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Sommario del 10/02/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: il vero Giubileo tocca le tasche, l'usura è peccato grave

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“Se il Giubileo non arriva alle tasche non è un vero Giubileo”. Lo ha affermato Papa Francesco che ha dedicato la catechesi dell’udienza generale del primo giorno di Quaresima al significato del Giubileo, un periodo che nella Bibbia favoriva un ritorno all’uguaglianza e alla solidarietà reciproca. Invitando a usare con generosità dei propri beni, il Papa ha pregato perché il Giubileo cancelli il ricorso all’usura”, “un peccato – ha detto – che grida al cospetto di Dio”. Il servizio di Alessandro De Carolis

Un periodo di addestramento alla fraternità, ecco la vera natura di un Giubileo. Non basta passare una Porta Santa se il messaggio di questo anno speciale non passa per il cuore e non smuove vecchie indolenze e generosità assopite per cui si sta a posto con un segno di croce e una svelta elemosina.

Lo Spirito vi faccia generosi
Papa Francesco non fa sconti sul Giubileo e lo ripropone in tutta la sua rivoluzionaria forza biblica. Per gli Ebrei antichi, spiega all’inizio della catechesi, il 50.mo anno era sacro perché aveva un enorme impatto sulla vita sociale. Funzionava, spiega, come un “condono generale” in cui sperequazioni e ingiustizie venivano livellate da una nuova stagione di uguaglianza. I debitori vedevano cancellati i propri debiti, i ricchi davano ai poveri, i senza terra tornavano alle loro proprietà:

“L’idea centrale è che la terra appartiene originariamente a Dio ed è stata affidata agli uomini e perciò nessuno può arrogarsene il possesso esclusivo, creando situazioni di disuguaglianza. Questo, oggi, possiamo pensarlo e ripensarlo. Ognuno nel suo cuore pensi se ha troppe cose: ma perché non lasciare a quelli che non hanno niente? Il 10%, il 50%… Io dico: che lo Spirito Santo ispiri ognuno di voi”.

Il Giubileo arrivi alle "tasche"
Se allora funzionava, perché non può essere così anche oggi il Giubileo?, è la domanda sottintesa di Francesco. Che ricorda come circa l’80% della ricchezza oggi sia in mano al 20% delle persone. Cifre che non raccontano di una società basata sulla “solidarietà”. Ma è lì, afferma con forza il Papa, che si deve arrivare altrimenti è tutta finzione:

“Se il Giubileo non arriva alle tasche non è un vero Giubileo. Avete capito? E questo è nella Bibbia, eh! Non lo inventa questo Papa: è nella Bibbia. Il fine – come ho detto – era una società basata sull’uguaglianza e la solidarietà, dove la libertà, la terra e il denaro diventavano un bene per tutti e non per alcuni (…) Possiamo dire che il Giubileo biblico era un ‘Giubileo di misericordia’, perché vissuto nella ricerca sincera del bene del fratello bisognoso”.

Donare una primizia
Proprio per favorire una “relativa uguaglianza”, la legge biblica, ricorda Francesco, prescriveva di versare le “decime” – cioè la decima parte del raccolto o dei guadagni – a poveri, orfani e vedove, e ai leviti, gli incaricati del culto che non possedevano la terra. Oppure di donare le “primizie”, la prima parte dei raccolti, e anche oggi – esclama Francesco – quanto si potrebbe fare con le primizie “del lavoro, degli stipendi, dei risparmi”, che “si possiedono e a volte si sprecano”:

“Questo succede anche oggi! Nell’Elemosineria Apostolica arrivano tante lettere con un po’ di denaro, poca cosa o non da poco (con scritto): ‘Questa è una parte del mio stipendio per aiutare altri’... E questo è bello: aiutare gli altri, le istituzioni di beneficenza, gli ospedali, le case di riposo… E le decime, dare anche ai forestieri, quelli che sono stranieri e sono di passaggio. Gesù è stato di passaggio in Egitto”.

"L'usura è un peccato grave"
Inoltre, prosegue Francesco, lo spirito del Giubileo è in antitesi con i “calcoli meschini” e gli “interessi impossibili” che spesso accompagnano la concessione di prestiti. Prestiti che non di rado si trasformano in usura. “Quante famiglie sono sulla strada”, vittime di questa piaga, osserva con amarezza il Papa, che chiede di pregare “perché in questo Giubileo il Signore tolga dal cuore di tutti noi questa voglia di avere di più":

“Quanti uomini si suicidano perché non ce la fanno e non hanno la speranza. Non hanno la mano tesa che li aiuti, soltanto la mano che viene a fargli pagare gli interessi. È un grave peccato l’usura, è un peccato che grida al cospetto di Dio. Il Signore invece ha promesso la sua benedizione a chi apre la mano per dare con larghezza. Lui ti darà il doppio, forse non in soldi ma in altre cose, ma il Signore ti darà sempre il doppio”.

Concrete opere di carità
Al momento dei saluti, Papa Francesco ne ha rivolti alcuni particolari, tra gli altri, ai  direttori diocesani delle Pontificie Opere Missionarie, alle religiose Francescane dell’Immacolata Concezione di Lipari e ai membri dell’Associazione Mani tese. Siate tutti, ha concluso, “testimoni dell’amore del Signore con concrete opere di carità”.

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Papa chiede preghiere per incontro con Kirill e viaggio in Messico

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All’udienza generale il Papa ha invitato i fedeli a seguire con la preghiera il suo incontro con il Patriarca di Mosca Kirill all'Avana e il suo viaggio apostolico in Messico

“Dopodomani inizierò il viaggio apostolico in Messico, ma prima mi recherò all’Avana per incontrare il mio caro fratello Cirillo. Affido alle preghiere di tutti voi sia l’incontro con il Patriarca Cirillo sia il viaggio in Messico”.

In Messico, intanto, fervono i preparativi per l’arrivo del Papa. Nel Paese c’è una religiosità popolare, profondamente radicata. Una delle tappe fondamentali di questo viaggio sarà la Messa del Papa nella Basilica di Guadalupe. Alessandro Guarasci ha intervistato don Armando Flores Navarro, rettore del Collegio Messicano a Roma: 

R. – La religiosità del popolo messicano risale alle culture originarie, che secondo quanto ci dicono gli storici e gli antropologi, erano culture con un vivo senso della trascendenza. Di questa religiosità si sono accorti i primi missionari, che hanno avuto la saggezza di farla entrare in dialogo con il messaggio del Vangelo. Avevano uno stile missionario, misericordioso, che era in contrasto con la prepotenza omicida dei conquistatori. Si tenga pure in conto il messaggio guadalupano, nel quale la Madonna, pochi anni dopo la conquista, chiede proprio all’indio Juan Diego di costruire una casa. E ciò che venne costruito fu proprio una Chiesa.

D. – Quanto è forte ancora la devozione alla Madonna di Guadalupe?

R. – In Messico si dice che otto persone su dieci sono cattoliche e che dieci su dieci sono guadalupane. Qui possiamo distinguere tre atteggiamenti: incontro, tenerezza e misericordia; proprio quegli atteggiamenti che caratterizzano lo stile missionario che Papa Francesco chiede alla Chiesa in uscita, missionaria.

D. – In molti Paesi dell’America Latina le sette religiose sono un pericolo reale. Avviene lo stesso in Messico?

R. – Sì, credo che il Messico non scappi alla situazione globale dell’America Latina. E le sette sono una realtà: queste sono un pericolo, perché si racchiudono in se stesse e non vogliono dialogare. Credo che negli ultimi anni la Chiesa in Messico abbia fatto un bel percorso nel cammino del dialogo ecumenico. Nonostante ciò la Chiesa si trova in difficoltà a dialogare con i dirigenti delle sette che hanno un atteggiamento piuttosto ostile nei confronti della Chiesa. Con i loro metodi proselitisti, le sette dividono le comunità e le famiglie, e con il controllo che hanno sulle persone fanno rinunciare alla loro libertà. Come autocritica, si deve riconoscere che le sette fioriscono dove la comunità cattolica non è presente o dove la missione evangelizzatrice ha perso vigore sia per la mancanza sia per la stanchezza degli evangelizzatori.

D. – Parliamo un po’ delle società occidentali, dove purtroppo il pericolo del relativismo è molto forte. Qual è la situazione in Messico?

R. – Il relativismo è un fatto che esiste in Messico. A mio parere, per affrontare questa sfida la Chiesa in Messico deve far crescere la sua capacità di dialogo: capire il suo ruolo in una società plurale come un’attrice sociale tra altre e soprattutto con la testimonianza.

D. – La Chiesa sappiamo che in Messico spende spesso la sua parola a favore di indigeni, immigrati e contro il traffico di droga: quali risultati concreti ha portato questo impegno?

