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Sommario del 10/06/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa a Chiese riformate: uniti nel testimoniare la misericordia di Dio

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Tutti i cristiani siano uniti nel testimoniare la misericordia in un mondo che vive “come se Dio non esistesse”. E’ l’esortazione levata da Papa Francesco nell’udienza in Vaticano alla delegazione del Direttivo della Comunione Mondiale delle Chiese Riformate. Un evento, ha detto il Pontefice, che rappresenta un ulteriore passo nel cammino ecumenico. Da Francesco l’esortazione a favorire quindi un ecumenismo che promuova una comune missione di servizio. L’ultima visita al Papa di una delegazione delle Chiese riformate era avvenuta dieci anni fa con Benedetto XVI. Il servizio di Alessandro Gisotti

Un incontro che è “segno efficace della nostra perseverante determinazione a camminare insieme nel pellegrinaggio verso la piena unità”. Francesco ha tratteggiato così l’udienza alla delegazione del direttivo della Comunione mondiale delle Chiese riformate ed ha subito messo l’accento sui passi fatti tra Chiesa Cattolica e Chiese riformate negli ultimi anni. Una fraternità, ha detto riecheggiando San Giovanni Paolo II, che “si radica nel riconoscimento dell’unico Battesimo” e non è “conseguenza di un filantropismo liberale”. Il Papa ha poi ricordato l’importanza della conclusione della fase del dialogo teologico tra la Comunione Mondiale delle Chiese Riformate e il dicastero per l’Unità dei Cristiani sul tema “La giustificazione e la sacramentalità: la comunità cristiana come operatrice di giustizia”.

La nostra fede in Gesù, ha detto il Pontefice, ci “spinge a vivere la carità mediante gesti concreti”. E, ha soggiunto, che in un mondo dove sperimentiamo spesso una “desertificazione spirituale”, tutti i cristiani sono chiamati  “a testimoniare insieme l’amore misericordioso di Dio, vero antidoto di fronte al senso di smarrimento e all’indifferenza che sembrano circondarci”:

“Especialmente allí donde se vive como si Dios no existiera…”
“Soprattutto là dove si vive come se Dio non esistesse – ha detto – le nostre comunità cristiane sono chiamate ad essere anfore che dissetano con la speranza, presenze in grado di ispirare fraternità, incontro, solidarietà, amore genuino e disinteressato”. Esse, ha soggiunto, “sono tenute ad accogliere e ravvivare la grazia di Dio, per non chiudersi in se stesse e aprirsi alla missione”. “Non è possibile, infatti – ha ammonito – comunicare la fede vivendola in maniera isolata o in gruppi chiusi e separati, in una sorta di falsa autonomia e di immanentismo comunitario”. Così facendo, infatti, “non si riesce a rispondere alla sete di Dio che ci interpella e che emerge anche da molteplici nuove forme di religiosità”. Francesco ha poi messo in guardia da un ripiegamento "su sé stessi e sui propri bisogni, favorendo una sorta di ‘consumismo spirituale’”:

“Se necesita urgentemente un ecumenismo…”
“Vi è urgente bisogno – ha affermato – di un ecumenismo che, insieme allo sforzo teologico per ricomporre le controversie dottrinali tra i cristiani,  promuova una comune missione di evangelizzazione e di servizio”. Certo, ha constatato, ci sono già “molte iniziative e buone collaborazioni in diversi luoghi”. Tuttavia, è stata la sua esortazione, “tutti possiamo fare di più, insieme, per offrire una testimonianza viva ‘a chiunque domandi ragione della speranza che è in noi’: trasmettere l’amore misericordioso del nostro Padre, che gratuitamente riceviamo e generosamente siamo chiamati a ridonare”.

“Que este encontrarnos sirva de ánimo…”
“Il nostro ritrovarci – ha dunque concluso il Papa – possa incoraggiare tutte le comunità riformate e cattoliche a continuare a lavorare insieme per trasmettere la gioia del Vangelo agli uomini e alle donne del nostro tempo”.

La realtà delle Chiese riformate raccolte sotto la sigla del Wcrc è articolata e diffusa a livello internazionale. A illustrarla, al microfono di Philippa Hitchen, è il delegato del Pontificio Consiglio Promozione Unità dei Cristiani, don Avelino Gonzalez-Ferrer:

R. – The Wcrc is a union of two separate groups…
Il Wrcr (World Communion of Reformed Churches – Comunione mondiale delle Chiese riformate) è un’unione di due gruppi distinti, al quale spesso ci si riferisce con la definizione di “Consiglio ecumenico mondiale delle Chiese riformate”. Nel 2010, questi due gruppi si sono uniti e sono confluiti nel Wcrc e dunque sono questi oggi i nostri più diretti interlocutori. Rappresentano oltre 205 Chiese membri in un centinaio di Paesi, è un’istituzione piuttosto ampia. Le Chiese che si raggruppano in questa Comunione sono, tra le altre, le Chiese congregazionale, la Chiesa presbiteriana, i Riformati olandesi, le Chiese unite e unitariane e le Chiese valdesi. La maggioranza delle Chiese si trovano nel Sud del mondo. La presidenza si trova a Hannover, in Germania, dopo essere stata per molti anni a Ginevra.

D. – Lei diceva che queste comunità ecclesiali sono i suoi maggiori interlocutori: questo dialogo con le Chiese riformate è in atto ormai da mezzo secolo, più o meno…

R. – Very much so. Right after the Second Vatican Council, as you know, ...
Esattamente. Come lei sa, il Concilio Vaticano II ha prodotto una grande aspettativa nei riguardi  dell’ecumenismo e del dialogo, della costruzione di ponti che avrebbero aiutato a superare i risentimenti, e via dicendo. Fin dall’inizio, la Chiesa ha aperto il dialogo con le Chiese riformate: questa è la quarta sessione di dialogo internazionale e ciò è molto importante.

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Francesco: Dio si incontra in piedi, in silenzio e in uscita

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La vita del cristiano si può riassumere in tre atteggiamenti: stare “in piedi” per accogliere Dio, in paziente “silenzio” per ascoltarne la voce, “in uscita” per annunciarlo agli altri. Lo ha spiegato Papa Francesco all’omelia della Messa del mattino celebrata in Casa S. Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis

Puoi essere un peccatore pentito che ha deciso di ricominciare con Dio o anche un prescelto che a Lui ha consacrato la vita, in ogni caso ti può assalire la “paura” di non farcela, puoi entrare in uno stato di “depressione” quando la fede si annebbia.

