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Sommario del 17/06/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: opere di misericordia con Aiuto alla Chiesa che Soffre

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Realizzare opere di misericordia durature che incontrino le tante necessità di oggi. E’ questa l’esortazione che Papa Francesco rivolge ai fedeli di tutto il mondo nel videomessaggio in occasione della campagna internazionale di raccolta fondi "Be God’s Mercy" (Sii la misericordia di Dio) da parte di Aiuto alla Chiesa che Soffre. Il Santo Padre, che oggi ha ricevuto in udienza una delegazione della Fondazione Pontificia, sottolinea anche che gli uomini hanno bisogno di misericordia, non di guerre. Aiuto alla Chiesa che Soffre - attraverso opere concrete di misericordia - sostiene in tutto il mondo, ogni anno, oltre seimila progetti.Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Nel videomessaggio Papa Francesco esorta tutti gli uomini e le donne di buona volontà “a realizzare, in ogni città, in ogni diocesi, in ogni associazione, un’opera di misericordia”:

“Los hombres y las mujeres necesitamos de la misericordia de Dios...
Noi uomini e donne abbiamo bisogno della Misericordia di Dio, ma abbiamo anche bisogno della nostra misericordia; abbiamo bisogno di tenderci la mano, di accarezzarci, di prenderci cura l’uno dell’altro”.

“Así que los invito a todos, junto a Kirche in Not, a hacer...
Per questo invito tutti voi a realizzare in tutto il mondo, insieme ad Aiuto alla Chiesa che Soffre, opere durature di misericordia”.

“No le tengan miedo a la misericordia...
Non abbiate paura della misericordia: la misericordia è la carezza di Dio”.

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Al via in 22 Paesi, campagna di "Aiuto alla Chiesa che Soffre"

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La campagna di "Aiuto alla Chiesa che Soffre", Be God’s Mercy (Sii la misericordia di Dio), parte oggi per chiudersi il 4 ottobre di quest’anno, giorno di San Francesco, nel quale la Fondazione Pontificia presenterà al Papa i primi frutti dell’iniziativa. Numerosi i progetti in programma in diversi Paesi del mondo e nelle aree di crisi che vedono i cristiani perseguitati ma anche protagonisti dei processi di riconciliazione. Il servizio di Marco Guerra: 

Oltre 6200 progetti in 22 Paesi del mondo per un totale di 120 milioni di Euro stanziati grazie alle donazioni di circa 400 mila persone, di cui beneficiano milioni di cristiani ma anche appartenenti ad altre confessioni religiose che vivivono in aree di crisi. Sono i numeri dell’attività dell’anno 2015 svolta da "Aiuto alla Chiesa che soffre". Un’impegno che viene rilanciato nell’Anno della Misericordia con la campagna mondiale Sii la misericordia di Dio. L’iniziativa è stata presentata alla Sala Marconi della Radio Vaticana. Tra i presenti anche il cardinale Mauro Piacenza, presidente internazionale di Acs, che ha spiegato il significato degli sforzi della Fondazione nel corso del Giubileo:

Un’iniziativa come il Giubileo della Misericordia non è semplicemente una celebrazione o un evento liturgico o di richiamo che poi rimane lì. È un evento che deve avere seguito. Quindi, per esempio, le realizzazioni che verranno presentate sono stabili, cioè rimarranno e daranno una struttura a certe diocesi e zone disastrate con l’impegno di seguirle per tutto il tempo che non avranno risolto determinati problemi.

I frutti di questa misericordia verranno portati a tutte quelle Chiese perseguitate e ferite dai indicibili barbarie. Sotegni concreti per migliaia di cristiani, che a loro volta sono tetimonianza viva di solidarietà e impegno per tutti coloro che necessitano aiuto. Sentiamo ancora il cardinale Piacenza:

Diciamo che la parola Medio Oriente in senso generale adesso rappresenta una polveriera. Quindi serve tenere la presenza intanto con un rispetto storico delle origini e delle radici cristiane, ma il nostro Signore Gesù Cristo trascende la storia. Quindi Lui vuole vivere, non è un monumento. Noi vogliamo tenere non tanto dei monumenti – che sono pure importanti – ma una vitalità, perché Gesù Cristo vuole vivere attraverso i cristiani che sono in quelle terre martoriate; vuole vivere e vuole che siano ancora lievito nella società!

I progetti andranno dal sostegno al clero e ai cristiani perseguitati alla tuttela di luoghi della misericordia, come ospedali e case di accoglienza, e anche per iniziative di ricolcilizione. Il Papa è stato il primo benefattore di questa campagna con una donazione alla clinica St. Joseph Charity di Erbil, nel Kurdistan. Ci parla del progetto il sacerdote iracheno don Imad Gargees:

Questi progetti sono un grande aiuto non solo per i cristiani che si trovano ad Erbil ma per tutti i profughi che sono andati in Kurdistan, dove sono presenti più di 120 mila cristiani! Vediamo che il Santo Padre è stato il primo donatore. All’inizio di aprile ci ha donato centomila euro. Abbiamo sentito che non siamo soli.

La struttura sanitarià di Erbil si inserisce nelle sforzo complessivo sostenuto da "Aiuto alla Chiesa che Soffre" dal giugno 2014, quando le forze del sedicanete Stato islamico conquistarono la città di Mosul causando l’esodo forzato di centinaia di miglia di persone, come riferisce don Imad Gargees:

R. - Dal primo giorno, quando hanno lasciato tutto quello che avevano sono andati in Kurdistan. Da giugno 2014 fino ad oggi ci sono voluti più di 16 milioni per garantire il cibo quotidiano, per garantire loro una casa, perché nei primi giorni hanno vissuto nelle tende. Questo vale per tutti: ci sono cristiani, musulmani, yazidi … Chi ha bisogno va e prende tranquillamente ciò di cui necessità. Tutti sentono che la Chiesa è sempre stata vicina, tramite l’associazione "Aiuto alla Chiesa che soffre", tramite tutti i donatori e tra tutti, il primo – possiamo dirlo – troviamo il nostro grande Papa Francesco.

D. - Quindi aiutare i cristiani significa aiutare anche l’Iraq?

R. - Sicuramente sì, possiamo dirlo al cento per cento. I cristiani si sentono sempre parte del Paese, perciò tutti questi aiuti non sono solo per i cristiani che, possiamo dire, sono i primi, ma anche per i loro confratelli delle altre religioni che vivono insieme a loro. Ci aspettiamo sempre che anche gli altri facciano la stessa cosa. Anche loro devono offrire il loro aiuto come stanno facendo le associazioni cristiane.  Non devono pensare: “Tu sei di un’altra religione”, ma che siamo tutti fratelli, perché con le guerre non funziona niente!

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Papa: serve “laicato in uscita”, guardare ai lontani dalla Chiesa

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Spingere i laici sempre più nella missione evangelizzatrice, nel segno del Concilio Vaticano II. E’ uno dei punti forti di Francesco nel discorso ai partecipanti all’ultima Plenaria del Pontificio Consiglio dei Laici. Parlando della riforma che porterà all’accorpamento del dicastero con quello per la Famiglia e l’Accademia per la vita, il Pontefice ha  evidenziato che questa avviene proprio per una rinnovata fiducia nella missione dei laici nella Chiesa. Il servizio di Alessandro Gisotti

Si conclude una tappa importante e si apre un nuovo orizzonte per la missione del laicato nella Chiesa. Nell’ultima plenaria del dicastero per i Laici, Francesco ha innanzitutto ringraziato quanti si sono impegnati in questo organismo della Curia, voluto dal Concilio Vaticano e in particolare dal Beato Paolo VI. Un ringraziamento sentito, ha detto scherzando, e non una “valedictio” di commiato per il dicastero.

No ai laici che agiscono per “delega” della gerarchia
Il Papa ha così rammentato i tanti frutti nati in questi ultimi 50 anni nel contesto del laicato: dalle Gmg, “gesto provvidenziale di San Giovanni Paolo II”, alla comparsa delle nuove associazioni laicali, al ruolo crescente della donna nella Chiesa:

“Possiamo dire, perciò, che il mandato che avete ricevuto dal Concilio è stato proprio quello di ‘spingere’ i fedeli laici a coinvolgersi sempre più e meglio nella missione evangelizzatrice della Chiesa, non per ‘delega’ della gerarchia, ma in quanto il loro apostolato ‘è partecipazione alla missione salvifica della Chiesa, alla quale sono tutti deputati dal Signore per mezzo del battesimo e della confermazione’. È il Battesimo che fa di ogni fedele laico un discepolo missionario del Signore, sale della terra, luce del mondo, lievito che trasforma la realtà dal di dentro”.

