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Sommario del 13/06/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa al Pam: cibo sia per tutti, "deburocratizzare" la fame

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De-naturalizzare la miseria, de-burocratizzare la fame: lo ha chiesto Papa Francesco in visita oggi, prima volta per un Pontefice, al Programma alimentare mondiale (World Food Program), agenzia dell’Onu con sede a Roma, che si occupa di assistenza alimentare. Il Pam è la più grande  organizzazione umanitaria del mondo, con obiettivo “Fame Zero” entro il 2030 ed oggi, per questo, ha ricevuto l’incoraggiamento di Francesco. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Prega davanti al Muro della Memoria, il Papa, a testimonianza del “sacrificio” di chi, al servizio del Pam, ha offerto la “propria vita perché anche in mezzo a complesse vicende agli affamati non mancasse il pane”. Una memoria che si deve conservare, chiede Francesco, affinché si continui a “lottare, con lo stesso vigore, per il tanto desiderato obiettivo della ‘fame zero’”:

“Esos nombre grabados a la entrada de esta Casa…
Quei nomi incisi all’ingresso di questa Casa sono un segno eloquente del fatto che il Pam costituisce un valido strumento della comunità internazionale per intraprendere attività sempre più vigorose ed efficaci”.

Sentiamo il pianto ma non lo consoliamo
Il progresso delle tecnologie della comunicazione, nel mondo interconnesso e iper-comunicativo in cui viviamo, fa sembrare più brevi le distanze geografiche, consente di entrare in contatto “con quanto sta accadendo dall’altra parte del pianeta”, di avvicinarsi “a molte situazioni dolorose” e quindi di aiutare “a mobilitare gesti di compassione e di solidarietà”. Si crea però il paradosso, spiega Francesco, e “l’eccesso di informazione di cui disponiamo genera gradualmente la ‘naturalizzazione’ della miseria”. E poco a poco si diventa “immuni alle tragedie degli altri”, che si considerano come qualcosa di “naturale”:

“Son tantas las imagenes que nos invaden … “
Sono così tante le immagini che ci raggiungono che noi vediamo il dolore, ma non lo tocchiamo, sentiamo il pianto, ma non lo consoliamo, vediamo la sete ma non la saziamo. In questo modo, molte vite diventano parte di una notizia che in poco tempo sarà sostituita da un’altra. E, mentre cambiano le notizie, il dolore, la fame e la sete non cambiano, rimangono”.

Denaturalizzare la miseria
Questo contesto rivela il “ruolo fondamentale” che hanno istituzioni come il Pam, dice Francesco, non basta conoscere la situazione di molte persone, così come non è sufficiente, continua, “elaborare lunghe riflessioni o sprofondarci in interminabili discussioni su di esse”. La miseria, raccomanda il Papa, va ‘de-naturalizzata’, e non va considerata come “un dato della realtà tra i tanti”:

“Porque la miseria tiene rostro…
Perché la miseria ha un volto. Ha il volto di un bambino, ha il volto di una famiglia, ha il volto di giovani e anziani. Ha il volto della mancanza di opportunità e di lavoro di tante persone, ha il volto delle migrazioni forzate, delle case abbandonate o distrutte. Non possiamo 'naturalizzare' la fame di tante persone; non ci è lecito dire che la loro situazione è frutto di un destino cieco di fronte al quale non possiamo fare nulla”.

La fame non è questione di burocrazia
Quando la miseria smette di avere un volto, si inizia a parlare di  “fame” , “alimentazione”, “violenza”, mettendo da parte “il soggetto concreto, reale, che oggi ancora bussa alle nostre porte”. Senza volti e senza storie, “le vite cominciano a diventare cifre” e il rischio è  “di burocratizzare il dolore degli altri”. Ma le burocrazie “si occupano di pratiche”, invece è la compassione che “si mette in gioco per le persone”. Ecco quindi che occorre lavorare “per de-naturalizzare e de-burocratizzare la miseria e la fame dei nostri fratelli”.

L’intervento deve essere a vari livelli, spiega Francesco, con al centro l’obiettivo “la persona concreta che soffre e ha fame, ma che racchiude anche un’immensa ricchezza di energie e potenzialità che dobbiamo aiutare ad esprimersi concretamente”. E qui l’appello: bisogna “de-naturalizzare la miseria”:

“La falta de alimentos no es algo natural…
La mancanza di alimenti non è qualcosa di naturale, non è un dato né ovvio né evidente. Che oggi, in pieno secolo ventunesimo, molte persone patiscano questo flagello, è dovuto ad una egoista e cattiva distribuzione delle risorse, a una “mercantilizzazione” degli alimenti”.

Abituati allo spreco
Dei frutti della terra si è fatto un “privilegio di pochi”, denuncia Francesco, di questo dono per l’umanità se ne fatto “commodities” di alcuni, il che ha generato esclusione:

“El consumismo – en el que nuestras sociedades se ven insertas…
Il consumismo – che pervade le nostre società – ci ha indotti ad abituarci al superfluo e allo spreco quotidiano di cibo, al quale a volte ormai non siamo più capaci di dare il giusto valore, che va oltre i meri parametri economici”.

La fame usata come arma
Occorre ricordare che “il cibo che si spreca è come se lo si rubasse dalla mensa del povero”, occorre riflettere sullo spreco di alimenti, si deve “de-burocratizzare la fame”, è la strada indicata da Francesco, in un tempo in cui guerre e minacce di conflitti predominano “nei nostri interessi e dibattiti”, e le armi sembra abbiano “acquistato una preponderanza inusitata”. Questo impedisce la distribuzione degli alimenti nelle zone di guerra, “arrivando anche alla violazione dei principi e delle direttive più basilari del diritto internazionale”. Ed ecco l’altro paradosso: intricate e incomprensibili decisioni politiche ostacolano gli aiuti e i piani di sviluppo, ma non la circolazione delle armi, il che “nutre le guerre e non le persone”:

“En algunos casos la misma hambre se utiliza come arma de guerra…
In alcuni casi, la fame stessa viene usata come arma di guerra. E le vittime si moltiplicano, perché il numero delle persone che muoiono di fame e sfinimento si aggiunge a quello dei combattenti che muoiono sul campo di battaglia e a quello dei molti civili caduti negli scontri e negli attentati”.

Non anestetizzare le coscienze
Pur essendone coscienti, dice il Papa, si lascia che le coscienze si anestetizzino tanto da divenire insensibili. “Non si può di fronte a tante tragedie! E’ l’anestesia più grave”:

“Las poblaciones màs débiles no sòlo sufren los conflictos…
Le popolazioni più deboli non solo soffrono per i conflitti bellici ma, nello stesso tempo, vedono ostacolato ogni tipo di aiuto. Perciò urge de-burocratizzare tutto quanto impedisce che i piani di aiuti umanitari realizzino i loro obiettivi”

Cooperazione tra gli Stati
Il Pam riveste quindi in questo quadro un ruolo fondamentale prosegue il Papa, perché si ha bisogno “di veri eroi capaci di aprire strade, gettare ponti, snellire procedure che pongano l’accento sul volto di chi soffre”, ed è verso tali obiettivi che deve orientarsi la comunità internazionale:

“No es cuestiòn de armonizar intereses que siguen encadenados…
Non si tratta di armonizzare interessi che rimangono ancorati a visioni nazionali centripete o a egoismi inconfessabili. Si tratta piuttosto che gli Stati membri incrementino in modo decisivo la loro reale volontà di cooperare per questi fini”.