In piedi e in cammino
Per approfondire questo aspetto e indicare come uscire dal tunnel, il Papa evoca per un istante la situazione del figliol prodigo, depresso mentre guarda affamato i porci, ma soprattutto si concentra sul personaggio della liturgia del giorno, il profeta Elia. Costui, ricorda Francesco, è “un vincitore” che “ha lottato tanto per la fede”, ha sconfitto centinaia di idolatri sul Monte Carmelo. Poi, all’ennesima persecuzione che lo prende a bersaglio, si abbatte. Si accascia scoraggiato sotto un albero aspettando di morire sennonché Dio non lo lascia in quello stato di prostrazione, ma gli invia un angelo con un imperativo: alzati, mangia, esci:

“Per incontrare Dio è necessario tornare alla situazione in cui l’uomo era al momento della creazione: in piedi e in cammino. Così ci ha creato Dio: alla sua altezza, a sua immagine e somiglianza e in cammino. ‘Vai, vai avanti! Coltiva la terra, falla crescere; e moltiplicatevi...’. ‘Esci!’. Esci e vai al Monte e fermati sul Monte alla mia presenza. Elia si mise in piede. Messo in piedi, esce”.

Il filo di un silenzio sonoro
Uscire, quindi mettersi in ascolto di Dio. Ma “come passa il Signore? Come posso incontrare il Signore per essere sicuro che sia Lui?”, si chiede Francesco. Il brano del Libro dei Re è eloquente. Elia viene invitato dall’angelo a uscire dalla caverna sul Monte Oreb dove ha trovato riparo per stare alla “presenza” di Dio. Tuttavia, a indurlo a uscire non sono né il vento “impetuoso e gagliardo” che spacca le rocce, né il terremoto che segue e nemmeno il successivo fuoco:

“Tanto chiasso, tanta maestà, tanto movimento e il Signore non era lì. ‘E dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera’ o, come è proprio nell’originale, ‘il filo di un silenzio sonoro’. E lì era il Signore. Per incontrare il Signore, bisogna entrare in noi stessi e sentire quel ‘filo di un silenzio sonoro’ e Lui ci parla lì”.

L’ora della missione
La terza richiesta dell’angelo a Elia è: “Esci”. Il profeta è invitato a tornare sui suoi passi, verso il deserto, perché gli viene affidato un incarico da compiere. In ciò, sottolinea Francesco, si coglie lo sprone “a essere in cammino, non chiusi, non dentro il nostro egoismo della nostra comodità”, ma “coraggiosi” nel “portare agli altri il messaggio del Signore”, cioè andare in “missione”:

“Dobbiamo sempre cercare il Signore. Tutti noi sappiamo come sono i momenti brutti: momenti che ci tirano giù, momenti senza fede, oscuri, momenti in cui non vediamo l’orizzonte, non siamo capaci di alzarci. Tutti sappiamo questo! Ma è il Signore che viene, ci ristora col pane e con la sua forza e ci dice: ‘Alzati e vai avanti! Cammina!’.  Per incontrare il Signore dobbiamo essere così: in piedi e in cammino. Poi aspettare che Lui ci parli: cuore aperto. E Lui ci dirà: ‘Sono Io’ e lì la fede diviene forte. La fede è per me, per custodirla? No! E’ per andare a darla ad altri, per ungere gli altri, per la missione”. 

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Papa eleva a festa la celebrazione di Maria Maddalena

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La celebrazione di Santa Maria Maddalena, oggi memoria obbligatoria nel giorno 22 luglio, sarà elevata nel Calendario Romano generale al grado di festa. Per espresso desiderio del Papa la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha pubblicato il relativo decreto. Il servizio di Paolo Ondarza

"Apostolorum Apostola" la definiva san Tommaso d’Aquino: Maria Maddalena fu infatti la testimone oculare del Cristo Risorto, la prima a darne testimonianza agli apostoli. La celebrazione di questa Santa, finora memoria obbligatoria, sarà elevata nel Calendario Romano Generale al grado di Festa. Ne da notizia il decreto datato 3 giugno 2016, solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, a firma del cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, reso noto oggi. Nell’articolo di commento firmato dal segretario, mons. Artur Roche, si spiega che la  decisione si iscrive nell’attuale contesto ecclesiale, che domanda di riflettere più profondamente sul tema, della dignità della donna, la nuova evangelizzazione e la grandezza del mistero della misericordia divina.

Decisione presa nel contesto del Giubileo della Misericordia
“Fu San Giovanni Paolo II – si ricorda – a dedicare una grande attenzione non solo all’importanza delle donne nella missione stessa di Cristo e della Chiesa, ma anche alla peculiare funzione di Maria di Magdala quale prima testimone che vide il Risorto e prima messaggera che annunciò agli apostoli la risurrezione del Signore". Un’importanza ribadita nell’impegno della Chiesa per la nuova evangelizzazione “che vuole accogliere, senza alcuna distinzione, uomini e donne di qualsiasi razza, popolo, lingua e nazione, per annunciare loro la buona notizia del Vangelo di Gesù Cristo, accompagnarli nel loro pellegrinaggio terreno ed offrir loro le meraviglie della salvezza di Dio". La decisione di Papa Francesco si inserisce nel contesto del Giubileo della Misericordia “per significare la rilevanza di questa donna che mostrò un grande amore a Cristo e fu da Cristo tanto amata”.

Maria Maddalena, prima testimone della Divina Misericordia
La tradizione ecclesiale in Occidente identifica nella stessa persona Maria di Magdala, la donna che versò profumo nella casa di Simone, il fariseo, e la sorella di Lazzaro e Marta. Maria Maddalena formò parte del gruppo dei discepoli di Gesù, lo seguì fino ai piedi della croce e, nel giardino in cui si trovava il sepolcro, fu la prima testimone della Divina Misericordia, “la prima a vedere il sepolcro vuoto e la prima ad ascoltare la verità della sua risurrezione”. Nell'articolo di commento si segnala il contrasto tra Eva, donna del giardino del paradiso e Maria Maddalena, donna del giardino della risurrezione. La prima diffuse la morte dove c’era la vita; la seconda annunciò la Vita da un sepolcro, luogo di morte. «Noli me tangere», l’invito rivolto da Cristo a Maria Maddalena è per tutta la Chiesa: a non cercare sicurezze umane e titoli mondani, ma la fede in Cristo Vivo e Risorto! “E’ giusto – conclude l’articolo di commento – che la celebrazione di questa donna abbia il medesimo grado di festa dato alla celebrazione degli apostoli nel Calendario Romano Generale e che risalti la speciale missione di questa donna, che è esempio e modello per ogni donna nella Chiesa”. Il giorno della celebrazione – si specifica nel decreto – rimane invariato, il 22 di luglio.

