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Sommario del 11/02/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa Francesco ai sacerdoti: siate grandi perdonatori

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Papa Francesco si è recato stamani in visita privata nella Basilica di Santa Maria Maggiore per pregare – come di consueto, alla vigilia di un viaggio apostolico – davanti all’icona di Maria Salus Populi Romani. Poi si è trasferito nella Basilica di San Giovanni in Laterano, in occasione dell’incontro dei presbiteri romani per l’inizio di Quaresima e ha confessato alcuni pretti. Noi sacerdoti – ha detto il Pontefice – non siamo principi ma servitori della gente. Il servizio di Amedeo Lomonaco

Dio "perdona sempre, perdona tutto" – ha detto il Papa ai presbiteri romani, esortandoli a "capire la gente" e a perdonare. Ancora tanta gente – ha ricordato il Santo Padre – soffre per problemi familiari, per mancanza di lavoro. Ancora tante persone non riescono a liberarsi dal peccato:

“Sempre trovino in noi un padre”.

Anche se qualche volta "non si può dare l’assoluzione" – ha affermato il Pontefice - "almeno sentano che c'è un padre lì":

"'Io non ti do il Sacramento, ma ti do la benedizione perché Dio ti vuole bene; non scoraggiarti: vai avanti e torna!'. Questo è un padre, che non lascia che il figlio se ne vada lontano".

Si deve essere misericordiosi come il Padre:

“Non bastonare la gente: accarezzare come ci accarezza Dio”.

Si devono lenire le ferite come in ospedale possono fare il medico o una infermiera. Anche i sacerdoti possono alleviare le sofferenze:

“La parola di un prete fa tanto bene, tanto bene. Fa miracoli!”.

Papa Francesco ricorda quante volte hanno parlato di misericordia Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Ed è Dio – ha aggiunto – che vuole questo Anno Santo della Misericordia:

“Se il Signore vuole un Giubileo di misericordia è perché ci sia misericordia nella Chiesa, perché si perdonino i peccati. E non è facile, perché la rigidità tante volte viene da noi. Siamo rigidi o padroni". 

Si deve curare – ha detto il Papa - la malattia del clericalismo:

“La malattia del clericalismo… Tutti! Tutti! Anche io. Tutti abbiamo questo... Non siamo principi, non siamo padroni. Siamo servitori della gente”.

“La misericordia è Gesù”, è il Padre che ha mandato Gesù:

“E se tu non credi che Dio è venuto nella carne, sei l’anticristo. E questo non lo dico io. Lo dice l’apostolo Giovanni”.

Il Signore – ha affermato ancora il Papa – ha affidato questa missione ai sacerdoti “proprio per andare ad aiutare la gente, con umiltà e misericordia”. La misericordia è “Dio che si è fatto carne”. "E’ amore, abbraccio del Padre, è tenerezza, è capacità di capire, di mettersi nelle scarpe dell'altro". Occorre essere "generosi nel perdono e anche capire i diversi linguaggi della gente della gente. C'è il linguaggio delle parole, ma anche c'è il linguaggio dei gesti":

“Quando una persona viene al confessionale, è perché sente qualcosa che non sta bene, vorrebbe cambiare o chiedere perdono, ma non sa come dirlo e diventa muto. ‘Se non parli non posso darti l’assoluzione’. No. Ha parlato con il gesto di venire e quando una persona viene è perché non vuole, non vorrebbe fare lo stesso un’altra volta”.

E se una persona dice: “Io non posso promettere questo”, perché "è in una situazione irreversibile, ma c’è un principio morale: 'ad impossibilia nemo tenetur' - aggiunge il Papa - se è impossibile che lui capisca, ma sempre cercare come perdonare".

"Siate misericordiosi come il Padre - ha concluso - grandi perdonatori. E vi ringrazio del lavoro che fate, perché io credo che quest’anno ci saranno gli straordinari che non vi saranno pagati! (ridono) Ma il Signore ci dia la gioia di avere gli straordinari di lavoro per essere misericordiosi come il Padre".

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Papa invia i Missionari della Misericordia: siate segno del perdono di Dio

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"Possiate aiutare ad aprire le porte dei cuori”: così il Papa, ieri pomeriggio, nella Santa Messa presieduta nella Basilica Vaticana, in occasione del Mercoledì delle Ceneri e per l’invio degli oltre mille Missionari della Misericordia. Francesco ha indicato la preghiera, la carità e il digiuno quali vie a cui ci chiama Gesù, Porta che “vince il peccato e ci rialza dalle miserie”. Massimiliano Menichetti: 

Consegna ai Missionari della Misericordia
Papa Francesco: “Cari fratelli, possiate aiutare ad aprire le porte dei cuori, a superare la vergogna, a non fuggire dalla luce. Che le vostre mani benedicano e risollevino i fratelli e le sorelle con paternità; che attraverso di voi lo sguardo e le mani del Padre si posino sui figli e ne curino le ferite!”. 

Il senso del cammino quaresimale
Questa la consegna che il Papa ha condiviso con gli oltre mille Missionari della Misericordia "segni e strumenti del perdono di Dio". Francesco ha declinato il senso del cammino quaresimale in "due inviti" che la Chiesa rivolge: il lasciarsi “riconciliare con Dio” e il “ritornare” a Lui “con tutto il cuore”. “Cristo sa quanto siamo fragili e peccatori” - ha detto -  “sa che ci occorre sentirci amati per compiere il bene”:

“Egli vince il peccato e ci rialza dalle miserie, se gliele affidiamo. Sta a noi riconoscerci bisognosi di misericordia: è il primo passo del cammino cristiano; si tratta di entrare attraverso la porta aperta che è Cristo”.

Ostacoli che chiudono la porta del cuore
Cristo offre una “vita nuova e gioiosa” - ha proseguito Francesco - riconoscendo che ci possono essere alcuni ostacoli “che chiudono” il “cuore, come "la tentazione - ha detto - di blindare le porte”:

“Ossia di convivere col proprio peccato, minimizzandolo, giustificandosi sempre, pensando di non essere peggiori degli altri; così, però, si chiudono le serrature dell’anima e si rimane chiusi dentro, prigionieri del male”. 

Un altro ostacolo - spiega - “è la vergogna ad aprire la porta segreta del cuore”:

“La vergogna, in realtà, è un buon sintomo, perché indica che vogliamo staccarci dal male; tuttavia non deve mai trasformarsi in timore o paura”.

Infine, la terza insidia, “quella di allontanarci dalla porta” facendo prevalere tristezza e scoraggiamento, rimanendo “soli con noi stessi”:

“Succede quando ci rintaniamo nelle nostre miserie, quando rimuginiamo continuamente, collegando fra loro le cose negative, fino a inabissarci nelle cantine più buie dell’anima".

Lasciamoci riconciliare con Gesù – ha ripetuto il Papa – non bisogna “rimanere in se stessi, ma andare da Lui! Lì ci sono ristoro e pace”.

Il mistero del peccato
Il Papa ha guardato il mistero del peccato che ci allontana “da Dio, dagli altri, da noi stessi”, ha parlato di come si faccia fatica “ad avere veramente fiducia in Dio”, di come sia difficile “amare gli altri,
anziché pensare male di loro”; “siamo attirati e sedotti - ha aggiunto - da tante realtà materiali, che svaniscono e alla fine ci lasciano poveri:

“Accanto a questa storia di peccato, Gesù ha inaugurato una storia di salvezza. Il Vangelo che apre la Quaresima ci invita a esserne protagonisti, abbracciando tre rimedi, tre medicine che guariscono dal peccato”.

Preghiera, carità e digiuno
Il Papa parla della preghiera, la carità e il digiuno. Vie a cui ci invita Gesù “con coerenza e autenticità, vincendo l’ipocrisia”. La preghiera è “espressione di apertura e di fiducia nel Signore che è incontro personale con Lui”: 

“Pregare significa dire: non sono autosufficiente, ho bisogno di Te, Tu sei la mia vita e la mia salvezza”.

In secondo luogo la carità, per superare l’estraneità nei confronti degli altri: l’amore vero - ha precisato - “non è un atto esteriore” “per acquietarsi la coscienza”. “È vivere il servizio, vincendo la tentazione di soddisfarci”.

Ha quindi spiegato che il digiuno e la penitenza aiutano a liberarci dalle dipendenze, allenano “a essere più sensibili e misericordiosi”:

“È un invito alla semplicità e alla condivisione: togliere qualcosa dalla nostra tavola e dai nostri beni per ritrovare il bene vero della libertà”.

Quaresima tempo di potatura da falsità, mondanità, indifferenza
Con lo sguardo fisso al “Crocifisso”, con la consapevolezza che tutti torneremo "ceneri", “la Quaresima - ha aggiunto - sia un tempo di benefica potatura della falsità, della mondanità, dell’indifferenza”:

“Per non pensare che tutto va bene se io sto bene; per capire che quello che conta non è l’approvazione, la ricerca del successo o del consenso, ma la pulizia del cuore e della vita; per ritrovare l’identità cristiana, cioè l’amore che serve, non l’egoismo che si serve”.

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Le testimonianze dei Missionari della Misericordia

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E' stata grande la gioia dei Missionari della Misericordia che ieri hanno ricevuto il mandato da Papa Francesco nella Basilica Vaticana. Ascoltiamo le loro emozioni, raccolte da Marina Tomarro

R. – E’ una grande responsabilità che il Papa ci affida. Penso che siamo chiamati a renderci disponibili proprio perché la misericordia di Dio possa raggiungere i peccatori, le persone più lontane da Dio che, in questo anno, sicuramente sentiranno la chiamata alla conversione.

R. – Sicuramente c'è da prendere molto sul serio l’invito del Papa ad essere padri e madri. Dovrebbe essere sempre così per noi preti: essere sempre padri e madri dei peccatori che si accostano alla Confessione, senza mai condannare nessuno. Noi, infatti, facciamo parte di quella stessa fila di peccatori.

R. – Innanzitutto, vuol dire fermarci per sentirci bisognosi di questa misericordia da parte del Signore. La misericordia è un dono per noi stessi. In secondo luogo, è essere nel mondo una sorgente di misericordia per gli uomini. Come sarebbe bello se d’ora innanzi gli uomini passassero ad associare alla parola “Dio” la parola “misericordia”, vorrebbe dire che alla parola “uomo”, corrisponderebbe il significato di “fratello”

D. – Da dove viene?

R. – Vengo dalla Repubblica Ceca.

D. – Cosa vuol dire per lei avere ricevuto il mandato di missionario della misericordia da Papa Francesco?

R. – Una cosa molto bella, veramente. Lui stesso mi ha benedetto e mandato tra la gente per far vedere il volto misericordioso del Padre.

D. – Lei da dove viene?

R. – Dall’Ucraina. Abbiamo preso questo mandato e la benedizione dal nostro Santo Padre Francesco per servire nella misericordia di Dio tanti bisognosi. Come ha detto il Papa: non serviamo noi, ma l’amore serve attraverso la persona del missionario.

D. – Il Papa vi ha dato questo importante mandato, invitandovi a diventare veramente la chiave con la quale aprire i cuori. In che modo rispondere alla sua esortazione?

