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Sommario del 07/06/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: la batteria del cristiano per fare luce è la preghiera

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La batteria del cristiano per fare luce è la preghiera. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha ammonito i cristiani dal diventare sale insipido ed ha aggiunto che bisogna vincere la tentazione della “spiritualità dello specchio” per cui si è più impegnati ad illuminare se stessi che a portare agli altri la luce della fede. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

Luce e sale. Gesù, ha detto Francesco commentando il Vangelo del giorno, parla sempre “con parole facili, con comparazioni facili, perché tutti possano capire il messaggio”. Di qui la definizione del cristiano che deve essere luce e sale. Nessuna delle due cose, ha osservato il Papa, è per se stessa: “La luce è per illuminare altro; il sale è per insaporire, conservare altro”.

La batteria del cristiano per fare luce è la preghiera
Ma come può dunque il cristiano far sì che il sale e la luce non vengano meno, si chiede Francesco, far sì che non finisca l’olio per accendere le lampade?

“Qual è la batteria del cristiano per fare la luce? Semplicemente la preghiera. Tu puoi fare tante cose, tante opere, anche opere di misericordia, tu puoi fare tante cose grandi per la Chiesa – un’università cattolica, un collegio, un ospedale… - e anche ti faranno un monumento da benefattore della Chiesa, ma se non preghi quello sarà un po’ oscuro o buio. Quante opere diventano buie, per mancanza di luce, per mancanza di preghiera. Quello che mantiene, quello che dà vita alla luce cristiana, quello che illumina, è la preghiera”.

La preghiera “sul serio”, ha ammonito, “la preghiera di adorazione al Padre, di lode alla Trinità, la preghiera di ringraziamento, anche la preghiera di chiedere le cose al Signore, ma la preghiera dal cuore”.

Il cristiano insaporisce la vita degli altri con il Vangelo
Quello, ha detto, “è l’olio, quella è la batteria, che dà vita alla luce”. Anche il sale, ha proseguito, “non insaporisce se stesso”:

“Il sale diventa sale quando si dà. E questo è un altro atteggiamento del cristiano: darsi; insaporire la vita degli altri, insaporire tante cose col messaggio del Vangelo. Darsi. Non conservare se stesso. Il sale non è per il cristiano, è per darlo. Lo ha il cristiano per darlo, è sale per darsi, ma non è per sè. Tutti e due - è curioso questo – luce e sale, sono per gli altri, non per se stessi. La luce non illumina se stessa; il sale non insaporisce se stesso”.

Certo, ha osservato, ci si potrebbe chiedere fino a quando potranno durare il sale e la luce se continuiamo a darci senza sosta. Lì, è la risposta di Francesco, “entra la forza di Dio, perché il cristiano è un sale donato da Dio nel Battesimo”, è “una cosa che ti è data in dono e continua ad esserti data in dono se tu continui a darla, illuminando e dando. E non finisce mai”.

Guardarsi dalla tentazione della “spiritualità dello specchio”
Questo è proprio quello che succede nella Prima Lettura alla vedova di Zarepta che si fida del profeta Elia e così la sua farina e l’olio non si esauriscono mai. Quindi, il Papa ha rivolto un pensiero alla vita presente dei cristiano:

“Illumina con la tua luce, ma difenditi dalla tentazione di illuminare te stesso. Questa è una cosa brutta, è un po’ la spiritualità dello specchio: illumino me stesso. Difenditi dalla tentazione di curare te stesso. Sii luce per illuminare, sii sale per insaporire e conservare”.

Il sale e la luce, ha affermato ancora, “non sono per se stessi”, sono per dare agli altri “in buone opere”. E così, ha esortato, “risplenda la vostra luce davanti agli uomini. Perché? Perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei Cieli. Cioè: ritornare a Colui che ti ha dato la luce e ti ha dato il sale”. “Che il Signore ci aiuti in questo – ha ripreso il Papa – sempre avere cura della luce, non nasconderla, metterla in alto”. E il sale, “darlo il giusto, quello che è necessario, ma darlo”, perché così cresce. “Queste – ha concluso – sono le buone opere del cristiano".

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Papa, tweet: fare comunità in tempi poveri di amicizia sociale

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “In questo tempo povero di amicizia sociale, il nostro compito è quello di costruire comunità”.

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Morbo di Hansen. Esperti riuniti a Roma. 200 mila malati ogni anno

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Presentato in Sala Stampa Vaticana il convegno internazionale «Per una cura olistica delle persone affette dal Morbo di Hansen rispettosa della loro dignità»  organizzato dal Pontificio Consiglio per gli  Operatori Sanitari. Per l’occasione saranno presentati tre progetti concreti di accesso alle cure e riabilitazione nei Paesi poveri. Il simposio si svolgerà dal 9 al 10 giugno all’Istituto patristico Augustinianum di Roma in preparazione del giubileo degli ammalati e dei disabili che Il Papa celebrerà domenica prossima in piazza san Pietro. Il servizio di Paolo Ondarza: 

Una periferia che necessita prossimità. Volgarmente conosciuta come lebbra, il morbo di Hansen questo il corretto termine rispettoso della dignità della persone che ne sono affette, è al centro di un importante Simposio internazionale che vedrà riuniti 230 esperti da 45 Paesi dei cinque continenti. Si cercherà di condividere esperienze e fare rete per rispondere alla triplice sfida: ridurre la malattia, assistere  malati e famiglie, reintegrarli nella società. L’hanseniasi, benché oggi curabile con una spesa minima, continua a colpire circa 200mila persone ogni anno, specialmente nelle zone più povere del mondo, Brasile e India in testa, dove spesso  l’accesso alle cure è impossibile. Va promossa la prevenzione, la cura, ma anche il reinserimento sociale di quanti fanno esperienza della malattia e divengono vittime di stereotipi causati dall’ignoranza che provoca un vero e proprio stigma sociale. Mons, Jean-Marie Mupendawatu, segretario del Pontificio Consiglio degli Operatori Sanitari:

“Ancora oggi, purtroppo, chi ne è guarito ma è ormai segnato fisicamente da questo male viene emarginato, si vede negati il lavoro, la vita sociale e, nel caso dei più giovani, la scolarizzazione o qualsiasi altra occasione formativa”.

Significativa in tal senso sarà la coraggiosa testimonianza di 20 persone risanate: racconteranno l’esclusione vissuta talvolta anche in famiglia. Padre Augusto Chendi. sottosegretario del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari:

“I pregiudizi per il reinserimento di coloro che guariscono sono molto forti. Infatti, i danni ai nervi, senza una terapia riabilitativa, continuano a produrre disabilità e deformità anche dopo la guarigione”.

Yōhei Sasakawa ha raccontato l’impegno quarantennale della Fondazione Nippon da lui presieduta che ha contribuito a diffondere gratuitamente negli anni novanta la terapia del morbo di Hansen favorendo la cura di circa 7 milioni di malati. L’obbiettivo è ridurre il numero a zero. Costante in tal senso l’opera della Fondazione Raul Follerau che attraverso il medico Roch Christian Johnson ha anche annunciato l’avvio al termine del simposio di un progetto per la diagnosi precoce e la gestione della lebbra in un distretto del Mali.

Nel segno della concretezza anche l’opera del Sovrano Militare Ordine di Malta  che promuoverà per l’occasione un progetto in Cambogia. L’approccio è olistico – spiega il capo gabinetto Ivo Graziani – ovvero a 360 gradi: quindi non solo medico ma attento alla riabilitazione socio economica del paziente. Cruciale sarà la cura pastorale. Il connubio lebbra misericordia sarà al centro dell’intervento del card. Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Previsto inoltre un momento di dialogo interreligioso con ebraismo, islam, induismo e buddismo.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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La batteria del cristiano: messa a Santa Marta.