Risorse distribuite equamente
L’appello è affinché gli Stati membri collaborino con il Pam, perché possa continuare a rispondere alle necessità dei popoli, realizzando “progetti solidi e consistenti” e promuovendo “programmi di sviluppo a lungo termine”. Il lavoro del Programma alimentare mondiale, conclude Francesco, dimostra che si possono “coordinare conoscenze scientifiche, decisioni tecniche e azioni pratiche con gli sforzi destinati a raccogliere risorse e a distribuirle equamente” e che si può lavorare “per sradicare la fame attraverso una migliore assegnazione delle risorse umane e materiali, rafforzando la comunità locale”. L’incoraggiamento di Francesco è quindi quello ad andare avanti, nonostante fatica e difficoltà, con al fianco la Chiesa Cattolica che assicura tutto il sostegno e appoggio affinché “diventi realtà questa urgente priorità della “fame zero”.

La civiltà si misura sulla solidarietà
“Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere”. E' questa una delle massime del cristianesimo, conclude il Papa, che, al di là delle confessioini religiose, può valere per i popoli , perché “un popolo gioca il proprio futuro nella capacità di farsi carico della fame e della sete dei suoi fratelli, così come anche l'umanità. "In questa capacità di soccorrere l’affamato e l’assetato possiamo misurare il polso della nostra umanità".

Nel corso della visita, Papa Francesco ha siglato il Libro d'oro del Pam accompgnando la firma con questo pensiero: "C’è gente che ha fame! Ci sono bambini che hanno fame e non possono sviluppare le loro potenzialità. Aiuti urgenti e promozione: due passi per andare avanti. Grazie, di cuore, per tutto quello che voi fate. Con fraterno riconoscimento e affetto. Francesco".

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Papa a personale Pam: siete fondamentali per lotta alla fame

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Un lavoro spesso nascosto ma che permette a tante persone, tanti bambini di non morire di fame. Così Papa Francesco ha ringraziato il personale del Programma Alimentare Mondiale in un discorso tutto svolto a braccio. Il Pontefice ha inoltre messo l’accento sul coraggio che ha sempre contraddistinto il lavoro degli operatori del Pam. Il servizio di Alessandro Gisotti

Grazie per il vostro lavoro “nascosto”, il lavoro che non si vede ma che rende possibile che “tutto vada avanti”. Papa Francesco ha esordito così nel suo discorso al personale del Pam. Un intervento in italiano a braccio, mentre ha consegnato quello preparato in spagnolo.

Grazie a chi nel Pam lavora in modo nascosto ma coraggioso
Il Pontefice si è soffermato sull’impegno degli operatori dell’organismo delle Nazioni Unite per la lotta alla fame. Voi, ha detto, siete “le fondamenta”:

“Tanti progetti, tante cose si possono fare, e si fanno nel mondo, nella lotta contro la fame e rendono tanta gente coraggiosa. Ma questo grazie al vostro sostegno, al vostro aiuto nascosto. I vostri nomi soltanto appaiono nella lista del personale, e alla fine del mese in quello dello stipendio, ma di fuori nessuno sa come vi chiamate. Ma i vostri nomi rendono possibile questo grande lavoro, questo grande lavoro della lotta contro la fame”.

Grazie al vostro lavoro, ha ribadito, “tanti bambini possono mangiare”. Ha così rivolto il pensiero al coraggio delle persone che lavorano per il Pam.

Mai dimenticare chi è caduto nel servizio della lotta alla fame
Voi, ha rimarcato, “siete i piedi, le mani”, che sostengono “il coraggio di tutti quelli che vanno avanti”. Quindi, ha fatto riferimento ai nomi degli operatori del Pam caduti durante il loro servizio, i testimoni della lotta alla fame:

“Mai, mai dimenticare i nomi di quelli che sono scritti lì all’entrata. Loro hanno potuto fare quello per il coraggio che avevano, per la fede che avevano nel loro lavoro, ma anche perché erano sostenuti dal vostro lavoro. Grazie tante e vi chiedo di pregare per me, perché anche io possa fare qualcosa contro la fame”.

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Pam, il direttore Cousin: lavoriamo per l'obiettivo "Fame zero"

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Un incontro che possa far crescere la “volontà pubblica” di fermare la fame. È l’auspicio che Ertharin Cousin, direttore esecutivo del Programma Alimentare mondiale, esprime ai nostri microfoni al termine della visita di Papa Francesco. L’intervista è dell’inviato, Federico Piana

R. – Well, what the Pope was referring…
Il Papa ha evidenziato come la fame sia diventata quasi una condizione naturale che noi accettiamo e si è rivolto a tutti noi perché superiamo questa accettazione della condizione di fame come realtà, per dirci che noi possiamo fare la differenza e che possiamo cambiare la vita delle persone che soffrono la fame. Al Pam, ha espresso il suo apprezzamento per il lavoro coraggioso che svolge il nostro team per far fronte alle necessità delle persone affamate nel mondo.

D. – A questo punto, l’impegno della comunità internazionale e del Programma Alimentare Mondiale, dopo le parole del Papa, quale sarà?

R. – I am hopeful that after this visit we will have…
Spero tanto che dopo questo incontro avremo più occasioni insieme per costruire la volontà pubblica necessaria per fermare la fame. In realtà, noi abbiamo tutti gli strumenti per porre fine alla fame. Quello che non abbiamo è la volontà pubblica, l’impegno sostenibile necessario per garantirci gli investimenti estesi sugli anni e sugli ambiti, di cui abbiamo bisogno per svolgere il lavoro dal quale dipendono le persone affamate nel mondo, per fornire loro le migliori opportunità. Dopo questa visita, io spero che gli Stati membri si rendano conto che non si tratta di una “necessità”, semplicemente, quanto piuttosto di una “responsabilità” che noi abbiamo in quanto esseri umani. A questo Papa Francesco ha dato voce. Io spero che il mio staff, che a volte è molto scoraggiato, avendo ascoltato il Papa che li ha definiti “coraggiosi”, abbia recuperato l’entusiasmo per riprendere il lavoro “fuori”, nei posti più difficili del mondo.

D. – Ce la faremo, nel 2030, ad arrivare alla “Fame zero”?

R. – I told him that I’m often called a dreamer…
Io gli ho raccontato che spesso mi danno della sognatrice – perché io credo nell’obiettivo “Fame zero” – e lui mi ha detto che tutti noi dobbiamo sognare, ma dobbiamo lavorare affinché questi sogni diventino una realtà e anche “Fame zero” diventi una realtà.

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Pam, mons. Arellano: fame nel mondo diventi un pezzo da museo

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Il cibo si ferma davanti ai muri, mentre le armi circolano. È il tragico paradosso messo in luce da Papa Francesco nel suo discorso al Programma Alimentare Mondiale che  mons. Fernando Chica Arellano, osservatore della Santa Sede presso l’agenzia Onu, definisce uno dei “punti più luminosi” dell’intervento. L’intervista al presule dell’inviato, Federico Piana

R. – Io invito veramente a leggere tutto il discorso del Santo Padre, perché secondo me è un testo veramente programmatico che aiuta tutti. Il Papa ha detto che non possiamo considerare la fame come un problema in più, abituarci a che ci siano affamati nel mondo. Cioè, gli affamati devono veramente bussare alla nostra coscienza e sarà l’unica maniera di fare veramente qualcosa, di non affidarsi soltanto alle parole, ma di incominciare ad agire. I gesti: parole e gesti, le due cose. Se noi pensiamo: “La fame va bene, esiste da quando il mondo è mondo”, allora è come se la coscienza dell’uomo fosse anestetizzata. Invece, noi dobbiamo considerare la fame come un grande problema pressante, contro cui lottare per arrivare a dire “punto e basta”. La fame deve appartenere ai musei, cioè al passato.

