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Sommario del 04/06/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Motu proprio del Papa: rimuovere vescovi negligenti su abusi a minori

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I vescovi che sono stati negligenti riguardo ad abusi sessuali compiuti su minori saranno rimossi dal loro incarico. E’ quanto sancisce il Motu proprio "Come una madre amorevole" di Papa Francesco che rafforza l’impegno della Chiesa a tutela dei minori. Il Pontefice stabilisce che, tra le “cause gravi” che il Diritto Canonico già prevede per la rimozione dall’ufficio ecclesiastico (di vescovi, eparchi o superiori maggiori), va compresa anche la negligenza rispetto ai casi di abusi sessuali. Nel testo, composto di 5 articoli, si prevede che – qualora gli indizi appaiano seri – la competente Congregazione della Curia può iniziare un’indagine che può concludersi con il decreto di rimozione. La decisione deve comunque sempre essere sottomessa all’approvazione del Pontefice. Il servizio di Alessandro Gisotti

Il “compito di protezione e di cura spetta alla Chiesa tutta, ma è specialmente attraverso i suoi Pastori che esso deve essere esercitato”. E’ quanto scrive Papa Francesco nel Motu Proprio "Come una madre amorevole" con il quale rafforza la protezione dei minori, sottolineando la responsabilità dei Vescovi diocesani - degli Eparchi così come dei Superiori Maggiori di Istituti Religiosi e delle Società di vita apostolica di diritto pontificio - ad “impiegare una particolare diligenza nel proteggere coloro che sono i più deboli tra le persone loro affidate”. Il Pontefice ricorda che il Diritto Canonico già prevede “la possibilità della rimozione dell’ufficio ecclesiastico per cause gravi”. Con il Motu Proprio, afferma il Papa, “intendo precisare” che tra tali cause rientra anche “la negligenza dei Vescovi” relativamente “ai casi di abusi sessuali compiuti su minori ed adulti vulnerabili” come previsto dal Motu Propro di San Giovanni Paolo II, Sacramentorum Sanctitatis Tutela, aggiornato da Benedetto XVI.

Vescovo può essere rimosso per "mancanza di diligenza grave" in caso di abusi su minori
Con il documento firmato da Francesco, si stabilisce fin dal primo dei 5 articoli che il vescovo diocesano (o l’eparca o colui che ha una responsabilità temporanea di una Chiesa particolare) può essere “legittimamente rimosso dal suo incarico, se abbia, per negligenza, posto od omesso atti che abbiano provocato un danno grave ad altri”, sia persone che comunità. Si specifica inoltre che questo danno può essere “fisico, morale, spirituale o patrimoniale”. Il vescovo (al quale sono equiparati i Superiori Maggiori), prosegue l’articolo 1, può essere rimosso solo se “abbia oggettivamente mancato in maniera molto grave alla diligenza che gli è richiesta dal suo ufficio pastorale, anche senza grave colpa morale da parte sua”. Tuttavia, in caso di abusi su minori, “è sufficiente che la mancanza di diligenza sia grave”.

La decisione finale va sempre approvata dal Papa, assistito da un Collegio di giuristi
Qualora gli indizi siano “seri”, prosegue l’articolo 2 del Motu Proprio, la competente Congregazione della Curia Romana (Vescovi, Evangelizzazione dei Popoli, Chiese Orientali, Istituti di Vita Consacrata e Società di Vita Apostolica) può “iniziare un’indagine in merito” dando notizia all’interessato che ha “la possibilità di difendersi” con i “mezzi previsti dal diritto”. In seguito agli argomenti presentati dal vescovo, la Congregazione può “decidere un’indagine supplementare”. Negli articoli 3, 4 e 5 il Motu Proprio norma dunque la procedura con la quale si decide l’eventuale rimozione dall’incarico. La Congregazione che assume tale decisione, in Sessione ordinaria, può stabilire se dare “nel più breve tempo possibile, il decreto di rimozione” o esortare il vescovo “a presentare la sua rinuncia in un termine di 15 giorni”, concluso il quale il Dicastero potrà “emettere il decreto”. Nell’ultimo articolo si stabilisce che la decisione finale dovrà essere “sottomessa all’approvazione specifica del Romano Pontefice” che, “prima di assumere una decisione definitiva si farà assistere da un apposito Collegio di giuristi”.

Padre Lombardi: negligenza non è delitto, per questo non è chiamata in causa la Dottrina della Fede
In una nota, il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha sottolineato che nella procedura a cui si riferisce il Motu Proprio "non è chiamata in causa la Congregazione per la Dottrina della Fede, perché non si tratta di delitti di abuso, ma di negligenza nell'ufficio". Non si tratta dunque di "procedimento penale", precisa padre Lombardi, perché non si tratta di un "delitto compiuto, ma di casi di negligenza". Trattandosi di decisioni importanti sui Vescovi, prosegue il portavoce vaticano, "l'approvazione specifica dipende dal Santo Padre". Questa non rappresenta una novità, mentre "lo è la costituzione di un apposito Collegio di giuristi che assisterà il Papa prima che assuma una decisione definitiva". Si può prevedere, conclude la nota di padre Lombardi, che tale Collegio "sia costituito da cardinali e vescovi".

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Francesco ai diaconi: non è grande chi comanda ma chi serve

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"Non è grande chi comanda, ma chi serve”: lo ha detto Papa Francesco alla Delegazione del Centro Internazionale del Diaconato, ricevuta oggi in occasione del suo cinquantesimo anniversario di fondazione. Francesca Sabatinelli

I diaconi manifestano il comandamento di Gesù: ‘Che vi amiate gli uni gli altri; come io ho amato voi’, affidato da Gesù, quale ultima volontà, ai suoi discepoli. E’ così che Francesco spiega che, nell’amarsi gli uni gli altri, “i discepoli continuano la missione per la quale il Figlio di Dio è venuto al mondo”. E’ questo un comandamento che “implica il servizio ai fratelli e alle sorelle”. Ed ecco il ruolo dei diaconi, ricevuto dagli Apostoli: “Prendersi concretamente cura delle persone con le loro necessità”:

“I diaconi manifestano in modo particolare il comandamento di Gesù: imitare Dio nel servizio degli altri, imitare Dio che è amore e si spinge persino a servirci. Il modo di agire di Dio, il suo agire con pazienza, benevolenza, compassione e disponibilità per renderci migliori, deve distinguere anche tutti i ministri: i Vescovi come successori degli Apostoli, i sacerdoti, loro collaboratori e – nel concreto ‘servire alle mense’ – i diaconi”.

Proprio i diaconi – conclude quindi il Papa – “sono volto della Chiesa nella vita quotidiana, di una comunità che vive e cammina in mezzo alla gente e dove non è grande chi comanda, ma chi serve”.

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Papa: opere missionarie senza passione evangelizzatrice sono una Ong

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Crescere in passione evangelizzatrice. Questo il mandato di Papa Francesco alle Pontificie Opere Missionarie, ricevendo in Sala Clementina i direttori nazionali di tali realtà, al termine della loro assemblea generale, e i collaboratori della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Ad accompagnarli, il prefetto del Dicastero vaticano, il cardinale Fernando Filoni. Il servizio di Giada Aquilino

La missione “fa la Chiesa” e la mantiene “fedele al volere salvifico di Dio”. Lo ha ricordato Papa Francesco, esortando i 170 tra responsabili delle Pontificie Opere Missionarie e collaboratori della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli alla “formazione” in tal senso. Perché “pur essendo importante” la preoccupazione per la raccolta e la distribuzione degli aiuti economici che “diligentemente” vengono amministrate “in favore di tante chiese e tanti cristiani bisognosi”, l’esortazione del Papa è stata a non limitarsi “soltanto” a questo aspetto:

“Ci vuole 'mistica'. Dobbiamo crescere in passione evangelizzatrice. Io ho paura – ve lo confesso – che la vostra opera rimanga molto organizzativa, perfettamente organizzativa, ma senza passione. Questo lo può fare anche una Ong; voi non siete una Ong! La vostra Unione senza passione non serve; senza 'mistica' non serve. E se dobbiamo sacrificare qualcosa, sacrifichiamo l’organizzazione, andiamo con la mistica dei Santi. Oggi, la vostra Unione missionaria ha bisogno si questo: mistica dei Santi e di Martiri”.

Questo, ha aggiunto, è un “generoso lavoro di formazione permanente alla missione”: non soltanto “un corso intellettuale”, ma un’“ondata di passione missionaria” e “di testimonianza martiriale”:

“Le Chiese di recente fondazione, aiutate da voi per la loro formazione missionaria permanente, potranno trasmettere alle Chiese di antica fondazione, a volte appesantite dalla loro storia e un po’ stanche, l’ardore della fede giovane, la testimonianza della speranza cristiana, sostenuta dal coraggio ammirabile del martirio. Vi incoraggio a servire con grande amore le Chiese che, grazie ai martiri, ci testimoniano come il Vangelo ci renda partecipi della vita di Dio, e lo fanno per attrazione e non per proselitismo”.

