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Sommario del 03/06/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa a sacerdoti: rischiate per il vostro gregge per non perdere nessuno

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Cercare, includere, gioire. Sono i tre punti intorno ai quali è ruotata l’appassionante omelia di Papa Francesco nella Messa in Piazza San Pietro che ha concluso il Giubileo dei Sacerdoti. Nella solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, il Papa ha innanzitutto chiesto ai presbiteri di domandarsi dove è orientato il loro cuore. Quindi, ha sottolineato che un buon pastore non è un ragioniere dello spirito, ma un buon Samaritano, che non usa i guanti e che è sempre in cerca di chi ha bisogno. Il servizio di Alessandro Gisotti

Dove è orientato il vostro cuore? Papa Francesco pone un interrogativo fondamentale ai sacerdoti, nella Messa che conclude il loro Giubileo. Il Cuore di Gesù, il Cuore del Buon Pastore, esordisce nella sua omelia in Piazza San Pietro, “è proteso verso di noi, polarizzato specialmente verso chi è più distante”. Lì, annota con un’immagine efficace, “punta ostinatamente l’ago della bussola”. E, riecheggiando la Parabola della pecorella smarrita al centro del Vangelo del giorno, sottolinea che il Buon Pastore “tutti desidera raggiungere e nessuno perdere”.

Il cuore del sacerdote ha due direzioni: il Signore e la gente
I tesori “insostituibili del Cuore di Gesù – precisa – sono due”: “Il Padre e noi”. E così, riprende, deve essere anche il cuore del sacerdote orientato solo in “due direzioni, il Signore e la gente”:

“Non è più un cuore ballerino, che si lascia attrarre dalla suggestione del momento o che va di qua e di là in cerca di consensi e piccole soddisfazioni; è peccatore. E’ invece un cuore saldo nel Signore, avvinto dallo Spirito Santo, aperto e disponibile ai fratelli. E lì risolve i suoi peccati”.

Per avere un cuore di Buon Pastore, prosegue, “possiamo allenarci a fare nostre tre azioni”: “cercare, includere e gioire”. Il sacerdote, è la sua esortazione, non rimandi la ricerca, il suo cuore sia sempre inquieto finché non ritrova la pecorella smarrita. “Guai – ha ammonito – ai pastori che privatizzano il loro ministero!”.

Imitate il Buon Samaritano, non siate ragionieri dello spirito
“Il pastore secondo il cuore di Dio – ha soggiunto – non difende le proprie comodità, non è preoccupato di tutelare il proprio buon nome”, “senza temere le critiche, è disposto a rischiare”. “Rischiare – ripete – pur di imitare il suo Signore”. Il Buon Pastore, avverte, “ha il cuore libero per lasciare le sue cose”:

“Non è un ragioniere dello spirito, ma un buon Samaritano in cerca di chi ha bisogno. È un pastore, non un ispettore del gregge, e si dedica alla missione non al cinquanta o al sessanta per cento, ma con tutto sé stesso. Andando in cerca trova, e trova perché rischia. Se il pastore non rischia, non trova, eh? Non si ferma dopo le delusioni e nelle fatiche non si arrende; è infatti ostinato nel bene, unto della divina ostinazione che nessuno si smarrisca. Per questo non solo tiene aperte le porte, ma esce in cerca di chi per la porta non vuole più entrare”.

Il Buon Pastore non conosce i guanti, è un uomo che sta con la gente
Ancora, ha evidenziato che il sacerdote “è sempre in uscita da sé. L’epicentro del suo cuore si trova fuori di lui: è un decentrato da se stesso, soltanto centrato in Gesù”. Si è così soffermato sulla parola includere. Per il sacerdote, ha osservato, il suo gregge è la sua famiglia e la sua vita. Non è un capo temuto dalle pecore, ma il Pastore che cammina con loro e le chiama per nome”, “nessuno è escluso dal suo cuore, dalla sua preghiera e dal suo sorriso”:

“Il Buon Pastore non conosce i guanti. Ministro della comunione che celebra e che vive, non si aspetta i saluti e i complimenti degli altri, ma per primo offre la mano, rigettando i pettegolezzi, i giudizi e i veleni. Con pazienza ascolta i problemi e accompagna i passi delle persone, elargendo il perdono divino con generosa compassione. Non sgrida chi lascia o smarrisce la strada, ma è sempre pronto a reinserire e a ricomporre le liti. E’ un uomo che sa includere”.

Il sacerdote sia sempre gioioso per gli altri e con gli altri
Francesco ha infine rivolto l’attenzione al gioire, alla gioia che deve contraddistinguere la vita dei sacerdoti. “La gioia di Gesù Buon Pastore – ha rilevato – non è una gioia per sé, ma è una gioia per gli altri e con gli altri, la gioia vera dell’amore”:

“Egli viene trasformato dalla misericordia che gratuitamente dona. Gratuitamente dona. Nella preghiera scopre la consolazione di Dio e sperimenta che nulla è più forte del suo amore. Per questo è sereno interiormente, ed è felice di essere un canale di misericordia, di avvicinare l’uomo al Cuore di Dio. La tristezza per lui non è normale, ma solo passeggera; la durezza gli è estranea, perché è pastore secondo il Cuore mite di Dio".

“Vi ringrazio – ha concluso Francesco, rivolgendosi agli oltre 6 mila sacerdoti presenti – per il vostro ‘sì’ e per tanti ‘sì’ nascosti di tutti i giorni, che solo il Signore conosce; vi ringrazio per il vostro ‘sì’ a donare la vita uniti a Gesù: sta qui la sorgente pura della nostra gioia”.

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I sacerdoti: la misericordia di Dio scandalizza e fa sporcare le mani

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Grande la gioia tra i numerosi sacerdoti che hanno concelebrato la Messa in Piazza San Pietro, presieduta da Papa Francesco a conclusione del loro Giubileo. Tanti gli spunti offerti dal Papa anche nelle meditazioni a San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e San Paolo fuori le MuraMa cosa rimarrà nel loro cuore di queste giornate? Ascoltiamo alcuni commenti raccolti da Marina Tomarro: 

R. – Rimane una riflessione spirituale autentica e credibile, perché tutto ciò che ci ha detto Papa Francesco lo vive in prima persona come vescovo. È una grande impressione di fiducia, di speranza che ci aiuta a vivere da pastori come Chiesa in uscita, ma anche meditando in noi stessi la responsabilità di essere stati scelti per un servizio umile e grande come quello dell’Altare e quello al popolo di Cristo.

R. – La cosa più bella da dire in questo Giubileo è che abbiamo condiviso l’esperienza della misericordia. Qui c’è una gioia per me unica. Parliamo tutto il tempo di misericordia, ma sentire il Santo Padre darci questa motivazione di una testimonianza personale degli atteggiamenti di misericordia nei confronti di noi sacerdoti con il popolo di Dio, è qualcosa che riempie di desiderio sacerdotale il cuore di noi preti.

R. – Mi porto a casa il messaggio che il sacerdote deve essere un pastore, uno che rimane con il popolo di Dio, uno che si sporca le mani per poter curare il popolo di Dio come ha fatto Gesù.

D. – Il Papa ha parlato di una misericordia immensa, infinita, ma fa quasi scandalo questa misericordia così grande?

R. – Potrebbe fare scandalo se il cuore fosse talmente duro che è non disponibile ad accettarla, altrimenti è veramente lo scandalo dell’amore di Dio, che non è uno scandalo che inorridisce, che spaventa, ma che rappresenta la misericordia che abbraccia e fa nuova la vita.