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La Chiesa è accanto ai poveri: il Papa andrà in visita al Pam

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Papa Francesco, il prossimo 13 giugno, sarà in visita alla sede di Roma del Programma Alimentare Mondiale (Pam),  l'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di assistenza alimentare. E’ il primo Pontefice a visitare l'agenzia, che è la più grande organizzazione umanitaria del mondo; assiste infatti una media di 100 milioni di persone in 78 Paesi. Il Papa rimarrà nell'agenzia per un paio di ore nel corso delle quali incontrerà le autorità ed i Capi di Stato e Ministri presenti all’Assemblea, farà una sosta davanti al muro della memoria per i caduti del Pam e saluterà i dipendenti con le loro famiglie ed alcuni funzionari che sono stati feriti in missione. Sull'importanza di questa visita Mercedes De La Torre ha intervistato l'Osservatore Permanente della Santa Sede al Pam mons. Fernando Chica Arellano

R. – Lo primero que tengo que decir…
Prima di tutto voglio dire che è una grande gioia. All’interno dell’organismo delle Nazioni Unite hanno ricevuto la notizia di questa visita con grande entusiasmo, non appena hanno saputo la data, perché è la prima volta che un Pontefice visita il Programma. Tutti i Pontefici, nel tempo, hanno fatto visita alla Fao. Papa Francesco è stato l’ultimo, il 20 novembre 2014, ma naturalmente anche Papa Benedetto XVI, Giovanni Paolo II, Paolo VI… Alla Fao, dunque, sono andati molti Pontefici, ma non al Programma Alimentare Mondiale, è la prima volta. Giovanni Paolo II una volta è andato in visita all’Ifad, il Fondo per lo Sviluppo Agricolo. Per questo la visita di un successore di Pietro al Pam è molto importante. Il Papa, infatti, vuole dire che partecipa a tutti gli obiettivi delineati e fatti propri da questo organismo. E’ un Programma che lotta contro la fame, non solo in maniera teorica, perché ha molti funzionari distribuiti in tutto il mondo: 11.500 funzionari circa. Nei Paesi più poveri della Terra, lì è presente il Programma Alimentare Mondiale, non solo quando ci sono le emergenze, cosa che accade molto spesso, ma anche con un lavoro silenzioso e continuo, per ricordare che la comunità internazionale si trova anche dove il dolore e la fame sono più presenti. Il Programma Alimentare Mondiale sta portando avanti un lavoro di grande merito in questi Paesi. Pensiamo, ad esempio, ad Haiti; pensiamo a tutti i Paesi dell’America Latina, del cosiddetto “corredor seco”, corridoio secco, del Centramerica, che hanno un problema di siccità e sono colpiti dal fenomeno conosciuto come “El Niño”, quel tremendo flagello che colpisce soprattutto il Centroamerica e che causa grandi devastazioni. Lì è presente il Programma Alimentare Mondiale in maniera molto efficace, per aiutare tutti.

D. – Il Papa parlerà del dramma della fame, che affligge 800 milioni di persone, un tema molto vivo del suo Pontificato...

R. - La Santa Sede, en concreto Su Santidad el Papa Francisco…
La Santa Sede, specificatamente Sua Santità Papa Francesco, dall’inizio del suo Pontificato, è molto vicino a queste tematiche. Il Papa le porta nel suo cuore, non da ora ma da quando era giovane. Papa Francesco è molto vicino a tutti coloro che soffrono e lo fa con la sua parola, lo fa con la sua testimonianza, e lo fa anche grazie ad una serie di iniziative. Andare al Pam rientra in questa predilezione del Papa per coloro che sono più amati dal Signore, i poveri. Quindi, questo mostra che la Santa Sede porta avanti un lavoro di solidarietà internazionale meraviglioso, e lo mostra  non solo con questa visita, ma anche con i continui appelli del Pontefice di fronte alle crisi. Per esempio, in Medio Oriente, in Centrafrica, quando è scoppiato il flagello dell’Ebola. Nel 2014, la Santa Sede ha dato un aiuto simbolico per combattere questa tremenda malattia, che colpiva molti nostri fratelli africani. Il Papa vuole mostrare che dove c’è sofferenza umana lì c’è la Chiesa, perché la Chiesa è esperta in umanità, perché la Chiesa è scuola del miglior umanesimo. Nessuna sofferenza umana è estranea alla Chiesa, nessuna. Quindi, dove c'è un povero, dove c'è una persona svantaggiata, dove c'è una necessità, lì dobbiamo stare come Chiesa, dal Papa fino all’ultimo dei battezzati. Tutti, come popolo di Dio, dobbiamo tenere i poveri nel nostro cuore, e non per populismo, no, ma per imitare Cristo. Lui nella Sinagoga di Nazareth ha indicato esplicitamente il suo programma messianico, in cui i poveri occupano un posto privilegiato. La Santa Sede vuole spingere questa solidarietà internazionale. Dove sono quelli che soffrono qualsiasi tipo di dolore, di angustia, di abbattimento, lì è la Chiesa e la Santa Sede, e naturalmente lì è il Papa in prima persona.

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Santa Sede: nuovo accordo con società PricewaterhouseCoopers

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Tenendo conto dell’“apprezzata” attività già svolta da PricewaterhouseCoopers, la Santa Sede, con un comunicato della Sala Stampa vaticana, ha reso noto di aver sottoscritto “un nuovo accordo che, in coerenza al quadro istituzionale, prevede una collaborazione più ampia” di tale società di revisione e suscettibile di essere adattata alle esigenze della stessa Santa Sede.

Come reso noto nelle scorse settimane, si era ritenuto opportuno sospendere le attività di revisione “per esaminare – riporta la nota - il significato e la portata di alcune clausole del contratto, nonché le modalità di esecuzione del medesimo”. Insieme a PricewaterhouseCoopers, tali elementi sono stati sottoposti ai “necessari approfondimenti” in un’atmosfera di “serena collaborazione, risolvendo le questioni originariamente emerse”.

In particolare, si è riconosciuto che, per legge, il compito della revisione contabile è affidata all’Ufficio del Revisore Generale, come avviene in ogni Stato. La società quindi “svolgerà un ruolo di assistenza e sarà a disposizione dei dicasteri che vorranno avvalersi del suo supporto o consulenza”. Si precisa inoltre che, “a differenza di quello riportato da alcuni fonti”, la sospensione “non era dovuta a considerazioni circa l’integrità o la qualità del lavoro avviato” da tale realtà, “tanto meno alla volontà di uno o più enti della Santa Sede di impedire le riforme in corso”.

Il percorso verso “una corretta e appropriata implementazione degli International Public Sector Accounting Standards è normalmente complesso e prolungato”: si tratta di un iter che richiede una serie di scelte legislative e l’adozione di procedure contabili-amministrative, attualmente “in via di elaborazione”. Con l’accordo, spiega ancora il testo, si intende consentire a tutti gli enti della Santa Sede di partecipare “più attivamente” al percorso delle riforme. La Santa Sede si avvarrà quindi “anche nel prossimo futuro” della collaborazione di PricewaterhouseCoopers, precisa il comunicato che conclude ribadendo come l’impegno per una revisione economico-finanziaria della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano sia stato e rimanga “prioritario”.

Rispondendo alle domande di alcuni giornalisti, il direttore della Sala Stampa, padre Federico Lombardi, ha osservato che la Segreteria per l'Economia, guidata dal cardinale australiano George Pell, sarà “il primo fruitore” dei servizi della PricewaterhouseCoopers, “anche nel proporli agli altri dicasteri e all'insieme della Curia”.

