Servizio di Francesca Sabatinelli: 

Dagli Stati Uniti sostegno all’Europa, in particolare all’Italia, nella sua difficile sfida dell’integrazione. Portavoce dell’appoggio a stelle e strisce è Richard Stengel, sottosegretario di Stato per la diplomazia e gli affari pubblici nell'amministrazione Obama, ospite della Comunità di Sant’Egidio in un confronto su migrazione e integrazione. Obbligo di ogni democrazia, spiega Stengel, è quello di dare il benvenuto agli immigrati e di accoglierli. E se gli Stati Uniti, aggiunge, oggi sono più “pluralisti” lo si deve agli immigrati, “gente coraggiosa”.

Certo è che in patria però i conti poi si fanno con il muro di Tijuana, il ‘Muro della Vergogna’, che ricopre oltre un terzo del confine tra Messico e Stati Uniti. Nato nel 1994 sotto l’amministrazione Clinton, ad oggi il muro, fatto di barriere metalliche, filo spinato, riflettori, blocca il flusso di clandestini che arrivano da tutta l’America Latina. Sconosciuto il numero esatto delle persone morte nel deserto nel tentativo di entrare negli Usa, si parla di circa seimila dal 1998 ad oggi. A ricordare la loro agonia furono i vescovi della Conferenza episcopale americana, nel 2014, quando visitarono il confine a Nogales, in Arizona, dove celebrarono una Messa.

Oggi i muri si tornano a contare anche in Europa, sempre più arroccata di fronte a chi arriva per disperazione. Il grande flusso di persone generato dalle guerre crea molti interrogativi ai quali non si può rispondere con la chiusura, spiega Marco Impagliazzo, presidente di Sant’Egidio:

"Ci sono passi fatti dagli Stati Uniti che possono essere molto utili per l’Europa, perché l'Europa, purtroppo, sul tema delle migrazioni, come vediamo anche dalle cronache di questi giorni, non parla con una voce unitaria. Noi non abbiamo in Europa un’Agenzia unitaria per le migrazioni, come invece hanno negli Stati Uniti. Naturalmente, ogni continente ha i suoi pregi e i suoi difetti, e il muro che separa il Messico dagli Stati Uniti, purtroppo, ci fa ricordare l’antica storia triste dei muri che separano i popoli, che credevamo fossero finiti col crollo del muro di Berlino. Oggi ci sono tanti nuovi muri che si stanno creando, e il lavoro che vuole fare la comunità di Sant’Egidio, assieme a tanti suoi interlocutori, è quello di superare la logica dell’emergenza che crea i muri ed entrare nella logica dell’integrazione".

Di qui la nascita di una iniziativa che domani prenderà piena forma, con l’arrivo in Italia di una famiglia siriana per mezzo di corridoi umanitari aperti grazie ad un accordo tra Sant’Egidio, Federazione delle Chiese evangeliche in Italia e Tavola Valdese. Ancora Impagliazzo:

"Tutte le immagini e le notizie che riceviamo dalla Siria sono purtroppo molto drammatiche. Riceviamo immagini di persone stipate ormai nelle 'No man’s land', nelle zone di confine tra la Siria e il Libano o tra la Siria e la Giordania, che non vedono davanti a loro un futuro. L’iniziativa dei corridoi umanitari vuole sostenere la migrazione di quelle famiglie che, ormai da tempo, vivono in campi profughi, in Libano, e che sono ben conosciute da alcune associazioni italiane, come la Papa Giovanni XXIII, con le quali abbiamo individuato persone che sono in condizioni particolari di vulnerabilità. Domani la prima famiglia di siriani sarà a Roma, anche perché i due bambini con cui viaggeranno – i due figli – hanno gravi problemi di salute. Viene, quindi, completamente rispettato il tema che abbiamo sollevato, di dare i visti umanitari a persone vulnerabili".

Mille le persone che in un anno arriveranno in Italia con visti rilasciati per “motivi umanitari” a spese delle stesse associazioni.