R. - No, la misericordia non fa scandalo. Fa scandalo magari a volte stupirsi di questa misericordia visto che Dio è carità.

R. - Direi che fa un po’ di “buona paura”, perché la misericordia completa l’espressione dell’amore. È scandalosa perché è sproporzionata; è qualcosa che supera la giustizia. Parlare di uno che offre qualcosa che va oltre la violenza sofferta, è proprio toccare l’eterno nell’esperienza concreta della vita.

D. - Il Papa vi ha detto come parola "includere", accettare tutti, di non usare guanti. Allora in che modo accogliere questa sua esortazione?

R. - Nella prima omelia della Messa crismale del 2013 ci disse di avere l’odore delle pecore, quindi di non usare i guanti ma di sporcarsi, imbrattarsi, confondersi, compromettersi con il gregge che ci viene affidato.

D. - Il Papa vi ha chiesto di tenere le chiese sempre aperte. Cosa vuol dire?

R. - Vuol dire essere sempre disponibili e avere tempo per gli altri; che non cerchi te stesso, ma cerchi gli altri e che sei sempre pronto per gli altri: cuore aperto!

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Terza meditazione del Papa: il sacerdote non è un funzionario

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Ieri pomeriggio, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, Papa Francesco ha tenuto la terza meditazione della giornata a conclusione di un intenso ritiro spirituale per il Giubileo dei Sacerdoti. Ha dedicato la sua riflessione al "buon odore di Cristo e la luce della sua misericordia”. Il servizio di Adriana Masotti: 

Una Chiesa che serve i poveri e i malati
Mossi dallo Spirito sentiamo il grido dei poveri, vediamo chi giace a terra, sentiamo l’odore forte della miseria in treni e barconi pieni di gente, esordisce così Francesco che cita Santa Rosa da Lima: “Quando serviamo i poveri e i malati, siamo buon odore di Cristo”, per dire che questo buon odore di Cristo e cioè la cura dei poveri è da sempre caratteristico della Chiesa e che essi sono oggetto di un amore di preferenza da parte della Chiesa:

“Nella Chiesa abbiamo avuto e abbiamo molte cose non tanto buone, e molti peccati, ma in questo di servire i poveri con opere di misericordia, come Chiesa abbiamo sempre seguito lo Spirito, e i nostri santi lo hanno fatto in modo molto creativo ed efficace (...) La nostra gente apprezza questo, il prete che si prende cura dei poveri, dei malati, che perdona i peccatori, che insegna e corregge con pazienza (…) Il nostro popolo perdona molti difetti ai preti, salvo quello di essere attaccati al denaro”.

Per il sacerdote non c'è altra possibilità che essere misericordioso
"E non è tanto per la ricchezza in sé", precisa il Papa, "ma perché il denaro ci fa perdere la ricchezza della misericordia” e “ciò che attenta contro la misericordia è una contraddizione principale”. Attenta contro Cristo che “si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà”. Francesco spiega che non si tratta di compiere ogni tanto qualche atto particolare di misericordia verso un bisognoso, ma di essere misericordiosi con gli altri in tutto il nostro agire:

“Essere misericordioso non è solo un modo di essere, ma il modo di essere. Non c’è altra possibilità di essere sacerdote”.

La misericordia guarda con pietà il passato e incoraggia per il futuro
Il Papa porta poi l’esempio del comportamento di Gesù con la donna adultera: quando non la condanna, dice, va oltre la legge e apre davanti a lei uno spazio libero: “Va’ e d’ora in poi non peccare più”:         

“Il comandamento si dà per l’avvenire, per aiutare ad andare, per 'camminare nell’amore'. Questa è la delicatezza della misericordia che guarda con pietà il passato e incoraggia per il futuro. Il Signore non solo le sgombra la strada ma la pone in cammino perché smetta di essere 'oggetto' dello sguardo altrui, perché diventi protagonista”.

Il confessionale, segno dell'amore misericordioso di Dio
La meditazione di Papa Francesco prosegue guardando al confessionale e al sacerdote che è il segno e lo strumento dell'amore misericordioso di Dio verso il peccatore:

“Segno e strumento di un incontro. Questo siamo. Attrazione efficace per un incontro. Segno vuol dire che dobbiamo attrarre, come quando uno fa dei segni per richiamare l’attenzione. Un segno dev’essere coerente e chiaro, ma soprattutto comprensibile”.

Confessori che non spaventano ma avvicinano
Caratteristiche di un segno e di uno strumento, continua Francesco, è essere disponibili, non essere autoreferenziali. La loro essenza è essere mediatori, o come diceva Sant’Ignazio “non essere impedimento”. E il Papa cita le qualità dei buoni confessori: sono quelli che aiutano la gente ad avvicvinarsi, quelli che non la spaventano, quelli che hanno delicatezza con i peccatori e ai quali basta mezza parola per capire tutto:

“Ma per questo bisogna lasciarsi commuovere dinanzi alla situazione della gente, che a volte è un miscuglio di cose, di malattia, di peccato e di condizionamenti impossibili da superare, come Gesù che si commuoveva vedendo la gente, lo sentiva nelle viscere, nelle budella e perciò guariva e guariva anche se l’altro 'non lo chiedeva bene'”.

"Questo Papa ci bastona troppo"...
Il Papa dedica l’ultima parte della meditazione alla dimensione sociale delle opere di misericordia. E' Gesù stesso nei Vangeli che collega ciò che abbiamo ricevuto con ciò che dobbiamo dare, dice, come insegnare, perdonare, correggere, consolare, sopportare le persecuzioni… che spesso si traducono in ospedali per i malati, mense per quelli che hanno fame, ostelli per quelli che sono per la strada, scuole per quelli che hanno bisogno di istruzione, il confessionale e la direzione spirituale per chi necessita di consiglio e di perdono… Ma, alla fine, l’oggetto della misericordia è la vita umana stessa e nella sua totalità. Si tratta, conclude il Papa, di “agire”, di fare opere, di creare una cultura della misericordia con la certezza che, mentre si lavora, è lo Spirito Colui che spinge e manda avanti ogni cosa. E al termine, fuori programma, le parole a braccio di Francesco:

“Ho sentito tante volte commenti dei sacerdoti: 'Ma questo Papa ci bastona troppo, ci rimprovera'. E qualche bastonata, qualche rimprovero c’è. Ma devo dire che sono rimasto edificato da tanti sacerdoti, tanti preti bravi…".

La lettera di un parroco 
Poi racconta di aver ricevuto una lettera di un parroco in Italia, il parroco di tre paesini: gli scrive le difficoltà della vita di un pastore, ma anche il grande amore per le sue pecore. Papa Francesco commenta:

“Questo è un fratello nostro. Ce ne sono tanti così. Ce ne sono tanti. Anche qui sicuramente. Tanti. Ci segnala la strada e andiamo avanti. Non perdere la preghiera. Pregate come potete e se vi addormentate davanti al Tabernacolo, benedetto sia. Ma pregate. Non perdere quello. Non perdere il lasciarsi guardare dalla Madonna e guardarla come Madre. Non perdere lo zelo, cercare di fare… Non perdere la vicinanza e la disponibilità per la gente e anche, mi permetto di dirvi, non perdere il senso dell’umorismo. E andiamo avanti!".

