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Sommario del 06/06/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: le Beatitudini sono il navigatore della vita cristiana

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Seguire e vivere le Beatitudini, che come “navigatori” indicano ai cristiani il giusto itinerario della vita. È l’invito che Papa Francesco ha rivolto durante l’omelia della Messa del mattino celebrata in Casa S. Marta. Il Papa ha invitato, al contrario, a non scivolare lungo i tre gradini dell’“anti-legge” cristiana, l’idolatria delle ricchezze, della vanità e dell’egoismo. Il servizio di Alessandro De Carolis

Per non perdersi, lungo la strada della fede, i cristiani hanno un preciso indicatore di direzione: le Beatitudini. Ignorarne le rotte che propone può voler dire scivolare lungo i “tre gradini” degli idoli dell’egoismo, l’idolatria dei soldi, la vanità, la sazietà di un cuore che ride di soddisfazione propria ignorando gli altri.

“I navigatori della vita cristiana”
Il Papa trae una serie di riflessioni dalla pagina del Vangelo di Matteo, che mostra Gesù ammaestrare le folle con il celebre Discorso della montagna. “Insegnava – ribadisce Francesco – la nuova legge, che non cancella l’antica” ma la “perfeziona”, portandola “alla sua pienezza”:

“Questa è la legge nuova, questa che noi chiamiamo “le Beatitudini”. E’ la nuova legge del Signore per noi. Sono la guida di rotta, di itinerario, sono i navigatori della vita cristiana. Proprio qui vediamo, su questa strada, secondo le indicazioni di questo navigatore, possiamo andare avanti nella nostra vita cristiana”.

I tre scalini della perdizione
Francesco prosegue l’omelia completando, per così dire, il testo di Matteo con le considerazioni che l’evangelista Luca mette alla fine dell’analogo racconto delle Beatitudini, cioè – come li chiama – l’elenco dei “quattro guai”: guai ai ricchi, ai sazi, a quelli che ridono, a quelli dei quali tutti dicono bene. Il Papa ricorda in particolare di aver detto “tante volte” che “le ricchezze sono buone”, mentre “quello che fa male” è “l’attaccamento alle ricchezze”, che diventa così “un’idolatria”. E chiosa:

“Questa è l’anti-legge, è il navigatore sbagliato. E’ curioso: questi sono i tre scalini che portano alla perdizione, così come queste Beatitudini sono gli scalini che portano avanti nella vita. E questi tre scalini che portano alla perdizione sono l’attaccamento alle ricchezze, perché non ho bisogno di nulla. La vanità, che tutti dicano bene di me: tutti parlano bene, mi sento importante, troppo incenso… e io credo di essere giusto – non come quello, come quello… Pensiamo alla parabola del fariseo e il pubblicano: ‘Ti ringrazio perché non sono come questo…’. ‘Ma grazie, Signore, che sono tanto un buon cattolico, non come il vicino, la vicina…’. Tutti i giorni succede questo… Secondo la vanità e, terzo, l’orgoglio che è la sazietà, le risate che chiudono il cuore”.

La chiave? La mitezza
Tra tutte le Beatitudini, Francesco ne seleziona una che, afferma, “non dico sia la chiave” di tutte, “ma ci fa pensare tanto”: “Beati i miti”. la mitezza:

“Ma, Gesù dice di se stesso: ‘Imparate da me che sono mite di cuore’, che sono umile e mite di cuore. La mitezza è un modo di essere che ci avvicina tanto a Gesù. Invece, l’atteggiamento contrario sempre procura le inimicizie, le guerre … tante cose, tante cose brutte che succedono. Ma la mitezza, la mitezza di cuore che non è sciocchezza, no: è un’altra cosa. E’ la profondità nel capire la grandezza di Dio, e adorazione”.

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Papa Francesco, riunioni con il C9 fino a mercoledì

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È iniziata questa mattina, alla presenza di Papa Francesco, la 15.ma riunione del Consiglio dei Nove Cardinali (C9), impegnati nella riforma della Curia Romana. La riunione del C9 durerà fino a mercoledì prossimo.

Si ricorda che i precedenti Incontri del Consiglio hanno avuto luogo nei giorni 1-3 ottobre 2013, 3-5 dicembre 2013, 17-19 febbraio 2014, 27-30 aprile 2014, 1-4 luglio 2014, 15-17 settembre 2014, 9-11 dicembre 2014, 9-11 febbraio 2015, 13-15 marzo 2015, 8-10 giugno 2015 e 14-16 settembre, 10-12 dicembre 2015, 8-9 febbraio 2016, 11-13 aprile 2016.

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Dziwisz: Francesco nella terra di Wojtyla, sarà la Gmg della misericordia

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Mancano meno di due mesi alla Gmg di Cracovia, a cui prenderà parte Papa Francesco. Grande attesa in tutto il mondo, dunque, per la Giornata Mondiale della Gioventù nella terra di San Giovanni Paolo II che è stato proprio l'ideatore delle Gmg. Alessandro Gisotti ne ha parlato con il cardinale arcivescovo di Cracovia, Stanislao Dziwisz, segretario particolare di Karol Wojtyla. Il porporato inizia la sua riflessione soffermandosi sulla figura del nuovo Santo polacco Stanislao di Gesù Maria, canonizzato ieri da Papa Francesco: 

R. – Il nuovo Santo Stanislao ha dovuto aspettare tanti secoli per diventare Santo! Ma è interessante come sia rimasta la sua memoria, così come il messaggio che ha lasciato anche attraverso la Congregazione che ha fondato dei Padri Mariani. Un uomo della preghiera, della penitenza. E ora torna questo nuovo Santo con il suo messaggio, in particolare, di pregare per i morti in Purgatorio: si è dimenticata questa usanza… Lui ha curato molto la preghiera per i morti e qui era la sua misericordia.

D. – Sabato l’udienza con Papa Francesco. Ovviamente siamo ormai vicini – mancano meno di due mesi - alla Giornata Mondiale della Gioventù. C’è tanta attesa da parte del Papa di venire in Polonia a incontrare i giovani di tutto il mondo, nella terra di Karol Wojtyla…

R. – Ho avuto questa gioia e questo dono di essere ricevuto dal Santo Padre. Volevo ancora una volta ribadire l’invito a Cracovia, in Polonia, e anche dargli le ultime notizie relative allo svolgimento della preparazione. Gli ho detto che c’è grande entusiasmo e questo non solamente in Polonia – e questo certo si capisce – ma in tutto il mondo: ci sono gruppi provenienti da 194 Paesi; e anche tanti vescovi, sono già 930! Certamente desiderano venire a Cracovia per incontrare il Santo Padre, ma penso anche che vogliono venire qui proprio in questo Anno della Misericordia, perché Cracovia è la capitale della Divina Misericordia. Lì Gesù Cristo ha dato messaggi per tutto il mondo: li ha dati a Suor Faustina, ma cosa poteva fare lei da sola? E allora è venuto anche un altro apostolo, Giovanni Paolo II, che ha portato questo messaggio, questo fuoco sulla devozione della Divina Misericordia a tutto il mondo; e adesso anche il Santo Padre Francesco, con lo stesso tema, quello della misericordia. Penso che i giovani riceveranno questo messaggio che porteranno poi in tutto il mondo e questi saranno i frutti di questa giornata, il messaggio della misericordia. Suor Faustina dice: “Se volete pace, dovete rivolgervi alla Divina Misericordia”.