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In udienza dal Papa il neo ambasciatore del Senegal in Vaticano

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il nuovo ambasciatore del Senegal presso la Santa Sede, Léopold Diouf, per la presentazione delle Lettere credenziali,  il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e il cardinale  Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Prima testimone della risurrezione: Papa Francesco ha stabilito che la memoria liturgica di santa Maria Maddalena diventa festa

Come anfore che dissetano: alla comunione mondiale delle Chiese riformate il Papa ripropone la missione di unità dei cristiani

In prima pagina un editoriale di Lucetta Scaraffia “Finalmente apostola”

Capire l’arte: Antonio Paolucci sul dibattito nei primi anni del Novecento

Ecologia ante litteram: Silvia Guidi su Damiano Petrone, il parroco amato da Benedetto Croce

 Un cavallo e molti ombrelli: Isabella Farinelli sulle collezioni di Roberto Longhi in mostra a Novara

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Oggi in Primo Piano



Libia: lealisti bombardano l'Is a Sirte

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Dopo essere entrate a Sirte, le forze leali al governo di unità nazionale libico di Tripoli, guidato da al-Sarraj, bombardano la roccaforte jihadista di Sirte e annunciano la possibile liberazione della città entro pochi giorni. Intanto, a Derna i bombardamenti condotti ieri dai militari al comando del generale Khalifa Aftar hanno colpito anche i civili: sarebbero tre i minori morti. Azione, quest’ultima, condannata dal rappresentante speciale Onu per la Libia, Martin Kobler, via Twetter. Sulla possibile sconfitta dell’Is in Libia, Elvira Ragosta ha intervistato Gian Andrea Gaiani, direttore della rivista on line AnalisiDifesa.it: 

R. – Le informazioni che abbiamo non sono convincenti, nel senso che fino a poco tempo fa anche i Servizi di sicurezza del Pentagono, degli Stati Uniti, parlavano di una presenza di 6-8 mila miliziani dello Stato Islamico, ma di questi combattenti si è persa ogni traccia, a quanto pare:  le milizie di Misurata sono avanzate, subendo alcune perdite, ma senza dover affrontare una resistenza fortissima. Allora c’è qualche sospetto che, in fondo, le milizie dell’Is stiano facendo avanzare i loro nemici, i loro avversari, facendoli penetrare anche in città - a Sirte – per poi condurre attacchi a sorpresa e imboscate: è un rischio, questo, che non si può escludere. E’ una tattica che già i miliziani islamici usavano addirittura nel ’94 a Grozny, in Cecenia… Bisogna essere, io credo, un po’ cauti nel dire che l’Is in Libia è stato sconfitto. Anche perché le milizie libiche che combattono l’Is – a partire da quelle di Misurata – non hanno mai dimostrato una grande perizia, soprattutto nei combattimenti ravvicinati e cioè in quelli più sanguinosi, in cui la professionalità del soldato emerge.

D. – Quanto conta l’appoggio militare di intelligence da parte britannica e statunitense?

R. – Conta abbastanza, direi: è vero che le milizie di Misurata – come anche le altre forze libiche – dispongono di limitate capacità aeree, ma soprattutto perché gli angloamericani utilizzano aerei da ricognizione, droni; anche i francesi sono presenti e qualcuno dice anche gli italiani,  con forze speciali legate al Comando dell’intelligence… In realtà, pare che il lavoro più importante lo stiano facendo francesi, britannici e americani nel fornire appoggio, e questo vuol dire nel fornire informazioni alle milizie sui movimenti dei miliziani dello Stato Islamico.

D. – Dal punto di vista politico, in Libia restano le divisioni tra il governo di unità nazionale di Tripoli, guidato da al-Sarraj, e quello di Tobruk; martedì prossimo il Parlamento di Tobruk si riunirà su richiesta del suo Presidente Saleh per votare la fiducia all’esecutivo di Tripoli. La sconfitta del sedicente Stato Islamico potrebbe ricompattare il fronte politico?

R. – Tutto è possibile, perché gli accordi fra le milizie libiche si basano su valori politici, su accordi tribali e soprattutto sul fatto che ci siano degli accordi basati su affari e quindi anche su una ridistribuzione di denaro, magari gli aiuti internazionali che oggi arrivano a Tripoli. Sul piano politico vedo difficile, oggi, una riconciliazione fra al-Sarraj e il governo di Tobruk. La Libia – come tutti i Paesi dominati da conflitti e scontri tribali – è un Paese portato al compromesso: se un compromesso verrà trovato, con l’aiuto anche della Comunità internazionale, allora questo accordo potrà essere fatto. Più facilmente, invece, potremmo assistere ad una spaccatura definitiva fra una Cirenaica controllata da Haftar, dal governo di Tobruk, e una Tripolitania – invece – in mano al nuovo governo di al-Sarraj. Ricordiamolo che per ora si è espresso negativamente anche sull’ipotesi di accogliere nuovamente in Libia gli immigrati clandestini oggi diretti in Italia, con grande sconforto dell’Europa e dell’Italia che, da questo governo che sostengono, si aspettavano invece una mano per la soluzione di questo problema.

D. – Cosa si può, invece, ipotizzare su un intervento militare internazionale di terra in Libia?

R. – Io credo che non ce ne sia più bisogno, se veramente la Libia riuscirà, con le sue milizie, a sconfiggere l’Is, che sembrava essere una forza così formidabile. L’intervento internazionale aveva questo scopo, no? Aiutare i libici a distruggere l’Is. C’è l’altra ipotesi di quella missione di cui si parla da anni, che dovrebbe essere a guida italiana, per andare ad addestrare le milizie libiche filogovernative… Però è un’ipotesi che resta sulla carta, perché lo stesso al-Sarraj non controlla neppure interamente Tripoli. Molte milizie che fanno parte e fanno capo a questi movimenti islamisti che sostengono al-Sarraj: al-Sarraj ha l’appoggio del Qatar, della Turchia e quindi dei gruppi salafiti, dei gruppi legati ai Fratelli musulmani, ma non tutti. Non ha il controllo di tutta la Tripolitania.

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Iraq-Siria: a due anni dall'inizio del "genocidio" dei cristiani

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A due anni dalla conquista di Mosul da parte del sedicente Stato Islamico, sono continue le violenze dei jihadisti contro le minoranze religiose. In Siria e e in Iraq, quello che sta accadendo ai cristiani è un genocidio, ha infatti affermato questa mattina il card. Jean Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Una richiesta, quella di riconoscere come “genocidio” le violenze dell’Is, che la fondazione di diritto pontificio “Aiuto alla Chiesa che soffre” rivolge alle istituzioni italiane, seguendo quanto già fatto dal Parlamento europeo e dal Congresso degli Stati Uniti, come spiega Alessandro Monteduro, direttore di Acs Italia, al microfono di Michele Raviart

R. – In Siria e in Iraq, in questo momento, si sta applicando un piano assolutamente coordinato, ben specifico e definito, di azioni, che mira a distruggere specifici gruppi religiosi. Qui non parliamo solo di persecuzione o della distruzione del cristianesimo, laddove il cristianesimo è nato; qui parliamo di più gruppi religiosi: innanzitutto, per esempio, degli yazidi. Dichiarare “genocidio” quello che sta avvenendo oggi in Iraq, ci consente di poter attivare delle tutele maggiori: innanzitutto, il Tribunale Penale Internazionale.

