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Sommario del 18/06/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: segno di conversione è andare incontro ai fratelli

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Le persone si convertono, cioè cambiano vita, perché si sentono amate da Gesù. Questo il cuore della catechesi che il Papa ha tenuto stamani, in piazza San Pietro, durante l’Udienza giubilare nell'ambito dell'Anno Santo. Un’udienza dedicata al tema della conversione che, ha ricordato, assieme al “perdono dei peccati” è uno dei due aspetti qualificanti della misericordia. Francesco esorta ad aprirsi alla grazia e così andare incontro ai fratelli. Il servizio di Debora Donnini: 

Convertirsi significa “cambiare direzione di marcia”. Un invito contenuto in tutta la Bibbia, specialmente nei profeti che esortavano continuamente il popolo a “ritornare al Signore”, chiedendogli perdono e cambiando stile di vita. Gesù fa della conversione la prima parola della sua predicazione: “Convertitevi e credete nel Vangelo”, il suo forte invito. “Rispetto alla predicazione dei profeti – dice il Papa - Gesù insiste ancora di più sulla dimensione interiore della conversione”, in cui è coinvolta tutta la persona per diventare “una creatura nuova”:

“Quando Gesù chiama alla conversione non si erge a giudice delle persone, ma lo fa a partire dalla vicinanza, dalla condivisione della condizione umana, e quindi della strada, della casa, della mensa..”.

Gesù persuadeva, infatti, la gente con la sua amabilità, con il suo amore e così manifestava la sua misericordia:

“Con questo suo comportamento Gesù toccava nel profondo il cuore delle persone ed esse si sentivano attratte dall’amore di Dio e spinte a cambiare vita”

Matteo e Zaccheo, due pubblicani, esattori delle tasse, considerati, quindi, vicino a Roma e al suo Impero, sono due esempi di questa attrazione esercitata da Gesù. “Hanno sentito di essere amati da Gesù e, attraverso di Lui, dal Padre”:

“La vera conversione avviene quando accogliamo il dono della grazia; e un chiaro segno della sua autenticità è che ci accorgiamo delle necessità dei fratelli e siamo pronti ad andare loro incontro”.

Il Papa nota che tante volte sentiamo l’esigenza di un cambiamento profondo, sentiamo che la vita, per una certa strada, “non darà frutto”:

"Quante volte vengono questi pensieri, quante volte!... E Gesù, accanto a noi, con la mano tesa ci dice: 'Vieni, vieni da me. Il lavoro lo faccio io: io ti cambierò il cuore, io ti cambierò la vita, io ti farò felice'. Ma noi, crediamo in questo o no? Crediamo o no? Cosa pensate voi: credete in questo o no? Meno applauso e più voce: credete o non credete? [la gente: 'Sì!'] È così. Gesù che è con noi ci invita a cambiare vita".

E’ Gesù che semina questa “inquietudine” che spinge, appunto, a cambiare vita:

"Dobbiamo soltanto spalancare la porta, e Lui fa tutto il resto. Lui fa tutto, ma a noi spetta spalancare il cuore perché Lui possa guarirci e farci andare avanti. Vi assicuro che saremo più felici". 

Questo l’invito conclusivo del Papa che nella catechesi ha sottolineato quanto l’amabilità di Gesù porti l'uomo alla conversione. Una parola che si è fatta gesto concreto nei saluti che Francesco, prima dell’udienza, ha rivolto alla folla percorrendo in papamobile Piazza San Pietro, in una giornata assolata ma temperata da una leggere brezza. Accolto con calore dalla folla, Francesco ha baciato e abbracciato alcuni bambini, facendoli anche salire sull’auto scoperta.

Nei saluti ai numerosi pellegrini presenti, il Papa ha rivolto un pensiero particolare alla Scuola di sanità delle Forze Armate di Bron, in Francia. Tra quelli in lingua tedesca, agli alunni del Seminario di Eichstätt. Ai pellegrini di lingua araba, in particolare a coloro che sono venuti dal Medio Oriente, il Papa ha ricordato che "il Signore della misericordia vuole salvarci tutti" e "ci aiuta ad accoglierlo per aprirci agli orizzonti sconfinati della sua misericordia". Fra quelli in lingua italiana, Francesco si rivolge nei saluti ai volontari del Cottolengo di Torino e ai Panificatori dell’Associazione Confesercenti. Ha ringraziato questi ultimi per aver distribuito il pane ai pellegrini venuti per il Giubileo, durante questa settimana . “Dare il pane, spezzare il pane – ha detto – è una delle cose più belle della vita!”. Francesco ha anche salutato i fedeli di Firenze, accompagnati dal cardinale Giuseppe Betori, e di altre diocesi italiane. E ancora, l’associazione “La città dei ragazzi”, nel settantesimo anniversario di fondazione, e altri gruppi presenti.

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Papa visita due comunità di sacerdoti nella periferia di Roma

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Nel quadro dei “Venerdì della misericordia” dell’Anno giubilare, Papa Francesco ha visitato nel pomeriggio di oggi alcuni sacerdoti anziani e sofferenti. Questo il comunicato della Sala Stampa Vaticana:

"Proprio nel mese in cui ha celebrato il Giubileo dei sacerdoti, rivolgendo ad essi le sue ampie meditazioni nelle Basiliche romane (2 giugno) e celebrando con loro la Eucaristia in Piazza San Pietro nella solennità del Sacro Cuore di Gesù (3 giugno), il Papa ha voluto manifestare la sua vicinanza e attenzione anche a quei sacerdoti che non hanno potuto partecipare fisicamente alle bellissime celebrazioni giubilari, ma che sono sempre presenti alla sua preghiera e al suo cuore.

Perciò il Papa – instancabile - ha scelto non solo una, ma ben due comunità di sacerdoti dove si è recato in visita, in un pomeriggio lungo e intenso, ricco di incontri, di emozioni, di gioia spirituale e di momenti di preghiera, dopo aver lasciato il Vaticano prima delle 16.

La comunità "Monte Tabor"
La prima è stata la comunità “Monte Tabor”, dove si trovano otto sacerdoti provenienti da diocesi differenti, sofferenti per diverse forme di disagio, accompagnati da un diacono permanente, Ermes Luparia, già colonnello dell’Aeronautica, ora specializzato in psicologia e dedito al servizio dell’accompagnamento nello spirito dei Padri Salvatoriani. Il Papa si è incontrato con i sacerdoti ospiti nella piccola cappella, ascoltandoli e pregando con loro.

La visita alla "Casa San Gaetano"
Poi Papa Francesco si è recato alla comunità dei sacerdoti anziani della Diocesi di Roma, che si chiama ufficialmente “Casa San Gaetano”, ma è più nota come “I cento preti”. Vi si trovano attualmente 21 sacerdoti anziani, alcuni dei quali molto malati, assistiti da tre suore e altro personale. Il “Direttore” della Casa, Don Antonio Antonelli, è stato parroco per molti anni e ora è anch’egli molto malato. In maggioranza si tratta di sacerdoti diocesani, ma non mancano alcuni religiosi.

