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Sommario del 15/06/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: tutti tentati da fastidio per migranti, ma vediamoli "fratelli"

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Tutti abbiamo la “tentazione” di provare fastidio nei confronti di profughi e rifugiati. Anche il Papa. Lo ha detto egli stesso in Piazza San Pietro all’udienza generale dedicata al tema: “La misericordia è luce”. L’indifferenza e l’ostilità, ha sottolineato, “rendono ciechi e sordi”: Francesco ha esortato ad avere “la sensibilità e il desiderio” di venire incontro a chi ha bisogno: seguendo Cristo, ha aggiunto, possiamo porre “al centro” della nostra strada “colui che ne era escluso”. Il servizio di Giada Aquilino

La tentazione del fastidio
Indifferenza, ostilità, fastidio nei confronti di “tante persone che, anche oggi, si trovano emarginate a causa di uno svantaggio fisico o di altro genere”. Papa Francesco osserva le nostre società in cui, nota, possiamo incontrare “uomini che, per diverse cause, sono stati spinti ai margini sociali” e “spesso senza parole” gridano “la salvezza, l’aiuto, un po’ di interesse, di compassione, un gesto di solidarietà e di inclusione nella vita della società”. Da Piazza San Pietro invita quindi ad un esame di coscienza sui nostri atteggiamenti nei confronti dei bisognosi, dei malati, degli affamati, ma anche dei profughi e dei rifugiati. Commentando il brano evangelico di Gesù che ridona la vista al cieco di Gerico, invita a riflettere sulla folla che non provava compassione per lui:

“Quante volte noi, quando vediamo tanta gente nella strada – gente bisognosa, ammalata, che non ha da mangiare – sentiamo fastidio. Quante volte, quando ci troviamo davanti a tanti profughi e rifugiati, sentiamo fastidio. È una tentazione che tutti noi abbiamo. Tutti, anch’io”!

Indifferenza e ostilità diventano aggressione e insulto
Il Papa esorta ad avere “la sensibilità e il desiderio” di venire incontro a chi ha bisogno. La Parola di Dio - prosegue - “ci insegna” a capire che l’indifferenza e l’ostilità “rendono ciechi e sordi”, impediscono “di vedere i fratelli” e di riconoscere “in essi il Signore”.

“A volte questa indifferenza e ostilità diventano anche aggressione e insulto: 'ma cacciateli via tutti questi!', 'metteteli in un’altra parte'! Quest’aggressione è quello che faceva la gente quando il cieco gridava: ‘ma tu vai via, dai, non parlare, non gridare’”.

Gesù dona la salvezza
D’altra parte, quando passa Gesù - come a Gerico - c’è sempre “liberazione” e “salvezza”. Al cieco, che Lo cerca, Lo invoca, che vede “con gli occhi della fede” e così la sua supplica ha una “potente efficacia”, di fatto Cristo annuncia “la sua Pasqua”: si ferma e lo pone al centro dell’attenzione:

“Pensiamo anche noi, quando siamo stati in situazioni brutte, anche situazioni di peccato, com’è stato proprio Gesù a prenderci per mano e a toglierci dal margine della strada e donarci la salvezza”.

L’invito a seguire Cristo
In tal modo, Gesù “obbliga” tutti a prendere coscienza che “il buon annuncio implica porre al centro della propria strada colui che ne era escluso”: il passaggio del Signore – spiega il Papa - è un “incontro di misericordia che tutti unisce intorno a Lui” per permettere di riconoscere chi ha bisogno “di aiuto e di consolazione”:

“Anche nella nostra vita Gesù passa; e quando passa Gesù, e io me ne accorgo, è un invito ad avvicinarmi a Lui, a essere più buono, a essere un cristiano migliore, a seguire Gesù”.

La nostra strada: da mendicanti a discepoli
Al cieco, Cristo chiede cosa desideri: si fa dunque – nota Francesco – “servo dell’uomo peccatore”. E il cieco, che Lo chiama “Signore”, “il titolo che la Chiesa fin dagli inizi applica a Gesù Risorto”, chiede di poter vedere. Il suo desiderio viene esaudito: ha mostrato la sua fede invocando Gesù e volendo assolutamente incontrarlo e questo, aggiunge, “gli ha portato in dono la salvezza”. Così “si sente amato da Gesù” e comincia a seguirlo, “si fa discepolo”:

“Da mendicante a discepolo, anche questa è la nostra strada: tutti noi siamo mendicanti, tutti. Abbiamo bisogno sempre di salvezza. E tutti noi, tutti i giorni, dobbiamo fare questo passo: da mendicanti a discepoli”.

La misericordia su tutti
Ciò che è accaduto al cieco, aggiunge, fa sì che anche la gente finalmente veda, perché Gesù “effonde la sua misericordia su tutti coloro che incontra”: li chiama, li fa venire da sé, li raduna, li guarisce e li illumina”, creando un nuovo popolo che celebra “le meraviglie del suo amore misericordioso”:

“Lasciamoci anche noi chiamare da Gesù, e lasciamoci guarire da Gesù, perdonare da Gesù, e andiamo dietro Gesù lodando Dio”.

I saluti
Al termine dell’udienza, un saluto particolare il Papa lo rivolge tra gli altri ai fedeli provenienti dalla Siria e a una sessantina di ragazzi dell'Istituto penale per minorenni di Airola. Tra i presenti in piazza, anche un centinaio di pellegrini provenienti dalla Cina.

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Confronto sui migranti tra il Papa e il premier dei Paesi Bassi

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Uno scambio di opinioni sulla situazione dei migranti ha caratterizzato l’incontro di Papa Francesco con il primo ministro dei Paesi Bassi, Mark Rutte, ricevuto in udienza. “Durante i cordiali colloqui – riferisce una nota ufficiale – sono state rilevate le buone relazioni bilaterali tra i Paesi Bassi e la Santa Sede. Ci si è poi soffermati su questioni di comune interesse, quali il fenomeno delle migrazioni, e sono state passate in rassegna alcune problematiche di carattere internazionale”.

Dopo l’udienza con il Papa, Rutte si è intrattenuto con il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, e con il segretario per i Rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher.

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Papa agli anziani: Dio non vi abbandona, siete memoria viva

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“Cari anziani, Dio non vi abbandona, è con voi! Con il suo aiuto voi siete memoria viva per il vostro popolo”. Lo scrive Papa Francesco sul suo account Twitter, nel giorno in cui si celebra nel mondo la Giornata di sensibilizzazione contro gli abusi sugli anziani. Numerosi e vibranti sono stati in oltre tre anni di Pontificato gli appelli del Papa al rispetto degli anziani, spesso vittime della cultura dello scarto. Alessandro De Carolis rievoca alcuni pensieri del Papa tratti dalle udienze generali dedicate agli anziani lo scorso anno: 

“Come vorrei una Chiesa che sfida la cultura dello scarto con la gioia traboccante di un nuovo abbraccio tra i giovani e gli anziani”.

Quello scarto così vile
È uno dei sogni di Francesco, Papa che ha sognato la Chiesa, dal primo respiro del Pontificato, povera tra i poveri. E fra le povertà che fanno sanguinare il cuore al Papa dell’inclusione c’è, sempre denunciata a gran voce, quella che relega gli anziani nel sottoscala della vita, nascosti come scope logore, troppo lenti e fragili per la tempistica dell’efficienza che detta i tempi di quelle tante società che non sono per vecchi:

“C’è qualcosa di vile in questa assuefazione alla cultura dello scarto (...) Io ricordo, quando visitavo le case di riposo, parlavo con ognuno e tante volte ho sentito questo: ‘Come sta lei? E i suoi figli?’. ‘Bene, bene’. ‘Quanti ne ha?’. ‘Tanti’. ‘E vengono a visitarla?’. ‘Sì, sì, sempre, sì, vengono’. ‘Quando sono venuti l’ultima volta?’. Ricordo un’anziana che mi diceva: 'Mah, per Natale'. Eravamo in agosto! Otto mesi senza essere visitati dai figli, otto mesi abbandonata! Questo si chiama peccato mortale, capito?”.