D. – Giovanni Paolo II è il "Santo dei giovani", è l’ideatore, il fondatore della Giornata Mondiale della Gioventù e Papa Francesco è amatissimo dai giovani: queste due figure straordinarie si ritroveranno insieme in questa Giornata Mondiale della Gioventù…

R. – Certamente si vede una continuità: Giovanni Paolo II ha cominciato, ha seguito poi Benedetto XVI e adesso Papa Francesco. Giovanni Paolo II ha visto che i giovani cercano, domandano: bisogna dare loro risposte, bisogna guidarli. I giovani hanno bisogno di un buon pastore, di buoni pastori. E qui si realizza questo.

D. – Giovanni  Paolo II sarà presente in questa Gmg, dal cielo, forse in un modo davvero nuovo rispetto alle Gmg che lui stesso ha voluto e che sono nate dal suo cuore…

R. – Tanta gente si rivolge a Dio tramite Giovanni Paolo II e vediamo tante grazie e anche miracoli. Quando qualcuno gli chiedeva di pregare, mai lo dimenticava! Spesso diceva: “Scrivetemelo e mettete in Cappella”. Qualche volta si dice “Pregherò” e poi magari si dimentica… Lui mai! Mai! Penso che anche adesso se qualcuno tramite lui chiede a Dio, lui è fedele.

D. – Cracovia, la diocesi, i fedeli, i giovani tutti, sono in grande fermento per questo grande evento?

R. – Certamente! In Polonia c’è grande interesse. Ma io vedo che c’è in tutto il mondo. Penso agli italiani in modo speciale: ce ne sono tanti, tanti previsti… E poi la novità dei francesi: si sono molto "svegliati"; ma anche i tedeschi. La preparazione è a buon punto. L’unica cosa: dobbiamo pregare affinché il tempo sia buono!

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Mons. Hon Tai-Fai nominato amministratore apostolico a Guam

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Papa Francesco ha nominato mons. Savio Hon Tai-Fai, salesiano, amministratore  apostolico “sede plena” dell’arcidiocesi di Agaña, sull’Isola di Guam.

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Papa, tweet: le comunità trasmettano i propri valori

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Abbiamo bisogno di scoprire le ricchezze di ognuno: che le comunità trasmettano i propri valori e accolgano le esperienze altrui”.

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Il card. Sandri in Turchia dal 10 al 12 giugno

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Sarà In Turchia per due giorni, dal 10 al 12 giugno prossimi il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali. Il porporato raggiungerà Istanbul per presiedere la consacrazione episcopale di mons. Ruben Tierrablanca Gonzalez, francescano minore, vicario apostolico di Istanbul e amministratore apostolico dell’Esarcato per i fedeli bizantini.

Il programma – infoma una nota ufficiale – prevede la partecipazione alla Divina Liturgia al Phanar, su invito del Patriarca ortodosso ecumenico, Bartolomeo I, nella mattina di sabato 11 giugno, festa onomastica del Patriarca. Nel pomeriggio, presso la cattedrale catina, la Celebrazione Eucaristica con l’ordinazione di mons. Tierrablanca. Co-consacranti saranno mons. Lorenzo Piretto, arcivescovo metropolita di Izmir, e mons. Paolo Bizzeti, vicario apostolico di Anatolia.

Domenica 12 giugno, prosegue il comunicato, il card. Sandri presiederà la Santa Messa presso la Residenza “Ma Maison”, gestita dalle Piccole Sorelle dei Poveri, per gli anziani ospiti della struttura, ai quali si unirà un gruppo di giovani rifugiati siriani ed iracheni, normalmente assistiti dai Salesiani di Istanbul. Al termine, il porporato pranzerà con tutti gli Ordinari cattolici di Turchia. Nel viaggio, il Cardinale Prefetto sarà accompagnato da mons. Angelo Accattino, Incaricato d’Affari ad interim della nunziatura apostolica in Turchia, e sarà ospite della sede locale della Rappresentanza pontificia, che fu la residenza del delegato apostolico Angelo Giuseppe Roncalli, poi papa San Giovanni XXIII.

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Don Di Noto: su abusi, Francesco dà segnale di chiarezza

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Ha suscitato e suscita molta attenzione il recente Motu proprio col quale di Papa Francesco ha stabilito che i vescovi negligenti riguardo ad abusi sessuali compiuti su minori dal clero saranno rimossi dal loro incarico. Una scelta che mostra il volto materno della Chiesa, commenta don Fortunato Di Noto, da anni in prima linea contro la pedofilia, al microfono di Luca Collodi

R. – Questo è un segnale importante, un segnale forte, un segnale che va al di là della burocratizzazione dell’abuso. Qui stiamo parlando di comportamenti morali: cosa vale di più, il diritto o la morale? Allora è un segnale chiaro, molto forte: una Chiesa amorevole, una Chiesa che accoglie, una Chiesa che protegge e quindi i pastori, gli ordinari che sono nelle varie diocesi non possono fare altro che i pastori. Dobbiamo smetterla di salvaguardare l’istituzione e magari penalizzare le persone che hanno subito abusi da parte di sacerdoti o da parte di religiosi o da parte anche – io aggiungerei – di catechisti. Certo, sono responsabilità personali, per carità di Dio, non è che qui stiamo dicendo che la struttura abbia responsabilità, ma ha responsabilità nella misura in cui però favoreggia, nasconde, sottovaluta. Ecco, io credo che oggi con il Motu proprio, con questa nuova aggiunta che già era presente nel Diritto canonico riguardo agli abusi che possono compiere i pastori, credo che questo dia un’aggiunta in più in una lotta chiara, determinata. Ci sono state diocesi che hanno venduto tutto per risarcire i danni... Capisco la manipolazione, capisco le eventuali possibili questioni legate al business di alcuni avvocati o vittime, però stiamo parlando sempre di vittime.