Possibilità e plausibilità: Carlo Maria Polvani su ipotesi e decisioni in un mondo pieno d'incertezze.
Oasi di pace: il cardinale Gianfranco Ravasi illustra il ruolo del cristiano in un mondo segnato dall’odio.

L’arte, l’amicizia, la morte: Mariano Dell’Omo su un pittore affascinato dalla trascendenza.

Il gesuita e il consigliere: da Tokyo, Cristian Martini Grimaldi narra la storia del missionario che si travestì da samurai.

Con la medicina della carità: Paola Bergamini su Giuseppe Moscati

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Oggi in Primo Piano



Orrore a Mosul, l'Is brucia vive 19 ragazze

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Una notizia che si aggiunge alla lista degli orrori perpetrati dai miliziani del sedicente Stato islamico: 19 ragazze sono state chiuse in una gabbia di ferro e bruciate vive in piazza, nella città di Mosul in Iraq, roccaforte dell’Is dall’occupazione avvenuta nel giugno del 2014. Le giovani donne di religione yazida avevano rifiutato di essere schiave sessuali. La loro barbara esecuzione è una strategia di guerra o altro? Roberta Gisotti lo ha chiesto a Martina Pignatti Morano, presidente dell’Associazione non governativa “Un ponte per…”, presente da ormai 25 anni in territorio iracheno per aiutare la popolazione: 

D. – Mancano le parole per descrivere lo strazio delle donne finite sotto l’occupazione di questi uomini – possiamo dire – disumani... E’ una strategia di guerra o che altro?

R. – Queste 19 donne erano yazide, alcune delle 3.500 donne e bambini che sono ancora schiave dell'Is. Sono state bruciate vive e purtroppo ci si aspetta che in questi giorni il cosiddetto Stato islamico metta anche online il video per documentare questo atroce crimine, come hanno già fatto in passato con il pilota giordano. E questo perché per loro questa è un’azione di rappresaglia verso il governo iracheno, la comunità internazionale, il governo del Kurdistan iracheno e contro l’offensiva militare che, in questo momento, sta crescendo per la liberazione delle aree conquistate da Daesh. Quindi, in realtà, è un pretesto che queste donne non avessero voluto sposare i combattenti. Fa parte di una strategia chiara, all’interno della quale l'Is sta anche bruciando vive delle altre persone musulmane delle aree occupate, accusate di essere spie. Hanno scelto il primo giorno di Ramadan per farlo, dopo aver sequestrato anche, in tutta la Piana di Ninive, le antenne satellitari della gente per impedire alle persone di ascoltare i telegiornali e di capire quindi quello che sta succedendo: lasciare i civili nel buio così da poter organizzare la propria offensiva e la propria difesa militare.

D. – Le donne come soggetti deboli, quindi esposte ad ogni atrocità…

R. – Sì, come associazione “Un ponte per” crediamo che sia molto importane in questo momento – oltre a promuovere approcci non militari per la liberazione di queste aree e la negoziazione tra le comunità per riuscire a ricostruire un fronte politico anti-Daesh – avere un approccio di giustizia riparativa. Quindi, prima di pensare a punire il colpevole, pensare a riparare la violazione subita dalle vittime: tutte queste donne yazide, curde, musulmane colpite dall'Is stanno ricevendo in realtà poco aiuto, nei fatti, dalla comunità internazionale, per recuperare fisicamente e psicologicamente. C’è veramente bisogno di sostenere, in questo momento, come comunità internazionale, sia le ong che le istituzioni nel sostenere queste donne: questo è possibile! Non dobbiamo aspettare di liberare le aree da Daesh. In questo momento le vittime ci chiedono vicinanza e sostegno.

D. – Molto importante, quindi, la mobilitazione civile, a cui a volte si dà poco spazio e non si dà la giusta importanza rispetto alla risposta militare…

R. – Sì. Noi stiamo vedendo con un progetto che abbiamo portato avanti con l’Undp, con le Nazioni Unite, nella Piana di Ninive che c’è moltissima attenzione e disponibilità delle comunità sunnite, sciite, curde, turcomanne, yazide e cristiane a lavorare tutti insieme per immaginare dei percorsi di convivenza: sono questi che renderanno poi possibile la liberazione di quelle aree, la restituzione di quei territori ai cittadini e ai civili. Anche perché questi erano i problemi sottostanti e già precedenti, erano i conflitti interni già presistenti, grazie ai quali poi l'Is è entrato, facendo leva proprio sulle conflittualità tra le comunità locali. Finché non lavoriamo su quei processi politici e sociali, non ci sarà liberazione dall'Is, perché non c’è uno scenario di trasformazione del conflitto. Su questo noi lavoriamo e vediamo che non solo le associazioni, i movimenti di donne, ma anche i leader tribali, i leader religiosi hanno molta attenzione, capacità e disponibilità a lavorare sul peacebuilding, nonostante allo stesso tempo debbano gestirsi una crisi umanitaria, perché l’offensiva militare contro l'Is – per come viene gestita in questo momento – sta causando un ennesimo flusso di sfollati e non solo dalle aree di Falluja, dove purtroppo la gente è rimasta intrappolata, ma anche dalle aree della Piana di Ninive, a Makhmur, nel sud, dove adesso sta crescendo l’offensiva e sono nuove centinaia di migliaia di persone disperate che non sanno quando potranno tornare nelle loro case e tra di loro sempre alcune centinaia di migliaia di cristiani, che ancora si chiedono quando potranno resistere a vivere in Iraq.

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Iraq, fuga da Falluja e Mosul. L'Onu: è folla di disperati

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L’attenzione di questi giorni sull’Iraq resta concentrata anche su Falluja, città che oltre che obiettivo di riconquista militare è divenuta epicentro di una disastrosa situazione umanitaria. Il recente ritrovamento di una fossa comune con centinaia di cadaveri ha colpito l’attenzione della comunità internazionale, ma molti sono i drammi che si consumano di ora in ora in città e nei suoi dintorni, come l'utilizzo dei civili a mo' di scudi umani. Lo testimonia da Baghdad Lise Grande, coordinatrice per l'azione umanitaria delle Nazioni Unite in Iraq. L’intervista è di Gabriella Ceraso

R. – This is exactly what we’ve been told. We’ve been told…
Questo è esattamente quello che ci è stato raccontato. Abbiamo saputo l’Is costringe le famiglie a rimanere all’interno della città, non consente loro di andarsene e così di raggiungere la salvezza. Questa è una chiara violazione delle norme umanitarie internazionali, che obbligano le parti in conflitto a fare tutto il possibile per tutelare i civili e garantire loro di ricevere quell’assistenza che possa salvare loro la vita. Fare della popolazione scudi umani è assolutamente inaccettabile, eppure questo è il destino di migliaia e migliaia di famiglie di Falluja. Siamo anche molto preoccupati del fatto che nonostante circa 15 mila persone, nell’ultima settimana-dieci giorni, siano riuscite a fuggire, siano in una situazione terribile. Queste famiglie raccontano di ore di cammino dopo aver tentato la fuga nel mezzo della notte; sappiamo di molti casi in cui le famiglie sono state prese a bersaglio e uccise… Ci sono storie terribili, ancora nelle ultime 24 ore, di persone che avevano raggiunto tali livelli di disperazione che hanno tentato di attraversare il fiume e non sapendo nuotare, sono affogate. Nessuno perciò tenta più di fuggire con questi presupposti, a meno che non sia disperato e questo la dice lunga su quanto la situazione a Falluja sia disperante.