Virus di morte
L’anziano, ha ripetuto infinite volte Francesco – come pure il bambino, l’immigrato, il socialmente escluso in genere – è metro di misura di una civiltà. Se essa riserva loro posti in prima fila dove sedere con dignità e rispetto, “quella civiltà andrà avanti”. Viceversa, per il Papa è una società che “porta con sé il virus della morte”:

Affetto senza contropartita
A imbracciare scudo e corazza per la buona battaglia in favore degli anziani Francesco chiama vigorosamente la Chiesa. Agli anziani, afferma, va dimostrata “prossimità” con un “affetto senza contropartita”. Con l’amore che ispira Dio, il quale – dice – “non ci scarta mai”:

“Lui ci chiama a seguirlo in ogni età della vita, e anche l’anzianità contiene una grazia e una missione, una vera vocazione del Signore. L’anzianità è una vocazione. Non è ancora il momento di ‘tirare i remi in barca’”.

Anziani, àncora dei giovani
Insomma, non la “terza età”, qualcosa che viene dopo, rotolata giù lungo la scala dell’indifferenza. Per Papa Francesco l’età degli anziani ha ruolo e posto in modo diversamente efficiente rispetto agli standard. Può produrre senso, dare valore al tempo con la memoria, essere uno spazio di incontro con chi, come i giovani, va verso il largo dell’esistenza senza aver consultato l’anziano di bordo per capire bene la rotta:

“Possiamo intercedere per le attese delle nuove generazioni e dare dignità alla memoria e ai sacrifici di quelle passate. Noi possiamo ricordare ai giovani ambiziosi che una vita senza amore è una vita arida. Possiamo dire ai giovani paurosi che l’angoscia del futuro può essere vinta. Possiamo insegnare ai giovani troppo innamorati di sé stessi che c’è più gioia nel dare che nel ricevere”.

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Nomina episcopale in Francia

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Papa Francesco ha ricevuro ieri in udienza il cardinale Jean-Luis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso.

In Francia, il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Saint-Dié  presentata per raggiunti limiti di età da mons. Jean-Paul Mathieu. Al suo posto, il Papa ha nominato il sacerdote Didier Berthet, del clero della diocesi di Nanterre, fino ad ora rettore del Seminario di Saint-Sulpice (Issy-les-Moulineaux). Il neo presule è nato l’11 giugno 1962 a Boulogne-Bilancourt nella diocesi di Nanterre da un padre cattolico e da una madre protestante. È stato battezzato nella Chiesa riformata francese. All’età di 21 anni è stato accolto nella Chiesa cattolica. Dopo gli studi secondari ha frequentato l’Institut d’Etudes Politiques di Parigi. Entrato in Seminario, è stato inviato a Roma come alunno del Pontificio Seminario Francese e della Pontificia Università Gregoriana, dove ha conseguito la Laurea in Diritto canonico. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 27 giugno 1992, ed è stato incardinato nella diocesi di Nanterre. Ha ricoperto i seguenti incarichi ministeriali: Responsabile delle cappellanie di Rueil Malmaison (1993-1998); Vicario parrocchiale di Saint-Pierre et Saint-Paul a Rueil Malmaison (1993-1994); Parroco di Saint-Joseph de Buzenval a Rueil Malmaison (1994-1998); Parroco di Saint-Saturnin ad Antony (1998-2006); Decano di Antony (1998-2003); Accompagnatore dei seminaristi (2001-2003); Vicario Episcopale di Nanterre per il Settore sud e Membro del Consiglio Episcopale (2003-2006); Cancelliere vescovile di Nanterre e Formatore del Seminario interdiocesano di Saint-Sulpice (2006-2007); dal 2007 Rettore del Seminario interdiocesano di Saint-Sulpice a Issy-les-Moulineaux. Parla o conosce diverse lingue: l’italiano, l’inglese, il russo, l’olandese, il tedesco, lo spagnolo e il polacco.

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Roma, Giubileo degli artisti di strada aspettando il Papa

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Con uno show internazionale a piazza Santa Maria in Trastevere, si apre questa sera a Roma il Giubileo dello spettacolo viaggiante e popolare. Il pellegrinaggio coinvolge, tra gli altri, circensi, fieranti, burattinai, bande musicali, giocolieri e madonnari. Domattina l'udienza con Papa Francesco in Aula Paolo VI, poi il passaggio della Porta Santa e nel pomeriggio ancora esibizioni in Piazza San Pietro. Sul significato di questo particolare giubileo sentiamo il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti che organizza l'evento. L'intervista è di Fabio Colagrande: 

R. - Si tratta di persone che non hanno dimora fissa, sono itineranti e hanno bisogno di sentire che la Chiesa li accompagna, che si prende cura di loro. Nell’ambito poi del Giubileo della Misericordia non poteva mancare l’appuntamento con questo mondo, abituato a trasmettere gioia e speranza, a trasmettere amore. Non dimentichiamo che molti di loro aprono gratuitamente le porte ai più bisognosi, per regalare attimi di spensieratezza: e questa è la vera misericordia. Quindi sono protagonisti in questo Anno speciale della Misericordia. Per loro, quindi, l’incontro con il Santo Padre sarà fonte di gioia e servirà per sentirsi un cuor solo e un’anima sola con la Chiesa.

D. – Quali sono le problematiche pastorali più attuali che riguardano i lavoratori e gli artisti dello spettacolo viaggiante?

R. – Anzitutto il loro stile di vita. Sono persone che continuamente si spostano e questi spostamenti generano provvisorietà; hanno difficoltà per la scolarizzazione e per la continuità dell’iniziazione cristiana dei ragazzi; spesso nascono difficoltà di integrazione con la popolazione residente, perché non sempre vengono bene accolti e non sempre i residenti li vogliono vicini. La Chiesa è vicina alla famiglia dello spettacolo viaggiante per sostenerla e incoraggiarla nel suo cammino: la Chiesa è in movimento con loro. Già molto viene fatto per sollecitare l’integrazione e per offrire percorsi di formazione alla vita cristiana, continuativi nonostante la vita itinerante che loro sono costretti a fare.

D. – Cardinal Vegliò, quali sono le difficoltà maggiori che queste persone incontrano nella loro attività professionale?

R. – Sarebbero felicissimi se ogni giorno che vanno in scena con il loro spettacolo, l’arena fosse piena e invece la crisi economica ha causato un forte calo di spettatori; i costi per l’affitto di piazze e attrezzature sono aumentati; spesso hanno difficoltà a trovare piazze disponibili ad accoglierli e qui a Roma ciò avviene spesso quando arrivano questi circhi; tante volte vengono emarginati e non sono accolti dalla comunità che li ospita, perché spesso poi si scontrano con la diffidenza di chi non li conosce e si basa solo sui pregiudizi. In fondo sono persone che vanno e che vengono e la gente stabile di un quartiere non li vede di buon occhio e dice: “Ma, questi cosa vengono a fare? Sì, fanno lo spettacolo, ma poi creano insicurezza, creano qualche volta episodi di delinquenza…”.

D. – Come questi artisti, questi lavoratori, possono essere testimoni di speranza per la società?

R. – Nello stesso spettacolo si trasmettono messaggi di accoglienza e di solidarietà. In fondo è uno spettacolo che coinvolge tutti e non dimentichiamo un punto di cui si parla sempre più frequentemente che è quello della pedagogia del circo: il valore cioè delle sue espressioni e delle sue tecniche, che sono un valido strumento metodologico. Infatti, l’arte circense è presente ormai in varie strutture fisse: presso cliniche, presso ospedali, presso scuole e centri sociali. Ricordo che Papa Benedetto, nella famosa udienza concessa ai circensi nel 2012, l’invitata a testimoniare i valori che fanno parte delle loro tradizioni, come l’amore per la famiglia, per i piccoli, per gli ammalati, il rispetto per gli anziani e per l’importanza della comunità e del vivere in comunione. Questo può essere di esempio alla nostra società, che troppo spesso è molto individualista. E’ importante poi la testimonianza di convivenza che esiste al loro interno, fra persone di generazioni, culture e religioni differenti. Perché se lei va in un circo, vede che questi artisti provengono da molte nazioni ed è bello vederli lavorare insieme, dando un bell’esempio dello stare insieme, della convivenza, dell’integrazione.