Dopo aver dato la vita nel servizio della Chiesa e dei fedeli, ora questi preti vivono nel ritiro, e non molti si ricordano di loro. Ma il Papa sì, e con questa visita ha voluto dimostrarlo a ognuno di loro con il suo affetto concreto e cordialissimo, ricco di consolazione, e ha dato ancora una volta un esempio efficace di misericordia, attenzione e gratitudine a tutta la comunità di Roma e alla Chiesa. Il Giubileo consiste in misura essenziale di opere di misericordia allo stesso tempo corporali e spirituali.

Papa Francesco ha compiuto oggi il sesto segno di misericordia
Quello di oggi è stato il sesto segno di misericordia compiuto dal Papa Francesco nel corso del Giubileo: a gennaio visitò una casa di riposo per anziani, e malati in stato vegetativo; a febbraio, una comunità per tossicodipendenti a Castelgandolfo; a marzo (Giovedì Santo) il Centro di accoglienza per profughi (CARA) di Castelnuovo di Porto; ad aprile la visita dei profughi e migranti nell’Isola di Lesbo; a maggio la comunità del “Chicco” per persone con grave disabilità mentale a Ciampino.

Ascoltiamo da Don Antonio Antonelli, direttore della Casa San Gaetano, meglio nota come "I cento preti", che ospita sacerdoti anziani e malati, le emozioni vissute nell'incontrare Papa Francesco. Il Pontefice vi si è recato nell'ambito delle opere di misericordia che il Papa mensilmente esegue in questo Giubileo. L'intervista è di Giancarlo La Vella: 

R. – Abbiamo incontrato il Papa nella maniera più semplice e ordinaria possibile, perché è stata una presenza improvvisa, non ce l’aspettavamo, per cui nella nostra vita normale abbiamo accolto Francesco. Siamo stati con lui una mezz’oretta e abbiamo parlato delle cose della nostra vita quotidiana. Il Papa è stato attento e comprensivo: ha ascoltato e salutato tutti personalmente, uno per uno. E – veramente –  ci ha sorpreso! Anche se siamo un po’ abituati alla modalità di Francesco, alla sua semplicità, alla sua disponibilità, alla sua attenzione alle situazioni di ciascuno.

D. – Papa Francesco, più di una volta, si è rivolto ai sacerdoti: “Aprite le chiese, andate verso gli altri”. Ecco, come accogliete voi questo appello di Papa Francesco?

R. – Noi viviamo in una struttura di accoglienza per sacerdoti ormai alla conclusione del loro cammino. Pensi che abbiamo almeno due sacerdoti di 95 anni, e il più giovane ne ha 70; tutti gli altri hanno dagli 80 ai 90 anni. Per cui, quello che noi possiamo fare è essere disponibili attraverso la preghiera, aperti ai problemi di tutti, ma attraverso la nostra preghiera.

D. – In una realtà come quella che lei ci ha descritto, don Antonio Antonelli, si riesce comunque a vivere il Giubileo della Misericordia?

R. – Certo! Noi viviamo nella misericordia: noi siamo figli della misericordia di Dio. Tutta la nostra vita, a questo punto, è una manifestazione concreta della misericordia di Dio. Siamo veramente il frutto della misericordia: tutto quello che siamo proviene dalla bontà paterna del Padre, che va al di là dei nostri limiti, delle nostre incoerenze e debolezze quotidiane. È un Padre veramente misericordioso, che ci accoglie così come siamo: questo posso dire.

D. – Una frase che le ha rivolto Papa Francesco, che lei porterà con sé, nel suo cuore…

R. – Una cosa molto bella che il Papa ci ha detto è che in realtà noi, anche nella nostra situazione, possiamo ancora essere quanto mai impegnati nell’apostolato, anche se soltanto nella preghiera. E questo ci dà tanta consolazione, perché a volte ci si sente quasi emarginati, quasi nell’ambito della rottamazione. E invece il Papa ha sottolineato che siamo ancora immersi nell’apostolato, anche se solo attraverso la nostra preghiera.

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Francesco a Villa Nazareth, laboratorio di talenti e fede

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Nel pomeriggio, alle 17, Papa Francesco sarà in visita a Villa Nazareth, nella zona della Pineta Sacchetti, a Roma. Villa Nazareth fu creata nel 1946 dall’allora mons. Domenico Tardini, poi cardinale, per accogliere orfani e figli di famiglie numerose e povere al fine di valorizzare la loro formazione al servizio della società. Presidente della Fondazione è il card. Achille Silvestrini, da giovane prete già collaboratore di mons. Tardini. Al microfono di Luca Collodi, ascoltiamo  il vicepresidente di Villa Nazareth, mons. Claudio Celli

R. – Villa Nazareth nasce dal cuore sacerdotale di mons. Domenico Tardini che in quell’epoca era collaboratore di Pio XII e poi di Papa Giovanni XXIII. Lei sa che Tardini muore nel 1961 come segretario di Stato di Giovanni XXIII. Nel 1946 – ecco perché quest’anno celebriamo il 70.mo della nostra Fondazione – mons. Tardini volle dare una risposta ai gravi problemi umani, di sofferenze lasciati dalla Seconda Guerra mondiale: si dirige ai bambini orfani o a quelli che provengono da famiglie molto numerose, cercando di dare a questi bambini una casa, una formazione. Il suo desiderio era che questi bambini potessero avere la migliore formazione possibile, perché la sua idea era di creare degli uomini e dei professionisti che potessero giocare nella società un ruolo di testimonianza di determinati valori, umani e cristiani.

D. – Dai bambini, oggi Villa Nazareth accoglie invece studenti adulti…

R.- Sì. C’è stato un cambio in questo senso. Non accogliamo più bambini delle scuole elementari ma  studenti universitari. Il carisma è rimasto però lo stesso, vale a dire la scoperta e la valorizzazione del talento. Cerchiamo di avere giovani con ottime qualità intellettuali e con il disagio economico della famiglia. Posso dire con molta tranquillità che, molti dei nostri ragazzi, se non fossero a Villa Nazareth non potrebbero laurearsi. A questi giovani offriamo – o cerchiamo di offrire – una formazione umana di ampio respiro e anche una proposta cristiana, perché, per noi, il tema di fondo è anche l’ispirazione cristiana. Dall’ultimo nostro incontro con Giovanni Paolo II e con Papa Benedetto XVI, ci è stata affidata poi una missione, che è tipicamente nostra: quella di una diaconia della cultura, cioè giocare nel campo della cultura formando dei professionisti di livello a cui affidare un ruolo di testimonianza di valori.

D. – Puntate sulla professionalità dei vostri studenti per servire la società moderna?

R. – Esattamente. I nostri ragazzi frequentano le Facoltà che desiderano, abbiamo studenti di medicina, di ingegneria, di giurisprudenza, di lettere… Ciascuno segue il proprio cammino, però in casa viene offerta loro una formazione umana e spirituale di ampio respiro. Sempre però nel rispetto del cammino e della libertà di ciascuno.

D. – Come si inserisce l’arrivo del Papa a Villa Nazareth nel vostro cammino di formazione ?

R. – Desideriamo una cosa semplicissima: che Papa Francesco – che già ci conosce – ci aiuti a riscoprire e a guardare avanti proprio in sintonia con il nostro carisma fondativo. Lei sa che Papa Francesco parla spesso delle periferie esistenziali: ci dice di immetterci nella vita, nella società, “sporcandoci le mani” e, direi, anche disponibili a sbagliare. Ecco, i nostri giovani sono invitati a entrare nel mondo con una ricca professionalità, con una buona preparazione ma con la consapevolezza che devono essere lievito nella massa e sale della terra. E questa è una grande sfida per tutti noi.