R. – La Chiesa in Messico, secondo i sondaggi, è, tra le istituzioni sociali, ancora credibile per la maggioranza dei messicani. Per quanto riguarda le comunità etniche, nel corso della storia ci sono casi in cui l’evangelizzazione si è legata veramente alla promozione umana. Potrei citare nel 1500 il caso del servo di Dio Vasco de Quiroga, primo vescovo di Michoacán, la cui opera e memoria rimangono vive nell’etnia Purépecha, proprio perché è stato per loro un vero padre e promotore del loro sviluppo umano. Più di recente, nel 1900, potrei citare il vescovo Jesús Sahagún de la Parra, che promosse con i sacerdoti consacrati e i laici un’opera evangelizzatrice che ha trasformato le condizioni di vita dell’etnia otomí nel  Valle del Mezquital. Per quanto riguarda la cultura dei diritti umani, quella che esiste nel Messico si deve all’impegno dei Gesuiti e dei Domenicani, che instancabilmente hanno lavorato e lavorano perché i diritti umani siano riconosciuti, tutelati e promossi. Il problema del traffico di droga esiste da tempo, ma non era visibile, perché si faceva di nascosto o con la complicità di alcune autorità. È diventato più visibile dal 2000 in poi, quando, al traffico della droga si è aggiunta la violenza omicida che ha causato varie decine di migliaia di vittime. Nel 2010, i vescovi messicani hanno pubblicato una Lettera pastorale proprio per la costruzione della pace. Da quell’anno in poi, si promuovono nelle diocesi diverse iniziative, come la formazione degli operatori per la pace. I risultati non sono ancora visibili a livello nazionale; a livello regionale o locale potrei citare l’impegno dell’Arcidiocesi di Acapulco, della Diocesi di Cuernavaca, di quella di Zamora e di altre.

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Papa Francesco: facciamo sentire ai malati il nostro amore

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Domani, memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes, ricorre la 24.ma Giornata Mondiale del Malato, che avrà la sua celebrazione culminante a Nazareth. Il Papa lo ha ricordato all’udienza generale con queste parole:

“Nel messaggio di quest’anno abbiamo riflettuto sul ruolo insostituibile di Maria alle nozze di Cana: «Qualsiasi cosa vi dica, fátela» (Gv 2,5). Nella sollecitudine di Maria si rispecchia la tenerezza di Dio e l’immensa bontà di Gesù Misericordioso. Invito a pregare per gli ammalati e a far sentire loro il nostro amore. La stessa tenerezza di Maria sia presente nella vita di tante persone che si trovano accanto ai malati sapendo cogliere i loro bisogni, anche quelli più impercettibili, perché visti con occhi pieni di amore”.

Infine, ha incoraggiato i malati presenti all'udienza generale ad offrire le loro sofferenze per la conversione di quanti vivono lontani da Dio.

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Papa a Missionari Misericordia: peccatori sentano che Chiesa è madre

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I confessori coprano i peccatori “con la coperta della misericordia”. E’ l’efficace immagine che Papa Francesco ha tratteggiato nell’udienza di ieri in Vaticano ai Missionari della Misericordia, alla vigilia del loro mandato, che avverrà oggi pomeriggio durante la Messa per il Mercoledì delle Ceneri nella Basilica di San Pietro. Il Papa ha sottolineato che i confessori sono “chiamati ad esprimere la maternità della Chiesa” ed ha ribadito che non serve “la clava del giudizio” per riportare nell’ovile la pecorella smarrita ma con la testimonianza e la santità di vita. Nel suo indirizzo d’omaggio, mons. Rino Fisichella ha definito Francesco “primo missionario della misericordia”. Il servizio di Alessandro Gisotti

Essere Missionario della Misericordia “vi chiede di essere in prima persona testimoni della vicinanza di Dio e del suo modo di amare”. Papa Francesco ha subito messo l’accento sul significato di questo “segno di speciale rilevanza” del Giubileo. Ha così offerto alcune riflessioni sul loro mandato, affinché “possa essere compiuto in maniera coerente e come un concreto aiuto” per le persone che si accosteranno a loro.

Con i peccatori, testimoniare la maternità della Chiesa
Prima di tutto, ha detto, “desidero ricordarvi che in questo ministero siete chiamati ad esprimere la maternità della Chiesa”:

“Non possiamo correre il rischio che un penitente non percepisca la presenza materna della Chiesa che lo accoglie e lo ama. Se venisse meno questa percezione, a causa della nostra rigidità, sarebbe un danno grave in primo luogo per la fede stessa, perché impedirebbe al penitente di vedersi inserito nel Corpo di Cristo”.

Nel confessionale è Cristo che accoglie e perdona
Noi, ha soggiunto, “siamo chiamati ad essere espressione viva della Chiesa che come madre accoglie chiunque si accosta a lei”.“Entrando nel confessionale ricordiamoci sempre che è Cristo che accoglie, è Cristo che ascolta, è Cristo che perdona, è Cristo che dona la pace”:

“Noi siamo suoi ministri; e per primi abbiamo sempre bisogno di essere perdonati da Lui. Pertanto, qualunque sia il peccato che viene confessato – o che la persona non osa dirlo, ma lo fa capire, è sufficiente – ogni missionario è chiamato a ricordare la propria esistenza di peccatore e a porsi umilmente come canale della misericordia di Dio”.

Saper guardare nel desiderio di perdono del peccatore
Il Papa ha così ricordato la sua Confessione del 21 settembre del 1953, quando era un ragazzo, una fonte di gioia che ha riorientato tutta la sua vita verso Dio. Il Papa ha poi incoraggiato i Missionari della Misericordia a “saper guardare al desiderio di perdono presente nel cuore del penitente”. Un cuore, ha affermato, che sente “la nostalgia di Dio, del suo amore e della sua casa”. Proprio questo desiderio, ha detto, è “all’inizio della conversione”:

“Il cuore si rivolge a Dio riconoscendo il male compiuto, ma con la speranza di ottenere il perdono. E questo desiderio si rafforza quando si decide nel proprio cuore di cambiare vita e di non voler peccare più. È il momento in cui ci si affida alla misericordia di Dio e si ha piena fiducia di essere da Lui compresi, perdonati e sostenuti”.

Dalla vergogna nasce la conversione, confessore la rispetti
Il Papa chiede ai Missionari della Misericordia di dare “grande spazio a questo desiderio di Dio e del suo perdono”, di farlo “emergere come vera espressione della grazia dello Spirito che provoca alla conversione del cuore”. A volte, ha detto, il penitente ha paura di dire il peccato, ma c’è il linguaggio dei gesti: “le braccia aperte” alla ricerca del perdono:

“Se qualcuno viene da te e sente che qualcosa che deve togliersi, ma forse non riesce a dirlo, ma tu capisci… E sta bene, lo dice così, col gesto di venire”

Quindi, si è soffermato sulla “vergogna”, componente determinante per la conversione: “vergogna sia per quanto si è compiuto, sia per doverlo confessare a un altro”:

“La vergogna è un sentimento intimo che incide nella vita personale e richiede da parte del confessore un atteggiamento di rispetto e incoraggiamento”.

Accogliere persona con la sua debolezza, i suoi limiti
Francesco ricorda quanto nella Bibbia si parli della vergogna, quella di Adamo ed Eva e quella di Noè quando si ubriacò e la sua nudità fu coperta dai propri figli perché ritornasse nella dignità di padre. Di qui il riferimento al ruolo del sacerdote nella confessione:

“Davanti a noi c’è una persona ‘nuda’ e anche una persona che non sa parlare e non sa che cosa dire, con la sua debolezza e i suoi limiti, con la vergogna di essere un peccatore e tante volte non poter dirlo. Non dimentichiamo: dinanzi a noi non c’è il peccato, ma il peccatore pentito, il peccatore che ‘vorrei non essere così’, ma non può. Una persona che sente il desiderio di essere accolta e perdonata”.

Coprire il peccatore con la coperta della misericordia
Per questo, ha proseguito, “non siamo chiamati a giudicare, con un senso di superiorità, come se noi fossimo immuni dal peccato”. Non è “con la clava del giudizio – ha avvertito – che riusciremo a riportare la pecorella smarrita all’ovile, ma con la santità di vita che è principio di rinnovamento e di riforma nella Chiesa”:

“Essere confessore secondo il cuore di Cristo equivale a coprire il peccatore con la coperta della misericordia, perché non si vergogni più e possa recuperare la gioia della sua dignità filiale e anche possa sapere dove si ritrova”.

Confidate nella forza della misericordia, portate sulle spalle il peccatore
La santità, ha detto ancora, “si nutre di amore e sa portare su di sé il peso di chi è più debole”. “Un missionario della misericordia – ha aggiunto – porta sulle proprie spalle il peccatore, e lo consola con la forza della compassione”. Ancora, il Papa – a braccio – ha messo in guardia da quei confessori che “bastonano” i fedeli o fanno domande “oscure, di curiosità”. Questo, ha detto, “non è il buon pastore, questo è il giudice che forse crede che lui non ha peccato” o un “uomo malato”. E così, ha constatato con amarezza, “si fa tanto male ad un’anima se non viene accolta con cuore di padre”. Il Pontefice ha infine offerto come esempi e sostegno per questa “avventura missionaria” due “santi ministri del perdono di Dio, san Leopoldo e san Pio, insieme a tanti altri santi sacerdoti che nella loro vita hanno testimoniato la misericordia di Dio”:

“Quando sentirete il peso dei peccati a voi confessati e la limitatezza della vostra persona e delle vostre parole, confidate nella forza della misericordia che a tutti va incontro come amore che non conosce confini”.

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Papa: Quaresima, un tempo per aprire il cuore agli altri

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Oggi, primo giorno di Quaresima, il Papa celebra la Messa alle 17.00 nella Basilica Vaticana, con il rito dell’imposizione delle ceneri e l’invio dei Missionari della Misericordia. I Missionari sono in tutto più di 1.000 e provengono dai vari continenti. A Roma ne sono presenti circa 700. Riceveranno il “mandato” unito alla facoltà di assolvere anche i peccati riservati alla Santa Sede.

All’udienza generale il Papa ha sottolineato che la Quaresima è un tempo favorevole per intensificare la propria vita spirituale: la pratica del digiuno è di aiuto per acquisire padronanza su se stessi; la preghiera è il mezzo per sentire la presenza amorevole di Dio; le opere di misericordia aiutano a vivere la vita aprendola alle necessità dei fratelli.