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Tweet: la nostra vita sacerdotale si dona nel servizio e nella gioia

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Il Papa in occasione del Giubileo dei Sacerdoti ha pubblicato un tweet sull'account @Pontifex in nove lingue: "La nostra vita sacerdotale si va donando nel servizio, nella vicinanza al Popolo fedele di Dio, con la gioia di chi ascolta il suo Signore".

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Summit sulla tratta in Vaticano, stasera l'intervento del Papa

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Si è aperto stamane in Vaticano il Summit internazionale di giudici ed esperti di tratta di esseri umani e crimine organizzato. C’è attesa per l’intervento di stasera di Papa Francesco. Domani, la seconda e ultima giornata di lavori. A seguire la prima sessione dei lavori, Giancarlo La Vella

Considerare gli esseri umani come merce, come oggetti da poter usare, vendere e comprare. Uno dei più turpi delitti a cui oggi assistiamo e che appare in preoccupante aumento. Obiettivo della criminalità organizzata sono i Paesi più poveri, in Africa, America Latina e Asia, dove vengono prese di mira le persone più deboli e indifese, bambini e donne soprattutto, utilizzati in particolare nel narcotraffico, sfruttamento sessuale, traffico di organi e lavori disumani. Un fenomeno che non potrebbe esistere, se non proliferasse sulla connivenza e sulla corruzione. Questi gli aspetti salienti all'esame dei lavori del summit in corso in Vaticano, al quale Papa Francesco nel pomeriggio darà il suo contributo, affinché di questa piaga non solo si parli, ma si adottino anche concrete misure a livello globale. Il fenomeno è talmente vasto e articolato, infatti, che richiede interventi condivisi dai Paesi della comunità internazionale. Ne abbiamo parlato con Maria Monteleone, procuratore aggiunto alla Procura della Repubblica di Roma, presente al vertice:

R. – Questo incontro è un ulteriore tangibile segno della particolare attenzione e sensibilità che il nostro Papa ha verso gli ultimi. E gli ultimi tra gli ultimi sono proprio le vittime ridotte in schiavitù dalla tratta, dallo sfruttamento sessuale. L’augurio è che questo incontro arricchisca tutti e lo scambio di opinioni, di esperienze renda più semplice e più facile il nostro lavoro, ma soprattutto renda ancora più determinata ed efficace l’azione delle forze di polizia e dei magistrati.

D. – Ciò vuol dire che la tratta di esseri umani sta diventando sempre di più una vera piaga oggi?

R. – Sicuramente è un fenomeno criminale in espansione e molto diffuso a livello globale. Presenta caratteristiche di particolare gravità, come fenomeno criminale, ma anche per il coinvolgimento di diversi milioni di persone, soprattutto di persone particolarmente vulnerabili. Le vittime, infatti, sono prevalentemente donne, minori e anche persone portatrici di handicap. Sicuramente, quindi, un fenomeno su cui porre attenzione e da contrastare con la  massima determinazione.

D. – Un fenomeno così vasto, da affrontare, dunque, da vari punti di vista…

R. – Sicuramente un fenomeno criminale, che riguarda prevalentemente la criminalità organizzata, ma non solo, che ha risvolti economici di grandissimo rilievo. Secondo Frontex, tenuto conto anche della tratta di persone, collegata allo sfruttamento sessuale, rende sul piano economico alle organizzazioni criminali cifre addirittura maggiori del traffico di armi e di stupefacenti. Sotto questo profilo, è evidente che un'efficace lotta a questo fenomeno non può che essere svolta a livello globale e quindi con la massima collaborazione di tutti gli Stati, di tutte le forze dell’ordine e anche, ovviamente, della magistratura.

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Nomine episcopali di Francesco in Italia, Croazia, Usa

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In Italia, il Santo Padre Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Mantova, presentata da Mons. Roberto Busti, in conformità per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Mantova il rev.do Sacerdote Gianmarco Busca, del clero della diocesi di Brescia, finora Docente di Teologia Sacramentaria presso lo Studio Teologico “Paolo VI” a Brescia.

In Croazia, il Santo Padre ha accettato la rinuncia all’ufficio di Vescovo di Šibenik, presentata da Mons. Ante Ivas, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato Vescovo di Šibenik il rev.do Mons. Tomislav Rogić, del clero di Gospić-Senj, finora Parroco e Decano di Udbina.

Negli Usa, il Papa ha nominato Vescovi Ausiliari dell’arcidiocesi di Boston i reverendi Robert P. Reed e Mark O’Connell, entrambi del clero della medesima arcidiocesi, Presidente della “Catholic TV” a Boston il primo e Vicario Giudiziale il secondo, assegnando loro rispettivamente le sedi titolari vescovili di Sufar e di Gigti.

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Mons. Jurkovič: non si usi la tecnologia per creare disoccupati

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La mancanza di lavoro dignitoso, la disoccupazione giovanile, l’impatto dei cambiamenti climatici sul mondo del lavoro, sono solo alcuni dei grandi temi sollevati dall’osservatore permanente della Santa Sede – mons. Ivan Jurkovič -  alla 105.ma sessione della Conferenza dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro a Ginevra. Il servizio di Stefano Leszczynski

Rammentando alla comunità internazionale, riunita in Conferenza presso l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil), l’appello di Papa Francesco in favore della crescita dell’occupazione giovanile come condizione per lo sviluppo dell’intera società umana, mons. Jurkovič ha evocato l’obbligo morale che pesa sugli attori internazionali di dare vita a modelli economici che siano i più equi ed inclusivi possibile. Bisogna puntare su sistemi economici – ha spiegato il presule – che investano sulla persona e che non siano esclusivamente orientati al profitto, capaci quindi allo stesso tempo di conciliare l’innovazione tecnologica con la creazione di opportunità di lavoro.

Un tema caro anche a Papa Francesco – ha ricordato mons. Jurkovič – che nella Laudato si' ha messo in guardia dalla tentazione di risparmiare rimpiazzando il lavoro umano con strumenti tecnologici avanzati. L’invito rivolto ai membri dell’Oil – l’unica realtà internazionale che riunisca rappresentanti dei lavoratori, degli imprenditori e dei governi – è quello di tutelare la dignità umana in tutti gli ambiti sociali, economici e politici. La globalizzazione del lavoro e dei processi produttivi rende ancora più urgente l’esigenza di creare condizioni di lavoro dignitose per tutti, così da rendere realmente virtuose le ricadute della crescita del commercio internazionale. Per mons. Jurkovič particolare attenzione va riservata ai lavoratori nelle cosiddette economie emergenti, là dove esistono i maggiori divari in termini di salari e orari lavorativi. Rivolgendosi in particolare ai governi, l’osservatore permanente della Santa Sede ha fatto poi riferimento all’impatto negativo dei cambiamenti climatici sullo sviluppo economico e sociale. Una situazione che richiede delle soluzioni integrate, dirette a combattere la povertà, a restituire dignità agli esclusi e a proteggere l’ambiente.