D. – Sono due anni che il sedicente Stato islamico ha preso la città di Mosul: qual è la situazione sia per chi è fuggito sia per chi è rimasto?

R. – Nella notte tra il 9 e il 10 giugno, decine di migliaia di cristiani, soprattutto, lasciavano Mosul, trovandosi dinanzi ad un’alternativa: violare la propria fede, rinnegare la propria identità e confessione religiosa, oppure rischiare l’assassinio. Oggi, descrivere qual è la situazione di Mosul è difficile per chiunque: per i governi occidentali, le forze militari, le organizzazioni internazionali di carità; perché Mosul è sotto il pieno controllo degli uomini del Califfato islamico. Quello che accade realmente è impossibile a sapersi: sappiamo, tuttavia, che continuano a perpetrarsi massacri di ogni tipo.

D. – L’ultima violenza di cui si ha notizia a Mosul è quella di una donna musulmana che, proprio in queste ore, è stata lapidata. Ribadiamo quello che ha detto anche il Patriarca dei Caldei, Raphaël Louis Sako, che non è una guerra islamo-cristiana, ma una lotta per il potere, il denaro, perpetrata in nome della religione…

R. – Sono assolutamente d’accordo. I cristiani sono il gruppo religioso maggiormente perseguitato in quell’area, perché dopo quella musulmana sono la comunità più numerosa. Ma quello che sta avvenendo ai danni della comunità yazida è ancora più feroce e atroce. Tocca adesso alle istituzioni internazionali. Sono passati due anni; con la sola eccezione di qualche presenza delle Nazioni Unite, non abbiamo trovato una – e sottolineo una – sola traccia dei governi dell’Occidente. Abbiamo trovato solo la meravigliosa generosità delle organizzazioni di carità, e importanti segnali della Conferenza episcopale italiana, ma non la presenza dei governi occidentali. Adesso, dopo due anni, qualcuno si dovrà pur destare in tal senso.

D. – Cambiamo scenario: la Siria. Sembra che in queste ore siano arrivate le autorizzazioni per nuovi aiuti umanitari alle città assediate. Voi che informazioni avete, come “Aiuto alla Chiesa che Soffre”, sulla situazione umanitaria in Siria?

R. – Abbiamo le medesime informazioni, con la precisazione tuttavia che queste autorizzazioni del governo di Assad – queste disponibilità o approvazioni – non significano che domani mattina si potrà già giungere alla distribuzione di aiuti umanitari. È necessaria una serie di azioni da porre in campo: attraversare un posto di blocco in Siria in questo momento non è come andare a fare una passeggiata fuori porta. Sembrerebbero esserci questi segnali positivi; siamo in attesa che si possa partire con la terza tornata dei negoziati, anche se tuttavia la cosa non sembra abbastanza imminente. Sappiamo – e questo è un dato indiscutibile – che i bombardamenti proseguono, innanzitutto ad Aleppo.

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Terra Santa. P. Khader: serve una pace giusta, non restrizioni

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La tensione è alta a Gerusalemme dove decine di migliaia di palestinesi sono attesi sulla Spianata delle Moschee per la preghiera nel primo venerdì di Ramadan. Infatti a due giorni dall’attentato a Tel Aviv con 4 morti per mano di giovani della Cisgiordania il governo di Netanyahu ha ristretto al massimo gli ingressi e ha disposto un nuovo spiegamento militare nei territori. “Questi momenti così difficili rendono ancor più chiara la necessità di una pace giusta: noi cristiani lavoriamo per educare a questo”. Così in sintesi il rettore del Seminario patriarcale di Gerusalemme padre Jamal Khader. L’intervista è di Gabriella Ceraso: 

R. – Viviamo questi momenti di crisi e questo è un richiamo al fatto che questa non è una situazione normale, è un richiamo alla giustizia, giustizia per tutti. Ecco quello che fa la Chiesa qui, il lavoro dei cristiani. La pace non è l’assenza della guerra, ma la giustizia, e qui c’è un blocco. E con la situazione politica attuale, non vediamo la fine di questa situazione, non vediamo via d’uscita, non riusciamo a immaginare una situazione di pace e non vediamo la pace nel nostro futuro.

D. – Padre, che cosa significa per la gente quando scattano blocchi a causa di violenze o a causa di attentati?

R. – Questo praticamente vuol dire un disturbo della vita normale, del lavoro quotidiano, degli spostamenti e soprattutto per l’economia. Sono in migliaia le persone che si spostano a Gerusalemme per lavoro, e se non possono lavorare si creano ancora maggiori difficoltà sociali ed economiche qui, nei territori palestinesi. Durante la Settimana Santa succede la stessa cosa ai cristiani, che hanno sempre bisogno di permessi da parte delle autorità israeliane e questo fa sì che non sia facile arrivare a Gerusalemme. Gerusalemme è il centro spirituale sia per i musulmani, sia per i cristiani sia per gli ebrei, e quando non possiamo arrivare a Gerusalemme, questo danneggia la nostra libertà di culto. Per noi è molto importante avere questa libertà.

D. – Vede in qualcosa, nelle persone, in qualche spunto, una speranza?

R. – Partendo dalla nostra fede, sì, perché crediamo in un Dio giusto verso tutti, un Dio Padre, crediamo nella resurrezione … Ma come possiamo praticare questa speranza nella vita quotidiana? La via d’uscita dovrebbe essere chiara per tutti: iniziare un vero processo di pace, smettere di costruire nuove colonie israeliane,è questo che porterà un cambiamento sul terreno e darà alla gente maggiore speranza nella riconciliazione, soprattutto ai giovani.

D. – Lei è anche docente all’Università di Betlemme; spesso parla del ruolo dei cristiani, lì. E’ difficile essere cristiano in Terra Santa?

R. – Certo che è difficile, ma siamo chiamati a vivere qui, in questa terra, con tutte le difficoltà, per portare la luce, la luce di Cristo in una situazione difficile e dare la speranza. E questa è l’opera quotidiana della Chiesa, soprattutto nell’educazione, nelle università … ma è il nostro compito, quello di portare alla gente la speranza che la riconciliazione è possibile, che la giustizia è possibile, che Dio è padre di tutti, ama tutti e vuole che tutti i suoi figli vivano in pace insieme.

D. – Che non siano, appunto, parole ma anche testimonianza con la propria vita, con i fatti, vero?

R. – E’ il lavoro della Chiesa, il lavoro quotidiano. Ecco perché abbiamo decine di scuole, abbiamo le università, abbiamo centri per i più deboli nella società… E questo ruolo, tra l’altro, è apprezzato: apprezzato da molti perchè vedono che la Chiesa e i cristiani possono portare qualcosa di nuovo e di molto importante per il futuro di questo Paese.