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Maracchi: per vincere lo smog ci vuole un cambio di passo

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Incontro ieri tra il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti e i governatori e i sindaci delle grandi città sulla cosiddetta “emergenza smog”. Galletti ha annunciato una bozza di decreto per destinare 35 milioni alla mobilità sostenibile e un decreto già firmato che prevede 50 milioni per le colonnine elettriche. Il ministro ha comunque ammesso che nessuno ha la bacchetta magica. Non basta avere le risorse, ha osservato, ma le risorse vanno spese in fretta e bene. Adriana Masotti ha chiesto a Giampiero Maracchi, professore emerito di climatologia all’Università di Firenze, se l’inquinamento urbano sia dovuto in questo momento alla mancanza di pioggia: 

R. – Assolutamente sì. E’ colpa della mancanza di pioggia e di questa alta pressione, perché  le due cose sono ovviamente collegate. Questa alta pressione, che arriva dall’Africa, è perdurata per tutto l’autunno fino largamente all’inizio dell’inverno, poi c’era stata una breve interruzione ed ora – negli ultimi 10 giorni – si è tornati nella stessa situazione. In questa settimana la situazione migliorerà, perché sono previste piogge un po’ dappertutto. C’è poi il problema dello smog, però il problema dello smog è un problema che non si può risolvere: perché nelle città tolgono la circolazione o mettono la circolazione a targhe alterne, ma le più grandi città italiane sono contornate dalle autostrade e il traffico sulle autostrade non viene interrotto e lì passano centinaia e centinaia di tir tutti i giorni… E siccome l’aria non è immobile ma si muove, le polveri sottili vanno a finire anche dentro le città. Quindi, questo è un problema che si risolverà solo se nel tempo via via si avrà una motorizzazione elettrica. L’unica soluzione allo smog è la motorizzazione elettrica.

D. – Allora, smog in città e siccità in campagna in questo inverno così strano…

R. – Siccità in campagna, perché il meccanismo è questo: in un clima mediterraneo le falde si riforniscono di autunno, in cui generalmente ci dovrebbero essere piogge abbondanti, ma quest’anno l’autunno è stato particolarmente siccitoso. In primavera, se piove la quantità di pioggia è pari all’evaporazione giornaliera e quindi le falde non ricevono più nulla. Se piove in primavera è utile solo per gli strati superficiali del terreno e quindi per le colture agrarie, ma in termini di risorse idriche complessive – sia di carattere civile, sia di carattere industriale – noi probabilmente ci troveremo di fronte a una estate con dei problemi di carenza idrica.

D. – E questo cosa vuol dire anche in termini di coltivazioni, di prodotti?

R. – Penso, ad esempio, alla Pianura padana dove si coltiva tanto mais: questo vuol dire poca acqua per l’irrigazione e quindi una crisi per l’agricoltura, ma anche per la frutta e la verdura e in generale laddove si fa uso dell’irrigazione.

D. – I climatologi come spiegano questa stagione invernale così diversa dal solito?

R. – Non tanto diversa, poi. Negli ultimi 15 anni, un anno su tre si è avuto lo stesso problema. E si spiega bene, perché la grande circolazione atmosferica sta cambiando totalmente a causa dei cambiamenti climatici e a causa più che altro del riscaldamento dell’Oceano Atlantico.