D. – Nella difesa dell’infanzia, c’è anche l’importanza di una formazione del clero e delle comunità cristiane …

R. – Quello è fondamentale. Io mi appellerò sempre al buon senso. Non ci può essere una diocesi che non attui nella pastorale ordinaria anche percorsi di formazione attraverso le commissioni famiglia, attraverso le commissioni che si occupano della vita umana, della bioetica… Oggi i sacerdoti, come anche i religiosi ma come anche i fedeli cristiani, hanno bisogno di chiarezza, hanno bisogno di capire come poter agire affinché non avvengano gli abusi. Il problema della formazione è di fondamentale importanza. Mi rendo conto che quando vado nei seminari, quando vado in alcune diocesi, quando alcune diocesi ci invitano a fare dei corsi di formazione o anche un convegno, questo mostra una sensibilità dei vescovi, da una parte, e non soltanto dei vescovi. Ma dall’altra parte è un aiuto, una luce, un’illuminazione, a significare che andiamo a fare non la caccia alle streghe, ma a dare forza e coraggio a chi si occupa di bambini.

D. – Il quadro della pedofilia non riguarda solo la Chiesa ma tutta la società; un fenomeno purtroppo ancora in aumento?

R. – Io parto da un solo dato: questa mattina abbiamo denunciato diversi video nei quali sono coinvolti – ahimé, in una maniera tragica – neonati: neonati! Cioè, stiamo dicendo che vengono abusati neonati. Oggi, proprio stamattina... Ma non uno: decine di situazioni legate a questi abusi. Il problema dell’abuso è un problema veramente globale e complesso; è un problema che deve entrare nelle agende politiche, è un problema che deve far sì che il mondo, gli uomini di buona volontà inizino a pensare sul serio che non è soltanto lo scivolone di qualcuno, ma qui ci sono anche organizzazioni pedocriminali che sfruttano l’innocenza, che sfruttano i corpi, che vendono le fotografie, che videano e vendono, attraverso circuiti economici online, questo materiale! E’ un fenomeno globale: milioni e milioni di bambini coinvolti nel mondo, si parla di circa 10 milioni di bambini coinvolti nel mercato della pedopornografia o coinvolti nell’abuso sessuale pedofilico…

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Oggi in Primo Piano



Iraq: Falluja assediata. I jihadisti sparano sui civili

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In Iraq continua l’assedio dell’esercito di Baghdad alla città di Falluja, da due anni roccaforte del cosiddetto 'Califfato'. I jihadisti cercano di fronteggiare l’avanzata utilizzando i 50 mila residenti come scudi umani e sparando a coloro che lasciano il centro abitato. Vicino Falluja, inoltre, è stata rinvenuta una fossa comune con circa 400 corpi. Il sedicente Stato islamico (Is) potrebbe essere battuto anche in Libia, stando alle dichiarazioni del governo di unità nazionale. Sugli sviluppi della situazione, Giancarlo La Vella ha intervistato Luciano Bozzo, docente di Studi Strategici e Relazioni Internazionali all’Università di Firenze: 

R. – In questo momento l’Is sta un po’ pagando le ambizioni passate. Il fatto di essersi presentato come organizzazione che, oltre alle attività terroristiche, porta avanti l’obiettivo della creazione di uno pseudo Stato e quindi del controllo del territorio: ciò implica dei costi sia dal punto di vista economico – finanziario, sia dal punto di vista umano, in termini di reclutamento degli uomini da inviare sul campo di battaglia per presidiare il terreno, che un’organizzazione di quel genere, probabilmente nel lungo periodo, potrà difficilmente sostenere. Non credo però che la battaglia sia vinta; credo che occorrerà ancora tempo sia per conquistare Falluja, sia per eliminare l’Is da altre aree che in questo momento sono controllate. Però, indubbiamente, la debolezza c’è e peserà. Una volta battuto in campo aperto, nulla vieta che l'Is entri in un mondo sommerso, quello appunto più tradizionale e tipico delle organizzazioni terroristiche jihadiste.

D. - Come a dire che battere l’Is sul terreno vorrà poi dire ampliare le difese contro il terrorismo, che potrebbe colpire al di fuori delle zone di guerra…

R. - Certamente. Già in passato è stato dimostrato come, alle difficoltà incontrate sul campo, lo stesso Is risponda in maniera asimmetrica, quindi non semplicemente con controffensive condotte in maniera tradizionale, ma utilizzando lo strumento del terrorismo, ovvero colpendo i propri avversari o comunque colpendo componenti civili in Europa in particolare, al fine di rispondere su un piano diverso a una situazione di difficoltà.

D. – Dal punto di vista militare cosa è venuto a mancare allo Stato islamico?

R. - Lo Stato islamico si trova nella necessità di difendere territori, di difendere città – è il caso di Falluja, domani potrebbe essere il caso di Mosul e di Raqqa, quindi della cosiddetta capitale autoproclamata dello Stato islamico – e per questo occorrono i mezzi, le risorse umane. Inoltre fronteggiare forze regolari ben addestrate e magari altrettanto motivate può essere un grosso problema anche per l’Is. Le difficoltà derivano anche dal fatto che gli americani si sono impegnati in maniera più decisa, non soltanto con i bombardamenti aerei, ma anche con consiglieri e addestratori sul campo e, per quello che riguarda nello specifico Falluja, non bisogna trascurare l’intervento delle forze iraniane. Questa tra l’altro è anche la questione più delicata al momento, perché Falluja è una città sunnita. Avere degli sciiti che combattono contro i sunniti – perché poi l’Is è l’ennesima versione della resistenza sunnita nei confronti del potere sciita in Iraq – evidentemente configura una situazione che in futuro rimarrà instabile.

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Migranti. Vegliò: manca una politica europea unitaria

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Bloccare i migranti su isole come Ellis Island. Questa la proposta del ministro degli esteri austriaco Sebastian Kurz, aggiungendo che “chi arriva illegalmente in Europa dovrebbe perdere il diritto di chiedere asilo”. “Non è un esempio da seguire per l'Unione Europea. La politica sull'asilo è in linea con il principio di non respingimento e questo non cambierà": la risposta del portavoce della Commissione Ue per gli Affari interni. Le dichiarazioni arrivano alla vigilia di una settimana importante. Bruxelles punta a raccogliere 60 miliardi di euro di investimenti e ad affrontare le cause all'origine delle migrazioni. Lo anticipa il Financial Times. Il piano della Commissione è atteso per domani. Valentina Onori ha intervistato il card. Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio Pastorale per i migranti e gli Itineranti. 

R. – L’Austria vuole imitare l’idea degli Stati Uniti o dell’Australia che applicano questa politica che non trovo molto rispettosa nei confronti dell’essere umano. Io capisco che ogni Paese vuole difendersi da questo arrivo – che loro chiamano “invasione” – però mi sembra che si nega alla persona il diritto di emigrare. Queste persone lasciano il proprio Paese correndo pericoli di vita o di morte e si ritrovano prigionieri in un’isola o addirittura su una nave come alcuni hanno suggerito. Non mi sembra molto rispettoso verso queste persone. Non é umano. Mi suscita molte perplessità, però il fondo di tutto è che l’Europa non ha una politica; l’Europa è fatta di 550milioni di abitanti: cosa vuole che sia un milione di migranti su 550milioni? Fa paura pensare ad un milione, no? Se tutta l’Europa avesse una politica unitaria con una certa apertura, questi migranti che vengono non sarebbero molti.