D. – Quando pensa che Falluja possa essere liberata del tutto?

R. – The Government supported by the coalition, through airstrikes…
Il governo, con il sostegno della coalizione, ha fatto progressi avvalendosi delle incursioni aeree. Il governo comunica di avere ripreso ulteriori quartieri, ulteriori parti della città alle quali ora riesce ad accedere. Sembra chiaramente, dai rapporti che riceviamo, che la lotta per Falluja sia in questo momento favorevole al governo, perché pare che passo dopo passo si riesca a riprendere il controllo di questa città.

D. – Dopo Falluja sarà la volta di Mosul: qualcuno parla di un attacco dopo la fine del Ramadan. Ci sono già forze militari a Mosul? E’ così? Qual è la situazione?

R. – The situation in Iraq is going to be…
Per i prossimi mesi, prevediamo che la situazione in Iraq sarà drammatica. Secondo il quadro elaborato dalle Nazioni Unite – che analizza lo scenario più probabile che possiamo trovarci di fronte – solo ad Anbar pensiamo di trovare 430 mila sfollati, ma ci aspettiamo 850 mila sfollati lungo la strada che porta a Mosul. Alla fine di tutto questo, c’è Mosul stessa dove potrebbero esserci un milione di persone coinvolte in questa campagna militare. Se guardiamo ai mesi a venire, noi temiamo di trovarci in una situazione in cui oltre tre milioni di iracheni saranno bisognosi di assistenza, e questo al di là dei 3,4 milioni di iracheni che già sono stati cacciati dalle loro case. Questo è drammatico: questo grandissimo numero di persone che si trovano in una situazione disperata e che richiedono supporto internazionale per sopravvivere. Le Nazioni Unite hanno chiesto 860 milioni di dollari per aiutare quest’anno sette milioni di iracheni. Speriamo, speriamo disperatamente, che la comunità internazionale si mobiliti per mettere insieme questo aiuto. Il popolo iracheno se lo merita.

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Attentato in Turchia. Erdogan: combatteremo il terrorismo

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"Condanniamo questo attacco, la lotta al terrorismo non si fermerà”. Così il presidente turco Recep Tayyip Erdogan che si è recato in visita all'ospedale Haseki di Istanbul dove sono stati ricoverati alcuni dei 36 feriti dell'esplosione di questa mattina, in cui sono morte 11 persone. Massimiliano Menichetti

Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha condannato senza mezzi termini l'attentato di questa mattina a Istanbul contro un'autobus della polizia dove 11 persone, 7 agenti e 4 civili, sono morte e altre 36 sono rimaste ferite. Il capo di Stato ha promesso una dura repressione, che i responsabili saranno presi, ma ha anche ammesso che "dai terroristi bisogna aspettarsi in ogni momento attacchi come quello di oggi”. Per ora non ci sono rivendicazioni. Il Paese fronteggia la crisi siriana, l'annosa questione curda ed è in prima linea sul fronte della gestione dei profughi che scappano dal lontano e vicino Oriente. L'esplosione di oggi è avvenuta nel centro di Istanbul, vicino a una fermata del bus e all'Università e secondo quando detto dal governatore, Vasip Sahin, è stata provocata da una bomba piazzata dentro un'auto e innescata al passaggio mezzo della polizia. L'attentato è avvenuto nel secondo giorno di Ramadan e secondo Vasip Sahin arriva dopo altri cinque sanguinosi attacchi sferrati in Turchia dallo scorso luglio, per un bilancio complessivo che supera i 200 morti.

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La corsa alla Casa Bianca: Hillary Clinton sfiderà Trump

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A poche ore dal "Supermartedì" di primarie negli Usa, Hillary Clinton ha raggiunto il numero di delegati necessari per conquistare la nomination democratica per la Casa Bianca. Lo afferma l'Associated Press sulla base dei calcoli della Cnn. Se il dato sarà confermato sarà la prima donna nella storia degli Stati Uniti a partecipare a un'elezione presidenziale. A sfidarla sarà Donald Trump. Adriana Masotti

Hillary Clinton è la candidata democratica alla Casa Bianca contro il repubblicano Donald Trump. Superando la soglia dei 2.383 delegati necessari, l'ex segretario di stato Usa ha vinto la nomination del suo partito. Secondo la Cnn, dopo la schiacciante vittoria di domenica in Porto Rico, la Clinton si è assicurata 1.812 delegati e 572 super delegati. E oggi si vota per le primarie democratiche in altri sei stati: California, New Jersey, Nord e Sud Dakota, New Mexico e Montana. "Siamo vicini ad un momento storico, ma abbiamo ancora del lavoro da fare e lotteremo per ogni singolo voto", ha dichiarato Hillary, che ha invitato gli elettori ad andare a votare, soprattutto in California. Sarà la convention di fine luglio a Filadelfia a confermare formalmente la nomination. Un esito per ora contestato dall’altro aspirante democratico alla Casa Bianca, Bernie Sanders: "E' un peccato che i media, con un giudizio affrettato, ignorino la richiesta della Commissione nazionale del partito democratico di aspettare per la conta dei superdelegati a questa estate", ha precisato il portavoce del rivale di Hillary. Secondo Michael Briggs, tutto “dipende dai super delegati che non voteranno fino al 25 luglio e che fino ad allora possono cambiare idea".

Sulle differenze tra i due aspiranti alla presidenza, Giancarlo La Vella ha intervistato Paolo Mastrolilli, corrispondente negli Usa per il quotidiano la Stampa: 

R. – Donald Trump ha impostato tutta la sua candidatura sul fatto di essere un outsider, un candidato contrario all’establishment repubblicano. Ha preso delle posizioni, in particolare sulla politica estera: ad esempio, contestando l’utilità della Nato o suggerendo che Giappone e Corea del Sud dovrebbero costruire le loro bombe atomiche per difendersi dalla Corea del Nord, posizioni che sono però completamente al di fuori della politica estera americana. Hillary Clinton, invece, viene considerata un candidato in continuità con l’amministrazione Obama, dove ha ricoperto il ruolo di segretario di Stato ed è molto più legata alle posizioni tradizionali della politica estera americana. Ci sono delle significative differenze anche per quanto riguarda i commerci internazionali, dove Donald Trump vorrebbe praticamente cancellare o rinegoziare tutti i trattati stipulati dagli Stati Uniti. La Clinton, invece, alcuni di questi trattati li ha negoziati di persona e quindi chiaramente li vuole conservare, perché ritiene che la globalizzazione sia un vantaggio per il Paese. Poi, naturalmente, ci sono anche delle evidenti differenze sul piano della politica interna. Donald Trump vorrebbe costruire un muro lungo il confine con il Messico e deportare tutti i 12 milioni di latini che vivono e lavorano negli Stati Uniti, ma che sono degli illegali. La Clinton invece vorrebbe favorire una strada verso la cittadinanza o, comunque, verso l’accettazione legale di queste persone nel Paese.

D. – Sullo Stato sociale, che è stato un pò il fiore all’occhiello del fronte democratico, cosa pensa Donald Trump?

R. – Trump, naturalmente, da questo punto di vista è un candidato repubblicano tradizionale. Gli esponenti del Partito repubblicano vogliono che lo Stato abbia meno peso possibile, mentre i democratici sono più favorevoli a una presenza dello Stato nell’attività sociale del Paese. Hillary Clinton sostiene la necessità di aver una sanità gratuita per tutti quanti i cittadini e quindi intende costruire sulla base della riforma fatta dal presidente Obama e che a suo avviso è troppo limitata. Al contrario, Trump vorrebbe completamente cancellare questa riforma sanitaria e tornare in sostanza solamente al sistema delle assicurazioni.