Riforma della Curia guarda anche alle nuove sfide per i laici
“Alla Chiesa – ha ripreso a braccio – si entra per il Battesimo, non per l’ordinazione sacerdotale o episcopale: si entra per il Battesimo. E tutti siamo entrati attraverso la stessa porta”. Alla luce del cammino percorso, ha quindi affermato, “è tempo di guardare nuovamente con speranza al futuro”. La realtà, ha constatato, ci porta nuove sfide. “È da qui – ha sottolineato – che nasce il progetto di riforma della Curia, in particolare dell’accorpamento del vostro dicastero con il Pontificio Consiglio per la Famiglia in connessione con l’Accademia per la Vita”:

“Vi invito perciò ad accogliere questa riforma, che vi vedrà coinvolti, come segno di valorizzazione e di stima per il lavoro che svolgete e come segno di rinnovata fiducia nella vocazione e missione dei laici nella Chiesa di oggi. Il nuovo dicastero che nascerà avrà come ‘timone’ per proseguire nella sua navigazione, da un lato la Christifideles laici e dall’altro la Evangelii gaudium e la Amoris laetitia, avendo come campi privilegiati di lavoro la famiglia e la difesa della vita”.

Serve “laicato in uscita” per raggiungere i lontani e i bisognosi
Nel contesto del Giubileo della Misericordia, ha proseguito, la Chiesa è chiamata a essere “in permanente uscita”, “comunità evangelizzatrice” che “sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi”:

“Vorrei proporvi, come orizzonte di riferimento per il vostro immediato futuro, un binomio che si potrebbe formulare così: Chiesa in uscita – laicato in uscita. Anche voi, dunque, alzate lo sguardo e guardate ‘fuori’, guardate ai molti ‘lontani’ del nostro mondo, alle tante famiglie in difficoltà e bisognose di misericordia, ai tanti campi di apostolato ancora inesplorati, ai numerosi laici dal cuore buono e generoso che volentieri metterebbero a servizio del Vangelo le loro energie, il loro tempo, le loro capacità se fossero coinvolti, valorizzati e accompagnati con affetto e dedizione da parte dei pastori e delle istituzioni ecclesiastiche”.

Abbiamo bisogno di laici che si sporchino le mani con visione del futuro
“Abbiamo bisogno di laici ben formati – ha detto ancora il Papa – animati da una fede schietta e limpida, la cui vita è stata toccata dall’incontro personale e misericordioso con l’amore di Cristo Gesù”:

“Abbiamo bisogno di laici che rischino, che si sporchino le mani, che non abbiano paura di sbagliare, che vadano avanti. Abbiamo bisogno di laici con visione del futuro, non chiusi nelle piccolezze della vita. E lo ho detto ai giovani: abbiamo bisogno di laici col sapore di esperienza della vita, che si animano a sognare”.

“Oggi – ha concluso a braccio – è il momento in cui i giovani hanno bisogno dei sogni degli anziani”, che abbiano “quella capacità di sognare”, e che ci diano “la forza delle nuove visioni apostoliche”.

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Card. Ryłko: nuovo dicastero metterà in risalto le risorse dei laici

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In corso a Roma la 28.ma Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici. L’evento, dal titolo "Un dicastero per il laicato: tra storia e avvenire", rappresenta un momento altamente significativo poiché chiuderà un lungo e proficuo cammino sorto per espressa volontà del Concilio Vaticano II. Dal prossimo primo settembre, infatti, nascerà un nuovo dicastero che si occuperà di laici, famiglia e vita. Federico Piana ha intervistato il cardinale Stanisław Ryłko, presidente del Pontifico Consiglio per i Laici: 

R. – Con questa assemblea si chiude una tappa estremamente ricca e importante nella storia della Chiesa e del Concilio Vaticano II e si apre una tappa nuova che inizierà il primo settembre prossimo, con la creazione di un nuovo dicastero con competenze allargate alla famiglia e alla vita. 50 anni è un periodo estremamente ricco di eventi che abbiamo promosso. In questo bilancio abbiamo voluto limitarci solo ai fatti. La tappa più importante è quella fin dalla sua creazione, nel 1967, quando, rispondendo alla richiesta esplicita dei Padri Conciliari, Papa Paolo VI ha creato il dicastero “dei laici” – “Consilium de Laicis”. E’ stato un grande evento vissuto con gioia da tanti laici. Già allora si presentava il futuro di questo dicastero come in embrione, come ad esempio l’impegno per la formazione del laicato cattolico, poi il grande interesse per la questione della donna nella Chiesa e nel mondo e l’impegno a favore della famiglia: all’interno del dicastero, quasi dall’inizio, esisteva una speciale Commissione che si occupava sia della questione della donna sia della questione della famiglia. Poi, la Commissione “Giustizia e Pace” che, dieci anni più tardi, è stata trasformata in un dicastero a parte, “Giustizia e Pace”. E poi, la questione dei giovani. Inoltre abbiamo assistito a vari congressi continentali dei laici, a partire da quello del Ghana nel 1971, il Congresso panafricano dei laici. Una specie di pellegrinaggio attraverso il mondo per risvegliare il laicato cattolico da questo sonno. Molto spesso si ripeteva questo slogan: il laicato cattolico è un gigante addormentato che va svegliato …

D. – Altro campo di attività di questo Pontificio Consiglio sono state le associazioni dei fedeli laici …

R. – Infatti, dopo il Concilio assistiamo a un fenomeno estremamente interessante: San Giovanni Paolo II l’ha chiamato “una nuova stagione aggregativa dei fedeli laici”: la nascita di nuove realtà, tipo movimenti ecclesiali e le nuove comunità che hanno dato uno slancio veramente straordinario, uno slancio missionario a tanti laici, uomini e donne della Chiesa …

D. – A questo punto, il futuro dei fedeli laici, secondo lei, quale sarà, all’interno di questo nuovo dicastero? Cosa cambierà e quali saranno le prospettive che si apriranno?

R. – Io sono convinto che il mondo di oggi – lo dice spesso in maniera molto efficace Papa Francesco – abbia bisogno di profeti di speranza, di profeti che sappiano seminare la gioia. Ci sono troppi profeti di sventura. Certo, dobbiamo anche essere realisti, vedere le sfide, vedere anche le varie derive della cultura moderna che influenzano tanti laici cristiani. Ma ci vuole la speranza e io sono convinto che questo nuovo dicastero che nascerà il primo settembre, sarà un dicastero che metterà in risalto le enormi risorse che si trovano nei fedeli laici, anche di oggi. Non è vero che l’ora del laicato è minacciata dall’inerzia, dall’indifferenza: questa ora del laicato dura fino ai nostri giorni e deve durare. Il Santo Padre sì, ha detto che sembra che l’orologio si sia fermato, ma io vedo in questa espressione del Papa una salutare provocazione: “Guardate, state attenti, perché questo orologio non si fermi!”. Io penso che tale sia il senso di questa parola di Papa Francesco e io penso che questo nuovo dicastero, con competenze allargate alla famiglia e alla vita – perché la famiglia è il primo campo dell’impegno del laicato a livello sociale, per così dire – farà tutto il possibile perché questo orologio che ha segnato l’ora del laicato durante il Concilio Vaticano II, non si fermi.

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Il Papa a Diocesi di Roma: rinunciare ai recinti e avvicinarsi alle famiglie

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La pastorale familiare raggiunga ogni famiglia, abbia un atteggiamento di compassione e valorizzi la testimonianza degli anziani. Questo, in sintesi, l’invito del Papa che, nel tardo pomeriggio, ha aperto il Convegno della diocesi di Roma, nella Basilica di San Giovanni in Laterano. Il tema al centro della riflessione è “‘La letizia dell’amore’: il cammino delle famiglie a Roma alla luce dell’Esortazione apostolica ‘Amoris letitia’ di Papa Francesco”. L’incontro è iniziato con il saluto del cardinale vicario Agostino Vallini. I lavori proseguono domani sera con i cinque laboratori tematici nelle 36 prefetture della diocesi di Roma. Le conclusioni, con la relazione del cardinale vicario e la presentazione degli orientamenti pastorali, sono state fissate per il 19 settembre. Il servizio di Debora Donnini: 

Percorrere le strade aperte dal cammino sinodale per comprendere meglio l’Esortazione apostolica “Amoris laetitia”: è quanto il Papa intende fare con il suo discorso al Convegno della Diocesi di Roma. Per aiutare a fare questo delinea, attraverso immagini bibliche, tre fondamentali questioni: arrivare a tutte le famiglie, non mettere in campo una pastorale dei “ghetti” e dare spazio agli anziani con la loro testimonianza.