D. - Oggi inizia una settimana in cui l’Unione Europea parlerà del problema migranti per superare la logica dell’emergenza. Pensa che siano giuste le politiche di sostegno nei Paesi di origine?

R. - Se noi aiutiamo questi Paesi, non spingiamo i loro abitanti ad abbandonarli per trovare lavoro, perché potrebbero trovarlo in casa. Non sono contenti di lasciare il proprio Paese, i propri amici, mettendo a rischio la propria vita; lo fanno o perché ci sono guerre – e allora questo è un altro capitolo – o perché vogliono trovare una condizione migliore per la loro vita. Se noi aiutassimo questi Paesi, forse, in un certo senso, limiteremmo molto il problema dell’emigrazione. L’Europa aveva lanciato questa idea e gli Stati si erano ripromessi di dare ciascuno lo 0,7% del Pil a questi Paesi da dove vengono i migranti. Di 28 Paesi europei quanti hanno osservato questa promessa fatta? Uno. Un Paese scandinavo! Gli altri non hanno fatto nulla; fanno delle leggi, promettono e poi non lo fanno. Se lo facessero sarebbe la miglior soluzione.

D. - Quindi come affrontare l’emergenza migranti? Da quale approccio partire? Il rischio è proprio quello di abituarsi a tutto, anche alle cose più tragiche …

R. - È un problema che bisogna cercare di risolvere; che l’Europa non ha ancora risolto perché non ha una politica sull’emergenza immigrazioni. Se l’Onu intervenisse, costruisse dei campi, ma non per rimanerci anni ed anni, ma per vedere chi è che ha diritto all’asilo, per vedere coloro che si possono rimandare indietro, sarebbe bello, visto che anche l’Onu non solo l’Europa parteciperebbe all’azione. Ma c’è molta assenza. Sempre considerando il fatto che noi trattiamo con persone che hanno dei diritti, hanno anche dei doveri però, perché molte volte sono manchevoli anche loro.

D. – Cosa pensa dei corridoi umanitari proposti ma mai realizzati?

R. – Lo stesso piccolo corridoio umanitario che ha fatto il Papa per le 12 persone che ha portato, sono piccole gocce in questo mare grosso del milione o quasi di persone che si scaricano sull’Europa. Noi siamo ricchi, viviamo nel superfluo; dal lato umano è triste, dal lato cristiano è orribile. L’Occidente ha un po’ di colpa con tutte le armi che vende, perché le guerre si fanno con le armi. Se si fermasse il commercio della armi le guerre sparirebbero.

D. – Tutti siamo stati un po’ migranti; anche noi del Vecchio Continente …

R. – Certo, Gesù è un profugo; è scappato dalla persecuzione di Erode. In questo mondo con questi problemi, siamo tutti migranti. Solo che noi siamo stati fortunati, perché i nostri italiani delle prime migrazioni hanno sofferto tanto. Ricordo che una volta lessi di una persona che si trovava in un porto e diceva così: “È arrivato un altro carico di quegli italiani sporchi come topi, puzzolenti”. Ecco le immagini di sofferenza di questi poveri di allora.

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Tensioni Usa-Cina per rivendicazioni territoriali Pechino

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Le tensioni per le rivendicazioni di Pechino sul Mar Cinese Meridionale stanno facendo da sfondo all’ottavo dialogo strategico ed economico in corso tra Stati Uniti e Cina. I lavori, fino a domani nella capitale della Repubblica popolare, riguardano le sfide e le opportunità negli interessi bilaterali, regionali e globali. “Rafforzare la fiducia reciproca” è stata la raccomandazione del presidente cinese Xi Jinping. Il segretario di Stato Usa, John Kerry, ha auspicato una “soluzione diplomatica” al contenzioso sul Mar Cinese Meridionale, dopo che il ministro della Difesa di Washington, Ashton Carter, aveva affermato che le attività di costruzione avviate dalla Cina nella acque contese potrebbero comportare “un'azione” da parte degli Usa e di altri Paesi. Nello specifico, di quali dispute si tratta? Risponde il sinologo Romeo Orlandi, vice presidente dell’Osservatorio Asia, intervistato da Giada Aquilino

R. – Si tratta di rivendicazioni di isolotti contesi, ma fino a poco tempo fa trascurati, che danno accesso e proprietà – secondo il diritto del mare – ad uno sconfinamento territoriale enorme della Cina, che estenderebbe così i propri confini molto a meridione, praticamente sulle coste del Borneo e quindi addirittura fino all’Indonesia, interessando le acque ora internazionali, ma che sono rivendicate anche da Filippine, Vietnam, Taiwan e in parte pure dal Giappone. Si tratta di un allungamento dei confini della Cina che rivendica alcuni diritti storici, ovviamente contestati dagli altri Paesi, e questo perché l’economia l’ha ormai resa talmente forte da poter tirare fuori l’orgoglio nazionalista che era stato sopito per decenni.

D. – Tra le isole contese ci sono anche le Senkaku/Diaoyu, che sorgono a Nord di Taiwan. Perché sono così cruciali?

R. – Anzitutto per una questione territoriale. Poi perché lì passano i rifornimenti di petrolio che vanno al Giappone e alla Corea, oltre che alla Cina. Ma si tratta anche di una rivendicazione simbolica. Però non sono tanto quelle isole a determinare tensione – se non con il Giappone – quanto quelle più meridionali e molto più lontane dalle coste della Cina: lì, oltre che l’allargamento territoriale e marittimo, si controllano anche le rotte del petrolio che risalgono dallo Stretto di Malacca e riforniscono le economie industrializzate del Nord-Est asiatico, quindi il Giappone, la Corea del Sud, Taiwan e la Cina stessa.

D. – Pechino ha recentemente istituito una zona di identificazione aerea sul Mar Cinese Orientale, provocando le ire del Giappone e della Corea del Sud. Se lo facesse anche sul Mar Cinese Meridionale cosa accadrebbe?

R. – Ci sarebbero conseguenze. Ritengo non possano essere drammatiche, ma sicuramente proteste, perché lì è in discussione quella che noi chiamiamo la “pax americana”: il dominio cioè dei traffici del Pacifico sotto il controllo statunitense. Dopo la Seconda Guerra Mondiale nessuno è stato mai in grado, neanche nei momenti più duri della Guerra Fredda e della Guerra del Vietnam, di contestarlo. Ora la Cina allunga i propri muscoli da quella parte ed è chiaro che una cosa del genere provochi tensioni. I Paesi più preoccupati sono ovviamente il Giappone, per l’animosità storica tra i due Paesi, e gli Stati Uniti, che vedono messo a repentaglio tale dominio. Anche i Paesi dell’Asean, cioè i dieci Paesi del Sud-Est asiatico, sono allarmati dall’espansionismo di Pechino, ma vivono una situazione di grande dilemma: perché la loro protezione politica e militare è garantita dagli Stati Uniti, però devono – quasi tutti – la loro crescita economica a rapporti pacifici, produttivi e redditizi con Pechino.