Ripercorrendo la fondazione, cent’anni fa, della Pontificia Unione Missionaria, il Papa ha sottolineato come essa si ispiri al beato Paolo Manna attraverso cui – ha sottolineato – “lo Spirito Santo ha condotto la Chiesa ad avere una sempre maggiore consapevolezza della propria natura missionaria”, poi maturata col Concilio Vaticano II. Il missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere, ha proseguito, agli inizi del ‘900 comprese che “formare ed educare al mistero della Chiesa e alla sua intrinseca vocazione missionaria è una finalità che riguarda tutto il santo Popolo di Dio, nella varietà degli stati di vita e dei ministeri”. Perché la missionarietà della Chiesa è “propria di tutti: fedeli e pastori, sposati e vergini consacrati, Chiesa universale e Chiese particolari”:

“Attuando tale servizio con la carità loro propria, i Pastori mantengono la Chiesa sempre ed ovunque in stato di missione, la quale è sempre in ultima analisi opera di Dio, ed è partecipata, grazie al Battesimo, alla Confermazione e all’Eucaristia, a tutti i credenti”.

In questo Anno Santo della Misericordia, è stato l’auspicio di Francesco, l’ardore missionario continui “a far ardere, appassionare, rinnovare, ripensare e riformare” il servizio che la Pontificia Unione Missionaria è chiamata ad offrire:

“La vostra unione non deve essere la stessa il prossimo anno come quest’anno, deve cambiare in questa direzione, deve convertirsi con questa passione missionaria”.

L’invito è stato a ripensarsi “nella docilità allo Spirito Santo”, in vista di una “adeguata riforma” delle sue modalità attuative - intesa come “conversione e riforma” - e di un autentico rinnovamento per il bene della formazione permanente alla missione di tutte le Chiese. Francesco ha infine invitato a pregare affinché anch’egli “non scivoli nella 'beata quiete'”, ma abbia “ardore missionario per andare avanti”. Esortazione sottolineata anche dal cardinale Fernando Filoni, nel suo intervento:

“Lo Spirito di Dio, che muove la Chiesa ovunque e verso tutti, continui nella sua opera ispiratrice, affinché le Pontificie Opere possano far crescere, in un clima di cooperazione con le Chiese locali, l’unica corresponsabilità di tutti alla missione”.

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Il Papa: società sia unita nella lotta contro la tratta di esseri umani

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Le vittime sperano che l’ingiustizia “non abbia l’ultima parola”. Così Papa Francesco si è rivolto agli oltre cento partecipanti, fra giudici e procuratori di diverse parti del mondo, riuniti presso la casina Pio IV, in Vaticano. Un Vertice importante, organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, che vuole aiutare a contrastare la criminalità organizzata e le forme di schiavitù che ne derivano: dalla tratta di esseri umani allo sfruttamento della prostituzione. Tante le personalità di rilievo che vi prendono parte. Francesco chiede che si crei “un moto trasversale” che abbracci l’intera società e che “i giudici assumano piena consapevolezza di tale sfida”. Il servizio di Debora Donnini: 

La Chiesa dà il suo contributo per combattere le nuove forme di schiavitù
La tratta delle persone, il narcotraffico, la prostituzione, il traffico di organi sono “veri e propri crimini contro l’umanità” e devono essere riconosciuti come tali e sanciti dalle leggi. Papa Francesco torna su temi a lui cari e si rivolge a giudici ed esperti, riuniti in Vaticano, sottolineando l’importanza di creare una rete fra loro e scambiare esperienze che possano permettere di combattere meglio queste nuove forme di schiavitù. "La Chiesa - afferma - è chiamata a impegnarsi per essere fedele alle persone, ancora di più se si considerano le situazioni dove si toccano le piaghe e le sofferenze più drammatiche". In questo senso - ha sottolineato - la Chiesa non deve ascoltare quell'adagio che vuole che non si "immischi" nella politica:

"La Iglesia debe meterse en la gran política porque - cito a Pablo VI...
La Chiesa deve immischiarsi nella 'grande politica'! Perché - cito Paolo VI - la politica è una delle forme più alte dell'amore, della carità".

La missione dei giudici: lottare contro i crimini liberi da pressioni
Francesco sottolinea l’insostituibile missione dei giudici nella società, in particolare di fronte alle sfide poste “dalla globalizzazione dell’indifferenza” e alla tendenza attuale a "liquefare" la figura del magistrato attraverso indebite pressioni:

"Hacerse cargo de la propia vocación quiere decir también sentirse y proclamarse libres... 
Farsi carico della propria vocazione significa anche sentirsi e proclamarsi liberi, procuratori e pubblici ministeri liberi: da cosa? Dalle pressioni dei governi, liberi dalle istituzioni private e, naturalmente, liberi dalle ‘strutture del peccato’ di cui parlava il mio predecessore San Giovanni Paolo II, in particolare - come strutture del peccato - liberi dalla criminalità organizzata. Io so che voi siete sottoposti a pressioni, sottoposti a minacce e tutto questo; e so anche che essere giudici oggi, essere procuratori e pubblici ministeri significa rischiare la propria vita!".

Per Papa Francesco, questo merita un riconoscimento al coraggio di quelli che vogliono andare avanti rimanendo liberi nell’esercizio delle proprie funzioni giuridiche. Senza questa libertà, il potere giudiziario di una nazione si corrompe e genera corruzione. "Tutti noi  - dice - conosciamo la caricatura di questi casi, no? La giustizia con gli occhi bendati: le cade la benda che le chiude la bocca…".

Contro la schiavitù moderna serve un moto trasversale
Il Papa si dice lieto che l’Onu abbia approvato all’unanimità “i nuovi obbiettivi dello sviluppo sostenibile e integrale”, in particolare la risoluzione 8.7 che chiede, appunto, di adottare misure efficaci per eliminare le “forme moderne di schiavitù”: dalla tratta all’uso dei bambini soldato, fino al lavoro infantile entro il 2025. Centrale per Francesco è che si crei “un moto trasversale” e “ondoso”, che abbracci l’intera società, dalle periferie al centro e viceversa. Per questo i giudici devono assumere consapevolezza di questa sfida e condividere le esperienze. Nella figura del giudice, infatti, “si riconosce la giustizia come il primo attributo della società”:

"Pido a los jueces que realicen su vocación y misión esencial: establecer la justicia ...
Chiedo ai giudici di realizzare la propria vocazione e missione essenziale, di stabilire la giustizia senza la quale non vi è ordine, né sviluppo sostenibile e integrale, né pace sociale".

Papa Francesco chiede, in particolare, di guardarsi dal cadere nella rete della corruzione, che indebolisce governi e attività giudiziaria.

Fare giustizia è riabilitazione delle vittime e reinserimento dei colpevoli
In questo discorso di Papa Francesco contro la tratta e i modi per combattere questi crimini, c’è anche spazio per esaminare cosa significhi “fare giustizia”, che non è la pena in se stessa:

"No hay pena válida sin esperanza... 
Non c’è pena valida, senza speranza. Una pena chiusa in se stessa, che non dà possibilità alla speranza è una tortura: non è una pena! Su questo mi baso anche per affermare seriamente la posizione della Chiesa contro la pena di morte".  

Bisogna comminare pene che siano per la rieducazione dei responsabili e cercare il loro reinserimento nella società. Se questo vale per loro, “tanto più – afferma – vale per le vittime” che sono passive e non attive nell’esercizio della loro libertà, “essendo cadute nella trappola dei nuovi cacciatori di schiavi”:

"Víctimas tantas veces traicionadas hasta en lo más íntimo y sagrado de su persona...
Vittime molte volte tradite nella parte più intima e sacra della persona, cioè nell’amore che esse aspirano a dare e a ricevere, e che le loro famiglie devono loro o che viene loro promesso da pretendenti o mariti, e che invece finiscono vendute sul mercato del lavoro forzato, della prostituzione o della vendita di organi".

Le vittime, dunque, devono essere reintegrate nella società e si deve perseguire una lotta serrata ai trafficanti:

"No vale el viejo adagio: son cosas que existen desde que el mundo es mundo...
Non vale il vecchio adagio: ‘Sono cose che esistono da che mondo è mondo’. Le vittime possono cambiare e di fatto sappiamo che cambiano vita con l’aiuto di buoni giudici, delle persone che le assistono e di tutta la società”.