D. – Il Papa fa riferimento anche alle armi: in un punto preciso dice: “Le armi circolano tranquillamente, si ha difficoltà invece a portare cibo dove serve”. Questo è un problema dell’umanità…

R. – Mi pare che questo sia stato uno dei punti più luminosi del discorso, almeno per quanto mi riguarda. È uno dei punti – e l’ho sentito anche da molti colleghi – che più ha colpito la comunità internazionale, perché mi pare che il Papa abbia messo il dito sulla piaga. In spagnolo lui ha detto: “Libertad jactanciosa”: le armi circolano e invece il cibo si fermano davanti a muri, davanti a difficoltà perché a volte ci sono tante leggi che impediscono di qua, impediscono di là… Mentre c’è tutta una burocrazia in movimenti, i nostri fratelli sono sul terreno affamati, piangenti… Per questo il Papa ha chiamato soprattutto a pensare alla fame non come una idea astratta, come una teoria, ma a mettere un volto all’affamato. La lotta contro la fame incomincia quando ognuno di noi sarà veramente consapevole del fatto che l’affamato non è un numero, non è una statistica. Questo è stato l’appello del Santo Padre: a una collaborazione internazionale per una collaborazione estesa, con parole ma soprattutto con opere, con iniziative, con misure concrete, efficaci.

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Pam, card. Turkson: combattiamo la fame non gli affamati

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Combattiamo la fame, non gli affamati perché “fino a quando la fame non sarà vinta, l'umanità non vivrà in pace”. Lo scrive il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e pace, nel messaggio scritto in occasione dell’incontro del Papa al Pam e della riflessione che tra ieri e oggi la leadership ed il comitato direttivo dell’agenzia Onu hanno condotto sul problema della fame nel mondo, in collaborazione con i leader spirituali e religiosi di diverse comunità mondiale. Si tratta, scrive il cardinale Turkson, di trasformare la piaga della fame in una “questione umana”, perché essa “deriva da una mancanza di solidarietà”.  “Cerchiamo di lavorare insieme – è l’auspicio del presidente di Giustizia e Pace –per avere cibo sostenibile, nutrizione e sicurezza alimentare. Cerchiamo di superare l'insicurezza alimentare, non di combattere l’affamato”.

Anche il Patriarca ortodosso ecumenico, Bartolomeo I, in un analogo messaggio osserva che “la fame non è in primo luogo un problema delle nazioni sottosviluppate, ma delle nazioni supersviluppate” . Si tratta, afferma, di una “sfida profondamente spirituale”, non “una questione di vuoto, ma di eccesso”. “Quando una persona ha fame nel nostro mondo, nella nostra nazione e nel nostro quartiere, c'è – conclude –un vuoto che si diffonde nel nostro cuore”.

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L’Is rivendica strage di Orlando, il dolore di Francesco

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"Follia omicida e di odio insensato". Con queste parole Papa Francesco esprime il proprio dolore per la strage avvenuta a Orlando in Florida, la peggiore per gli Usa dopo l’11 settembre 2001. La sparatoria, avvenuta in un club gay, è costata la vita a 50 persone e ha lasciato sul terreno 53 feriti, alcuni dei quali gravi. La polizia, che ha ucciso l’attentatore di origini afghane, lo ha definito un "attacco terroristico". L'Fbi indaga per “terrorismo islamico”. Il servizio di Marco Guerra: 

Il sedicente Stato islamico ha rivendicato la strage nel night club gay di Orlando, definendola un’opera di "Un soldato del Califfato in America". I siti jihadisti celebrano la strage sul web, ma al momento non è chiaro se ci sia un collegamento diretto tra l’attentatore e i seguaci del califfo. Le piste restano quelle dell’azione omofoba e del terrorismo. Obama ha parlato di atto di terrore e odio. Polemiche sulla diffusione delle armi e sull’operato dell’Fbi. Il killer, Omar Mateen, classe 1986, era stato infatti due volte indagato per contatti con ambienti terroristici. Condanne da tutta la comunità internazionale compresa la Lega Araba. Sulla matrice dell’attacco e le ripercussioni politiche il commento di Tiziano Bonazzi, docente di storia americana all’Università di Bologna:

R. – Il radicalismo islamico sicuramente è omofobo: questo lo si è sempre saputo e di conseguenza è chiaro che una persona che sia stata radicalizzata, anche se quasi certamente non è collegata direttamente all’Isis ma lo è ideologicamente, possa scegliere di attaccare un club gay in quanto in questo modo da un lato attacca, secondo lui, una perversione condannata religiosamente e dall’altro fa valere il suo ideale di nuovo Stato islamico.

D. – Si tratta di un cittadino di seconda generazione, americano: questo pone molti interrogativi sui processi di integrazione. Quindi, come si combatte una guerra dichiarata da alcuni dei nostri stessi connazionali?

R. – Il problema, secondo me, è un problema irrisolvibile per una semplice ragione, che in qualunque modo ci sia un processo di integrazione – e negli Stati Uniti questo processo di integrazione è avvenuto – possono esserci sempre, e sempre ci sono, delle frange che possono radicalizzarsi al punto di iniziare attività terroristiche su una base di piccolissimi gruppi o su una base individuale. Non ritengo che attacchi di questo genere possano far pensare a un fallimento dell’integrazione, ma che si debba ritenerli – fra virgolette – normali all’interno di una situazione politica così accesa e così grave come quella in cui ci troviamo.

D. – Gli Stati Uniti come reagiranno? Ci saranno ripercussioni sulla campagna elettorale, sull’indice di popolarità dei due candidati?

R. – Sicuramente, le conseguenze ci saranno. E’ chiaro, questa è una carta che Trump si può giocare facilmente. E' già stata giocata contro il presidente Obama che nel suo discorso si è rifiutato di parlare di radicalismo islamico come una delle cause dell’attentato – e a mio parere ha sbagliato, ma questo è del tutto secondario. Penso che la Clinton sarà estremamente più precisa e molto più cauta a non parlare di radicalismo islamico, perché sa benissimo che non può lasciare questa carta completamente nelle mani del suo avversario.

D. – Questa strage riapre poi anche l’annoso dibattito sulle armi. Si apprende che il killer ha potuto acquistare armi nonostante fosse stato interrogato tre volte dall’Fbi per sospetti legami al terrorismo. Insomma, a che punto sono gli sforzi per fermare la diffusione incontrollata delle armamenti?

R. – Gli sforzi sono quasi completamente bloccati e continueranno a esserlo a lungo. Un cittadino americano ha “diritto”, a seconda delle varie legislazioni statali e della legislazione federale, di avere armi anche se l’Fbi lo sta seguendo, a meno che non abbia compiuto prima degli atti che abbiano una rilevanza penale. E per quanto riguarda poi la battaglia per il controllo degli armamenti, bisogna sapere che moltissimi cittadini americani ritengono che questo sia un loro diritto contenuto nella Costituzione. Certamente, è contenuto nella Lettera della Costituzione, ma la Costituzione non dice in che modo sia regolamentato: questo dipende dalle leggi e questo dipende dalla cultura del momento. Al momento, non vedo ci sia grande possibilità di un controllo effettivo nella vendita delle armi.

D. – C’è chi punta il dito contro la cosiddetta “lobby delle armi”…

R. – Il lobbismo è regolamentato per legge, negli Stati Uniti, per cui è evidente che qualunque industria, anche quella delle armi, faccia lobby presso il parlamento, presso l’opinione pubblica per difendere e per ampliare il proprio mercato. Da questo punto di vista, non c’è nulla che possa essere considerato sbagliato se ci mettiamo non da un punto di vista esterno, ma da un punto di vista interno alla cultura statunitense.