D. – Con il clima cambia anche il comportamento umano…

R. – Certo. Guardi, non perché parlo con lei, che è di Radio vaticana, ma chi ha fatto l’unico documento serio su questo tema è stato Papa Francesco, nell’Enciclica “Laudato sì”. Indipendentemente dal fatto di essere credenti o meno, l’unico documento politico serio – oltre ovviamente, nel suo caso, anche etico e religioso – è quello di Papa Francesco. Ed è l’unico documento serio perché pone l’accento sulle crisi che il mondo sta vivendo, che sono più o meno 6 o 7: la crisi climatica, la crisi ambientale, la crisi economica, la crisi politica, che è in gran parte responsabile di tutte le altre, e la crisi di valori. Queste crisi sono tutte legate insieme in un modello che non regge più ed è un modello complessivamente dell’economia mondiale. Le ragioni vere del cambiamento climatico sono, ad esempio, in gran parte i trasporti su lunga scala: il 40% delle emissioni sono dovute ai trasporti. E sono dovute ad una civiltà che dipende sostanzialmente dal petrolio. Per liberarci dal petrolio bisognerebbe che la politica –  secondo lo schema classico liberale – fosse quella che governa l’economia: invece oggi è alla rovescia… Ma anche i  mercati finanziari: anche quella è un’altra crisi, i mercati finanziari chi li controlla? Li controllano le grandi multinazionali! Non è che io ideologicamente sia contro le multinazionali, perché loro fanno il loro mestiere, ma non è un mestiere che fa bene all’umanità!

D. – Quindi, ci sono gli interessi che governano il mondo e non i valori…

R. - …e non i valori! E’ evidente che gli interessi devono essere presi in considerazione, gli uomini sono quelli che sono e vanno presi come sono e quindi ne va tenuto conto, ma ne va tenuto conto non vuol dire che debbano comandare loro! Bisogna andare verso una società nuova e questo nella “Laudato sì” è molto evidente.

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Nella Chiesa e nel mondo



Settimana mondiale dell’armonia interreligiosa

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Promuovere a livello mondiale il dialogo e la comprensione tra i seguaci di diverse fedi e credenze, presupposti essenziali per rafforzare l’armonia interreligiosa e la cooperazione tra i popoli, per tutelare i diritti umani e per costruire una cultura di pace e di tolleranza. Questo l’obiettivo della Settimana mondiale dell’armonia interreligiosa proclamata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2010 e celebrata ogni anno durante la prima settimana di febbraio.

Una settimana di eventi culturali e di Campagne di sensibilizzazione
In occasione di questa ricorrenza, che quest’anno si celebra dal 1° al 7 febbraio, l’Assemblea generale incoraggia gli Stati membri, le organizzazioni intergovernative e non governative, i leader dei movimenti interreligiosi e gli esponenti della società civile a diffondere il messaggio di armonia interreligiosa e di buona volontà nelle chiese del mondo, nelle moschee, sinagoghe, templi e altri luoghi di culto, ciascuno secondo le proprie tradizioni e convinzioni religiose e attraverso l’organizzazione di eventi culturali e campagne di sensibilizzazione.

L’adesione del Kaiciid
Alle diverse iniziative promosse per questa edizione, aderisce, tra gli altri, anche il Kaiciid, il Centro internazionale per il dialogo interreligioso e culturale “Re Abdullah Bin Abdulaziz”, fondato nel 2012 a Vienna da Arabia Saudita, Spagna e Austria e con la Santa Sede nel ruolo di organismo osservatore fondatore, per incoraggiare il dialogo tra i seguaci delle diverse religioni e culture del mondo, così da migliorare la cooperazione, il rispetto delle diversità, la giustizia e la pace. 

"Vespro della pace" a Vienna
Lunedì l’organizzazione ha partecipato “al Vespro per la Pace” nella celebre abbazia benedettina di Melk, a Vienna, insieme a diversi leader religiosi austriaci, ai membri del Corpo diplomatico presso l’Ocse ed esponenti della società civile. Ieri invece il Kaiciid e l’ambasciatore del Regno di Giordania, hanno invitato il Presidente austriaco Heinz Fischer a parlare dell’importanza del dialogo interreligioso per la soluzione dei tanti problemi che affliggono il mondo oggi, compreso quello della crisi dei rifugiati.  (L.Z.)

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Acs: in Quaresima sei progetti per i cristiani iracheni

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Sei progetti per sei settimane di Quaresima, tutti dedicati a sostenere i 250 mila cristiani iracheni. È la Campagna lanciata da Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) nei 40 giorni di preparazione alla Pasqua. I progetti promossi sono di diverso tipo, ma con un unico obiettivo: aiutare i cristiani rimasti in Iraq a vivere dignitosamente e a mantenere una fede viva.