D. – Il  rapporto con le grandi potenze ?

R. – È un rapporto molto delicato in questo momento, perché c’è una forte instabilità in particolare con la Russia, che in Ucraina ha, di fatto, sfidato il sistema degli equilibri che si era creato in Europa dopo la Seconda Guerra mondiale, ma anche in Asia, perché la Cina nel Mar Cinese Meridionale sta portando avanti in sostanza delle politiche espansioniste. Da questo punto di vista, Trump ha semplicemente detto che sarebbe più bravo degli altri a fare degli accordi, mentre Hillary Clinton, chiaramente avendo avuto un’esperienza come segretario di Stato, ha già affrontato queste questioni. Certamente, lei aveva cercato di riavviare i rapporti con Mosca: è un’operazione che però non ha funzionato e si rende conto di quanto pericoloso sia il confronto in corso con Mosca. Per quanto riguarda la Cina, lei come segretario di Stato era stata la "regista" della politica degli Stati Uniti verso le regioni dell’Asia del Pacifico: certamente perché l’Asia è un grande continente in grande sviluppo economico e gli Stati Uniti ne hanno bisogno per lo sviluppo delle proprie imprese e dei loro interessi economici, ma anche perché questo serviva per fare un po’ da contraltare alla Cina e quindi rafforzare i rapporti economici e istituzionali con gli altri alleati della regione asiatica, proprio per frenare questo espansionismo cinese. Queste sono questioni che naturalmente il prossimo presidente dovrà comunque affrontare.

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Azione cattolica: col Papa un minuto di preghiera per la pace

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Dalle isole Tonga, a Betlemme, da Bujumbura a Roma: l’invito è a fermarsi un minuto per pregare per la pace. A promuovere la seconda edizione dell’iniziativa, domani,  sono il Forum internazionale di Azione Cattolica, Azione Cattolica Italia,  Azione Cattolica argentina e la Commissione nazionale Giustizia e pace della Conferenza episcopale argentina, nel secondo anniversario dell’incontro in Vaticano tra Papa Francesco, Shimon Peres e Abu Mazen. Un modo per ricordare che ciascuno di noi può essere strumento di pace, spiega Teresa Borrelli, responsabile di Azione Cattolica ragazzi al microfono di Francesca Sabatinelli

R. – Quest’anno, in maniera particolare, vogliamo che questo “Minuto per la pace” ci aiuti a pregare innanzi tutto per le vittime dei conflitti. La scelta di dedicare un minuto del nostro tempo alla preghiera concreta per la pace è un’attenzione che da sempre caratterizza l’esperienza dell’Associazione, che ogni volta prova a trovare, rispetto al contesto e al momento storico che viviamo, un’attenzione precisa. Quest’anno, questo “Minuto per la pace” vuole essere in ricordo delle vittime dei conflitti, in particolare il pensiero va ai rifugiati e a coloro che richiedono asilo, a coloro che arrivano e bussano alle porte dei nostri Paesi, ma anche a quanti muoiono attraversando il mare.

D. – Domani, è richiesto alle persone di fermarsi, ovunque siano, qualsiasi cosa stiano facendo, per pregare un minuto secondo la propria tradizione religiosa. Un gesto semplicissimo per un intento così difficile…

R. – Certo, un gesto semplicissimo. Dedicare un minuto del nostro tempo alla preghiera per la pace è una proposta semplice, ma sappiamo anche quanto intensamente può essere davvero vissuto in tutto il mondo questo minuto. Quindi, crediamo davvero che la forza della preghiera mirata a chiedere, a invocare il dono della pace – che è un dono dello Spirito, un dono da accogliere – possa essere significativo. Quindi, anche nella semplicità e nella brevità della preghiera vogliamo davvero sottolineare quanto sia importante per noi fermarci un attimo e ricordare anche le vittime dei conflitti. Approfittando proprio del ricordo di questo secondo anniversario – lo abbiamo vissuto anche l’anno scorso – la scelta è quella di continuare incessantemente a pregare per la pace, anche con un gesto che potrebbe apparentemente sembrare semplice ma che è un gesto, quello di fermarsi a pregare per la pace, che in tantissimi appartenenti a religioni e vite diverse possono vivere in tutto il mondo.

D. – L’appello rimbalza dall’Argentina, al Medio Oriente, all’Africa, perché è coinvolta anche Bujumbura, la capitale del Burundi, fino a Piazza San Pietro, dove l’appuntamento sarà all’udienza generale domani...

R. – Sì, l’appuntamento è domani a Roma all’udienza generale del mercoledì in Piazza San Pietro con un gruppo di giovani che simbolicamente rappresenteranno tutti i promotori. Poi, oltre all’udienza generale, ci sarà un ulteriore momento di preghiera alle 13 in punto nella Chiesa di Santo Spirito in Sassia, presieduto da mons. Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione e anche coordinatore del Giubileo della Misericordia. In quest’anno particolare di Giubileo straordinario della Misericordia, abbiamo scelto di vivere questo momento tutti insieme concretamente a Roma, in una chiesa, luogo simbolico che sicuramente ci vedrà riuniti in tanti proprio per ribadire il nostro impegno a favore della pace, un impegno che l’Azione Cattolica e altri organismi promotori provano a vivere nell’ordinarietà.

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Sergio Mattarella al 199.mo della Polizia penitenziaria

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Occorre un "profondo rinnovamento del modello di detenzione" che sappia "garantire la sicurezza della comunità" e nello stesso tempo consentire “opportunità di istruzione e di lavoro ai detenuti” in vista del recupero e dell'integrazione. Lo scrive il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, nel messaggio inviato al capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, Santi Consolo, in occasione del 199.mo anniversario del Corpo. Mattarella esprime inoltre gratitudine agli agenti impegnati quotidianamente nella delicata funzione dell'applicazione delle misure di giustizia che, sottolinea, devono corrispondere al senso di umanità. Adriana Masotti ha sentito Leo Beneduci, segretario generale del sindacato autonomo di polizia penitenziaria Osapp: 

R. – Guardi, se oggi il sistema penitenziario funziona, riesce a garantire un minimo di rispetto delle leggi e nello stesso tempo condizioni di vita non ottimali probabilmente, ma comunque tali da poter continuare ad esserci questo sistema, è grazie alla polizia penitenziaria. I poliziotti penitenziari sono l’87% dei dipendenti dell’amministrazione e il poliziotto penitenziario, in carcere, poi è quello che fa tutto. A parte la sicurezza, la sorveglianza… non dimentichiamo che il carcere serve come emenda ma soprattutto perché il cittadino rientri nella società civile, una volta che abbia scontato la pena, recuperato al vivere sociale. Ed è la polizia penitenziaria, il poliziotto penitenziario che 24 ore su 24 sta a contatto con i detenuti. Ovviamente, le tipologie della popolazione detenuta sono varie e c’è da dire che rispetto a non troppi anni fa – due anni fa – quando i detenuti erano 67 mila per più o meno 46 mila posti, oggi la situazione è di molto migliorata. Ovviamente, non esiste un rapporto uno a uno, cioè un poliziotto-un detenuto, tanto spesso capita che ci sia un solo agente per 50, 100 detenuti. E purtroppo, l’età media del poliziotto penitenziario – in carenza di assunzioni per le varie leggi sul blocco del pubblico impiego – è aumentata: oggi l’età media del poliziotto penitenziario comincia ad essere sui 46-47 anni.