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Card. Parolin: in Ucraina accanto alla gente che chiede pace

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“Non lasciatevi vincere dall’angoscia: Dio non vi dimentica”. Lo ha detto il cardinale Pietro Parolin alla folla che ha partecipato alla Messa presieduta dal segretario di Stato a Leopoli, nel terzo giorno della sua visita in Ucraina. Al microfono di Mariusz Krawiec, corrispondente a Lvov della nostra redazione polacca, il porporato racconta le impressioni raccolte in particolare a contatto con la gente del Donbass, teatro di un conflitto di cui si parla molto poco: 

R. – Sono molto lieto di aver potuto conoscere per la prima volta questa realtà. I primi giorni sono stati segnati proprio dall’esperienza della guerra all’Est. Abbiamo voluto incominciare con la visita alla regione di Zaporizia, quella vicina al Donbass. La mia impressione è che questa guerra, questo conflitto, segni profondamente la carne di questo Paese. Anche lì dove non c’è la guerra però – per esempio a Kiev, per l’incontro con le autorità – le conseguenze si fanno sentire molto forte. Diciamo che la mia prima impressione è stata quella di un Paese sofferente, che cerca in tutti i modi di trovare una soluzione pacifica e negoziata al conflitto. E nello stesso tempo, è anche una Chiesa molto impegnata sul fronte della carità. Intanto, è una comunità cristiana – sia latina, sia greco-cattolica – molto viva, molto devota, in cui si vede veramente una grande fede, una grande partecipazione alla vita della Chiesa. Ma anche questa dimensione della carità: attraverso le Caritas, soprattutto, questo cercare di venire incontro alle necessità di coloro che soffrono. E quindi, questa iniziativa del Papa credo che abbia dato proprio più impulso a questa opera di carità della Chiesa, che è nello stesso tempo anche una grande opera di testimonianza nei confronti della società.

D. – Secondo lei, la Chiesa qui in Ucraina, soprattutto noi cattolici, cosa possiamo dare a questa società toccata anche dalla guerra, dalla sofferenza?

R. – Io credo che appunto la testimonianza della carità sia la cosa più importante. In questi giorni, abbiamo cercato di pregare insieme nelle varie celebrazioni e continueremo a farlo anche nelle celebrazioni successive, per la pace. La pace che tocchi i cuori di tutti coloro che sono coinvolti e soprattutto dei responsabili del bene comune, perché trovino strade – e ci sono. C’è un accordo, l’Accordo di Minsk. Se si mette in esecuzione questo Accordo, si incomincia a risolvere il problema. Bisogna avere la volontà di farlo. Quindi, prima di tutto pregare per questo e poi continuare a dare questa grande testimonianza di carità. La gente ha bisogno di sentire vicini i loro pastori, sentire vicini i credenti in modo tale che non abbia la sensazione di essere abbandonata a se stessa, in questo. E’ un po’ l’invito che Papa Francesco fa quando dice di una Chiesa vicina alle sofferenze, alle difficoltà e alle necessità delle persone che attendono un volto amico, una mano amica, un soccorso nei loro bisogni.

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Card. Stella: la misericordia è il cuore di Dio che ci accoglie

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“La Chiesa come luogo di Misericordia”. E’ stato questo il filo conduttore dell’incontro con il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il Clero, che si è tenuto ieri sera a Roma nella Chiesa di Santo Spirito in Sassia, nell’ambito del ciclo di catechesi sulla Divina Misericordia. L’iniziativa ha il patrocinio del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione e la collaborazione dell'Associazione "Res Magnae". Il cardinale Stella al microfono di Marina Tomarro

R. – Vuol dire anzitutto che il discepolo di Gesù, il buon cristiano, in questo edificio e soprattutto nel Santuario dove ci troviamo, che è il Santuario della Divina Misericordia, invoca la misericordia di Dio e incontra lo sguardo di Dio, che perdona, che accoglie: quindi la Chiesa come luogo in cui si invoca e si prega la misericordia. Secondo: dove si apprende anche l’esercizio della misericordia, perché Dio ci insegna non solo ad amare Lui, ma anche ad amare i nostri fratelli, alla pari: non possiamo amare Dio che non vediamo, se non amiamo il prossimo che vediamo.

D. – Il Papa ci invita spesso a pregare il Signore e a chiedere misericordia. Cosa vuol dire?

R. – Un po’ tutti lo sappiamo, perché tutti abbiamo bisogno del perdono di Dio. Quindi, quando il Papa ci dice siamo peccatori, questa coscienza cristiana di essere dei poveri peccatori, ci apre il cuore. Sappiamo che incontriamo lo sguardo di Dio, che è un Dio Padre di misericordia e di ogni consolazione, è un Dio che ci abbraccia e ci dona proprio il suo perdono, la sua bontà. Questo credo sia l’esperienza cristiana più bella, più profonda, quella di sentirsi perdonati dal Signore.

D. – Il Papa, nel recente Giubileo dei sacerdoti, ha chiesto di avere misericordia dei peccatori, senza remore. Cosa vuol dire?

R. – Dobbiamo fare come fa il Papa che confessa, il Papa che accoglie: era bella quella foto del Papa che ascolta... Immagino che dopo quell’ascolto, il Papa abbia guardato in viso il sacerdote, che stava confessando, e abbia detto: “Che Dio ti perdoni. E poi io ti assolvo dai tuoi peccati”. Queste sono, direi, le lezioni stupende del Papa, che ci insegna con la parola ma soprattutto con i suoi gesti, con l’esercizio concreto della misericordia, in questo caso. Penso che i preti debbano proprio guardare al Papa, con questo cuore grande, accogliente e generoso e imparare dal Papa l’accoglienza, l’incontro, la carità, la comprensione. Queste belle parole che non sono solo belle parole, ma sono gesti e atteggiamenti del cuore che mettono la nostra gente nella disposizione di essere accolta e di essere perdonata da Dio.

D. – Questa misericordia così infinita può essere scandalosa per quanto è grande?

R. – In Dio tutti gli attribuiti sono nell’ordine dell’infinito e siccome la misericordia è proprio il nome di Dio – ci ha detto il Papa – quando diciamo che Dio è misericordia infinita tocchiamo le profondità e – come dice il Papa – le “viscere del cuore di Dio”, un cuore che perdona. Quindi, la misericordia di Dio non può essere che infinita: quello che Dio ci chiede è un riconoscimento della nostra umana fragilità e del nostro peccato. Dio non ci chiede altro. E un proposito: davanti al Signore dire: “Signore mi ha perdonato… Cercherò di essere generoso e fedele all’impegno che oggi porto davanti al tuo cuore”.

D. – Queste catechesi si svolgono in un luogo di eccellenza: il Santuario della Divina Misericordia. Anche nei confronti dei tanti fedeli che vengono qui a pregare, quanto è importante il chiedere al Signore perdono, misericordia, aiuto?