La Quaresima, in quest’Anno Giubilare della Misericordia – ha proseguito – è anche “un tempo particolarmente opportuno per chiedere al Signore la grazia del perdono di ogni male e per realizzare con cuore aperto e sincero le opere di misericordia verso gli altri. Siate misericordiosi come il Padre!” – è la sua esortazione.

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Il Papa incontra premier Iraq: tutelare minoranze

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Papa Francesco ha ricevuto nello studio dell’Aula Paolo VI, in Vaticano, il premier iracheno Haydar al-Abadi, che poi ha incontrato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, accompagnato dal segretario per i Rapporti con gli Stati, mons. Paul Gallagher.

“Durante i cordiali colloqui – riferisce la Sala Stampa vaticana - si è fatto riferimento al buono stato dei rapporti bilaterali, alla vita della Chiesa nel Paese e alla situazione dei cristiani e delle minoranze etniche e religiose che vivono in Iraq, con particolare riferimento all’importanza della loro presenza e alla necessità di tutelarne i diritti. È stato poi ricordato il ruolo del dialogo interreligioso e la responsabilità delle comunità religiose nella promozione della tolleranza e della pace. In tale contesto, ci si è soffermati sull’importanza del processo di riconciliazione in corso tra le varie componenti sociali del Paese e sulla situazione umanitaria nazionale e regionale”.

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Pompei. Audiomessaggio Papa: fare il bene perché ce lo chiede Gesù

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La voce di Papa Francesco sul telefonino o il tablet che parla della Quaresima. E poi quella di sacerdoti, catechisti e formatori. Si tratta dell’iniziativa “KeepLent” ideata dal Servizio per la Pastorale giovanile della Prelatura di Pompei per annunciare il Vangelo quaresimale attraverso i social network. Chi si iscriverà riceverà a partire da oggi un versetto del Vangelo del giorno, accompagnato da circa 1’30” di commento audio. L’applicazione utilizzata per il 2016 sarà “Telegram”, un nuovo servizio di messaggistica istantanea. Alessandro De Carolis sintetizza l’audiomessaggio del Papa: 

Un cristiano fa il bene perché piace a Dio, non per gli applausi del mondo. Del resto, l’evangelista è chiaro e il Papa ne ripete i versetti all’inizio dell’audiomessaggio: “Quando fai l’elemosina non suonare la tromba davanti a te”...  “Il Padre tuo, che vede nel segreto ti ricompenserà”.

Fare il bene perché è bene
È la Parola di Dio, afferma Francesco, a darci “il giusto orientamento per vivere bene la Quaresima”:

“Quando facciamo qualcosa di bene, a volte siamo tentati di essere apprezzati e di avere una ricompensa: la gloria umana. Ma si tratta di una ricompensa falsa perché ci proietta verso quello che gli altri pensano di noi. Gesù ci chiede di fare il bene perché è bene. Ci chiede di sentirci sempre sotto lo sguardo del Padre celeste e di vivere in rapporto a Lui, non in rapporto al giudizio degli altri”.

La carità “nel segreto”
Certo, “anche le cose esteriori sono importanti”, riconosce Francesco, “ma dobbiamo sempre scegliere e vivere alla presenza di Dio” perché questo, dice, procura “una gioia molto più profonda di una gloria mondana”:

“Il nostro atteggiamento in questa Quaresima sia dunque di vivere nel segreto dove il Padre ci vede, ci ama, ci aspetta (...) Facciamo nella preghiera, nella mortificazione e nella carità fraterna quello che possiamo, umilmente, davanti a Dio. Così saremo degni della ricompensa di Dio Padre”. 

Ma com’è nata l’idea di coinvolgere Papa Francesco in “KeepLent”? Lo spiega al microfono di Tiziana Campisi il responsabile della Pastorale Giovanile di Pompei, don Ivan Licinio

R. – “KeepLent” nasce come un’applicazione per raggiungere i giovani attraverso la meditazione della Parola di Dio sui social. Noi abbiamo sempre sentito Papa Francesco vicino ai giovani e quindi ci è sembrato anche bello chiedere a lui se poteva donarci un commento al Vangelo del giorno il Mercoledì delle Ceneri. Gli abbiamo mandato una lettera e gli abbiamo spiegato la finalità dell’iniziativa, che è un modo per raggiungere tante periferie in tanti luoghi, perché “KeepLent” non raggiunge soltanto i giovani ma a volte anche tante persone ammalate, allettate, gli anziani, le famiglie… E lui ci ha risposto donandoci, appunto, il commento al Mercoledì delle Ceneri, lasciando veramente di stucco un po’ tutti.

D. – Come funziona “KeepLent”?

R. – Quest’anno abbiamo cambiato la piattaforma, siamo passati su “Telegram”. E’ molto semplice: basta scaricare dal proprio “store” sul telefonino l’app “Telegram”, poi cercare “pgpompei” e unirsi al canale che permetterà a tutti gli iscritti di ricevere ogni mattina il commento, attraverso la nota audio, del Vangelo del giorno.

D. – La pastorale giovanile di Pompei ha cominciato lo scorso anno con “KeepLent”; lo scorso Natale c’è stato “WhatsAvv” e adesso la seconda edizione di “KeepLent”. Quali sono oggi i numeri di questa iniziativa?

R. – I numeri di questa iniziativa sono intorno ai 4.100 iscritti da tutte le parti d’Italia ma non solo, anche dall’estero. In modo particolare ci ha toccato, durante l’iniziativa “Whats Avv” – l’Avvento su Whatsapp – il messaggio di una studentessa parigina, proprio durante le tristi vicende terroristiche, di poter ricevere il messaggio per poter donare un momento di serenità, di tranquillità, alla comunità degli studenti italiani che risiedevano lì, a Parigi. E i numeri sono in continua evoluzione. Oggi, per esempio, il canale di “Telegram”, che ospiterà “KeepLent”, ha già superato i 1.500 iscritti. Colpisce quanto i social possano essere uno strumento di evangelizzazione così potente da raggiungere tanti cuori e da superare tanti confini, non soltanto geografici ma a volte anche culturali. In fondo, è un po’ come diceva Papa Francesco nell’ultimo messaggio sulle comunicazioni sociali: questi strumenti, basta che vi sia il cuore come fondamento, sono sempre usati bene, sono sempre strumenti utili.

D. – Come avete organizzato “KeepLent”?

R. – “KeepLent” coinvolgerà “Telegram”, che resta il canale principale, dopo le 15 di ogni giorno sarà pubblicato il testo del commento, insieme con la nota audio, sul sito della pastorale giovanile – www.pastoralegiovanilepompei.org – sul profilo Facebook della pastorale giovanile di Pompei e sul canale YouTube, sempre della pastorale giovanile, perché così facendo andiamo incontro anche a una comunità di non udienti che nelle passate edizioni ci ha chiesto di poter partecipare all’iniziativa. Quest’anno, oltre a Papa Francesco, avremo il professor Matteo Truffelli, presidente dell’Azione Cattolica italiana, ci sarà anche don Michele Falabretti, direttore del Servizio nazionale per la pastorale giovanile. Un’intera settimana sarà animata dalla diocesi di Nola e anche il vescovo della diocesi di Nola donerà il commento domenicale che normalmente, invece, nelle altre settimane ci sarà donato dal nostro arcivescovo mons. Tommaso Caputo. Ma poi, tanti giovani delle nostre parrocchie, delle nostre associazioni, che si mettono in gioco, che si confrontano con la Parola di Dio e donano la loro riflessione, la loro meditazione, a volte in modo veramente inaspettato, in modo bello, come solo i giovani sanno fare.

D. – Quali frutti hanno dato queste iniziative che hanno coinvolto tanti giovani?

R. – Certamente quello di creare, attraverso i social, una comunità che dal virtuale è passata al reale. Perché incontrarsi la mattina sui social e poi vedersi la sera per commentare quello che si è detto, che si è ascoltato o per ritrovarsi anche come collaboratori di questa iniziativa, ha – almeno nel territorio di Pompei – rinsaldato la comunità, a livello giovanile. E poi, altri frutti sono quelli di sentirsi Chiesa, cioè sentirsi questa grande famiglia – al di là della posizione geografica – che insieme prega, insieme spera, insieme crede e ama. I ringraziamenti che riceviamo ci fanno capire quanto sia importante, oggi, diffondere la Parola di Dio. Con tutti i mezzi.

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Papa nomina i nuovi vescovi di Trento, Belluno e Ales-Terralba

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Papa Francesco ha nominato tre nuovi vescovi in Italia nelle sedi di Trento, Belluno-Feltre e Ales-Terralba.

Mons. Lauro Tisi, arcivescovo di Trento
Nuovo arcivescovo metropolita di Trento è mons. Lauro Tisi, del clero della medesima Arcidiocesi, finora vicario generale. Succede a mons. Luigi Bressan, che lascia per raggiunti limiti di età. Mons. Lauro Tisi è nato a Giustino (Trento) il 1° novembre 1962. Ha compiuto gli studi liceali al Liceo Classico del Collegio Arcivescovile come alunno del Seminario Minore; ha proseguito gli studi Teologici presso il Seminario Diocesano di Trento. È stato ordinato presbitero da mons. Alessandro Maria Gottardi, di v. m., il 26 giugno 1987 per l’arcidiocesi di Trento ove attualmente risiede. Dal 1987 al 1988 ha svolto il ministero di viceparroco a Levico Terme; dal 1988 al 1995 è stato vicerettore del Seminario di Trento; dal 1995 al 2007 è stato padre spirituale e delegato per i sacerdoti giovani. Nel 2007 mons. Luigi Bressan lo ha nominato vicario generale e moderator Curiae dell’Arcidiocesi metropolitana di Trento; come incaricato vescovile ha sostenuto le attività della Comunità delle Suore Camilliane all’interno dell’Ospedale San Camillo di Trento.