D. – Infine, quale ruolo possono svolgere gli artisti dello spettacolo viaggiante nella nuova evangelizzazione?

R. – Sotto i tendoni, nell’ambito delle feste, si può comunicare la verità della fede, la bellezza della vita vissuta in comunione con Dio. Non sempre avviene, questo lo capisco… Però si può e alle volte avviene. La loro arte, l’arte di questi circensi, è un canale privilegiato per trasmettere il messaggio di amore che Gesù è venuto a portarci: l’essere accoglienti e generosi con il pubblico è imitazione dell’accoglienza e della misericordia del Padre. Loro devono essere sempre attenti, contenti di fare felice il pubblico, come il Signore che è sempre contento di darci il perdono nella sua misericordia. E poi un ruolo che hanno è quello di trasmettere allegria e divertimento, ci aiutano a esprimere la gioia che deve essere propria di ogni cristiano.

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Vatileaks. Nuzzi: no fitte email con Vallejo. Nato figlio di Chaouqui

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"Non c'è mai stata una fitta corrispondenza email con mons. Vallejo". Lo ha ribadito Gianluigi Nuzzi al processo in Vaticano per appropriazione e divulgazione illecita di documenti riservati. Ascoltati anche i periti che in sostanza hanno confermato il materiale presente "in atti". Comunicata la semilibertà per mons. Vallejo e annunciata, all'inizio della XVII udienza che si è svolta di pomeriggio, la nascita di Pietro Elia Antonio, il figlio dell’imputata Francesca Immacolata Chaouqui. La prossima udienza è stata fissata per il 4 luglio. Massimiliano Menichetti: 

Un’udienza pomeridiana che si è aperta con l’annuncio, del legale di Francesca Immacolata Chaouqui, della nascita questa mattina (14 giugno - ndr), di Pietro Elia Antonio. “Una bella notizia” ha ribadito il Direttore della Sala Stampa Vaticana, Padre Federico Lombardi, che, in un saluto a margine della nota ufficiale, ha dato il "benvenuto” al piccolo con un caloroso “tanti auguri a lui e ai suoi genitori”. Per questo motivo in aula non era presente l’imputata, che ha subito un parto cesareo. Assente anche Emiliano Fittipaldi, presenti invece gli altri imputati: Nicola Maio, mons. Vallejo Balda e l’altro giornalista Gianluigi Nuzzi, il quale nella sua dichiarazione spontanea ha contestato alcuni elementi emersi dalla testimonianza del gendarme Stefano De Santis.
 
Nuzzi: no fitte email con mon. Vallejo
Ribadito che tra lui e mons. Vallejo “non c’è mai stata una fitta corrispondenza email, ma solo messaggi via WhatsApp,” ad “eccezione di materiale” inviato dal giornalista al sacerdote relativo “ad una presunta truffa ai danni dello Ior”. Illecito del quale Nuzzi chiedeva “contezza” per la lavorazione “del libro” Via Crucis. “Lo stesso monsignore - ha aggiunto - mi disse di aver trasmesso all’Aif (Autorità di Informazione Finanziaria) la documentazione da me raccolta.
 
Chaouqui “solo un contatto”
Nuzzi ha poi contestato un secondo punto della testimonianza De Santis nella quale il gendarme “ha dichiarato" che l’imputato avrebbe “ricevuto il Vam, il Vatican Asset Management, il documento segreto, frutto più importante della Sottocommissione Cosea", dalla Chaouqui. Ha precisato che la donna “è stata solo un contatto" che gli “permise di conoscere mons. Vallejo”.
 
Vam fatto marginale
Ha spiegato poi di aver scritto “solo poche righe” sul Vam e pubblicato a pagina 307 e 308, di "Via Crucis", documenti in formato “PowerPoint”, non “Word” come dichiarato da De Santis. “Non ho memoria - ha aggiunto - di un eventuale documento Word inviatomi dalla Chaouqui”. Ha però precisato che in realtà il Vam era per il suo lavoro di relativo interesse, “un fatto marginale” poiché “mentre scrivevo il libro - ha detto - il Santo Padre lo aveva già bocciato”. L’imputato ha anche evidenziato che in tempi anteriori all’uscita del testo, fonti di stampa avevano già ampiamente parlato del Vatican Asset Management: come un articolo de “Il Sole 24 Ore” del 22 maggio 2015, mostrato in aula e di cui Nuzzi ha chiesto l’acquisizione agli atti. Si è poi riferito a generiche conversazioni avute con la Chaouqui in cui lei “avrebbe mostrato disappunto”, precisando però la scarsa rilevanza di questi colloqui.

I periti Azzeni e De Nardis
Ascoltati poi i due periti: il prof. Paolo Azzeni e l’ing. Stefano De Nardis che hanno in sostanza confermato “trascrizione”, “estrazione” e “conformità” del materiale presente negli atti del processo (email e messaggi), proveniente dagli apparati elettronici di mons. Vallejo. In pratica, è stato effettuato un secondo riscontro rispetto al lavoro svolto dalla Gendarmeria. Su domanda di parte, il prof. Azzeni ha precisato di non aver visto fisicamente il Pc del prelato e che le email, agli atti, sono state ricavate dalla casella di posta elettronica presso “Gmail” dagli esperti del Corpo vaticano. Le "estrazioni" dei dati dagli apparati “sono state svolte usando sistemi hardware e software” in presenza “sia dei periti sia dei gendarmi” e “non vi è stata richiesta di confrontare il contenuto delle trascrizioni con i verbali del Corpo vaticano”. Azzeni sollecitato anche su una possibile manomissione degli apparati ha concluso: “Non è possibile dirlo, erano in custodia alla Gendarmeria”.

Tre udienze a luglio
Cercando poi di venire incontro alle esigenze degli avvocati e degli assisti, il Tribunale ha fissato il calendario delle prossime tre udienze che si terranno nei giorni 4, 5, 6 luglio.
 
Mons. Vallejo in semilibertà
Prima di far rientro in caserma mons. Vallejo si è trattenuto con i giornalisti parlando dello stato di semilibertà che gli è stato concesso da sabato scorso, dopo circa sette mesi di detenzione. Il prelato ora può muoversi liberamente, in orari prestabiliti, entro i confini dello Stato Città del Vaticano. Ha comunque scelto di rimanere nella cella che gli avevano assegnato: "Sono rimasto lì così mi sento sicuro - ha detto - sto benissimo, non prendo alcuna medicina, mangio benissimo. Faccio 10 km di passeggiata al giorno e leggo tantissimo".

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Siamo tutti mendicanti: all'udienza generale il Papa parla della guarigione del cieco di Gerico.

Luci e ombre dal summit di Istanbul: Anne-Jiulie Kerhuel sui risultati del primo vertice umanitario mondiale.

Una lettera personale: Wim Wenders sulla "Laudato si'".

Un articolo di Sergio Massironi dal titolo "Dove gli uomini da soli non arrivano": a Bosisio Parini un esempio di modello di formazione universitaria.

Edoardo Zaccagnini su Gomorra, monologo del male: si è conclusa la seconda stagione della serie tv.

Aperti al mondo: Maurizio Gronchi sulla lettera "Iuvenescit ecclesia" e un rinnovato annuncio del Vangelo.