R. – Questa è una esperienza, in questo tempio, veramente bella. Io vengo qui tutti i sabati a confessare e veramente, in questa casa di Dio, si incontrano dei cuori aperti. Una esperienza bellissima per noi preti: vedere come le anime cercano la pace, la serenità, l’incontro con Dio... Come vengono a confessarsi e confessioni di grande profondità, di grande bellezza interiore. E’ una grande esperienza. E poi vederli come vanno all’altare a ringraziare il Signore, a fare la piccola penitenza… Per noi preti, questa chiesa è una bella scuola di carità, di accoglienza e soprattutto di dono della misericordia.

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Card. Comastri: vi racconto Madre Teresa, Santa della Misericordia

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"Ho conosciuto una Santa". E' il titolo del libro su Madre Teresa di Calcutta scritto dal card. Angelo Comastri, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano, e pubblicato in questi giorni dalle Edizioni San Paolo. Nel volume, il porporato racconta i suoi tanti incontri con la futura Santa e offre al lettore una serie di storie, scritti e preghiere su Madre Teresa. Alessandro Gisotti ha chiesto al cardinale Angelo Comastri di raccontare l'esperienza straordinaria di essere stato così vicino alla fondatrice delle Missionarie della Carità: 

R. - Ritengo che incontrare Madre Teresa di Calcutta sia stato un grande dono da parte del Signore. Confesso che ogni volta che la incontravo mi metteva nel cuore una grande serenità. Mi sembrava quasi di sperimentare la presenza di Dio nella sua anima. Una volta mi incantò una definizione di un giornalista riguardo Madre Teresa che diceva così: “ Madre Teresa è una finestra aperta e Dio si è affacciato a questa finestra e ha sorriso al mondo”. Da parte mia, la condivido pienamente perché ogni volta che la incontravo avevo quasi la sensazione fisica di avvicinare il Signore, di sentire il Signore che era evidentemente nella sua anima. Quando l’ultima volta l’ho salutata – era il 22 maggio del 1997 nella Casa sulla Via Casilina – era già malata, si vedeva che aveva pochissima forza. In quell’occasione le confidai la mia sofferenza perché la mia mamma era morta da pochi giorni. Le dissi: “Madre, mamma mi ha lasciato”. E lei, ricordo ancora, mi disse: “La tua mamma è in cielo. Ora, ti è più vicina di prima”, e aggiunse, “anche io andrò in cielo. Ti starò sempre vicina”. Queste parole per me sono di una consolazione straordinaria, perché Madre Teresa quando prometteva una cosa la faceva.

D. – Con la canonizzazione ora la sentiremo tutti davvero più vicina. Dal cielo può fare perfino di più di quanto ha fatto in modo straordinario sulla Terra?

R. – Non c’è dubbio. Giovanni Paolo II disse: “I santi in cielo non hanno bisogno di applausi. I santi ci chiedono soltanto di seguirli”. E Madre Teresa non si stanca di dirci: “Siate santi”. Ricordo quando mi dava qualche immaginetta: ci scriveva sempre: “Be holy (Sii santo)”. Quindi ci dice ancora la stessa cosa, perché l’unica cosa che conta è la santità. Per usare le sue parole: “ L’unica valigia che porteremo di là è la valigia della carità”. Ricordo che quando mi disse queste parole, aggiunse: “Finché sei in tempo, riempila, perché è l’unica valigia che porterai con te”.

D. – Nel libro, i capitoli sono intervallati da preghiere di Madre Teresa o da preghiera a cui lei teneva tanto e recitava quotidianamente …

R. - Potremmo dire che la preghiera è il segreto di Madre Teresa di Calcutta.  Quando Pérez de Cuéllar (allora Segretario generale delle Nazioni Unite) la presentò all’Onu con parole un po’ altisonanti dicendo:  “Vi presento la donna più potente della Terra. Lei è veramente le Nazioni Unite perché nel suo cuore ci sono i poveri di tutto il mondo”, la Madre rispose: “Io sono soltanto una suora che prega”, e aggiunse “pregando, Gesù mi mette il suo amore nel cuore. Io vado a portarlo ai poveri di tutto il mondo, ai poveri che incontro”. Poi ebbe il coraggio di dire: “Pregate anche voi e vi accorgerete dei poveri che avete accanto, forse sul pianerottolo della vostra stessa casa”.

D. - Madre Teresa aveva una straordinaria capacità di comunicazione con tutti. Lei ricorda in particolare la figura della principessa Diana …

R. - Sì. La madre accolse con tanto affetto la Principessa Diana, ma non tanto perché era una principessa, ma perché era una figlia di Dio. E quando ci fu qualche cautela presentata alla Madre nei confronti di Diana, lei disse: “Io non ho mai ricevuto la Principessa Diana: io ho ricevuto sempre l’infelice Diana”. Questo è molto bello. Lei sapeva chinarsi sulla sofferenza di tutti, principi o non principi, poveri o non poveri perché erano tutti figli di Dio, come deve essere per tutti.

D. - Dei tanti incontri che lei ha potuto aver con Madre Teresa cosa le resta?

R. - Ogni incontro era bello; ogni incontro era ricco. Però il primo incontro è quello che ricordo in modo straordinario soprattutto quando dissi alla Madre: “Da lei mi aspettavo che mi chiedesse quanta carità fai …” E lei ricordo che mi rispose: “E tu credi che io potrei fare la carità? Potrei andare dai poveri se non pregassi? È pregando che Gesù mi mette l’amore nel cuore. Io vado a portarlo ai poveri che incontro nel mio cammino”, e aggiunse: “Ricordati bene  - muovendo il dito – che senza Dio siamo troppo poveri per poter aiutare i poveri”.

D. - Beatificata da San Giovanni Paolo II, apostolo della Divina Misericordia, viene canonizzata da Papa Francesco nel Giubileo della Misericordia. Possiamo dire che è la testimone più forte forse dei nostri tempi della misericordia di Dio?

R. - Quando un giornalista tentò di fotografare gli occhi della madre - ero presente -  chiedemmo: “Perché insiste? Sta infastidendo la Madre”, e il giornalista: “Voglio fotografare gli occhi: non ho mai visto occhi così felici. Vorrei, in qualche modo, cogliere il segreto della gioia di questi occhi”. Ricordo che la suora che era accanto tradusse alla Madre in inglese. La Madre rispose: “Il segreto è tanto semplice: i miei occhi sono felici perché le mie mani asciugano tante lacrime. Faccia anche lei così: abbia degli occhi felici come i miei”.

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Caritas Internationalis ad un anno dalla 'Laudato si'

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Ricorre oggi il primo anniversario della pubblicazione dell’Enciclica di Francesco “Laudato sì” sulla protezione della Casa Comune. Sul valore sociale e ambientale di questo documento, Linda Bordoni ha intervistato il segretario generale di Caritas Internationalis, Michel Roy

R. – E’ stato un documento molto bello, che ci ha dato molta energia per andare avanti su un quadro strategico. Il nostro tema, per questi quattro anni, è stato “Una sola famiglia umana, prendendosi cura della creazione” ed effettivamente l’Enciclica “Laudato sì’”, un anno dopo, ci guida. Però la gente non riesce a seguirla, perché il mondo corre rapidamente. Ci sono due sfide. La prima è quella di riuscire a fermare le sovvenzioni alle energie fossili e questo deve essere fatta adesso, cercando di trasformarle in rinnovabili. Però ancora non vediamo questo cambiamento, ma deve essere fatto: se non verrà fatto adesso, ci sarà una catastrofe ancora più grande! E questo non è solamente la “Laudato sì’” a sostenerlo, ma ci sono anche le decisioni del Summit di Parigi sul cambiamento climatico. L’altra grande sfida è, invece, nostra e riguarda tutti noi: dobbiamo cambiare il nostro stile di vita e consumare molto meno. Sappiamo tutti che dobbiamo cambiare, ma sappiamo anche che è molto difficile farlo. Queste due sfide mostrano come l’uomo, i poveri e la natura siano vittime di questo modello di sviluppo, che consuma: un modello materialista centrato sul consumo. C’è ancora molto da fare!