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20 giugno, Concistoro del Papa per Canonizzazione di 5 Beati

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La Chiesa ai appresta a riconoscere la santità di cinque Beati e lunedì prossimo, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico, Papa Francesco presiederà la celebrazione dell’Ora Terza e il Concistoro Ordinario Pubblico per la Canonizzazione di queste figure, vissute tra il ‘700 e il ‘900. Le ricorda nel suo servizio Alessandro De Carolis

Ha 47 anni Salomone Leclercq, dei Fratelli delle Scuole Cristiane, quando la Rivoluzione francese, che da un paio d’anni ha travolto con crude persecuzioni anche la Chiesa, lo pone di fronte alla scelta cruciale: giurare fedeltà alla Costituzione o pagare le conseguenze di un rifiuto. Leclerq si oppone al sopruso – come faranno molti altri sacerdoti, religiose e religiosi – e questo lo porta alla morte, che subisce a Parigi nel 1792.

Tabernacoli abbandonati
Passerà alla storia come il “vescovo dei tabernacoli abbandonati”, mons. Manuel González García, spagnolo, vissuto a cavallo tra l’Otto e il Novecento. Brilla presto la sua dedizione al culto eucaristico, alla quale fonda e vota due strutture, l’Unione Eucaristica Riparatrice e la Congregazione delle Suore Missionarie Eucaristiche di Nazareth. Si spegne a Madrid nel 1940.

All'avanguardia dell'educazione
Lodovico Pavoni, sacerdote bresciano, è uno degli educatori più all’avanguardia del suo tempo. Concepisce agli inizi dell’800 un modello di istruzione e di avviamento al lavoro che anticipa le moderne scuole professionali. Anche la Congregazione religiosa dei Figli di Maria Immacolata, da lui fondata, appare così nuova e audace, con i suoi cosiddetti “frati operai”, da dover attendere a lungo il riconoscimento da parte delle autorità. Muore nel 1849, in pieno Risorgimento italiano, mentre cerca di portare in salvo i suoi ragazzi dal pericolo dei combattimenti delle Dieci Giornate di Brescia.

Dio spiegato ai semplici
Figura dell’Ottocento è anche Alfonso Maria Fusco, sacerdote salernitano, uomo di poche parole e di inesauribile carità, proposta col tratto della tenerezza. Si dedica al ministero tra i contadini, con la sua predicazione fatta di parole comprensibili e profonde, e alla formazione dei giovani, specialmente poveri e orfani. Fonda la Congregazione delle Suore di San Giovanni Battista e si spegne a 71 anni, nel 1910. 

L'oblazione nel Carmelo
A cavallo tra l’Otto e il Novecento, si sviluppa la breve vicenda umana ma intensa dal punto di vista spirituale di Elisabetta della Santissima Trinità (al secolo: Elisabetta Catez), monaca professa dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi. Entra nel Carmelo di Digione a 21 anni, nel 1901. I cinque anni della sua vita religiosa sono una continua ascesa verso Dio, che le consente di sopportare e offrire le sofferenze che le causa il terribile morbo di Addison da cui viene colpita e che la porta alla morte nel 1906.

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Papa nomina mons. Wells nunzio in Swaziland

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Francesco ha nominato nunzio apostolico in Swaziland mons. Peter Bryan Wells, arcivescovo titolare di Marcianopoli, Nunzio Apostolico in Sud Africa, Botswana, Lesotho e Namibia.

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25.mo Indipendenza Slovenia. Sodano: fedeltà a valori spirituali

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Ringraziamo il Signore per i doni che ha concesso alla Slovenia nei suoi 25 anni di indipendenza. E’ quanto affermato dal cardinale Angelo Sodano nella Messa per l’occasione, celebrata stamani nella Basilica di San Pietro. Il porporato ha ricordato gli anni terribili della guerra nella ex Jugoslavia. Quindi ha esortato la Slovenia di oggi a “raccogliere” il messaggio di Cristo come ha fatto da secoli.

Costruire insieme civiltà fondata sui valori spirituali
Un messaggio di “fedeltà”, ha ripreso, “a quella preziosa eredità spirituale che ha sempre caratterizzato la storia della Slovenia”. Nella vita dei popoli, ha rilevato il cardinale decano, “possono talora sorgere delle forze centrifughe che li disgregano”. Per questo, è stata la sua esortazione, “abbiamo sempre bisogno di chiedere al Signore” che invii lo Spirito Santo per aiutarci a “costruire insieme una vera civiltà fondata” sui valori spirituali che “solo possono sostenerla”.

Società pluralistica non è società agnostica
In Europa, ha detto il cardinale Sodano, si è vissuta in diverse epoche l’esperienza di uomini che, mossi dall’ebbrezza del loro potere, hanno tentato di “costruire una città prescindendo da Dio”. Uno “Stato laico – ha ammonito – non significa per nulla uno Stato laicista”. “Una società pluralistica – ha ribadito – non significa affatto una società agnostica”. Quindi, l’ex segretario di Stato vaticano ha invocato il Signore “affinché ci liberi dall’odio e dalla vendetta, dagli egoismi e dalle rivalità e ci aiuti poi a costruire una vera civiltà, la civiltà dello spirito, la civiltà della giustizia e dell’amore”. (A cura di Alessandro Gisotti)

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Mons. Paglia in Iran: impegno comune per la famiglia

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Una missione per sottolineare l’importanza della famiglia, speranza dell’umanità. Da ieri al prossimo 15 giugno mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, è in visita ufficiale in Iran. Il presule ha incontrato ieri la vice-Presidente della Repubblica iraniana, Shahindokth Molaverdi che aveva fatto visita in Vaticano nel febbraio 2015.

Mons. Paglia e vice-Presidente Iran: difendere donne e bambini
In un comunicato dopo l’incontro si sottolinea il comune impegno della Chiesa e dell’Iran in favore delle donne e della famiglia. Nel dialogo fraterno, si rileva, è stata “riconosciuta l’urgenza pressante di un lavoro fruttuoso in favore della famiglia” oggi minacciata da tanti fattori quali la guerra e la povertà. Mons. Paglia e la vice-presidente hanno messo l’accento in particolare sulle “persone più fragili della società umana: donne, bambini e anziani”. Né si è mancato di denunciare il calo demografico che riguarda ormai non solo le nazioni occidentali ma pure gli altri popoli.

Collaborazione Iran-Vaticano su promozione della famiglia
Questo incontro, conclude il comunicato, è un “segno chiaro della collaborazione” tra Iran e Vaticano per “il bene dei più deboli, delle famiglie e dell’umanità intera”. Il presidente del dicastero per la famiglia visiterà domani la città santa di Qom dove interverrà alla conferenza al Centro studi delle donne della famiglia dal titolo “La famiglia, speranza dell’umanità”. (A cura di Alessandro Gisotti)

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Non abituarsi allo spreco e alla fame: durante la visita al Programma alimentare mondiale il Papa ricorda che la mancanza di cibo deriva dall'iniqua distribuzione delle risorse.

Operare e sopportare: Marc Lindeijer sull'ultimo vescovo romano di Roma.

Riguardo alla persecuzione dei cristiani in Medio Oriente, Andrea Possieri sulla minaccia di estinzione e segnali di speranza, e l'incontro di Giuseppe Fiorentino con Daniel Williams, autore del libreo "Forsaken" (Abbandonati).

Salvate Raffaello e Caravaggio!: l'afflusso di capolavori in Vaticano durante la seconda guerra mondiale.

