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Sommario del 19/06/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: noi stiamo coi rifugiati. L'augurio al Concilio Panortodosso

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“Vogliamo stare con loro”. All’Angelus, il Papa ha fatto proprio il motto dell’Onu per la Giornata mondiale del rifugiato di domani per rilanciare nei loro riguardi l’impegno dell’accoglienza. Francesco ha spronato i cristiani ad assumere ogni giorno la “croce del proprio dovere”, della “disponibilità” verso gli ultimi, e ha concluso invitando alla preghiera per le Chiese ortodosse riunite in uno storico Concilio a Creta. Il servizio di Alessandro De Carolis

Se si è capaci di dare la risposta che Pietro diede a Gesù – e i cristiani, afferma Papa Francesco, “sono chiamati” a rispondere così – si accetta di caricarsi sulle spalle la “croce del proprio dovere” e della solidarietà “con i poveri”.

Vogliamo stare con i rifugiati
La riflessione che il Papa sviluppa prima di pregare l’Angelus diviene quasi la premessa spirituale dell’appello che segue, l’ennesimo per Francesco, che non perde occasione di radicare nella coscienza del mondo, soprattutto quello di spalle e indifferente, che i rifugiati non sono numeri di una massa da scansare ma “carne di Cristo” da accogliere e aiutare, come invita a fare il motto scelto dall’Onu per la Giornata mondiale del Rifugiato – “Noi stiamo dalla parte di chi è costretto a fuggire” – che Francesco cita alla vigilia dell’evento:

“I rifugiati sono persone come tutti, ma alle quali la guerra ha tolto casa, lavoro, parenti, amici. Le loro storie e i loro volti ci chiamano a rinnovare l’impegno per costruire la pace nella giustizia. Per questo vogliamo stare con loro: incontrarli, accoglierli, ascoltarli, per diventare insieme artigiani di pace secondo la volontà di Dio”.

Il vuoto e la risposta
Prima dell’appello, Francesco aveva fatto rimbalzare tra la folla la domanda di Gesù ai discepoli, cuore della liturgia domenicale: “Voi chi dite che io sia?”. Il Papa la personalizza indirizzandola a chi lo ascolta: “Chi è Gesù per ciascuno di noi?”. La risposta della fede, prosegue, non può che essere quella di Pietro, diretta a un mondo che ha “più che mai – ripete – bisogno di Cristo, della sua salvezza, del suo amore misericordioso”:

“Molte persone avvertono un vuoto attorno a sé e dentro di sé - forse alcune volte anche noi -; altre vivono nell’inquietudine e nell’insicurezza a causa della precarietà e dei conflitti. Tutti abbiamo bisogno di risposte adeguate ai nostri profondi interrogativi, ai nostri interrogativi concreti, esistenziali (...) Gesù conosce il cuore dell’uomo come nessun’altro. Per questo lo può sanare, donandogli vita e consolazione”.

Croce: servizio non ornamento
Dopo la domanda ai discepoli, Gesù indica loro, e alla Chiesa ogni giorno, la responsabilità che comporta il riconoscere in Lui il Figlio di Dio, quella della croce da prendere, ciascuno la propria:

“Non si tratta di una croce ornamentale, o una croce ideologica, ma è la croce della vita, è la croce del proprio dovere, la croce del sacrificarsi per gli altri con amore – per i genitori, per i figli, per la famiglia, per gli amici, anche per i nemici – la croce della disponibilità ad essere solidali con i poveri, a impegnarsi per la giustizia e la pace”.

C’è chi non rinnega
Certo, osserva a braccio Francesco, nell’assumere la croce “sempre si perde qualcosa”. E tuttavia…

“…è un perdere, per guadagnare. E ricordiamo tutti i nostri fratelli che ancora oggi mettono in pratica queste parole di Gesù, offrendo il loro tempo, il loro lavoro, la loro fatica e perfino la loro vita per non rinnegare la loro fede in Cristo”.

Preghiere per il Concilio Panortodosso
Dopo l’Angelus, il Papa ha ricordato la Beatificazione di ieri, a Foggia, della mistica del ‘700, Maria Celeste Crostarosa, quindi dalla finestra sulla piazza si è levato un augurio particolare rivolto alle Chiese che aprono a Creta il Concilio Panortodosso:

“Uniamoci alla preghiera dei nostri fratelli ortodossi, invocando lo Spirito Santo perché assista con i suoi doni i Patriarchi, gli Arcivescovi e i Vescovi riuniti in Concilio. E tutti assieme preghiamo la Madonna per tutti i nostri fratelli ortodossi”.