R. – Vuol dire innanzitutto imitare Gesù misericordioso, Gesù che non è venuto a giudicare. Attraverso le sue piaghe, noi tutti veniamo guariti. E quindi noi sacerdoti, tutti, siamo chiamati proprio ad annunciare e a donare lo spirito della misericordia, che è lo Spirito di Dio che passa attraverso il Sacramento della Riconciliazione.

D. – Per lei cosa significa questo mandato?

R. – Per me che appartengo alla Comunità Papa Giovanni XXIII è il dono per poter stare ancora di più vicino agli ultimi e vicino a quelle persone che chiedono scusa di esistere. Allora, anche questa è un’altra grandissima occasione per manifestare l’amore di Dio.

R. – Aprire il cuore. Che il nostro cuore sia aperto prima di tutto. Una volta aperto, il nostro sa come aprire il cuore di coloro che incontriamo. Con quali mezzi si pulisce il cuore? Prima di tutto con l’amore, l’amore che si dona, che si dà, una fiamma divina che pulisce prima di tutto il nostro cuore ... e poi non chiudere le porte, ma aprire le porte.

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Cresce attesa Papa in Messico. Card. Rivera: tocca il cuore della gente

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Papa Francesco arriverà in Messico domani alle 19.30 locali, proveniente da Cuba. Nel Paese più dell’83% della popolazione è di religione cattolica. Il Pontefice vi si reca per confermare i messicani nella fede. Il servizio del nostro inviato a Città del Messico, Alessandro Guarasci

La Chiesa messicana è mobilitata per la visita di Francesco. I preparativi sono ultimati e c’è grande attesa per quanto il Pontefice dirà ai fedeli. Lo conferma anche l'arcivescovo di México, il cardinale Norberto Rivera Carrera:

“La tarea del Papa es una…
La missione del Papa è una: confermarci nella fede. Il Papa ha un carisma speciale: di prossimità, umiltà, di sensibilità, che tocca il cuore della gente. Viene come un pellegrino e lui ha voluto farsi vedere come un pellegrino che viene a conversare e a stare vicino alla Nostra Signora di Guadalupe. Questo ci aiuterà molto, anche noi vescovi, nel confermare la comunione nella Chiesa, affinché realmente i poveri, i più diseredati si sentano parte della Chiesa”.

Il porporato definisce “importante” la visita di Francesco all’ospedale pediatrico “Federico Gomez”: i piccoli, alcuni gravemente malati, potranno trarre sollievo dalle parole del Pontefice. Ma dal punto di vista sociale che Messico troverà il Papa? Ancora il cardinale Rivera:

“Encontrarà un México que…
Troverà un Messico che ha avuto progressi politico, sociali, economici; però è un Messico con situazioni di violenza molto cruenta che chiede maggiore trasparenza. Un Messico profondamente religioso, ma che al contempo vive disvalori contrari alla fede cristiana, come la violenza”.

C'è una mobilitazione massiccia per questo viaggio. Più di 4 mila giornalisti accreditati e migliaia di volontari dal Sud al Nord del Paese. Mons. Eugenio Lira Rugarcia, coordinatore della visita:

“Molta gente ha lavorato a questa preparazione in Messico, in Ecatepec, in San Cristóbal de Las Casas, in Tuxtla Gutierrez, anche in Morelia e in Ciudad Juárez. Tutto a posto!”. 

Insomma, un’attesa che cresce di ora in ora e che coinvolge tutti i settori della società messicana.

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Parolin: Francesco in Messico, pellegrino di pace e di speranza

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La misericordia, la giustizia e la pace, così come le migrazioni, la violenza e la criminalità: il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin mette a fuoco - in una intervista al Centro Televisivo Vaticano - quelli che saranno i temi al centro del viaggio di Papa Francesco in Messico. Infine, un commento all'incontro tra il Papa e il Patriarca Kirill a Cuba. Ascoltiamo il porporato al microfono di Barbara Castelli: 

R. – Saranno prima di tutto i temi caratteristici di tutti i viaggi del Santo Padre, direi ancora di più: caratteristici, tipici del suo Pontificato, come il tema della misericordia, certamente, il tema della giustizia, il tema della pace, il tema della speranza. Poi, il Papa si soffermerà anche su temi che invece sono più propri del Paese che visita, per mettere in luce, per mettere in risalto – ad esempio – la forza della fede di questo popolo, la sua straordinaria cultura, la sua straordinaria devozione mariana, la cultura e la ricchezza, anche, delle popolazioni che lo compongono, a partire dalle popolazioni indigene; e certamente toccherà anche temi più negativi, nel senso dei problemi e delle difficoltà con i quali il Paese deve confrontarsi, come è il tema della criminalità, il tema del narcotraffico, il tema della povertà … Immagino anche che il Papa ritornerà su quelli che sono stati i punti principali del viaggio di Benedetto XVI nel 2012, quando si è molto soffermato sul tema della dignità della persona e della libertà religiosa, tenendo conto che da questo punto di vista il Messico ha avuto anche una storia molto, molto travagliata con la presenza di un forte laicismo che non ha permesso di sviluppare una relazione serena con la Chiesa. In questo senso mi pare anche importante sottolineare che per la prima volta un Papa entrerà nel Palacio Nacional, che è la sede ufficiale dell’autorità politica messicana del presidente della Repubblica.

D. – Papa Francesco stesso annunciò questo viaggio il 12 dicembre scorso, festa liturgica della Vergine di Guadalupe. Disse: “Il 13 febbraio sarò al Santuario per venerarla e affidarle il cammino del popolo americano”. Dunque sarà anche un viaggio fortemente mariano?

R. – Bè, se c’è un viaggio che ha una forte connotazione mariana, una forte dimensione mariana, penso che sia proprio il viaggio in Messico, perché sappiamo tutti come la Madonna di Guadalupe è proprio al centro e nel cuore della storia e della vita dei messicani. Io stesso ho potuto constatare – e lo constatavo sempre con una grande commozione del cuore – quanta venerazione, quanta fiducia, quanto abbandono c’è nella Vergine di Guadalupe, quella che i messicani chiamano la ‘Morenita del Tepeyac’. Io credo che il Papa, in questa dimensione mariana, ripeterà spesso le parole che la Madonna disse a Juan Diego: ‘Perché hai paura? Non sono qui io, che sono tua madre?’. Questo è un messaggio che si rivolge al Messico e che si rivolge a tutta l’America Latina e – possiamo dire – a tutto il mondo, in queste circostanze così difficili e tante volte drammatiche in cui si trova a vivere.

D. - Il motto di questo pellegrinaggio è “Papa Francesco: missionario della misericordia e della pace”. Come si incardina questo viaggio apostolico nell’Anno Santo straordinario che stiamo vivendo?

R. - Mi pare che la presenza del Papa in Messico voglia essere – come dire – un aiuto al Paese, alla Chiesa di quel Paese per riscoprire e vivere, nella vita quotidiana, l’aspetto della misericordia, l’annuncio e la testimonianza della misericordia. Mi pare importante sottolineare che il Papa si incontrerà con tante categorie di persone, per richiamare tutti proprio a questo impegno, a questo compromesso di tradurre la misericordia nella vita quotidiana, a partire dai politici, dai popoli indigeni. Il Papa visiterà poi un carcere, visiterà un ospedale, si rivolgerà alle famiglie, ai giovani, al mondo del lavoro, e – naturalmente – ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose. Per tutti sarà veramente un richiamo a essere misericordiosi, come misericordioso è il Padre dei Cieli, che è poi il tema del Giubileo della misericordia.

D. - Papa Francesco tende sempre le proprie braccia verso l’uomo, soprattutto quello in difficoltà. In Messico appunto incontrerà tante forme di disagio. Quali sono oggi le sfide per la Chiesa locale, gli orizzonti di missione?

R. - Senz’altro la sfida di denunciare il male che è presente, alzare la voce – appunto – contro tutti quei fenomeni negativi, a partire dalla corruzione, dal narcotraffico, dalla violenza, dalla criminalità, che impediscono al Paese di procedere speditamente sulla via del progresso materiale e spirituale. E poi di farsi buona samaritana, nei confronti di tante situazioni di persone che soffrono e si trovano in necessità: pensiamo al fenomeno delle migrazioni e all’impatto che ha sulle famiglie, l’impatto disgregatore che ha sulle famiglie. La Chiesa sta facendo molto a questo livello e dovrà continuare a fare molto. E poi rimane sempre il compito principale della Chiesa che è appunto quella di educare le coscienze, nel senso di rendere sensibili di fronte ai fenomeni negativi: per esempio denunciare ed educare contro un’idolatria del denaro, che porta a non rispettare nessun valore, neppure quello della vita umana, e poi – anche e soprattutto – ad annunciare il Vangelo, tenendo conto che questa è la forma migliore per combattere contro tutti questi fenomeni negativi. Mi pare che in questo contesto si collochino l’attività e l’impegno e il compito della Chiesa in Messico.

D. - Papa Francesco – come abbiamo detto – più volte si è pronunciato contro drammi quali la migrazione forzata, il traffico di armi o di droga, anche in sedi internazionali di rilievo, come il discorso pronunciato alle Nazioni Unite. Eppure, tutti i giorni si scrivono pagine di dolore...

R. - Il Papa ci dà un grande esempio: di continuare, di non cedere, di non arrendersi di fronte al male, che pur continua a diffondersi e a far sentire i suoi effetti nel mondo di oggi. Io vorrei sottolineare una cosa, utilizzando l’immagine che ho già usato per la Chiesa: il Papa si china come un buon samaritano su queste piaghe. Non è tanto una denuncia, quanto un prendersi a cuore queste situazioni negative e invitare le persone a lottare contro questi fenomeni e soprattutto a cambiare il cuore. Questo quindi è un atteggiamento sempre di misericordia: non per giustificare – evidentemente – il male, ma per cambiare i cuori e per lottare contro il male. E certamente il Papa metterà poi in rilievo – e questa sarà una cosa bella – anche tutte le ricchezze del Messico, che sono tante. Veramente chi ha vissuto in Messico può dire che si tratta di un Paese – oserei dire – meraviglioso, con una varietà e una ricchezza di cultura, di popolazione, di risorse, che è veramente grande. E quindi, proprio sulla base di tutti questi doni che il Messico ha ricevuto dal Signore, può trovare anche il coraggio e la strada per affrontare e combattere i mali, per progredire sempre più verso traguardi di progresso e di benessere per tutti.

D. - Un segno di grande speranza sicuramente è l’annuncio di venerdì scorso, sull’incontro a Cuba tra Papa Francesco e il patriarca Kirill...

R. - Il fatto che il Papa e il Patriarca di tutte le Russie si incontrino è un grande segno di speranza. E’ veramente un momento che dà coraggio, che dà animo per continuare, cercare di costruire sempre più dei rapporti di intesa, di incontro, di dialogo: i temi sui quali il Papa insiste tanto. Anche questo incontro si colloca – da parte del Papa e sicuramente anche da parte del Patriarca – proprio in questa volontà di intesa e di incontro, in modo tale da contribuire insieme sia al cammino ecumenico – questo incontro avrà sicuramente un grande impatto sul cammino ecumenico – sia al livello più generale del mondo e della società attuale. Quindi, lo guardiamo veramente con una grande speranza e soprattutto lo affidiamo alla preghiera, perché possa essere efficace nel senso che indicavo.