Mons. Renato Marangoni, vescovo di Belluno-Feltre
Il Papa ha nominato nuovo vescovo di Belluno-Feltre mons. Renato Marangoni, del clero della Diocesi di Padova, finora vicario episcopale per la Pastorale della medesima diocesi. Succede a mons. Giuseppe Andrich che lascia per raggiunti limiti di età. Mons. Renato Marangoni è nato a Crespano del Grappa, provincia di Treviso e diocesi di Padova, il 25 maggio 1958. Nel 1969 è entrato nel Seminario Minore di Thiene iscrivendosi come alunno di prima media. Dopo gli studi di Teologia compiuti nel Seminario Vescovile di Padova, ha frequentato la Pontificia Università Gregoriana, conseguendo il Dottorato in Teologia con una tesi su “Ecclesiologia di comunione in Paolo VI (1963-1978). È stato ordinato sacerdote dal vescovo Filippo Franceschi il 4 giugno 1983 a Padova, sua diocesi di origine e di incardinazione. Ha svolto i seguenti incarichi: vicario parrocchiale del Carmine (Padova) dal 1983 al 1985; vicario parrocchiale a San Gregorio Barbarico (EUR) di Roma dal 1985 al 1987; assistente all’Istituto Universitario “Villa Nazareth” di Roma dal 1987 al 1992; assistente al Seminario Minore a Tencarola di Salvazzano Dentro e cooperatore festivo nella parrocchia di San Bartolomeo in Gallio (PD) dal 1993 al 1995; vicedirettore al Collegio Gregorianum di Padova e cooperatore festivo nella parrocchia di Sant’Andrea Apostolo in Pontelongo dal 1995 al 2005; segretario della Commissione per la Formazione Permanente del Clero dal 2000 al 2003; delegato vescovile per la Pastorale Familiare e presidente della Commissione per la Famiglia dal 2001 al 2008; moderatore del Consiglio Presbiterale Diocesano dal 2003 al 2008. È stato vicedirettore dell’Istituto San Luca per la Formazione Permanente del Clero dal 2003 al 2012; dal 2008 è vicario episcopale per l’Apostolato dei Laici e canonico onorario dell’Amplissimo Capitolo della Cattedrale. Dal 2013 è membro di diritto del Consiglio Presbiterale Diocesano e presidente Delegato del Consiglio Pastorale Diocesano. Dal 2025 vicario per la Pastorale. Nel 2012 è stato segretario del II Convegno Ecclesiale del Triveneto ad Aquileia. È direttore del Coordinamento Diocesano di Pastorale, membro del Centro Padovano della Comunicazione Sociale, presidente del Consiglio di Amministrazione del Movimento Apostolico Diocesano, assistente della Consulta delle Aggregazioni Laicali di Padova e del Triveneto.

Padre Roberto Carboni, vescovo di Ales-Terralba
Il Papa ha nominato vescovo di Ales-Terralba padre Roberto Carboni, dei Frati Minori Conventuali, nel suo Ordine segretario generale per la Formazione. Succede a mons. Giovanni Dettori che lascia per raggiunti limiti di età. Padre Roberto Carboni è nato il 12 ottobre 1958 a Scano Montiferro, provincia di Oristano e diocesi di Alghero-Bosa. Accolto dapprima nel Seminario Serafico dei Frati Minori Conventuali di Sassari, è passato poi al Collegio Serafico San Francesco a Oristano, ove ha conseguito la maturità classica. Nel 1977 ha iniziato il noviziato nel Convento della Basilica del Santo a Padova e nel 1978 ha emesso i primi voti. Ha studiato la Filosofia presso il Seminario San Massimo Dottore a Padova e la Teologia presso la Facoltà Teologica di San Bonaventura a Roma. Il 27 giugno 1982 ha emesso la professione perpetua. È stato ordinato presbitero il 29 settembre 1984. Dopo l'ordinazione sacerdotale ha proseguito gli studi a Roma, ottenendo nel 1986 la Licenza in Psicologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Dal 1989 è iscritto all'albo degli psicologi e psicoterapeuti della Sardegna. A seguito della collaborazione con la rivista Fraternità, di cui è stato direttore, è diventato giornalista pubblicista, iscritto all'albo dei giornalisti della Sardegna dal 1997. Incarichi pastorali più significativi da lui svolti: dal 1985 al 1992 è stato direttore spirituale presso il Centro nazionale di orientamento vocazionale al Sacro convento di Assisi (postulato francescano); dal 1991 al 1993 è stato docente Incaricato di Psicologia presso l'Istituto Teologico di Assisi; dal 1993 al 1994 viceparroco presso la parrocchia di San Francesco di Assisi a Cagliari; dal 1994 al 1999 rettore del Postulato francescano presso il Collegio San Francesco di Oristano; dal 1994 al 2001 è stato segretario e Vicario provinciale, nonché docente incaricato di Psicologia presso la Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna. Dal 2001 al 2013 è stato Missionario a Cuba con i frati della provincia delle Marche. In terra cubana è stato direttore spirituale del Seminario Interdiocesano, docente di Psicologia e rettore dei Postulanti, nonché rettore della Chiesa di San Francesco a La Havana. Dal 2013 al presente è stato segretario Generale per la Formazione dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali.

Infine, Papa Francesco ha accettato la rinuncia all’ufficio di ausiliare dell’arcidiocesi di Torino, presentata da mons. Guido Fiandino, vescovo titolare di Aleria per raggiunti limiti di età.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Il giubileo nelle tasche: all’udienza generale il Papa ricorda la necessità di combattere povertà e diseguaglianza.

In prima pagina, un editoriale sull’11 febbraio, ricorrenza dei Patti Lateranensi.

Gualtiero Bassetti sull’unità della Chiesa in un mondo lacerato.

Sospeso tra due mondi: Lucetta Scaraffia su padre Pio come tramite fra l’attualità e il soprannaturale.

Un articolo di Maria Barbagallo dal titolo “Avranno mai visto una suora vera?”: religiosi al cinema e in tv tra caricature e stereotipi.

La guerra contro Dio è finita: Melo Freni a colloquio con Evgenij Solonovic, massimo divulgatore della poesia italiana in Russia.

L’arte prima delle bombe: Gabriele Nicolò su dipinti del paesaggio inglese alle soglie della seconda guerra mondiale.

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Oggi in Primo Piano



La Siria chiede pace. L'appello nella giornata di preghiera

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E’ la Giornata mondiale di preghiera e digiuno per la pace in Siria e in Iraq, oggi, nella solennità delle Ceneri. A promuoverla è stata "Aiuto alla Chiesa che Soffre",, che ha invitato tutti i cristiani del mondo ad aderire all’iniziativa dal titolo “Porterai la loro croce per un giorno?”. Intanto, nei due Paesi continuano le sofferenze degli innocenti. Il servizio di Francesca Sabatinelli

L’unico loro desiderio è quello di tornare a vivere in pace: è questa la testimonianza che arriva dai civili di Iraq e Siria. Le popolazioni sono stremate da anni di guerra e oggi aggrapparsi alla speranza è diventato quasi impossibile. Dall’Iraq spiragli arrivano: la riconquista ieri di Ramadi sottratta all’Is ha dato al premier Al-Abadi, oggi a Roma, la forza di poter dire che “entro la fine dell’anno si vuole mettere fine alla presenza di Daesh in Iraq”. Non sono questi i toni che si possono usare per la situazione in Siria dove, a cinque anni dall’inizio della guerra, ogni giorno è testimonianza degli orrori in quel Paese. Alcune Ong oggi avrebbero riferito che una decina di giorni fa, nell’offensiva lanciata contro gli jihadisti ad Aleppo, almeno 500 civili sono rimasti uccisi, tra loro anche bambini. Accanto al sangue scorre anche il flusso delle migliaia di persone che fuggono dai bombardamenti su Aleppo, e che si stanno ammassando al confine con la Turchia dove la frontiera è ancora chiusa. Sono drammatiche le parole di padre Firas Lutfi, francescano della Custodia di Terra Santa, vicario parrocchiale della comunità latina di Aleppo:

R. – Come Papa Francesco ha ribadito in più di un’occasione, la preghiera è la nostra vera arma – per così dire – per contrastare quelle forze della negatività, del male che oggi minacciano la presenza nostra e la nostra testimonianza come cristiani. Quindi, qualsiasi iniziativa che un cristiano voglia prendere prima deve essere preparata, anticipata da questo ricaricamento di energia e di relazione con il Signore. Come diciamo noi che viviamo in Medio Oriente, e particolarmente in Iraq e in Siria, davanti al male che ci ha colpiti, davanti al dramma della guerra, ci appoggiamo soprattutto alla preghiera, all’aiuto che viene dall’alto, alla pace che è dono del Signore, ma che è anche un’opera umana.