Aiuti per le famiglie cristiane ed i bambini dell'asilo 
La prima settimana è dedicata ai 46 alunni dell’asilo di Aqra gestito dalle Suore Domenicane di Santa Caterina da Siena. Nonostante molte delle religiose siano state esse stesse costrette a lasciare Mosul e la Piana di Ninive a causa del sedicente Stato Islamico, una volta giunte nel Kurdistan iracheno si sono immediatamente spese per aiutare i rifugiati cristiani, occupandosi in particolar modo dell’istruzione e della formazione alla fede dei bambini. Non mancano poi aiuti umanitari, come quelli in favore delle 182 famiglie cristiane rifugiate a Kirkuk (seconda settimana) e delle 135 famiglie cristiane del campo profughi “Vergine Maria” di Baghdad (quinta settimana), che grazie ad Acs riceveranno cibo, acqua, medicine e generatori elettrici.

Aiuti per il Centro di Studi Biblici di Ankawa
Aiuto alla Chiesa che Soffre non ha ovviamente tralasciato il sostegno alla pastorale e all’assistenza spirituale, ed in questa Quaresima chiede ai suoi benefattori di aiutare il Centro di Studi Biblici di Ankawa (terza settimana). Prima dell’avanzata di Isis il Centro si trovava a Mosul, dove negli ultimi 15 anni sono stati formati oltre 450 studenti. Ora i 60 alunni costretti a fuggire in Kurdistan hanno bisogno di un sostegno per poter proseguire i loro studi. Al tempo stesso Acs ha promesso di finanziare quattro campi di formazione cristiana per oltre 1.100 giovani cristiani che ad Erbil frequenteranno dei corsi tenuti da 25 sacerdoti e 65 suore (quarta settimana).

Docce e servizi igienici per il Villaggio Padre Werenfried
Infine l’ultima settimana di Quaresima è dedicata al Villaggio Padre Werenfried, il villaggio intitolato al fondatore di Acs perché composto dalle 150 strutture prefabbricate donate tra fine 2014 e inizio 2015 dalla fondazione pontificia a 175 famiglie di rifugiati cristiani. Nate per rispondere all’emergenza, le abitazioni mancavano di adeguate strutture. Ecco perché in questa Quaresima Acs desidera donare agli abitanti del villaggio ulteriori docce e servizi igienici, adatti anche a persone con disabilità.

Le iniziative di preghiera di Acs per i cristiani di Iraq e Siria
Dal giugno 2014 ad oggi Aiuto alla Chiesa che Soffre ha realizzato progetti in favore della popolazione irachena per un totale di oltre 15milioni e 100mila euro. Oltre al sostegno economico la fondazione pontificia mostra la propria vicinanza ai cristiani d’Iraq attraverso numerose iniziative di preghiera. Come la Giornata mondiale di preghiera e digiuno per la Pace in Siria e in Iraq, che Acs ha lanciato per il prossimo 10 febbraio, in occasione del Mercoledì delle ceneri. L’iniziativa porta il titolo: «Porterai la loro Croce per un giorno? Nel Mercoledì delle ceneri prega e digiuna per Iraq e Siria» ed è possibile aderirvi anche attraverso i social network, utilizzando gli hashtag #fastandpray #carrythecross e #AshWednesday. (M.P.)

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Unesco: sito al Giordano battesimo di Gesù, patrimonio dell'umanità

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Il sito del battesimo di Gesù lungo il fiume Giordano è stato ufficialmente dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco, nel corso di una cerimonia svoltasi ieri sera a Parigi. Alla cerimonia di proclamazione ufficiale ha preso parte anche una delegazione preveniente dal Regno Hascemita di Giordania, comprendente il ministro giordano per il turismo Nayef H Al-Fayez e l’arcivescovo Maroun Lahham, vicario patriarcale per la Giordania del Patriarcato latino di Gerusalemme. 