D. – La “Laudato sì’” ha veramente messo in luce quanto la giustizia ambientale sia una giustizia sociale…

R. – E’ questo nuovo concetto di “ecologia umana” che Papa Francesco spinge: come persone, come uomini, siamo parte della natura e abbiamo bisogno della natura. Il modello di sviluppo attuale esclude, invece, la gente ed esclude la natura. Questa visione unificatrice è una visione molto importante e attraversa tutte le parti del mondo.

D. – Accennava anche alla riunione di Parigi sul cambiamento climatico: in quei giorni si parlava tanto di “Laudato sì’”…

R. – Questo pensiero, questa Enciclica ha veramente avuto un grande impatto, che viene riconosciuto anche dalla stessa Comunità internazionale. La delegazione della Santa Sede, durante i lavori del Summit, è stata invitata dalle delegazioni di altri Paesi - principalmente del Sud del mondo - per poter avere una opinione. Si vedeva come la “Laudato si’” avesse guidato veramente la riflessione di molte delegazioni… Siamo arrivati ad un accordo, che non è sicuramente perfetto ma che impegna ogni parte ed ogni Paese a fare qualcosa e ad avere piani per cambiare la situazione.

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Beatificata a Foggia la mistica Maria Celeste Crostarosa

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Beatificata stamani a Foggia, Maria Celeste Crostarosa, fondatrice dell’Ordine del SS. Redentore. La nuova Beata, napoletana di nascita, per la profondità dei suoi scritti spirituali, è considerata una delle più grandi mistiche italiane del Settecento. La Messa di Beatificazione è stata celebrata dal cardinale prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, Angelo Amato, rappresentante del Papa. Al porporato, Roberto Piermarini ha chiesto di tracciare un ritratto della Beata: 

R. - Il suo ritratto è ben riassunto nelle parole di Papa Francesco, che nella Lettera Apostolica la chiama "Fondatrice dell'Ordine del SS. Redentore, umile imitatrice di Cristo e testimone fedele del suo amore salvifico". La Beata Celeste Crostarosa fu forte e perseverante nel realizzare la propria vocazione in obbedienza alla volontà di Dio, che le si manifestò tra mille peripezie e ostacoli.

D. - Ci vuol dire qualcosa della sua vita?

R. - Rileggiamo qualche pagina della sua vita. Giulia - questo il nome di battesimo ­nacque a Napoli, il 31 ottobre 1696, decima di dodici figli, in una famiglia religiosa e facoltosa. Da piccola, spinta dalla curiosità di esplorare il mondo degli adulti, con la complicità delle domestiche, ebbe la vanità di vestire abiti alla moda e imparare canzoni profane. Più tardi, però, ebbe una tale ripugnanza per tutto ciò che, a undici anni, il giorno di San Giuseppe del 1707, si recò nella chiesa di San Tommaso per fare una confessione generale che la liberasse da questo "peso" di coscienza. Fu una vera conversione. Diventò più raccolta, apprese a fare l'orazione mentale e a meditare la Passione di Gesù. Colpita dalla ferita del costato provocata dalla lancia, si rifugiò spiritualmente nel Cuore sanguinante di Gesù. Nella Comunione eucaristica riceveva consolazioni e ispirazioni di vita santa. Anche la lettura della vita dei santi contribuiva a confermarla nel bene. Così, a poco a poco si fece strada in lei il proposito di donarsi interamente al Signore mediante la consacrazione religiosa.

D. - Come e dove realizzò questo suo progetto?

R. - Ci vollero parecchi anni per concretizzare questo suo progetto. Fu un lungo viaggio che, a tappe e fra mille ostacoli, la portò dalla Campania alla Puglia e precisamente a Foggia, dove rimase gli ultimi diciassette anni della sua vita dal 1738-1755. La scelta di Foggia fu un'ispirazione dall'alto: "Va' a Foggia — le disse la voce interiore — perché ivi voglio che si faccia la fondazione".

D. - Cosa può dirci al riguardo?

R. - A Foggia, in questo lembo settentrionale di terra pugliese, di antichissima tradizione cristiana, benedetta dalla millenaria presenza protettrice dell'Arcangelo San Michele e, in tempi più recenti, dalla figura di uno dei più grandi taumaturghi della Chiesa, San Pio da Pietrelcina, maturò la santità di Suor Celeste Crostarosa, donna straordinaria, forte e coraggiosa, la cui fama ha superato i secoli giungendo intatta fino ai nostri giorni: "A differenza di S. Alfonso, madre Celeste non ha avuto né tra i redentoristi né tra le redentoriste, chi racccogliesse, almeno dopo la sua morte, testimonianze sulla sua vita santa. Eppure tutto il popolo di Foggia, sin dal giorno della sua morte, 14 settembre 1755, la proclamò la santa Priora". Nella biografia di San Gerardo Maiella, che morì a Materdomini in provincia di Avellino il 16 ottobre 1755, un mese dopo Madre Celeste, si tramanda questa profezia. Il giorno 14 settembre 1755, Gerardo, rivolgendosi a un fratello laico disse: "Quest'oggi a Foggia è passata a godere Dio la madre suor Maria Celeste". Non si trattava di un vaniloquio ma della convinzione che la Madre era morta in concetto di santità.

D. - Ci può tracciare brevemente un ritratto della Beata Madre Celeste Crostarosa?

R. - A dire la verità, un ritratto avvincente della nostra Beata è stato tracciato esattamente venti anni fa da un grande Santo della nostra epoca, San Giovanni Paolo II. L'indimenticabile Pontefice, in occasione del terzo centenario della nascita di Madre Celeste (1696-1996), scrivendo alle Monache del Monastero del SS. Redentore, da lei fondato, riassunse in cinque caratteristiche la spiritualità che la nostra Beata ha vissuto per santificarsi e che ha lasciato in eredità alle sue figlie spirituali. Le elenco semplicemente: devozione al Verbo incarnato, che lo Spirito Santo attualizza incessantemente in noi, mutando la nostra vita nella sua; amore all'Eucaristia, fonte di ogni trasfigurazione spirituale; spirito di raccoglimento e di contemplazione, per lasciarsi irradiare e trasformare dalla grazia; carità fraterna e, infine, fedeltà e perseveranza nel bene. Le monache oggi siano consapevoli che la loro presenza e testimonianza sono un contributo prezioso per la missione della Chiesa nel mondo.

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Altre udienze e nomine di Papa Francesco

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Il Santo Padre Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

Nella Zambia, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Livingstone, presentata da mons. Raymond Mpezele, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato vescovo di Livingstone il rev.do padre Valentine Kalumba, O.M.I., finora Parroco di St. Theresa’s Parish e Vice-Delegato della Delegazione degli Oblati di Maria Immacolata nello Zambia.