D. – Un tempo si chiamavano “agenti di custodia”, che però è limitativo rispetto alla loro funzione…

R. – La polizia penitenziaria è stata istituita dal disciolto corpo degli “agenti di custodia” con legge del 1990. Quindi, sono propri compiti della polizia penitenziaria, istituzionalmente, il mantenimento dell’ordine e della sicurezza ma anche la partecipazione a quelle attività che sono legate all’osservazione del detenuto per individuare poi gli interventi che vanno compiuti per garantire la socializzazione. Quindi, c’è un gruppo di lavoro che si riunisce e che stabilisce questo trattamento. Dovrebbe essere individuale, ovviamente, ma questo nelle attuali carceri non è molto possibile. Le forme del trattamento possono riguardare i rapporti familiari, la cultura, lo sport, il lavoro e così via. La polizia penitenziaria partecipa a questo tipo di attività insieme ad altre figure che sono l’educatore, il direttore ecc. Tant’è che noi diciamo che la polizia penitenziaria è l’unico corpo di polizia che però ha questa preminente funzione di socializzante che è legata al trattamento rieducativo, alla risocializzazione dei detenuti. E chiaramente è una funzione amplissima, ma spesso mancano le risorse anche economiche per far fronte alle attività, alle esigenze della popolazione detenuta e anche del personale.

D. – Purtroppo, ci sono dei suicidi tra i detenuti ma anche, capita, tra gli agenti…

R. – Noi abbiamo stimato che tra i detenuti vi era una media di suicidi – tenga presente che se si suicida un detenuto, almeno altri venti sono salvati dall’intervento della polizia penitenziaria, quando c’è – comunque, l’anno scorso la media era venti volte superiore alla normale popolazione e tra i poliziotti penitenziari sette volte in più. Per quanto riguarda i poliziotti penitenziari, noi – come sindacato, come Osapp – abbiamo sempre cercato di dire che non è il carcere di per sé che spinge al suicidio il poliziotto penitenziario, cioè non è il lavoro all’interno del carcere. Ma sicuramente, se già sussistono cause esterne di vario tipo, quelle che normalmente accadono a qualsiasi persona, poi lavorare in un carcere che depersonalizza tantissimo – perchè molto spesso anche il poliziotto penitenziario in carcere è un numero, non viene troppo coinvolto, nonostante l’importante attività che svolge – lavorare in carcere non aiuta a superare questo tipo di problemi. Da ciò, questa percentuale alta di suicidi che però, almeno per l’anno in corso, noi notiamo essere diminuito, sia nella popolazione detenuta, per un intervento costante, direi anche per un grande lavoro che è stato fatto quest’anno, e per la diminuita promiscuità, è diminuita anche nel personale: forse perché c’è più coinvolgimento. In prospettiva esiste sempre la volontà di riqualificare anche professionalmente la polizia penitenziaria, anche rispetto alla funzione rieducativa di socialità. Quindi da una parte, si chiede una maggior attinenza e appartenenza alle forze di polizia, anche come ruoli, come carriera. Dall’altra parte, di potenziare questa funzione di socialità. Non dimentichiamo – e concludo – che si lavora per migliorare il carcere, perché ce ne sia sempre di meno, di carcere: non perché ce ne sia di più.

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Caritas, convegno su violenze domestiche, "relazioni violate"

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“Le relazioni violate: violenza domestica e violenza assistita”. Con questo titolo la Caritas di Roma ha promosso a Roma un convegno dedicato a un fenomeno purtroppo in crescita, quello della violenza domestica. L’incontro, che ha visto la collaborazione della Rete dei servizi e delle strutture di mamme con bambini, è stato rivolto a operatori socio-pastorali, personale delle Asl e dei servizi sociali territoriali, psicologi e volontari delle organizzazioni di volontariato. Vittoria Degli Angioli ne ha parlato con Marinella Mariotti, responsabile del “Centro Maree”: 

R. – I centri antiviolenza sono sicuramente degli strumenti fondamentali, perché le donne non solo vengono messe in sicurezza ma vengono anche sostenute, accolte. All’interno dei centri, le donne fanno un percorso individualizzato quindi prendono sempre maggiore consapevolezza della violenza, vengono comunque assistite anche dal punto di vista legale. C’è bisogno di un progetto che si costruisca con la donna e intorno alla donna: questo sicuramente è lo strumento fondamentale, al di là della denuncia. Ma per denunciare, poi, la donna ha anche bisogno di essere sostenuta in maniera adeguata. E’ sicuramente importante l’informazione, la sensibilizzazione e quindi che comunque il territorio, la cittadinanza, un po’ tutti siano informati sia dell’esistenza dei centri e anche della competenza che i centri hanno nel sostenere la donna, perché ci sono donne che ad oggi ancora non sanno cosa fare, dove possono andare.

D. – Siamo con Roberta Molina, responsabile dei centri d’accoglienza della Caritas di Roma. Perché la necessità di organizzare un convegno proprio su questo tema?

R. – Per metterci in rete, per capire che è un problema che non si può non affrontare, dove c’è necessità anche di avere una programmazione. Il senso del convegno è fare una rete, fare una programmazione e pensare a un futuro per queste donne che vivono violenze, soprattutto quando ci sono bambini. Veniamo da contesti diversi, ma siamo insieme per lo stesso scopo.

D. – Come è possibile aumentare la cultura del rispetto?

R. – In una delle relazioni si parlava di sensibilizzazione nelle scuole: bisogna lavorare molto sulla prevenzione e bisogna capire quando scatta la violenza. La violenza non è solo alla fine: la violenza inizia da piccoli gesti, appunto magari da uno schiaffo. E quindi questo è un percorso importante da intraprendere, quello della prevenzione, ovunque. Ovunque, in ogni contesto educativo, sociale in cui ci troviamo a parlare… Una delle relatrici diceva: “In fondo, la violenza è la donna della porta accanto”, e allora il non-girarci dall’altra parte quando sappiamo che ci sono azioni di violenza: già quella è una prevenzione.

D. – E quale dovrebbe essere, secondo lei, la risposta delle istituzioni?

R. – Io credo che debba esserci un’assunzione di responsabilità. Un’assunzione di responsabilità con leggi che in qualche modo tuteli veramente la donna. Perché il pericolo c’è e permane anche quando esce dal contesto di violenza. C’è ancora molto da fare, ma molto è stato fatto. Oggi, tutti sappiamo e questo è già un grande traguardo raggiunto.

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Stazione Termini, ricordata la clochard morta senza aiuti

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Ieri sera, al binario 1 della Stazione Termini di Roma, si è svolta la cerimonia in ricordo di Modesta Valenti, l’anziana senza fissa dimora deceduta il 31 gennaio 1983 per mancanza di assistenza e divenuta simbolo delle persone senza fissa dimora e spesso senza sostegno in caso di necessità. Gianmarco Murroni ha intervistato il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo

R. – Quest’oggi il pensiero va a Modesta Valenti, morta 33 anni fa qui alla Stazione Termini perché non soccorsa da una autoambulanza perché ritenuta sporca. Si sentì male e morì… E noi, attraverso Modesta, ricordiamo tutte le persone invisibili, alle quali passiamo magari vicino e non ci facciamo caso, che vivono in condizioni di precarietà o di vulnerabilità. Per queste persone oggi c’è un luogo che fa memoria di loro: è la targa che c’è al Binario 1 della Stazione Termini, che tutti i cittadini romani o i viaggiatori possono vedere e di fronte alla quale possono mettere un fiore. Noi andiamo sempre di corsa, di fretta, siamo presi da mille pensiero e questo luogo memoriale è una pietra di inciampo come direbbe il Vangelo: è una pietra di inciampo per ricordarci anche di chi soffre.