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Koch: incontro Francesco-Kirill, passo coraggioso, darà buoni frutti

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Un passo coraggioso che porterà buoni frutti nel dialogo ecumenico: è quanto afferma ai nostri microfoni il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, parlando dello storico incontro, domani all’Avana, tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Russia. L’incontro è stato annunciato a sorpresa il 5 febbraio scorso. Ascoltiamo il porporato nell’intervista rilasciata a Mario Galgano

R. – Es ist natürlich eine Überraschung dass zum ersten Mal in der Geschichte ein russisch-orthodoxer …
Ovviamente è una sorpresa il fatto che per la prima volta nella storia un Patriarca russo-ortodosso e il Vescovo di Roma, come Pontefice della Chiesa universale cattolica, si incontrino; naturalmente, il tutto è stato progettato da molto tempo.

D. – Come è successo che l’incontro si terrà a Cuba? Perché non in Europa, come si chiedono in molti?

R.- Man muss zweierlei sehen. Erstens einmal, der Heilige Vater Franziskus hat auf dem Rückflug von …
Bisogna fare due considerazioni. Intanto, che il Santo Padre Francesco, nel volo di ritorno dalla sua visita in Turchia, a Costantinopoli, ha detto chiaramente: “Desidero incontrare il Patriarca ortodosso Kirill; lui può decidere dove e come e io vengo”. Da lì poi si è verificata quella coincidenza che il Papa si sarebbe recato in Messico e che il Patriarca avesse già programmato una visita a Cuba: quindi si è arrivati a trovare questa soluzione. Il retroscena, però, è un altro, ed è quello che il metropolita Hilarion ha menzionato chiaramente nella conferenza stampa di presentazione dell’evento: da parte ortodossa non si desiderava che questo incontro si tenesse in Europa, perché l’Europa è il continente delle divisioni delle Chiese, mentre questi incontri non sono volti a sottolineare le divisioni, quanto piuttosto a indicare il superamento di tali divisioni. Per questo è stata scelta quella località.

D. – Si affronteranno anche i “temi caldi”? Si parlerà anche di ciò che è di ostacolo all’unità?

R. – Natürlich kann man in einem zweistündigen Gespräch nicht alles behandeln, aber sicher …
Ovviamente in un discorso di due ore non si può parlare di tutto, ma sicuramente si parlerà delle questioni che riguardano i due capi delle Chiese, da un punto di vista personale ed ecclesiale.

D. – La questione ucraina sarà uno degli argomenti trattati?

R. – Die Ukraine war ja lange der Grund weshalb dieses Treffen nicht zustande gekommen ist, …
L’Ucraina proprio è stata per molto tempo la ragione per cui non si è riusciti a organizzare questo incontro, da parte ortodossa. Il Patriarca ortodosso russo è molto colpito dalla situazione in Ucraina e dall’altro lato anche il Papa è molto colpito dal conflitto che si sta svolgendo in Ucraina e dalle difficoltà esistenti nei rapporti tra la Chiesa greco-cattolica e le Chiese ortodosse, perché la Chiesa greco-cattolica è parte della nostra Chiesa. Tutto questo tocca e colpisce molto il Papa. Penso che sia impossibile incontrarsi senza parlare di tali questioni.

D. – I prossimi passi quali saranno? Questo è un incontro, ma ovviamente si spera esso porti progressi in campo ecumenico …

R. – Es wird sicher die Beziehungen innerhalb der Orthodoxie prägen, denn wir haben ja mit vielen …
Sicuramente andrà a forgiare i rapporti all’interno dell’ortodossia: finora, con molti dei Patriarchi ortodossi non abbiamo contatti – tra il Papa e questi Patriarchi – e questo incontro potrebbe contribuire anche ad approfondire i rapporti intra-ortodossi, proprio in vista del Concilio panortodosso che si svolgerà a giugno a Creta. A quel punto, sicuramente porterà frutti buoni per il dialogo teologico, che noi conduciamo non solo con singole Chiese ma con l’insieme dell’ortodossia; e nel momento in cui dovessero esistere rapporti migliori, una migliore vicendevole comprensione tra Roma e Mosca, questo sicuramente potrà avere riflessi positivi sul dialogo teologico.

D. – Si levano anche voci critiche, in particolare in campo ortodosso russo; anche i commenti dei greco-cattolici non sono sempre positivi … ci sono dei timori. Lei cosa pensa di queste riserve?

R. – Ich glaube, der russisch-orthodoxe Patriarch ist sich sehr dessen bewusst, dass es diese Stimmung …
Credo che il Patriarca russo-ortodosso sia profondamente consapevole di questa atmosfera, di queste reazioni, e questo è a più forte ragione conferma della volontà di realizzare questo incontro. In questo senso vorrei dire che quello del Patriarca è sicuramente un passo coraggioso …

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Papa a Campagna Fraternità: mobilitarsi per difesa ambiente

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Tutte le persone di buona volontà sono chiamate a impegnarsi per il “futuro della nostra Casa comune”. E’ quanto scrive Papa Francesco in un messaggio indirizzato dai fedeli brasiliani in occasione della “Campagna della Fraternità”, promossa dalla Conferenza episcopale del Brasile. Il tema scelto quest’anno è “Casa comune, nostra responsabilità”. Dal Pontefice l’incoraggiamento “ad approfondire la cultura ecologica”, nella convinzione che il degrado ambientale danneggia prima di tutti i più poveri. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Chiedo a tutte le persone di buona volontà di impegnarsi con politiche pubbliche e atti responsabili che garantiscano l’integrità e il futuro della nostra Casa comune”. E’ l’appello che Papa Francesco rivolge nel Messaggio per la Campagna brasiliana della Fraternità in occasione della Quaresima. Il Pontefice rammenta che l’iniziativa, nata nel 1963, si concentra quest’anno sull’accesso universale ai servizi sanitari.

Siamo tutti responsabili per la nostra Casa comune
Tutti noi, scrive Francesco, “abbiamo una responsabilità per la nostra Casa comune”, per l’ambiente. E invita “le persone di buona volontà a mobilitarsi, a partire dai luoghi dove vivono”. Di qui l’esortazione “a prendere iniziative per unire le Chiese e le vari espressioni religiose e tutte le persone di buona volontà nel promuovere la giustizia e il diritto ai servizi igienico-sanitari”. L’accesso “all’acqua potabile e ai servizi igienici – ribadisce – è un prerequisito per superare l’ingiustizia sociale e per sradicare la povertà e la fame, per superare gli alti tassi di mortalità infantile e di malattie prevenibili” e favorire “la sostenibilità ambientale”.

Degrado ambientale colpisce i più deboli
Ancora una volta, riprendendo la sua Enciclica Laudato si’, Francesco evidenzia il “nesso tra degrado ambientale e degrado umano e sociale, mettendo in guardia che il deterioramento dell’ambiente e quello della società colpiscono in modo speciale i più deboli del pianeta”. Serve allora, esorta il Papa, “un approfondimento della cultura ecologica”. Questa, rileva, “non si può limitare a risposte parziali” come se i problemi fossero isolati tra loro.

Gesù ci chiede di toccare la carne sofferente degli altri
“Il ricco patrimonio di spiritualità cristiana – si legge nel Messaggio – può dare un magnifico contributo per uno sforzo di rinnovamento dell’umanità”. Un patrimonio, aggiunge, che nel periodo della Quaresima – grazie anche alla Campagna di Fraternità – ci fa superare “la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore”, mentre “Gesù vuole che tocchiamo la carne sofferente degli altri”.

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Mons. Paglia: primato d'amore e preghiera nel Giubileo di Benedetto XVI

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Ricorre oggi il terzo anniversario della rinuncia al Ministero petrino da parte di Benedetto XVI. Un gesto epocale che oggi si può leggere anche con un approfondimento del suo significato grazie al Giubileo della Misericordia. Alessandro Gisotti  ne ha parlato con mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia: 

R. – Non c’è dubbio che sia stato un grande gesto di amore per la Chiesa, un grande gesto di umiltà di fronte a questo mistero così grande, che la fede di Papa Benedetto guardava con la certezza della guida dello Spirito Santo. Ed ecco perché questa dimensione della misericordia di Dio che sostiene la Chiesa che – appunto – l’ha spinto, per amore della Chiesa, alla rinuncia, ma in un certo modo rendeva ancora più "benedetta" – se così posso dire – la Porta Santa quando si è aperta in San Pietro, nel vedere Papa Francesco che ha voluto attraversarla assieme al Papa emerito …

D. – Ha toccato tutti il passaggio della Porta Santa da parte di Benedetto XVI, lo scorso 8 dicembre, come un semplice fedele. Dunque, Papa Benedetto non lo vediamo ma sappiamo che anche lui vive il Giubileo e lo abbiamo visto in questo momento iniziale …

R. – Sì, esatto. Ma io credo che abbia voluto, proprio con questo gesto visibile, dire a tutti che il Giubileo è un gesto di profonda fede e lui lo vive con quella dimensione spirituale e di primato dell’amore e della preghiera, che dal primato petrino lui ha trasferito, in qualche modo, al primato di stare in ginocchio, sotto la Croce, di stare in preghiera per questo tempo ultimo della sua vita: un esempio straordinario per tutti quelli che si avviano a percorrere gli ultimi anni della propria esistenza. Davvero, bisogna dire, bisogna invecchiare così: bisogna vivere gli ultimi anni nella preghiera, nel raccoglimento, nell’aprire il proprio cuore alla Chiesa universale, anzi, al mondo intero. Papa Benedetto ci indica – come dire – una “spiritualità dell’anziano”.

D. – Benedetto XVI, nella festa della Divina Misericordia del 2010, disse: “La misericordia è il nucleo centrale del messaggio evangelico, è il nome stesso di Dio”, parole che sembrano quasi ricordare le stesse parole anche di Papa Francesco. Davvero, sulla misericordia c’è una grande continuità … E poi, ovviamente, il pensiero va anche a Giovanni Paolo II …

R. – Sì … io andrei ancora prima, quando San Giovanni XXIII disse che “è venuto il tempo della misericordia”, con il Concilio; non c’è dubbio che poi Papa Paolo VI, quando indicò il Concilio come il Buon Samaritano verso questo nostro mondo morto: anche lì è la misericordia di Dio che si china. San Giovanni Paolo II ha scritto perfino un’Enciclica, oltre ad aver istituito la Domenica della Misericordia dopo Pasqua. Papa Benedetto ha scritto la sua prima Enciclica sull’amore: “Deus caritas est”. Ecco perché penso che questo tema della misericordia sia una sorta di filo rosso che da Giovanni XXIII a Papa Francesco raccoglie la seconda parte del Novecento e dà come un avvio ai primi lustri di questo nuovo secolo. Direi che essere misericordiosi è un modo di sentire la Chiesa, un modo di viverla.