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Villa Nazareth. Papa: se la fede non va in crisi è "truccata"

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Il valore della testimonianza del Vangelo da parte di chi sa sporcarsi le mani, il martirio dei cristiani in Medio Oriente e quello dell’onestà nel “paradiso delle tangenti”, il dubbio che sempre accompagna la fede. Questi alcuni dei tanti temi al centro della lunga riflessione del Papa offerta alla comunità di Villa Nazareth in occasione del 70.mo dalla sua fondazione. La struttura creata nel 1946 per accogliere orfani e figli di famiglie numerose, oggi ospita studenti meritevoli ma in situazioni di disagio economico. Francesco ha pregato con la comunità e risposto a braccio ad alcune domande. Paolo Ondarza

Prima i sorrisi e gli abbracci dei bambini poi il lungo applauso e il dialogo con l’intera comunità di Villa Nazareth hanno caratterizzato il pomeriggio del Papa. La testimonianza cristiana è stata al centro delle riflessioni di Francesco che, commentando il Vangelo, ha invitato tutti ad avere la compassione del Buon samaritano che di fronte all’indigente si sporca le mani e a riconoscere le cattive testimonianze del sacerdote e del dottore della legge:

La testimonianza di chi si "sporca le mani"
“E che il Signore ci liberi dai briganti – ce ne sono tanti – ci liberi dai sacerdoti di fretta o che vanno in fretta, sempre, non hanno tempo di ascoltare, di vedere, devono fare le loro cose… Ci liberi dai dottori che vogliono presentare la fede di Gesù Cristo con una rigidità matematica e ci insegni a fermarci e ci insegni quella saggezza del Vangelo: sporcarsi le mani. Che il Signore ci dia questa grazia”.

La testimonianza dello schiaffo
Rispondendo a braccio a sette domande il Papa ha indicato il valore della testimonianza dello schiaffo che tanti giovani cercano:

“Lo schiaffo è una bella testimonianza quotidiana. Siamo uomini e donne parcheggiati nella vita”. Come possiamo ridestare la grandezza e il coraggio di scelte di ampio respiro, di slanci del cuore per affrontare sfide educative e affettive? Chi non rischia non cammina. Ma se sbaglio? Ma, benedetto il Signore! Sbaglierai di più se tu rimani fermo, ferma: quello è lo sbaglio, lo sbaglio brutto, la chiusura. Rischia. E’ molto triste vedere vite parcheggiate, è molto triste vedere persone che sembrano più mummie da museo che esseri viventi".

Il martirio, mistero della fede. No a riduzionismi sociologici
Il coraggio della fede autentica e la testimonianza credibile del Cristo Risorto resa dal martirio dei cristiani copti egiziani sgozzati sulle spiagge della Libia è stato mostrato come esempio dal Papa:

“A me non piace, e voglio dirlo chiaramente, a me non piace quando si parla di un genocidio dei cristiani, per esempio nel Medio Oriente: questo è un riduzionismo, è un riduzionismo. La verità è una persecuzione che porta i cristiani alla fedeltà, alla coerenza nella propria fede. Non facciamo un riduzionismo sociologico di quello che è un mistero della fede: il martirio”.

Il martirio quotidiano dell'onestà nel "paradiso delle tangenti"
Ma il martirio cruento non è l’unico modo di testimoniare Cristo, ha constatato Francesco: c’è il martirio silenzioso di tutti i giorni, come il martirio dell’onestà in un mondo divenuto “paradiso delle tangenti”, o “il martirio del silenzio davanti alla tentazione delle chiacchiere”:

“C’è il martirio di tutti i giorni, quando tu vai… Il martirio dell’onestà, il martirio della pazienza… Il martirio della pazienza: nell’educazione dei figli, il martirio della fedeltà all’amore”.

Se la fede non entra in crisi, al cristiano manca qualcosa
La coerenza cristiana è riconoscersi peccatori, guariti da Cristo o in via di guarigione: è il contrario del pavoneggiarsi e credersi perfetto, ha detto Francesco. In tal senso, il Papa ha ammesso di aver provato da giovane e di provare ancora oggi il dubbio e lo scoraggiamento nella fede:

“Un cristiano che non abbia sentito questo, alcune volte, per cui la fede non sia entrata in crisi, gli manca qualcosa: è un cristiano che si accontenta con un po’ di mondanità e così va avanti nella vita”.

Gratuità, linguaggio di Dio
La gratuità, linguaggio di Dio: siamo chiamati ad apprenderlo in un mondo dominato da una logica utilitaristica del “do ut des” è stato oggetto di un'altra riflessione del Papa. L’individualismo e l’edonismo portano a gravi ingiustizie umane:

“Oggi, dobbiamo fare tanto lavoro per distinguere i santi da quelli che si truccano per apparire come santi. Tanti cristiani truccati che non sono cristiani, perché non sanno di gratuità. Vivono altrimenti”.