Il sito - confermato da devozione popolare e ricerche archeologiche - visitato da 4 Papi
Nel suo intervento, pronunciato durante la cerimonia, l’arcivescovo Lahham ha definito il sito del battesimo come “un luogo dove risuona ancora la voce di Cristo”, in un Paese, la Giordania, “tranquillo e sicuro, in mezzo ad un Medio Oriente in fiamme”. “Il Vangelo – ha rimarcato il vicario patriarcale - lo aveva dichiarato già 2000 anni fa, la devozione popolare lo ha sempre confermato, le ricerche archeologiche lo hanno evidenziato, quattro Papi lo hanno visitato, e oggi la comunità internazionale lo dichiara ufficialmente.

Anche la Giordania è Terra Santa
A partire da questa sera - ha aggiunto l’arcivescovo Lahham - noi possiamo dichiarare ad alta voce che la Giordania è Terra Santa. La Terra Santa comprende anche e soprattutto Gerusalemme, Betlemme e Nazareth, ma la Giordania non è per questo meno santa”. (G.V.)

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Vescovi Usa: colletta delle Ceneri per Chiesa Europa centrale e orientale

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Si svolgerà il 10 febbraio, Mercoledì delle Ceneri, l’annuale colletta organizzata dalla sottocommissione della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb) per aiutare la Chiesa cattolica nell’Europa centrale e orientale.

I fondi destinati a progetti pastorali, sociali, educativi e di ricostruzione
Le offerte — informa il sito dei vescovi http://www.usccb.org/ — sono dirette a sostenere progetti pastorali, sociali, educativi e di ricostruzione in 28 Paesi  che sono stati per decenni nell’orbita sovietica.  I fondi raccolti servono in particolare a finanziare seminari, Centri pastorali, programmi di pastorale giovanile e di assistenza sociale, progetti di comunicazione sociale e la costruzione e ristrutturazione di chiese. A 25 anni di distanza dalla caduta del comunismo nell’Europa centrale e orientale, le Chiese in questi Paesi hanno infatti ancora tanti bisogni. Il tema della raccolta è appunto “Restaura la Chiesa, e costruisci il futuro” (“Restore the Church Build the Future” - “Restauremos la Iglesia y construyamos el futuro).

Un gesto concreto di aiuto nell’Anno della Misericordia
“La colletta – spiega all’agenzia Cns il presidente della sottocommissione per gli aiuti alla Chiesa cattolica nell’Europa centrale e orientale, mons.  Blase J. Cupich, - ci ricorda che la misericordia non serve solo a noi nelle nostre vite personali, ma nel mondo. Parteciparvi è quindi un modo concreto di essere un segno di misericordia per coloro che con fatica cercano di praticare la loro fede”.

7,7 milioni i dollari raccolti nel 2015
​Nel 2015 la sottocommissione ha distribuito 250 assegni per un totale di 7,7 milioni di dollari.  Tra i numerosi programmi finanziati il progetto “Inverno Caldo” promosso dalla Caritas Armenia per garantire riscaldamento adeguato ad anziani a basso reddito, o quello portato avanti nella diocesi di San Giuseppe a Irkutsk, in Siberia, dalle Ancelle dell’Immacolata Concezione di Angarsk che dirigono una piccola casa-famiglia prendendosi cura dei bambini i cui genitori o tutori durante il giorno vanno a cercare lavoro. Con l’aiuto della colletta negli Stati Uniti, le suore hanno potuto realizzare un asilo-nido più grande per ospitare il numero crescente di bambini.  (L.Z.)

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Congo: esodo della popolazione per violenze nel nord Kivu

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Esodo di massa della comunità Nande dal villaggio di Miriki, nel Territorio di Lubero, nel Nord Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc). Lo riferisce un comunicato ripreso dall’agenzia Fides, del “Centro studi per la pace, la democrazia e i diritti dell’uomo” Cepadho, un’associazione della società civile locale. 