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Le spoglie di Padre Pio e Padre Leopoldo Mandić lasciano il Vaticano

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Le spoglie di San Pio da Pietrelcina e San Leopoldo Mandić hanno lasciato il Vaticano per tornare rispettivamente a San Giovanni Rotondo e Padova. Stamane la Messa di congedo presieduta nella Basilica di San Pietro da mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Ce ne parla Sergio Centofanti

La vita di Padre Leopoldo nel silenzio di un confessionale
Tanti i fedeli che hanno voluto dare l’ultimo saluto ai due Santi della misericordia. Mons. Fisichella, ha tratteggiato la figura dei due Cappuccini commentando il Vangelo del giorno in cui Gesù invita i discepoli a seguirlo, rinnegando se stessi, portando la propria croce:

“Padre Leopoldo – lo sappiamo – nella sua vita voleva essere missionario, soprattutto tra i popoli slavi, per ricondurli all’unità. Voleva essere un predicatore e il Signore gli ha chiesto di rinunciare. La sua vita si è svolta nel silenzio di un piccolo confessionale: un confessionale che neppure il bombardamento del suo convento ha potuto distruggere. Sotto il bombardamento della guerra quel convento è stato distrutto; l’unica cosa che è rimasta in piedi, il confessionale di padre Leopoldo: quello è il segno di una chiamata che è stato capace seguire fedelmente ogni giorno, ogni giorno!”.

Padre Pio: la Croce è pegno di amore
Qui – ha proseguito mons. Fisichella - è “la drammaticità della nostra vita”, ogni giorno fare nostra la Croce di Gesù: 

“E qui padre Pio ci è più che mai di esempio. Scriveva: ‘So benissimo che la Croce è pegno di amore, la Croce è caparra di perdono’. E l’amore che non è alimentato e nutrito dalla Croce non è vero amore. Si riduce a un fuoco di paglia. E la sua vocazione è stata quella di portare, impresso nel suo corpo, la Passione stessa di Gesù. Mai come per lui - e prima di lui San Francesco - potevano essere valide queste parole dell’Apostolo Paolo: ‘Portiamo sempre nel nostro corpo la morte di Gesù; perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne, di modo che in noi opera la morte, ma in voi la vita’”.

Il Ministero della Riconciliazione che “questi due frati cappuccini hanno svolto intensamente ogni giorno per tutta la loro vita - ha concluso mons. Fisichella - non è altro che portare in sé la morte, perché in noi ci potesse essere la vita del perdono e la vita nuova della riconciliazione con il Signore Gesù”.

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Colletta per i cristiani di Terra Santa, no all'indifferenza

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“Un dovere ‘antico’, che la storia di questi ultimi anni ha reso ancora più urgente”, così il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, richiama in una Lettera i vescovi di tutte le Diocesi ad attivarsi per la tradizionale Colletta del Venerdì Santo dedicata alla Terra Santa. Il servizio di Roberta Gisotti

“Non possiamo restare indifferenti: Dio non è indifferente!”: il cardinale Sandri riprende le parole di Papa Francesco nella Lettera, esortando tutti i fedeli del mondo, “più che mai” “in quest’Anno giubilare”, a mostrare “misericordia e vicinanza” ai fratelli “rifugiati, sfollati, anziani, bambini, ammalati” del Medio Oriente dove "si sperimenta il buio e la paura dell'abbandono, della solitudine e dell'incomprensione. Tempo di prove e di sfide, tempo di martirio”. Tutto questo – sollecita il porporato - impone “di aiutare, di far fronte alle emergenze, di ricostruire e di trovare spazi, di creare nuovi modi e luoghi di aggregazione, di assistenza”.

Nella Terra Santa “sono le nostre radici” e “il nostro cuore”, ricorda ancora il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali: per questo “siamo debitori verso coloro che di là sono partiti per portare la fede al mondo” e “che là sono rimasti nonostante i conflitti che sempre l'hanno martoriata.” Una Terra – sottolinea il porporato - che “chiama in causa la nostra carità. Da sempre e oggi con accresciuta urgenza”. “Ogni persona che là vive e opera”, ha infatti bisogno di “preghiere” e “aiuto concreto” e di “essere sostenuta” per “lenire le ferite” e continuare a “realizzare la giustizia” e “operare per la pace”.

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Giornata del malato. Fra Fabello: riempire la loro anima di speranza

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“Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Il Papa ha messo in risalto le parole di Maria a Cana nel Messaggio per la Giornata Mondiale del Malato che si celebra oggi, memoria della Beata Vergine di Lourdes. La celebrazione centrale della Giornata si tiene oggi a Nazareth, in Terra Santa, con una Messa presieduta da mons. Zygmunt Zimowski, presidente dela Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. A Cana, scrive Francesco nel suo Messaggio, si profilano i tratti distintivi della missione di Gesù, Colui che soccorre “chi è in difficoltà e nel bisogno”. Un pensiero ribadito ieri al termine dell’udienza generale, quando ha nuovamente invitato chi cura i malati a farlo con “occhi pieni di amore”. Alessandro De Carolis ha chiesto un commento a queste parole a Fra Marco Fabello, direttore del Centro per malattie psichiatriche San Giovanni di Dio di Brescia: 

R. – Credo che il Papa parta da una realtà molto frequente, e cioè che tutte le persone che si dedicano agli altri, soprattutto ai malati, trovano conforto in questa espressione di Papa Francesco, e a volte ne hanno proprio bisogno perché normalmente – o spesso – gli operatori sanitari non sono riconosciuti non solo per quello che fanno, ma anche per quello che fanno in nome della carità cristiana. Quindi, io credo che il Papa abbia davvero colto nel segno perché c’è bisogno anche di riempire l’animo di queste persone, di dare loro quelle speranze e quelle certezze che normalmente non sono riconosciute.

D. – Papa Francesco ama i malati con particolare tenerezza: questo è evidente da tanti suoi incontri con loro. Ha qualche testimonianza, qualche impressione su questo affetto che il Papa nutre per loro?

R. – Normalmente, più che ascoltare qualche cosa di particolarmente personale, si ascolta sempre di più il discorso universale: il Papa vuole bene ai malati, il Papa ci vuole bene, quando andremo a trovare il Papa? Ecco, questa è una domanda che viene fuori spesso. I malati che ho io sono malati con problematiche psichiatriche e di demenza: credo che siano domande assolutamente belle, anche perché loro si rendono conto che il Papa da loro non potrà venire e molto difficilmente loro potranno andare dal Papa …

D. – La Giornata del malato di quest’anno verrà vissuta in modo particolarmente solenne in Terra Santa. Nell’Anno del Giubileo, voi Fatebenefratelli avete scelto un modo particolare di vivere questa giornata?

R. – In tutte le nostre opere c’è qualche iniziativa particolare. Ad esempio, dove sono io sono già quattro giorni che noi facciamo incontri, convegni e riunioni basati sulla Giornata mondiale del malato, che non è – appunto – solo preghiera, ma è anche riflessione, é anche scienza, è anche – se vogliamo chiamarla – la politica sanitaria, per un certo aspetto. Pensiamo solo al discorso dei manicomi giudiziari, che sono ancora in balìa delle onde … ecco, questi sono malati davvero gravi, davvero abbandonati che hanno bisogno di grande attenzione …

D. – Ecco, nella vostra riflessione emerge qualche dato concreto, qualche proposta per poter migliorare la situazione?

R.- Se parliamo dei malati con problematiche giudiziarie possiamo dire che l’esperienza che abbiamo è positiva, nel senso che gran parte dei malati che ci sono stati affidati in questo senso sono tornati al loro domicilio. Questo che cosa vuol dire? Vuol dire che se c’è accoglienza, se c’è capacità tecnica, se c’è buona assistenza, se ci si prende bene cura di loro, hanno ancora molte possibilità di acquistare la loro dignità di uomini e di persone che hanno perso. Un giorno ho portato un prete dove c’erano tante di queste persone, e metà di loro hanno chiesto di confessarsi. Cosa vuol dire? Vuol dire che la misericordia di Dio arriva prima del giudizio degli uomini.

D. – Quindi, si può dire che voi il Giubileo, in realtà, lo vivete ogni giorno, tutti i giorni, da sempre?

R. – Ma … io credo che chi vive con i malati e lo vive in un certo modo, il giubileo vero e proprio sia proprio nella quotidianità, cosa che forse ogni tanto è meglio mettere in evidenza perché questa quotidianità sia un po’ rivestita di quella aureola di spirito in più di cui c’è bisogno ogni tanto, anche per rifarsi un po’ il proprio interiore.

D. – Vorrei riprendere gli auguri che Papa Francesco, alla fine del suo messaggio, fa a tutti gli operatori sanitari: gli auguri mariani, di essere come Maria, Madre della Misericordia, che a Cana intercede presso suo Figlio …

R. – Intanto, mi pare di essere tra coloro che riempiono le idrie di acqua: tra gli operatori più semplici. Gesù ha fatto il miracolo a Cana, ma l’ha fatto dopo che qualcuno ha messo l’acqua. Noi dobbiamo portare questa acqua d’amore, quest’acqua di misericordia: la Madonna ce lo dice chiaramente, no? “Fate quello che Gesù vi dirà”. Cosa ci dice Gesù tutti i giorni? Ama il prossimo tuo come te stesso. Guarda che tuo fratello malato ha bisogno di te: vagli incontro, aiutalo, dagli una mano …

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Nomina episcopale in Colombia di Papa Francesco

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In Colombia, Francesco ha nominato vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Ibagué il rev.do Miguel Fernando González Mariño, del clero della diocesi di Santa Marta, finora rettore del Seminario Maggiore diocesano San José, assegnandogli la sede titolare di Boseta.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Anno di grazia: a San Giovanni in Laterano il Papa incontra i preti romani e parla del Giubileo della Misericordia.

Il tempo della potatura: nella Messa del Mercoledì delle Ceneri il Pontefice chiede di vincere ipocrisia, mondanità e indifferenza.

Dottrina e semplicità: Paolo Vian su Heinrich Denifle fra Graz, Parigi e Roma.

Mirna Hayek su una vita tra le bombe: lettera da Aleppo.

Oblio o ricordo?: Giulia Galeotti sull’ultimo romanzo di Kazuo Ishiguro.

La missione di Clavio: Emilio Ranzato recensisce il film “Risorto”.