D. – Di fatto potrebbe esserci una reazione da parte degli Stati Uniti e di altri Paesi, come è stato paventato proprio al vertice di Pechino?

R. – Sulla carta è una opzione possibile. Speriamo che nessuno abbia la tentazione di mettere il dito sul grilletto. Però gli appelli che tutto si risolva, che tutto sarà facile perché in fondo si tratta di scaramucce, talvolta sembrano più ottimisti: la realtà è veramente complessa e potrebbe preludere a qualcosa di più grave.

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Grandi città al ballottaggio. A Roma boom per Virginia Raggi

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In Italia in primo piano i risultati dei primo turno delle amministrative. Si va al ballottaggio in tutte le grandi città. Ai nostri microfoni i commenti dei politologi Francesco Bonini e Alberto Lo Presti. Il servizio Paolo Ondarza

Pochi risultati definitivi dal primo turno delle amministrative. Boom di voti a Roma per Virginia Raggi che con il 35,3%  commenta “il vento sta cambiando” e porta il Movimento 5 stelle al titolo di primo partito della capitale e Beppe Grillo parla di “risultato storico”.  La sfida per il Campidoglio tra due settimane sarà con Giachetti del Pd al 24,8%. E’ arrivata terza Giorgia Meloni che con il 20,6% comunque ha portato Fratelli d’Italia a raddoppiare i risultati. Importante affermazione a Napoli per l’uscente De Magistris che sfiderà Lettieri del centrodestra, mentre a Torino l’attuale primo cittadino Fassino dovrà vedersela con la Cinquestelle Appendino. A Bologna il ballottaggio sarà tra Merola, centrosinistra, e Borgonzoni, centrodestra. Sfida analoga a Milano con il testa a testa tra Sala e Parisi. Vince al primo turno a Cagliari il sindaco uscente del centrosinistra Zedda. Il premier Renzi commenta: “non siamo contenti”, ma non è possibile tirare conclusioni politiche a livello nazionale e non ci sarà un impatto sul referendum di ottobre. Significativo il dato dell’astensionismo aumentato del 5% ovunque ad eccezione di Roma dove l’affluenza ha registrato un +3%. Su questo si sofferma il politologo Alberto Lopresti, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università Sophia di Loppiano: 

R. – L’esito elettorale dimostra intanto che non ce la facciamo a diventare un sistema bipolare: questo astensionismo significativo, e anche il voto di protesta più volte espresso, dicono che ci troviamo di fronte ad una disaffezione che va guarita. Bisognerebbe ragionare anche sulle traiettorie che hanno compiuto negli ultimi anni alcuni partiti politici attorno alla propria leadership, al consolidamento della propria classe dirigente.

D. – Nello specifico, a Roma è clamoroso il risultato del Movimento 5 Stelle, che con Virginia Raggi diventa il primo partito. Sempre nella capitale raddoppia Fratelli d’Italia, ma la Meloni non ce la fa, e la sfida sarà con Giachetti del Pd. È stata punita dagli elettori la politica tradizionale? Nella capitale è stata bocciata anche la mancanza di coesione, all’esempio all’interno del centrodestra?

R. – Il voto della capitale è sintomatico. Da una parte, abbiamo l’infelice conclusione del breve governo Marino, che sicuramente ha destabilizzato gli elettori della compagine di sinistra; dall’altra, abbiamo il Movimento 5 Stelle che ha azzeccato la scelta. Rimane il fatto che Berlusconi è stato ondivago tra Bertolaso e Marchini. Credo che il Movimento 5 Stelle abbia vinto, ma non abbia sfondato, se andiamo a vedere, proporzionalmente rispetto al dato per cui il 60% degli elettori è andato realmente a votare. E in più vorrei sapere che cosa succederà al ballottaggio, perché quello è il momento in cui si devono raccogliere i voti degli altri. E forse, rifiutare ogni alleanza, mostrare ostilità rispetto ai meccanismi della politica ai quali adesso bisognerà invece rivolgersi per poter avere consenso e superare il 50%: insomma, forse questa del Movimento 5 Stelle può essere una scelta che non si rivelerà come quella giusta. Roma è una partita che credo sarà ancora da giocare.

D. – Che cosa dice questo primo turno rispetto al futuro politico italiano, e anche su un eventuale giudizio degli elettori in merito all’operato del governo Renzi?

R. – Se andiamo a guardare l’alternanza delle elezioni politiche e di quelle amministrative negli ultimi 25 anni, abbiamo quasi sempre ottenuto il risultato per cui la formazione vittoriosa alle politiche ha poi perso in tornate elettorali differenti. Il discorso è che naturalmente qui, al di là del destino delle grandi città, molti si recano al voto dando un giudizio sul governo. Il Pd ne esce sicuramente ridimensionato. Credo comunque che davvero il referendum di ottobre sarà il vero banco di prova.

D. – Flop o risultato positivo quell’1% a livello nazionale ottenuto dal neonato “Popolo della Famiglia”?

R. – Se si tratta di considerare la rappresentanza del popolo delle famiglie, che è assai numeroso in Italia, l’1% mi sembra davvero insufficiente. Io non so se il “Popolo della Famiglia” debba diventare una forza politica; mi piacerebbe che le famiglie fossero rappresentate in tutte le formazioni politiche, perché sono un’autentica risorsa sociale.

D. – Perché c’è stata poca rappresentanza in queste ultime elezioni, rispetto ai temi della famiglia?

R. – Assolutamente sì. Io credo che dare voce alle famiglie non significhi semplicemente avere delle opzioni politiche, di destra o di sinistra; ma significhi invece far ripartire la nostra società da quanto vi è di sicuro: il fatto che il primo nucleo di socialità che addestra i cittadini, li protegge, li porta alla vita adulta, gli fa fare cittadinanza attiva, e dove si vive il legame tra le generazioni, è la famiglia. E non comprendo come la forze politiche non possano riscoprire questo elementare dato sociale. 

Per una riflessione sul voto sempre a partire dal dato dell'astensionismo, Luca Collodi ha intervistato il politologo Francesco Bonini, rettore della Università Lumsa di Roma: 

R. – La partecipazione al voto non è stata incoraggiata: la scelta della data delle elezioni era fatta apposta per far diminuire la partecipazione. Quindi, non mi rallegro di questo dato. Il trend è quello di una partecipazione decrescente, e questo non è un dato positivo.