Si tema la pianificazione di un genocidio
Secondo il comunicato, i Nande temono che si stia pianificando un genocidio a danno della loro comunità da parte delle Fdlr (Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda), un gruppo di origine rwandese impiantato da anni nell’area. L’Alto Commissariato Onu per i rifugiati stima che oltre 21.000 persone sono fuggite da Miriki dal 7 gennaio, quando almeno 14 persone sono state uccise in un attacco notturno attribuito alle Fdlr.

Avviare un dialogo tra le comunità Nande e Hutu
Secondo la Cepadho, nel Territorio di Lubero si è creato un clima di diffidenza tra la comunità Hutu e quella Nande, per cui ogni Hutu è visto come appartenente alle Fdlr ed ogni Nande come un Mai-Mai, termine generico che designa un appartenente a milizie di autodifesa locali. In questo caso un gruppo Mai-Mai locale a base Nande si scontra da tempo con le Fdlr. Per uscire da questa spirale di violenza e di odio, la Cepadho chiede alle autorità locali e nazionali, oltre che alla Monusco (Missione Onu nella Rdc), di avviare un dialogo tra le comunità Nande e Hutu. Nella regione opera pure un altro gruppo, di origine ugandese, l’Adf (Forze Alleate di Difesa) che semina il terrore tra la popolazione, contribuendo ad accrescere il numero degli sfollati. (L.M.)

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Chiesa Kenya: inaugura stazione radiofonica nella giungla

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Si chiama “Radio Jangwani”, trasmette sulle frequenze di 106.3 fm ed è l’unica emittente che opera nella giungla del Kenya, in una regione abitata principalmente da pastori: a lanciarla, il 26 gennaio, è stata la diocesi di locale Marsabit. “La nostra Radio vuole essere uno strumento di evangelizzazione – spiega il direttore, padre Ibrahim Racho – e mira ad affrontare anche le questioni sociali, economiche e politiche della popolazione locale”.

La Radio, strumento di dialogo e convivenza
Soddisfazione viene, quindi, espressa dalla diocesi per la riuscita delle trasmissioni. “Attraverso i nostri programmi, infatti – continua padre Racho – miriamo a promuovere il dialogo e la convivenza all’interno di una comunità che spesso si trova a dover fronteggiare scontri etnici, furti di bestiame e conflitti transfrontalieri”. Dal canto suo, la comunità locale ha accolto molto positivamente l’avvio della nuova emittente, che trasmette in quattro diverse lingue: swahili, borana, turkana e samburu. Numerosi gli ascoltatori che hanno espresso il loro gradimento per i programmi, telefonando o inviando messaggi all’emittente.

Entro il 2020, saranno avviate altre emittenti
​Il responsabile della Comunicazione per la Conferenza episcopale del Kenya, David Omwoyo, ha sottolineato che “Radio Jangwani” è una delle venti emittenti il cui avvio è previste nel Paese entro il 2020. “La radio è uno strumento fondamentale per affrontare i conflitti tribali predicando la pace – spiega – e per incoraggiare lo sviluppo rurale, poiché permette di educare le comunità e di analizzare, quotidianamente, le questioni legate alla radicalizzazione tra le diverse etnie”. (I.P.)

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Chiesa Costa Rica: al voto non seguire ideologie populiste

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“Questo non è il momento per lasciare che l’apatia e l’indifferenza  logorino l’impegno civico”  è l’appello dell’arcivescovo di San José, mons. José Rafael Quirós ai cittadini convocati a votare per le elezioni amministrative del prossimo 7 febbraio in Costa Rica. “Voto sereno e intelligente” s’intitola il messaggio del vicepresidente dell’episcopato nel quale invita a “scegliere con consapevolezza l’opzione politica che rappresenti al meglio i nostri principi etici e i nostri valori civili”.

La responsabilità dei laici nella vita pubblica
Nel documento, mons. Quirós ricorda l’importanza della presenza dei laici nella vita pubblica e la loro responsabilità nella “formazione del consenso” necessario “alla trasformazione sociale” e “nell’opposizione ad ogni forma di ingiustizia”. “Il bene comune - si legge nel testo - è il criterio base per la partecipazione ai comizi elettorali, in quanto al di sopra di ogni interesse o beneficio particolare o di gruppo”. Il presule sottolinea che al centro di ogni scelta ci deve essere la preoccupazione per i più bisognosi  e per coloro che non hanno accesso ai beni primari e ad una vita dignitosa.