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Oggi in Primo Piano



Terrorismo. Premier francese Valls: ci saranno altre vittime

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Francia e Stati Uniti hanno deciso di "aumentare ancora la cooperazione tra i loro servizi di sicurezza di fronte a una minaccia che evolve continuamente”. E’ quanto si legge in una nota diffusa dall'Eliseo al termine del colloquio telefonico tra Francois Hollande e Brarack Obama, tenutosi ieri sera in seguito agli attentati rivendicati dall'Isis a Orlando e Magnanville . Il servizio di Marco Guerra: 

Opporre la forza delle democrazie alla barbarie, dicono Hollande e Obama, mentre nei rispettivi Paesi proseguono le indagini sugli attacchi e infuriano le polemiche sulla sicurezza. “Il Presidente è arrabbiato più con me che con il killer di Orlando" attacca ancora il candidato repubblicano Donald Trump, dopo che Obama lo aveva accusato di tradire i valori dell’America. Intanto emerge che l’autore della strage, Omar Mateen, era frequentatore abituale del locale gay 'Pulse', che aveva effettuato ricerche di materiale di propaganda jihadista e che accusava l’America di bombardare il suo Paese di origine, l’Afghanistan. E secondo fonti Fbi citate dalla stampa Usa, la moglie del killer sapeva dell’attacco e sarà incriminata nelle prossime ore. Allerta massima nel frattempo in Francia; il premier Manuel Valls ha detto che il Paese dovrà combattere almeno per una generazione il terrorismo e che altre persone innocenti perderanno la vita, perché il Califfato arretra in Siria e Iraq e si proietta in Occidente. Sulle reali prospettive di cooperazione tra Stati Uniti e Paesi europei e sulla proiezione internazionale dello Stato Islamico abbiamo raccolto l’analisi di Paolo Branca, docente di Storia dei Paesi arabi presso l'Università Cattolica di Milano:

R. – Sicuramente ce una grande necessità di cooperazione; che poi questo si traduca in uno scambio più intenso ed efficace di segnalazioni, files e dati, ce lo auguriamo tutti. Purtroppo però sappiamo che poi ci sono degli aspetti burocratici, o talvolta perfino una specie di concorrenza tra i vari apparati di sicurezza, anche interni allo stesso Paese, che non sempre rendono così immediato l’accesso a informazioni sensibili. E probabilmente da questo punto di vista bisogna impegnarsi di più.

D. – È ancora legittimo parlare di “lupi solitari” o dobbiamo abituarci a un terrorismo polverizzato?

R. – Da un certo punto di vista penso di sì, che siano ancora dei lupi solitari, perché credo che l’iniziativa la prendano da soli, e spesso si è visto che hanno un background abbastanza problematico: sono persone instabili o con un passato travagliato. C’è però una specie di brodo di coltura, per cui persone che hanno già dei problemi, che sono un po’ borderline, oggi è più facile che si ispirino a ideologie e slogan di marca religiosa-fondamentalista che non a ideologie invece più laiche, come era nel passato,  o a elementi razziali e nazionalistici.

D. – In molti casi c’è anche un collegamento, magari anche in passato, con ambienti terroristici…

R. – Sì, ambienti che però sono a volte più virtuali che reali. Insomma, sono persone che più che andare nelle moschee frequentano siti web. Siamo di fronte a un paradosso: sembrano delle persone che vengono dal passato, con una mentalità medioevale per quello che fanno; ma lo fanno attraverso la rete che è forse uno degli elementi più sofisticati della tecnologia moderna.

D. – Il premier francese Valls ha detto che ci saranno nuove vittime innocenti. Sembra quasi impossibile prevenire attacchi di questo tipo?

R. – Temo di sì, per il fatto – appunto – che sono così polverizzati, non organizzati. È la democrazia stessa che, per definizione, è un sistema debole: se avessimo poliziotti o soldati a ogni angolo di strada non saremmo una democrazia; saremmo probabilmente più sicuri contro eventi di questo genere, ma perderemmo ovviamente in stile di vita, libertà e garanzie.

D. – Secondo una recente statistica, la jihad globale negli ultimi due anni ha fatto almeno 1200 vittime fuori dai territori del Califfato. Forse, bisogna rivedere la definizione che voleva il sedicente Stato islamico, concentrato solo sui territori che controlla; mentre si diceva che Al Qaeda era l’organizzazione che aveva invece più una prospettiva internazionale?

R. – La distinzione – secondo me – rimane. Al Qaeda non aveva un territorio che governava o che pretendeva di governare; mentre il vuoto che si è creato, soprattutto tra Siria e Iraq, ha permesso all’Is almeno di presentarsi in questo modo. Ciò non toglie che comunque obiettivi sensibili, soprattutto Occidentali – anche perché poi anche molto visibili e mediatizzati – rimangono parte di una strategia del terrore globalizzata; e tanto più che adesso sul terreno sembra che l’Is stia perdendo posizioni, e il pericolo che si vendichi in modo trasversale purtroppo aumenta. Lo abbiamo già visto con quelli che erano stati in Afghanistan contro i russi, o quelli che hanno distrutto l’Algeria ecc., ma anche persone che non sono mai state effettivamente nei territori dell’Is, e che però simpatizzano con questa causa. Hanno poi tanti problemi personali che si illudono di risolvere con un gesto plateale. Temo che queste cose non scompariranno e anzi – come dicevamo – adesso, nella fase più acuta della reazione, della coalizione contro l’Is, potrebbero perfino aumentare.

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Usa. Concluse le primarie: ora si guarda alle elezioni

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Saranno Hillary Clinton e Donald Trump a sfidarsi alle elezioni generali di novembre per la presidenza degli Stati Uniti. Si sono, infatti, concluse le primarie con la vittoria della Clinton a Washington, anche se il rivale, Bernie Sanders, non si è ancora ritirato. Le primarie del 2016 sia da parte democratica sia da parte repubblicana hanno fatto registrare un record di votanti, oltre 60 milioni, superando la quota di 58-59 milioni del 2008. Il direttore del quotidiano La Stampa , Maurizio Molinari, per oltre 10 anni corrispondente da New York, si sofferma su due aspetti di queste primarie, come sentiamo nell’intervista di Debora Donnini: 

R. – Il Partito Democratico, che aveva già maturato – 8 anni fa – la possibilità di mandare una donna alla Casa Bianca, oggi formalmente sottoscrive questa decisione, che sarà presa dalla Convention di Philadelphia. E’ un momento storico nella vita politica degli Stati Uniti. Il secondo aspetto riguarda, invece, lo sfidante, che è l’altra novità della campagna, perché un senatore di 70 anni - l’unico a definirsi socialista nel Congresso di Washington, da sempre in minoranza dentro al proprio partito - di fatto è stato capace di contendere fino alla fine la nomination ad Hillary Clinton, e non solo,  perché promette battaglia alla Convention seppur da una posizione di minoranza. La forza di Sanders sta nel fatto che lui esprime, all’interno del Partito Democratico, la stessa voglia di protesta che Trump esprime in Casa repubblicana. L’interrogativo politico delle prossime settimane, che ci separano dalla Convention di Philadelphia, è se Hillary riuscirà a siglare un patto con Sanders per portare a bordo i democratici che condividono le ragioni della protesta.

D. – Un terreno forte di scontro, fra Trump e la Clinton, è proprio la questione dell’immigrazione e della lotta al terrorismo. Qualche giorno fa, Trump, riferendosi alla strage di Orlando, ha detto che se fosse eletto sospenderebbe l’immigrazione da quelle aree che hanno legami con il terrorismo; mentre la Clinton ha affermato che demonizzare l’Islam è aiutare il sedicente Stato Islamico. Quanto peseranno queste posizioni, secondo lei, sul consenso dei due candidati in questo momento in America?

R. – La tradizione americana vuole che quando finiscono le primarie, i rivali puntano a “finire” l’avversario di fronte all’opinione pubblica. Di conseguenza, tanto Trump quando Hillary hanno interesse, in questo momento, a parlare del rispettivo avversario nei termini più negativi possibili.

D. – In particolare sul fronte dell’immigrazione e della lotta la terrorismo, le loro posizioni quanto pesano in questo momento in America?

R. – L’immigrazione e la sicurezza sono due dei temi chiave attorno ai quali entrambi stanno tentando di definire l’avversario. E quindi Trump vuole definire Hillary come una persona debole, incapace di difendere l’America dalla minaccia dei terroristi, come dalla minaccia degli immigrati; esattamente come Hillary vuole definire Trump come un personaggio inaffidabile nella gestione e nella guida del Paese.