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Richard Gere a Sant'Egidio per il suo film sui senzatetto

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I senza dimora per una volta al centro dell’attenzione dei media: succede grazie all’esclusiva anteprima dell’ultimo film di Oren Moverman, interpretato da Richard Gere: “Gli invisibili”. In uscita il 15 giugno nelle sale italiane, ieri pomeriggio è stato presentato dallo stesso attore americano nella sala della mensa della Comunità di Sant’Egidio, a Roma, alla presenza di una 40.na di homeless, cioè senza casa, seduti nelle prime file, di volontari e di numerosi giornalisti. C’era per noi Adriana Masotti

Più che una conferenza stampa è stato un incontro tra amici: lo ha voluto sottolineare subito Richard Gere visibilmente felice del singolare evento alla Sant’Egidio:

“Tutto questo è travolgente, vedere tutti questi volti davanti a me, i volti di questi fratelli e sorelle; è una cosa che davvero mi scalda il cuore! A mio avviso sono proprio le persone che curano le persone: il guardarsi negli occhi, il raccontarsi delle storie, il saper ascoltare le storie degli altri. Ecco, credo che questo sia l’inizio di qualsiasi processo di guarigione”.

“Gli Invisibili”: un viaggio nell’universo degli homeless di New Jork attraverso il racconto della storia di uno di loro, George, che dopo aver perso lavoro, casa e famiglia si ritrova per strada e poi ospite in un centro per senzatetto. Settemila i senza dimora a Roma, 50 mila in Italia, una realtà che interroga tutti. Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio:

 “Dietro questi numeri incredibili ci sono delle storie, dei nomi, delle sofferenze… Quanti sono i caduti per l’indifferenza? E allora, l’indifferenza – cari amici – uccide! Tutti noi potremmo diventare “invisibili” e vulnerabili e tutti noi dobbiamo curarci degli altri per curarci di noi stessi. Perché non c’è differenza: siamo tutti esseri umani. E ci sono tre passi per uscire dalla indivisibilità: il primo è che chi passa accanto a queste persone si deve fermare, il secondo passo è quello di ascoltare, il terzo di aiutare. E il quarto: quello di diventare amici”.

Richard Gere racconta che cosa è stato per lui girare questo film:

 “A New York, i senzatetto sono 60 mila, è un qualcosa con il quale dobbiamo avere a che fare, ma solo nel momento in cui abbiamo cominciato a girare, e io mi sono trovato lì, nelle strade di New York, è scattato un qualcosa. Lì ho sentito veramente un impegno forte… Lì, ho cominciato ad avere la percezione di come veramente ci si possa sentire ad essere ‘invisibili’ e ho sentito che la differenza tra l'essere una persona integrata nella società e invece l'essere dall'altra parte, perdere tutto e diventare invisibili, è veramente piccolissima. Ho capito l'estrema vulnerabilità di ciascuno di noi che potrebbe trovarsi in poco tempo a vivere sulla strada e diventare invisibile".

A fare una domanda a Gere è anche una donna senzatetto. Chiede che cosa pensa di loro il Dalai Lama e l’attore coglie l’occasione per parlare anche di Papa Francesco che ha potuto salutare di recente in Vaticano:

"Una volta ero in auto con il Dalai Lama. Lui ha l’abitudine di guardare sempre fuori dal finestrino per vedere se c’è qualcuno che ha dei problemi, che soffre. E, passando, vide un senzatetto: fece fermare la macchina, scese e rimase lì a pregare con lui per cinque-dieci minuti. E la cosa che ho scoperto di lui, e che secondo me lo accomuna anche a Papa Francesco, è proprio questa: persone di quella statura, persone così grandi… Ormai, per loro non c’è più nessuna differenza tra loro e tutti gli altri: loro sono me, loro sono te, loro non vedono le differenze. Loro veramente abbracciano tutti, in questo enorme abbraccio inclusivo, fatto di amore e di compassione. E a quel livello, che tu sia cattivo o sia buono, loro non vedono differenze, ma davvero abbracciano tutti nella stessa maniera!”

Infine, il rapporto tra le religioni. Tutte vogliono far emergere il meglio che c’è in ognuno, afferma Gere, e tutte si basano sull’amore e sulla compassione:

"Non conosco nessuna religione che non sia basata sull’amore e sulla compassione. E per le religioni siamo tutti insieme in questo. Per quanto riguarda Papa Francesco, io so che lui ha già cominciato a fare tanto per le persone invisibili, i rifugiati, gli immigrati e tutti coloro che non hanno nulla. Lui già lo sta facendo”.

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Istat: in calo i residenti italiani, il primo negli ultimi 90 anni

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Sono poco più di 60 milioni e 600 mila i residenti in Italia, di cui più di 5 milioni di cittadinanza straniera. Lo comunica l’Istat, che rileva come nel corso del 2015 si sia registrata una diminuzione del numero dei residenti italiani, la prima negli ultimi 90 anni. Tra i fattori che hanno inciso sulla crescita della mortalità tra gli anziani l’aumento delle temperature nei mesi estivi. Gioia Tagliente ha intervistato il demografo Alessandro Rosina, docente di demografia e statistica all'Università Cattolica di Milano: 

R. – La popolazione italiana è da tempo in diminuzione all’interno dei residenti, mentre i flussi migratori sono comunque positivi e quindi la popolazione straniera, in Italia, continua ad alimentarsi. Come effetto della crisi la popolazione italiana ha avuto una riduzione rispetto agli anni precedenti, in particolare come conseguenza del calo della natalità; inoltre c’è stata anche una riduzione dei flussi di migrazione dall’estero e quindi la presenza straniera è cresciuta di meno.

D. – Secondo Draghi, integrare i migranti può aiutare il calo demografico..

R. – Senza immigrazione la popolazione italiana sarebbe già da tempo in diminuzione e avrebbe una struttura demografica veramente insostenibile, con una piramide praticamente invertita: con tanti anziani, pochi giovani e quindi con difficoltà sia di alimentare la crescita economica, soprattutto in alcuni settori produttivi, sia di avere una sostenibilità sociale. L’immigrazione è, per forza di cose, necessaria. Certo, però, serve una immigrazione integrata, perché una immigrazione che crea disuguaglianze, può creare instabilità sociale e quindi non solo non aiuterebbe il Paese a crescere, ma inasprirebbe anche gli aspetti di convivenza sociale. Dobbiamo pensare ad una immigrazione che sia il meglio integrata possibile: quindi favorire flussi di entrata di immigrati che siano in grado di venire in Italia per inserirsi positivamente nel tessuto sociale ed economico. Al di là di una accoglienza dei profughi, serve anche una capacità di attrazione di popolazione qualificata e giovane, che venga inclusa nel nostro sistema produttivo. E poi, comunque, chiunque arrivi deve poi trovare politiche adeguate, che consentano di entrare in maniera stabile nel mercato del lavoro e quindi che non ci sia sfruttamento, che ci sia una regolarizzazione della propria presenza, che ci sia possibilità di formare una propria famiglia e che ci sia possibilità per i loro figli di trovare piena integrazione all’interno delle scuole italiane. La strada non può che essere questa.