Dare speranza perché l'ingiustizia non abbia l'ultima parola
La vittima deve trovare, poi, il coraggio di parlare “del suo essere vittima come di un passato che ha superato coraggiosamente”: ora è una persona con una dignità recuperata. “Voi siete chiamati a dare speranza”, dice ai giudici Papa Francesco. Le vittime, infatti, nutrono la speranza “che l’ingiustizia che attraversa questo mondo” non abbia “l’ultima parola”. Entrando, poi, nel concreto, Francesco chiede a giudici e procuratori di continuare la loro opera e rileva che può essere di giovamento applicare, secondo le modalità di ciascun Paese, “la prassi italiana di recuperare“ i beni dei criminali per offrirli per la riabilitazione delle vittime. “La riabilitazione delle vittime e il loro reinserimento nella società, sempre realmente possibile, dice Papa Francesco, è il bene maggiore che possiamo fare loro, alla comunità e alla pace sociale". Certo, il lavoro non termina con la sentenza ma soltanto dopo, preoccupandosi che ci sia un accompagnamento, una crescita, un reinserimento, una riabilitazione della vittima e del carnefice. 

Carceri dirette da donne
Sul tema del reinserimento, il Papa ha osservato, riportando una sua esperienza personale, che visitando le carceri ha notato come vadano meglio quelle che hanno una donna come direttore: “Questo non è femminismo” – ha spiegato – ma “la donna ha, riguardo al tema del reinserimento”, una sensibilità speciale.

Le Beatitudini
In conclusione, ai giudici Francesco ricorda le Beatitudini evangeliche quando si parla di “coloro che hanno fame e sete di giustizia” e “degli operatori di pace”: “Essi o esse – e qui è il caso di riferirci in particolare ai giudici – avranno la ricompensa più grande: possederanno la terra, saranno chiamati e saranno figli di Dio, vedranno Dio, e gioiranno eternamente con il Padre”.

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Papa approva Statuto del nuovo Dicastero per i laici, famiglia e vita

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Papa Francesco, su proposta del Consiglio dei Cardinali, ha approvato ad experimentum lo Statuto del nuovo Dicastero per i Laici, la famiglia e la vita nel quale confluiranno, dal primo settembre 2016, gli attuali Pontifici Consigli per i laici e la Famiglia. In quella data ambedue i Dicasteri cesseranno dalle loro funzioni e verranno soppressi, essendo abrogati gli articoli 131-134 e 139-141 della Costituzione apostolica Pastor bonus, del 28 giugno 1988.

Secondo lo Statuto, “il Dicastero è competente in quelle materie che sono di pertinenza della Sede Apostolica per la promozione della vita e dell’apostolato dei fedeli laici, per la cura pastorale della famiglia e della sua missione, secondo il disegno di Dio e per la tutela e il sostegno della vita umana”.

Il Dicastero è presieduto dal prefetto, coadiuvato da un segretario, che potrebbe essere laico, e da tre sotto-segretari laici, ed è dotato di un congruo numero di officiali, chierici e laici, scelti, per quanto è possibile, dalle diverse regioni del mondo. Sarà articolato in tre Sezioni: per i fedeli laici, per la famiglia e per la vita, presiedute ciascuna da un sotto-segretario. Avrà propri membri e disporrà di consultori. Il Dicastero segue in tutto le norme stabilite per la Curia Romana.

Spetta al Dicastero animare e incoraggiare la promozione della vocazione e della missione dei fedeli laici nella Chiesa e nel mondo, come singoli, coniugati o no, e come membri appartenenti ad associazioni, movimenti, comunità, con una particolare attenzione alla loro peculiare missione di animare e perfezionare l’ordine delle realtà temporali.

Alla luce del magistero pontificio, promuove la cura pastorale della famiglia, ne tutela la dignità e il bene basati sul sacramento del matrimonio, ne favorisce i diritti e la responsabilità nella Chiesa e nella società civile, affinché l’istituzione familiare possa sempre meglio assolvere le proprie funzioni sia nell’ambito ecclesiale che in quello sociale. Ha un diretto legame con il “Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su Matrimonio e Famiglia”, sia con la sede centrale che con gli istituti affiliati, per promuovere un comune indirizzo negli studi su matrimonio, famiglia e vita.

Sostiene e coordina iniziative in favore della procreazione responsabile, come pure per la tutela della vita umana dal suo concepimento fino al suo termine naturale, tenendo presenti i bisogni della persona nelle diverse fasi evolutive. Promuove e incoraggia le organizzazioni e associazioni che aiutano la donna e la famiglia ad accogliere e custodire il dono della vita, specialmente nel caso di gravidanze difficili, e a prevenire il ricorso all’aborto. Sostiene altresì programmi e iniziative volti ad aiutare le donne che avessero abortito. Sulla base della dottrina morale cattolica e del Magistero della Chiesa studia e promuove la formazione circa i principali problemi di biomedicina e di diritto relativi alla vita umana e circa le ideologie che vanno sviluppandosi inerenti la stessa vita umana e la realtà del genere umano.

La Pontificia Accademia per la Vita è connessa con questo Dicastero, il quale in merito alle problematiche e tematiche di cui all’art. 11 si avvale della sua competenza.

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Il Papa riceve la Sheikha Moza bint Nasser del Qatar

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Papa Francesco ha ricevuto in udienza privata in Vaticano la Sheikha Moza bint Nasser, presidente della Qatar Foundation for Education, Science and Community Development. La Sheikha Moza, riferisce padre Federico Lombardi, ha informato il Santo Padre sulla sua molteplice attività nel campo dello sviluppo educativo e sociale, a livello nazionale e internazionale, e sulla grave situazione delle scuole nelle diverse aree di conflitto, e ha ricevuto il suo incoraggiamento. Il dono offerto da Sua Altezza al Santo Padre, informa il direttore della Sala Stampa Vaticana, è stato un prezioso manoscritto in arabo dei Vangeli, riccamente decorato, composto di 123 pagine in calligrafia naskhi, prodotto nella Turchia Ottomana nel 18.mo secolo. A sua volta, il Papa le ha donato il medaglione dell’ulivo della pace e l’edizione in lingua araba della Sua enciclica Laudato si’.

Successivamente, presso la Segreteria di Stato, la Sheikha Moza ha incontrato mons. Giovanni Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, accompagnato da mons. Michael F. Crotty. Oggetto del colloquio è stata la situazione della comunità cattolica nel Qatar. Infine, nella cosiddetta “Manica di Raffaello” del Palazzo Apostolico, Sua Altezza ha presenziato alla firma di un Accordo (Memorandum of Understanding) fra la Biblioteca Apostolica Vaticana e la Qatar Foundation for Education, Science and Community Development per conto della Qatar National Library. L’Accordo è stato firmato, per la Qatar Foundation dal dottor Hamad Al Kuwari e per la Biblioteca Apostolica dal prefetto, Mons. Cesare Pasini. Fra gli 80 mila manoscritti della Biblioteca Vaticana fatti oggetto del progetto generale di digitalizzazione in corso dal 2010, la Biblioteca Vaticana conserva manoscritti concernenti la storia, la cultura, l’eredità e la scienza del Qatar, del Golfo e di altre regioni islamiche.

La Biblioteca Vaticana e la Qatar National Library, insieme alla Qatar Foundation, condividono il comune interesse di rendere i manoscritti accessibili a tutti in forma digitale per lo sviluppo della ricerca. E’ stato pertanto stabilito un Comitato che lavorerà per mettere a punto tutti gli aspetti dell’accordo concernenti conservazione, restauro, digitalizzazione, descrizione e accessibilità di un gruppo di manoscritti fra quelli riguardanti appunto la storia, la cultura, l’eredità e la scienza del Qatar, del Golfo e di altre regioni islamiche.

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Altre udienze e nomine di Papa Francesco

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Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza: il card. Marc Ouellet, P.S.S., prefetto della Congregazione per i Vescovi; il card. Stanisław Dziwisz, Arcivescovo di Cracovia (Polonia); la signora Mónica Jiménez de la Jara, Ambasciatore del Cile, in visita di congedo; il signor Bruno Nève de Mévergnies, Ambasciatore del Belgio in visita di congedo.

In Venezuela, Francesco ha nominato Vescovo di Punto Fijo il rev.do Carlos Alfredo Cabezas Mendoza, del clero della diocesi di Trujillo, finora Parroco della parrocchia Nuestra Señora del Carmen a Boconó.

Ad Haïti, il Papa ha nominato Vescovo Ausiliare dell’arcidiocesi di Port-au-Prince il rev.do P. Ducange Sylvain, S.D.B., assegnandogli la sede titolare vescovile di Nove.