D. – Professor Bonini, il voto sembra confermare la crisi dei partiti tradizionali…

R. – C’è voglia di protestare, di opposizione; c’è un malessere diffuso che non è ancora in grado di articolarsi. Anche i sistemi bipolari o bipolarizzati sono tutti in crisi in Europa, perché c’è un senso di malessere e una frammentazione. Credo che dobbiamo veramente – responsabilmente – interrogarci su che cosa fare in positivo. Sono dei risultati che, secondo me, fotografano molto bene un Paese perplesso.

D. – C’è voglia di alternativa politica a partire dalle periferie delle grandi città?

 R. – Il problema esiste: se in una città come Roma, in cui vota poco più del 60% degli elettori e la forza politica di governo del Paese ottiene un quarto di questi voti – cioè un quarto del 60% – insomma, queste sono questioni su cui dobbiamo interrogarci. Questa “coriandolizzazione” – dieci liste per candidato nelle grandi città – è un segno che le cose non funzionano.

D. –Cambia anche il voto dei credenti?

R. – I cattolici – secondo me – hanno delle nuove responsabilità proprio per riarticolare un’amicizia sociale: cosa che non hanno messo all’ordine del giorno. Ancora si attardano a fare il tifo per quello o quell’altro, nell’ambito di un bipolarismo che non esiste più. Bisogna rimboccarsi le maniche e ricostruire questi legami.

D. – Bonini, tramonta il bipolarismo tradizionale ?

R. – Il bipolarismo tradizionale, in realtà, è esistito soltanto a tratti. Adesso c’è qualcosa di diverso: non a caso il presidente del Consiglio in queste elezioni amministrative non è intervenuto, se non in extremis, a Roma e Milano. Si va verso un referendum costituzionale che vuol essere una sorta di plebiscito, ma il punto vero è ricostruire la relazione. Tuttavia, ricostruire una relazione è una cosa molto difficile: richiede investimenti ed esempi concreti.

D. – Cosa suggerisce questo voto ai credenti impegnati nel sociale?

R. – Di lavorare sul medio periodo nella società concreta per dare delle prospettive. Il voto di questi giorni, la protesta di cui si capiscono le radici, trasmettono essenzialmente questo messaggio: un bisogno di prospettive. E i cattolici devono tornare ad investire.

D. – Bonini, quanto pesa sulle amministrative la protesta e l’indifferenza?

 R. – La protesta e l’indifferenza sono gli ingredienti del momento di oggi, del momento contemporaneo. Occorre dare delle risposte.

D. – Si può ancora parlare di populismo?

R. – Il populismo è una categoria scientifica molto nebulosa che, utilizzata nel dibattito politico, dice ben poco.

D. – Il voto italiano, la Brexit, gli Stati europei che eleggono candidati antisistema: quanto potrà reggere l’Unione Europea?

R. – Poniamoci questa questione. Perché le buone risposte vengono quando si pongono le buone domande. E riflettiamo.

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Ramadan. Teologa Houshmand: digiunare per arrivare a purezza dell'anima

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Inizia oggi per i musulmani in tutto il mondo il mese sacro del Ramadan, il nono nel calendario islamico, in cui vige l’osservanza del digiuno diurno. Ma quale significato e importanza riveste questa ricorrenza? Roberta Gisotti ha intervistato Shahrzad Houshmand, teologa iraniana, docente di Studi islamici alla Pontificia Università Gregoriana: 

R. – E’ il mese dello sforzo grande per un miliardo e mezzo di musulmani al mondo. In questo mese il corpo e l’anima si coinvolgono in modo significativo, perché ci si astiene – dall’alba al tramonto – dal bere e dal mangiare, e anche dai rapporti sessuali. Coinvolge le donne e gli uomini adulti, mentre gli anziani e le donne incinte possono rimandarlo ad un altro momento. E’ un mese di grande importanza, perché vediamo diverse parole apparire in modo chiaro: controllo e autocontrollo, condivisione, perdono, preghiera, veglia. Il controllo, sicuramente, visto che si tratta di uno sforzo grande di controllare i primi istinti naturali dell’essere umano, che sono appunto il bere e il mangiare, un controllo che sia autocontrollo, perché nessuno controlla l’altro se di nascosto vuole mangiare qualcosa. E’ quindi arrivare alla coscienza di poter guidare anche gli stessi istinti più naturali. La condivisione perché alla fine di questo sforzo diurno, c’è la raccomandazione di condividere il cibo insieme agli altri fratelli e sorelle. E’ anche il mese perdono, perché – dice la tradizione – le porte del cielo sono spalancate dalla misericordia e dal perdono divino. Quindi i fedeli cercano di ricordare i propri sbagli, chiedono perdono di ciò che è passato e chiedono pure un futuro più luminoso. Inoltre, visto che il perdono di Dio è aperto in modo così grande, è raccomandato anche il perdonarsi reciprocamente. E’ visto che è il mese nel quale la Parola Sacra del Corano ha avuto la sua manifestazione è anche il mese della preghiera, per cui alle preghiere canoniche si aggiungono altre preghiere. E per questo c’è la parola veglia: essere svegli anche durante le ore nelle quali apparentemente il sole non c’è per poter accendere l’alba. Anche questo ha un significato. al-Ghazālī , il grande teologo musulmano, già mille anni fa, nel libro “Alchimia della Felicità” descrive il vero digiuno, dicendo che non è soltanto astenersi dal bere e dal mangiare, ma è astenersi totalmente da tutto ciò che distrae la purezza dell’uomo. Allora ti astieni dal bere e dal mangiare, ma dovresti anche arrivare al secondo livello, che è quello di astenersi dall’odio, dalla gelosia, dall’arroganza, dalla superbia e da tutte le forme che feriscono l’originalità e la purezza dell’anima; per poi raggiungere – per chi può – il terzo livello, che è l’astenersi da tutto ciò che può distrarre.

D. – E’ dunque importante, anche per i non musulmani, conoscere le tradizioni legate a questa ricorrenza, per capirne il significato e questo per evitare sovente pregiudizi, incomprensioni, intolleranza o semplicemente non conoscenza…

R. – Sì, assolutamente! L’ignoranza e la non conoscenza creano veramente la base per ogni intolleranza e anche per ogni – purtroppo – aggressione o violenza. La conoscenza è la via migliore per una vita condivisa pacificamente e civilmente. Ed è bene sapere che l’altro si sta sforzando per una meta buona, che poi riesca a raggiungerla o meno è un altro discorso: chi digiuna fa nella sua mente uno sforzo spirituale che coinvolge anche il corpo e che non si ferma soltanto ad uno sforzo spirituale, ma deve condurre ad un comportamento giusto.