D. – I dati confermano che l’Italia non è un Paese per giovani: perché?

R. – Non è un Paese per giovani per due motivi. Il primo, perché non sta investendo quantitativamente sulle nuove generazioni: abbiamo sempre meno nascite e siamo in presenza di un fenomeno di “de-giovanimento quantitativo” e quindi di riduzione di giovani come presenza nella popolazione della società italiana. Siamo uno dei Paesi in Europa con meno under 30 sul totale della popolazione. E questa è la conseguenza anche di carenza di politiche per la famiglia e di politiche anche a contrasto della povertà delle famiglie con figli e quindi della conseguente povertà dell’infanzia. E qui c’è l’altro aspetto: non solo quello quantitativo, ma anche qualitativo. I bambini italiani, soprattutto in famiglie che vanno oltre il secondo figlio, per carenze appunto di politiche adeguate, si trovano con rischi maggiori di condizioni di deprivazione. Anche quando crescono si trovano con investimenti come generazioni, come giovani generazioni più basse rispetto agli altri Paesi, sia in termini di politiche di sostegno all’autonomia rispetto alla famiglia di origine; di accesso ad una casa; di politiche attive che li inseriscano in maniera adeguata all’interno del mercato del lavoro; di aziende che valorizzino poi i giovani, assumendoli con remunerazioni adeguate e investendo sulla loro crescita e sulla loro formazione all’interno dell’azienda. Investiamo di meno in formazione, soprattutto terziaria e in ricerca, sviluppo e innovazione, che sono gli ambiti in cui le nuove generazioni, la loro capacità e la loro voglia id intraprendenza può al meglio diventare elemento propulsivo del sistema sociale ed economico del Paese. Su tutti gli aspetti che riguardano le nuove generazioni noi investiamo di meno rispetto agli altri Paesi e la conseguenza è che i giovani devono fare riferimento di più e dipendere di più dalla famiglia di origine.

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Nella Chiesa e nel mondo



Cristiani di Aleppo: pasti ai musulmani più poveri per il Ramadan

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Da quando è iniziato il mese sacro del Ramadan, dedicato alla preghiera e al digiuno, l'arcidiocesi siro ortodossa di Aleppo offre ogni giorno i viveri per la prima colazione e per l'unico pasto serale alle famiglie musulmane più indigenti che vivono nel quartiere di Sulaimaniyah. Alcune foto diffuse dal sito ankawa.com, documentano la distribuzione dei pasti preparati dai cristiani per le famiglie musulmane. Il centro di distribuzione si trova nei locali dell'arcidiocesi, presso la cattedrale dedicata a Sant'Efrem il siro.

Un segno per ripristinare la convivenza tra le varie comunità etniche e religiose
In un messaggio diffuso dai media dell'arcidiocesi si presenta tale iniziativa come gesto semplice per esprimere i sentimenti di solidarietà tra concittadini di diversa appartenenza religiosa, nell'auspicio di contribuire a ripristinare col tempo la convivenza tra le varie comunità etniche e religiose che caratterizzava la società siriana prima della guerra.

Bambini orfani musulmani accolti nelle strutture ecclesiali
Anche il conflitto – si legge nelle informazioni diffuse dall'arcidiocesi e riportate dall'agenzia Fides – ha spinto in molti casi cristiani e musulmani a compiere gesti di solidarietà interreligiosa, come nel caso dei bambini orfani musulmani che hanno trovato ospitalità in strutture di proprietà della Chiesa, dopo che l'edificio in cui erano ospitati era stato devastato dai bombardamenti. La guida dell'arcidiocesi siro-ortodossa di Aleppo risulta ancora formalmente affidata al metropolita Mar Gregorios Yohanna Ibrahim, scomparso insieme al Metropolita greco ortodosso di Aleppo Boulos Yazigi nell'aprile 2013, mentre i due arcivescovi si trovavano nell'area tra Aleppo e il confine con la Turchia. (G.V.)

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Vescovi Polonia: Plenaria su Papa e Gmg, migranti e famiglia

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La visita di Papa Francesco in Polonia è stata uno dei più importanti temi della 373ma plenaria dell’episcopato polacco, conclusasi a Varsavia. Come rende noto il comunicato della plenaria finora “quasi 600mila i giovani da 185 Paesi si sono registrati per partecipare” agli eventi previsti nell’ambito del ricco programma della Gmg2016. Gli organizzatori - riporta l'agenzia Sir - prevedono per la Veglia di preghiera del 30-31 luglio e la Messa per la Giornata Mondiale della Gioventù la partecipazione di circa 1,5-1,8 milioni di persone. 

Appoggio al progetto della Caritas polacca dei “corridoi umanitari”
La “tragica situazione dei profughi che a causa dei conflitti armati e persecuzioni sono stati costretti a lasciare le loro case e privati dei mezzi necessari per una vita dignitosa” è stato, come afferma il comunicato, un altro tema del dibattito al quale ha partecipato il sottosegretario del ministero degli Interni polacco e che si è concluso con l’appoggio al progetto della Caritas polacca dei “corridoi umanitari” su esempio di quelli già attivi in Italia. 

I vescovi chiedono rispetto reciproco nella vita sociale e pubblica
I vescovi, inoltre, hanno discusso della pastorale delle famiglie e delle coppie di fatto rilevando in quel contesto l’importanza dell’esortazione “Amoris laetitia”. In relazione al conflitto in atto in Polonia che contrappone alla maggioranza di governo una parte della società civile, i vescovi, come afferma il Comunicato finale “chiedono rispetto reciproco nella vita sociale e pubblica” ed auspicano “che le differenze di opinione possano portare al dialogo volto ad una reciproca comprensione”. (R.P.)

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Vescovi svizzeri: Plenaria su accoglienza profughi e Amoris laetitia

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L’accoglienza dei richiedenti asilo nelle Chiese: questo uno dei temi principali della 312.ma Assemblea ordinaria della Conferenza episcopale svizzera (Ces), svoltasi dal 6 all’8 giugno nell’abbazia benedettina di Einsiedeln. Nella nota conclusiva dei lavori, la Ces rende noto che centinaia di persone hanno inviato una lettera ai vescovi cattolici ed alla Federazione delle Chiese protestanti svizzere, per “richiedere una posizione in materia di accoglienza dei richiedenti asilo nelle chiese”. Infatti – scrivono i presuli – “molti edifici della Chiesa cattolica attualmente ospitano richiedenti asilo”.

Accoglienza profughi: necessaria collaborazione con lo Stato
“Il servizio della Chiesa a sostegno di queste persone è molto attivo – continua la Ces – Tale assistenza prevede la collaborazione con lo Stato ed è spesso eccellente grazie alla fiducia reciproca”. Naturalmente, i presuli ribadiscono che “in questo, come in altri settori, la Chiesa non rivendica un trattamento giuridico diverso da quello che viene applicato a tutti i cittadini”. Al contempo, “i vescovi svizzeri desiderano collaborare per migliorare le condizioni e le leggi vigenti”.