D. – Quali possono essere, secondo lei, le previsioni?

R. – La Casa Bianca si assegna sulla base dei voti elettorali espressi dagli Stati e su questo conteggio, Hillary Clinton è al momento in netto vantaggio,  anche se i sondaggi a livello nazionale danno un testa a testa fra i due. Ciò significa che, da un punto di vista tecnico, sta a Trump trovare una strada per arrivare alla Casa Bianca: Hillary ce l’ha, lui ancora no.

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L'agonia di Aleppo. Fr Ishak: siamo bersaglio dei missili

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In Siria, militari tedeschi, americani e francesi fiancheggiano le forze siriane democratiche nella battaglia contro l'Is, sul fiume Eufrate. Lo affermano attivisti dell'Osservatorio siriano per i diritti umani. Sempre secondo l'Osservatorio, le forze straniere non sarebbero coinvolte in azioni militari, ma forniscono supporto disinnescando le mine dell'Is. Per il Ministero degli esteri siriano, si tratta di “violazione della sovranità nazionale”. Intanto, la situazione umanitaria sta peggiorando in tutta la Siria, in particolare nella zona di Aleppo. Al microfono di Luca Collodi, la testimonianza di Frà Samhar Ishak, vicario parrocchiale di Aleppo: 

R. – Purtroppo, la situazione va male. Speriamo sempre che migliori ma invece peggiora. Aleppo è divisa a metà: una parte è sotto il controllo governativo e metà sotto il controllo dei ribelli. C’è una guerra intensa, soprattutto in questi giorni, missili e razzi non si sono fermati. I ribelli colpiscono la parte ovest della città dove si trova la nostra parrocchia, zona controllata dal governo siriano. C’è poi il problema dell’acqua e dell’elettricità, che mancano da giorni perché controllate dai ribelli. Ma, oltre a tutto ciò, ci sono tanti morti e feriti, ci sono tante case danneggiate e tante famiglie che stanno ancora fuggendo da Aleppo, perché non ce la fanno più a vivere questa situazione che va sempre più peggiorando rispetto a prima.

D. – Aleppo è divisa tra i soldati del governo siriano e i ribelli. Chi sono i ribelli?

R. – Sono composti in realtà da gruppi diversi. Non possiamo dire che si tratti di un gruppo ribelle compatto. Non possiamo dire che sia l’Is o al-Nusra. No, sono diversi e sono tanti gruppi. Non si tratta di un solo gruppo…

D. – Questi gruppi sono uniti tra loro?

R. – No, no. Sono anche in guerra tra di loro, soprattutto al-Nusra e l’Is.

D. – L’esercito siriano prova a prendere il controllo dell’intera Aleppo?

R. – Lo speriamo. Sta operando intorno ad Aleppo e sta riconquistando molte zone che erano sotto il controllo dell’Is o di al-Nusra o di altri gruppi. Sta riprendendo l’area attorno ad Aleppo, ma speriamo che pian piano riesca a entrare nella zona est di Aleppo, in modo che anche la zona di Aleppo ovest sia più sicura.

D. – I cristiani in Siria riescono a mantenere la loro fede?

R. – Ad Aleppo ma anche in tutto il resto della Siria, i cristiani si sentono perseguitati, anche se in modo indiretto: la guerra infatti non è contro i cristiani, ma contro tutto il Paese. Vediamo anche che certe volte sia l’Is che al-Nusra entrano nei villaggi cristiani e massacrano, uccidono o li obbligano a scappare. I cristiani sentono questa persecuzione, ma dicono anche che non sono soltanto loro a essere perseguitati. Lo sono anche tanti musulmani che sono moderati. Noi abbiamo sempre vissuto assieme a loro. Faccio un esempio, quello di una famiglia di Aleppo che ha perso un figlio unico, di 21 anni, per un missile che ha colpito la loro casa: quando sono andato a trovarli mi hanno dato testimonianza di una fede veramente forte, dicendomi: “Sappiamo che Dio non c’entra in questa cosa. Ringraziamo il Signore per tutto e chiediamo a Lui che ci dia la forza e la fede di andare avanti, perché senza di Lui non possiamo fare niente”.

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Senato: nuove proposte per combattere la schiavitù sessuale

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Si è tenuto oggi al Senato il convegno “Un mare di schiave” dove sono state presentate alcune proposte volte a una maggiore protezione delle vittime dello sfruttamento sessuale in arrivo via mare. E’ questo il triste epilogo di centinaia di donne, soprattutto nigeriane, traghettate dalla miseria alla prostituzione forzata nelle città occidentali, con la promessa di un futuro migliore. Gioia Tagliente ha intervistato Federico Soda, direttore dell'Ufficio coordinamento per il Mediterraneo dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim):  

R. – La situazione attuale preoccupa moltissimo, perché siamo di fronte a dei flussi, principalmente dall’Africa subsahariana – in Libia e attraverso il Mediterraneo – composti sempre di più da gente giovane, che viene spostata per scopi di sfruttamento, sessuale o di lavoro. C’è un aumento notevole, soprattutto di donne e bambine nigeriane – quest’anno ne abbiamo già identificate 2.000 – e c’è anche una crescita notevole di minori non accompagnati di varie nazionalità subsahariane. Siamo a oltre 7.000 minori accompagnati e non.

D. – Come mai la situazione è peggiorata negli ultimi anni? C’è forse poca vigilanza da parte delle istituzioni?

R. – La situazione è peggiorata perché le condizioni nei Paesi di origine non stanno migliorando. La migrazione, per certe famiglie, sta diventando una vera strategia per migliorare le proprie condizioni e il proprio futuro. Per quanto riguarda lo sfruttamento sessuale, deve esserci anche una richiesta per queste persone e un mercato in Europa, quindi anche questo ci preoccupa moltissimo. C’è una richiesta che continua ad attirare i trafficanti a spostare sempre più persone.

D. – Quindi i trafficanti approfittano dell’esodo dei profughi: quali sono le soluzioni per combattere questa importante emergenza?

R. – Innanzitutto, bisogna creare e sviluppare dei canali legali e dei percorsi più sicuri tramite cui la gente si può spostare senza doversi rivolgere ai criminali. Per quanto riguarda la tratta e lo sfruttamento, bisogna essere più attivi nei Paesi di origine con educazione e formazione sui rischi e i pericoli, non solo del viaggio, ma anche dello sfruttamento. Ma ci vogliono poi anche campagne di sensibilizzazione nelle comunità europee dove queste persone vengono trafficate. E infine, anche in questi Paesi subsahariani sono necessarie attività più complesse, di sviluppo ed economiche, che diano alle persone una scelta. E la migrazione non deve essere l’unica scelta: ossia essere costretti a migrare solo per avere una vita più un po’ più dignitosa o migliore.

D. – Quali sono le proposte emerse durante la Conferenza?

R. – Abbiamo identificato delle priorità, in seguito a delle raccomandazioni che l’Oim aveva già preparato e coordinato con i vari partner, e la necessità di stabilire delle case di fuga dove le donne e le bambine che identifichiamo possano essere accolte immediatamente dopo lo sbarco: questa è infatti una mancanza grave nel sistema in questo momento. E abbiamo poi anche parlato della necessità di gestire i flussi in un modo più completo, attraverso la collaborazione e il dialogo con i Paesi d’origine per una migliore gestione degli stessi. 