La vita di ogni famiglia deve essere trattata con cura
Francesco ricorre all’immagine di Mosè a cui Dio dice davanti al roveto ardente di togliersi i sandali. Un’immagine che si declina nel ricordare che i temi affrontati nei due Sinodi non erano “un argomento qualsiasi”, ma “i volti concreti di tante famiglie”:

“Come aiuta dare volto ai temi! E come aiuta ad accorgersi che dietro alla carta c’è un volto, eh? Come aiuta! Ci libera dall’affrettarci per ottenere conclusioni ben formulate ma molte volte carenti di vita; ci libera dal parlare in astratto, per poterci avvicinare e impegnarci con persone concrete. Ci protegge dall’ideologizzare la fede mediante sistemi ben architettati ma che ignorano la grazia”.

“È la fede – dice – che ci spinge a non stancarci di cercare la presenza di Dio nei cambiamenti della storia”. Le famiglie “nelle nostre parrocchie”, con le loro complessità, non sono, dunque, “un problema” ma “un’opportunità”:

“Opportunità che ci sfida a suscitare una creatività missionaria capace di abbracciare tutte le situazioni concrete, nel nostro caso, delle famiglie romane”.

Bisogna arrivare alle famiglie dei nostri quartieri, non solo a quelle che vengono in parrocchia. E questo incontro ci sfida a non dare nessuno per perso:

“Ci sfida a non abbandonare nessuno perché non è all’altezza di quanto si chiede da lui. E questo ci impone di uscire dalle dichiarazioni di principio per addentrarci nel cuore palpitante dei quartieri romani e, come artigiani, metterci a plasmare in questa realtà il sogno di Dio, cosa che possono fare solo le persone di fede, quelle che non chiudono il passaggio all’azione dello Spirito. E che si sporcano le mani”.

In una parola, sottolinea Papa Francesco, questa riflessione “ci chiede di toglierci le scarpe per scoprire la presenza di Dio”:

“E l’identità non si fa nella separazione: l’identità si fa nell’appartenenza. La mia appartenenza al Signore: quello mi dà identità. Non staccarmi dagli altri perché non mi contagino”.

Serve una logica della compassione verso le famiglie
La seconda immagine è quella del fariseo che prega ringraziando Dio di non essere come gli altri uomini. Il Papa mette in guardia dalla tentazione di credere di guadagnare in identità quando ci si differenzia dagli altri. Tutti, invece, “abbiamo bisogno di convertirci” e gridare assieme al pubblicano: “Dio mio abbi pietà di me che sono un peccatore”, dice Francesco. Questo ci fa avere un atteggiamento di umiltà, fa “guardare le famiglie con la delicatezza con cui le guarda Dio”. Ed è proprio l’accento posto sulla misericordia ad aiutare ad avere “il realismo di Dio”:

“Nulla è paragonabile al realismo evangelico, che non si ferma alla descrizione delle situazioni, delle problematiche – meno ancora del peccato – ma che va sempre oltre e riesce a vedere dietro ogni volto, ogni storia, ogni situazione, un’opportunità, una possibilità. Il realismo evangelico si impegna con l’altro, con gli altri e non fa degli ideali e del ‘dover essere’ un ostacolo per incontrarsi con gli altri nelle situazioni in cui si trovano”.

Questo non significa “non essere chiari nella dottrina” ma “evitare di cadere in giudizi che non assumono la complessità della vita”. “Il realismo evangelico si sporca le mani perché sa che ‘grano e zizzania’ crescono assieme”, afferma. Citando “Amoris laetitia”, Francesco dice di comprendere “coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione”. Ma “credo sinceramente”,  afferma, che Gesù vuole una Chiesa che “nel momento in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo”, “non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada”. In una parola: una Chiesa capace di assumere “una logica della compassione verso le persone fragili”.

Il Papa, parlando a braccio, fa riferimento ad un capitello che si trova nella Basilica di Santa Maria Maddalena a Vélazay, in Francia, dove Giuda impiccato viene portato sulle spalle da Gesù. E a don Primo Mazzolari che ha capito la complessità della logica del Vangelo dice:

“E quello che si è sporcato di più le mani, è Gesù. Gesù si è sporcato di più. Non era un pulito ma andava dalla gente, tra la gente e prendeva la gente come era, non come doveva essere. Torniamo all’immagine biblica: 'Ti ringrazio, Signore, perché sono dell’Azione Cattolica, o di questa associazione, o della Caritas, o di questo o di quello, e non come questi che abitano nei quartieri e sono ladri e delinquenti': questo non aiuta la pastorale”.

Gli anziani, preziosi testimoni dell’amore
L’ultima immagine richiamata è quella del profeta Gioele che parla di anziani che faranno sogni profetici. Il Papa sa le difficoltà dei giovani – il 40% dei ragazzi dai 25 anni in giù non ha lavoro – e si chiede, dunque, quale speranza possano avere. Torna, dunque, un tema caro a Francesco: quello degli anziani e della loro testimonianza. I nonni possono, infatti, testimoniare la gioia di aver fatto una scelta d’amore e averla preservata nel tempo. Scartare gli anziani, come spesso fa la società, porta a perdere “la ricchezza della loro saggezza”, avverte il Papa. E proprio la “mancanza di modelli”, non permette alle giovani generazioni di “avere visioni”, cioè di fare progetti perché si ha paura del futuro. E il Papa ha aggiunto, parlando ancora a braccio, riferimenti alla sua esperienza durante le Messe del mattino a Casa Santa Marta, dove vengono tante coppie che fanno 50 o 60 anni di matrimonio. E il Pontefice esorta a mostrare questo amore ai giovani che invece, magari dopo due o tre anni, vogliono tornare “da mamma”. La testimonianza di chi ha lottato per qualcosa che valeva la pena, invece, aiuta ad alzare lo sguardo, ed è preziosa:

“Loro si sentono scartati, quando non disprezzati. A noi piace, nei programmi pastorali: ‘Questa è l’ora del coraggio’, ‘questa è l’ora dei laici’, ‘questa è l’ora…’. Ma se io dovessi dire, questa è l’ora dei nonni! ‘Ma, Padre, Padre, lei va indietro, lei è preconciliare’! Eh: è l’ora dei nonni, che i nonni sognino, e i giovani impareranno a profetizzare, cioè a fare realtà con la loro forza, con la loro immaginazione, con il loro lavoro, i sogni dei nonni”.

Bisogna rinunciare ai recinti per incontrare gli altri
“Rinunciamo ai recinti”, conclude il Papa, esortando ad “entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri”. L’invito di Francesco è quello di sviluppare una pastorale familiare “capace di accogliere, accompagnare, discernere e integrare”, e di conoscere “la forza della  tenerezza”, “perché la vita a noi affidata” possa svilupparsi secondo “il sogno di Dio”.

Dopo il discorso, il Papa ha risposto ad alcune domande.

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Convegno diocesano. Papa: "sporcarsi le mani" con la pastorale

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Al termine del discorso ai partecipanti al Convegno della Diocesi di Roma, Papa Francesco ha risposto ad alcune domande, in tono molto colloquiale e aprendo il cuore per far capire che al centro del suo messaggio c’è l’invito a portare la tenerezza di Gesù al mondo, accompagnando le persone. Il servizio di Debora Donnini

L’individualismo è l’asse di questa cultura e ha tanti nomi: da quello di alcuni parroci di una diocesi vicina a quella di Buenos Aires che non volevano battezzare i bambini delle ragazze madri al calo della natalità fino alle famiglie che preferiscono avere due o tre gatti o un cane piuttosto che un figlio.

Assumersi il “rischio” pastorale
Papa Francesco nel rispondere alle domande declina concretamente il discorso fatto prima, con accenti ed esempi molto diretti ed interrotto più volte dagli applausi della Basilica di San Giovanni in Laterano gremita di persone.  Al cuore dell’individualismo per Papa Francesco c’è la paura della libertà, anche nella pastorale:

“Rischia. Nel momento che sei lì, che devi decidere, rischia! Se sbagli, c’è il confessore, c’è il vescovo, ma rischia”.