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Oggi in Primo Piano



500 morti, 100 civili, in provincia di Aleppo dal primo febbraio

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Il Segretario alla Difesa Usa, Carter, rilancia l'ipotesi di una missione Nato nel Mare Egeo, per controllare i traffici di migranti. Guardando alla Siria da dove fuggono i profughi, emergono prove sull'uso di armi chimiche da parte del sedicente Stato Islamico. Lo ha confermato, in audizione al Congresso Usa, il capo dell’Intelligence americana.  Intanto, alla vigilia della ripresa dei negoziati sulla crisi siriana, a Monaco, all’Onu si è discusso dei raid russi. Il servizio di Fausta Speranza

Pressione dei Paesi occidentali su Mosca al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: Washington accusa  i raid russi di favorire i miliziani dell’Is, colpendo la popolazione civile e creando profughi. Parigi accusa Mosca e Iran di complicità con la brutalità del regime siriano. Altri riportano dati dell’Osservatorio siriano per i diritti umani: 500 persone, di cui almeno 100 civili, sono stati uccisi dal 1° febbraio, inizio dell’offensiva di Damasco, supportata dalla Russia, nella provincia di Aleppo. Francesca Sabatinelli ha raggiunto proprio ad Aleppo padre Firas Lutfi, vicario parrocchiale della comunità latina:

R. – Sì, purtroppo Aleppo è la città più martoriata della Siria. E non è solo la mancanza di acqua, di cibo, di alimenti ciò che ci fa soffrire: questo possiamo anche sopportarlo, anche se non è facile. Il problema di fondo è soprattutto quello della non sicurezza. Non c’è neanche un posto dove possiamo dire: “Qui stiamo bene perché stiamo tranquilli, perché non ci sono le bombe e non ci sono quelle bombole di gas che ci lanciano le milizie dell’Is, di tutti i gruppi terroristici”. Lì siamo sotto ai bombardamenti, giorno e notte. E’ chiaro che c’è questa emorragia di intere famiglie che pensano di lasciare il Paese. Purtroppo, è un’offensiva e una controffensiva, da una parte e dall’altra. Quando i “grandi” si mettono a giocare con le armi, gli innocenti, i “piccoli”, i bambini, le donne sono quelli che maggiormente ne subiscono le conseguenze. Ebbene, anche il flusso di questi innocenti che varcano il confine della Turchia in cerca di un riparo è un dramma, è "il" dramma... Stiamo vivendo il calvario.

Dalla provincia di Aleppo, al nord della Siria, scappano le migliaia di civili che da giorni bussano al confine turco. Il primo ministro di Ankara parla di ipocrisia di quanti chiedono di aprire le frontiere. Il presidente turco Erdogan alza il tiro accusando l’Onu di inazione.

In casa europea, la Commissione richiama gli Stati membri a rispettare i meccanismi di accoglienza e ripartizione decisi.  Resta da dire che Germania, Turchia e Grecia chiedono alla Nato una missione di pattugliamento nel mar Egeo, per chiarire le responsabilità dei traffici di migranti.

Alle consultazioni di oggi a Monaco sulla crisi siriana, confermati anche i ministri di Arabia Saudita e Iran. Ci sono gli stessi rappresentanti di 17 Stati che partecipavano alle consultazioni di Vienna di mesi fa. Prima che si tentasse, la settimana scorsa, la carta dei colloqui tra parti in causa: governo siriano e opposizioni. Del margine di manovra possibile al momento, Fausta Speranza ha parlato con Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento: 

R. – In questo momento i margini sono sempre estremamente delicati perché, come abbiamo imparato ormai da tempo, i margini dei negoziati sono in base alle conquiste sul terreno che attualmente vedono una resistenza, anzi un’avanzata delle forze governative. Questo vuol dire che quello che si poteva chiedere ad Assad due o tre mesi fa, oggi non lo si può più chiedere. In più, il ruolo della Russia è diventato assolutamente determinante, viste le operazioni sul campo dell’aviazione di Mosca. E quindi diventa estremamente complicato fare pressioni o su Assad o sulla Russia, in un momento in cui questi due Stati sono in una fase di avanzata.

D. - C’è uno scambio di accuse tra Russia e Stati Uniti. Nell’ambito del Consiglio di sicurezza dell’Onu, in tanti hanno accusato Mosca per i raid che colpirebbero i civili e addirittura favorirebbero lo Stato islamico. Mosca risponde accusando la coalizione a guida Usa di aver centrato due ospedali…

R. – Sarà molto difficile appurare chi ha colpito cosa. Di certo, ci troviamo davanti ad accuse più di carattere politico che militare. I risultati sul campo da parte della Russia sono assolutamente indubbi. Questo probabilmente crea dei problemi all’amministrazione americana che - non dimentichiamolo -  si avvia alla fine del suo mandato. Praticamente nei mesi precedenti, e almeno nell’ultimo anno trascorso, ha fatto ben poco per poter contenere la possibile avanzata del presunto Stato Islamico.

D. - Dramma profughi in particolare dalla provincia di Aleppo dove  scappano verso la Turchia. Erdogan accusa l’Onu di inazione. Che dire?

R. - L’accusa di Erdogan è assolutamente condivisibile, ma non è solo l’Onu a non muoversi; anche l’Europa non si muove. Su questo ha ragione. Quello su cui invece ha perfettamente torto è il fatto di chiudere le porte all’avanzata dei profughi. Non sono semplici migranti, ma sono profughi perché fuggono da una situazione assolutamente drammatica. In questo momento devono essere aiutati in tutti i modi, naturalmente facendo una chiara selezione di quelli che magari potrebbero essere dei possibili infiltrati. Chiudere le porte crea un ulteriore scontento. Prima di accusare l’Onu di inazione, la Turchia dovrebbe guardare al proprio interno e soprattutto non sollevare accuse come quelle di pulizia etnica nei confronti di qualcuno, nel momento in cui è tra i maggiori responsabili della crisi siriana.

D. - Colloqui a Monaco: si può pensare che gli incontri a Ginevra tra le parti abbiano fatto fare dei passi avanti tra i vari Paesi? In particolare quello tra Arabia Saudita ed Iran?

R. - Il problema è che i maggiori  e più positivi incontri con possibili risultati avvengono sempre dietro le quinte. Se qualche risultato è stato ottenuto al momento non ci verrà rivelato, dovremo ancora aspettare. Certo, ripeto, l’intervento deciso da parte della Russia ha scompaginato gli equilibri o disequilibri che c’erano nel Paese e ha portato decisamente un nuovo attore sulla scena internazionale mediorientale e, da questo momento,  con lui bisognerà fare i conti ogni giorno. Mi riferisco al presidente Putin.

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Centrafrica: domenica il ballottaggio presidenziale

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In Centrafrica, dopo una serie di rinvii, il ballottaggio per l'elezione del nuovo presidente si terrà come programmato domenica prossima. Lo ha reso noto la commissione elettorale: in corsa ci sono due ex premier, Georges Dologuele e Faustin Archange Touadera. Dopo il viaggio del Papa, lo scorso novembre, il Paese ha ritrovato una situazione di maggiore tranquillità. Dal marzo 2013 era caduto in una violenta guerra civile che ha causato morte e distruzione. Queste elezioni libere sono ora un nuovo segno di speranza per un futuro più stabile per il Paese. Stefano Pesce ha intervistato il prof. Gian Paolo Calchi Novati, direttore del Dipartimento di studi politici e sociali dell’università di Pavia: 

R. – Domenica prossima si vota per un ballottaggio. Nel primo turno l’elettorato ha dimostrato di essere abbastanza frammentato; ci sono alcuni personaggi politici che hanno fatto parte di governi del passato. Non c’è quindi una vera rottura storica, però questa consisterebbe nell’elezione libera di un presidente.

D. – Il voto di domenica potrebbe dare un futuro a questo Paese?

R. - A questo punto si tratta di vedere se specialmente nel ballottaggio testa a testa il risultato sia sufficientemente netto da lasciar cadere i sospetti. Se il risultato fosse molto contrastato con una vittoria sui decimali c’è da temere che gli sconfitti possano risentirne.

D. - Tre anni fa un colpo di Stato ha cambiato il corso della storia del Paese. Che cosa è successo in questi tre anni?

R. - La crisi che si è prodotta nel 2013 è stata abbastanza anomala per la storia della Repubblica centrafricana e ha visto come protagonista ambivalente - per non dire ambiguo - il Ciad che da una parte ha dato l’impressione di voler sostenere un movimento islamico e poi quando questo è diventato pericoloso ha, in un certo senso, sostenuto una lotta per abrogare il potere politico che questo movimento aveva preso. Da questo momento in poi la Repubblica centrafricana è stata coinvolta in un contrasto cristiani-musulmani che non faceva parte della sua storia. Da allora risente di questo problema – jihadismo da una parte, war on terror dall’altra – con epicentri più drammatici nel Mali, nel Niger e recentemente persino nel Burkina Faso.

D. - Tutto questo si ripercuote ovviamente sulla popolazione. La Repubblica centrafricana conta cinque milioni di abitanti, la metà è a rischio fame. Dal punto di vista umanitario la comunità internazionale in che modo si muove?

R. - La crisi che ha tormentato lo Stato negli ultimi tre o quattro anni ovviamente, come purtroppo capita sempre, è stata duramente pagata dalla popolazione. Gli interventi dei Paesi vicini o lontani inevitabilmente - anche quando fossero ispirati da motivi di stabilizzazione - provocano delle situazioni di crisi, di emergenza. Ci sono anche delle organizzazioni internazionali che cercano di rimediare agli aspetti più drammatici dell’emergenza, ma sappiamo che è un Paese lontanissimo da tutte le vie di comunicazione internazionali e quindi pesantemente penalizzato da una situazione di emergenza. “È  il cuore - si diceva una volta –, il cuore malato dell’Africa”. Negli ultimi anni è ritornata questa sua fisionomia decisamente pericolosa per la sopravvivenza della popolazione.

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Unint e Zetein: la cultura contro le crisi per un futuro di speranza

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“Tra paura e speranza costruiamo un futuro globale”. Così il titolo dell’iniziativa promossa dall’associazione Zetein in collaborazione con l’Università degli Studi Internazionali di Roma. Famiglie, studenti ed esperti si sono dati appuntamento per domani dalle 19.00 alle 22.00 presso la sede di Unint per confrontarsi e studiare soluzioni nel complesso contesto globale. Ospite via Skipe, Mammoun Abdulkarim responsabile dei beni culturali siriani. Massimiliano Menichetti

La cultura come leva per sconfiggere diffidenze, estremismi e innescare percorsi di pace in un mondo dilaniato da conflitti. E’ la sfida concretizzata in una serata di dibattiti, testimonianze e confronto presso la sede romana dell’Università degli Studi Internazionali, che. insieme all’associazione Zetein. ha organizzato un evento, aperto a tutta la città. Il messaggio che si vuole lanciare, spiega il prof. Giorgio Zaccaro, presidente di Zetein, è chiaro: “Non rinunciare a costruire la speranza in un contento di crisi globale”:

R. – Abbiamo uno scenario libico, uno siriano, quello turco, assistiamo al dramma delle migrazioni, tanta miseria e tanto dolore. Nel nostro piccolo la nostra ambizione è quella di invertire la tendenza, provare a dare un segnale positivo di aggregazione, di unione di mondi diversi a livello di appartenenza politica, religiosa per cercare di offrire qualche piccola ipotesi di soluzione. La serata vede alternarsi interventi creativi, artistici e musicali dei ragazzi a un dibattito molto aperto e pluralista rispetto alla realtà globale che spaventa tutti. Però, evidentemente è un processo che andrà avanti a lungo e quindi noi pensiamo che, allargando questa rete di conoscenza, magari i ragazzi, futuri leader del domani, potrebbero avere qualche carta in più per provare e trovare soluzioni.