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Santa Sede: parole di odio contro minoranze diventano violenza

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La Santa Sede  è “profondamente preoccupata” per la crescente diffusione nel continente europeo di un linguaggio sempre più ostile nei confronti delle minoranze nazionali: è quanto ha affermato il rappresentante vaticano, mons. Janusz Urbanczyk, in occasione della presentazione a Vienna di un rapporto sulle minoranze a cura dell’Osce, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Il servizio di Sergio Centofanti:

La denuncia è forte. L'osservatore permanente della Santa Sede presso l'Osce afferma che in Europa si ascoltano sempre di più parole di “odio”, parole che possono trasformarsi in “atti di violenza” e conflitti su ampia scala. “Prevenire le espressioni di odio significa prevenire i conflitti” e “promuovere la pace e la stabilità nella nostra regione”.

Occorre evitare – ha proseguito mons. Urbanczyk  - “la tragica conseguenza di quel pendio scivoloso che spesso inizia con lo scherno o con altre forme di esclusione sociale” che a loro volta “portano ad atti di discriminazione - a volte anche sanciti nella legislazione - e scatenano una intolleranza che si trasforma in violenza”.

L’osservatore permanente della Santa Sede presso l’Osce denuncia “la crescita dei discorsi politici che prendono di mira le minoranze nazionali o fanno uso di stereotipi  radicati su tali minoranze” per promuovere dei precisi programmi politici: una tendenza che “dovrebbe essere contrastata” attraverso una crescente partecipazione politica di tutti i cittadini.

L'educazione, soprattutto dei giovani – ha affermato infine mons. Urbanczyk - svolge “un ruolo chiave nell’opera di prevenzione dei conflitti” e nella promozione di una “vera tolleranza e della non discriminazione”. Per questo, la Santa Sede auspica che siano promossi programmi educativi che rafforzino “una migliore comprensione e il rispetto per le diverse culture, etnie e religioni”. Programmi che diffondano “valori universali, come il rispetto per la dignità di ogni persona, la solidarietà tra le persone e il rispetto per la religione altrui”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Là dove punta il cuore: nella Messa della solennità del Sacro Cuore il Pontefice ricorda che Dio e la gente sono i due poli del ministero sacerdotale

Il buon odore di Cristo e la luce della sua misericordia: nella basilica di San Paolo fuori le Mura la terza meditazione di Papa Francesco per il giubileo dei sacerdoti

Un articolo di Gabriele Nicolò "I tre chiodi" su  David Maria Turoldo

L’oratorio conviene a tutti - Sergio Massironi sul modello educativo all’altezza della società plurale

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Oggi in Primo Piano



Siria, Croce Rossa: diritto internazionale umanitario al collasso

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Medici senza Frontiere ha lanciato un disperato appello a Europa e Turchia affinchè aprano i confini ai rifugiati siriani. Sono circa 100 mila infatti le persone intrappolate nel distretto siriano di Azaz, tra il confine turco ancora chiuso e le zone minacciate dal sedicente Stato islamico. Aumenta ogni giorno il numero delle vittime dei bombardamenti del regime nel nord della Siria, oggi sono almeno 30 i civili morti, tra cui 6 bambini. Ieri, per la prima volta dopo 4 anni, alcuni convogli della Croce Rossa e del Programma Alimentare Mondiale sono entrati nella città di Daraya per portare medicinali e cibo alla popolazione. Intanto, attese per oggi le decisioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per sbloccare l'invio dei beni ai civili, anche paracadutandoli, così da aggirare i blocchi imposti sia dal regime che dai ribelli. Sulla situazione a Daraya e in tutto il Paese, Valentina Onori ha intervistato il presidente della Croce Rossa Italiana Francesco Rocca: 

R. -  A Daraya c’è un solo ospedale funzionante, con un medico, tre infermieri e con la mancanza di tutte le medicine di base. Quindi era importante far entrare questi primi aiuti, con un’attenzione soprattutto ai più piccoli: ci sono, infatti, tutta una serie di medicinali pediatrici, proprio perché si tratta della popolazione più vulnerabile in questo momento. Speriamo – vuoi attraverso il Consiglio di Sicurezza, vuoi attraverso quello che, per noi come movimento di Croce Rossa, riguarda il dialogo costante con tutte le parti coinvolte nel conflitto – di poter continuare ad avere un accesso costante alle popolazioni. Perché ovviamente questo accesso non basta!

D. – In che cosa consistevano gli aiuti umanitari? Si è detto anche che c’erano vaccini, medicine e poco cibo...

R. – E’ vero! Rispetto alla possibilità dei tempi concordati la priorità è stata data al settore sanitario, anche perché era l’aspetto più urgente! In questa fase avevamo un’assenza totale di tutti i presidi sanitari di base. Laddove vivono migliaia e migliaia di persone, non ci sono soltanto le ferite di guerra, ma ci sono anche le tantissime patologie che devono continuare ad essere trattate.

D. – A Daraya è entrato il convoglio con gli aiuti umanitari...

R. – A Daraya è entrato il convoglio…  In questo momento c’è un’autorizzazione ad entrare in 12 aree di conflitto e noi ci auguriamo che entrambe le parti mantengano gli impegni che sono stati presi e ci consentano di entrare anche nelle prossime ore, con ancora più aiuti sia a Daraya che nelle altre aree.

D. – Com’è la situazione?

R. – E’ disperata! L’assedio è una delle cose più terribili, perché non c’è un accesso, non c’è possibilità per la popolazione di allontanarsi dal conflitto. Le vittime civili non sono state risparmiate, anzi spesso proprio gli obiettivi civili sono stati strumento di guerra. E questa è una cosa terribile!

D. – La zona più interessata è Aleppo e la zona a sud-est di Aleppo…

R. – Sì! E poi  – anche se può sembrare paradossale, però è così e lo è da tempo – la zona della “Rural Damascus”: tutta quella zona in cui si passa andando da Beirut a Damasco. Pochissimi chilometri. E’ incredibile quanto sia vicina quell’area alla capitale siriana. Sapere che a pochissimi chilometri c’è gente che sta patendo una terribile sofferenza a causa di questa mancanza di rispetto della vita ed è una fonte di sofferenza sapere che non si possa accedere. Per noi operatori umanitari l’accesso alla vittima è importante: perciò questo conflitto è di una gravità inaudita e più volte abbiamo richiamato la Comunità internazionale ai suoi obblighi. Vengono utilizzate sistematicamente le vittime civili!

D. – E’ una situazione totalmente fuori controllo?

R. – L’utilizzo dei civili sia come obiettivo che fa diventare militare ciò che militare non è, e dall’altra parte l’utilizzo di civili come scudi umani rispetto a obiettivi dichiaratamente militari, che è un atto che viene definito dal diritto internazionale un “atto di perfidia”, è qualcosa di assolutamente inaccettabile! Qui abbiamo veramente il collasso del diritto internazionale umanitario, ovvero il diritto che prevede la tutela delle vittime civili all’interno dei conflitti armati. Quando si combatte in quartieri così piccoli, come zone, che vengono contesi fra le due parti e non si consente ai civili di uscire, anche questa è un’altra violazione al diritto internazionale.

D. – Che notizie ha direttamente dalla Croce Rossa Internazionale in Siria?

R. – Di questa difficoltà. A volte per accedere ad alcune zone – certo per Daraya è stata una negoziazione con entrambe le parti per poter accedere in maniera sicura – la cosa difficile, nel quotidiano, delle nostre attività, è la negoziazione continua, perché per portare aiuti bisogna negoziare con 10-12 gruppi armati diversi. La difficoltà di questa frammentazione anche degli interlocutori rispetto all’accesso alla vittima è una cosa terribile! E’ proprio questo anche l’oggetto delle negoziazioni: il fatto di garantire che chiunque – a prescindere a quale fazione appartenga o a quale religione appartenga, sia esso alawita, sciita o sunnita – possa poter accedere ai beni che vengono distribuiti, che sono beni che garantiscono un minimo di sopravvivenza. Perché di certo non possiamo parlare di dignità della vita umana in quei luoghi: lì parliamo soltanto di sopravvivenza.