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Soddisfazione per l'approvazione della legge "Dopo di noi"

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Grande soddisfazione da parte delle associazioni che si occupano di disabilità e delle famiglie con figli portatori di handicap, per il via libera definitivo ieri alla Camera, della legge sul cosiddetto “Dopo di noi”, cioè sulle misure di accompagnamento per le persone con grave disabilità in assenza di sostegno famigliare. La legge approvata stanzia in tre anni un fondo nazionale di 150 milioni di euro per la realizzazione di diversi progetti di residenzialità. Al microfono di Adriana Masotti, il commento di Emilio Rota, presidente della Fondazione “Dopo di noi” dell’Anffas Onlus, Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva o relazionale: 

R. – Finalmente, dopo tanti anni, siamo riusciti ad ottenere un testo di legge che apre un mondo, un mondo nel quale la famiglia può riprendere in mano le redini anche del futuro della persona con disabilità. Come? Facendo delle scelte diverse da quelle che erano obbligate nel passato. Per tanti anni la soluzione qual era? La soluzione era la struttura residenziale e tradizionale, quindi anche con delle difficoltà oggettive di approccio proprio in termini di qualità di vita. Oggi, invece, diciamo alle famiglie: hai una casa, hai un appartamento o c’è l’appartamento della nonna; tuo figlio desidera andare a vivere con degli amici, benissimo! Vuole rimanere in casa? Rimane in casa e ci si organizza. Vuole fare del cohousing con altre persone? C’è tutta una questione diversa rispetto al passato. Le parole del Papa sono stati illuminanti, quando parla di persone separate, segregate in un qualche recinto, magari dorato, degli assistenzialismo, cioè questo era un po’ il problema che noi abbiamo voluto rimuovere.

D. – Secondo lei, il fondo nazionale di 150 milioni di euro, che verranno stanziati in tre anni, è sufficiente per dare risposte a tante persone? Questo sarà un fondo che poi verrà ricostituito?

R. – I fondi non sono mai sufficienti, però è una buona partenza. Noi ci auguriamo che superati i tre anni questo venga ricostituito e che diventi elemento essenziale per il proseguimento di queste azioni. I soldi non sono mai molti, però dobbiamo anche confrontarci col fatto che con questa legge attiviamo anche una serie di processi, in cui richiamiamo la famiglia, coinvolgiamo la famiglia e anche il privato sociale affinché intervenga e sostenga – con opportuni interventi – la parte statale che deriva dai fondi. In altre parole: con un sistema di assicurazione, ad esempio, la famiglia può costituire un vitalizio, che costruito durante gli anni del “durante noi” permetta poi alla persona al momento del “dopo di noi” di avere un gruzzoletto e quindi di poter in parte sostenere quelli che sono i suoi reali bisogni. Quindi, rimettiamo in movimento un concetto che era stato un poco dimenticato, che è quello che sia giusto che le famiglie prendano le redini della situazione, compresa anche quella economica.

D. – Naturalmente, perché tutto questo possa avvenire, ci vuole poi un’applicazione reale della legge?

R. – Assolutamente. I fondi ci sono e verranno distribuiti alle Regioni: adesso tocca a noi seguire con attenzione che le Regioni e le istituzioni in generale facciano quello che è giusto: quindi ridistribuire questi fondi a fronti di progetti che abbiano la valenza che la legge prevede. Comincia adesso la vera fase importante, perché le Regioni e gli Enti locali devono agire in modo coerente rispetto allo spirito della legge. Il cambiamento epocale, il cambiamento di cultura è proprio questo: mettiamo al centro la persona e facciamo in modo che la persona e la sua famiglia scelgano il futuro.

Una legge che colma un vuoto di civiltà che riguarda più di due milioni di famiglie italiane. Così Gianluca Nicoletti, scrittore, giornalista e conduttore radiofonico Rai che a lungo si è impegnato per l’approvazione di una legge sul “Dopo di noi”. Lo sentiamo al microfono di Adriana Masotti: 

R. – Ho chiesto e abbiamo chiesto tanto tutti noi genitori che abbiamo un figlio disabile grave di area intellettiva. Sono loro che, in realtà, hanno più bisogno di tutela, essendo totalmente incapaci di badare a se stessi. Immagini che in questo momento, in cui lei mi sta chiamando, sto andando a lavorare e ho dietro con me mio figlio Tommy, che ha 18 anni ed è un gigante. Non avrei alternative, infatti, ora: non posso organizzare tutta la giornata di mio figlio. Quindi, una legge che mi dia degli strumenti e degli aiuti, per cominciare a pensare, finché ancora sono vivo e cosciente, a quale potrebbe essere un futuro dignitoso per mio figlio, senz’altro mi dà speranza. Ho saputo e ho visto che è una legge che ha avuto anche opposizione e che ci sono forze politiche apertamente opposte. Devo capire bene quali sono i punti di frizione. In generale, però, che lo Stato, per la prima volta, si occupi di un problema che sembrava relegato alla sola sfera di interesse delle famiglie che lo subiscono e, in qualche maniera lo devono gestire, mi sembra un grande passo avanti. E’ chiaro che non si avrà tutto subito e che non saremo tutti immediatamente soddisfatti nelle nostre esigenze specifiche, però perlomeno avremo un punto di partenza su cui lavorare.  Un Paese civile è un Paese che si occupa anche dei suoi cittadini che non hanno autonomia. E questi ragazzi sono totalmente privi della possibilità di determinarsi, di decidere la loro giornata, di pensare al loro tempo. Noi genitori facciamo il possibile e non ci lamentiamo purché loro abbiano una vita il più possibile dignitosa, ma noi non siamo eterni, non duriamo per sempre, e non vogliamo vedere i nostri figli finire in uno di quei posti di cui si sente parlare sempre unicamente come posti di eccellenza, come fiori all’occhiello, ma che, quando carabinieri e polizia mettono delle telecamere nascoste, in realtà vediamo non sono altro che l’edizione edulcorata dei manicomi, dei lager e dei luoghi di reclusione. Non vogliamo che i nostri figli finiscano così.    

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"L'attesa", l'Albania dalla dittatura all'abbraccio del Papa

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E’ stato proiettato ieri sera in concorso al TaorminaFilmFest il documentario “L’attesa” del regista albanese Roland Sejko: mentre Papa Francesco è in volo verso l’Albania, atteso da migliaia di fedeli, sotto le nuvole scorre la tragica storia di quel Paese, per cinquant’anni costretto da una spietata dittatura a praticare l’ateismo di Stato. Il servizio di Luca Pellegrini

Gettare a terra le campane “per non disturbare la quiete”, chiudere tutte le scuole, i collegi, i conventi. Infine, "alzarsi con portamento rivoluzionario contro Dio preparandosi alla distruzione materiale delle chiese e delle moschee". Nel 1946, l’Albania cadde in un baratro, il dittatore che la governa, Enver Hoxha, in un delirio d'onnipotenza, con quel proclama decide di instaurare il culto della propria personalità, di Stalin e della Nazione sottoponendo un intero popolo ai ferrei principi di un comunismo spietatamente ateo. I filmati dell’epoca sono in bianco e nero, ma sopra le nuvole brilla il sole, mentre un aereo si avvicina a quella terra, che da parecchi lustri attende quella visita. E' Papa Francesco. Roland Sejko ha scritto e diretto un film avvincente, denso di contrasti. Gli abbiamo chiesto da dove è nata l’idea del film:

R. – Il film nasce dall’annuncio di Papa Bergoglio che sceglie l’Albania per il suo primo viaggio apostolico in Europa e dalla sua frase con cui motiva le ragioni per le quali ha scelto l’Albania: “Vado a visitare un popolo che ha a lungo sofferto le ideologie del passato”. Da questa sua frase, io ho pensato che si sarebbe potuto raccontare il viaggio del Papa, raccontando proprio le radici della sua scelta e raccontando un po’ la storia della persecuzione del clero cattolico in Albania, utilizzando proprio il viaggio del Papa come un punto di partenza. Il film, alla fine, è proprio questo: è il viaggio del Papa che parte e con lui praticamente viaggiano anche 45 anni di storia dell’Albania sotto il comunismo.

D. – Il suo film è costruito sulla storia parallela di due protagonisti.

R. – Sì, la storia raccontata alla fine doveva essere trovata in due simboli. Dopo una lunga ricerca li ho identificati nella storia di un frate francescano che era stato per 26 anni nelle carceri comuniste e nel luogo di culto, la cattedrale di Scutari, la più grande dei Balcani, nella sua storia di trasformazione, dalla sua fondazione fino alla sua vita religiosa, con tutti i riti prima del comunismo e poi la sua trasformazione in Palazzo dello Sport e addirittura in un Palazzo dei Congressi, in cui alla fine entra anche Hoxha stesso, come a sostituire non soltanto il tempio di cui si erano appropriati, ma anche del Dio di cui si erano appropriati con la nuova ideologia marxista.