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Tweet Papa: l'universo è un linguaggio dell'amore di Dio

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"L’universo è qualcosa di più che un problema scientifico, è un mistero gaudioso, è un linguaggio dell’amore di Dio per noi". E' il tweet pubblicato da Papa Francesco oggi sul suo account Twitter @Pontifex.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Cambio di direzione: all'udienza giubilare il Papa ricorda la conversione.

Come un fratello: l'inviato Maurizio Fontana sull'attesa del popolo armeno per la visita del Papa.

Marco Bellizi sul secondo turno del voto amministratvo domani in Italia.

Sotto il segno dell'etimasia: da Chania, Hyacinthe Destivelle alla vigilia del concilio.

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Oggi in Primo Piano



Le truppe irachene riconquistano Falluja e si preparano ad attaccare Mosul

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Le truppe governative irachene hanno ripreso il controllo del centro della città di Falluja, strappandola al sedicente Stato Islamico che la occupava da due anni e mezzo. Si combatte tuttavia ancora in diversi quartieri e si teme per la sorte di 50.000 persone all'interno dell'abitato e dei circa 40.000 sfollati. Intanto il ministro della  Difesa iracheno, Khaled al-Obeidi, ha rilanciato l’offensiva per liberare Mosul, seconda città più grande del Paese, dai miliziani dell’Is. Secondo l’esponente del governo, all'alba le forze irachene hanno iniziato la seconda fase dell'offensiva che mira a liberare tutta la provincia di Niniveh. Si segnala infine l’esplosione  di un’autobomba nella città di Khurmatu, costata la vita a due persone. Per un commento sulla reale situazione sul terreno, Marco Guerra ha intervistato l’analista di politica strategica Alessandro Politi: 

R. – Innanzitutto tutta Falluja ancora non è stata presa. Ormai si è diffusa l’idea dell’effetto annuncio: ancora, però, il 20% è in mano allo Stato Islamico… Come sempre, quindi, riprendere una città è molto difficile, complesso, doloroso e costoso. Senz’altro lo Stato Islamico – per fortuna! – sta cominciando a perdere posizioni: sta perdendo centri urbani e questo significa che perde anche il controllo sulle popolazioni delle zone che aveva occupato. E questo da un punto di vista politico, ma anche del morale delle truppe jihadiste, è importante. D’altro canto bisogna chiarirsi bene le idee tra coalizzati su quale futuro politico si vuole poi dare ai due Paesi che emergono da questa sanguinosissima guerra civile. E qui credo che ancora ci siano molte divisioni, spesso dettate da interessi di brevissimo periodo.

D. – A tal proposito Falluja è sempre stata una città a maggioranza sunnita, quindi ostile a Baghdad. Per pacificare l’Iraq quali errori non bisogna ripetere?

R. – Innanzitutto non bisogna ripetere l’errore di amplificare delle situazioni, come se la guerra fosse sunniti contro sciiti: in realtà lo Stato Islamico fa guerra tantissimo ai sunniti. Bisogna evitare delle narrative troppo semplificate, perché altrimenti si favorisce soltanto una serie di interessi internazionali che vogliono continuare a mantenere 'sotto schiaffo' l’Iraq e possibilmente anche la Siria.

D. – Il premier Abadi ora indica Mosul come prossimo obiettivo. Ma è realistico aspettarsi a breve questa operazione?

R. – E’ da marzo che ci sono delle iniziative, delle azioni, delle operazioni… Mosul è senz’altro un obiettivo difficile: se Falluja ha richiesto questo tempo, Mosul nei richiederà di più. E’ soltanto possibile aspettarsi qualcosa nel breve termine, se il morale delle truppe jihadiste crolla e se la popolazione si rivolta. Ci sono dei segni di timida opposizione a Mosul – e questo è stato naturalmente amplificato dai generali iracheni – ma dalla timida opposizione arrivare ad un movimento di guerriglia o di rivolta, ce ne passa. Quindi credo che se Mosul verrà riconquista in autunno sarebbe già un successo veramente notevole.

D. – Con il Califfato in difficoltà dobbiamo aspettarci i colpi di coda di gruppi jihadisti anche su obiettivi occidentali?

R. – Finora noi non abbiamo avuto combattenti dell’Is spediti apposta nei Paesi occidentali: abbiamo avuto persone di fede estrema, che si sono decisi a fare degli attentati, che però erano ispirati ma non erano assolutamente controllati né da Raqqa né da altre centrali territoriali del terrorismo jihadisti. Quindi sì è possibile, perché questo fa parte - purtroppo - della dinamica di una guerra: quindi quando c’è un insuccesso pesante si cerca di ricoprirlo con una vernice propagandistica da altre parti. Però bisogna sempre mantenere il senso della prospettiva. Ebbene, dobbiamo saper affrontare anche questo tipo di sfida senza esagerare quello che succede. Pur avendo rispetto per tutte le vite umane, bisogna saper tenere la linea del fronte esattamente come lo fanno gli iracheni e i siriani, che stanno combattendo contro questa invasione terroristica.

D. – Intanto sul fronte siriano ci si continua a dividere sul ruolo di Assad: Arabia Saudita e 51 diplomatici americani sono tornati a chiedere ad Obama una linea più dura con il Presidente siriano…

R. – E’ ovvio il senso di questa richiesta, ma è altrettanto chiaro che complicare una transizione politica, che poi porti all’uscita del regime passato, non serve ad accorciare i tempi della guerra. Questo non è quello che sta facendo l’Alto Rappresentante dell’Onu per la Siria, Staffan de Mistura; e questo non è quello che serve nemmeno ai siriani. Però è chiaro che nel gioco politico ognuno tenta di tirare l’acqua al suo mulino… Voler continuare una guerra per procura è una cosa che non fa che aggravare le situazioni della regione, a danno anche dei governi che le stanno promovendo,  perché aumentano l’instabilità sociale anche al loro interno.

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Creta, vigilia dell'apertura del Sinodo Panortodosso

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A Creta è vigilia dell’apertura del Sinodo panortodosso. Dieci sono le realtà ecclesiali che saranno presenti ai lavori di un’assise che torna a riunirsi dopo 1200 anni. Oltre ai Patriarcati di Costantinopoli e Alessandria, anche quelli di Gerusalemme e Romania, e le chiese autocefale di Cipro, Grecia, Albania, Polonia e di Cechia e Slovacchia. Quattro invece le Chiese assenti. Per Nikos Tzoitis, analista del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli e stretto collaboratore di Bartolomeo I, le difficoltà attuali non sono il riflesso di contrasti in materia teologica, come conferma al microfono di Francesca Sabatinelli

R. – Debolezza in questioni di fede, no. Sicuramente no, perché esiste una comunione di fede. Semplicemente la Chiesa ortodossa deve dimostrare che è finito il primo millennio, in cui era l’imperatore a decidere quando convocare un Consiglio ecumenico. Nel secondo millennio, le Chiese d’Oriente si sono divise e nel Duemila si sono ritrovate. Adesso, però, nel terzo millennio ci sono cose molto più importanti, come dare, ad esempio, una risposta alla crisi che oggi esiste nel mondo. Non è una questione – come sembrerebbe – dogmatica, ma una presa di posizione, l’espressione del proprio parere. Certo, questo rattrista, ma non preoccupa, perché purtroppo subentra la politica e non l’aspetto cristiano. Secondo me, manca un po’ di modestia. Oggi, infatti, come diceva Paolo, non bisogna sapere solo le lingue, perché è lo spirito quello che rinnova. Puoi sapere le lingue, essere colto, avere dei titoli, ma se ti manca la carità e la modestia sei assolutamente niente.