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A Parigi la conferenza sul Medio Oriente senza israeliani e palestinesi

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“Una scelta coraggiosa per la pace”, è quanto chiesto dal presidente francese, Francois Hollande, in apertura della conferenza per la soluzione del conflitto israelo-palestinese. L’iniziativa che si tiene oggi a Parigi vede la partecipazione di circa 30 Paesi, ma si segnala l’assenza dei rappresentanti delle due parti in guerra tra loro, che sono state appositamente escluse per definire una posizione possibilmente univoca della comunità internazionale. Marco Guerra ne ha parlato con Giusy Regina, direttore di Arabpress.eu: 

R. – La Conferenza di Parigi, in realtà, è un tentativo diplomatico abbastanza importante ai giorni d’oggi: cerca di far ripartire queste trattative di pace tra israeliani e palestinesi che, obiettivamente, dagli accordi di Oslo, sono un po’ ferme. Le critiche, però, ci sono già state, perché non ci sono rappresentanti di Israele e Palestina: l’Olp si sente un po’ esclusa e Netanyahu la vive come una minaccia, e lo aveva già anticipato, quando Hollande aveva parlato dell’idea di fare questa Conferenza, tanto che sia la stampa araba che ebraica non hanno sponsorizzato l’incontro in modo molto positivo. Lo vedono, infatti, come l’ennesimo buco nell’acqua.

D. – Parliamo, comunque, di un tentativo ambizioso di far ripartire le trattative di pace. Era da oltre dieci anni che così tanti attori non si mettevano intorno ad un tavolo. Quali sono, comunque, le aspettative che accompagnano questo incontro?

R. – Trattandosi di un incontro a cui partecipano oltre 30 Paesi, tra occidentali e arabi, le aspettative ci sono forse più da parte di questi partecipanti che non da parte delle parti in causa. Sostanzialmente, infatti, il tema israelo-palestinese alcune volte sembra essere dimenticato, a causa del sedicente Stato Islamico, degli attentati e di tutto quello che sta succedendo, ma in realtà non lo è. In generale, quindi, la risonanza internazionale è tanta, perché effettivamente è importante rilanciare questa tematica. I palestinesi, però - ripeto - sono un po’ scettici, perché non credono che possa più servire ormai un approccio del genere per risolvere la questione, e gli israeliani, Netanyahu, non vorrebbero l’ingerenza occidentale in essa. Per Israele la sicurezza è tutto. Già il fatto, quindi, che si parli di questo tema e che così tanti Paesi affrontino questo tema – addirittura senza di loro – non è benvisto da Israele. Ogni tentativo di apertura, di dialogo, però - bisogna dirlo - deve essere accolto positivamente, dandone la giusta risonanza. Hollande stesso ha aperto la Conferenza, invitando questi due popoli a fare la pace. Poi, che siano parole o meno, lo vedremo. Sicuramente è importante rilanciare un dialogo del genere.  

D. – Secondo alcune indiscrezioni della stampa israeliana, i francesi hanno pronto un documento e, poi, c’è anche un piano di Riad. Quali sono le proposte sul tavolo per risolvere questa crisi?

R. – Fondamentalmente, niente di nuovo sotto il sole. Comunque, si parla della soluzione “due popoli, due Stati”. Tutte le soluzioni sono incentrate su questo: sulle indiscrezioni del giornale Haaretz, del documento stilato dai francesi di tre pagine. In realtà, del contenuto non si sa molto. Sicuramente hanno posto alcune deadline. Per esempio, entro la metà del 2017 si vorrebbe arrivare ad un incontro, ad una serie di incontri bilaterali israelo-palestinesi. Insomma, sono state poste una serie di date simboliche, anche per darsi dei limiti. E poi, si parlava già, nel prossimo autunno, della preparazione di un’altra conferenza internazionale, questa volta con israeliani e palestinesi.

D. – Al momento, quindi, quali sono i principali ostacoli al raggiungimento di un accordo di pace?

R. – Fondamentalmente, gli ostacoli principali sono che Israele e Palestina restano bloccati su alcuni punti – storicamente – che sono sempre gli stessi. I palestinesi vogliono la soluzione “due popoli, due Stati”, che con tutta franchezza è difficile da raggiungere, perché Israele, da quando è nato, nel 1948, ha come base fondamentale per esistere la sicurezza. Israele, per come è nato, per la storia che ha, obiettivamente è difficile che permetta la creazione di un qualsivoglia Stato palestinese accanto ai suoi confini, a meno che non sia uno Stato smilitarizzato completamente, che possa controllare, non voglio dire al cento per cento, ma che in qualche modo lo controlli. Sia israeliani che palestinesi devono scendere a tanti compromessi, non perché la soluzione “due popoli, due Stati” sia impraticabile. Obiettivamente i palestinesi, infatti, devono cedere sulla smilitarizzazione del loro Stato e gli israeliani devono cedere al fatto di non volere assolutamente uno Stato palestinese accanto. Se non scendono a compromessi, penso che nessuna soluzione in realtà sia praticabile.

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Francia, proseguono gli scioperi contro la riforma del lavoro

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Non si fermano in Francia le proteste contro la riforma del lavoro, nonostante il governo abbia aperto al dialogo. Scioperi e mobilitazioni proseguono ad oltranza con il blocco dei trasporti e di altri settori ad appena una settimana dall'inizio degli Europei di calcio e mentre nel Paese imperversa il maltempo con il livello della Senna che sale pericolosamente a Parigi. La legge, in discussione in Parlamento da quasi un mese, punta alla flessibilità, ma è criticata dai sindacati per il timore di “facili licenziamenti” e per l’incremento dell’orario lavorativo. Gioia Tagliente ha intervistato Adalberto Perulli, ordinario di Diritto del Lavoro dell’Università Ca’Foscari di Venezia: 

R. – Il punto fondamentale di questa legge, che doveva essere il licenziamento, è stato già fortemente ridimensionato. Si tratterà di trovare un accordo sulle nuove funzioni derogatorie della contrattazione collettiva: attraverso una nuova spinta si vorrebbe produrre una maggiore flessibilità, soprattutto in materia di orario di lavoro e quindi la possibilità di arrivare a 12 ore - attualmente non supera le 10 - in seguito ad un accordo interno all’azienda; si dovrebbe anche ridurre la remunerazione dell’orario straordinario. Quindi la partita politico-sindacale si è spostata su questo tema.

D. – Ma gli scioperi, dunque, potrebbero portare ad una svolta?

R. – Adesso è una situazione molto incerta. Non c’è attualmente una grande mobilitazione, però la situazione – dal punto di vista sociale – è molto tesa. Quindi se gli scioperi – come pare – continueranno, si troverà un accordo di compromesso.

D. – Anche il Belgio è in crisi: secondo lei, in Europa, si sta ridisegnando una necessità di trasformare il mondo del lavoro?