Cultura del dio denaro uccide l'uomo
Da Francesco quindi la denuncia del lavoro schiavo, prodotto da un economia che oggi uccide ponendo al centro il dio denaro. L’ingiustizia sociale è immorale:

“Mi dà indignazione, mi fa male, quando – per esempio, una cosa che è di attualità – ti vengono a battezzare un bambino e ti portano uno che… “Ma lei non è sposato in chiesa? No, no, lei non può essere padrino, no. No perché il matrimonio, sposare in chiesa, è importante…”. Ma ti portano un altro che è un truffatore, uno sfruttatore di gente, un trafficante di bambini, ma è un bravo cattolico, eh?, dà elemosina alla Chiesa… “Ah, sì, tu puoi essere padrino”. Ma noi abbiamo capovolto i valori!”.  

Accoglienza è porta della strada cristiana
Saremo chiamati a rendere conto di come abbiamo impiegato i talenti, doni ricevuti da Dio. Uno dei talenti più grandi è l’accoglienza in una civiltà dalle porte chiuse. L’accoglienza è la porta della strada cristiana, ha detto il Papa:

“Una Chiesa a porte chiuse significa che quella comunità cristiana ha il cuore chiuso, è rinchiusa in se stessa. E noi dobbiamo riprendere il senso dell’accoglienza”.

Meglio non sposarsi se non si riconosce il mistero sacramentale del matrimonio
Sul valore dell’impegno “per sempre”  degli sposi cristiani Francesco ha notato come nell’attuale cultura del provvisorio molte volte si ignori l’importanza dell’indissolubilità del matrimonio. La Chiesa deve lavorare molto nella preparazione dei fidanzati perché non sia vissuto solo come un fatto sociale:

“E’ meglio non sposarsi, non ricevere il Sacramento se tu non sei sicuro del fatto che lì c’è un mistero sacramentale, c’è lì l’abbraccio proprio di Cristo con la Chiesa e non sei ben preparato”.

La carezza, linguaggio sacro degli sposi cristiani
Agli sposi il consiglio del Papa, non concludete una giornata con un litigio:

“Non dimenticatevi di accarezzarvi: la carezza è uno dei linguaggi più sacri nel matrimonio. Le carezze: ti voglio tanto, ti amo… le carezze: matrimoni che sono capaci di accarezzarsi, di volersi con il corpo, con tutto, sempre… Le carezze… Credo che con questo si potrà mantenere quella forza del Sacramento, perché anche il Signore accarezza con tanta tenerezza la sua sposa, la Chiesa”.

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Armenia, l'attesa del Papa nelle parole di un religioso

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Venerdì prossimo, Papa Francesco decollerà alla volta dell'Armenia dove si tratterrà per tre giorni, fino al 26 giugno. Il Paese caucasico abbracciò il Vangelo già nel 301, come ricorda il motto del viaggio apostolico "Visita al primo Paese cristiano''. Per la comunità armeno-cattolica si avvicina il momento dell'atteso abbraccio a Francesco, come riferisce in questo servizio Davide Dionisi: 

E’ stata la prima “Croce Rossa” del Caucaso, quella dei Camilliani di Ashotsk, un complesso abitativo a duemila metri dove opera il Redemptoris Mater, il presidio sanitario voluto da Giovanni Paolo II e dalla Caritas Italiana per assistere i più poveri dopo il terremoto del 1998. A guidare la struttura, fin dalla sua nascita, padre Mario Cuccarollo, che ci racconta la storia dell’ospedale e l’attesa per la visita di Papa Francesco. Con una speranza. Che compia uno dei suoi fuori programma per andare ad abbracciare i suoi pazienti.

“L’ospedale è stato costruito dalla Caritas italiana, su richiesta di Giovanni Paolo II. E’ un ospedale che ha praticamente rinnovato il servizio sanitario in tutta la zona dell’ex regione di Ashotsk, e comprende 21 ambulatori sul territorio. E’ un prefabbricato che fa parte di una zona abitata da circa 15 mila persone, ma riceve pazienti in pratica da quasi tutta l’Armenia e molti dalla vicina Georgia. L’attesa del Papa è certamente spasmodica. Viene ricevuto come la persona più importante al mondo, quindi l’attesa è molto grande”.