Non manchi la tenerezza
Altrimenti c’è “la pastorale delle mani pulite”. La risposta del Papa è alla domanda del parroco di San Frumenzio, don Giampiero Palmieri, che  verte proprio sul pericolo dell’individualismo e sulla necessità di creare reti di famiglie. Il Papa fa l’esempio di cosa sia una famiglia allargata, raccontando di un ambasciatore venuto per presentare le credenziali, che ha portato, assieme alla famiglia, la donna delle pulizie che per loro “era della famiglia”. L’altro aspetto che il Papa rileva, è come manchi la tenerezza, che è il linguaggio che si usa con i bambini, quando ci si abbassa:

“E’ la strada che ha fatto Gesù. Gesù non ha ritenuto un privilegio essere Dio: si è abbassato. E ha parlato con la nostra lingua, e ha parlato con i nostri gesti”.

 La strada che ci indica è, dunque, quella della tenerezza.

La morale è un atto d’amore
La seconda domanda verte, invece, sul rischio che si possa creare una doppia morale: da una parte la difesa del matrimonio indissolubile e dall’altra l’accoglienza piena di misericordia verso tutte le situazioni; da una parte il rigorismo e dall’altra il lassismo. Nel rispondere Papa Francesco è chiaro: entrambi gli approcci non sono la verità. Il Vangelo, infatti, sceglie un’altra strada che è quella di Gesù quando parla con la samaritana o con l’adultera. Episodi che mostrano come la morale sia in realtà “un atto d’amore”, un atto che lascia spazio alla conversione dell’altro.

Prepararsi al matrimonio
L’ultima domanda verte, invece, su come educare i giovani al matrimonio sacramentale. Per Papa Francesco, al cuore del problema c’è la cultura del provvisorio che investe anche la vita sacerdotale. Il Papa ricorda che quando era a Buenos Aires, una signora lo ha “rimproverato” dicendogli che un sacerdote studia 8 anni per diventarlo, mentre i laici ricevono un Sacramento per tutta la vita, con “quattro conferenze”.

Non fare matrimoni “in fretta”
Proprio per questo Papa Francesco sottolinea che da arcivescovo a Buenos Aires proibì di fare matrimoni religiosi “in fretta”, quando una donna rimaneva incinta, e invece invitava ad attendere per sposarsi liberamente. L’esortazione è di non arrivare alle 30 persone al corso di preparazione al matrimonio. Quindi, ricorda l’importanza di non finire la giornata senza fare pace e soprattutto quanto sia difficile quando si immischiano i parenti:

“Ho sentito una cosa bella: piacerà alle donne. Quando una donna sente dall’ecografo che è incinta di un maschietto, da quel momento incomincia a studiare per diventare suocera. [ridono, applausi] Torno sul serio: la preparazione al matrimonio, la si deve fare con vicinanza, senza spaventarsi. Lentamente. E’ un cammino di conversione, tante volte”.

Il suo invito, quindi, è a non spaventarsi ma a mettere in campo quell’”apostolato dell’orecchio” a lui caro, e  dell’accompagnare.

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Fedeli diocesi Roma: dal Papa invito a pastorale della tenerezza

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Grande la gioia dei numerosi partecipanti al Convegno della diocesi di Roma, che hanno gremito sin dalle prime ore di ieri pomeriggio la Basilica di San Giovanni in Laterano, per poter incontrare Papa Francesco. Ecco alcuni loro commenti raccolti da Marina Tomarro

R. – E’ un momento di riflessione bello per le comunità che ancora una volta sono chiamate a ritornare a riflettere su questa tematica della famiglia, ma soprattutto dei giovani che sono chiamati a mettersi in cammino per vedere se – anche loro – vogliono costruire una famiglia partendo da quei valori che il Vangelo ci propone, dei valori grandi e belli, per essere felici nonostante le cose che abbiamo.

D. – Il Papa ha parlato di una “pastorale della tenerezza". Che cos’è allora questa pastorale?

R. – La tenerezza è il sapersi mettere – come diceva il Papa – a livello della persona con cui ci ritroviamo insieme: quindi se sono anziani, se sono giovani, se sono bambini scendere al loro livello, manifestando, mettendosi proprio nei loro panni, quello che noi vogliamo dire e fare a loro.

R. – Ci dobbiamo impegnare tantissimo, noi sacerdoti, nel seguire le famiglie. Una cosa che già facciamo, ma è sempre un motivo in più per rinfrescare quello che noi siamo come sacerdoti.

D. – Il Papa ha posto molto l’accento anche su giovani, sulle giovani coppie. Come incoraggiarli nelle loro scelte?

R. – I giovani di oggi non ci credono più, perché sono scoraggiati: come non credono nelle istituzioni, come non credono nella politica… Bisogna dare loro fiducia: che trovino gente disponibile a far credere loro che si può fare, che si può arrivare. E’ l’esempio dei nonni, come ci ha detto il Papa…

D. – Di che parrocchia siete?

R. – Della Natività di Maria…

D. – In che modo la famiglia va ad arricchire una parrocchia?

R. – Credo che sia una strada a doppio senso e questo perché come famiglia possiamo riscoprire il nostro amore all’interno di un amore più grande che è quello della comunità parrocchiale: quindi in realtà noi possiamo dare a loro un esempio, ma possiamo poi prendere anche tanto da quello che la parrocchia ci può dare.

R. – Noi ci proviamo, cercando di seguire le coppie già dal periodo di fidanzamento. E anzi adesso riusciamo a continuare a seguirle, invitandole a camminare insieme anche dopo il matrimonio: potrebbe essere una strada… E sembra dare dei frutti.

R. – Sappiamo che la società è fatta di famiglie, ma anche la parrocchia è fatta di famiglie: famiglie che portano i bambini a battezzare; famiglie che devono compiere il proprio percorso personale come sposi; giovani che devono essere seguiti. Quindi la famiglia è sempre al centro e la Chiesa è molto consapevole di questo.

D. – Il Papa ha posto molto l’accento sugli anziani, sull’importanza degli anziani nelle parrocchie. In che modo rispondere allora a questa sua esortazione?

R. – Cominciando dalle famiglie, affinché mettano più in gioco nelle parrocchie i propri genitori, quindi i nonni. Molto spesso fanno da tramite anche i figli, i bambini per tirarli dentro alle attività parrocchiale, animando le varie attività che vengono fatte in parrocchie… Da quel punto di vista, effettivamente, l’esigenza e il bisogno di fare un cambiamento un po’ c’è.

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Vaticano-S. Egidio, altri 9 rifugiati siriani ospitati a Roma

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Sono giunti a Roma nove rifugiati siriani, sei adulti e tre bambini, inclusi due cristiani, che seguono le tre famiglie accompagnate da Papa Francesco nella capitale al rientro dalla sua visita all’Isola greca di Lesbo.

“La Gendarmeria Vaticana – informa una nota –  con la collaborazione del Ministro degli Interni di Grecia, il Greek Asylum Service, e la Comunità di Sant’Egidio, ha accompagnato i nove rifugiati da Atene a Roma ieri, giovedì 16 giugno. La Comunità di Sant’Egidio provvederà alla loro sistemazione. I rifugiati, precisa la nota, “sono tutti cittadini siriani accolti nel campo profughi di Kara Tepe, sbarcati sull’isola di Lesbo provenienti dalla Turchia”.

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Altre udienze e nomine di Papa Francesco

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Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza il card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e la signora Mercedes Arrastia Tuason, Ambasciatore delle Filippine, in visita di congedo.

Il Sinodo dei Vescovi della Chiesa patriarcale maronita, avendo ricevuto il previo assenso pontificio, ha eletto canonicamente il rev.do Joseph Nafaa per l’ufficio di Vescovo di Curia patriarcale, al quale è stata assegnata la sede titolare vescovile di Arado.

In Canada, il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare di Toronto il rev.do padre Robert M. Kasun, C.S.B., finora Parroco della Saint Alphonsus-Saint Clare Parish a Edmonton, assegnandogli la sede titolare vescovile di Lavello.

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Tweet Papa: nella preghiera sperimentiamo la compassione di Dio

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"Nella preghiera sperimentiamo la compassione di Dio Padre, pieno di amore misericordioso". E' il tweet pubblicato da Papa Francesco sul suo account in 9 lingue @Pontifex.