D. – Qual è veramente il problema principale, in questo momento, in seno alla Chiesa ortodossa, al di là appunto delle dispute diplomatiche?

R. – La Chiesa ortodossa è molto legata alla tradizione. Mi viene in mente in questo momento il grande teologo Joannis Zizioulas, che diceva che la tradizione è la verità e dovrebbe avere la dinamica della verità, e come tale ogni epoca dovrà formare la sua tradizione e non essere ingabbiata nelle tradizioni del passato. E’ questo il problema della Chiesa ortodossa: quello di dover uscire dalle sue fobie e dalle cose del passato. Non dimentichiamo che i grandi padri della Chiesa, allora unita, e che sono da tutti rispettati, avevano il coraggio di confrontarsi con il loro mondo contemporaneo. Così dovrebbe fare anche la Chiesa ortodossa.

D. – Da questo Sinodo uscirà anche un rinnovato rapporto con la Chiesa cattolica?

R. – Sicuramente. Io cito Bartolomeo, quando a Roma, nel 2004, alcuni giovani gli chiesero: “Santità, quando ci sarà finalmente questa unità tra cattolici e ortodossi?” E lui rispose: “E’ una strada ormai senza ritorno. Ricordatevi una cosa, però, e nel 2004 è stata molto profetica, sarete voi giovani che ci spingerete ad accelerare i tempi”. Preghiamo tutti, perché il mondo contemporaneo attende dalla Chiesa, anche con le sue diverse confessioni, un’unica risposta. Solo una Chiesa unita, secondo me, può dare una risposta ai problemi che ormai trafiggono un mondo globalizzato economicamente, ma non spiritualmente.

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Commento di don Gianvito Sanfilippo al Vangelo della Domenica XII T.O.

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Il Vangelo della 12.ma Domenica del Tempo ordinario presenta il brano in cui Gesù domanda ai discepoli chi la gente dica ehe Egli sia, per poi rivolgere diretamente la domanda ai Dodici:

"'Ma voi, chi dite che io sia?". Pietro rispose: 'Il Cristo di Dio'.

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo presbitero della diocesi di Roma: 

“Molte opinioni sull’identità di Gesù vengono espresse dalle folle, nel Vangelo di questa domenica: il Battista redivivo, Elia, o uno dei profeti. Non è facile, di fatto, percepire la Sua divinità; Pietro, per grazia di Dio, riconosce in Lui il Messia atteso da Israele, ma anch’egli con gli altri discepoli deve fare un passo ulteriore per riconoscere pienamente la missione del Cristo. Ogni giudeo, infatti, attendeva, in quel tempo, la liberazione politica del popolo eletto attraverso un Redentore potente. Ora, invece, il “Figlio dell’uomo”, pur essendo Dio, non tiene conto della sua dignità e onnipotenza desiderando, piuttosto, bere ardentemente il calice della Passione, sacrificandosi con umiltà sulla croce, per la salvezza di tutti. Egli non fa giustizia alla maniera umana, portando su di sé i peccati degli altri. La sorpresa, poi, cresce quando invita gli apostoli a fare altrettanto seguendo le sue orme: lo stesso stile di vita, rinnegando il proprio ego per portare la croce di ogni giorno. Non si tratta di una richiesta moralistica opprimente che non si è in grado di ottemperare, ma piuttosto di una buona notizia che rigenera: il Signore ha il potere di operare in ogni uomo questo miracolo effondendo lo Spirito, Cristo sa renderci capaci di soffrire per amore, e di obbedire a Dio invece che a noi stessi. Questa è vera libertà!

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria: Assad progetta una nuova Costituzione del tutto laica

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Il Presidente siriano Bashar Assad ha in programma una riforma della Costituzione per la nazione da lui guidata, e immagina un testo costituzionale dove dovrebbero venir meno i riferimenti alla Sharia come fonte principale della legislazione, così da eliminare ogni pretesto legale alle discriminazioni, anche striscianti, verso le minoranze religiose. Sono questi - riporta l'agenzia Fides - alcuni dei progetti per il futuro confidati dallo stesso Assad a una delegazione della Chiesa siro cattolica, composta dal Patriarca Ignace Youssif III accompagnato da sei vescovi, ricevuti dal Presidente siriano a Damasco lunedì scorso.

Togliere alla nuova costituzione il vincolo al Capo dello Stato di professare l'islam
Durante l'incontro, durato un'ora e mezza, Assad ha manifestato l'intenzione di togliere dalla nuova Costituzione, pienamente laica, anche la disposizione che vincola il Capo dello Stato siriano a professare la religione musulmana. Il leader siriano – riporta alla Fides chi era presente all'incontro – si è anche mostrato convinto che in pochi giorni la situazione di conflitto riesplosa ad Aleppo – e adesso congelata con una tregua di due giorni – sarà completamente risolta, con la creazione di un blocco militare intorno alla città che impedisca il rifornimento di armi ai sobborghi periferici in mano alle forze antagoniste, in gran parte di matrice islamista, ma senza attacchi contro i quartieri, per evitare nuove sofferenze ai civili.

Assad ha ribadito la matrice internazionale del conflitto
“Il Presidente Assad ha definito anche loro come 'nostri figli”, e ha molto insistito sulla matrice internazionale e non nazionale del conflitto siriano, sottolineando che adesso a parole tutti vogliono combattere i jihadisti dello Stato Islamico (Daesh), ma ancora distinguono nettamente tra costoro e i gruppi qaidisti come Jabhat al Nusra” riferisce all'agenzia Fides l'arcivescovo Jacques Behnan Hindo, alla guida della diocesi siro cattolica di di Hassakè-Nisibi, presente all'incontro.

Nell'incontro anche possibile spartizione della Siria su base etnica
​Nella conversazione tra il Presidente e i membri della delegazione ecclesiale, ci sono stati anche accenni alle voci di una possibile spartizione della Siria su base etnico-settaria, con la creazione di uno Stato curdo indipendente e di uno islamista, scenari che Assad ha sempre respinto come irricevibili. (G.V.)

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Iraq: cristiani si sono uniti al digiuno del Ramadan

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Ieri tanti cristiani iracheni, su invito del Patriarcato caldeo, si sono uniti per tutta la giornata al digiuno osservato dai loro concittadini musulmani durante il mese sacro del Ramadan. L'iniziativa, proposta ai propri fedeli e a tutti i cristiani alcuni giorni fa con un comunicato ufficiale da parte del Patriarcato caldeo, intendeva essere un segno di solidarietà con tutti i musulmani, per digiunare e pregare insieme chiedendo il dono della pace e la stabilità del Paese e dell'intera regione mediorientale.