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Nella Chiesa e nel mondo



Referendum Svizzera: vescovi contrari a diagnosi pre-impianto

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Urne aperte, ieri, in Svizzera, dove i cittadini sono stati chiamati ad esprimersi su diversi quesiti referendari. Uno di essi, in particolare, riguardava la modifica della legge sulla medicina della procreazione che autorizza la diagnosi reimpianto. Secondo i primi dati dello spoglio, il 62% dei cittadini ha votato sì e quindi d’ora in poi, gli embrioni ottenuti con una fecondazione artificiale potranno essere sottoposti a un esame genetico, prima che vengano impiantati nell’utero, per verificarne eventuali patologie o handicap.

Minata la tutela della persona umana
Immediata la reazione della Conferenza episcopale elvetica (Ces) che già in passato si era opposta a questa proposta normativa. “Il sì a questa legge – scrive in una nota mons. Charles Morerod, presidente della Ces – ha conseguenze negative sulla protezione della vita umana”, perché “mina la piena tutela della persona umana dall’inizio alla fine, ovvero dal concepimento e fino alla morte naturale”. “In molti casi – sottolinea il presule – gli embrioni portatori di una patologia verranno eliminati, invece di prendersi cura della loro vita”.

Forza di una comunità si misura sul benessere dei più deboli
Di qui, il richiamo della Ces al fatto che “la ricerca medica è chiamata ad essere creativa ed innovativa al fine di trovare il modo migliore per accogliere la vita e curare le malattie”, e non il contrario. Infine, il presule ribadisce che “i disabili hanno piena dignità” e che tale riconoscimento “è indispensabile per una società giusta, come afferma anche il preambolo della Costituzione federale svizzera: la forza di una comunità si misura con il benessere del più debole dei suoi membri”.

Procedure d’asilo più rapide siano accompagnate da garanzie costituzionali
Un altro quesito referendario votato ieri riguardava la nuova legge sul diritto d’asilo, mirata ad istituire procedure più rapide per l’esame delle domande dei richiedenti. Anche in questi caso ha vinto il sì, con oltre il 66% dei voti. In questo caso, il parere dei vescovi è stato espresso dalla Commissione Giustizia e pace la quale, in una nota, si dice soddisfatta del risultato, anche se solo in parte. “I presuli svizzeri dicono ‘sì, ma’ – si legge – perché dal punto di vita etico, l’elaborazione di procedure di asilo più veloci deve essere accompagnate dalla garanzia di consulenze legali gratuite” e “di un giusto processo” per i richiedenti. “L’attuazione pratica di tale requisiti – prosegue la nota – dimostrerà quanto sia importate rispettare il diritto d’asilo come diritto fondamentale”.

Serve collaborazione internazionale
In molti luoghi del mondo – continua la Commissione episcopale – si vivono “sfide rappresentate da guerre, espulsioni, immigrazioni”, che non possono essere affrontate “con saggezza dalla comunità internazionale se non con uno spirito di collaborazione”. Per questo, il rifiuto di alcuni Paesi “non è una soluzione accettabile”, perché “tale atteggiamento non rispetta il diritto fondamentale all’asilo e provoca un enorme peso su altre nazioni”. Dal suo canto, Giustizia e Pace afferma di “impegnarsi per una procedura d’asilo che rispetti i principi costituzionali”.

Grazie a chi assiste e aiuta i richiedenti asilo
​Infine, il ringraziamento dei presuli va a tutti coloro che “difendono la causa dei richiedenti asilo e forniscono loro assistenza nel Paese”. Tra gli altri quesiti referendari, anche la proposta di introdurre un reddito di base incondizionato, ovvero una sorta di reddito minimo di cittadinanza, per il quale oltre il 76% dei votanti ha detto no. (I.P.)

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Bartolomeo I: Messaggio per la Giornata mondiale degli Oceani

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“Non danneggiate la terra, né il mare, né gli alberi”: si apre con questo versetto dell’Apocalisse (Ap 7,3) il messaggio del Patriarca ecumenico Bartolomeo per la Giornata mondiale degli oceani che ricorre l’8 giugno, sul tema “Oceani sani, pianeta sano”. “La Giornata celebra uno dei doni più preziosi del nostro Creatore, un dono che siamo chiamati a preservare e conservare – scrive Bartolomeo – Ora più cha mai è fondamentale rispettare e proteggere questa risorsa preziosa e irrinunciabile del nostro pianeta, che è una fonte unica di nutrimento e della biodiversità”.

Allarme acidificazione oceani: a rischio barriere coralline e fauna marina
Il Patriarca ecumenico scatta poi una fotografia amara dell’ambiente in cui viviamo e in cui predominano lo sviluppo industriale globale, la dipendenza dai combustibili fossili, l’indifferenza verso la salvaguarda del Creato, l’inquinamento atmosferico, i rifiuti non biodegradabili, l’aumento dei livelli di acidificazione degli oceani che uccide le barriere coralline e la fauna marina. “Molti di noi, purtroppo – scrive Bartolomeo – non riescono a comprendere tali conseguenze dovute anche alla nostra compiacenza e, forse, anche alla nostra complicità”. Tuttavia, “i più vulnerabili, coloro che dipendono dagli oceani per il loro sostentamento, comprendono questa situazione disastrosa”.

Inquinare gli oceani mette a rischio diritti umani fondamentali
E  non solo: il Patriarca sottolinea che “quando non proteggiamo gli oceani, mettiamo a rischio anche i diritti umani fondamentali” perché “il modo in cui contaminiamo le acque si riflette sul modo in cui sfruttiamo le loro risorse e trattiamo gli altri esseri umani, in particolare i nostri fratelli e sorelle emarginati e più bisognosi”. Di qui, il richiamo alla responsabilità di ciascuno affinché si comprenda che “gli stili di vita, individuali e collettivi, hanno un impatto sull’ambiente”.

Applicare gli accordi raggiunti alla Cop21
Infine, Bartolomeo lancia un appello ai leader mondiali affinché applichino l’accordo raggiunto alla Cop21 (la Conferenza mondiale sui cambiamenti climatici svoltasi a Parigi nei mesi scorsi), cercando “nuovi modi per ridurre le emissioni di anidride carbonica, prendendo in considerazione le proposte avanzate per la salvaguardia degli oceani e la tutela delle persone”. “Invece di abbracciare semplicemente modelli di sviluppo basati sul profitto – conclude il Patriarca – è il momento di apportare i giusti cambiamenti in nome dell’integrità e della bellezza degli oceani del mondo e di tutta la Creazione di Dio”. (A cura di Isabella Piro)

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Argentina: conferenza regionale delle famiglie sulla denatalità

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“La piaga del XXI secolo: il declino della fertilità”: su questo tema si svolgerà, in Argentina, una Conferenza regionale delle famiglie. L’evento è in programma a Salta il 14 e 15 giugno e si inserisce nel cammino di preparazione al nono Incontro mondiale delle famiglie, che avrà luogo a Dublino, in Irlanda, dal 22 al 26 agosto 2018, sul tema “Il Vangelo della famiglia, gioia per il mondo”.