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Shevchuk: Francesco, un padre che vuole bene all'Ucraina

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Prosegue la visita in Ucraina del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, che oggi ha presieduto la Messa nella Concattedrale di S. Alessandro per poi incontrare il presidente Poroshenko e le massime autorità istituzionali del Paese. Al microfono di Antoine Marie Izoard, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, parla con gratitudine della vicinanza mostrata da Papa Francesco alla sorte di un Paese vittima di una guerra dimenticata: 

R. – Innanzitutto, è un segno della solidarietà personale del Santo Padre: non delle strutture, non delle idee astratte, ma di un padre che vuole bene ai suoi figli che sono in Ucraina. Questo affetto vale più di qualsiasi aiuto materiale o finanziario. in secondo luogo, tramite questa azione umanitaria, il Santo Padre rivolge un forte appello a porre fine alla guerra, perché non possiamo curare i feriti, non possiamo curare gli affetti se non curiamo la causa di questa sofferenza. Proprio da queste parole che il cardinale Parolin ha rivolto al Consiglio delle Chiese qui a Zaporizia, abbiamo accolto questo appello alla pace, al rispetto delle frontiere ucraine riconosciute a livello internazionale. La via verso la pace è il dialogo, i negoziati e la via diplomatica: non c’è una soluzione militare. In terzo luogo, il Santo Padre anche tramite questa azione, ci chiama ad essere Chiesa in uscita. Dobbiamo adesso dobbiamo uscire per cercare coloro che soffrono.

D. – Lei ha apprezzato le parole del cardinale, quando ha parlato di una guerra dimenticata dall’Europa e addirittura una guerra che va al di là dei confini dell’Ucraina ...

R. – È stato molto importante sentire questo termine “la guerra dimenticata”, perché è quasi un anno che utilizzo questo termine. Quando il Santo Padre ha annunciato questa colletta per l’Ucraina, molti in Europa erano un po’ sorpresi e dicevano: “Ma come mai? Ma non è finita la guerra in Ucraina?”. Sono tanti i conflitti nel mondo di cui l’Europa spesso non è cosciente: stiamo vivendo la crisi umanitaria più grande in questo continente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il nostro è un Paese in ricostruzione, perciò noi cattolici qui in Ucraina stiamo lavorando con le autorità ucraine per spiegare loro cosa significa oggi l’autorità morale del Santo Padre. Speriamo che questi incontri possano favorire anche i contatti diplomatici per risolvere il conflitto nel nostro Paese.

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Card. Tauran: cristiani e musulmani testimonino la misericordia di Dio

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Cristiani e musulmani sono chiamati a fare del loro meglio per essere “misericordiosi e compassionevoli verso gli altri”, specie verso chi si trova nel bisogno. E’ quanto scrive il cardinale Jean-Louis Tauran nel messaggio ai musulmani per il mese del Ramadan. Il presidente del dicastero per il Dialogo Interreligioso rammenta che cristiani e musulmani sono “beneficiari e strumenti della divina misericordia”.

Pellegrinaggio a Luoghi Sacri aiuta a ottenere il perdono di Dio
Di fronte a tante persone che soffrono a causa della violenza e della povertà, prosegue il porporato, cristiani e musulmani non possono voltarsi da un’altra parte. Il cardinale Tauran augura dunque che il pellegrinaggio dei musulmani ai Luoghi sacri sia un tempo propizio per sperimentare la misericordia di Dio e sottolinea l’importanza del compiere un pellegrinaggio “per ottenere il perdono misericordioso di Dio per i peccati”.

Cristiani e musulmani aiutino i bisognosi senza distinzioni
“E’ vitale - si legge nel messaggio firmato anche dal segretario del dicastero, mons. Miguel Ángel Ayuso Guixot - che tutti operino insieme per assistere coloro che sono bisognosi prescindendo dalla loro etnia o dal loro credo religioso”. Quando noi uniamo i nostri sforzi, conclude il messaggio, “noi obbediamo ad un importante comandamento presente nelle nostre rispettive religioni e diamo dimostrazione della misericordia di Dio, offrendo così una testimonianza più credibile, come individui e come comunità”. (A cura di Alessandro Gisotti)

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Con realismo evangelico: al convegno della diocesi di Roma il Papa parla della famiglia.

Un timone per navigare: Francesco al Pontificio Consiglio per i laici.

Sangue sulla Brexit: si ferma la campagna elettorale per il referendum dopo l'assassinio della deputata britannica filoeuropeista Jo Cox.

Abusi nei campi profughi: decine di minori vittime in Francia di sfruttamenti e violenze.

Niente unità senza rispetto: dai rappresentanti ortodossi l'auspicio di un concilio guidato da spirito di dialogo.

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Oggi in Primo Piano



Mons. Zenari: popolo siriano è stremato, urgente soluzione umanitaria

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Non regge la tregua in Siria, bombardamenti si registrano in varie zone tra cui Aleppo. In questo scenario di sangue e crisi umanitaria, giunge la notizia di un convoglio di aiuti umanitari con cibo, medicine e altro materiale per oltre 37 mila persone assediate in un sobborgo di Homs. Quella degli aiuti è l’urgenza più immediata, ribadisce in modo accorato il nunzio apostolico in Siria, l’arcivescovo Mario Zenari, oggi ricevuto dal Papa, al microfono di Luca Collodi

R. – Battere il chiodo sulle tregue, su quelle umanitarie, sulla distribuzione degli aiuti: ecco, questa direi che è la prima cosa da fare; lasciare che i convogli e gli aiuti umanitari entrino, soprattutto in quelle zone assediate e in altre ancora difficili da raggiungere. Però per questo c’è bisogno di una tregua e di un cessate-il-fuoco. Poi, di pari passo, cercare una soluzione politica, che comprenderebbe anche una soluzione umanitaria. Però questo è ancora molto di là da venire. Quindi, almeno provvedere a fornire il cibo agli affamati, l’acqua agli assetati, le medicine: questa è l’urgenza principale!

D. – Monsignor Zenari, quanto è importante un gesto di solidarietà verso il popolo siriano?

R. – Direi, prima di tutto, che è importante tenere vivo nella nostra coscienza il dramma della Siria: dei siriani e dei cristiani; e poi, anche in quest’Anno Santo, offrire la solidarietà, la prima solidarietà con la preghiera e poi anche quella concreta, perché c’è bisogno di tutto. Pensiamo che circa l’80 per cento della popolazione vive sotto la soglia della povertà, perché ormai non ci sono più le fabbriche e manca il lavoro. Quindi anche coloro che sono sfuggiti alle bombe, ai fuochi incrociati, sono – purtroppo – sotto la minaccia di quella che si potrebbe definire “la bomba della povertà”: circa tredici milioni di persone, secondo le statistiche delle Nazioni Unite, che hanno bisogno di assistenza umanitaria ogni giorno. È una situazione umanitaria catastrofica: quindi ricordarsi anche di una solidarietà concreta in questo Anno Santo. Direi che in Siria, nell’Anno Santo, le opere della misericordia, corporali e spirituali, soprattutto quelle corporali, sono a 360°. E vorrei ricordare anche un fatto di cui magari non ci si rende conto: qui in Occidente, tra le opere di misericordia corporale, c’è anche il seppellire i morti. Alle volte seppellire i morti, raccogliere dei cadaveri dei morti per strada che rimangono lì, a volte sotto il sole, è rischioso, perché si è sotto il tiro magari dei cecchini. Quindi direi a 360°, ed è implicata – è molto bello pensare – tutta la comunità internazionale che opera: credenti, cristiani, musulmani, persone di altre fedi o di nessuna fede – non credenti – ci troviamo ad operare su questo campo delle opere di misericordia.

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Omicidio Jo Cox e le influenze sul "Brexit"

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Gran Bretagna in lutto per l’omicidio, ieri a Leeds, della deputata laburista Jo Cox. L’attivista dei diritti umani e sostenitrice del Paese in Europa è stata ferita mortalmente da colpi di arma da fuoco durante un comizio per il prossimo referendum sulla Brexit. Il killer, Thomas Mair, sembrerebbe collegato a gruppi ultranazionalisti di estrema destra. Cordoglio arriva in queste ore da tutto il mondo. Sulla possibilità che questo omicidio influenzi l’esito del referendum del 23 giugno, Gioia Tagliente ha intervistato Lorenzo Mechi, direttore del Master in Integrazione Europea all’università di Padova: 

R. – Qualsiasi evento di questo tipo, che abbia una risonanza mediatica importante, può influenzare le elezioni che sono vicine. Un referendum come qualsiasi altro tipo di elezione. Non so se influenzerà il risultato finale.