Maturità politica e lotta alla corruzione
Per il vicepresidente della Conferenza episcopale del Costa Rica, la sfida più seria per i cittadini è quella di scegliere persone idonee, coraggiose ed efficienti che sappiano svolgere la propria funzione con un’autentica etica sociale. In questo modo, afferma mons. Quirós, potranno intraprendere “una lotta frontale contro la corruzione, poiché la prima mossa è proprio quella di non essere partecipi di essa”.  Anche i candidati sono chiamati a rispettare le proprie promesse elettorali e a ricordare che la loro missione è quella  di “rappresentare” i cittadini che li hanno votati. In tal senso, l’arcivescovo sottolinea che il primo passo da compiere è avere la “maturità per sostenere ogni progetto favorevole al distretto elettorale, senza guardare da chi o da quale partito viene proposto”.

Non lasciarsi manipolare da campagne populiste
I vescovi rinnovano l’invito a sacerdoti, religiosi e agenti pastorali perché aiutino a rafforzare, alla luce della fede e della morale, la capacità riflessiva dei cittadini affinché “non agiscano acriticamente lasciandosi manipolare da campagne mediatiche di impatto prettamente emotivo  o da proposte elettoralistiche e populiste”. “Facciamo il nostro appello - ribadisce mons. Quirós -  per un voto sereno e intelligente, e per questo, è necessario conoscere le proposte e poter scegliere nel pieno della propria libertà e della propria volontà”.

Maggiore partecipazione, più democrazia
A conclusione del messaggio, il vicepresidente dell’episcopato ha auspicato che “una maggiore partecipazione dei cittadini in queste elezioni rafforzi il sistema democratico”. Circa 3 milioni 200 mila elettori sono convocati a eleggere oltre 5 mila candidati tra governatori, sindaci, consiglieri, amministratori e rispettivi sostituti. L’astensionismo nelle votazioni amministrative del 2010 ha raggiunto il 72%, ma secondo gli ultimi sondaggi, si spera che per queste elezioni l’astensione sia minore del 50%. (A cura di Alina Tufani)

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Vescovi Colombia per Campagna istituzionale contro spreco d’acqua

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La Conferenza episcopale della Colombia aderisce all’iniziativa “Tutti contro lo spreco”, la Campagna contro la dispersione inutile dell’acqua, lanciata dal Ministero dell’Ambiente e dello sviluppo sostenibile del Paese. Obiettivo dell’operazione è creare “una maggiore consapevolezza sull’importanza dell’acqua e sull’impegno a tutelarla”.

7 febbraio, Messe speciali per l’iniziativa
La Chiesa di Bogotà, quindi, attraverso una nota ufficiale a firma del suo Segretario generale, mons. José Daniel Falla Robles, esorta tutti i sacerdoti del Paese a ricordare ai fedeli, durante le celebrazioni eucaristiche di domenica 7 febbraio, che “l’acqua è un elemento benedetto al quale bisogna fare attenzione”. “In questo modo – spiega il presule – si cerca di sottolineare l’importanza di impegnarsi per la tutela di questo prezioso liquido, affinché noi, le future generazioni, tutti gli uomini possano accedere a questa indispensabile risorsa per la vita”.

Accesso all’acqua, questione di primaria importanza
Particolare il manifesto illustrativo della Campagna, che mostra delle foglie bagnate di pioggia, sormontate dallo slogan “L’acqua è benedetta, dobbiamo averne cura”. Sullo sfondo, è riportato un passo dell’enciclica di Papa Francesco “Laudato si’ sulla cura della casa comune”: “L’acqua potabile e pulita rappresenta una questione di primaria importanza, perché è indispensabile per la vita umana” (LS n. 28). (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 34

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.