D. – Aleppo è la città martire: in questo momento lei è proprio lì che vive. Cosa sta accadendo?

R. – Sì, purtroppo Aleppo è la città più martoriata della Siria. E non è solo la mancanza di acqua, di cibo, di alimenti ciò che ci fa soffrire: questo possiamo anche sopportarlo, anche se non è facile. Il problema di fondo è soprattutto quello della non sicurezza. Non c’è neanche un posto dove possiamo dire: “Qui stiamo bene perché stiamo tranquilli, perché non ci sono le bombe e non ci sono quelle bombole di gas che ci lanciano le milizie dell’Is, di tutti i gruppi terroristici”. Lì siamo sotto ai bombardamenti, giorno e notte. E’ chiaro che c’è questa emorragia di intere famiglie che pensano di lasciare il Paese. Purtroppo, è un’offensiva e una controffensiva, da una parte e dall’altra. Quando i “grandi” si mettono a giocare con le armi, gli innocenti, i “piccoli”, i bambini, le donne sono quelli che maggiormente ne subiscono le conseguenze. Ebbene, anche il flusso di questi innocenti che varcano il confine della Turchia in cerca di un riparo è un dramma, è "il" dramma... Stiamo vivendo il calvario.

D. – Come reagisce la popolazione di fronte alle polemiche internazionali che riguardano soprattutto i raid russi di sostegno ai lealisti del presidente Assad?

R. – Anche se non sono politico, porto quello che la gente vuole adesso, attualmente, e le assicuro che l’unica cos che vuole è la pace. A prescindere se “con” o “contro” Assad, se sono simpatici o antipatici, se sono “pro” o “contro”: non importa. L’unico desiderio che una persona normale, una persona che ha sofferto e patito ben cinque anni di guerra, l’unico desiderio in assoluto che nutre nel cuore, è quello di avere finalmente il dono della pace. E’ chiaro che la situazione, dal punto di vista politico, è complessissima. Il dramma è molto intrecciato: ci sono interessi, ci sono alleanze da una parte e anche dall’altra. Ebbene, purtroppo la Siria ha diviso il mondo in due parti, ma non è questo che interessa il cittadino siriano e la nostra presenza cristiana in Siria. Un cristiano – per esempio – ha paura che questi dell’Is attacchino e lui deve fare il conto con il fatto di dover fuggire dalla sua casa, lui, la moglie, i bambini, solo con i vestiti addosso. Se non riesce a fuggire, è sottoposto ai tagliagole e anche all’uccisione e alle torture. Ebbene, io le assicuro che ogni cittadino ora ha nel cuore un unico desiderio: quello di vedere finalmente una pace vera, autentica e anche duratura, che metta fine a questa sofferenza, a questa intolleranza, a questa guerra. Il problema è che ci sono troppi interessi nello scenario siriano: geopolitici, economici, quindi tutt’altro che puntati sull’uomo, sulla persona e sui cittadini che vivono lì in Siria. Quindi, ecco, forse questo dà senso al nostro digiuno, alla nostra preghiera di oggi. Dobbiamo pregare per tutti i responsabili, per i politici, per quelli che hanno in mano le decisioni della sorte del popolo, soprattutto a livello internazionale: che possa il Signore toccare le loro menti e i loro cuori, e che possano, quando si siedono, disinteressarsi al profitto e al potere, ma guardare soprattutto al bene delle persone, degli innocenti.

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Primarie Usa: in New Hampshire vincono Sanders e Trump

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Prosegue la corsa alle candidature per la presidenza americana. Ieri, alle primarie in New Hampshire, vittoria dei due outsiders: Bernie Sanders, per i democratici, e Donald Trump, sul fronte repubblicano. Prossimi appuntamenti in Nevada e South Carolina. Il servizio di Giancarlo La Vella

La strada alla Casa Bianca è ancora lunga, ma il risultato del New Hampshire, seconda tappa, è sicuramente significativo se non altro per l’entità delle affermazioni. Il candidato democratico di ispirazione socialista, Sanders, si impone nettamente a Hillary Clinton, 59% a 38. Il miliardario repubblicano, Trump, si è imposto anch’egli con ampio margine sulla novità John Kasich, governatore dell'Ohio, sul texano conservatore Cruz e Jeb Bush, fratello dell’ex presidente George W. Delude Marco Rubio, il 44.enne governatore della Florida, classificatosi addirittura al quinto posto. Siamo ancora alle prime battute, ma tutti i candidati guardano ora con una certa attenzione alle prossime primarie in Nevada e South Carolina, il 20 e 23 febbraio prossimi, che precedono di una settimana il cosiddetto “super martedì” del 1° marzo, quando si voterà addirittura in 15 Stati.

Su come i due partiti guardano ai prossimi appuntamenti, con i quali la corsa alla Casa Bianca entrerà nel vivo, sentiamo Tiziano Bonazzi, docente di Storia Americana, all’Università di Bologna:

R. – I risultati del New Hampshire hanno capovolto quelli che erano stati i risultati dell’Iowa e di conseguenza sembrano esserci grandi contraddizioni. Si tratta tra l’altro di Stati molto piccoli. Il New Hampshire ha un milione e mezzo di abitanti, l’Iowa ne ha tre milioni. Quindi, bisognerà vedere se alcuni "trend" che si sono manifestati riusciranno a consolidarsi nelle prossime primarie.

D. – Sul fronte democratico, il confronto Clinton-Sanders su quali tematiche si svilupperà?

R. – Sanders è quello che in America viene definito “insorgente”, cioè è un uomo che si pone contro l’establishment del partito da cui cerca di ottenere la candidatura. È un uomo che ha una grande visione dello Stato, quasi ideologica, che naturalmente attira molto i giovani e le persone più colte. La Clinton, invece, cerca di avere i voti dell’establishment più tradizionale, dei votanti democratici più tradizionali, delle donne, ma in questo non sembra esserci riuscita. Anche tra le donne è stata in buona parte battuta dal suo avversario.

D. – Più fluida la situazione in campo repubblicano, dove sicuramente Trump è quello che fa parlare più di sé, più che altro per i suoi eccessi. Pensa che gli elettori repubblicani possano condividere le sue posizioni?

R. – Molto probabilmente Trump potrà ancora andare avanti perché, anche in campo repubblicano come in un campo democratico, c’è un vero e proprio odio per l’establishment, cioè per i vecchi uomini di partito, d'apparato. Trump tra l’altro non è un vero e proprio conservatore ma piuttosto è un populista. Da molti punti di vista, ha delle idee che non sono lontanissime da quelle di uno Stato sociale e quindi i veri conservatori repubblicani non lo amano. Però, proprio per questo invece raccoglie moltissimo le istanze popolari del Paese.

D. – Il “super martedì”, il primo marzo prossimo, con 15 Stati al voto, risolverà molte cose?

R. – Questo indubbiamente è difficile dirlo al momento. Però, nelle elezioni scorse è sempre stato un momento cruciale e sicuramente lo sarà anche questa volta. Si comincerà a capire qualcosa fra un paio di settimane con le primarie in South Carolina e in Nevada. Il South Carolina è uno Stato importante, il Nevada è più marginale, ma insomma si vedrà se i "trend" attualmente esistenti si consolideranno o meno.

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Venezuela, tagli alle forniture di energia elettrica

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Dalle 13 alle 15 e dalle 19 alle 21. Sono quattro le ore in cui, da oggi, a Caracas e nelle altre città del Venezuela si verifica un’interruzione nel flusso di energia elettrica, in particolare nei grandi centri commerciali. Passato il Carnevale, il ministero dell’Energia dà il via infatti ai blackout elettrici programmati, ufficialmente a causa degli effetti del Niño, il fenomeno climatico che ha ridotto le piogge, facendo prosciugare i bacini idroelettrici che producono energia. Secondo alcuni osservatori, alla base di tali tagli – che lasceranno praticamente al buio le grandi città, con conseguenze anche sulla sicurezza – ci sarebbero soprattutto motivi economici. Ce ne parla Gennaro Carotenuto, docente di Storia contemporanea all’Università di Macerata e studioso di questioni latinoamericane, intervistato da Giada Aquilino

R. – Il Venezuela sta vivendo una crisi economica profonda, generata dal crollo del prezzo del greggio, che è passato nel giro di pochissimi anni da 200 a 30 dollari. La scommessa di Hugo Chávez era quella di finanziare l’equità sociale, la giustizia, uno stato di benessere, scuola, educazione, ospedali, con la rendita petrolifera, pensando - come pensavano tutti gli analisti - che il prezzo del petrolio continuasse a crescere. Dopo la morte di Hugo Chávez il crollo del prezzo del petrolio ha creato una situazione che si sta facendo insostenibile. Con 30 dollari al barile, infatti, il deficit commerciale dello Stato venezuelano è di 24 miliardi di dollari solamente nel 2016, secondo le previsioni. E con questa situazione negli Stati che comunque hanno una fiscalità leggera – perché il Venezuela, finanziando tutto con il petrolio, aveva comunque una fiscalità leggera – si diventa praticamente insolubili.

D. – Che momento vive il Venezuela, dal punto di vista economico e dal punto di vista politico?

R. – Da una parte, c’è un’opposizione che fa quello che grosso modo ha sempre fatto: cercare di far cadere il governo, utilizzando in parte una dialettica democratica e in parte cercando delle “scorciatoie”, a mio modo di vedere, pericolose. Dall’altra parte, il governo di Nicolás Maduro, il successore di Chávez, sembra davvero che abbia delle serie difficoltà a risolvere i problemi. Capiamoci: ci sono stati anche in altre crisi – e penso al Cile di Allende, per esempio – fenomeni di aggiotaggio, di boicottaggio del governo, un governo popolare o come lo vogliamo chiamare, ma poi le risposte vanno trovate. Cioè, se c’è l’aggiotaggio, se ci sono solo forme di boicottaggio interno o internazionale, se gli scaffali dei supermercati restano vuoti e se l’energia elettrica o l’acqua potabile non sono sufficienti, poi le crisi vengono a maturazione. E in questo momento mi sembra che il governo non stia trovando la via, almeno nel breve termine. Il che potrebbe significare pure che la risposta sia assoluta, dato che il tempo del governo, dopo la sconfitta alle elezioni amministrative di fine 2015, potrebbe anche non essere lunghissimo.