D. – Quanti e quante Modesta Valenti rischiano di esserci oggi?

R. – Ce ne sono tanti! La crisi economica ha creato una situazione di vulnerabilità e di precarietà per tante persone, anche giovani. Persone che perdono il lavoro, persone che, a causa di separazioni familiari, finiscono per strada, persone che non hanno i soldi per pagare le tasse e per tanti altri motivi… Ultimamente, devo dire e devo constatare – anche grazie al sacrificio di Modesta – che tante più persone sono al loro fianco: la Comunità di Sant’Egidio, le Caritas, le parrocchie, le associazioni e i gruppi spontanei... E’ bello veder convergere nei luoghi della sofferenza, come possono essere le stazioni o in tanti altri luoghi della città, un numero così alto di persone che vogliono sostenerli ed aiutarli.

D. – Quali persone e quali storie sono nascoste sotto coperte di lana o scatole di cartone?

R. – Sono le storie di tanti italiani, soprattutto del sud del nostro Paese: giovani che non hanno mai trovato lavoro, adulti che a causa appunto di una separazione si sono trovati per strada, persone anziane che hanno iniziato questa vita tanti anni fa e che oggi avrebbero bisogno veramente di trovare un tetto. La vera novità che Sant’Egidio può testimoniare è che quest’anno siamo riusciti, con uno sforzo ulteriore, a portarle a casa nostra, nelle nostre case, a creare delle convivenze di queste persone sottraendole alla strada. E’ un grande significato, perché – come dice Papa Francesco – l’accoglienza avviene nelle comunità: non bastano le strutture per accogliere, servono le comunità! Sant’Egidio e altre comunità sono pronte a fare questo. Fermarsi è tanto importante e noi lo sappiamo dal Vangelo, dalla Parabola del Buon Samaritano: quante volte abbiamo riascoltato questa Parabola nelle nostre chiese. E’ importante fermarsi, dire una parola, fare una domanda e – vorrei aggiungere – ascoltare. Queste persone hanno bisogno di essere ascoltate e noi abbiamo bisogno di ascoltarle, perché hanno tanto da dirci, tanto da raccontarci. E perché conoscendo la loro storia capiremo meglio come va il mondo.

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Nella Chiesa e nel mondo



Ingresso a Gerusalemme del neo Custode di Terra Santa padre Patton

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Ingresso solenne ieri a Gerusalemme del nuovo Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton. Con una processione solenne per le vie della Città Vecchia, l'atto di accoglienza a San Salvatore e la visita al Santo Sepolcro sono cominciati ieri gli atti formali con il quale il francescano si insedierà nelle sue funzioni, alla guida dei frati di Terra Santa che sono in Israele, Palestina e in tutto il Medio Oriente. Come è tradizione, alla Porta di Jaffa, insieme ai frati della Custodia, ad attenderlo c’erano il nunzio apostolico Giuseppe Lazzarotto, la delegazione del Patriarcato latino ma anche i rappresentanti delle altre confessioni cristiane di Gerusalemme e delle autorità civili della città, oltre che delle altre congregazioni religiose.

Padre Patton ha chiesto ai frati di accoglierlo "come un nuovo fratello
"Vengo a voi in punta di piedi sapendo che avrò bisogno di tempo per conoscervi e per potere visitare i luoghi in cui siete impegnati", ha detto il nuovo Custode definendosi "novizio" in questa "nuova chiamata". Ha aggiunto di conoscere "la complessità e la delicatezza del compito" a cui e' stato chiamato e ha chiesto ai frati di accoglierlo "come un nuovo fratello. Cercherò di prendermi cura di ciascuno - ha detto - consapevole di quanto ci ha detto il nostro padre san Francesco: che il servizio dell’autorità è il servizio del lavare i piedi ai propri fratelli".

Assicurata piena collaborazione alle autorità religiose e civili di Gerusalemme
Alle autorità religiose e civili di Gerusalemme presenti al rito il nuovo Custode ha assicurato "piena collaborazione. C’è una lunga storia di rapporti che ci lega - ha aggiunto - e sono sicuro che anche in futuro continueremo a collaborare insieme, ciascuno nella fedeltà al proprio ruolo e nella sincera ricerca di ciò che è bene per questa terra e i suoi abitanti". 

Padre Pizzaballa: questo luogo ferito continui ad essere la presenza della vita cristiana
Particolarmente significativo l’abbraccio con il proprio predecessore, Pierbattista Pizzaballa, per dodici anni alla guida della Custodia di Terra Santa: padre Patton ha voluto ringraziarlo pubblicamente "per il servizio svolto con zelo, competenza e senza risparmio di energie e alla cui esperienza avrò modo di attingere". Per l'occasione Padre Pierbattista Pizzaballa ha annunciato la sua partenza da Gerusalemme. "In questi giorni, ho ricevuto molti ringraziamenti, oggi tocca a me ringraziare - ha detto Pizzaballa ieri nella Messa che è stata celebrata a Gerusalemme per ringraziarlo del suo servizio -. Prima di tutto ringrazio il Signore per i miei 26 anni trascorsi a Gerusalemme, di cui 12 come Custode. Lo ringrazio anche per questa partenza, che segnerà un nuovo capitolo nella mia vita. Ciò che ho ricevuto in questa Città, dai miei frati, dalla comunità, è incommensurabile". E ha concluso: "Vogliamo che questo luogo ferito continui ad essere la presenza della vita cristiana".

Nei prossimi giorni Padre Patton compirà lo stesso gesto in tutti i Luoghi santi
Dopo il primo ingresso di ieri a San Salvatore, il nuovo Custode di Terra Santa Padre Patton nei prossimi giorni compirà lo stesso gesto in tutti i Luoghi santi: ieri si è recato al Santo Sepolcro, oggi al Cenacolo (la sede originaria della Custodia e di cui mantiene tuttora il titolo di Guardiano), giovedì alla basilica della Natività a Betlemme. Nelle prossime settimane sarà poi la volta di Jaffa e della basilica dell’Annunciazione a Nazareth.

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Terra Santa: iniziato il restauro dell'edicola del Santo Sepolcro

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Sono iniziati i lavori per il restauro dell'edicola del Santo Sepolcro, eretta in quello che la tradizione riconosce come il luogo della sepoltura e della resurrezione di Gesù. Gli esperti coinvolti nei lavori hanno iniziato ad operare ieri. L'architetto greco Antonia Moropoulou, docente alla National Technical University di Atene, coordinatore scientifico del progetto, ha detto in alcune dicharazioni rilasciate ai media che la struttura dell'edicola è stabile, ma ha bisogno di urgenti interventi di riqualificazione, dopo anni di esposizione a fattori ambientali come l'acqua, l'umidità e il fumo delle candele. Inoltre deve essere trovato un sistema non invasivo per mettere in sicurezza l'edicola dai rischi di eventuali scosse sismiche.

Non sarà interrotto il flusso dei pellegrini
​I lavori - riporta l'agenzia Fides - verranno svolti la mattina presto o la sera tardi, quando si sospende il flusso continuo di pellegrini e visitatori. Il progetto avrà un costo di circa 3,3 milioni di dollari e sarà sostenuto dalla Chiesa cattolica, dalla Chiesa greco-ortodossa e dalla Chiesa armena apostolica. Nel mese di aprile, il re di Giordania Abdallah II ha fatto pervenire sottoforma di “beneficienza reale” (Makruma) una consistente donazione personale a favore del progetto. 

Il ruolo di re Abdallah di Giordania
“Sua Maestà re Abdallah incarna nei fatti, e non solo a parole, la convivenza tra musulmani e cristiani in tutto il mondo e in particolare in Terra Santa” aveva dichiarato in quell'occasione Teophilos III, Patriarca greco ortodosso di Gerusalemme, esaltando il ruolo svolto dalla Giordania nella tutela della presenza dei cristiani in Terra Santa e riconoscendo al sovrano hashemita il titolo di “guardiano e custode dei luoghi santi cristiani e musulmani a Gerusalemme”. (G.V.)