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Oggi in Primo Piano



Cile. Strumentalizzata la Chiesa per rivendicazioni politiche

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Negli ultimi 12 mesi in Cile, nella regione dell'Araucania, nel sud del Paese, più di 25 Chiese cattoliche ed evangeliche sono state bruciate. Una prassi che è stata denunciata in un documento anche da un gruppo di dieci religiosi che vivono e lavorano nel territorio. Le cause di tali profanazioni sono vaghe e fumose: una parte del problema viene intravisto nel conflitto tra proprietari terrieri e indios Mapuche, una minoranza della popolazione (12%) che chiede il riconoscimento di diritti e la restituzione da parte dello stato delle terre. Luis Badilla Morales, giornalista latino-americano e responsabile del sito "Il Sismografo", al microfono di Valentina Onori parla di questa escalation di violenza e delle possibili rivendicazioni politiche in atto nel Paese: 

R. – Ormai, siamo ad oltre 25 chiese incendiate in questi ultimi anni. C’è una parte che si può spiegare, che riguarda la regione della cosiddetta Araucania, dove c’è un conflitto tra i proprietari terrieri e le minoranze aborigene, i Mapuche, che in Cile sono più o meno il 12% della popolazione. In alcuni casi, si è potuto accertare giuridicamente che si trattava di persone legate a questa etnia cilena. E’ però una parte del fenomeno e non lo spiega tutto, anche perché molti incendi si sono verificati in altri luoghi, al di fuori di questa zona.

D. – Questa etnia si contrappone dagli anni Novanta al governo cileno?

R. – In Cile, esiste da oltre un secolo un conflitto fra l’etnia Mapuche e i cileni, legato al fatto che dai tempi del colonialismo gli indios sono stati espropriati, derubati delle loro terre. Dopo la fine della dittatura di Pinochet, i governi democratici hanno fatto nuove leggi – molto buone, molto positive – e molto è cambiato. E’ cambiato anche il clima culturale nei confronti dei Mapuche, che sono una minoranza discriminata, emarginata e maltrattata. Negli ultimi anni, purtroppo, questi progressi si sono fermati e in qualche modo i proprietari terrieri si sono sentiti autorizzati a riprendere questa loro condotta, che consiste nell’espropriare di fatto la terra agli indios. La Chiesa si è sempre schierata a favore dei diritti e delle rivendicazioni degli indios Mapuche, ma loro identificano il proprietario terriero con il cristianesimo e credono che, attaccando le chiese, protestando contro la Chiesa cattolica in particolare, stiano rispondendo ai bianchi proprietari terrieri che li hanno derubati.

D. – Come si potrebbe risolvere questa violenza?

R. – Questo problema può essere risolto solo dalla politica. La Chiesa può creare le condizioni per un dialogo, per un incontro, per una discussione, fermo restando che i Mapuche hanno diritti che vanno rispettati. Chi crede che con i Mapuche si possa dialogare pensando che siano una minoranza insignificante, che non conta, che non ha diritti, vuol dire che non vuole il dialogo.

D. – Perché identificano il cristianesimo con la dominazione?

R. – E’ una eredità culturale che viene dai tempi della conquista e della colonia. Sono stati gli spagnoli a conquistare l’America Latina e lo hanno fatto spesso usando la dicitura “In nome del cristianesimo”. In modo meccanico, in modo artificiale, in modo arbitrario si è identificata la croce con la spada, l’evangelizzazione con il colonialismo. Di fronte a situazioni di conflitto come questa, riemerge un pregiudizio storico che viene strumentalizzato da più parti. C’è nell’impianto politico di alcuni gruppi minoritari l’idea che per attaccare il capitalismo, per controbilanciare una globalizzazione selvaggia, per difendere i poveri, occorra anche attaccare la Chiesa, che loro percepiscono come alleata a interessi antioperai o antiproletari. La cosa sorprendente è che questo fenomeno si sia verificato in un Paese, forse l’unico, e se non l’unico, uno dei pochi, nel continente americano, dove non è mai esistito nel suo lungo periodo storico un solo conflitto religioso. Evidentemente siamo di fronte ad una strumentalizzazione violenta, politica, partitica, estremista di una realtà che non corrisponde al vero.

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Immigrazione. Massimo Franco: vincere sindrome dell'assedio

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Proseguono gli arrivi di migranti. In Italia oggi è previsto lo sbarco di oltre mille immigrati mentre altri mille sono arrivati ieri, tratti in salvo in operazioni di soccorso nel canale di Sicilia. Intanto, due navi della Guardia Costiera greca stanno cercando un barcone con circa 200 migranti a bordo, che ha lanciato un Sos al largo delle coste dell'isola di Creta. Di fenomeno ormai “strutturale” si parla nel nuovo libro di Massimo Franco, editorialista del Corriere della Sera, “L’assedio”, edito da Mondadori. Il testo, che sarà presentato nel pomeriggio anche dal presidente del Senato Piero Grasso, parla di un’Europa dal volto fragile, dove si cerca spesso nel “diverso” un capro espiatorio e dove serpeggia una “sindrome d’assedio”. Lo sottolinea, nell’intervista di Debora Donnini, lo stesso Massimo Franco: 

R. – Quello che sta succedendo dice che quest’emergenza diventa più vistosa perché non è stata affrontata come un fenomeno strutturale. Quindi, quando c’è imprevidenza, mancanza di divisione e di strategia, il paradosso è questo: un problema che andava affrontato da tempo con mezzi e anche con una mentalità diversa, oggi assume i contorni dell’emergenza anche se non è tale. Questo naturalmente comporta problemi collaterali: in primo luogo un grande allarme dell’opinione pubblica e anche la difficoltà a gestirli in modo politico e in modo tale da non creare allarme ma, anzi, da contenerlo.

D. - Lei parla di “sindrome di assedio”, più che di vero “assedio”. Cosa intende?

R. - Intendo dire che il fatto che non ci sia stata una previsione di quello che stava per avvenire, rende tutto molto drammatico. Quindi, numeri che senz’altro sono molto consistenti rispetto al passato, ma che sarebbero gestibili vista la popolazione non solo italiana ma europea, assumono i contorni di un’invasione. Quindi quello che si vede è soprattutto una percezione, una “sindrome dell’invasione”, che non sarebbe tale se il fenomeno fosse stato gestito in modo diverso.

D. - Come secondo lei?

R. - Secondo me innanzitutto impostando una strategia per quanto riguarda i Paesi di provenienza e, quindi, investendo sulla stabilità di questi Paesi, sulle malattie che li colpiscono ed avendo evitato gli errori strategici che l’Occidente ha compiuto nel Maghreb, in Siria e in Iraq. Parliamoci chiaro, quello che sta succedendo è in buona parte il risultato di errori strategici dell’Occidente. Il fatto di avere deciso di fare quello che abbiamo fatto in Libia, tra il 2011 e il 2014, senza prevederne le conseguenze, ha comportato, secondo me, che tutti i regimi che erano dittatoriali, ma erano anche laici, sono stati soppiantati dal caos.

D. - Lei parla anche di un’Europa che crea nuovi "ghetti" e, quindi, sempre di più si allontana dall'idea di un Continente “Eden della democrazia e dei valori” ...

R. - C’è un assedio all’Europa che viene da anni dall’interno dell’Unione Europea ed è costituito dai nazionalismi. Allora quando noi costruiamo i “muri” – per noi intendo dire europei – dobbiamo sapere che questi “muri” apparentemente sono contro gli immigrati. In realtà, sono “muri” tra europei, che creeranno conflitti crescenti prima dentro i sinoli Stati Europei e poi tra gli Stati europei. Bisogna stare molto attenti perché stiamo distruggendo uno dei patrimoni principali che avevamo costruito in questi decenni.

D. - Il primo viaggio di Papa Francesco è stato a Lampedusa. Nella recente visita a Lesbo, il Papa ha incontrato i migranti e chiesto all’Europa una profonda solidarietà. L’atteggiamento del Papa sembra, quindi, mostrare il volto più vero della civiltà europea permeata dal cristianesimo, cioè quello della solidarietà verso gli ultimi, come appunto lo sono i migranti?