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Canonizzazione di Stanislao di Gesù Maria e Elisabetta Hesselblad

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Papa Francesco presiede questa domenica alle 10.30 in Piazza San Pietro la Santa Messa per la Canonizzazione dei Beati Stanislao di Gesù Maria, Fondatore della Congregazione dei Chierici Mariani dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, e Maria Elisabetta Hesselblad, Fondatrice dell’Ordine del Santissimo Salvatore di Santa Brigida. Il servizio di Adriana Masotti

Maria Elisabetta Hesselblad, svedese, nacque il 4 giugno 1870 da famiglia luterana e fin da piccola sentì su di sé il peso della frattura tra le Chiese, cominciando a pregare per riuscire a trovare il “vero Ovile” di cui aveva letto nel Vangelo. A 18 anni emigrò negli Stati Uniti. A New York si dedicò come infermiera all’assistenza dei malati. In seguito approfondì la dottrina cattolica e ricevette il Battesimo. L’anno successivo, era il 1904, giunse a Roma e, visitando la casa dove Santa Brigida di Svezia aveva vissuto, comprese di doverne proseguire l’opera costituendo l’Ordine del Santissimo Salvatore di Santa Brigida. Il suo apostolato trovò ispirazione dalla preghiera di Gesù: “Ut omes unum sint” cioè “Che tutti siano uno”. Negli anni della seconda guerra mondiale, si adoperò per dare rifugio agli ebrei perseguitati e per assistere i più poveri. Morì a Roma il 24 aprile 1957. Fu proclamata Beata da San Giovanni Paolo II nel 2000. Ascoltiamo suor Maria Concetta, dell’Ordine del Santissimo Salvatore, al microfono di Federico Piana:

“L’unità è la nostra missione, è la nostra costante preghiera per questa intenzione che – possiamo dire – propone l’ansia ecumenica e missionaria, quello stesso spirito di Santa Brigida che lottò già in quell’epoca per l’unità del corpo mistico di Cristo, e oggi per l’unità di tutti i cristiani”.

Stanislao di Gesù Maria, al secolo Giovanni Papczyński, nacque il 18 maggio 1631 a Podegrodzie, nel sud della Polonia. Negli anni della scuola conobbe i padri Scolopi e a 23 anni entrò nel loro ordine. A 30 divenne sacerdote. Nove anni più tardi però sentì l’ispirazione di fondare un nuovo Istituto di Chierici mariani sotto il titolo della Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria. Sulle sue caratteristiche sentiamo padre Andzej Pakula, postulatore della causa di canonizzazione:

“Il carisma dell’Istituto era proprio il mistero dell’Immacolata Concezione, in cui ha trovato il cuore del cristianesimo, cioè la misericordia di Dio, il suo amore gratuito dato a Maria nella prospettiva della salvezza. Si deve ricordare che si era 200 anni prima del dogma e in quel tempo non era tanto chiaro questo privilegio riguardo alla Madonna, e così ha trasmesso questo carisma alla sua congregazione, che avrebbe dovuto essere attualizzato in modo pratico, apostolico tra la gente emarginata e povera, anche aggiungendo la preghiera per i defunti, specialmente per quelli non preparati alla morte”.

Padre Stanislao morì il 17 settembre 1701 nel convento di Góra Kalwaria, lasciando molti scritti di spiritualità. Benedetto XVI lo proclamò Beato nel 2007.

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Papa dona uno scooter elettrico a due anziani disabili di Roma

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Uno scooter elettrico per potersi muovere autonomamente: è questo il dono che Papa Francesco ha voluto inviare a due anziani disabili sostenuti e curati dall'associazione “Medicina Solidale” nel quartiere romano di Tor Bella Monaca. Lo scooter è stato consegnato questa mattina da mons. Konrad Krajewski, Elemosiniere del Pontefice.

Le difficoltà degli anziani
“Da tempo – riferisce una nota di Medicina Solidale - i due coniugi erano costretti a vivere relegati nella loro abitazione perché diabetici e ipertesi. Alla donna recentemente era stata amputata una gamba”. Medicina Solidale stava per fare partire una campagna di solidarietà per raccogliere fondi a favore della coppia e per risolvere il loro problema degli spostamenti, ma “il Papa ha anticipato tutti e ha esaudito il desiderio di questa coppia romana”.

“Mai soli grazie al Papa”
"Il Pontefice - spiega Lucia Ercoli, direttore di Medicina Solidale - non finisce mai di stupirci grazie anche alla vicinanza di mons. Konrad e dopo le medicine, gli alimenti, l'ambulanza, ora ci ha fatto arrivare questo speciale scooter ". “In questo modo – aggiunge la dott.ssa Ercoli – ci sentiamo meno soli nel nostro lavoro quotidiano, abbandonati dalle istituzioni, ma con il Papa vicino e sempre presente”. (A cura di Isabella Piro)

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Tweet Papa: ascoltiamo il grido delle vittime e di coloro che soffrono

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"Ascoltiamo il grido delle vittime e di coloro che soffrono, nessuna famiglia senza casa, nessun bambino senza infanzia". E' il tweet pubblicato da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex in 9 lingue.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Responsabilità del vescovo: il motu proprio del Papa “Come una madre amorevole”.

Crimini di lesa umanità: il Papa al vertice di giudici e magistrati impegnati contro la tratta, il traffico di persone e le nuove forme di schiavitù.

Per attrazione, non per proselitismo: alle Pontificie opere missionarie Francesco ribadisce che si evangelizza con la testimonianza.

Ampi stralci dal libro di Lucetta Scaraffia “Dall’ultimo banco. La Chiesa, le donne, il sinodo” e la recensione del priore di Bose, Enzo Bianchi.

Marco Bellizi sul voto in Italia e lo spettro dell’astensione.

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Oggi in Primo Piano



Naufragio a Creta: salvi 350 immigrati, centinaia i dispersi

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Nuovo dramma davanti alle coste greche. Ieri circa 350 persone sono state salvate, ma secondo l'Oim, l'Organizzazione internazionale per le migrazioni, sulla barca che si è rovesciata, a largo dell’isola di Creta, erano in 700. In arrivo in Sicilia la nave con i sopravvissuti, mentre al Brennero Pax Christi ribadisce il"no" alla chiusura della frontiera italo-austriaca. Massimiliano Menichetti: 

Un dramma senza fine quello di chi cerca di scappare da guerra e distruzione e trova la morte nel Mediterraneo. Ieri un barcone si è capovolto a largo dell’isola greca di Creta. La “carretta del mare” ha iniziato ad affondare in acque internazionali a 75 miglia a sud del porto di Kalo Limeni, per i media locali, stava tentando di far rotta verso l'Italia. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni a bordo erano in 700. Circa 350 sono stati salvati, degli altri non si sa più nulla. Uomini, donne e bambini inghiottiti dalle onde, mentre l’Europa alza muri e continua a parlare di hotspot e di come salvare vite. 117 invece i corpi recuperati su spiagge dell'ovest della Libia, erano tutti “africani”, potrebbero essere i migranti che erano a bordo di un altro barcone trovato vuoto giovedì e capovoltosi forse il giorno prima. Un migrante invece è stato trovato morto nelle acque del fiume Tysa, al confine fra Serbia e Ungheria. Con tutta probabilità, in questo caso, si tratta del componente di un gruppo di persone che due giorni fa cercava di passare illegalmente in Ungheria e soccorso dalle guardie di frontiera. E oggi iniziativa di Pax Christi al Brennero dal titolo "Ponti e non muri" per dire "no" alla chiusura della frontiera italo-austriaca. Chiudere questo passaggio ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel sarebbe "la distruzione dell'Europa". 

In questo scenario Amnesty International ha denunciato l'assoluta povertà, i diritti violati e l'integrazione negata dei profughi in Turchia ed ha chiesto all'Ue di “interrompere immediatamente i piani di rinvio dei richiedenti asilo sulla base - scrive in un rapporto - della falsa pretesa” che vadano in “un Paese sicuro”. Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia: 

R. – La Turchia è il Paese che ospita più richiedenti asilo e rifugiati al mondo – oltre 3 milioni – ed è semplicemente inimmaginabile che possa accoglierne altri a seguito dell’accordo tra Unione Europea e Ankara del 18 marzo. Le persone attendono anche anni prima che la loro domanda sia esaminata; nel frattempo non ottengono alcun supporto dalle autorità e questo spiega anche la diffusione del lavoro minorile tra i bambini rifugiati. Quello che preoccupa ancora di più è che la Turchia non è un Paese sicuro soprattutto perché rinvia i richiedenti asilo in zone di guerra: abbiamo denunciato più volte la prassi da parte delle autorità di Ankara di rimandare centinaia, se non migliaia, di richiedenti asilo siriani e decine di afghani nei luoghi di origine. Per questo Amnesty International chiede che l’accordo sia immediatamente sospeso, proprio perché non ha alcun crisma di legalità.

D. – Si sospende e poi con quale soluzione?

R. – La soluzione è sempre la stessa: resettlement, corridoi umanitari, percorsi legali e sicuri. Occorre che le persone che hanno necessità e titolo alla protezione internazionale - soprattutto i più vulnerabili - cessino di stare in una situazione assolutamente precaria e invivibile all’interno dei campi, quei pochi che ci sono in Turchia, ma soprattutto sotto i ponti, in mezzo ai parchi, vivendo di nulla, se non del lavoro dei loro figli. Queste persone devono essere portate in Europa e redistribuite secondo un criterio di condivisione delle responsabilità tra tutti i 28 Stati membri.