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Namibia: Assemblea della Federazione Luterana Mondiale

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Con una solenne cerimonia a Windhoek, capitale della Namibia, il 2 giugno la Federazione Luterana Mondiale (Flm) ha dato ufficialmente il via ai preparativi della sua XII Assemblea generale e delle celebrazioni dei 500 anni della Riforma che si svolgeranno dal 10 al 16 maggio 2017 nella stessa capitale namibiana.

Il momento culminante della cerimonia l’accensione di una lanterna
Più di 500 gli ospiti dell’evento, al quale hanno partecipato, tra gli altri, il presidente della Flm, il vescovo Munib A. Yunan, vescovo della Chiesa evangelico-luterana in Giordania e Terra Santa, Nickey Iyambo, vice presidente della Repubblica di Namibia, e anche leader politici del Paese, diplomatici, rappresentanti di altre Chiese e visitatori provenienti dall’estero. Il momento culminante della celebrazione è stato l’accensione di una lanterna da parte del vescovo emerito Zephania Kameeta, membro del Consiglio della Flm.

Il secondo Paese africano ad ospitare un’Assemblea della Flm
Nel suo intervento il rev.do Younan ha ricordato che è la seconda volta che un’Assemblea della Flm si svolge in Africa ed ha evidenziato che gli eventi programmati per il 2017 daranno l’opportunità di riscontrare la rilevanza del Vangelo in Namibia. “L’esempio della Namibia ci mostra che nessun conflitto, nessuna oppressione, né l’apartheid possono uccidere il desiderio di un popolo per la libertà e per i diritti umani”, ha detto. Il vice-presidente Iyambo ha sottolineato, da parte sua, i buoni rapporti che intercorrono tra lo Stato e le Chiese luterane. In particolare ha ringraziato la Federazione per il sostegno dato durante la lotta del Paese per l’indipendenza e per il suo attuale contributo nel campo dell’educazione in Namibia. Dello stesso tenore l’intervento  del vescovo Shekutaamba Nambala, presidente del Consiglio della Chiesa Unita – Chiese evangeliche luterane della Namibia: “Nel 2017 vogliamo mostrare alla Federazione la terra per la quale ha combattuto. Vogliamo loro presentare il Paese più luterano dell’Africa”.

Lanciato un sito web per l’Assemblea del 2017
Per l’occasione è stato lanciato anche un sito web per la XII Assemblea: www.lwfassembly.org  dove saranno pubblicate le comunicazioni e informazioni sull’assemblea.

La commemorazione ecumenica della Riforma a Lund con Papa Francesco
Le celebrazioni dei 500 anni della Riforma inizieranno a Lund in Svezia il 31 ottobre - data dell'affissione delle famose 95  Tesi di Martin Lutero sul portone della chiesa di Wittenberg nel 1517 - con la partecipazione di Papa Francesco. Per la prima volta nella storia, cattolici e luterani celebreranno insieme questa data con una commemorazione ecumenica, come rendimento di grazie per i doni della Riforma e con spirito di pentimento per le divisioni che sono sorte dalle loro controversie teologiche. 

L'evento grazie al documento della Commissione cattolico-luterana sull'unità
La commemorazione si iscrive anche nel processo di ricezione del documento “Dal conflitto alla comunione”, pubblicato nel 2013 dalla Commissione cattolico-luterana sull’unità, in cui le due Chiese cercano per la prima volta di ricostruire insieme la storia della Riforma e le sue intenzioni. La commemorazione ecumenica di Lund vuole così sottolineare il progresso del dialogo tra cattolici e luterani avviato nel 1967. I risultati più significativi di questo processo si trovano nella storica Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, firmata nel 1999 dalla Flm e dalla Chiesa cattolica. (A cura di Lisa Zengarini)

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India. Preghiere per le piogge: 330 milioni di persone colpite da siccità

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Almeno 330 milioni di persone in India sono colpite dalla forte siccità registrata nelle ultime settimane. Da mesi le piogge scarseggiano e le zone rurali sono del tutto senza acqua. L’agricoltura, settore in cui è impegnata la maggior parte della popolazione, è in crisi e le condizioni di chi è costretto a vivere con temperature superiori ai 40 gradi sono drammatiche. Secondo gli esperti, la siccità è provocata da due anni di scarse piogge monsoniche, che di solito compensavano i periodi di temperature elevate. Nel 2016 invece ci sono state poche precipitazioni e le riserve di acqua sono ai livelli minimi di tutto il decennio.

I danni all'agricoltura causa di suicidio per i contadini
I danni provocati all’agricoltura sono il motivo principale di una delle conseguenze peggiori di questa situazione: il suicidio tra gli agricoltori. Nel solo Stato del Maharashtra almeno 116 contadini hanno deciso di togliersi la vita. In tutto, 28mila villaggi sono senza acqua. Inoltre l’Alta corte di Mumbai ha stabilito di rimandare le partite della Premier League indiana, che si doveva disputare nello Stato, per la mancanza di acqua con cui preparare i campi.

Preghiere per le piogge
​Il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai ha chiesto di recitare la “Preghiera per le piogge” al termine di tutte le Messe celebrate nelle chiese dell’arcidiocesi. (N.C.)

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Myanmar: card. Bo plaude la proposta di legge su armonia religiosa

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Il card. Charles Maung Bo apprezza l’impegno del nuovo Governo democratico birmano a promuovere l’armonia religiosa in Myanmar, ma si dice “scettico” sul contributo che vorrà dare il Partito della solidarietà e dello sviluppo dell'Unione (Usdp) -  emanazione del precedente regime militare - al processo di distensione dei rapporti tra la maggioranza buddista e le minoranze religiose del Paese.

Una nuova legge contro chi disturba la pacifica convivenza religiosa
L’arcivescovo di Yangon commenta così all'agenzia Asianews la notizia del pacchetto di leggi allo studio dell’Esecutivo guidato dalla Lega nazionale per la democrazia (Nld) per “promuovere la convivenza pacifica fra le confessioni e ad agire contro coloro che disturbano questo stato di armonia”. Il riferimento è alle perduranti violenze etnico-confessionali  di cui sono state vittime in questi ultimi anni in particolare i musulmani Rohingya e  che hanno causato alcune centinaia di morti e 140mila sfollati.

Preoccupazione per le nuove “Leggi a difesa della razza e della religione”
Il “diritto di professare e praticare la religione” è formalmente riconosciuto dalla Costituzione promulgata nel 2008 dall’Usdp, con il limite del  “rispetto dell’ordine pubblico, della moralità, della salute e delle altre disposizioni della Carta”, ma l’anno scorso lo stesso partito allora al potere, su pressione di frange radicali buddhiste, ha fatto approvare quattro “Leggi a difesa della razza e della religione” concepite per colpire la minoranza musulmana. Esse, infatti, comprendono misure contro i matrimoni misti, le conversioni religiose, la poligamia e per il controllo delle nascite. Per questo sono state criticate anche dalla Chiesa birmana.