R. - Questo è un Papa profetico! Quindi, credo che Francesco abbia additato il problema ed abbia cercato di far capire che il modo in cui lo stanno risolvendo oggi gli europei non è la vera soluzione.

D. - Per quanto riguarda tutta la questione del cercare di non rendere il Mediterraneo invece che un “Mare Nostrum” un “Mare Mortuum"?

R. - Credo che Frontex, l’Agenzia europea che si occupa di coordinare gli sforzi sull’immigrazione, sia figlia di un periodo di normalità e di un periodo in cui l’Europa si allargava al Nord e all’Est europeo. Ma certamente la frontiera liquida mediterranea è stata molto sottovalutata e bistrattata dai Paesi del Nord Europa. Il problema è che l’immigrazione va o gestita o subìta. Quindi, credo che la linea dura sia una linea che deve fare i conti con la realtà e la realtà è che questo fenomeno secondo tutti gli analisti durerà per i prossimi venti anni. Quindi è bene attrezzarsi per affrontarlo nel modo migliore.

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Albini: persecuzioni e traffici di organi in Africa subsahariana

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In alcune aree dell'Africa sub-sahariana la percentuale di albini è di uno su 1.400 persone, in Nord America e in Europa è di uno su 17-20.000. Sono i dati dell’ultimo studio delle Nazioni Unite sull’albinismo, una malattia genetica rara, caratterizzata da un deficit nella produzione di melanina con conseguente assenza completa o parziale del pigmento nella pelle, nei capelli e negli occhi. Proprio nell’Africa subsahariana gli albini sono vittime di rapimenti e uccisioni. Lo prova anche il recente rapporto di Amnesty International dedicato alle persecuzioni in Malawi. Una piaga messa in risalto nell’odierna Giornata internazionale di sensibilizzazione all’albinismo, indetta dall’Onu. Sui motivi delle persecuzioni contro gli albini, Giada Aquilino ha intervistato Cristiano Gentili, autore dell’audiolibro “Ombra Bianca”, che ospita anche la voce di Papa Francesco ed è legato alla Campagna internazionale #HelpAfricanAlbinos - Aiutiamo gli albini africani: 

R. – Principalmente per l’ignoranza delle persone, perché c’è la credenza popolare che le persone con albinismo siano portatrici di sfortuna e quindi perseguitate. È anche vero che la contraddizione assurda è che vengono visti in questo modo da vivi, ma da morti i loro organi e le parti dei loro corpi vengono utilizzati per creare dei portafortuna. Gli arti superiori, ad esempio, vengono sotterrati perché si crede che portino l’oro in superfice, oppure i loro capelli vengono tessuti nelle reti perché si crede che portino un maggior pescato. E ancora: si pensa che avendo dei rapporti sessuali con donne con albinismo si possa curare l’Aids.

D. - Paradossalmente un albino in Africa può valere molti soldi?

R. - Non in tutte le parti dell’Africa. Stiamo parlando dell’Africa sub-sahariana e di alcuni Paesi in particolare. Comunque sì, vale molti soldi.

D. - Ma c’è un vero e proprio traffico?

R. - È stato anche provato: c’è un traffico. In Tanzania sono state uccise negli ultimi anni circa 90 persone, stanno accadendo dei fatti piuttosto eclatanti in Malawi: c’è un traffico di parti del corpo di persone con albinismo.

D. - I governi e la comunità internazionale come sono impegnati?

R. - Stanno facendo molto poco, perché purtroppo qui dovremmo agire più che altro sulla cultura delle persone. Stanno soltanto cercando di reprimere i casi di assassinii e di rapimenti. È vero che è sicuramente un buon inizio, ma bisogna soprattutto agire sull’istruzione e sulla sensibilizzazione delle persone.

D. - Perché proprio gli albini vengono presi di mira?

R. - Penso che sia per il fatto che sono una rarità, anche se poi non è così, perché bisogna ricordare che il tasso di albinismo più alto al mondo si trova in Africa, in particolare nell’Africa sub-sahariana.

D. - Lei sta portando avanti una Campagna. Di cosa si tratta?

R. - La Campagna si chiama #HelpAfricanAlbinos è si batte per sensibilizzare le persone sulle condizioni di vita degli africani con albinismo. Non si limita solamente al fatto che queste persone siano perseguitate, uccise, ma anche che vivono in un ambiente molto ostile, dove per la mancanza di melanina la loro speranza di vita alla nascita è di circa di trent’anni, in quanto sono soggetti ad esempio al cancro alla pelle. Il primo a sostenere questa Campagna è stato Papa Francesco, seguito poi da 11 premi Nobel per la pace. Nel 2017 porteremo la Campagna negli Stati Uniti per cercare di coinvolgere dei personaggi famosi.

D. - Papa Francesco, nell’audiolibro che lei ha curato, ha prestato la propria voce al tema e ha detto: “Dio è in ogni essere umano”…

R. - Papa Francesco ha partecipato a questo audiolibro sociale: il romanzo che ho scritto è stato suddiviso in un numero di frasi che vengono lette e registrate. Papa Francesco ha letto delle frasi che avevo scritto per un personaggio del romanzo - si chiama padre Francis - che si trova in una comunità dove le persone con albinismo vengono perseguitate.

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Nella Chiesa e nel mondo



Usa: cordoglio dei vescovi per la strage di Orlando

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Una “violenza indicibile”: così mons. Joseph Kurtz, presidente della Conferenza episcopale statunitense,  definisce la strage avvenuta ieri ad Orlando, in Florida. In una sparatoria, avvenuta in una discoteca per omosessuali, sono rimaste uccise 50 persone, mentre altre 53 sono state ferite. L’attentatore, un uomo statunitense di origini afghane, è stato ucciso dalla polizia. Al momento, si seguono due piste per il movente: atto omofobo o terrorismo.

Proteggere vita e dignità di ogni persona
Un evento drammatico che, scrive mons. Kurtz in una nota, “ci ricorda quanto sia preziosa la vita umana”. “Le nostre preghiere sono per le vittime, le loro famiglie e per tutti coloro che sono rimasti colpiti da tale terribile atto”, aggiunge il presule. “L’amore misericordioso di Dio – conclude – ci chiama alla solidarietà con la sofferenza ed alla sempre maggiore determinazione nel proteggere la vita e la dignità di ogni persona”.

Solidarietà con le persone omosessuali
Sulla stessa linea si pone anche l’arcivescovo di Chicago, mons. Blaise Cupich: “Le nostre preghiere ed i nostri cuori sono con le vittime della sparatoria ad Orlando, con le loro famiglie e con i nostri fratelli e sorelle omosessuali”, scrive il presule in una nota. Il suo grazie va, poi, ai primi soccorritori che hanno portato “eroicamente” aiuto ai feriti, dando prova di “compassione e coraggio anche di fronte ad un orrore e ad un pericolo simile”.

No all’accesso facile alle armi
​“In risposta all’odio – sottolinea mons. Cupich – siamo chiamati a seminare amore. In risposta alla violenza, la pace. In risposta all’intolleranza, la tolleranza”. Infine, il presule e tutti i fedeli di Chicago riaffermano il loro impegno “nell’affrontare le cause di tale tragedia, tra cui il facile accesso ad armi letali”. “Non possiamo più stare a guardare, senza fare nulla”, conclude mons. Cupich. (I.P.)