D. – Proprio padre Zef Pllumi è il testimone della persecuzione…

R. – La furia del comunismo si abbatte su tutte le religioni, ma con un accanimento ancor maggiore sulla religione cattolica. Già con l’arrivo dei comunisti, nel ’44, i cattolici del nord, tutti i seminaristi gesuiti e i francescani vengono accusati di collaborazione e di qualsiasi altra cosa, fabbricando addirittura le prove... Padre Zef Pllumi è testimone: lui era un seminarista all’epoca, nel Convento dei Francescani, ed è testimone fin dall’inizio di questa furia. Il suo racconto è veritiero, è sentito e fin dall’inizio capiamo che contro il cattolicesimo c’è stata una lotta molto più forte.

D. – Lei ha affermato che il ritorno del cristianesimo fu un trauma, ma avvenne anche in modo sorprendentemente veloce...

R. – La prima Messa – nel novembre dell’89 – è celebrata a Scutari: si nota immediatamente una partecipazione di massa. E’ stato, questo, forse, il primo segnale del cambio di regime. Credo sia stato il primo segnale della caduta del comunismo in Albania. Adesso, sicuramente c’è una normalità nelle religioni e quella normalità è espressa nella caratteristica che ha sempre fatto parte della nazionalità albanese, che è quella della coesistenza di tutte le religioni insieme.

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Nella Chiesa e nel mondo



Pakistan: Onu intervenga su omicidi difensori dei diritti umani

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Sollecitare il governo pakistano “a catturare i killer del ministro cattolico Shahbaz Bhatti e di altri attivisti per i diritti umani e a fare giustizia”, perché tali casi evidenziano “l'impunità persistente negli attacchi contro difensori dei diritti umani, cresciuti negli ultimi anni, e il bisogno urgente della loro protezione”: è quanto chiede una missiva inviata dall’avvocato cristiano pakistano Sardar Mushtaq Gill a Michel Forst, nominato Relatore speciale Onu per i diritti umani.

Nessuno degli assassini di Bhatti è stato arrestato
Nel testo della lettera, ripresa dall'agenzia Fides, si ricorda che “sono trascorsi più di cinque anni dall’omicidio di Bhatti e nessuno dei suoi assassini è stato assicurato alla giustizia”. Bhatti, ricorda la lettera, “si è distinto come il più influente difensore dei diritti umani che ha alzato la sua voce per i diritti dei cristiani nel Paese”. Come lui è stato ucciso nel 2014, Rashid Rehman Khan, avvocato musulmano, coordinatore della Ong “Commissione dei diritti umani del Pakistan” (Hrcp), che stava difendendo un docente universitario accusato di blasfemia.

Lo Stato non protegge i difensori dei diritti umani
La lettera lamenta la mancata protezione dello Stato verso attivisti e promotori dei diritti umani, “bersaglio di estremisti e gli altri attori statali e non statali”. I pericoli crescono, ricorda il testo “quando ci si impegna a dare assistenza alle vittime di accuse di blasfemia”. Anche l’avvocato Gill, che difende diversi di questi casi, è sotto tiro e alcuni dei suoi familiari sono stati intimiditi, minacciati e sequestrati. 

Assistenza alle vittime innocenti degli abusi della legge sulla blasfemia
L’avvocato osserva: “Apprezzo i passi compiuti negli ultimi anni dall’Onu per sostenere la giustizia in Pakistan e auspico che la protezione dei diritti umani nel Paese asiatico, continui a essere una priorità assoluta”. E conclude: “Dato che minacce, rapimenti, attacchi e omicidi sono in aumento, chiedo al Relatore speciale Onu di adottare misure ferme e vigorose per proteggere i difensori dei diritti umani in Pakistan, specialmente quanti si impegnano a fornire assistenza alle vittime innocenti degli abusi della legge sulla blasfemia”. (P.A.)

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Spagna: Chiesa condanna uso blasfemo immagine della Madonna

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Profanazione e blasfemia sono le parole usate nella nota della Segretaria generale della Conferenza episcopale spagnola per esprimere l’indignazione dei credenti cattolici di fronte alla diffusione delle immagini della “Virgen de los desamparados” e della “Virgen di Monserrat” che si baciano, per convocare un manifestazione dell' “orgoglio gay” che si terrà sabato prossimo a Valencia. “Una profanazione blasfema - si legge nel testo- che ferisce i sentimenti religiosi radicati nel popolo cristiano della Comunità di Valencia, della Catalogna e del resto della Spagna”

Un scherzo che deve essere condannato
La nota dell’episcopato afferma che “purtroppo, questa  propaganda blasfema è un altro episodio che va ad alimentare  una spirale che attenta contro il legittimo esercizio della libertà religiosa e contra la libera predicazione del Vangelo in una società pluralista”.  L'Associazione gay Lgbt di Valencia ha subito chiarito che “prende le distanze da questa propaganda poiché non corrisponde alla convocazione ufficiale della manifestazione dal motto: “Persone bisessuali, diverse e uguali”.  La pubblicità blasfema è stata patrocinata dall’Associazione Endavant - un'organizzazione della sinistra radicale - che in questi anni ha presso di mira la Chiesa cattolica con diverse campagne dove lo scherzo di cattivo gusto e l'offesa sono all’ordine del giorno. 

Messa di riparazione a Valencia
La Conferenza episcopale ha espresso la sua vicinanza all’arcivescovo di Valencia, card. Antonio Cañizares Llovera e a tutti i vescovi di questa comunità autonoma, invitando i fedeli ad unirsi spiritualmente all’atto di riparazione convocato per domani, alle ore 19.30 nella Piazza della Vergine,  nel quale si pregherà il Santo Rosario e di seguito si celebrerà la Santa Messa nella cattedrale della città. Ieri, durante la messa di mezzogiorno, il cardinale Cañizares e il vescovo ausiliare mons. Esteban Escudero, hanno ribadito la loro “energica condanna per la profanazione ingiusta e gratuita” contenuta in quella propaganda, e hanno convocato tutte le università e scuole cattoliche, le parrocchie e le persone “desiderose di una convivenza pacifica nel rispetto delle proprie convinzioni” ad unirsi all’atto di riparazione e protestare contro questo grave gesto di intolleranza e mancanza di rispetto verso migliaia di credenti valenziani. (A cura di Alina Tufani)

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Vescovi Nicaragua: no al partito unico, sì alla pluralità ideologica

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La Conferenza episcopale del Nicaragua (Cen), al termine della sua riunione di ieri, in cui ha preso in esame la realtà che sta vivendo il Paese, ha pubblicato un messaggio speciale per il popolo nicaraguense. Il documento, firmato dai dieci vescovi presenti - riferisce l'agenzia Fides - è stato letto ai giornalisti da mons. Jorge Solórzano Pérez, Segretario generale della Cen.

Rischio del clima  di indifferenza e assenteismo
"Come Pastori della Chiesa – inizia il testo - vogliamo offrire una parola di luce e di speranza al Paese in questo momento travagliato che viviamo, a causa dei recenti avvenimenti che hanno purtroppo creato in molti un sentimento di insicurezza e di confronto, che potrebbe indebolire la credibilità e la competitività nelle prossime elezioni di novembre, favorendo la crescita dell'indifferenza e dell'assenteismo nella popolazione".

Vescovi invocano una sana diversità sociale e politica
"Qualsiasi tentativo di creare le condizioni per l'attuazione di un regime a partito unico in cui scompaiano la pluralità ideologica e i partiti politici è dannoso per il Paese, dal punto di vista sociale, economico e politico – proseguono i vescovi -. E' possibile vivere in armonia e tolleranza, anche in mezzo ad una sana diversità sociale e politica, che arricchisce tutte le aree della nazione".