D. – Alcuni analisti dicono che proprio questi potrebbero essere segnali di un ciclo che si sta chiudendo per il Venezuela…

R. – Sicuramente, è in corso un passaggio da quello che è stato il ciclo progressista di tutto il continente sudamericano, dove il governo di Chávez, insieme a quello di Kirchner e di Cristina Fernández in Argentina, di Lula e poi di Dilma Rousseff in Brasile – e potrei citarne altri – hanno raggiunto dei risultati. Ma poi, in un contesto di democrazia dell’alternanza, i cicli politici vengono a compimento. E quindi abbiamo visto nelle elezioni di fine 2015 che una parte consistente in particolare delle classi medie, che aveva dato fiducia per molti anni a Hugo Chávez, non l’ha più data a Nicolás Maduro.

D. – Per tornare ai blackout elettrici, rimarranno al buio i luoghi dove si consuma più energia elettrica: cioè i centri commerciali, bar, ristoranti, cinema. Che pericoli potrebbero esserci per la sicurezza? Ricordiamo che Caracas è una delle città, se non la città, più violenta al mondo…

R. – In un altro Paese si sarebbe staccata la corrente in interi quartieri popolari. E le persone che vivono nei quartieri poveri, nelle favelas – che in Venezuela si chiamano “ranchitos” – si sarebbero trovate senza luce e non avrebbero nemmeno avuto particolare possibilità di far sentire la loro voce. In questo caso, si stacca la corrente nei centri commerciali, con mille preoccupazioni reali: il Venezuela è davvero un Paese terribilmente violento. Ma allo steso tempo si vede una certa volontà di cercare una soluzione diversa. Forse non sarà sufficiente – io temo che non lo sarà questa soluzione – però, non levare la luce o levarne meno nelle case, nei quartieri popolari, e diminuirla nei grandi centri commerciali, quelli sfavillanti, delle classi medio-alte, qualche cosa secondo me ci dice.

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Foibe. Mattarella: ricordo non rancore, lavorare per mondo migliore

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Rinnovare la memoria delle sofferenze patite dagli italiani nella provincia di Trieste, in Istria, a Fiume e nelle coste dalmate, è “occasione per rafforzare la coscienza del nostro popolo” e per “contribuire alla costruzione di una identità europea consapevole delle tragedie del passato". Così il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel “Giorno del Ricordo” che fa memoria della tragedia delle foibe dove, tra il 1943 e il ’47, trovarono la morte migliaia di italiani. “Ricordare, scrive ancora Mattarella, non deve favorire il rancore ma liberare sempre più la speranza di un mondo migliore". Ma sentiamo il presidente della Federazione delle Associazioni di esuli istriani, fiumani e dalmati, Antonio Ballarin, nell’intervista di Luca Collodi

R. – I diritti negati non possono essere dimenticati. Per cui, anche se in maniera tardiva, è stato istituito questo “Giorno del ricordo” con la Legge 92 del 2004, votata a larga maggioranza dal parlamento. Questo per noi ha avuto un forte significato, perché dopo un oblio assolutamente ingiusto, di questa storia si può finalmente parlare e lo si può fare in maniera scevra dalla polemica politica.

D. – Perché per tanti anni non si è parlato chiaramente degli infoibati? Era un tema quasi da cancellare …

R. – Intanto quando parliamo di infoibati parliamo di tutte le persone che sono state perseguitate in due periodi:  nel ’43 – la prima stagione delle foibe – e tra il ‘45 fino agli anni 50 – la seconda stagione - , quindi fino a guerra finita. Questa storia racconta di una pulizia etnica operata dal comunismo nazionalista del maresciallo Tito nei confronti della popolazione italofona che abitava quelle terre in maniera autoctona da circa mille anni. Dunque, la visione che noi abbiamo è la seguente: mi ricordo che quando ero piccolo a scuola mi raccontavano che abbiamo vinto la prima guerra e che la seconda “l’abbiamo pareggiata”. Però non era così, l’avevamo persa. I profughi rappresentavano proprio – e quindi il nostro massacro in quelle terre – la fisicità con la quale l’Italia aveva perso questa guerra. Ora, le motivazioni per le quali le foibe sono state silenziate sono due: in un dopoguerra in cui doveva essere ricostruita la storiografia italiana, noi non eravamo comodi nel testimoniare il fatto che l’Italia aveva perso e quindi non si doveva parlare di noi. Allo stesso tempo, da quelle terre sono scappate persone di tutte le classi sociali; l’ottanta percento erano operai, contadini, manovali, pescatori … Se una persona di questa classe sociale scappa dal comunismo, evidentemente testimoniava che il comunismo non era il paradiso terrestre per quelle terre, per quelle persone, per il loro status. Quindi per questi due motivi siamo stati sistematicamente dimenticati e ci è stato affibbiato il bollino di fascisti. Ma non è così. Un esempio: anche membri del Comitato di Liberazione nazionale sono stati infoibati.

D. - Oggi, è chiara la strada per trasformare questa tragedia delle foibe in una coscienza condivisa?

R. - Ormai i tempi sono più che maturi. La moderna storiografia ha fatto luce su quelli che sono stati i fatti. Questo si chiama “Giorno del ricordo”, ma per noi è piuttosto una memoria, che è un po’ differente. Il ricordo potrebbe essere una cosa che poi sfiorisce nel tempo diventando un amarcord, a limite; la memoria invece è in grado di costruire una prospettiva dei processi futuri per mettere in opera azioni per riparare i torti subiti. Come dice un poeta, la memoria è quella strada che tu non imbocchi più perché sai che ti è successo un incidente o una buca in cui non devi più ricadere. Per noi la memoria è questo: il trasferimento di questa nostra storia alla società civile affinché sia da monito perché tragedie del genere non avvengano più. Abbiamo vissuto come esclusi all’interno della nostra patria, ghettizzati, marginati. L’emarginazione e la ghettizzazione creano soltanto dei disastri. Nella prospettiva che noi stiamo ricostruendo evidentemente c’è uno spazio per le comunità che sono rimaste italiane in terra istriana, fiumana e dalmata e le comunità degli esuli che sono andati via. Quindi per noi riscostruire vuol dire fare dei progetti insieme per affermare un’identità. Quindi direi che è una memoria decisamente propositiva.

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Le nuove facce dell'usura: aspetti sistemici e globali

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“Concittadini, famiglie, popoli, continenti”: nella riflessione di Papa Francesco sull’usura, nell’ambito dell’udienza generale, ci sono tutti questi riferimenti. L’usura, infatti, è un fenomeno complesso e diversificato. Fausta Speranza ne ha parlato con il sociologo Maurizio Fiasco, della Consulta nazionale antiusura: 

R. – Il mercato del denaro illegale dell’usura si è fortemente esteso, di pari passo con il procedere della crisi. Riguarda le famiglie – a rischio sono circa un milione e mezzo in Italia – che tecnicamente sono in insolvenza, in sovraindebitamento, in fallimento economico, e quindi escluse dalla possibilità di ricorrere al credito legale, ma anche moltissime imprese, quelle in cui il patrimonio della famiglia coincide con il patrimonio delle imprese, ma anche piccole imprese che si trovano in una crisi di liquidità che si rovescia poi in una crisi del conto economico. Oggi, l’usura non è l’usuraio nel vicolo: l’usuraio è anche quello, ma è anche l’usura dei colletti bianchi, cioè l’usura insediata nel sistema finanziario-creditizio, ovviamente nelle parti malate di questo sistema. E quindi, c’è una devianza dall’alto: è una forma di criminalità economica – quindi, criminalità d’impresa – che danneggia volta per volta sia protagonisti importanti dell’economia reale, quella che dà posti di lavoro e crea bene comune, sia le singole famiglie. C’è un’usura sui poveri, c’è un’usura sulla classe media, c’è un’usura sulla piccola impresa e c’è un’usura di Stati sugli Stati attraverso un sistema bancario che ha smesso di affidarsi all’economia reale e ha preso a giocare d’azzardo sulla speculazione finanziaria. Spesso, molti imprenditori sono stati costretti a sottoscrivere prodotti di finanza derivata se volevano avere il fido ordinario che serviva loro per l’attività economica, e qualcosa del genere è stato proposto anche alle famiglie. Poi, c’è il volgare, violento, squallido usuraio della porta accanto, del vicolo, del mercato rionale nel nostro Sud, ma questo fenomeno si è trasferito anche nel Centronord del Paese, laddove pure le precedenti recessioni, le precedenti crisi degli anni Novanta o degli inizi del secolo, avevano lasciato indenne il tessuto economico imprenditoriale e familiare.

D. – Quanto è importante per lei l’appello di Papa Francesco?

R. – Ha un’ispirazione morale e spirituale, quindi interpella la coscienza e la risposta delle persone. E ha anche un rilievo strategico, potrei dire, perché quella dell’usura è una disfunzione sistemica che impedisce a un’economia nazionale di riprendere, alle famiglie di progettare un futuro e, su scala internazionale, subordina la condizione di una serie di popoli. La globalizzazione ha portato a un ulteriore indebitamento, le scelte vengono fatte su alcuni tavoli a cui i popoli stessi non possono accedere e che non possono condizionare. Quindi, c’è un’usura che colpisce il singolo, che colpisce la famiglia, che colpisce l’impresa, che colpisce gruppi sociali e che, riportata su scala planetaria, riguarda popoli che versano ancora in una condizione di povertà e di insofferenza. Situazioni che la globalizzazione non ha minimamente affrontato.