Sako: digiuno e preghiera condivisi con gli altri, possono fare miracoli
“In questo modo” ribadisce all'agenzia Fides il Patriarca caldeo Louis Raphael Sako“ abbiamo solo voluto proporre un gesto cristiano: da cristiani, confidiamo che il digiuno e la preghiera, condivisi anche con gli altri, possono fare miracoli, mentre le armi e gli interventi militari ammazzano soltanto”. 

Le reazioni in Iraq
L'iniziativa ha suscitato reazioni che il Patriarca definisce “paradossali: da fuori, alcuni dei nostri cristiani che vivono all'estero si sono agitati e ci hanno addirittura criticato. Da tanti musulmani, invece, ho ricevuto attestazioni di commossa gratitudine. Giovedì una donna musulmana col velo è venuta in ufficio a ringraziarmi. Continuava a ripetere: vi siamo tutti molto grati, perchè siamo tutti iracheni”.

Contributo Caritas per i profughi di Falluja
Come è usuale nelle pratiche della tradizione spirituale cristiana, il digiuno e la preghiera si accompagnano a gesti di carità: “abbiamo offerto, tramite Caritas Iraq, un contributo di 50mila dollari a favore dei profughi di Falluja” riferisce a Fides il Primate della Chiesa caldea, “e ieri sera, in una parrocchia, abbiamo offerto simbolicamente a un gruppo di nostri concittadini musulmani l'Iftar, il pasto di rottura del digiuno”. (G.V.)

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Cile: ancora una chiesa incendiata nella regione mapuche

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Un incendio ha distrutto all'alba di ieri una chiesa situata nel comune di Collipulli, nella regione di Araucania. I fatti - riferisce l'agenzia Fides - sono molto gravi perché nella zona c’è stato uno scontro a fuoco dopo l'arrivo della polizia sul posto. Un agente di polizia è stato ferito al volto da schegge di vetro, mentre si trovava a bordo del veicolo della polizia, attaccato da sconosciuti, che stava recandosi sul luogo dell’incendio.

Piano di emergenza del governo nella regione
Il ministro dell'interno ha annunciato ieri sera che il governo sta elaborando un piano contro la violenza nella regione di Araucania per i prossimi giorni. "Quello che si è verificato la scorsa notte a Collipulli è un fatto deplorabile e grave, non solo per l'incendio, ma anche perché la polizia è stata attaccata", afferma una nota , “considerando che queste azioni violente sono atti terroristici a cui bisogna reagire”.

Questi atti dolosi colpiscono tutta la comunità mapuche
Gli incendi di chiese nella regione sono riconducibili allo stesso gruppo: anche a Collipulli sono state trovate scritte a favore della causa Mapuche, fatto che si è ripetuto ultimamente in diverse parti della regione. Il parroco, padre Enrique Catalan, ha detto che il fuoco ha distrutto la cappella di San Jose e i locali della sede sociale dove si riuniva la comunità, "dispiace molto perché questo fatto colpisce tutta la comunità", ha commentato. Ormai sono 14 gli incendi nella Araucania e i vescovi hanno chiesto una risposta politica adeguata per la zona. (C.E.)

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Argentina: risposta della Chiesa al flagello della droga

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L'area della Pastorale Sociale e Laicale, una delle tredici in cui si è diviso il lavoro del XI Congresso Eucaristico Nazionale che si svolge nella città argentina di San Miguel de Tucuman, ha offerto ieri una conferenza per riflettere sulla piaga della droga e il traffico di droga, la missione dei laici e l'insegnamento di Papa Francesco.

La risposta della Chiesa a tossicodipendenza e narcotraffico
L'argomento è stato guidato dal presidente della Commissione episcopale per la Pastorale Sociale (Cepas), mons. Jorge Lozano, e dal presidente della Commissione nazionale di Giustizia e Pace (Cnjyp), mons. Emilio Inzaurraga. Mons. Lozano nel suo intervento ha sviluppato tre punti: la questione socio-culturale della droga, reti di traffico di droga e la risposta che la Chiesa dà a questo problema.

75mila fedeli in apertura del Congresso Eucaristico
Il Congresso che si svolge dal giovedì scorso fino a domani, domenica 19 giugno, è diventato un momento d'incontro per la formazione, riflessione ed impegno cristiano della comunità cattolica nel Paese: solo all'apertura c'erano circa 75 mila fedeli (secondo quanto informano gli organizzatori), e alla celebrazione eucaristica d'inaugurazione hanno partecipato 4 cardinali, più di 50 vescovi e circa 200 sacerdoti. (C.E.)

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Sri Lanka: festa per il 150° del primo giornale cattolico singalese

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Fedeli cattolici e di altre religioni hanno festeggiato il 150mo anniversario del Gnarath Pradeepaya (Lanterna di saggezza), il primo giornale cattolico in lingua singalese dello Sri Lanka e tra i giornali più antichi di tutta l’Asia. Partito come semplice notiziario in quattro pagine su eventi della Chiesa cattolica, oggi il giornale è composto da 24 pagine a colori ed viene stampato in 30mila copie. La sua diffusione però - riferisce l'agenzia AsiaNews - è molto più capillare, dato che le famiglie srilankesi sono numerose, con 4 o 6 figli. Il giornale è stato fondato il 7 giugno 1866 da un laico, John Fernando, e ha iniziato le pubblicazioni con una redazione di 8 laici e un sacerdote. Dopo circa 20 anni, l’arcidiocesi di Colombo ne ha acquistato la proprietà.

Nell'ultimo periodo raddoppiata la distribuzione 
Da 150 anni ad oggi, le copie vengono vendute ogni venerdì nelle parrocchie o nelle edicole di tutto il Paese. Nell’ultimo periodo la distribuzione è aumentata circa della metà, a testimonianza del grande interesse per la Chiesa universale. Reka Denipitiya, che vende il giornale nella parrocchia di santa Maria a Jaela (periferia a nord di Colombo), dice ad AsiaNews: “Quando io sono arrivata lo scorso anno, si vendevano 195 copie a settimana. Oggi invece ne vendo 300. Questo vuol dire che i lettori apprezzano il contenuto delle notizie”.

Tutte le notizie del giornale lette alla luce della fede
Il giornale pubblica eventi e fatti su Chiesa, economia, politica, questioni sociali, ma con un taglio editoriale ben preciso: le notizie sono valutate con una prospettiva di fede. Tharanga Nonis, un imprenditore cattolico, afferma: “Ci sono molti articoli e notizie legati alla vita umana, ai temi attuali e al Papa. Ed è questo che spinge le persone a comprare il Gnarath Pradeepaya”.

Tra le testimonianze dei lettori anche conversioni dal buddismo
Sunny Fernando, che distribuisce il giornale da 45 anni a Moratuwa (a sud della capitale), sostiene: “Il giornale costava meno di 20 centesimi ed è stato di grande utilità per mantenere le persone informate ed educare i cattolici, quando non esistevano i moderni mezzi di comunicazione”. "Il giornale non è stato solo un semplice divulgatore di decessi o matrimoni – dice Sunny Fernando – ma ha suscitato conversioni dal buddismo ed ha fornito anche una chiave di lettura diversa” in un Paese a maggioranza buddista. Su un totale di 21 milioni di abitanti, il 70% della popolazione professa il buddismo, il 10% è islamico, il 12% indù e il 7% cristiano. (M.M.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 170

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.