Amoris laetitia: puntare su discernimento e integrazione
Altro tema centrale della Plenaria è stata l’Esortazione apostolica “Amoris Laetitia sull’amore nella famiglia”, siglata da Papa Francesco nei mesi scorsi. La Ces definisce tale documento “una guida ed un incoraggiamento per la pastorale del matrimonio e della famiglia”, sottolineando l’importanza del discernimento e dell’integrazione, temi primari “per l’attuazione dell’Esortazione stessa”. Per promuovere, quindi, la diffusione del documento, i presuli hanno in programma di organizzare, in data da destinarsi, un’apposita Giornata di studio. I responsabili diocesani per la Pastorale del matrimonio e della famiglia, inoltre, verranno incoraggiati a realizzare nuovi progetti.

Preparativi per 500.mo anniversario Riforma
​Tra gli altri argomenti esaminati dalla Ces, la revisione totale della traduzione unificata della Sacra Scrittura in lingua tedesca. Si tratta di un lavoro che è durato diversi anni, la cui pubblicazione è prevista per il prossimo autunno. Inoltre, i presuli elvetici hanno preso in esame possibili iniziative da avviare per il 2017, anno in cui ricorrerà il 500.mo anniversario della Riforma ed il 600.mo anniversario della nascita di Nicolas de Flue, Santo molto amato in Svizzera. Infine, la Ces ha ascoltato la relazione del Gruppo di lavoro “Islam” che dal 7 al 14 maggio si è recato in Turchia, allo scopo di rafforzare il dialogo tra musulmani e cristiani. (I.P.)

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Vescovi francesi: limitazioni alla libertà di insegnamento

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“Preoccupazione e forti riserve” vengono espresse dai vescovi francesi sulla riforma annunciata ieri dal Ministero dell’Educazione nazionale delle procedure per l’apertura di nuove scuole private non convenzionate con lo Stato.

Un vulnus alla libertà di insegnamento
La riforma, prevede l’introduzione di un’autorizzazione amministrativa preventiva, mentre l’attuale normativa chiede solo la presentazione di una dichiarazione scritta.  Secondo la Conferenza episcopale francese (Cef) , nonostante le assicurazioni del Governo, tale procedura sarebbe un vulnus alla libertà di insegnamento garantito dalla Costituzione. Così si è espresso in una nota, il card. Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux e presidente del Consiglio episcopale per l’insegnamento cattolico.

La radicalizzazione non si combatte limitando la libertà di insegnamento
L’Esecutivo ha giustificato il provvedimento con la necessità di prevenire la radicalizzazione religiosa nelle scuole francesi. “Questa lotta è necessaria, ma non a qualsiasi costo e certo non a costo di limitare la libertà di insegnamento”, afferma nel comunicato il card Ricard, secondo il quale il sistema oggi in vigore, “se pienamente applicato ed eventualmente rafforzato” già risponde alle legittime esigenze dello Stato. Di qui l’appello al buon senso: “Il nostro Paese ha bisogno di essere pacificato per resistere alla violenza che lo insidia, ha bisogno di confermare la scelta della libertà di fronte alla contestazione del suo modello democratico”, conclude l’arcivescovo  di Bordeaux. (L.Z.)

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Vescovi Belgio: lettera sull’insegnamento della religione a scuola

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“Ci rallegriamo del fatto che il corso di religione cattolica sia sempre proposto nelle scuole. In effetti, sopprimere questo corso significherebbe relegare le convinzioni religiose alla sola sfera privata e ciò per uno Stato democratico sarebbe un impoverimento”. Lo scrivono i vescovi francofoni del Belgio in una lettera inviata ai genitori degli studenti che sono iscritti ai corsi di religione cattolica a scuola.  

L’insegnamento della religione favorisce la convivenza
Dopo un acceso dibattito nel Paese sulla persistenza o meno di questa materia, il governo della Federazione Vallone-Bruxelles ha deciso di mantenere i corsi di religione cattolica nell’orario scolastico. “Mantenere un corso confessionale di religione” nelle scuole – scrivono i vescovi citati dall’agenzia Sir  – significa “invitare ogni religione a presentarsi in maniera coerente e pedagogica; incoraggiare insegnanti e studenti ad aprirsi a uno spirito critico e sviluppare un pensiero libero; permettere una cultura del dibattito con altre convinzioni religiose o laiche; imparare ad argomentare in maniera razionale per presentare una visione personale e, infine, promuovere una migliore convivenza”.

Si evita così di entrare nella spirale del fondamentalismo
Questo evita di entrare nella spirale del fondamentalismo e del ripiegamento identitario. Ringraziamo e incoraggiamo coloro che sono impegnati nell’educazione dei bambini e dei giovani attraverso l’insegnamento della religione cattolica, nel rispetto senza ambiguità delle differenze e nella ricerca di una maggiore coesione sociale nella nostra società multiculturale. Incoraggiamo i genitori a continuare a iscrivere i propri figli ai corsi di religione”. E concludono: “Ora che le decisioni sono prese, l’invito è di andare avanti e avere piena fiducia nella competenza dei docenti di religione cattolica e dei professori. Il loro corso contribuisce al maggior bene dei vostri figli”. (L.Z.)

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Kenya: card. Njue aderisce a Campagna Onu su pari opportunità

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Si chiama “HeforShe” ed è la Campagna promossa dalle Nazioni Unite per promuovere le pari opportunità per le donne di tutto il mondo. Ad aderire all’iniziativa, ora, è anche la Chiesa cattolica del Kenya, attraverso l’arcivescovo di Nairobi, card. John Njue. Nei giorni scorsi, infatti, il porporato ha firmato in favore della Campagna.

Uomini e donne sono tutti uguali agli occhi di Dio
“Mi impegno a sostenere questa iniziativa – ha detto il porporato – come un modo per rafforzare il nostro appello alla parità tra uomini e donne”. “La Chiesa cattolica non ha mai nascosto i problemi di disparità di genere presenti nella società odierna – ha aggiunto – Tale disuguaglianza, a volte, si presenta anche nella Chiesa, quando uomini e donne dimenticano la reciproca complementarietà e la loro uguaglianza agli occhi di Dio”.

Responsabilità dei padri nei confronti dei figli
Da sottolineare che, insieme all’adesione alla Campagna dell’Onu, l’arcidiocesi di Nairobi ha lanciato anche un programma di aiuti per i bambini: “Siamo chiamati ad essere dei buoni esempi e dei modelli positivi al fine di favorire la tutela dei giovani nella società”, ha detto il card. Njue, ricordando poi a tutti i genitori, in particolare ai padri, la responsabilità che hanno di guidare i loro figli, soprattutto in una società come quella odierna, “influenzata da molti problemi, tra cui tossicodipendenza, alcolismo, radicalismo e criminalità”.

Campagna iniziata nel 2014 negli Usa
​Lanciata nel settembre 2014 a New York, dal Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, la Campagna “HeforShe” si è estesa successivamente al resto del mondo. In particolare, il Kenya è stato il secondo Paese africano ad aderivi, subito dopo il Rwanda. La Campagna mira anche a coinvolgere i giovani come agenti di cambiamento per il raggiungimento della parità dei diritti e delle opportunità tra uomini e donne. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 162

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.