D. – Intanto, però, nel Mediterraneo si continua a morire... si parla di hotspot, di sicurezza; si alzano muri; si va in tante direzioni, ma l’impressione è che non si arrivi ad una soluzione efficace…

R. – Sono tutti palliativi, alcuni dei quali violano completamente i diritti umani. L’idea che si respinga, che si paghi un Paese che si trova di fronte, dall’altra parte del mare, per trattenere o riprendersi i richiedenti asilo è un’idea di cortissimo respiro, cinica, irresponsabile. Oggi quello che succede è che - avendo affidato completamente la sorte di centinaia di migliaia di persone alla criminalità organizzata che si trova in Turchia, che si trova in Egitto, che si trova in Libia e che si trova altrove – c’è una lotteria: se c’è una nave da quelle parti, qualcuno viene salvato; se non c’è, si muore, perché le imbarcazioni sono completamente inadatte… Politicamente può anche conseguire qualche successo questa idea, perché si dà la sensazione che si soccorre tanti e qualcuno muore… Ma fino a quando non ci saranno questi corridoi umanitari, questi percorsi legali e sicuri e questa redistribuzione, si continuerà a morire... E piangere, gridando all’emergenza quando è qualcosa che accade da un quarto di secolo, è veramente stucchevole!

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Iraq: 600 mila civili tornati a casa nelle zone riconquistate all'Is

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Secondo l’Onu sono 600 mila i civili che in Iraq sono ritornati nelle loro case, in zone tolte al controllo delle milizie del sedicente Stato islamico, anche se le fonti e le informazioni dal Paese risultano frammentarie. Un segnale di normalità che però rischia di essere oscurato dal presunto attacco da parte dei combattenti di Daesh ad un giacimento petrolifero di Ajil, a 40 chilometri da Tikrit. La notizia arriva da una fonte delle forze di sicurezza irachene. Sulla strategia adottata dalle truppe del sedicente Stato islamico, Valentina Onori ha intervistato il giornalista e inviato di guerra del quotidiano 'La Stampa', Domenico Quirico

R. – In questi giorni arrivano dalle “terre del Califfato” - chiamiamole così - delle notizie abbastanza contraddittorie. Ogni giorno sembra che l’offensiva contro la parte siriana e la parte irachena del Califfato sia ormai arrivata alla fase finale; il giorno dopo scopriamo, invece, che le truppe non riescono a riprendere la città e hanno conquistato magari un villaggio. C’è una quantità enorme di disinformazione a causa del diffondersi di queste guerre cosiddette "del fanatismo". Sono diventate terre vietate agli occidentali e anche ovviamente agli occidentali che le dovrebbero raccontare. Occorre un’estrema prudenza. Il dato certo è che gli uomini del Califfato occupano ancora - da due anni - due luoghi centrali di quella parte del mondo, che sono Raqqa in Siria e Mosul in Iraq. Allora fino a quando non ci sarà la prova evidente che sono stati espulsi da questi due luoghi, è inutile fare dei ragionamenti se il Califfato sia in ritirata o se sia stazionario, perché non ci sono gli elementi sufficienti per dire queste cose con un minimo di credibilità. Il Califfato al momento sta cercando di mantenere le sue posizioni. La constatazione che si può fare, ed è una constatazione purtroppo negativa, è che il Califfato - quando decide che il prezzo da pagare per mantenere una certa postazione, una certa città e un certo luogo è troppo elevato rispetto ai vantaggi che potrebbe trarne - cerca di portare il maggior danno all’avversario e quindi si ritira. La ritirata è l’operazione militare più complicata che ci sia: se riescono a farla in ordine – come sono riusciti a farla, ad esempio, a Palmira – vuol dire che hanno una capacità militare assai elevata. In altri luoghi, invece, decide di combattere – facciamo l’esempio di Falluja – perché ritiene che quell’obiettivo sia militarmente o simbolicamente importante. Questo dimostra che il Califfato non è una banda di dilettanti della guerra, ma dispone di forze militari tecnicamente competenti e di una strategia complessiva che viene disegnata con grande attenzione rispetto ai vari luoghi in cui la battaglia si dipana. E questo ne dimostra la straordinaria pericolosità, al di là invece dei racconti 'scalcagnati' che ne vengono fatti. Gruppi di giovani che vanno lì perché gli è stato fatto il lavaggio del cervello: sono dei combattenti professionali, che si battono per uno scopo terribile – la costruzione di uno stato totalitario – ma che hanno una capacità di nuocere e di difendersi estremamente elevata. Ciò dimostra che questa non è una guerricciola contro una banda di assassini, ma è una guerra complessa, che richiederà tempo, sforzi e – ahimè – molto vittime.

D. – E rispetto alla Siria, la situazione in Iraq com’è?

R. – Apparentemente più semplice, perché a battersi contro le forze del Califfato ci sono le forze sciite e i curdi. Ma il territorio del Califfato – a parte il centro che controllano direttamente, Raqqa, Mosul – è qualche cosa che non è misurabile. La eliminazione del Califfato dalle zone che controlla da due anni è qualcosa che richiederà un'enorme quantità di tempo e che non necessariamente significherà – purtroppo – la fine di questa vicenda terribile.

D. – Quindi non si tratta di un esercito che apre più fronti e che non è in grado di fronteggiare una milizia regolare?

R. – E’ in grado di combattere vari tipi di guerre: una guerra tradizionale, in cu si batte fronte contro fronte, contro un altro esercito; può combattere la guerriglia, cioè disperdersi nel territorio, colpire alle spalle; può combattere una guerra tradizionalmente di tipo terroristico - autobombe, attentati kamikaze - che serve per disorientare l’avversario e intimorirlo,  in funzione tattica per sfondare e aprire le linee avversarie perché, non avendo spesso una artiglieria pesante e particolarmente forte, utilizzano i kamikaze per aprirsi la strada e poi arrivare con le forze tradizionali. E’ in questa loro duttilità la loro forza.

D. – La tattica dell’esercito del sedicente Stato islamico qual è?

R. – Quella di tenere il territorio il più possibile. Lo scopo è quello di mantenere il Califfato: il Califfato è il loro riferimento strategico e controllano il quotidiano di 6-7-8 milioni di persone.

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Sahara occidentale: negoziati ancora in fase di stallo

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E’ prevista per oggi, presso i campi profughi saharawi in Algeria, la sepoltura di Mohamed Abdelaziz, leader del Polisario (Fronte di liberazione del Sahara occidentale) e presidente dell’autoproclamata Repubblica saharawi, nella regione già colonia spagnola annessa unilateralmente nel 1975 dal Marocco. Abdelaziz, originario di Marrakech, si è spento lo scorso 31 maggio in un ospedale algerino dopo una lunga malattia. Da molti osservatori era considerato una “colomba” per aver scelto la strada della diplomazia e della non violenza con l’obiettivo di arrivare il prima possibile al referendum di autodeterminazione voluto dall’Onu. Proprio l’intervento delle Nazioni Unite, nel 1991, aveva portato al cessate il fuoco tra le parti. Sulle possibilità di un nuovo impulso alla soluzione negoziale del contenzioso del Sahara occidentale, Elvira Ragosta ha intervistato Luigi Serra, già titolare della cattedra di Lingua e letteratura berbera e preside della facoltà di Studi arabo-islamici e del Mediterraneo presso l’Università Orientale di Napoli: 

R. – È possibile ma è difficile essere certi di questo risultato. È possibile perché Abdelaziz, tutto sommato, ha intrattenuto fin dal 1972, e poi ancor più a partire dal 1982, contatti pacifici, tanto da meritare l’appellativo di “colomba”. Le perplessità, la non certezza del successo e del completamento positivo del percorso avviato da Abdelaziz si connettono all’oramai stato generale di vita politica, sociale ed economica, alterata dalle incursioni di Boko Haram e da altre manifestazioni nefaste in tutto il Maghreb.

D. – A che punto sono i negoziati?

R. – I negoziati bilaterali sono ad un punto di stallo, in effetti. Da un parte e dall’altra, e più frequentemente da parte di Abdelaziz, prima che venisse a mancare, c’erano segnali di collaborazione e attestazioni di volontà di risolvere il problema. Dall’altra parte, vi erano rassicurazioni di voler dare l’autonomia al Fronte Polisario. Tuttavia, nessun passo si è fatto verso la realizzazione di quel noto referendum di autodeterminazione voluto dall’Onu, ma che l’Onu stessa dal 1991 ad oggi non è riuscita a far andare in porto. C’è da augurarsi che, proprio a fronte della scomparsa di Abdelaziz e del ruolo che assume Khatri Addouh, l’attuale presidente del Consiglio nazionale, in questo susseguirsi di tragedie in tutto il Nord Africa – dalla Libia al Mali al Niger ecc. – si possano trovare la volontà politica e il coraggio di dare una svolta a questo passaggio nodale, che è il referendum.

D. – Il 29 aprile scorso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha prorogato di un anno la missione di pace nel Sahara occidentale: com’è la situazione al momento?