D. – Nonostante le mediazioni in atto tra Cameron e Unione Europea, comunque il referendum va avanti e sono tante le preoccupazioni…

R. – Cameron ha posto una serie di questioni all’Unione europea su alcune tematiche che erano ritenute di interesse nazionale della Gran Bretagna. Io però ho la sensazione che non fossero questioni poi così importanti; e che in realtà la questione del referendum sia stata giocata da Cameron per altri motivi: per riottenere una vittoria che all’epoca poteva sembrare facile, e per riaffermare in questo modo la sua leadership all’interno del Regno Unito, ma soprattutto del partito conservatore.

D. – Se vincesse il “no”, qual è lo scenario possibile?

R. – Al di là delle conseguenze immediate per l’economia britannica, che dubito sarebbero così positive – e non solo per la sterlina, che probabilmente all’inizio avrebbe un tracollo, ma anche per le conseguenze di medio se non addirittura lungo periodo – essere già parte di un’Unione e poi distaccarsene non è esattamente come non esserci mai entrati. Ci sarebbe infatti una serie di fratture, tagli e recisioni di legami, che probabilmente sarebbero traumatici per vari settori dell’economia britannica. Ma è dal punto di vista dell’Unione che io vedo le conseguenze ancora più grandi, o perlomeno più vistose: il rischio, se vogliamo considerarlo tale, è che l’uscita della Gran Bretagna possa aprire la strada ad altre uscite, o perlomeno ad altri rinegoziati o riottosità che possano venire da altri Paesi. Alcune le conosciamo già e riguardano alcuni dei Paesi di più recente adesione dell’Europa orientale o Paesi del Nord Europa. Diciamo che potrebbe prefigurare un tipo di squilibrio di non facile gestione per il futuro dell’Unione Eeuropea, e magari ulteriori “exit” da parte di qualche altro Paese.

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Comunali, Vittadini: "Per i contenuti ripartiamo da Milano"

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Domenica, oltre otto milioni e 600 mila italiani sono chiamati alle urne per i ballottaggi in 126 Comuni. In ballo la carica di sindaco in città come Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna. Sui toni di questa campagna elettorale, Alessandro Guarasci ha sentito Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà: 

R. – “Milano” è l’Italia. “Milano” è una campagna sui contenuti, seria, profonda, anche sui temi della povertà e sulle periferie, perché li ho sentiti. Il livello dell’Italia peggiora continuamente: il livello più basso si è raggiunto a Napoli, dove siamo a “Masaniello” e all’isteria collettiva. E poi a Roma sono temi nazionali. Però, “Milano” è una ripartenza anche su questi temi, altrove no: questa è la grande differenza.

D. – Lei che cosa si attende? Che le cooperative sociali, anche con le prossime Giunte, possano avere un ruolo fondamentale in alcuni settori del welfare?

R. – Mi aspetto che il welfare sia un welfare di partenariato: cioè il pubblico che non gestisce, ma governa; e le realtà serie che partecipano non per sé stesse, ma per il bene comune. Quindi, non mi interessa che le cooperative sociali gestiscano ma che cambi l’idea di welfare, collaborando con i soggetti attivi. E, francamente, ormai bisogna distinguere il grano dal loglio. Certamente, questo vuol dire anche il tipo di gestione, perché quando si costruiscono gare al massimo ribasso, si aiuta il malaffare, il lavoro nero. Quindi, il cambiamento deve essere reciproco: da una parte, l’ente locale che deve smettere di gestire, ma deve governare, e dall’altra le realtà sociali che devono pensare al bene comune e non a se stesse.

D. – Da queste elezioni, lei si aspetta una rinascita della politica dal basso?

R. – Dal modello “Milano”, dove Renzi e Berlusconi non sono entrati, Salvini è stato marginale, Fratelli d’Italia non è mai intervenuto e il Movimento 5 Stelle è al minimo; e dove i due candidati sono degli ottimi candidati: questo è una ripartenza.

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Incendi in Sicilia. Antoci: umiliato per il grande reato ambientale

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Sta rientrando gradualmente l'emergenza incendi che ieri hanno devastato intere zone della Sicilia con 500 interventi in 36 ore. Parallelamente al ripristino di autostrade e linee ferroviarie, sono iniziate le indagini di polizia e magistratura per accertare il dolo dei roghi divampati contemporaneamente in punti distanti l'uno dall'altro. Il presidente del Parco dei Nebrodi, area colpita dalle fiamme, Giuseppe Antoci, ha parlato della linea dura e intransigente che intraprenderà per combattere il fenomeno dietro cui si potrebbe celare l'intervento di clan mafiosi. Al microfono di Valentina Onori: 

R. – Oggi la situazione è migliorata molto perché il vento di scirocco è terminato. Questo vento fortissimo di scirocco ha trasportato il fuoco anche a 40-50 metri di distanza. Adesso stiamo cercando di capire se ci sono effetti di dolo.

D. – È convinto che si tratti di dolo?

R. – Si è approfittato di questo momento di forte scirocco, qualcuno si è divertito, come ha fatto anche in altri momenti nel passato. Dato che noi vogliamo mettere un punto fermo su questo problema, facendo capire che non scherziamo, ci costituiremo parte civile su tutti i processi che si porteranno avanti nei confronti di piromani, così cominciamo anche a dare una prima risposta molto forte che finora non è mai stata data.

D. – Quindi manterrete una linea dura...

R. – Ieri è stato compiuto un atto ignobile che non solo ha messo a rischio la vita di cittadini e di persone, ma che ha cancellato decine e decine di migliaia di ettari di biodiversità che l’Europa ci invidia. Per questo andremo avanti senza fare sconti a nessuno.

D. – Le agromafie imperversano sempre di più…

R. – Con la lotta ai fondi europei abbiamo dato un forte colpo alle agromafie. Stiamo portando avanti anche la lotta ai fenomeni di macellazione clandestina e anche lì abbiamo ottenuto dei risultati importantissimi. Il Protocollo di legalità che abbiamo fatto sarà applicato a tutta Italia. Abbiamo agito su questo versante facendo i fatti e ottenendo risultati. Quello che bisogna fare, soprattutto per farlo vedere ai cittadini, è far vedere che lo Stato c’è attraverso i  risultati, perché la gente non ha bisogno di chiacchiere.

D. – Lei pensa che dietro ci siano dei clan per il controllo del territorio?

R. – Noi abbiamo colpito le famiglie mafiose togliendo loro non milioni ma miliardi di euro che hanno incassato in questi anni dai fondi europei. C’era un accordo regionale su questo, quindi c’era un’attività legalizzata che percepiva dei fondi che invece dovevano andare ad agricoltori onesti o a giovani che dovevano aprire un’attività. Questo colpo che abbiamo sferrato, con risultati importanti, è parso chiaro anche dall’attentato che ho subito io in prima persona. Forse c’è un filo conduttore, anche se non penso che ci sia solo questo. È il frutto di più aspetti, perché questi incendi si sono verificati anche negli anni precedenti, ma forse anche questo ha influito.

D. – Oggi il ministro Alfano verrà in Sicilia. Cosa si aspetta?

R. – Quando è venuto in occasione del mio attentato ha detto delle cose che poi ha mantenuto: ha mandato le forze speciali, lo Stato si è organizzato. Anche il presidente Renzi si è messo a disposizione creando le condizioni perché ci fosse una risposta forte da parte dello Stato. Mi aspetto che lo Stato continui su questa linea dura e intransigente. Ma lo Stato siamo anche e soprattutto noi, ogni singolo cittadino. Questa è una terra che non ha bisogno di eroi e di simboli: ha bisogno di normalità, di fare il proprio dovere e ognuno lo deve fare ritagliandosi un pezzetto di responsabilità. Se questo avviene ci saranno sempre meno persone sole e sempre meno persone sotto scorta perché rischiano la vita. E’ una terra che ha bisogno di normalità.