Necessità di un processo elettorale presidenziale trasparente e onesto
Il documento, in 5 punti, riprende le richieste consegnate dai vescovi al Presidente Ortega nel 2014: "Resta valido quanto abbiamo chiesto al Signor Presidente nel maggio 2014: garantire in questo 2016 un processo elettorale presidenziale trasparente e onesto, in cui deve essere espressa, senza alcun dubbio, la volontà popolare; con un sistema che garantisca ad ogni nicaraguense la propria scheda di suffragio prima delle elezioni e un processo elettorale aperto ad osservatori di istituzioni nazionali ed estere".

Esortazione a vivere con speranza e grande spirito civico
​Il messaggio si conclude con questo invito: "Esortiamo tutti i nicaraguensi a vivere questo momento con speranza e con grande spirito civico. La situazione attuale non dovrebbe far aumentare l'apatia, né l'indifferenza, ma deve essere vissuta come una sfida per costruire una nuova società basata sul diritto e sulla giustizia, nella quale si rispetti la volontà sovrana del popolo". (C.E.)

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Perù: card. Cipriani chiede a Kuczynski unità nel Paese

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Il card. Juan Luis Cipriani, arcivescovo di Lima e primate del Perù, ha incontrato il nuovo Presidente eletto nel ballottaggio dello scorso 5 giugno, Pedro Paolo Kuczynski, nella sua residenza privata di Sant'Isidro. Uscendo dalla casa il card. Cipriani ha rilasciato delle brevi dichiarazioni, partendo dallo storico trionfo calcistico del Perù sul Brasile in Copa America, un fatto “che ha generato nel Paese un clima molto positivo e penso che esso vada mantenuto. L’arcivescovo di Lima - riferisce l'agenzia Sir - ha proseguito: “Con il Presidente mi unisce da tempo l’amicizia. Abbiamo parlato sulla necessità che ci sia un ambiente di cordialità, di prossimità, tutti stiamo cercando che il Perù prosegua in un cammino di pace e di progresso”.

Appello del porporato a tutti i peruviani
Da qui l’appello del cardinale Cipriani a tutti i peruviani perché mantengano la calma dopo l’accesissimo ballottaggio, al termine del quale Kuczynski e la sua avversaria Keiko Fujimori sono stati separati da poco più di 40mila voti (tre decimi di punto in percentuale). Fuerza Popular, il Partito della Fujimori, ha però la maggioranza assoluta nel Congresso. E c’è attesa per un possibile incontro tra i due leader.

Il card. Cipriani ha chiesto al Paese unità dopo il confronto elettorale
A questo proposito il porporato ha aggiunto: “Non ho informazioni particolari, mi pare che da entrambe le parti ci sia il desiderio di parlarsi, però bisogna dare tempo al tempo. Mi pare che ci sia una grande consonanza in tutto il Paese di volere sicurezza nelle strade, crescita e progresso sociale e, al di là delle diverse proposte dei vari partiti, non c’è motivo per contrapporre l’uno all’altro. In tale situazione mi sento di chiedere ai mezzi di comunicazione di mettere il Perù al primo posto di fronte alle diverse proposte le quali, certo, sono differenti, ma senza che ci siano odio e conflitto”. Infine, il card. Cipriani ha rivolto un appello di riconciliazione a tutti i peruviani, chiedendo unità dopo il confronto elettorale: “Penso che nessuno voglia dividere il Paese. Le elezioni sono passate e ho sempre insistito che servono gesti di perdono e di riconciliazione”. (R.P.)

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Vescovi Uganda: no all’uso politico della giustizia

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“No all’uso politico della giustizia!” avvertono i vescovi ugandesi in una dichiarazione pubblicata al termine del loro ritiro a Nsaambya, nei pressi di Kampala. “Abbiamo notato le pressioni indirette del sistema giudiziario che è usato per risolvere controversie che di norma necessitano di una soluzione politica invece di fare ricorso a interventi legali” afferma la dichiarazione firmata da mons. John Baptist Odama, presidente della Conferenza episcopale dell’Uganda, ripresa dall'agenzia Fides.

L'opposizione contesta la rielezione di Museveni
Il principale sfidante del Presidente Yoweri Museveni (al potere da 30 anni), Kizza Besigye, è stato posto in stato d’arresto domiciliare dall’11 maggio, con l’accusa di “tradimento”, dopo aver organizzato una cerimonia per prestare giuramento come “Presidente”. Besigye contesta i risultati delle elezioni dello scorso febbraio che hanno visto la riconferma di Museveni.

I vescovi deplorano l'incertezza che aleggia in molte parti del Paese
Dopo aver ricordato alcuni passi delle Sacre Scritture che prescrivono l’imparzialità dei giudizi, i vescovi deplorano “l'incertezza che continua ad aleggiare in molte parti del nostro Paese”, notando che dopo le elezioni “tante persone appaiono infelici, scoraggiate e amareggiate, mentre è andata persa la speranza per un Paese migliore e più unito”.

Appello al dialogo tra tutti i leader politici
​La Conferenza episcopale lancia quindi un appello “a tutti i leader politici perché esplorino le vie del dialogo democratico per discutere apertamente le loro recriminazioni a vari livelli, come una strategia per promuovere la responsabilità politica”. “Continuiamo ad invitare i leader politici a dare priorità alla politica dell’inclusione e non a quella dell’esclusione” concludono i vescovi. (L.M.)

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Myanmar. Card. Bo: ascoltare la nostra gente crea ponti e non muri

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“Abbiamo bisogno di ascoltare la nostra gente in Myanmar: i musulmani, i Rohingya, il Ma Ba Tha, la Lega nazionale per la Democrazia, la società civile, anche quanti sono contro la democrazia. L’ascolto è il primo compito della comunicazione: serve a costruire ponti di guarigione, ad abbattere i muri del fraintendimento, a includere gli esclusi”: lo ha detto l’arcivescovo di Yangon, il card. Charles Maung Bo, durante la Messa celebrata il 12 giugno in occasione della Giornata per la comunicazione, a cui hanno partecipato i vescovi cattolici, i superiori religiosi e tutte le persone impegnate nelle varie diocesi birmane nel campo della comunicazione.

Messaggio della misericordia deve procedere accanto al messaggio della pace
Nel messaggio offerto all’assemblea e ripreso dall’agenzia Fides, il card. Bo ha ricordato: “I conflitti continuano a imperversare nella terra delle popolazioni shan, kachin e karen: abbiamo bisogno di ascoltare le cause profonde di questi conflitti, abbiamo bisogno di costruire ponti tra culture, abbiamo bisogno di portare la misericordia ai campi profughi, abbiamo bisogno di portare giustizia nelle miniere di giada, dobbiamo portare la pace nelle aree prese dal traffico di droga. Abbiamo bisogno di ascoltare le vittime, ma anche gli autori di crimini contro l'umanità e comunicare il messaggio di speranza. In quest'anno giubilare il messaggio della misericordia deve procedere accanto al messaggio della pace”

Obbligo della Chiesa è portare la misericordia, annunciare la misericordia
“Negli ultimi sessanta anni – ha ricordato il porporato – le comunicazioni sono state soffocate, e il Myanmar è sprofondato in un tunnel di cultura del silenzio. L'alba della democrazia è una benedizione, che porta grandi obblighi anche per la Chiesa cattolica, unica organizzazione diffusa in tutta la nazione, da Nord a Sud. Tale obbligo è portare la misericordia, annunciare la misericordia”; soprattutto “ai rifugiati, ai migranti, alle vittime della tratta e della droga, alle vittime della violenza etnica e della povertà”. Un tempo costretta al silenzio, oggi la Chiesa porta “l'eloquenza della misericordia attraverso la comunicazione”, ha concluso. 

Corso di comunicazione della Radio Vaticana
In occasione della Giornata per la comunicazione, l'arcivescovo di Yangon  il card. Bo ha invitato in Myanmar Sean Patrick Lovett, responsabile della sezione inglese della Radio Vaticana e docente alla Pontificia Università Gregoriana, per tenere un corso di comunicazione per la Conferenza episcopale ed il clero birmano a cui partecipa lo stesso porporato. (P.A.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 167

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.