R. – Sul fronte algerino, del Polisario e marocchino, c’è una situazione di indubbia stasi, quasi di consolidamento delle relazioni non violente che, interrottesi per volontà bilaterale, soprattutto da parte di Abdelaziz all’epoca e poi accettate dal Marocco, si sono instaurate fino ad oggi. Il rischio grave è che la contaminazione di violenza da parte delle forze che affliggono il Nord Africa, da Aqmi a Boko Haram, fino ad altre situazioni che oramai notoriamente si conoscono come drammatiche, e in aggiunta un fenomeno importantissimo che potrebbe essere alimentatore di colpi di coda – alludo alla distinzione oramai tra ruolo puramente religioso di Ennahda in Tunisia e la scelta di una laicità di atteggiamento sul fronte politico – possano compromettere l’intero assetto. Questa è la preoccupazione che più ci interessa rilevare.

D. – Che previsioni si possono fare sulla soluzione pacifica del contenzioso sul Sahara occidentale?

R. – Le previsioni, stante oramai il ventennio di non belligeranza praticata, considerato per un verso la presa di distanza dal punto di vista dell’alimentazione dei contrasti da parte dell’Algeria, che ha sostenuto – come sappiamo – il Polisario fin dal suo sorgere, e stante per altro verso la drammaticità della situazione geopolitica in Libia, destinata a non sanare in termini temporali brevi la dicotomia tra governo di occidente a Tripoli e l’altro a Tobruk, si prevede che ne possa derivare un incoraggiamento a potenziare gli sforzi, affinché almeno tra Saharawi e Marocco si trovi una risoluzione del problema. E ciò se non altro per non ancorare questo stesso problema alle vicende dell’Azawad berbero che in Mali e in Niger sta percorrendo una rotta di instabilità quasi permanente.

 

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Corleone, mons. Pennisi: non si può transigere sull'inchino

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E’ arrivata in Procura a Palermo un’informativa sul presunto inchino, a Corleone domenica scorsa, durante una processione della Confraternita di San Giovanni Evangelista, davanti alla casa della moglie di Totò Riina, Ninetta Bagarella, cugina di uno dei membri della Confraternita. Anche il vescovo di Monreale mons. Michele Pennisi, ha nominato una commissione d’inchiesta. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato: 

R. – Io sono stato avvisato, domenica, intorno alle 22.00, che c’era stata, non un inchino, ma una sosta nella via dove abitava la moglie di Totò Riina. Durante questa processione a San Giovanni Evangelista ci sarebbe stata una fermata. Alle 23.00 ho rintracciato il parroco, al quale ho chiesto una relazione ben dettagliata, che mi ha mandato l’indomani. Egli ha affermato che il tragitto processionale è stato quello tradizionale, che è stato comunicato a tempo debito alla Polizia e ai Carabinieri. C’è stata una sosta non concordata precedentemente, ma non c’è stato alcun inchino del simulacro. Questo me lo hanno confermato anche i Carabinieri. L’indomani - il 1° giugno - ho nominato una commissione di indagine, costituita dall’assistente diocesano delle Confraternite e dal presidente diocesano della Federazione delle Confraternite, che sta ora facendo le sue indagini. Appena la Commissione concluderà le indagini, io deciderò: se ci sono state eventuali responsabilità o viene commissariata la Confraternita oppure saranno sanzionati quei confratelli che non si sono comportati secondo le regole che noi abbiamo. Fra l’altro io ho fatto un decreto, già due anni fa, in cui dicevo che uno che fa parte di associazioni mafiose non può far parte di Confraternite e questo perché c’è una incompatibilità fra il seguire Cristo e il Vangelo e il seguire associazioni o famiglie mafiose. Vorrei che venisse applicata in tutta la diocesi l’esperienza che abbiamo fatto qui a Monreale, dove ormai da due anni durante la Processione col Crocifisso non c’è alcun problema e questo perché è stato concordato con le Forze dell’Ordine non solo il percorso, ma sono state anche stabilite in anticipo le soste, così da non dar adito ad alcun equivoco. Avevamo già programmato per il prossimo 2 luglio, e lo faremo nella zona montana, a Cave di Cusa, Trapani, un convegno su “Confraternite e legalità”. Noi stiamo vigilando su questo. Vogliamo, da una parte, che non ci sia alcuna strumentalizzazione, dall’altra però dobbiamo essere vigili, perché nelle Confraternite non si insinuino persone che possono dare il sospetto di omaggiare qualche personaggio mafioso.

D. – Le risulta che la Procura abbia disposto degli accertamenti e abbia aperto un’inchiesta?

R. – A quanto mi risulta, le Forze dell’Odine hanno fatto un’inchiesta che hanno poi trasmesso alla Procura antimafia di Palermo. Io ho chiesto anche se ci fossero stati dei video, ma le Forze dell’Ordine mi hanno detto che non sono in possesso di alcun video, questo è quello che mi è stato detto e adesso non so se ce ne sia qualcuno amatoriale, io stesso vorrei rendermi conto, se ci fosse qualche video, di come si siano svolti effettivamente i fatti.

D. – Possiamo dire che, comunque sia andata, è stata una ingenuità quella di far passare la processione proprio in quella strada…

R. – Mi è stato detto che questa strada è una strada in cui tradizionalmente passano delle processioni. Però il parroco mi dice che, dal prossimo anno, questa processione, e io ritengo anche le altre, non passerà da questa strada e si troverà un percorso alternativo.

D. – Il sindaco di Corleone, Leoluchina Savona, ha smentito categoricamente che davanti a casa Riina ci sia stato un inchino, definendo questa notizia “la solita strumentalizzazione” fatta su Corleone, a danno di una popolazione che negli anni ha fatto un grande cammino di legalità…

R. – Si è indignata anche perché c’è una indagine del Ministero dell’Interno per l’eventuale scioglimento del Consiglio Comunale, quindi il sindaco e qualche altro paventano che ci sia stata una strumentalizzazione politica in questo senso. Però questa è una cosa che deve essere accertata dalle Forze dell’Ordine. Per quanto riguarda la Chiesa, io affermo che le Confraternite devono essere dei luoghi di legalità e che non si può consentire, nel modo più assoluto, che si possano fare delle fermate davanti a personaggi legati alla mafia. In questi anni si è fatto un lavoro con le scuole, con le parrocchie. Ogni volta che faccio le cresime, e non solo a Corleone ma in tutta la diocesi, dico sempre che bisogna avere la libertà dei figli di Dio, senza sottomettersi ad alcun poter mafioso, e dico anche che c’è una distinzione fondamentale fra il padrino cristiano, che deve accompagnare nel percorso di fede il cresimato, e il padrino mafioso, che ha invece tutt’altre caratteristiche, che si impegna cioè a proteggere, ad aiutare e a fare carriera, più o meno criminale, al proprio figlioccio. Questa distinzione deve essere netta!

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La morte di Cassius Clay, campione e leggenda dello sport

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Si è spento a Phoenix Cassius Clay–Muhammad Alì, leggenda del pugilato. 74 anni, era affetto dal morbo di Parkinson. Fu un grande sportivo e incise profondamente sulla società americana. Rifiutò di andare a combattere in Vietnam, rinunciando al titolo mondiale e affrontando il carcere. Il 4 giugno del 1982 incontrò in Vaticano Giovanni Paolo II. Tremante per la malattia, accese la fiaccola olimpica alle Olimpiadi di Atlanta nel 1996. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con il giornalista sportivo Italo Cucci

R. – Per una persona che ama lo sport è stato praticamente il compagno di una vita; dalle Olimpiadi del 1960 a ieri e con un’intensità di atleta e di uomo tutta particolare. Il personaggio con le sue prese di posizione in ambito politico, direi storico, è finito per essere quasi più importante dello sportivo, perché in fondo, tra i pugili, era semplicemente il più grande in assoluto che fosse mai apparso sulla scena.

D. – Il suo rifiuto di imbracciare le ami per la guerra in Vietnam gli costò in sostanza il titolo che poi riconquistò …

R. – Rappresentava quelli che erano i tormenti della giovinezza di quegli anni. Tanti ragazzi dicevano, anche cantando, quale fosse il loro atteggiamento nei confronti della guerra. Resta dunque un personaggio indimenticabile non solo per i ko spettacolari, per la sua lingua lunga che colpiva moltissimo la fantasia degli spettatori; resta nella storia del mondo contemporaneo per essere stato anche un combattente della pace, questa forse è la cosa più importante che, a suo tempo, gli procurò solamente guai e che oggi gli lascia un ricordo perpetuo.