D. – Vengono colpiti in questo modo anche dei beni collettivi…

R. – Io in qualità di presidente regionale di Federparchi le dico che sono veramente umiliato. A giorni avremo un importantissimo convegno internazionale sugli alberi monumentali alla presenza di tante persone. Mi piange il cuore al pensiero che alcuni di questi alberi siano andati in fumo.

D. – Quali sono le tecniche che utilizzano per dar fuoco? È stata attuata una strategia?

R. – Ci sono diverse tecniche. Ne cito una che è la più efferata: quella di dare fuoco a gatti o altri animali vivi che correndo infiammano più posti per poi finire bruciati insieme al fuoco che loro stessi hanno alimentato. Questa è una tecnica efferata, brutta, da animali quali sono loro. Sono loro i veri animali! Loro vogliono fare la guerra? Bene, noi siamo pronti. Gli strumenti saranno quelli di dimostrare che non si fanno sconti a nessuno. È stato compiuto un grande reato ambientale.

D. – Ha paura per la sua incolumità?

R. – Le dico solo che la mafia non sparava dal ’92, dai tempi delle stragi di mafia. Lo ha fatto nei miei confronti e nei confronti degli uomini della mia scorta. Oggi sono qui a parlare con lei. Mi basta dirle che ora rispondiamo e reagiamo.

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Concilio panortodosso: apertura domenica senza Mosca

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Domenica prossima, con la celebrazione della divina liturgia della Pentecoste ortodossa nella cattedrale di San Mena a Iraklion, si darà formalmente avvio al Concilio panortodosso di Creta che aprirà i lavori lunedì per proseguire fino al 26 giugno. Nonostante l’Assemblea sia la prima da oltre un millennio, con un cinquantennio di preparazione alle spalle, e sia stata decisa all’unanimità, solo 10 delle 14 presenze calcolate, sono state in realtà confermate. L’assenza più significativa è quella di Mosca. Il servizio di Gabriella Ceraso

“Il Santo Grande Concilio è la nostra sacra missione”. Così arrivando nei giorni scorsi a Creta il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, al cui afflato unitario ereditato da Atenagora si deve principalmente la storica tappa greca del cammino ortodosso. ”Cinque mesi fa”, ha detto, ritornando alla "sinassi" - la riunione dei primati a Chambesy in Svizzera, ”abbiamo preso una decisione e abbiamo apposto le nostre firme: a Creta si sarebbe dovuta realizzare una visione unitaria perseguita da tutte le nostre Chiese che vogliono esaminare i problemi del mondo ortodosso per risolverli insieme".

Assenti quattro Chiese
A oggi però non si sa se sarà possibile, lo si vedrà forse già al termine dell’odierna giornata in cui i primati, 10 su 14 giunti a Creta, si riuniscono per esaminare l’agenda e il messaggio conclusivo del Concilio che avrà inaugurazione e conclusione pubbliche ma lavori a porte chiuse. Per ora, sono i distinguo a prevalere. Quello di Mosca pesa più di tutti: “Non è un rifiuto, né una rinuncia”, spiega il Patriarcato, che adduce motivi per così dire regolamentari cioè l’assenza della base per la convocazione del Concilio, ovvero il consenso di tutti. Dunque meglio rimandare e lavorare ai documenti preparatori - pena appunto la partecipazione - come chiedono anche i primati delle chiese locali, di Bulgaria, Antiochia e Georgia le cui assenze hanno peraltro motivi differenti.

Le ragioni delle assenze
In particolare per Antiochia c’è l’annosa questione con Gerusalemme circa la giurisdizione sul Qatar, mentre per la Georgia gli ostacoli sono legati al rapporto con le altre confessioni cristiane, uno dei punti in agenda insieme tra l’altro alla missione della Chiesa ortodossa nel mondo contemporaneo, alla diaspora, allo status di autonomia, agli impedimenti al matrimonio e all’importanza del digiuno. Una panoramica a tutto tondo sul cristianesimo d’Oriente e un avvenimento a cui anche la Chiesa cattolica guarda con attenzione consapevole di quanto a Papa Francesco stia a cuore l’unità e la concordia tra Chiese sorelle ma anche il concetto di piena sinodalità.

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Nella Chiesa e nel mondo



Paraguay: vescovi condannano violenza omicida nel Paese

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“La violenza genera altra violenza”: così, in un’intervista radiofonica con un’emittente locale del Paraguay, l'arcivescovo di Asunción, mons. Edmundo Ponziano Valenzuela Mellid, parla del clima che si respira nel Paese. In particolare – spiega l’agenzia Fides – il presule fa riferimento all’omicidio dell’imprenditore, presunto trafficante di droga, Jorge Rafaat, avvenuto la sera del 15 giugno a Pedro Juan Caballero. Rafaat è stato crivellato da 16 colpi d'arma da fuoco e, secondo la polizia, i criminali armati erano numerosi.

La violenza affonda il Paese. Costruire con misericordia e dialogo
Condannando fermamente il delitto, mons. Valenzuela ribadice che la violenza “non risolve nulla. Rifiutiamo categoricamente tutto quello che è accaduto. Il Paese si costruisce con la misericordia, con l’amore, con il lavoro e con il dialogo. La violenza non farà crescere la nazione, ma la affonderà".

Segnali positivi dai giovani
Tali drammatici avvenimenti, aggiunge l’arcivescovo di  Asunción, non sono in sintonia con l'esperienza della “nuova società” del Paraguay che si sta costruendo: a quasi un anno dalla visita di Papa Francesco nel Paese, infatti, si nota un cambiamento positivo nella gioventù. "Le nostre parrocchie – conclude il presule - vedono una crescita nel numero di giovani che si vogliono rendere protagonisti, impegnarsi nella società, mossi dallo spirito di Dio e assetati di giustizia e verità, per costruire il Paraguay".

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Regno Unito. Deputata uccisa: il cordoglio dei vescovi

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“Jo Cox MP Requiescat in pace”. Anche i vescovi inglesi come tutto il popolo del Regno Unito è sotto choc per la morte, avvenuta ieri, di Helen Joanne Cox, la parlamentare di 41 anni colpita a coltellate e colpi d’arma da fuoco a Birstall, alle porte di Leeds, nello Yorkshire. Soccorsa in condizioni critiche, è deceduta poco dopo. Un inglese di 52 anni, Tommy Mair, è stato arrestato. Secondo i media inglesi, l’aggressore avrebbe gridato uno slogan nazionalista.

Dolore e shock per l’uccisione
“Siamo profondamente addolorati e scioccati – scrivono i vescovi, citati dall’agenzia Sir – per la morte di Jo Cox. La nostra società ha perso un servitore fervente della cosa pubblica”. Contraria alla Brexit, la parlamentare laburista si era occupata di temi legati ai più deboli e all’accoglienza dei rifugiati siriani. “La sua vita – ricordano i presuli – ha toccato le vite di molti altri e ora condividiamo un profondo senso di mancanza per la sua morte”.

Le preghiere di tutti i cattolici
I vescovi assicurano, quindi, le preghiere di tutta la comunità cattolica di Inghilterra e Galles per “Jo, suo marito Brendan e la sua famiglia”. Anche il vescovo di Leeds, mons. Marcus Stock, si unisce al dolore per quanto avvenuto nella sua città, chiedendo ai fedeli di pregare per la deputata defunta e per la persona rimasta ferita durante l’attacco.

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Verso la Gmg: pellegrini polacchi in moto da Cracovia a Roma

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Conto alla rovescia per la Giornata mondiale della Gioventù di Cracovia: manca, infatti, poco più di un mese all’evento, in programma dal 26 al 31 luglio. In vista della Gmg, mercoledì 22 giugno, all’udienza generale presieduta da Papa Francesco in Piazza San Pietro, arriverà a Roma il pellegrinaggio di motociclisti organizzato da padre Adam Parszywka, direttore del Dipartimento di comunicazione del Comitato organizzatore della Gmg e direttore del Volontariato missionario salesiano “I giovani per il mondo”.

Per il Papa, pronta una giacca bianca da motociclista
I pellegrini motorizzati  - riferisce l’agenzia Sir - doneranno al Pontefice una giacca da centauro di pelle bianca con il logo della Giornata. Per l’occasione, l’Ente nazionale polacco per il turismo, in collaborazione con il Comune di Cracovia, il Comitato organizzatore della Gmg e l’Ente turistico della Regione Malopolska organizza una conferenza stampa a Roma per raccontare Cracovia, la sua regione, i luoghi che Papa Francesco visiterà durante il suo soggiorno in Polonia.