R. – Il Belgio - come la Francia, come l’Italia - segue un percorso che è già stato intrapreso da altri Paesi come la Spagna, come il Portogallo. Quindi diciamo che questo è un trend iniziato da alcuni anni, che ha interessato inizialmente i Paesi del Sud Europa e che si sta ora pian piano propagando anche verso i Paesi del Centro Europa, come appunto la Francia, il Belgio. Non credo che interesserà altri Paesi europei – diciamo i Paesi del Nord Europa e la Germania -  che hanno modelli sociali e sistemi di diritto del lavoro molto collaudati, molto efficienti, che poco necessitano di essere rivisti e di essere riformati radicalmente, come è invece accaduto in Italia, come è invece accaduto in Spagna, come è invece accaduto in Portogallo. Io credo che questo sia, per rispondere alla sua domanda, un trend che interessa soprattutto i Paesi del Sud e del Centro Europa, che erano in ritardo su un percorso di modernizzazione dei sistemi di diritto del lavoro; una modernizzazione richiesta da tempo – ormai da anni – soprattutto dalla Commissione Europea e dalle grandi istituzioni economiche europee internazionali e che inevitabilmente sono poi il portato di processi ancora più ampi, quali la globalizzazione, la competitività internazionale, e di un certo pensiero – e dal mio punto vista sbagliando – che ritiene che l’introduzione di maggiore flessibilità nel mercato del lavoro sia una buona ricetta per creare nuova occupazione. In realtà non è così, perché non ci sono dati empirici che dimostrino una correlazione diretta tra l’introduzione di flessibilità nel mercato del lavoro e creazione di nuova occupazione. Però questo è comunque il pensiero dominante ed è il pensiero che sta poi alla base di queste politiche sociali, che sono state condotte nei Paesi che ricordavano prima.

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Amministrative, Flavio Felice: campagna elettorale dai toni nazionali

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Ultime ore di campagna elettorale per le amministrative. Domenica 5 giugno sono chiamati alle urne oltre 13 milioni e 300 mila elettori in 1.300 comuni. Un voto che ha valore locale ma anche nazionale per i temi che sono stati toccati dai leader dei partiti. Alessandro Guarasci ha sentito Flavio Felice, componente del comitato organizzatore delle Settimane Sociali: 

R. – Un voto negativo per le compagini governative in questa prossima tornata elettorale potrebbe significare per il governo Renzi e per i partiti che lo sostengono sicuramente un problema. Per questo motivo gli argomenti che hanno fatto da guida in questa campagna elettorale sono stati inevitabilmente più di carattere nazionale che di carattere locale.

D. – Il fatto che Renzi abbia spostato in parte l’attenzione sui referendum dimostra che teme davvero queste consultazioni locali?

R. – Credo che in questo caso più che il timore delle elezioni locali ci sia il tentativo di iniziare con largo anticipo la battaglia referendaria che, per sua stessa ammissione, diventerà la battaglia di tutte le battaglie politiche. Poi non c’è dubbio che teme chiaramente anche le elezioni amministrative, ma non tanto per il contenuto che hanno le elezioni ammnistrative in sé, quanto per l’effetto traino che potrebbero portare al referendum un comitato per il “Sì” particolarmente indebolito, fiacco, stanco, quindi possibilmente anche sconfitto.

D. - Gli ultimi sondaggi quanto meno prima del silenzio davano il Movimento Cinque Stelle in ascesa. Sarà un momento per verificare se questo raggruppamento può passare dalla protesta al buon governo, alla vera proposta?

R. - Pensiamo a Roma. Se dovessero vincere quello è il banco di prova. 

D. - Che cosa ci si può aspettare da queste elezioni per il Centrodestra?

R. - A me sembra che la diaspora sia abbastanza inevitabile per poi trovare una forma di rassemblement, non vedo però intorno a quale figura. Mi sembra che il grande limite del Centrodestra in questi anni è stato quello di aver basato la leadership su elementi carismatici. Mi sembra che siano finite le cartucce, che non abbiano più elementi che possano farli stare insieme. Però questo attendere ogni volta l’uomo della provvidenza è sinceramente deprimente per chi ama la democrazia e la libertà.

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Isole Salomone: "vescovo volante" porta alla gente la Porta Santa

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Una Porta Santa itinerante che vuole portare il messaggio di misericordia agli abitanti dell’arcipelago delle Isole Salomone, a sud dell’Oceano Pacifico. E’ stata questa l’iniziativa, pensata da mons. Luciano Capelli, vescovo da sedici anni della Diocesi di Gizo, per essere vicino ai suoi parrocchiani che a causa delle grandi distanze tra le isole, non sarebbero riusciti facilmente a raggiungere la Cattedrale. E proprio per lo stesso motivo, il presule da alcuni anni usa un piccolo aereo ultraleggero che gli consente di portare la Parola di Dio tra le popolazioni tribali e che gli è valso l’appellativo di “vescovo volante”. L'iniziativa di una Porta Santa pellegrina è stata accolta con grande gioia dagli abitanti di quelle terre. Ascoltiamo lo stesso mons. Capelli al microfono di Marina Tomarro: 

R. - È stata un’esperienza fantastica portare la Porta Santa. Quando insieme ai sacerdoti abbiamo deciso, non sapevamo cosa fare, come far capire alla gente la Misericordia Dio, come potevamo sentirci parte della Chiesa universale. Allora, abbiamo scoperto questo modo di portare la Croce con la Porta Santa. La gente non può andare alla Porta Santa? Portiamo la Porta Santa alla gente. È stato fantastico ed ha coinvolto tutti i villaggi, è stata un’esperienza bellissima, di espressione culturale, di danze, di altre iniziative, poi la Liturgia della Parola, l’esperienza del perdono, della misericordia di Dio e infine la sfida del perdono reciproco. Trovandoci agli estremi confini della Terra non ci sono giudici, non ci sono avvocati, ma i conflitti ci sono. Quindi la presenza della Porta, la motivazione della fede, ha portato come conseguenza una bella cerimonia di riconciliazione culturale, molto viva, nella Melanesia.

D. - Come vivono le popolazioni di queste isole?

R. - Non è gente che parla tanto; è gente isolata dove non arrivano i servizi sanitari di base e di educazione. È gente che ha sempre vissuto nella propria tribù sopravvivendo di quello che la foresta e il mare concedono ogni giorno. Quindi la gente è contentissima di vedere sia il sacerdote che il vescovo. La gente è aperta, ricettiva, in attesa di messaggi. Allora questa è stata una cosa un po’ nuova per loro: essere vivi l’uno per l’altro, poter comunicare con qualcuno che ti ascolta.

D. - Quali sono i rapporti con le altre religioni?

R. - Nelle isole Salomone ci sono stati gli anglicani. Quindi circa il 40 percento della popolazione è anglicana ed ha ottimi rapporti con il 20 percento circa dei cattolici, il dieci percento sono metodisti, poi ci sono altre fedi. Si lavora insieme per dare alla gente quei servizi che lo Stato non può dare. Quindi è una comunione di Chiese.

D. - Lei ha il soprannome di “il vescovo volante” perché ha un piccolo aereo con il quale va da un’isola all’altra...

R. - Prima di tutto ci troviamo su una quarantina di isole con centinaia di chilometri di Oceano Pacifico con possibilità di cambiamento di clima da quando si parte in barca a quando si arriva. Allora andare in aereo vuol dire in un’ora e un quarto, un’ora e mezzo, raggiungere tutte le parti della diocesi. Questo è fantastico! Non si tratta dell’ebbrezza del volare, ma del dopo volo, perché puoi andare dove prima non potevi o andavi una volta ogni due, tre anni. Adesso io posso andare tre o quattro volte all’anno in tutti i posti ad incontrare la gente.