L’apprezzamento dell’impegno di San Suu Kyi in difesa della libertà religiosa
​La nuova legge sull’armonia religiosa che il nuovo Governo si appresta a presentare al Parlamento si muove in direzione opposta. Secondo il card. Bo, essa è un segno che “Aung San Suu Kyi – la storica leader dell'opposizione birmana che alle elezioni dello scorso novembre ha guidato il suo partito alla vittoria dopo 50 anni dittatura militare -  sta preparando la strada per raggiungere la pace fra le fedi. Un’altra indicazione di questo è il fatto che abbia chiamato a colloquio i monaci del Ma Ba Tha, offrendo loro rispetto e chiedendo le loro preghiere”. San Suu Kyi, continua l’arcivescovo, “ha anche consigliato ai monaci di avere rispetto e stima per le altre religioni e di non discriminare secondo razza e fede”. Questo, conclude il porporato, “è un passo coraggioso che lei sta facendo, nel seguire la Costituzione laddove essa protegge le religioni contro le discriminazioni”. (L.Z.)

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Chiesa Dominicana: mobilitazione contro l'Assemblea Osa

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La 46.ma Assemblea dell'Organizzazione degli Stati Americani (Osa) sul tema "Costruzione della capacità istituzionale per lo sviluppo sostenibile in America", che si terrà nel Paese dal 13 al 15 di questo mese, vedrà una mobilitazione della Chiesa cattolica locale che ha previsto diverse manifestazioni pacifiche contro questo organismo. La nota inviata all'agenzia Fides da una fonte locale, segnala che, per la Chiesa, l'Osa si è lasciata influenzare negli ultimi anni da settori che promuovono l'aborto e sostengono leggi che minacciano la tradizione e il patrimonio del Paese, la famiglia e la libertà religiosa.

L'intervento del vescovo ausiliare di Santo Domingo
"L'Osa si augura che il nostro Paese firmi accordi che compromettono la nostra libertà come nazione, perché oltre a chiedere cambiamenti nelle nostre leggi, si pretende che la Corte InterAmericana dei diritti dell'uomo abbia autorità sui nostri tribunali" ha detto mons. Amancio Escapa Aparicio, vescovo ausiliare dell'arcidiocesi di Santo Domingo, dopo la celebrazione della Messa in cattedrale, domenica scorsa.

La Chiesa ha organizzato una marcia fino al Centro Congressi
​Durante la celebrazione giubilare per i sacerdoti, venerdì 3 giugno, alla quale erano presenti quasi tutti sacerdoti dell'arcidiocesi, mons. Escapa ha annunciato le manifestazioni organizzate, con la raccomandazione di estendere l'invito a tutte le parrocchie della capitale. Prima dell'inizio dell'Assemblea dell'Osa, in cui si prevede la presenza dei rappresentanti di 35 Paesi, l'arcidiocesi ha programmato una marcia che terminerà di fronte al Centro Congressi del Ministero degli Esteri, proprio dove si terrà la riunione. (C.E.)

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Nicaragua: Ortega rifiuta gli osservatori. Vescovi critici

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"Osservatori svergognati. Qui è finita la vostra osservazione, potete andare ad osservare altri Paesi": con queste parole il Presidente nicaraguense Ortega, nel suo discorso al Congresso del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale pronunciato il 4 giugno, ha chiuso di colpo alla richiesta della popolazione, delle imprese private e dei partiti di opposizione, di avere la presenza di osservatori internazionali alle elezioni presidenziali del 6 novembre 2016.

Per la Chiesa non si può continuare a calpestare la democrazia
Alla notizia - riporta l'agenzia Fides - il portavoce della Conferenza episcopale del Nicaragua (Cen), mons Jorge Solorzano, vescovo di Granada, ha detto che si deve avere attenzione ed una "estrema cura" del processo elettorale del Paese. "Non si può continuare a calpestare la democrazia né perdere la fiducia del popolo" ha ribadito. "In Nicaragua tutti dobbiamo esercitare il diritto a partecipare alle elezioni, non possiamo rimanere indifferenti, pigri o estranei a tutto ciò che è la negazione o la messa in pericolo della pace" ha detto mons. Solorzano parlando alla stampa locale. "Il governo e il Consiglio Supremo Elettorale sono tenuti a dare garanzie perché si possa vivere una giornata democratica, e questo include l'osservazione internazionale" ha concluso il vescovo nella nota inviata a Fides.

I vescovi non hanno risposte dal Presidente
Il 21 maggio scorso, i vescovi avevano rinnovato al Presidente la richiesta di impegnarsi per garantire un processo elettorale trasparente. La lettera consegnata dalla Conferenza episcopale due anni fa con il titolo “En Búsqueda de Nuevos Horizontes, para una Nicaragua mejor” (Alla ricerca di nuovi orizzonti per un Nicaragua migliore), non ha avuto ancora risposta. (C.E.)

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Olanda. Card. Eijk: no a creazione embrioni a scopo di ricerca

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Il card. Willem Eijk, arcivescovo di Utrecht e presidente dei vescovi olandesi, ha preso posizione circa l’ipotesi del Ministro della salute Edith Schippers di rendere giuridicamente possibile la creazione di embrioni a scopo di ricerca.

Non si può violare il principio della dignità della persona umana
“La vita di un essere umano non può essere sacrificata per il benefici o il benessere fisico di altri”, scrive il cardinale, come referente per le questioni medico-etiche della Conferenza episcopale olandese in un contributo pubblicato su www.katholieknieuwsblad.nl e ripreso dall’agenzia Sir. La Chiesa cattolica guarda “molto positivamente alla ricerca scientifica che produce la scoperta di nuove terapie”, ma questo non deve violare il principio della “dignità della persona che deve essere riconosciuta in ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale”. Scrive il cardinale che gli insegnamenti della Chiesa “in questo ambito sono spesso dipinti come negativi” a motivo dei “no” che la Chiesa dice.

La Chiesa chiede che gli embrioni non siano sacrificati alla ricerca
La dottrina della Chiesa “vuole solo che gli embrioni non siano sacrificati alla ricerca ma siano rispettati come persone umane. Questo significa ‘sì’ alla vita umana e ‘no’ alla violazione della sua dignità”. Se già la legge del 2002 costituiva una violazione della dignità fondamentale poiché permetteva in particolari casi l’uso degli embrioni soprannumerari per la ricerca, “la creazione di embrioni a specifico scopo di ricerca sarebbe violazione ancora più grave perché ne comporterebbe la creazione ad uso deliberato della ricerca”. (L.Z.)

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Polonia: Plenaria dei vescovi su Gmg, famiglia e migrazioni

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La Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia, i problemi delle famiglie e il fenomeno delle migrazioni saranno i temi principali della 373.ma Assemblea plenaria della Conferenza episcopale polacca prevista oggi e domani a Varsavia. I vescovi – riferisce l’agenzia Sir - decideranno anche in merito ad alcuni particolari del grande pellegrinaggio a Roma previsto a ottobre nell’ambito delle celebrazioni del 1050.mo anniversario della cristianizzazione della Polonia.

Aiuto per le popolazioni del Medio Oriente
Il problema dei profughi e rifugiati verrà presentato dal presidente del Consiglio per le migrazioni e il turismo dell’episcopato polacco, mons. Krzysztof Zadarko. Dell’attuale situazione dei profughi invece parlerà il presidente della Caritas polacca, don Marian Subocz, che presenterà altresì le diverse forme di aiuto e sostegno prestati alle popolazioni del Medio Oriente.

La questione delle unioni civili
I presuli focalizzeranno la loro attenzione anche sulle problematiche delle unioni civili alla luce dell’esortazione “Amoris laetitia” di Papa Francesco. È prevista l’adozione di un piano pluriennale della pastorale delle famiglie la cui bozza è già stata preparata dal Consiglio responsabile. La prossima Plenaria, tra l’altro, sarà l’ultima per il nunzio apostolico in Polonia, mons. Celestino Migliore, nominato rappresentante pontificio a Mosca. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 159

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.