D. - Due nomi, quasi due vite, un simbolo della pace e un riferimento assoluto per il mondo dello sport …

R. - Diciamo che c’è questa singolare frattura dei due personaggi: finisce Cassius Clay e comincia Muhammad Alì, questo fa epoca come atteggiamento a volte frainteso da tanti. Poi abbiamo visto che anche nella sua attività religiosa, chiamiamola politica religiosa di musulmano, è rimasto un moderato. Una persona che soprattutto chiedeva che ci fosse pace. Nessun altro nello sport ha raggiunto con tanto sacrificio le vette di Muhammad Alì; tanti bravissimi, tanti campioni, ma lui è riuscito ad esserlo in un ambito allargato, totale, globale. Ed è per questo – credo – che tutti abbiamo seguito con passione gli ultimi minuti della sua vita appena ci è giunta la notizia che forse era arrivato alla fine.

D. – Qual è il suo ricordo personale? Che cosa la lega a Cassius Clay?

R. - Un ricordo personale è legato ad un momento incredibile: la sconfitta con Frazier, perché sembrò crollare il mondo. Non era possibile che potesse perdere con quel giovanotto che pochi giorni dopo ho ricevuto nella redazione di Stadio a Bologna, il quale diceva commosso che non sapeva come fosse successo che il grande Muhammad Alì fosse caduto ai suoi piedi. È stata quella l’unica sconfitta che ricordo e l’unico momento particolare di un uomo che era abituato a vincere sul ring, sulle scene, nella vita quotidiana, con una battuta, un sorriso, un atteggiamento magari guascone che poi era tutto legato a quei suoi “tre round e poi la storia è finita”, che esibiva come marchio di fabbrica.

D. - Possiamo dire che Cassius Clay-Muhammad Alì sia un grane campione, non solo che lo sia stato?

R. – Sì, per il bene che il mondo gli sta dimostrando. Ho visto le rassegne stampa di mezzo mondo. C’è una passione incredibile! Non credevo ci fosse tanta memoria nei confronti di questo atleta, i cui ultimi anni con una decadenza fisica visibile, poteva forse esser uscito del tutto di scena. Invece no. E’ anche un momento affettuoso quello che gli hanno dedicato in tutto il mondo quando si è appreso della sua morte. Diverso da quello che è stato nella vita: diciamo che in vita ha esibito la gloria sconfinata del suo essere, dei suoi atteggiamenti; negli ultimi minuti è diventato, forse, un vecchio fratello di tutti: tutti piangono un vecchio fratello che se ne è andato.

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Il commento di don Gianvito Sanfilippo al Vangelo della Domenica

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Nella decima domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù, giunto a Nain, venne portato alla tomba di un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova. Vedendola, fu preso da grande compassione e le disse:

«Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. 

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo presbitero della diocesi di Roma: 

“Non piangere!” è l’esortazione che Gesù rivolge alla madre, rimasta vedova, dinnanzi al corpo esanime del suo unico figlio. Egli s’indirizza con le stesse parole anche a noi, talvolta afflitti da simili eventi e affranti dal peso della sofferenza. Spesso, infatti, persone a noi molto care partono da questa vita attraverso la soglia della morte lasciandoci in un doloroso lutto, a volte in circostanze tragiche. Oppure “giacciono” davanti ai nostri occhi prigionieri dell’incredulità e dell’egoismo privi di quella vita nuova che, mediante la fede, riversa nei cuori pace, perdono e vera gioia. Non di rado noi stessi sperimentiamo la contraddizione dei nostri peccati che contristano lo Spirito Santo e ci privano dell’amore rendendoci soli ed insoddisfatti. In tali circostanze satana ci spinge facilmente alla disperazione, al disprezzo di noi stessi e dell’esistenza umana, nascondendo, ai nostri occhi, la potenza della risurrezione di Cristo. Ma il Signore, sempre al nostro fianco, prende l’iniziativa per consolarci, Egli ci assicura che tutto concorre al bene e annuncia, mediante la Chiesa, la vita eterna, offrendoci nella misericordia la possibilità di rivivere. Egli ammaestra ogni uomo e sa ricondurre, lentamente, anche le pecore più smarrite al sicuro riparo, come fece con Saulo, che da persecutore dei cristiani divenne San Paolo, suo apostolo, fedele fino alla morte.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi francesi pregano per le vittime delle inondazioni

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“Preghiamo per i feriti e le vittime delle inondazioni”: la Conferenza episcopale francese, attraverso una nota di mons. Jean-Yves Nahmias, vescovo di Meaux, esprime la sua solidarietà e vicinanza con le persone colpite dalle inondazioni della Senna che in questi giorni stanno flagellando la Francia. “Migliaia di abitanti sono stati evacuati, ospitati da parenti o nelle palestre. Altre migliaia vivono in condizioni precarie, senza acqua potabile, né elettricità”.

Vicinanza alle vittime e gratitudine ai soccorritori
“Ci vorranno tempo, coraggio e molta energia per guarire le ferite di un avvenimento simile e tornare ad una vita normale”, scrive il presule. Il suo pensiero va, poi, “a tutti coloro che hanno subito delle perdite, in particolare i commercianti, gli industriali, gli agricoltori e coloro che, al momento, sono tecnicamente disoccupati”. Quindi, mons. Nahmias esprime la sua riconoscenza a tutti i soccorritori, così come alle istituzioni ed ai volontari che “dedicano il loro tempo, le loro forze e le loro energie ad aiutare i bisognosi”.

Preghiera e solidarietà
Infine, l’appello del presule è a pregare, durante le Messe di questa domenica, per tutte le vittime delle inondazioni ed a mostrare loro solidarietà: “Secondo le possibilità ed i mezzi che ciascuno ha a disposizione – conclude il vescovo di Meaux – chiedo una vera vicinanza e grande solidarietà verso tutte le persone colpite dalle inondazioni”.

Lievi miglioramenti
Intanto, la situazione sembra migliorare: il livello della Senna ha cominciato a calare ed alle 8.00 di stamani il fiume è sceso a 6,6 metri all'altezza della stazione di Austerlitz. Ieri l'acqua aveva raggiunto livelli mai visti negli ultimi 35 anni, tanto che i grandi musei della capitale francese, tra i quali il Louvre, erano corsi al riparo mettendo in sicurezza le opere che si trovano normalmente al piano terra, e la stazione della metro di Cluny/La Sorbonne, nei pressi dell’Università, era stata chiusa. Nel Paese si contano già tre vittime, ma il bilancio potrebbe rivelarsi più grave quando le acque si ritireranno. (I.P.)

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Vescovi Canada: no a suicidio assistito, dignità umana non ha scadenza

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In Canada, è ormai alle battute finali il dibattito parlamentare sulla C-14, la nuova controversa legge presentata dal Governo di Ottawa sul suicidio assistito. Il 31 maggio,  il testo ha superato la terza e ultima lettura alla Camera dei Comuni con una maggioranza di 186 voti contro 137 ed è stato inviato al Senato che avrà tempo fino al 6 giugno per l’approvazione finale. 

La scadenza del 6 giugno
Se questo non avverrà, resterà in piedi la sentenza della Corte Suprema che nel 2015 ha dichiarato incostituzionale la normativa finora in vigore, che vieta la possibilità di ricorrere al suicidio medicalmente assistito, ed ha lasciato un anno di tempo all’Esecutivo per modificarla. Venendo incontro alle indicazioni della Corte, il provvedimento legalizza il cosiddetto “aiuto medico a morire” per tutti gli adulti che si trovano in “uno stato avanzato di declino irreversibile delle loro capacità” e per i quali la morte è “ragionevolmente prevedibile”, anche senza un pronostico preciso.

I ripetuti interventi dei vescovi contro la legalizzazione dei suicidio assistito
La Conferenza episcopale canadese (Cccb-Cecc), unita ad altre Chiese, è intervenuta a più riprese in questi mesi per esprimere la sua ferma contrarietà alla C-14, definita “un’erosione della solidarietà tra gli uomini ed un pericolo per tutte le persone vulnerabili, in particolare gli anziani, i disabili, gli infermi ed i malati che spesso vengono isolati ed emarginati”. Inoltre, i vescovi hanno messo in guardia dalla “violazione del dovere sacrosanto del personale sanitario alla cura del malato e della responsabilità dei legislatori e dei cittadini di fornire e garantire la protezione a tutti, specialmente a coloro che sono più a rischio”. Concetti ribaditi il 3 maggio a un’audizione alla Commissione giustizia e diritti della Camera dei Comuni.

Il rischio banalizzare il suicidio assistito
E un nuovo pressante monito contro l’eutanasia e il suicidio assistito è stato lanciato in questi giorni dal card. Gérard Cyprien Lacroix, e primate della Chiesa canadese. In una lettera aperta ai media intitolata “L’aiuto a morire: non c’è una scadenza per la dignità umana”  arcivescovo di Québec mette in guardia sulla pericolosità di concedere l’autorizzazione a procurare la morte a un’altra persona, “anche quando questa avviene con il suo consenso” e sul rischio di banalizzazione del ricorso al suicidio assistito: “Con il tempo la rarità del gesto rischia di cedere il passo all’abitudine e sarebbe un triste progresso”, afferma.