D. - Portare il Vangelo ai confini della Terra. Lei queste parole le ha proprio prese alla lettera. Cosa vuol dire per lei questa sua missione che dura ormai da ben 16 anni nelle isole Salomone?

R. - Per me vuol dire solo una cosa: la presenza, esser presente, fedele al mio motto “In alto i cuori”. Incoraggiare per me è questo. L’evangelizzazione in queste popolazioni è l’amicizia, il capire, lo stare insieme, il condividere e innalzare i cuori. Questa è la vera religione, la vera evangelizzazione: portare un messaggio id speranza.

D. - Da quella latitudine come viene visto Papa Francesco? Quali sono i messaggi che arrivano maggiormente?

R. - Quel messaggio della Laudato si' è stato fantastico per loro, parla della natura e loro vivono nella natura, della natura. L’altro messaggio è quello della misericordia … anche lì non essendoci modi e mezzi per riconciliarsi hanno capito il valore della riconciliazione ed il perché. Poi per me anche il messaggio di Papa Francesco attraverso il cuore, quell’abbraccio che mi ha dato quando sono andato a trovarlo due anni fa è stata un’esperienza indimenticabile. Perciò, il messaggio, la sua semplicità, il suo abbraccio sono veramente acqua viva per noi che siamo agli estremi confini del mondo.

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Nella Chiesa e nel mondo



Sudan. Mons. Gassis: scuola cattolica colpita da bombardamenti

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Una dura condanna dei “continui bombardamenti aerei indiscriminati che uccidono, feriscono e diffondono una cultura di paura e di morte tra la popolazione” la esprime mons. Macram Max Gassis, vescovo emerito di El Obeid, in Sudan. Così il presule, citato dall’agenzia Fides, denuncia il bombardamento di una scuola cattolica avvenuto nelle aree controllate dai ribelli nella Heiban County, nello Stato del South Kordofan.

Danni ingenti alla struttura
“Il 18 maggio - riferisce mons. Gassis - gli insegnanti della scuola primaria San Vincenzo Ferrer hanno contato 15 bombe cadute nelle vicinanze della scuola, tre delle quali a soli 300 metri”. Il 26 maggio, inoltre, è stato lanciato un missile che ha colpito il complesso scolastico provocando pesanti danni, tra cui la rottura del tetto della biblioteca, con conseguenti danni per i libri. Fortunatamente, all’interno dell’edificio scolastico non erano presenti gli studenti. L’appello del presule alle parti in causa è comunque a “lavorare per una pace duratura”.

400 mila persone in fuga
Secondo le ultime stime, in cinque anni di scontri, i continui bombardamenti, da parte dell’aviazione di Khartoum, nelle aree controllate dai ribelli dell’Esercito di liberazione del popolo sudanese del nord, hanno provocato centinaia di vittime e costretto alla fuga più di 400.000 persone.

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Honduras. Vescovi: aborto, crimine odioso, tutelare vita

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“Un crimine odioso”: così la Conferenza episcopale dell’Honduras (Ceh) definisce, in una nota, l’aborto. Il documento dei vescovi - intitolato “La vita umana: la sua grandezza, il suo valore e la sua trascendenza” - arriva nel momento in cui nel Paese è in atto una discussione sulla promulgazione di un nuovo codice penale. Un’occasione che i gruppi favorevoli all’interruzione volontaria di gravidanza hanno colto per cercare di far inserire, nella nuova normativa, la depenalizzazione dell’aborto, finora illegale.

Difendere la vita e la dignità umana
Per questo, in linea con gli insegnamenti della Chiesa cattolica, i presuli ribadiscono la necessità di difendere la vita e la dignità della persona umana. Al contempo, la nota episcopale smentisce la diceria secondo la quale Papa Francesco avrebbe nominato una Commissione per studiare i casi in cui si potrebbe abortire. “Si tratta di dichiarazioni non solo false, ma anche dannose”, scrivono i vescovi hondureñi.

Dibattito sull’aborto non è una questione religiosa, ma umana
Di qui, il richiamo al “valore incommensurabile della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, indipendentemente dalle condizioni in cui si trovano le persone”. Tanto più che il riconoscimento del valore della vita è stato “sempre sostenuto e affermato sin dall’antichità, da Seneca ad Aristotele”. I presuli, inoltre, evidenziano che il dibattito sull’aborto o sulla manipolazione genetica a scopi cosiddetti “terapeutici” non è “un problema religioso”, bensì “una questione di dignità e di rispetto per il bene più prezioso, ovvero per la vita umana”. E questo è un tema che riguarda “il futuro della famiglia umana”.

Il feto, essere umano unico ed insostituibile
La Ceh ribadisce, poi, che il feto ha geni diversi dalla madre ed è quindi “un individuo unico ed insostituibile”, in costante e continuo sviluppo. Per tale motivo, i vescovi definiscono inaccettabili le argomentazioni ripetute spesso “in modo sconsiderato e irresponsabile” da chi è favorevole all’aborto e ritiene la donna proprietaria del suo corpo e quindi autorizzata a decidere su di esso. Ma questa “è una verità parziale e confusa”, in quanto colui che è nel grembo della madre è “un altro corpo”, “un altro essere vivente”, diverso dalla madre stessa.

No alla “cultura dello scarto”
Ricordando, quindi, gli appelli di Papa Francesco contro “la cultura dello scarto” che minimizza il valore della vita, i vescovi esortano la popolazione, i deputati del Congresso, i giudici, le istituzioni, i sacerdoti, i religiosi, i laici, i fedeli e tutti gli uomini e le donne di buona volontà a difendere e proteggere la vita dei più deboli ed indifesi, in particolare dei nascituri. (I.P.)

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Mongolia: Chiesa si prepara all’ordinazione del primo prete autoctono

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“Avremo presto il primo prete nativo della Mongolia: è Joseph Enkh, che sarà ordinato sacerdote a Ulaan Baatar il 28 agosto 2016 da Mons. Wenceslao Padilla, prefetto apostolico di Ulaan Baatar. Questo evento ha una particolare importanza per la nostra giovane Chiesa, rifondata nel 1992 e che oggi ha poco più di mille battezzati. L'ordinazione di un sacerdote nativo stimolerà l'entusiasmo e il senso di appartenenza tra i mongoli, verso una Chiesa che è stata a lungo vista come straniera”: lo dice all’Agenzia Fides padre Prosper Mbumba, missionario congolese in Mongolia, membro della congregazione del Cuore Immacolato di Maria.

Il futuro sacerdote ha studiato in Corea del Sud
Joseph Enkh è stato ordinato diacono l’11 dicembre 2014 a Daejeong, in Corea del Sud, dove ha ricevuto la sua formazione iniziale, ed è rientrato in Mongolia nel gennaio scorso. Da allora porta avanti la sua esperienza pastorale, servendo in diverse parrocchie della Mongolia, dove attualmente sono presenti, nel complesso, circa 20 missionari e 50 suore di 12 congregazioni diverse, impegnati in sei parrocchie.