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Libano e Medio Oriente consacrati al cuore immacolato di Maria

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Il Patriarca maronita, card Béchara Raï, ha rinnovato ieri la consacrazione del Libano e di tutti i Paesi del Medio oriente al “Cuore immacolato di Maria”. Il gesto devozionale - riferisce l'agenzia AsiaNews - si iscrive nel quadro delle apparizioni di Fatima (1917), durante le quali la Vergine Santa aveva chiesto in modo esplicito la consacrazione della Russia al suo “Cuore immacolato”. 

Il Patriarca Beshara Rai ha parlato del male che si presenta sotto varie forme
Il porporato ha compiuto il rito nella basilica di Nostra Signora del Libano ad Harissa. Egli ha chiesto alla Vergine di “ottenere per intercessione di suo figlio, il Redentore, di mostrare la sua forza di riscatto e di salvezza, e la potenza del suo amore misericordioso, fermando il male e cambiando le coscienze”. Il Patriarca ha parlato del male che si presenta sotto le forme “dei conflitti e delle guerre, della morte e dell’esodo, della lingua delle armi, del fanatismo, della violenza e del terrorismo”. 

Ci rivolgiamo a Dio perché egli penetri nelle nostre coscienze
L’atto di consacrazione è avvenuto nel contesto di una Messa solenne, concelebrata dal patriarca siro-cattolico Ignazio Giuseppe III Younan, e da numerosi vescovi e sacerdoti. A concelebrare vi era anche il nunzio apostolico in Libano mons. Gabriele Caccia: presenti i superiori e le superiore degli ordini religiosi maschili e femminili e una folla di fedeli.  “Con questa doppia consacrazione - ha proseguito il Patriarca - e attraverso la nostra consacrazione personale, ci rivolgiamo a Dio perché egli penetri nelle nostre coscienze e nel nostro Paese, con il suo disegno di salvezza”. 

La presenza del male all'interno della Chiesa
Il Patriarca ha poi ricordato in modo esplicito la presenza del male all’interno della Chiesa, e non solo all’esterno. Nell’omelia il porporato ha affermato che “il male si radica con facilità nei nostri cuori di uomini, e colpisce la Chiesa, i suoi pastori e le sue istituzioni all’interno e all’esterno”. Egli ha dunque legato il gesto della consacrazione a un movimento di “preghiera e penitenza”, alzando la voce contro “l’immoralità, la profanazione della religione e delle chiese, e la scomparsa della decenza nel vestire e del rispetto”. 

Si tratta di una consacrazione simile a quella della Russia
“Attraverso questo atto di consacrazione, che la Chiesa maronita rinnova per il terzo anno consecutivo - ha aggiunto il card. Béchara Raï - noi mettiamo il Libano e i Paesi del Medio oriente sotto la protezione della nostra Madre, Maria, Nostra Signora del Libano. L’abbiamo fatto per la prima volta nel giugno del 2013, rispondendo a una sollecitazione del Sinodo del Medio Oriente che è tenuto in Vaticano nell’ottobre 2012, sotto la guida del Papa emerito Benedetto XVI”. “Si è trattato di una consacrazione simile a quella della Russia, da parte di Giovanni Paolo II, nel giugno del 1981”. Questa consacrazione, ha proseguito, “è stata seguita da un’altra, nel maggio 1982, e poi da una terza, il 25 marzo 1984, in unione con tutti i vescovi cattolici del mondo”, secondo quanto richiesto dalla Vergine nel 1917. 

La consacrazione ha toccato il cuore e le coscienze di decine di migliaia di fedeli
L’atto di consacrazione compiuto ieri per il Libano ha rappresentato il momento conclusivo di tre processioni e novene di preghiera promossi in tre santuari dedicati a Maria: quelli di Maghdouché, Zahlé e Miziara, a partire dal 22 maggio scorso. Queste attività si sono svolte in collaborazione con il comitato patriarcale preposto alla sorveglianza dell’atto di consacrazione, con il movimento sacerdotale mariano, con le associazioni mariane femminili fra cui le suore della famiglia del cuore di Gesù e la lega delle comunità mariane. Questi gesti devozionali e la consacrazione di individui, parrocchie e diocesi hanno toccato il cuore e le coscienze di decine di migliaia di fedeli. (F.N.)

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Iraq. Patriarca Sako: uniamoci per un giorno al digiuno del Ramadan

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Mentre l'Iraq continua a essere stravolto da attentati e conflitti armati, la Chiesa caldea chiama i cristiani a unirsi per un giorno al digiuno praticato dai musulmani nel mese di Ramadan. L'invito, rivolto dal Patriarcato caldeo ai propri fedeli e a tutti i battezzati iracheni, è per il prossimo venerdì, 17 giugno: “In solidarietà con i musulmani che digiunano durante questo mese di Ramadan” si legge in un comunicato diffuso dai media del Patriarcato e ripreso dall'Agenzia Fides “noi digiuneremo e pregheremo insieme per la pace e la stabilità del nostro Paese e dell'intera regione”.

Chiesa e Caritas hanno sempre aiutato i musulmani iracheni in difficoltà
Nel comunicato patriarcale si rimarca che le Chiese presenti in Iraq, davanti alle tragedie e alle catastrofi umanitarie provocate anche dai successi militari dell'autoproclamato Stato islamico (Daesh), si sono fatte carico dei bisogni della popolazione senza discriminazioni settarie o etnico-religiose, soccorrendo i profughi, prestando cure mediche ai feriti e ai malati, organizzando i pasti serali (Iftar) per i musulmani alla fine della giornata di digiuno, nel mese sacro del Ramadan, e soccorrendo chi ha più bisogno in diverse aree del Paese, attraverso la rete di Caritas Iraq.

Digiuno e preghiera per la pace in Iraq e Siria
​Con lo stesso spirito – si legge a conclusione del comunicato – il Patriarca Louis Raphael I, i vescovi ausiliari e i suoi collaboratori hanno deciso di digiunare in quel giorno particolare, insieme ai musulmani, e di pregare come sempre “per la pace in Iraq, in Siria e in tutta la regione”. (G.V.)

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Siria: presto l'apertura dell'ospedale cristiano di Hassakè

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L'apertura dei servizi al pubblico è prevista per il primo gennaio del 2017: se tutto procede secondo i programmi, per quella data i lavori di restauro saranno completati, e ad Hassakè l'ospedale più grande e attrezzato della regione siriana nord-orientale di Jazira potrà finalmente iniziare la sua missione a favore di tutta la popolazione locale, stremata dalla guerra, a partire da chi è più in difficoltà e non può permettersi cure mediche. “E’ un segno di speranza e anche della nostra tenacia ad andare avanti, nonostante la tragedia che ci è toccato di vivere” sottolinea all'agenzia Fides  l'arcivescovo siriano Jacques Behnan Hindo, alla guida dell'arcidiocesi siro-cattolica di Hassakè-Nisibi.

Pronta un'equipe di 10 medici, nove cristiani e un musulmano
La vicenda dell'ospedale di Hassakè è essa stessa un simbolo del tremendo testa-coda vissuto da tutta la nazione siriana negli ultimi anni. Il progetto di creare un presidio sanitario moderno e efficiente a servizio della popolazione locale era stato perseguito con determinazione da una equipe di 10 medici, nove cristiani e un musulmano, che avevano trovato i fondi e ottenuto le autorizzazioni necessarie. L'arcidiocesi siro cattolica aveva messo a disposizione i terreni per la costruzione dell'edificio. L'inaugurazione dell'ospedale era stata programmata entro il 2011, ma poi tutto è saltato con l'inizio del conflitto. Nell'evolvere tragico degli eventi, l’ospedale è stato trasformato in una base logistica delle milizie curde ed è stato anche bombardato dall'artiglieria dell'esercito governativo, per poi tornare di nuovo sotto controllo dei militari curdi.