Protagonisti dell’iniziativa, studenti di varie scuole superiori e universitari, insieme con famiglie, docenti e tanti ospiti, tra i quali Silvia Costa, presidente della Commissione Cultura e Istruzione del Parlamento Europeo; mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, e Maamoun Abdulkarim, responsabile dei beni culturali siriani. Ancora Zaccaro:

R. – Il momento caratterizzante è il collegamento con Damasco, dove via skipe parleremo con il professor Abdulkarim, che sta lottando eroicamente da anni, per cercare di salvare dal terrorismo una buona parte dei beni culturali siriani, pensiamo solo a quello che è successo a Palmira. Ci sarà anche mons. Paglia, persona molto attenta ai problemi dei Medio Oriente, al dramma di quelle popolazioni. Diciamo che noi siamo piuttosto consapevoli che in questo momento a livello globale, nazionale, europeo, locale prevale una fortissima tendenza alla sfiducia, alla frammentazione e alla fine alla passività. Noi, però, non ci rassegniamo a questo, anzi, invece di dividerci, crediamo che dobbiamo unirci, invece di ascoltare solamente, provare a intervenire.

Tre ore intense, in cui ci saranno pure musiche e letture di poesie, anche in lingua araba, per sottolineare l’assenza di confini nel desiderio di incontrare l’altro. La prof.ssa Antonella Ercolani, Preside della Facoltà di Scienze Politiche della Unint:

R. – L’obbiettivo è portare a conoscenza realtà positive di incontro, di integrazione, che già nei fatti nelle università di Roma ed europee è già realtà, perché in queste sedi c’è sempre la presenza, l’accoglienza di studenti che vengono da ogni parte del mondo. Quindi il multiculturalismo è già nei fatti. L’incontro con l’altro passa attraverso la cultura e la cultura è, evidentemente, lo strumento per costruire la pace.

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Unioni civili: il voto da martedì, ricorso in Consulta

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Prosegue al Senato l’esame del ddl Cirinnà sulle unioni civili: oggi l’illustrazione degli emendamenti al testo, mentre le votazioni riprenderanno martedì pomeriggio. Il Movimento 5 Stelle fa sapere che voterà a favore del provvedimento anche se non ci sarà la stepchild adoption, ovvero l’adozione del figliastro. Su questo punto resta la spaccatura nel Pd e l’ala cattolica si dice pronta allo strappo. Intanto oggi in Consulta il ricorso di 51 senatori sull’iter del ddl. Secondo Paolo Savarese, docente di Filosofia del Diritto alla Università degli Studi di Teramo, il dibattito politico è lontano dal sentire dei cittadini. Ascoltiamolo al microfono di Paolo Ondarza

R. – Il cittadino è in difficoltà, non si rende conto di quello che sta accadendo, di quelli che sono i giochi di potere che si ripercuotono su questa materia perché qui ci stiamo giocando i pilastri della nostra convivenza civile.

D. - Al Senato, nella giornata odierna, l’illustrazione dei tantissimi emendamenti al testo. Intanto in Consulta il ricorso di 51 senatori per conflitto di attribuzione relativo all’iter del ddl …

R. - Secondo me è non solo del tutto legittimo, ma deve andare in una sede di rango costituzionale.

D. - La tematica delle unioni civili è presentata da chi promuove questo ddl come una questione di civiltà, un’estensione dei diritti...

R. - Un vero dibattito e quindi anche un vero conflitto di opinioni, di interpretazioni su questa cosa oggi è precluso, perché appena si dice qualcosa che non è nella linea del pensiero dominante si scatenano le accuse di omofobia e  gli insulti. Quindi il dibattito vero è inibito. Se ci fosse questa libertà, questo sarebbe il primo punto da difendere, allora si potrebbero mettere sul piatto le questioni. In primo luogo, secondo me, non è affatto una questione di diritti ma - come accennavo - di pilastri dell’ordinamento, cioè: vogliamo continuare a vivere come società italiana ordinata anche giuridicamente o semplicemente correre dietro a ideologie?

D. – Lei diceva che in questo momento il dibattito non c’è. Invece sembra piuttosto acceso per quanto riguarda il tema della cosiddetta stepchild adoption, l’adozione del figliastro. Su questo sembra essere effettivamente vivacità nell’aula …

R. - È un aspetto estremamente secondario rispetto all’intera questione. Concentrare tutto il problema e anche le urla, l’apparente lite semplicemente su questo spicchio significa falsare tutto il dibattito, tutta la questione.

D. - Perché? Qual è la questione secondo lei?

R. - La questione è se l’Italia è una società fondata sul matrimonio - matrimonio tra uomo ed una donna - oppure se è fondato su una confluenza di diritti - anzi rivendicazioni che non sono diritti - dell’individuo. Quale modello di convivenza civile seguiamo?

D. - La questione del voto segreto, su cui tanto si sta dibattendo in special modo all’interno del partito democratico su quelli che sono poi i temi più sensibili del ddl Cirinnà, che peso ha?

R. - Il voto segreto è importante perché protegge, tutela la piena libertà di coscienza di chi vota. È chiaro che può essere anche una foglia di fico, perché poi sappiamo bene che i modi di influenzare e  controllare i voti, a prescindere dall’evidenza del voto palese o della segretezza, ci sono. Lei sa bene che su queste materie c’è un’aggressione alla libertà di coscienza inimmaginabile nel pensiero liberale, non nella dottrina sociale cattolica.

D. - Ieri il premier Renzi è sembrato orientato ad una mediazione. Che ruolo avrà?

R. - Questi non sono problemi di cui si dovrebbe occupare il governo perché in una repubblica parlamentare sono di squisita spettanza del Parlamento che è sovrano.

D. - Il Parlamento che è rappresentativo del sentire dei cittadini, di chi appunto lo ha eletto. C’è vicinanza in questo momento tra i contenuti di ciò che si dibatte in aula e il sentire degli elettori, dei cittadini?

R. - Secondo me c’è uno scollamento totale dovuto alla storia degli ultimi decenni, alla crescita del sentimento anti-politico - in parte giustificato, ma molto strumentalizzato - e quindi all’impossibilità di fare veramente politica, perché ciò che manca oggi è la politica, politica in cui si parli dei problemi veri del Paese e della gente.

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Mons. Zuppi: divieto benedizioni nelle scuole è "laicità da laboratorio"

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Niente benedizioni pasquali in una scuola bolognese. E’ quanto ha deciso il Tar dell’Emilia-Romagna, accogliendo il ricorso presentato da alcuni insegnanti e genitori. E' stata così annullata la delibera con cui il consiglio d’istituto di Bologna aveva autorizzato le benedizioni pasquali. Per i giudici la scuola “non può essere coinvolta nella celebrazione di riti religiosi”, attinenti “unicamente alla sfera individuale di ciascuno”. Su questa controversa decisione del Tar, Amedeo Lomonaco ha intervistato l’arcivescovo di Bologna mons. Matteo Zuppi

R. – E’ una decisione che, veramente, lascia un po’ di amaro. Innanzitutto perché la richiesta era stata approvata dal Consiglio di istituto, quindi in assoluta laicità. Il Consiglio d’Istituto aveva approvato a stragrande maggioranza la benedizione che era fuori dall’orario scolastico e riguardava soltanto le persone che la gradivano. Come per tanti aspetti c’è una presenza del fatto religioso anche nell’educazione, quindi nel buon senso si trovano le soluzioni.

D. – C’è anche da dire che questa interpretazione di laicità si fonda sull’assenza di confronto, sulla mancanza di un dialogo, anche su divieti. Anche i valori religiosi vengono sempre più spesso offuscati da spinte secolariste …

R. – A me sembra che questo concetto di laicità sia un concetto di laicità da laboratorio. La laicità seria tiene conto, ovviamente, del contesto, dell’umanesimo, della storia; non c’è nessuna intenzione, da parte della Chiesa di Bologna, di mettere in discussione la laicità. Non vorrei che ci sia un’idea di laicità, al contrario, che dimostri un’avversità, un fattore anti-religioso e questo non sarebbe affatto laico …

D. – Si deve anche ricordare che in Italia, a Natale, in una scuola sono stati vietati presepe e canti natalizi. Recentemente sono state nascoste delle statue per non urtare la sensibilità del presidente iraniano Rouhani. Ora si annullano anche le benedizioni pasquali. Perché questo attacco sempre più forte contro il patrimonio religioso e anche culturale dell’Italia?

R. – Io sarei più cauto. Molte volte ci sono episodi che fanno più rumore, ma non si avverte questo sentimento conflittuale. Certamente, ci sono dei segnali di cui bisogna tener conto, anche perché dovremo sempre di più imparare a vivere al plurale, sempre più imparare a vivere laicamente in una presenza anche – tra l’altro – di diverse religioni. Credo che la laicità in Italia significhi anche non ignorare o escludere il fatto religioso, non ridurlo ad un fatto meramente individuale – questo è il vero pericolo – ma viverlo così com’è, anche, con le interazioni con la vita collettiva, con la società.

D. – In questo contesto, quale risposta possono dare, in particolare, le comunità cristiane?

R. – Quella di continuare nel rispetto delle regole, di continuare a credere che la religione non sia soltanto un fatto individuale, ma pienamente nel rispetto di quella laicità che la Chiesa ha fatto propria e nella quale intende continuare la sua indispensabile - a mio parere - funzione sociale.

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"Il Barbiere di Siviglia" festeggia i 200 anni al Teatro dell'Opera

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A 200 anni dalla nascita del “Barbiere di Siviglia”, avvenuta nel 1816 al Teatro Argentina di Roma, il capolavoro di Rossini viene celebrato nella capitale dal Teatro dell’Opera con un nuovo allestimento in scena da questa sera per otto repliche diretto da Donato Renzetti e con una regia firmata da Davide Livermore, che si annuncia ricca di sorprese e fantasia. Il servizio di Luca Pellegrini: 

(Cavatina di Figaro dall’atto I)

Il “factotum” Figaro è divenuto, da quel 20 febbraio di 200 anni fa, uno dei protagonisti più amati, conosciuti e ascoltati del mondo. Il “Barbiere di Siviglia”, dopo il turbolento debutto romano di quella sera, di cui si scrisse e parlò parecchio negli anni a venire, con gatti in scena e tumulti in sala, ha preso ovunque possesso dei teatri d'opera e quello di Roma non poteva non festeggiare il bicentenario con una nuovissima e attesa produzione, come ha già fatto per l'altra opera "romana" di Rossini, “Cenerentola”, che andò in scena al Teatro Valle esattamente un anno dopo. Il Sovrintendente dell'Opera capitolina, Carlo Fuortes, ai nostri microfoni svela alcuni particolari:

R. - 200 anni fa Rossini, nella nostra città, scriveva due delle sue più straordinarie opere: prima 'Il Barbiere di Siviglia' – 20 febbraio 1816 – e poi 'Cenerentola'. Avrei quindi pensato di fare un grande omaggio con due nuove produzioni affidate a due grandi registi. 'Cenerentola' è andata in scena con Emma Dante e 'Il Barbiere di Siviglia' con Davide Livermore. L’idea di messa in scena per questi duecento anni crediamo che sia molto interessante e molto intelligente. E’ sì il duecentennale, ma è anche un grande omaggio alla straordinaria tradizione, sedimentazione, che nel corso di questi due secoli è avvenuta su questo titolo, che è anche un po’ la summa della grande commedia dell’arte italiana, del modo di fare opera buffa, del modo di fare poi tout court teatro. Quindi cerchiamo un po’ in questa messa in scena, in questa produzione, di raccontare anche questo grande sviluppo e, in questo, di fare veramente un omaggio al 'Barbiere di Siviglia', al suo grande compositore.