L’entusiasmo e le preghiere dei fedeli
“I preparativi per l’ordinazione - dice padre Mbumba - sono in corso sotto tutti gli aspetti. I cristiani pregano molto per il loro futuro sacerdote e le parrocchie stanno promuovendo incontri di catechesi, per offrire alla popolazione una migliore comprensione del ministero sacerdotale”. In tutte le chiese della Mongolia, inoltre, “si terrà una novena di preghiera in vista dell’ordinazione. Molti fedeli continuano a rivolgere pensieri e ad esprimere le loro aspettative al futuro sacerdote in forma scritta: scrivono lettere per fargli sapere che sono orgogliosi della sua vocazione e che confidano nella sua presenza e nella sua opera”. Il missionario conclude: “Ringraziamo Dio per questo dono e per questo entusiasmo e preghiamo che possa esserci una nuova effusione dello Spirito in questa terra”.

La Chiesa in Mongolia, giovane ma in crescita
Da ricordare che la Chiesa mongola è molto giovane: la sua presenza nel Paese risale infatti al 1992, quando furono stabiliti rapporti diplomatici fra la Santa Sede e la neo-nata Repubblica di Mongolia e venne aperta la missione di Ulaan Baatar, affidata ai missionari di Scheut, elevata nel 2002 a prefettura apostolica. L’opera di apostolato delle diverse congregazioni religiose presenti in Mongolia, apprezzata anche dalle autorità locali, ha dato i suoi frutti, come indica il lento, ma costante incremento dei convertiti al cattolicesimo in questo Paese buddista e l’interesse manifestato da un numero crescente di giovani fedeli per il sacerdozio e la vita consacrata. L’ordinazione sacerdotale di Joseph Enkh ne è la conferma.

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Indonesia. Chiesa: sì a festa nazionale per ricordare la Pancasila

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La Pancasila è “la piattaforma iconica della nazione che incoraggia l’unità degli indonesiani – nonostante le varie differenza di etnia, lingua, cultura, religione – e il valore dell’Indonesia come Paese. È con i Pancasila che tutti possono vivere in pace”. Con queste parole mons. Ignatius Suharyo Hardjoatmodjo, arcivescovo di Giakarta, ha accolto con favore la decisione del Governo indonesiano di rendere festa nazionale il primo giugno, anniversario della redazione dei “cinque pilastri” della Costituzione laica del Paese.

Rafforzare l’unità nazionale
La decisione – riporta l’agenzia Asianews - è stata annunciata mercoledì dal Presidente Joko Widodo. Già nelle  scorse settimane la Chiesa aveva lanciato una campagna speciale di preghiera fra tutti i fedeli indonesiani, volta a rafforzare l’unità nazionale. Il programma - che si chiama “Come applicare la Pancasila” - durerà per cinque anni. In tutte le parrocchie è stato distribuito e pregato il “rosario bianco e rosso”, in omaggio ai colori della bandiera.

I 5 "pilastri" della Costituzione
Il primo giugno migliaia di fedeli hanno partecipato alla Messa presieduta dall’arcivescovo nella cattedrale della capitale. Padre Harry Sulistyo, capo delle comunicazioni sociali dell’arcidiocesi, spiega che 65 parrocchie della circoscrizione hanno tenuto celebrazioni eucaristiche per pregare per l’unità nazionale. Parlando ai fedeli riuniti in Chiesa, mons. Suharyo ha spronato la comunità a ritornare alle ragioni storiche e filosofico-politiche che hanno portato alla nascita della nazione, il 17 agosto 1945, secondo i principi della Pancasila. Questi cinque pilastri sono: fede in un unico Dio; giustizia e civiltà umana; unità dell’Indonesia; democrazia guidata da saggezza; giustizia sociale. Essi sono stati inseriti come preambolo alla Costituzione e voluti con forza dal primo Presidente Sukarno.

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Senegal: a Popenguine, primo pellegrinaggio militare nazionale

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L’11 e 12 giugno Popenguine,  nell’arcidiocesi di Dakar, in Senegal, sarà meta del primo pellegrinaggio militare nazionale al quale prenderanno parte circa 2 mila persone tra militari e paramilitari senegalesi accompagnati dal cappellano, padre Alphonse Biram Ndour.  Il tema scelto, come riferisce il portale della Chiesa senegalese, è: “Forze della Difesa e della Sicurezza con Maria, siamo testimoni della misericordia, a servizio della nazione”. “Lo stiamo preparando da tre anni” ha spiegato padre Ndour.

Passaggio della Porta Santa
Il programma del pellegrinaggio al Santuario mariano prevede una veglia, durante la quale sarà tenuta una conferenza da mons. André Gueye, vescovo della diocesi di Thiès e presidente della Commissione episcopale per l’Apostolato dei Laici; il passaggio della Porta Santa della Basilica di Nostra Signora della Liberazione e una processione aux flambeaux. Il 12 giugno sarà celebrata una Messa solenne.

Popenguine, luogo di pellegrinaggio per eccellenza
Da ricordare che il Santuario mariano di Popenguine è meta, ogni anno, di un pellegrinaggio molto partecipato dai fedeli non solo senegalesi, ma provenienti anche dai Paesi confinanti. Si tratta di una tradizione che ha origini antiche. In origine, il pellegrinaggio mirava ad essere un segno di omaggio a Notre Dame de la Délivrance, particolarmente venerata a Caen, in Francia. Ma oggi, l’evento rappresenta anche un importante momento di dialogo interreligioso, poiché ad esso partecipano anche molti musulmani. (T.C.)

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Giappone. Un missionario: aiutare giovani a partecipare alla Gmg

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“Chiediamo un aiuto per i ragazzi che dal Giappone desiderano partecipare alla prossima Giornata mondiale della gioventù che si terrà a Cracovia alla fine di luglio”: è quanto scrive, in una missiva citata dall’agenzia Fides, il missionario italiano don Antonello Iapicca, che opera nella diocesi di Takamatsu, in Giappone. “Si tratta di un pellegrinaggio vocazionale, durante il quale ogni giovane potrà riflettere sulla chiamata del Signore, scrive il sacerdote. Catechesi, liturgia, missione, vita in comune con altri ragazzi, aiuteranno i giovani ad immergersi in un dialogo con il Signore, che darà frutto in ciascuno di loro.

La Gmg, passo decisivo per scoprire la propria vocazione
In tal modo, sottolinea don Iapicca nella sua lettera, i giovani nipponici “potranno fare silenzio nel loro cuore e scoprire se sono chiamati al sacerdozio, alla vita religiosa, al monastero o al matrimonio. Sarà un tempo in cui Cristo li prenderà per mano accompagnandoli a fondare più consapevolmente la propria vita in Lui. Sarà per tutti un passo decisivo, per diventare i cristiani che il Padre ha pensato da sempre”. I ragazzi che vogliono partecipare alla Gmg, spiega ancora il missionario, vivono in famiglie numerose, sono studenti e, pur impegnandosi a lavorare e ricevendo l’aiuto delle famiglie, “non riescono a pagare l’intera quota” richiesta per il viaggio in Polonia. In particolare, il biglietto aereo risulta essere molto costoso.

Incontrare Cristo apre alla speranza
La lettera di don Iapicca si conclude ricordando che “per un giovane non esistono soldi spesi meglio. Chi incontra un cristiano, a scuola, al lavoro, incontra Cristo, ed è sempre un incontro che apre alla speranza e alla salvezza. Quante situazioni difficili saranno affrontate in modo diverso grazie alla presenza e alla testimonianza di questi ragazzi! E questo passa attraverso la Giornata mondiale della gioventù ".

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 155

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.