I nuovi reparti potrebbero essere aperti con il nuovo anno
​“Finalmente, dopo faticose trattative” riferisce all'agenzia Fides l'arcivescovo Jacques Behnan Hindo “abbiamo avuto dai soldati curdi l'assicurazione che presto lasceranno libera la struttura, e abbiamo sottoscritto il contratto finale. Dovremo restaurare le parti danneggiate, ma se tutto va bene, potremo aprire con il nuovo anno i primi reparti. Nei progetti che abbiamo, sarà il più grande ospedale della regione, con 6 mila metri quadrati di laboratori e reparti per curare anche le patologie oncologiche e cardiologiche. Sarà anche un segno importante che i cristiani possono e vogliono realizzare opere che siano sempre al servizio di tutti, fuori da ogni settarismo”. (G.V.)

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Afghanistan: appello alle autorità per attivista cattolica indiana rapita

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C’è profonda preoccupazione nella società civile per il rapimento dell'attivista per i diritti umani Judith D'Souza, cattolica, 40 anni, avvenuto a Kabul, in Afghanistan, il 9 giugno nella zona di Qala-e-Fatullah. La D'Souza, cittadina indiana di religione cattolica, lavorava con l'Ong “Aga Khan Foundation” a Kabul come consulente tecnico dal luglio 2015. Prima di trasferirsi a Kabul - riporta l'agenzia Fides - aveva accumulato 15 anni di esperienza come specialista sociale e ambientale in Bengala occidentale, Pondicherry, Tamil Nadu e Orissa. D'Souza è originaria di Calcutta e ha frequentato le scuole e università cattoliche. Dal 2000, D'Souza ha lavorato attivamente sulle questioni di genere, povertà e conservazione ambientale con diverse organizzazioni. Con la Fondazione Aga Khan, a Kabul D'Souza lavorava in attività di ricerca e sviluppo di strategie per l'emancipazione delle donne.

Il rapimento legato al suo lavoro pacifico per la difesa dei diritti umani
“Il rapimento di Judith D'Souza mostra non solo i pericoli affrontati dalle donne che lavorano in Afghanistan, ma anche il fallimento del governo nell’intraprendere azioni concrete per proteggere le donne minacciate” nota in un messaggio inviato a Fides l’attivista per i diritti Umani William Gomes. “Esprimiamo grave preoccupazione per la sorte e di Judith D'Souza. Crediamo che il suo rapimento è direttamente collegato al suo lavoro pacifico per la promozione dei diritti umani” prosegue.

Appello alle autorità afghane per la sua liberazione
La società civile afgana e altre Ong internazionali, in una missiva inviata ad Ashraf Ghani, Presidente della Repubblica Islamica dell'Afghanistan, esortano le autorità civili ad “adottare immediatamente tutte le misure necessarie per salvare Judith D'Souza e garantire la sua integrità e la sicurezza fisica e psicologica”, avviando “un'indagine immediata, approfondita e imparziale sul rapimento e portare i responsabili alla giustizia”. Intanto in India le comunità cattoliche stanno elevando preghiere per la liberazione della donna. (P.A.)

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Irlanda: pellegrinaggio a piedi a Roma per pace e riconciliazione

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20 km a piedi per Roma, visitando sette Basiliche: questo il pellegrinaggio che compiranno, da domani al 17 giugno, i fedeli irlandesi, in occasione del Giubileo straordinario della misericordia. Guidati dall’arcivescovo di Armagh, mons. Eamon Martin, i pellegrini si porranno in cammino con un’intenzione di preghiera speciale: “Per la pace e la riconciliazione, attraverso l’intercessione di Sant’Oliviero Plunkett”, vescovo e martire irlandese. In particolare, si invocherà la misericordia di Dio per l'Irlanda, l’Europa e per tutto il mondo.

Creare una cultura della vita
Il pellegrinaggio, che avrà inizio da Piazza San Pietro, prevede anche il passaggio della Porta Santa della Basilica Vaticana e delle altre tre Basiliche papali: San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le Mura e Santa Maria Maggiore. “Rendiamo grazie a Dio per i grandi progressi, compiuti in Irlanda, verso la pace e la riconciliazione – sottolinea in una nota mons. Martin – Tuttavia, a causa della criminalità dilagante, della malavita, della continua minaccia della violenza paramilitare, della povertà e dei senza tetto, ci rendiamo contro che c’è ancora molto da fare per creare una cultura della vita e la prosperità in Irlanda”.

Preghiere per i cristiani perseguitati
“In questo momento – sottolinea il presule – il mondo ha bisogno delle nostre preghiere e siamo consapevoli di quanto esso abbia bisogno di vedere il volto della misericordia di Dio”. La misericordia, infatti – ribadisce mons. Martin – “oggi è necessaria più che mai, soprattutto a fronte della fame sempre più diffusa, delle ingiustizie, delle guerre, delle discriminazioni e delle violenze in tante parti del mondo”. Non solo: il presule chiede preghiere anche “per tutti i cristiani perseguitati, oggi, nel mondo”.

Europa non dimentichi le radici cristiane
Gli fa eco Tommy Burns, organizzatore del pellegrinaggio, che sottolinea: “Mentre l’Europa, oggi, può sembrare vivere in pace, l’Ucraina sta vivendo una storia diversa. A volte, sembra che il continente soffra di una perdita collettiva di memoria, tanto che molti paiono aver dimenticato l’importante tesoro dell’eredità cristiana”. In tale contesto, Burns cita “gli atti scioccanti di terrorismo” e la difficoltà dell’Europa “nell’accettare le sue responsabilità umanitarie nei confronti dei tanti rifugiati” che premono ai suoi confini.

Sant’Oliviero Plunkett
Vissuto nel XVII secolo, Sant’Oliviero Plunkett studiò a Roma presso il Collegio irlandese e insegnò per 12 anni all'Urbaniana. Fu ordinato prete nella cappella dell'Ateneo missionario da un vescovo irlandese in esilio per la persecuzione di Cromwell. Quando quest'ultimo morì, si aprì un periodo tranquillo per la Chiesa. Oliviero tornò in patria come arcivescovo di Armagh per riorganizzare la comunità. Ripresa la persecuzione, si rifugiò sui monti per sfuggire all'esilio. Accusato di un inesistente “complotto cattolico”, fu condannato a morte e giustiziato nel 1681. È stato canonizzato dal Beato Paolo VI nel 1975. (A cura di Isabella Piro)

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Brexit. Arcivescovo Welby: “Voterò per rimanere in Ue”

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“Per quanto mi riguarda, in base a ciò che ho detto e ho vissuto, voterò per rimanere”. È la dichiarazione di voto dell’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, leader spirituale della Comunione anglicana, al Referendum del 23 giugno che decreterà la permanenza o la fuoriuscita dell’Inghilterra dall’Unione europea. In un articolo pubblicato ieri sulla prima pagina del Mail on Sunday e ripreso dall'agenzia Sir, Welby scrive che con il referendum del 23 giugno il popolo inglese sarà chiamato a fare una scelta che “cambierà la vita di tutti noi e delle future generazioni”. 

Per l'arcivescovo Welby l'economia non è tutto
“Questo referendum – ha quindi aggiunto – mi sembra importante perché sta chiedendo agli inglesi che tipo di Nazione vogliamo essere per noi stessi e per il mondo”. “L’economia è estremamente importante, lo è anche la migrazione, ma non sono tutto, in quanto sono i segni dei valori che abbiamo”. Nel precisare che non c’è un’indicazione ufficiale da parte della Chiesa su come votare, Welby nel suo articolo ha ripercorso la storia dell’Unione Europea e la sua mission più importante nell’immediato dopoguerra: favorire la pace e la riconciliazione per “essere costruttori di ponti e non di barriere”. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 165

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.