Donato Renzetti dirige il capolavoro rossiniano. Con grande emozione:

R. – Sono onoratissimo, anche perché ho diretto il 'Barbiere' tante volte e anche, soprattutto, con grandissimi cantanti del passato. Quindi ho imparato allora tante cose che ho tramandato a questi giovani, bravissimi interpreti di oggi. Ho cercato di sgrossare un po’ gli orpelli, i malcostumi avuti in queste opere. Sono opere, infatti, eseguite non solo nei grandissimi teatri, ma anche nei piccolissimi teatri, con pochissimi mezzi, con cantanti non all’altezza. Questo, quindi, è stato il lavoro maggiore. E’ un 'Barbiere' che definisco totalitario, perché in questi 200 anni di storia racchiude tutto. E’ totalitario anche nella pulizia di quello che dicevo prima.

D. – Concretamente mi può fare qualche esempio di questa pulizia, che lei ha voluto operare per questa esecuzione?

R. – Intanto, ho ripristinato i tagli, che erano assurdi. Se Rossini scriveva, infatti, una lunghezza di duetto o di aria, era perché voleva delle variazioni. Questo si tagliava perché molti cantanti non erano capaci di fare delle variazioni. Il 'da capo', quindi, non si taglia, è un grandissimo errore tagliarlo. Ma si tagliava perché i tempi di prova erano quelli; si tagliava perché i cantanti – come dicevo – non erano all’altezza di fare delle variazioni che sono veramente complicate.

La regia è affidata a Davide Livermore, uno dei registi più apprezzati e ingegnosi. Perché considera questo 'Barbiere' un atto di memoria?

R. - Fare un’opera è sempre un atto di memoria:  vuol dire sempre mettersi in rapporto con la memoria storica delle prassi esecutive, per chi vuole vederla così, cioè per chi sceglie di far parte della famiglia dell’Opera. E la famiglia dell’Opera è quel gruppo di pazzi toccati dalla bellezza, animati dal desiderio di essere parte di un flusso storico. L’Opera non è solo memoria di un passato, ma l’Opera, essendo viva e vivissima, ci riporta ad una nostra contemporaneità profonda, ad una possibilità di essere contemporanei in maniera profonda con l’arte. Questo vuol dire essere legati ad un senso di appartenenza, perché la memoria fa il senso di appartenenza.

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Nella Chiesa e nel mondo



India: sopravvissuti di Orissa vicini ai cristiani siriani perseguitati

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I sopravvissuti ai massacri di Kandhamal del 2008 esprimono profonda solidarietà nei confronti dei cristiani perseguitati in Medio Oriente, in particolare in Siria. Infatti gli scampati - affermano - possono “davvero sentire i dolori e le sofferenze di quelle persone che sono uccise, aggredite, violentate, mutilate, scacciate dalle loro abitazioni e dai loro luoghi in modo ingiusto, crudele e barbaro”.

Incontro con i sopravvissuti di Kandhamal
Per la prima volta - riferisce l'agenzia AsiaNews - il 9 febbraio scorso, i sopravvissuti sfuggiti al più feroce pogrom contro i cristiani mai perpetrato nel Paese asiatico dai radicali indù, si sono incontrati nel distretto di Kandhamal, nel Centro pastorale K.Nuagoan, circa 275 chilometri a ovest di Bhubaneswar, la capitale statale dell’Orissa, nell'India dell’est. L’incontro aveva l’obiettivo di “costruire solidarietà tra le vittime” e “condividere storie di speranza, fede e lotta per la giustizia”. Essi hanno pregato per i cristiani della Siria e hanno lanciato un appello a Papa Francesco e alla comunità internazionale affinchè si ponga fine alla crisi umanitaria che affligge il Medio Oriente. 

Le violenze a Kandhamal hanno causato oltre 100 morti e 75mila sfollati
Nel 2008 gli estremisti indù hanno messo a ferro e fuoco il distretto accusando i cristiani dell’uccisione del guru Laxamananda Saraswati. Il distretto di Kandhamal in Orissa è stato teatro del peggiore pogrom contro i cristiani nella storia dell’India moderna degli ultimi 300 anni. Le violenze, protratte per quasi quattro mesi, hanno causato la morte di 101 persone e hanno costretto 75mila persone a scappare dalle proprie case e villaggi, divenendo profughi

La solidarietà con i cristiani siriani
"Noi, 115 vittime, sopravvissuti nel 2007 e 2008 al massacro anti-cristiano di Kandhamal - si legge nella dichiarazione finale all'incontro - esprimiamo il nostro più profondo affetto e siamo solidali con i sopravvissuti cristiani del Medio Oriente, in particolare in Siria. L’obiettivo dell’incontro era costruire la solidarietà tra i sopravvissuti alle violenze di Kandhamal, che hanno perso i propri cari. L’evento è stato organizzato per promuovere la condivisione tra i sopravvissuti. Abbiamo condiviso le nostre storie di speranza, fede e lotta per la giustizia. I momenti chiave dell’incontro sono avvenuti quando, in silenzio, abbiamo reso omaggio a coloro che hanno perso le proprie vite durante le violenze di Kandhamal e quando abbiamo chiesto che sia fatta giustizia per coloro che hanno sacrificato la vita per Cristo".

Le violenze contro i cristiani in Medio Oriente sono un crimine contro l'umanità
"L’ondata di violenza mortale in Medio Oriente, volta ad attuare una pulizia etnica e religiosa di yazidi e cristiani - si legge ancora nel testo della dichiarazione - è un crimine contro l’umanità e non ci sono paralleli simili nella storia recente. Noi possiamo comprendere l’inimmaginabile sofferenza di milioni di persone, che sono bersagli solo perché seguono differenti credo e tradizione religiosa. Noi percepiamo in profondità l’incredibile angoscia e gli indicibili crimini contro i seguaci di Cristo. I fondamentalisti religiosi sono il flagello della società e non risparmiano le donne e i bambini. Noi possiamo davvero sentire i dolori e le sofferenze di quelle persone che sono uccise, aggredite, violentate, mutilate, scacciate dalle loro abitazioni e dai loro luoghi in modo ingiusto, crudele e barbaro. Ci sono episodi su larga scala di traffico umano di bambini e donne; riduzione in schiavitù di donne; decapitazione e rogo dei seguaci, senza un briciolo di misericordia".

L'appello al Papa e all'Onu
I sopravvissuti di Orissa, lanciano un appello alle Nazioni Unite e agli organi ecumenici e interreligiosi e ai gruppi della società civile affinchè lavorino per promuovere pace, armonia e tolleranza religiosa in ogni Stato, in particolare in Medio oriente, e soprattutto in Siria. "Abbiamo inviato una lettera a Papa Francesco - si conclude la dichiarazione - per esprimere la nostra solidarietà alle persone che soffrono e per spingere la comunità internazionale ad agire per porre fine al più presto alla crisi umanitaria in Medio oriente". (S.D.)

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P. Nicolás: essere grati ai migranti, aprono il nostro cuore

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“Bisogna essere grati ai migranti”, “ci aiutano a scoprire il mondo”. E’ l’esordio dell’intervento di padre Adolfo Nicolás, superiore della Compagnia di Gesù, in occasione della sua visita al Centro Astalli di Roma. Il discorso, tenuto a braccio in occasione della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, viene pubblicato sull’ultimo numero di “Civiltà Cattolica”, in uscita.

I migranti ci aiutano a non rinchiuderci in noi stessi
“Ogni Paese – afferma il Preposito generale dei gesuiti – corre il rischio di rinchiudersi in orizzonti molti limitati, molto piccoli, mentre grazie a loro il cuore può aprirsi e anche lo stesso Paese può aprirsi a dinamiche nuove”. Padre Nicolás ricorda gli esempi degli Stati Uniti e dell’Argentina, nazioni nate grazie ai migranti. Costoro, è la sua convinzione, “non sono semplicemente ospiti, ma gente che può dare un contributo al vivere civile, e che offre un apporto notevole alla cultura e alle sue evoluzioni profonde. Proprio grazie ad essi continuiamo ad approfondire l’umanesimo”. Anche le religioni, annota, “si sono diffuse nel mondo grazie ai migranti che hanno abbandonato i loro Paesi e si sono mossi da un luogo all’altro”.

Vincere pregiudizi, l’umanità ha bisogno di tutti
Per padre Nicolás è giunto il momento “in cui l’umanità si deve pensare come un’unità e non come un insieme di tanti Paesi separati tra loro con le loro tradizioni, le loro culture e i loro pregiudizi”. I migranti, invece, “ci rendono consapevoli del fatto che l’umanità non è formata solo da una parte ma proviene dal contributo di tutti”. Essi, afferma ancora il superiore della Compagnia di Gesù, “hanno imparato a non essere bloccati dalle difficoltà nella loro voglia di futuro. Hanno saputo superare la solitudine con la solidarietà aiutando gli altri e hanno mostrato che l’umanità è debole, ma può anche essere forte”.

Impariamo dai migranti come essere misericordiosi con gli altri
Da ultimo, nell’Anno della Misericordia, padre Nicolás sottolinea che dai migranti e dai rifugiati possiamo imparare “ad essere misericordiosi con gli altri”, “impariamo da loro ad essere umani nonostante tutto”, ad avere “come orizzonte il mondo e non la nostra piccola, ristretta cultura. Impariamo da loro ad essere persone del mondo”. (A cura di Alessandro Gisotti)

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Vescovi del Perù sulle elezioni: escludere candidati corrotti

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Un sistema politico in preda alla corruzione e una società minata dallo scetticismo è il triste panorama che apre la riflessione del vescovi del Perù nel messaggio in occasione delle elezione generali del prossimo 10 aprile. Il consolidamento della continuità elettorale, inedita nella storia del Paese, viene “oscurata”- affermano i vescovi- da un “sistema politico affetto da elevati indici di corruzione” e da una società civile che “non ha sviluppato meccanismi di supervisione e di vigilanza per esigere dai rappresentanti l’adempimento delle loro promesse elettorali”. La mancanza di proposte di governo concrete insieme ai numerosi candidati controversi o con processi giudiziari in corso, sono per i vescovi peruviani il segno di una “crisi di rappresentanza politica” che causa sfiducia nella cittadinanza.

Un dibattito politico che vada oltre le promesse populiste
I vescovi peruviani riconoscono che gran parte dei cittadini ha preso coscienza che per raggiungere uno sviluppo sostenibile non basta costruire infrastrutture, né sostenere la crescita economica su fattori esterni, ma chiedersi quale modello di società desiderano i peruviani. Una società - si legge nel documento - “dove uomini e donne, giovani e bambini possano vivere in pace, con pari opportunità, sicuri e rispettati nella loro dignità e senza discriminazioni, dove la povertà e la disuguaglianza educativa che frenano lo sviluppo, siano sconfitte”. Il messaggio avverte che per approfondire questi importanti argomenti, il dibattito politico deve andare oltre le promesse populiste, vuote di contenuto e difficilmente realizzabili che hanno caratterizzato la contesa elettorale.