Sostenere le famiglie e i movimenti pro-vita
La Conferenza regionale dell’Argentina, riferisce l’agenzia cattolica Aica – “si pone l’obiettivo di esaminare forme di aiuto alla famiglia ed ai movimenti pro-vita, analizzando strategie e condividendo esperienze” tra i numerosi relatori. Il tema principali del declino della fertilità verrà, dunque, esaminato sotto diversi aspetti: “il fallimento dei metodi contraccettivi evidenti non solo dalla morte dei feti, ma anche delle loro madri; l’implosione demografica causata dall’invecchiamento della popolazione; il dramma dei nascituri abortiti, nuovi “desaparecidos” privi di sepoltura”.

Smentire quattro grandi bugie
La Conferenza mira anche a smentire le quattro “grandi bugie” che si nascondono dietro le espressioni “sesso sicuro, anticoncezionale per non abortire, aborto per non morire, aborto gratuito”; la violazione dei quattro principi non negoziabili della legge naturale: vivere dal concepimento alla morte naturale, sposarsi per tutta la vita, educare i figli secondo verità e promuovere il bene comune. Altro focus centrale sarà la questione della così detta “salute sessuale e riproduttiva che può provocare infertilità e, in alcuni casi, anche la morte”. Spazio poi ai diritti dei bambini ad avere una madre ed un padre, a vivere in famiglia, a non essere un prodotto o un mero esperimento sociale.

Tra i relatori, mons. Carrasco de Paula
Infine, si rifletterà anche sull’ideologia del gender. Tra i relatori, si segnala mons. Ignacio Carrasco de Paula, presidente della Pontificia Accademia per la vita, insieme a numerosi specialisti provenienti da Stati Uniti, Brasile, Cile, Paraguay ed Argentina. (I.P.)

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Chiesa El Salvador: dare un giusto salario ai lavoratori

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L’arcivescovo di San Salvador, mons. José Luis Escobar Alas, ha duramente criticato l'accordo per aumentare il salario minimo dei lavoratori del 15% in tre anni e ha chiesto alle autorità di rivedere il provvedimento. Nella sua consueta conferenza stampa della domenica - riferisce l'agenzia Fides - mons. José Luis Escobar Alas ha ricordato che il Consiglio Nazionale del salario minimo, composto da rappresentanti delle imprese private, lavoratori e governo salvadoregno, ha recentemente concordato un aumento del 15% del salario per tutti i settori nell'arco di tre anni, il che significa che il reddito dei lavoratori crescerà solo del 5% ogni anno con degli aumenti minimi. Quindi ha commentato: "non so come definire questo accordo, quando si dice che è ridicolo, o che è una battuta, credo sia ancora poco. Io direi che è ingiusto, grave e peccaminoso non pagare un salario ai lavoratori".

La decisione presa dai rappresentanti delle imprese private e dei lavoratori
L'aumento, che dovrebbe entrare in vigore il primo giugno, deve ancora essere approvato dal Presidente Salvador Sanchez Ceren, che può anche respingerlo con delle osservazioni. La decisione è stata presa solo con i voti dei rappresentanti delle imprese private e dei lavoratori, il governo ha votato contro perché ha proposto che il salario minimo deve essere più elevato e per i lavoratori delle aree urbane deve essere di $ 300 al mese e per la zona rurale di $ 250.

E' un peccato grave pagare un salario ingiusto
Mons. Escobar Alas, ha sottolineato che nel Paese esistono 9 tipi di salari minimi: "Io chiedo di rivedere questa situazione, a volte ingiusta, si tratta di un impegno sociale. Anche il Papa ha detto che è un peccato grave pagare un salario ingiusto". Se vengono adottati salari come quelli proposti, ha proseguito l’arcivescovo, "avremo un popolo che sopravvive, a malapena, male", e ha concluso: "Come fa un genitore, con 98 dollari, a far studiare i figli, come può curare la loro salute, come può dar loro cibo e vestiti?". (C.E.)

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Concluso a Trento il Festival dell'economia sul tema della crescita

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5 ministri, 2 banchieri centrali, un premio nobel e un panel di relatori, provenienti anche dalle più prestigiose università del mondo, per un totale di 273 esperti che hanno animato 111 incontri, 382 giornalisti accreditati, e 4 milioni le connessioni al sito ufficiale del Festival. Sono questi  alcuni dei numeri che hanno caratterizzato l’11.mo Festival dell’Economia che si è concluso ieri a Trento. L’evento, iniziato lo scorso giovedì, sul tema “I luoghi della crescita" è promosso dalla Provincia autonoma di Trento, e progettato dagli Editori Laterza in collaborazione con il Gruppo 24 Ore.

Il tema delle povertà economiche
Tanti gli argomenti affrontati in queste giornate, tra cui quello delle povertà economiche di cui soffre una famiglia su dieci in Italia e dove si evince che spesso il reddito da lavoro da solo a volte non riesce a garantire l’accesso ai beni di prima necessità. Molte volte la povertà economica si va a collegare anche alla povertà educative. In Italia, un minore su quattro non solo non raggiunge i livelli minimi di competenze in matematica: solo uno su cinque in lettura, attestandosi su percentuali tra le più alte in Europa, ma non ha neanche le opportunità di accedere alla cultura, allo sport, alla lettura e a Internet.

Presidente provincia di Trento: un Festival ricco di stimoli e attualità
Tra gli ospiti più attesi del festival è stato sicuramente il premio Nobel l’economista statunitense Michael Spence "La situazione globale sembra stabile ma in effetti è insostenibile - ha spiegato Spence, sottolineando però che ci sono differenze fra Paese e Paese. La transizione non sarà facile per nessuno e fattori come l'urbanizzazione "spinta" e l'avvento delle tecnologie robotizzate, complicheranno le cose, cancellando molti posti di lavoro nel manifatturiero. L'Europa avrà tante più chance quanto più saprà armonizzare i propri sistemi finanziari e fiscali”. Per quanto riguarda la mobilità, secondo Spence, l'Italia deve frenare la fuga dei propri cervelli, ma deve anche andare orgogliosa delle politiche di accoglienza poste in atto nei confronti dei migranti e delle tante vite salvate finora. Grande la soddisfazione per questa edizione da parte degli organizzatori. "E' stato un festival ricco di stimoli e di attualità.- ha detto a conclusione il presidente della Provincia Autonoma di Trento Ugo Rossi - Siamo riusciti ad inserire anche temi che ci riguardano, relativi alla nostra Autonomia, che ci consente fra le altre cose di organizzare questo Festival". (A cura di Marina Tomarro)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 158

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.