D. – Dunque, l’appello del Papa si fa anche appello concreto a responsabilità di istituzioni internazionali?

R. – Internazionali e nazionali. Il fronteggiamento dell’usura deve diventare un asse di una politica economica che voglia salvare le persone, l’economia di un Paese restituendo una prosperità equilibrata a interi popoli. Quindi, è un appello morale ma anche un appello a concepire un disegno di politica economica. Del resto, nella “Caritas in veritate” queste cose erano scritte. L’economia è fatta di numeri ed è fatta di rapporti, ma la lettura di questi numeri e di questi rapporti, naturalmente, è ispirata da valori. Questi valori generano un’illuminazione, quindi fanno trovare delle soluzioni che nell’ottusità degli sfruttamenti, di asimmetrie, di approfittamenti, non si vedono.

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Immigrati. Hein: offrire alternative a scafisti e barconi

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Nel 2014, circa 219 mila persone hanno attraversato il Mediterraneo e nello scorso 2015 questa cifra si è addirittura raddoppiata portando a mezzo milione il numero di vite in fuga da guerre e persecuzioni causando l’ecatombe di almeno settemila innocenti. Rifugiati e profughi abbandonano le loro terre a bordo d’imbarcazioni gestite dai trafficanti, toccata la terraferma compiono vere e proprie traversate tra gli Stati europei per poi vedersi sbarrare le frontiere d’accesso ai Paesi “presunti” ospitanti. Di quali siano le rotte legali dell’immigrazione se ne è discusso al convegno “Ponti non muri. Garantire l’accesso alla protezione in Europa” organizzato dal Cir, Consiglio Italiano per i Rifugiati a Roma. Christopher Hein, portavoce e Consigliere Strategico del Cir, al microfono di Francesca Di Folco, spiega quali misure potrebbero essere utilizzate per consentire a rifugiati e richiedenti asilo di arrivare in modo sicuro e legale nel nostro continente: 

R. – Un meccanismo è quello del reinsediamento, che funziona in collaborazione con le Nazioni Unite, dove le persone vengono individuate nel Paese di primo asilo – di prima accoglienza o di transito – secondo i criteri della necessità, della vulnerabilità, del bisogno di avere immediatamente protezione. E questo sulla base di quote che i governi mettono a disposizione. Questo è uno strumento diciamo “tradizionale”, però rimasto fin qui del tutto insufficiente a livello quantitativo. Un secondo meccanismo è quello che inizia adesso anche in Italia: la sponsorizzazione. Ossia, ci sono o familiari del rifugiato o anche gruppi di persone, di privati – circoli – che fanno una garanzia per l’arrivo di un rifugiato, sempre da un Paese di transito o anche di origine, dove la persona è costretta alla fuga. Una terza modalità è quella di poter richiedere asilo presso una rappresentanza diplomatica di un Paese europeo in un Paese terzo. E questo non presuppone una quota prestabilita, ma chi dimostra in un preesame di avere gli elementi – di avere veramente la necessità di protezione, di non poterla trovare nel Paese dove si trova, e di avere un legame con un determinato Paese in Europa – riceve un visto umanitario e poi la normale richiesta di asilo viene esaminata una volta che è la persona è arrivata qui. L’idea è: perché una persona deve per forza arrivare a Lampedusa, in Sicilia, per presentare lì una richiesta di asilo? Non lo può fare un momento prima senza dover pagare i trafficanti, senza rischiare la vita, viaggiando in modo normale e regolare?

D. – Quali punti strategici concreti?

R. – In questo momento, l’Europa intera è davanti ad una sfida enorme, come mai era successo dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Parliamo anche di dimensioni che solo due anni fa erano impensabili. Se è vero che abbiamo avuto più di 1,3 milioni di richiedenti asilo nell’Unione Europea l’anno scorso – e anche a gennaio di quest’anno continuano gli arrivi, innanzitutto in Grecia e sulla rotta balcanica – vuol dire che dobbiamo rapidamente trovare delle risposte che siano all’altezza di dare alle persone – che esse si trovano in Turchia, in Libano, in Giordania, in Kenya, in Etiopia, in Paesi di primo rifugio – dare loro un’opzione effettiva, diversa rispetto a quella di rischiare la vita o di arrivare in modo irregolare sui barconi.

D. – L’Agenda europea sull’immigrazione, predisposta lo scorso maggio, aveva avanzato delle proposte per rispondere a una crisi umanitaria che coinvolge migliaia di persone. Le aspettative sono rimaste disattese? L’Europa ha fallito? Dove?

R. – L’unico elemento della famosa Agenda immigrazione della Commissione europea del maggio 2015 è quello del ricollocamento a favore della Grecia e dell’Italia, che però non ha ancora veramente cominciato a funzionare. Siamo a poco più di 300 richiedenti asilo che fino a ora sono stati ricollocati, negli ultimi quattro mesi. Quindi, si rischia un "flop" se non vengono riviste anche le condizioni per le quali queste persone vengono ricollocate in altri Stati dell’Unione. Per quanto riguarda l’ingresso regolare, questo è menzionato nel documento della Commissione europea, però niente si è mosso in modo veramente concreto fino ad ora.

D. – Oltre l’Europa, quali altri Paesi giocano un ruolo determinante nello scacchiere geo-migratorio? Proprio in questi giorni il presidente della Repubblica, Mattarella, in visita da Obama, sollevando problemi riguardanti le migrazioni ha raccolto il pieno consenso del suo omologo statunitense, che si è detto disposto ad inviare ogni tipo di aiuti…

R. – Certamente, gli Stati Uniti e anche il Canada sono dei Paesi con una lunga tradizione di programmi di reinsediamento di rifugiati. Gli Stati Uniti hanno la quota più alta del mondo, 70 mila rifugiati. Penso che gli Stati Uniti siano adesso anche disposti, a favore dei siriani almeno, ad aumentare la loro quota e quindi a potenziare i propri programmi. È molto importante non pensare che ci sia solo l’Europa come territorio di asilo, ma c’è anche il Nord America e ci sono anche gli altri ricchi Paesi del Golfo e l’Arabia Saudita.

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Nella Chiesa e nel mondo



Niger: appello dei vescovi per elezioni presidenziali libere

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“Durante il tempo di Quaresima si terranno le elezioni nel nostro Paese. Come elettori, militanti o candidati, dobbiamo avere a cuore di mettere al primo posto la verità, laddove la frode sembra trionfare, e il rispetto della voce degli altri laddove è imbavagliata”: è quanto scrive mons. Laurent Lompo, arcivescovo di Niamey, nella lettera pastorale per l’inizio della Quaresima, incentrata sulle votazioni presidenziali, in programma il 21 febbraio.

Scegliere con coscienza e libertà, guardando al futuro del Paese
“La nostra scelta politica - sottolinea il presule, citato dall’agenzia Fides - sarà fatta in coscienza e in tutta libertà, lontano da ogni spirito legato a sette, clan, etnie e regioni”. “Come cristiani cattolici - aggiunge - abbiamo il dovere di prendere parte al futuro del nostro Paese con un voto maturato nella riflessione, nella preghiera, senza lasciarci manipolare dagli agitatori di slogan”.

Impegno civile, dinamica di misericordia
“L’impegno civile è una dinamica in cui si esercita la misericordia”, sottolinea ancora mons. Lompo che ricorda poi le parole di Papa Francesco: “La misericordia è il pilastro della Chiesa”. Infine, l’arcivescovo di Niamey conclude: “Che questo tempo quaresimale sia il momento per prendere coscienza della misericordia di Dio della quale siamo i beneficiari e di esercitarla a nostra volta presso coloro che sono in attesa di accoglierla”.

Paese al voto il 21 febbraio. Eventuale ballottaggio il 20 marzo
Urne aperte, dunque, il 21 febbraio: gli elettori sono chiamati ad eleggere il presidente e a rinnovare l’Assemblea Nazionale. Il capo dello Stato verrà eletto con votazione a doppio turno. Se nessuno dei candidati dovesse farcela alla prima tornata, il ballottaggio si terrà il 20 marzo. (I.P.)

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Zanzibar. Mons. Shao: cristiani e musulmani insieme per la pace

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Preghiera e collaborazione con i musulmani: questi gli auspici di mons. Augustine Shao, vescovo di Zanzibar, che è parte della Repubblica di Tanzania, in vista delle elezioni del 20 marzo, con le quali i cittadini dovranno scegliere le autorità locali ed i rappresentanti al parlamento nazionale. Al momento la situazione “resta pacifica”, sottolinea il presule citato dall’agenzia Sir, ma non mancano le incertezze: il voto precedente, infatti, risalente al 25 ottobre, era stato annullato dopo le proteste dell’opposizione.

Cercare soluzione consensuale
“Incontri e riunioni tra gli esponenti politici sono in corso, ma non sappiamo ancora se porteranno a qualche risultato”, testimonia il vescovo di Zanzibar, che aggiunge: “Abbiamo sempre lavorato insieme ai nostri fratelli musulmani e quando le prime elezioni sono state annullate anche noi abbiamo fatto la nostra parte, chiedendo a governo e opposizione di mantenere la calma e di arrivare a una soluzione consensuale”. “Si era sull’orlo di uno scontro – ricorda ancora il presule - quando abbiamo incontrato le autorità e lanciato il nostro appello congiunto di cristiani e musulmani, e finora la pace ha retto”. Ora, la nuova scadenza elettorale segna un momento delicato: “Se i due partiti in lizza, il Chama cha Mapinduzi ed il Civic United Front, si riconcilieranno – spiega mons. Shao - non è detto che ci sia una pace piena; per questo preghiamo che si arrivi ad un accordo che permetta di continuare con il governo di unità nazionale che è già in carica da cinque anni”.