Conferenza stampa a Roma
L’appuntamento è alle ore 13.00 a  Palazzo Blumenstihl, sede dell’Istituto polacco (via Vittoria Colonna, 1). Oltre a p. Parszywka, interverranno Joanna Zając, coordinatrice della promozione del Dipartimento di comunicazione della Gmg; Wanda Gawrońska, presidente dell’Associazione Pier Giorgio Frassati; Michele Zanzucchi, giornalista italiano; Małgorzata Furdal, direttrice dell’Ente nazionale polacco per il turismo a Roma.

L’esempio del Beato Frassati
Si parlerà anche dell’elemento “sorpresa” italiano: da Torino, infatti, arriveranno a Cracovia, per essere esposte alla venerazione dei partecipanti alla Gmg, le reliquie del Beato Pier Giorgio Frassati, Patrono dei giovani, molto amato da Giovanni Paolo II e da Papa Francesco: nel messaggio rivolto ai ragazzi in vista della Gmg, infatti, Francesco li ha esortati a seguire l’esempio del Beato Frassati. “Pier Giorgio era un giovane che aveva capito che cosa vuol dire avere un cuore misericordioso, sensibile ai più bisognosi – scrive il Papa - A loro dava molto più che cose materiali: dava se stesso, spendeva tempo, parole, capacità di ascolto. Serviva i poveri con grande discrezione, non mettendosi mai in mostra”. (I.P.)

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Caritas India: portiamo esperienza concreta di Cristo a tutti

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“La Caritas cerca di intervenire in ogni situazione di disastro. Porta cibo, acqua, medicine, vestiti e altro materiale di soccorso. È a tutti gli effetti l’esperienza concreta di Cristo ‘versato per voi e per tutti’”. Lo dice ad AsiaNews p. Frederick D’Souza, direttore esecutivo di Caritas India, parlando dei numerosi interventi dell’organizzazione cattolica in eventi catastrofici come alluvioni, tsunami, cicloni e terremoti.

Aiuti non solo materiali, ma anche spirituali
I numeri sono enormi: negli ultimi dieci anni, si calcolano interventi in soccorso a quasi 205mila famiglie in India e nel resto dell’Asia, senza considerare le attuali operazioni per i terremotati del Nepal. “Noi siamo lì per tutti – spiega padre D’Souza - come Gesù che ha versato il suo sangue per nutrire uomini, donne, bambini, anziani e malati di ogni etnia”. “Nelle calamità – aggiunge - le persone non subiscono solo traumi fisici, ma anche emotivi, psicologici, spirituali. Non serve solo il cibo e una tenda, ma anche una spalla su cui piangere. E Caritas India offre esattamente questo”.

Contrastare gli “tsunami invisibili”
Oltre all’aiuto in situazioni di emergenza, p. D’Souza ricorda che l’organismo è impegnato anche nel tessuto sociale, perché “esistono anche “tsunami invisibili”, “devastazioni silenziose”, come le varie forme di sfruttamento, disparità economica, abusi di potere, riduzione delle persone in schiavitù. Per questo, attraverso oltre un milione di gruppi di auto-aiuto per donne, agricoltori e giovani, la Caritas prova a trasformare la società, “restituendo dignità alle persone cui viene negato tale diritto”, conclude padre D’Souza.

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Congo: Chiesa lancia campagna educazione civica e elettorale

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“L’impegno cittadino per il miglioramento della situazione nel Paese in vista dello sviluppo”: è il tema della prima campagna sull’educazione civica ed elettorale lanciata ieri dalla Conferenza episcopale nazionale del Congo (Cenco) e che sarà promossa in tutte le diocesi fino a novembre. P. Leonard Santedi, segretario generale della Cenco, ha spiegato che la “campagna risponde alla visione propria dell’episcopato congolese” e che educare significa “costruire personalità”, e soprattutto indurre i giovani e le donne a prendere in mano il loro destino.

10 mila formatori Impegnati nelle 47 diocesi del Paese
Per portare avanti il progetto, riferisce Radio Okapi,10 mila formatori si impegneranno nelle 47 diocesi del Paese, prima, durante e dopo le elezioni presidenziali e legislative previste per novembre. “E’ un impegno preso dalla Chiesa per formare la popolazione a non essere passiva, ma a partecipare alla costruzione di uno stato di diritto”, ha detto p. Santedi. (T.C.)

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Card. Re al Congresso eucaristico nazionale in Argentina

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“Ci sono stati periodi oscuri e dolorosi, con problemi e divisioni tra fratelli, pagine tristi e tragiche che hanno causato una profonda e amara sofferenza  a tanti, le cui ferite sono ancora aperte”. Queste le parole del cardinale Giovanni Battista Re, legato pontificio per il IX Congresso Eucaristico Nazionale argentino, inaugurato, ieri sera, nella città di Tucumán. Nel suo discorso durante la cerimonia di benvenuto, il rappresentante del Papa ha evidenziato la felice coincidenza dell’evento religioso con la celebrazione del Bicentenario dell’Indipendenza perché “questi due secoli sono stati segnati dalla profondità della fede e dei valori morali e spirituali dell’Argentina dove il Vangelo è stato forza e ispirazione per la Patria”.

Valori umani e cristiani saldi per guardare al futuro con speranza
“L’Argentina ha bisogno di una vera riconciliazione con giustizia, perdono, serenità e pace” ha detto il card. Re che ha lanciato un appello – come lo stesso Papa Francesco ha ripetuto più volte - a rafforzare la cultura del dialogo, dell’incontro, della solidarietà e dell’onestà. Il porporato ha riconosciuto i grandi passi che la Chiesa argentina ha fatto negli ultimi anni nell’ambito dell’evangelizzazione e della promozione umana e sociale. “Incoraggiato dai valori umani e cristiani – ha affermato - il popolo argentino potrà guardare al futuro con speranza e con fiducia” nella costruzione di una società moderna, forte e unita. “Questo anelito - ha aggiunto - può avverarsi solo se percorriamo insieme la via della solidarietà, mettendo al centro la persona umana e guardando con attenzione ai più poveri”.

La forte presenza spirituale del Papa nel Congresso
Il card. Re ha ringraziato per l’accoglienza del popolo argentino come rappresentante di Papa Francesco. “Lui, con il suo esempio ed il suo insegnamento - ha detto il porporato -  sta guidando la Chiesa per le vie del Vangelo attraverso il suo ammirevole impegno che tanto entusiasmo ha risvegliato nella Chiesa e nel mondo intero”. Il cardinale ha rassicurato sulla vicinanza spirituale del Papa a San Miguel de Tucumán, “perché conosciamo bene - ha detto - il suo amore per l’Eucarestia e per l’Argentina”.  Il Legato pontificio ha ricordato che l’Eucarestia fa parte del patrimonio degli argentini e pertanto, questi giorni del Congresso saranno espressione di una grande devozione ed anche della manifestazione pubblica di una fede cristiana ancorata nella vita quotidiana e capace di sostenere le sfide del nostro tempo. 

Oltre 30 mila tra congressisti e pellegrini
“Gesù Cristo, Signore della storia, abbiamo bisogno di te” è il tema dell’undicesima edizione del Congresso Eucaristico Nazionale che ha radunato, nella città settentrionale di Tucumàn, oltre 30mila persone tra congressisti e pellegrini che potranno partecipare alle diverse attività religiose e culturali, oltre alle celebrazione previste nell’Ippodromo di Tucumán, per le quali si attende un gran numero di fedeli. Durante il Congresso, si terranno tavole rotonde e seminari dedicati ai diversi ambiti pastorali: famiglia, pastorale sociale, pastorale penitenziaria, salute, missione, giovani, ecc. Le catechesi e le celebrazioni sono state divise secondo i temi di riflessione: “L’Eucaristia e la Chiesa nella storia della patria”; “Eucarestia e Misericordia. Giubileo della Misericordia”; “Eucarestia e Maria, Gioia del Vangelo, Pietà Popolare”; e infine,  “Eucarestia fonte della Missione verso il III Centenario”.  La Messa di chiusura del Congresso sarà presieduta dal Card. Re e concelebrata dai vescovi argentini. Per questa celebrazione è prevista la partecipazione del Presidente della Repubblica, Maurizio Macri e di alcune personalità della vita politica, sociale e religiosa del Paese. (A cura di Alina Tufani).

 

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 169

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.