Il bene comune alla base del cambiamento
Il messaggio ricorda le parole di Papa Francesco nell'enciclica Laudato si’ quando afferma che di fronte alla crisi sociale ed etica che attraversa l’intera umanità, “le cose possono cambiare” se orientate al bene comune. In questa prospettiva i vescovi affermano che per raggiungere una società fondata sul bene comune lo scenario politico deve porsi queste domande: “Come assicurare una maggiore istituzionalizzazione della vita sociale? Come combattere la corruzione? Come promuovere un comportamento etico? Come affrontare gli alti livelli di insicurezza e di violenza che gravano sulla vita del cittadino? Come superare una crescita economica basata sull’estrazione e sull’esportazione delle materie prime? Come favorire  la diversificazione della produzione? Come raggiungere una maggiore giustizia ed equità nella società? Come avere una rappresentanza politica che avvicini lo Stato al cittadino?” Dunque, i vescovi esortano i candidati “a diventare degni della funzione alla quale aspirano con le loro risposte e le loro proposte”.

Una scelta etica per riabilitare la democrazia e la politica
​Agli elettori, i vescovi chiedono di scegliere i rappresentanti istituzionali sulla base di alcuni criteri etici come: ottenere informazioni attendibili sul percorso personale e politico dei candidati, esigere un piano di governo fattibile, scartare i candidati corrotti e opportunisti, esaminare le promesse elettorali e le fonti di finanziamento, verificare l’impegno dei candidati nella difesa integrale della vita e la cura del Creato. In particolare,  i vescovi chiamano i cristiani a partecipare all’attività politica nella prospettiva dei propri valori evangelici e del bene comune. “Noi pastori del Perù - conclude il messaggio - ci uniamo alla costruzione di un Paese più giusto ed equo nel quale vivere insieme con dignità e pace”. (A cura di Alina Tufani)

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Chiesa Paraguay: protocollo per denunce abusi sui minori

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La Conferenza episcopale del Paraguay ha presentato il “Protocollo per le indagini sulle denunce contro sacerdoti per abusi sessuali sui minori”, che stabilisce le norme e le procedure della Chiesa dinanzi alle denunce di abusi contro minori. Durante la presentazione, il presidente dell’episcopato, mons. Edmundo Valenzuela ha affermato che questo documento vuole ribadire la responsabilità della Chiesa nella salvaguardia dei minori. “Che nessuno abbia alcun dubbio o confusione sull’obbligo che noi, come vescovi, assumiamo - sulla base della missione e l’esempio di Gesù Cristo, di cui siamo servitori - di proteggere i minori dagli abusi sessuali”.

Un'offesa a Dio, un attentato contro il bene comune
“Con carità e con giustizia, vogliamo fare il necessario - ha detto mons. Valenzuela - per evitare qualunque danno che possa derivare dalle gravi azioni di alcuni ministri della Chiesa contro i minori”. In particolare, l’arcivescovo di Asunción ha ricordato che si tratta dei peccati che riguardano il sesto comandamento, che offendono Dio, e peggio ancora, perché le vittime sono proprio i più amati da Gesù, i più piccoli e i più poveri. “La violazione dei diritti dei minori particolarmente in un ambito così delicato della loro vita è quasi irreparabile” ha detto mons. Valenzuela per ribadire che ciò rappresenta un “attentato contro il bene comune”. Si tratta di una violazione – ha aggiunto- che avviene quando qualcuno con autorità o potere approfitta dell’innocenza di un minore ancora incapace di discernere e della sua emancipazione in età adulta.

La Chiesa esorta a denunciare gli abusi contro i minori
Nella presentazione del documento, i vescovi hanno chiesto perdono alle vittime ed alle comunità ferite dal comportamento scandaloso di alcuni sacerdoti e hanno esortato tutti a informare su qualunque fatto che coinvolga gravemente un ministro della Chiesa. Il nuovo protocollo stabilisce indicazioni precise sulle procedure per avviare le denunce di abusi contro i minori secondo la normativa dettata dalla Sede Apostolica, e per elaborare il rapporto delle indagini che sarà poi opportunamente inviato alla Congregazione per la Dottrina della Fede. “In questo modo – ha sottolineato il presidente dell’episcopato -  promuoviamo la collaborazione con la Chiesa nel chiarimento dei fatti, in armonia e nel pieno rispetto delle norme canoniche universali”. (A cura di Alina Tufani)

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Vescovi Filippine: Messaggio Quaresima su piaga della pornografia

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“La pornografia è una grave piaga che colpisce e danneggia non solo l’individuo, ma il bene comune e la produzione, la distribuzione e il consumo di materiale pornografico sono gravi peccati contro la castità e la dignità umana che devono essere confessati per ottenere il perdono e la misericordia di Dio”. E’ quanto scrivono i vescovi delle Filippine nel loro Messaggio di Quaresima.

Un fenomeno in forte espansione anche nelle Filippine grazie a Internet
Intitolato “Creati per l’amore, creati per la castità”, il documento vuole richiamare l’attenzione dei fedeli su un fenomeno globale in forte espansione anche nelle Filippine e che ha gravi ripercussioni sociali, soprattutto sui giovani e sulle famiglie. Una diffusione - si sottolinea - favorita dai media e in particolare da Internet, come confermano recenti ricerche, secondo le quali più della metà dei filippini tra i 15 e i 24 anni ha visto film e video pornografici e più di un terzo ha avuto accesso a pubblicazioni con contenuti sessuali espliciti. A ciò si aggiunge il dato allarmante che le Filippine sono oggi tra i primi dieci produttori nel mondo di materiale pedo-pornografico on-line.

Un mercato che alimenta anche gravi reati come gli abusi sessuali sui minori
Citando il Catechismo della Chiesa Cattolica, il testo ricorda che la pornografia è un male che offende la castità, espressione “della raggiunta integrazione della sessualità nella persona”, in quanto “snatura l'atto coniugale  e lede gravemente la dignità di coloro che vi si prestano (attori, commercianti, pubblico), poiché l'uno diventa per l'altro oggetto di un piacere rudimentale e di un illecito guadagno”. “Essa - si sottolinea – è particolarmente dannosa per i bambini e i giovani”, perché “pregiudica la loro capacità di iniziare quella relazione altruista di fiducia, sacrificio e rispetto reciproci che è alla base del matrimonio”. “I peccati legati alla pornografia - rincarano i vescovi filippini - sono immorali e dannosi non solo di per sé, ma anche perché spesso portano le persone a commettere altri gravi peccati e persino crimini”, come gli abusi sessuali sui minori e il traffico di esseri umani, “che minano la pace e l’unità di ogni società”. 

Contro la pornografia annunciare il potere della Misericordia di Dio
Di fronte a questa piaga, prosegue il messaggio, in questo Anno Giubilare della Misericordia, la Chiesa cattolica filippina è chiamata ad affermare e proclamare ancora una volta il potere di guarigione di Cristo che è il volto della misericordia”. Innanzitutto “a coloro che sono sfruttati e vittime dell’industria pornografica”. A queste persone i vescovi ribadiscono l’impegno a continuare la loro battaglia “per sradicare questo male dal Paese”. Quindi i presuli indirizzano un monito a chi produce e distribuisce materiale pornografico, ricordando la pagina del Vangelo di Matteo sullo scandalo dei più piccoli (Mt 18,6), ma anche che nessun peccato è così grande da non potere essere perdonato.

Affidarsi all’aiuto di Dio per vivere la castità alla quale ci chiama il Vangelo
​Infine, i presuli si rivolgono a coloro che lottano contro la tentazione della pornografia, per invitarli a confidare e ad affidarsi all’aiuto di Dio per potere vivere la castità a cui ci chiama il Vangelo, avvicinandosi regolarmente ai Sacramenti e in particolare a quello della Confessione. “Tutti – conclude il messaggio – siamo chiamati ad affidarci alla grazia di Dio per resistere e superare la tentazione del sesso, perché possiamo imitare Gesù Cristo perfettamente casto e perfettamente puro”. (A cura di Lisa Zengarini)

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Sud Sudan: istruzione e alimenti per i rifugiati sudanesi

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Circa il 60% dei rifugiati sudanesi sono minori, alla ricerca di una opportunità per completare la scuola in Sud Sudan. Una delle prime tappe per le persone in fuga dal conflitto nella regione sudanese del Kordofan meridionale è la città di Yida, 20 chilometri oltre il confine. La città - riferisce l'agenzia Fides - accoglie più di 70 mila profughi sudanesi che hanno costruito le loro case e attività, e che si sono inseriti all’interno della comunità locale. Ma ora, nel tentativo di decongestionare la città e fornire servizi migliori, il governo, insieme ai partner umanitari, stanno cercando di convincerli a trasferirsi in un campo ufficiale a Ajuong Thok, più a sud, nello Stato di Unity, aperto nel 2013. Attualmente il campo ospita 31 mila persone e si prevede che, con la fine della stagione delle piogge che faciliterà l’attraversamento del confine, si estenderà ulteriormente.

I rifugiati non vogliono lasciare Yida
Il governo ha invitato la popolazione a spostarsi per un paio di anni, tuttavia i rifugiati non intendono muoversi perché la vita a Yida è più economica. L’unico aspetto negativo è che qui le organizzazioni umanitarie forniscono solo cibo di emergenza e non l’intera gamma dei servizi disponibili a Ajuong Thok. Yida è un importante centro economico sia per i locali che per i rifugiati. Ci sono mercati, aziende agricole, servizi di trasporto e scuole di base. I combattenti ribelli dei gruppi Jem e Splm-N sono una presenza costante nella cittadina, e alcuni di loro hanno anche parenti tra i rifugiati. Ajuong Thok ha le sue attrattive, strade, un Centro di assistenza sanitaria di base, tre scuole elementari, una scuola secondaria e un laboratorio informatico.

Più della metà dei bambini sud-sudanesi non vanno a scuola
Ad Ajuong Thok, circa 11 mila studenti ricevono istruzione primaria e secondaria, sostenuti da organizzazioni non governative, l’Unhcr e il governo del Sud Sudan. Tuttavia, più della metà dei bambini sud sudanesi non vanno a scuola prevalentemente come conseguenza della guerra civile scoppiata nel 2013. Durante il conflitto le scuole sono state distrutte o trasformate in baracche, e i bambini continuano ad essere arruolati tra le forze governative e quelle ribelli. 

Aiuti alimentari per 300mila profughi provenineti dai Paesi vicini
​Nonostante il sud Sudan continui ad essere uno dei Paesi più poveri del mondo, offre riparo a 263 mila profughi prevalentemente dal Sudan. dalla Repubblica Centrafricana, dalla Repubblica Democratica del Congo e dall’Etiopia. Si prevede che quest’anno arriveranno a 300 mila. A causa del conflitto circa il 25% della popolazione ha urgente bisogno di aiuti alimentari. (A.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 42

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.