Il difficile contesto religioso del Paese
Da ricordare che negli ultimi anni lo Zanzibar - in netta maggioranza musulmano e da sempre caratterizzato  da sentimenti indipendentisti - è stato teatro di attentati e di episodi violenti che hanno coinvolto anche la Chiesa cattolica, presa di mira da movimenti islamisti che vorrebbero islamizzare tutta la Tanzania. La grande maggioranza dei musulmani tanzaniani non condivide queste posizioni estremiste, ma la presenza e l’azione di questi gruppi preoccupa la Chiesa, impegnata a mantenere buoni rapporti di collaborazione con le autorità religiose musulmane per contrastare il propagarsi del fondamentalismo islamico nel Paese. (I.P.)

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Due nuovi sacerdoti in Orissa, speranza per l'India

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"Un dono e una benedizione, nell'Anno della Misericordia": così l'arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, in Orissa, mons. John Barwa, ha definito i due nuovi preti ordinati nel distretto di Kandhamal, in passato teatro di violenze anticristiane. I due ordinati – riferisce l’agenzia Fides – sono padre Bonifacio Kanhar e padre Chandulal Boliarsingh, frati francescani cappuccini, ed appartengono alla provincia cappuccina di Andhra-Orissa. Alla celebrazione di ordinazione, presieduta l’8 febbraio da mons. Barwa, hanno preso parte circa 50 sacerdoti e oltre 1500 fedeli.

Nel 2008, violenze provocarono vittime e sfollati
Entrambi i nuovi sacerdoti provengono dal territorio di Kandhamal, luogo dove nel 2008 si è registrata una terribile violenza anticristiana. Gli attacchi durarono quasi quattro mesi e provocarono numerose vittime e 50mila sfollati. L'arcivescovo Barwa ha ricordato che “tutti siamo chiamati a essere strumenti della misericordia di Dio. Anche padre Kanhar e padre Baliarsingh e le loro famiglie sono state colpite dalla violenza e la loro reazione è stata la misericordia”.

Servire Dio e la Chiesa con misericordia
“Ringrazio Dio per il dono del sacerdozio per me e per la Chiesa” ha detto padre Kanhar, ricordando i tempi difficili vissuti otto anni fa. Dal canto suo, padre Boliarsingh ha ringraziato i genitori, i familiari e i sacerdoti “per l’incoraggiamento offerto alla vocazione nel corso degli anni”. “Chiediamo a tutti – ha concluso - di pregare per noi, affinché possiamo servire Dio e la Chiesa con misericordia". (I.P.)

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Regno Unito. Vescovi: sì alla riforma del sistema carcerario

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I vescovi dell’Inghilterra e del Galles salutano l’impegno annunciato dal premier David Cameron a riformare il sistema penitenziario britannico per migliorare la drammatica situazione di oltre 85 mila detenuti nel Paese.

Un sistema carcerario al collasso
Le carceri britanniche, sovraffollate e con elevati tassi di violenza e suicidi, sono infatti al collasso per ammissione dello stesso primo ministro che ha parlato di uno "scandaloso fallimento" del sistema.  Nel tentativo di migliorare questa situazione, ha quindi promesso una serie di riforme strutturali, che prevedono una maggiore autonomia ai direttori degli istituti e nuovi programmi di istruzione. L’obiettivo principale è permettere a chi è stato in prigione il reinserimento nel tessuto sociale e lavorativo in modo da evitare, come accade troppo spesso, che l’ex detenuto torni a delinquere dopo aver scontato la pena.

Incoraggianti le misure annunciate dal governo
Misure giudicate “incoraggianti” da mons. Richard Moth, responsabile per la Pastorale carceraria nella Conferenza episcopale inglese e gallese (Cbcew) che le definisce “un primo passo verso quel ‘carcere buono’ dove le persone sono trattate con dignità e alle quali viene data una opportunità di rifarsi una vita”. “La prigione è già una punizione in sé, non un luogo dove le persone devono essere ulteriormente punite”, ha dichiarato il presule. “E’ immorale continuare a detenere più di 85 mila persone senza offrire mezzi per sostenerli. Per rendere il sistema carcerario più efficace e umano - ha aggiunto - è necessaria una significativa riduzione della popolazione carceraria e la Chiesa è disposta a collaborare con il governo mettendo a disposizione la sua esperienza per raggiungere questo obiettivo”.

Obiettivo del governo creare migliori condizioni di detenzione
Fra i progetti sul tavolo dell’esecutivo, quello di creare nuove prigioni che possano diventare un modello in tutto il mondo con migliori condizioni di detenzione e una serie di attività speciali per il recupero dei condannati. Uno dei problemi da affrontare è anche quello dei molti bambini, un centinaio nell’ultimo anno, che hanno vissuto in carcere con le madri detenute. (L.Z.)

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Vescovi svizzeri: tenerezza e misericordia per i sofferenti

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Tenerezza e misericordia per i malati ed i sofferenti: questo il “mandato” che la Conferenza episcopale svizzera (Ces) dà ai fedeli, in vista della Giornata mondiale del malato che ricorre domani, 11 febbraio. A livello locale, invece, la Chiesa elvetica celebrerà la ricorrenza domenica 6 marzo. Ricordando quanto scritto da Papa Francesco nel tradizionale messaggio per l’occasione, la Ces afferma: “È evidente che l’essere gravemente malati mette a dura prova la fede. Ma d’altra parte essa sviluppa tutto il suo potenziale benefico proprio nel confronto con una situazione di precarietà”, perché “offre al malato la chiave di lettura della malattia come possibile via per arrivare ad una più stretta vicinanza con Gesù”.

Maria, simbolo della vicinanza ai più bisognosi
I presuli sottolineano, inoltre, come il messaggio papale sia incentrato sull’episodio evangelico delle nozze di Cana, in cui emerge il ruolo della Vergine Maria: “È lei – affermano i vescovi - a porgerci la chiave della fede. Maria è simbolo della Chiesa, della sua maternità, tenerezza e misericordia; lei non sta a guardare dove si trova la sofferenza, ma agisce” e questo rappresenta “una linea-guida del Pontificato di Francesco: non tanto il giudizio, quanto un sì alla vicinanza messianica a chi è nel bisogno”.  

Compassione e umanità per vincere ottica prettamente economica
In “un sistema sanitario che tende sempre più a regolare tutto su parametri economici”, afferma la Chiesa svizzera, “dove si nascondono l’inestimabile fattore ‘uomo’, la compassione senza tornaconti e il sentimento d’umanità?”. Di qui, l’esortazione ai fedeli ad essere “collaboratori di Dio a compiere i suoi prodigi, spesso nascosti”. Infine, nell’Anno straordinario della Misericordia, sulla scia delle riflessioni pontificie, la Ces auspica che “ogni ospedale o casa di cura possa essere segno visibile e luogo per promuovere la cultura dell’incontro e della pace”. (I.P.)

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Brasile. Campagna di Fraternità all'insegna dell'ecumenismo

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“Casa comune, responsabilità comune”: è questo il tema scelto dalla Conferenza episcopale brasiliana (Cnbb) per la 53.ma Campagna di Fraternità, la tradizionale iniziativa di solidarietà del tempo di Quaresima.

Per la quarta volta una campagna all’insegna dell’ecumenismo
La cerimonia di apertura si celebra oggi, Mercoledì delle Ceneri, a Brasilia, alla presenza di mons. Sergio da Rocha, presidente della Cnbb, Romi Bencke e Flavio Irala, del Consiglio Nazionale delle Chiese Cristiane (Conic), e mons. Pirmim Spiegel, direttore generale di Misereor, l’organizzazione caritativa tedesca impegnata nella promozione di progetti di sviluppo in Asia, Africa e America Latina. Per la quarta volta in 16 anni, la Campagna di Fraternità ha infatti un carattere ecumenico e quest’anno anche internazionale.

Garantire una vita sana e dignitosa a tutti
Ispirata al versetto biblico di Amos: “Scorra come acqua il diritto e la giustizia come un torrente perenne” (Am 5,24), l’edizione 2016 è focalizzata sull’obiettivo di garantire ai milioni di brasiliani che vivono ai margini della società, nelle periferie, nelle favelas e nelle case popolari l’accesso ai servizi igienico-sanitari, indispensabili per vivere in in condizioni sane e dignitose. “La mancanza di servizi igienico-sanitari di base - sottolinea nel messaggio per l’occasione mons. José Gislon, vescovo di Erexim - non causa sofferenza solo agli abitanti delle periferie, ma a tutta la comunità che vive nella casa comune, con i fiumi inquinati, l’assenza di acqua potabile e gli alti costi della sanità pubblica per combattere le malattie causate dalla carenza di condizioni igienico-sanitarie adeguate”.

Prendersi cura della casa comune e della dignità della vita umana
Il presule ricorda quindi lo stretto nesso tra la cura del Creato e la tutela della vita umana nella prospettiva dell'ecologia integrale proposta da Papa Francesco nella “Laudato si'”: “Prendersi cura dell’ambiente significa prendersi cura della dignità umana e di tutto il Creato che Dio ci ha affidato”. Di qui, in conclusione, l’invito a riflettere in questo periodo di Quaresima sulle responsabilità di ciascuno verso “la vita e la casa comune che ci accoglie”. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 41

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.