La Chiesa non vuole esaltare la sofferenza
Nella missiva il card. Lacroix si rivolge innanzitutto a tutte quelle persone affette da malattie terminali o da gravi handicap che saranno interessate dalla nuova legge, per ricordare che esse conservano la loro dignità umana in tutte le circostanze e hanno diritto ad essere accompagnate e assistite con cure appropriate fino alla morte. Dopo avere ribadito l’intenzione della Chiesa non è di “valorizzare la sofferenza”, il primate canadese richiama il diritto all’obiezione di coscienza dei tanti operatori del settore sanitario contrari all’eutanasia, la cui dedizione per alleviare le sofferenze fisiche e psichiche dei loro assistiti è stata offuscata dall’attuale dibattito. Infine, il card. Lacroix evidenzia come la nuova normativa federale rischia di favorire un’interpretazione estensiva della legge sull’eutanasia introdotta cinque mesi fa in Québec, incoraggiando la diffusione del suicidio assistito. (a cura di Lisa Zengarini)

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Paraguay. Giornata migranti: appello vescovi alla misericordia

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“I migranti ci chiamano alla misericordia”: questo il tema con il quale la Chiesa del Paraguay celebra, in questi giorni, la 25.ma “Settimana del migrante e del rifugiato”. L’iniziativa si concluderà domenica 5 giugno, con la “Giornata nazionale del migrante”, che prevede una Messa solenne nella Cattedrale di Nostra Signora dei Miracoli di Caacupé, Patrona del Paese.

Vivere la solidarietà nei confronti di migranti e rifugiati
La domanda che sta al cuore dell’avvenimento, spiega una nota della Conferenza episcopale paraguaiana (Cep) citata dall’agenzia Fides, è una sola: “Perché migrano i nostri fratelli?”. A 25 anni dalla prima edizione della Settimana, celebrata nel 1991, “la domanda continua a sussistere e la risposta è sempre: per necessità”. Per questo, celebrare la Settimana e la Giornata del migrante significa “vivere la solidarietà e l’impegno nei confronti dei fratelli stranieri che vivono in Paraguay”, così come di tutti i paraguaiani che abitano in altre parti del mondo, i rifugiati ed i connazionali che migrano “di città in città”.

Chiesa sia accogliente e misericordiosa verso i bisognosi
“In questo Anno Santo della misericordia – conclude la Cep – siamo invitati da Papa Francesco ad essere misericordiosi come Chiesa di origine, di transito, di destinazione e di accoglienza, di chi parte come di chi arriva, e soprattutto di quanti necessitano di incontrare nel loro cammino il volto misericordioso di Cristo”.

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Polonia e Svezia si preparano a festeggiare due nuovi Santi

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“Padre Stanislaw Papczynski ripeteva sempre che, desiderosi della misericordia di Dio, la dobbiamo testimoniare sempre nei confronti dell’altro”: è quanto scrivono i vescovi polacchi nella Lettera pastorale diffusa in vista della canonizzazione del Beato proveniente dalla Polonia. La cerimonia si terrà domenica 5 giugno in Piazza San Pietro e sarà presieduta da Papa Francesco.

Padre Papczynski: accogliere la Divina misericordia
Tale cerimonia, proseguono i presuli citati dall’agenzia Sir, costituisce “l’invito ad accogliere nuovamente la Divina misericordia ed a rinnovare la grazie ricevuta nel battesimo, rispondendo all’amore gratuito di Dio con il nostro amore verso di Lui e la misericordia nei confronti dei vivi e dei defunti”. Vissuto a metà del XVII secolo, padre Stanislaw Paczynski si dedicò, in particolare, al culto dell’Immacolata Concezione, ben 150 anni prima della proclamazione del relativo dogma, tanto che nel 1673 fondò il primo ordine religioso dei Padri Mariani in Polonia.

Vivere il Vangelo nella quotidianità
Nel 2011 è stato riconosciuto, dal Parlamento polacco, “esempio di cittadino il cui operato fu mosso dal profondo amore per la propria patria”. I vescovi di Varsavia, quindi, sottolineano che “Dio risveglia incessantemente dei nuovi testimoni che, in un dato luogo e in un tempo definito, aiutano gli uomini ad accogliere il Vangelo e viverlo nella quotidianità”. Con la canonizzazione di simili testimoni, concludono i presuli polacchi, “la Chiesa proclama che i nuovi Santi siano degli autentici esempi di vita e intercessori davanti a Dio”.

Delegazione ecumenica svedese per Elizabeth Hasselblad
Ma la Polonia non è il solo Paese in festa per il nuovo Santo. Domenica 5 giugno, infatti, Papa Francesco canonizzerà anche la Beata Elizabeth Hasselblad, di origini svedesi. Per l’occasione, in Piazza San Pietro sarà presente anche una delegazione ecumenica proveniente dalla Svezia. “La diocesi cattolica di Stoccolma sta organizzando un pellegrinaggio a Roma con circa 250 pellegrini provenienti da tutta la Svezia”, si legge sul sito del Consiglio delle Chiese svedesi citato dall’agenzia Sir.  “Il gruppo comprende anche ospiti ecumenici del Consiglio tra cui il segretario generale Karin Wiborn”.

Diretta tv della cerimonia
La messa presieduta da Papa Francesco sarà trasmessa anche in diretta su SVT2, secondo canale della televisione di Stato. Nella delegazione ci saranno un gruppo di parenti della santa e rappresentanti del Comune di Herrljunga, dove la futura santa Hasselblad è nata il 4 giugno 1870 in una numerosa famiglia luterana. Emigrata a 18 anni negli Stati Uniti, lavorò come infermiera per i più deboli di New York. Nel 1902 si convertì al cattolicesimo e l’anno successivo si trasferì a Roma. Nel 1911 fondò l’ordine Ss. Salvatoris S. Brigidae, ramo dell’ordine voluto da santa Brigida nel 1300.

“Giusto tra le Nazioni”
Durante la seconda guerra mondiale Elizabeth Hasselblad nascose molti ebrei nel monastero in piazza Farnese, meritandosi poi il titolo di “Giusto tra le Nazioni” da parte dello Stato di Israele. Elizabeth Hasselblad è morta a Roma il 24 aprile 1957. “Che una persona svedese sia canonizzata è fatto molto raro”, si legge sul comunicato del Consiglio delle Chiese. L’ultima volta risale al 1391, quando santa Brigida fu canonizzata da Papa Bonifacio IX.

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Mauritius: Consiglio delle religioni condanna fondamentalismo

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Il Consiglio delle Religioni delle Mauritius ha condannato l’attacco, avvenuto lunedì scorso a Port-Louis, contro l’ambasciata di Francia, perpetrato con colpi di armi da fuoco e scritte minatorie firmate ‘Stato Islamico’. Presi di mira la sede della rappresentanza diplomatica francese e il Saint-George Hotel. “È un attacco non soltanto contro i francesi che vivono nelle Mauritius e contro la Repubblica Francese, ma anche contro la persona umana, senza distinzione di nazionalità, di professione, di religione” si legge nel comunicato del Consiglio delle Religioni - pubblicato sul portale della diocesi di Port-Louis - che condanna anche qualsiasi forma di estremismo e di fondamentalismo.

Dialogo interreligioso, elemento fondamentale nella realtà sociale
Nel testo, l’organismo interreligioso ribadisce quanto importante sia il dialogo in una realtà come quelle delle Mauritius per costruire il futuro del Paese.“Crediamo che tutte le religioni a Mauritius abbiano un ruolo fondamentale - scrive il Consiglio delle Religioni – e che facciano tutto il possibile per promuovere il progresso spirituale e morale dell’uomo ed il miglioramento della qualità della vita per tutti”. “In questo momento – conclude il comunicato - ci uniamo a tutte le persone di buona volontà per rafforzare il nostro vivere insieme in armonia. Non risparmieremo sforzi, risorse e tempo per farlo”. (T.C.)

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Mons. Dal Covolo: portare “Amoris Laetitia” anche nelle scuole

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“La scuola accolga l’invito straordinario che il Papa ci ha rivolto con forza in Amoris Laetitia di educare all’amore”. E’ quanto affermato dal rettore della Pontificia Università Lateranense, mons. Enrico dal Covolo, intervenuto in questi giorni, al Liceo Bisazza di Messina al convegno “La Misericordia, volto di Dio”. All'evento hanno preso parte, tra gli altri, il preside dell’Istituto teologico San Tommaso, Giuseppe Cassaro e mons. Eugenio Foti, corrispondente della Pontificia Accademia Mariana. Mons. Dal Cavolo, riecheggiando il filosofo Edgar Morin, ha sottolineato che la scuola deve insegnare a vivere e ad amare e, in tale prospettiva, ha affermato che l’Esortazione post-sinodale sulla Famiglia di Papa Francesco può essere un ottimo testo anche per un’educazione sessuale che sia centrata nella persona. Si tratta, ha concluso il rettore dell’ateneo pontificio, di una sfida educativa complessa, ma tremendamente affascinante. (A.G.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 156

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.