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Oggi in Primo Piano



Brexit, Cameron: "Resto qualunque sia il risultato del voto"

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A quattro giorni dal referendum sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, ricomincia la campagna elettorale, sospesa dopo l’omicidio della deputata laburista, Jo Cox. E’ testa a testa nei sondaggi, mentre il premier Cameron afferma: “Resto qualunque sia il risultato del voto”. Il servizio di Michele Raviart

Il Regno Unito si trova davanti ad una “scelta esistenziale” nel referendum sulla "Brexit", dalla quale non si potrà “tornare indietro”. Il premier Cameron interviene al Sunday Telegraph e ribadisce che lasciare l’Unione Europea sarebbe un “grande errore” e porterebbe a una “debilitante incertezza” per dieci anni. Il leader inglese spiega poi al Times che rimarrà anche in caso di uscita dall’Ue, perché si ritiene il più adatto a negoziare con le istituzioni europee grazie alle sue “solide relazioni” con Bruxelles. Intanto, mentre il ministro della Giustizia, Micheal Gove, sostiene che la “Brexit” non causerà una recessione economica, nuovi sondaggi danno in leggero vantaggio i "sì" all’Unione Europea. L’istituto Survation, ribaltando un precedente sondaggio, dà gli europeisti in vantaggio di tre punti su chi vuole lasciare Bruxelles. Un dato che, secondo gli analisti, sarebbe dovuto più alla preoccupazione per gli impatti economici dell’uscita che non per le reazioni all’attentato alla deputata laburista Cox. Per Sky, che fa la media di tutti i sondaggi, il “no” all’Europa sarebbe invece avanti dell’1%. Margini troppo esigui per una previsione affidabile.

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La sfida del Pime in Camerun tra miseria e Boko Haram

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La diocesi di Yagoua (Yaguà), si estende, grande quanto la Lombardia, nell’estremo nord del Camerun. Un’area che s’insinua tra Nigeria e Ciad, in una zona diventata ad alto rischio per i frequenti attacchi ad opera del gruppo terrorista islamico di Boko Haram. Ed è qui che operano da tempo la Caritas e una rete di missionari, in particolare a beneficio delle decine di migliaia di rifugiati e sfollati. Lucas Duran ha raggiunto fratel Fabio Mussi, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime), coordinatore per la Caritas nella diocesi di Yagoua: 

R. – Da gennaio 2014, sono iniziati gli attacchi da parte di Boko Haram e, gradulamente, sono aumentati. C’è stata poi un’evoluzione verso degli attacchi terroristici da parte di kamikaze, soprattutto di bambini o bambine che si facevano saltare in aria con dell’esplosivo.

D. – Anche i missionari della diocesi sono obbligati a muoversi con una scorta armata?

R. – Non tutti i missionari: solo quelli più esposti per certi tipi di impegni o di situazioni in cui vivono sono obbligati ad avere una scorta di miltari al seguito. A seconda dei posti in cui vado, ho più o meno dai due agli otto militari di scorta. Anche questo rallenta un po’ le attività e, a lungo termine, pesa anche psicologicamente sul nostro lavoro.

D. – Da dove provengono gli appartenenti ai nuclei di Boko Haram che operano nel nord del Camerun?

R. – Inizialmente, erano persone nigeriane. Attualmente non è più così: ci sono persone camerunesi che sono della stessa etnia che è al di là della frontiera, l’etnia Kanuri. Quindi, non è più un problema solo nigeriano, ma è un problema della sottoregione: una realtà come questa non avrebbe potuto svilupparsi così tanto se non avesse trovato degli appoggi concreti anche nella nostra regione. Quando i giovani non riescono a trovare lavoro, non hanno prospettive, si lasciano prendere da questi abbagli, da gente che promette loro un salario. E quando una persona ha in mano un’arma, dopo aver subito in passato le angherie da parte di chi aveva le armi, cerca adesso di imporle agli altri.

D. – Quali sono gli ambiti più importanti e anche più urgenti nei quali vi trovate ad operare?

R. – Penso sia meglio partire dagli ambiti più urgenti, che sono i problemi legati all’emergenza umanitaria relativa ai rifugiati nigeriani e agli sfollati camerunesi. In totale, all’apice della crisi, abbiamo avuto circa 90 mila tra rifugiati e sfollati. Logicamente è un grosso numero, che è stato poi suddiviso tra le due categorie: quella dei rifugiati e degli sfollati. Lo Stato del Camerun ha infatti deciso di avere un solo campo per rifugiati a Minawao, che accoglie attualmente più o meno 50 mila persone: più o meno perché ogni settimana il numero esatto cambia. Gli sfollati, invece, sono attualmente dai 40 ai 50 mila. Non sono delle statistiche molto precise: delle volte ci sono gruppi che rientrano nei loro villaggi e altri che, a loro volta, diventano sfollati a causa degli attacchi sulla frontiera. E tutto ciò ci riguarda direttamente visto che ci troviamo sulle due frontiere, del Ciad e della Nigerial, e abbiamo quindi anche un problema di passaggio di persone da uno Stato all’altro. Fino a due anni fa, era più  frequente uno spostamento di persone che andavano dal Ciad o dal Camerun verso la Nigeria. Attualmente, è esattamente il contrario: ci sono delle persone che ritornano. Quindi i “ritornati” – come li chiamiamo noi – del Camerun o del Chad, che rientrano nei loro Paesi lasciando un po’ tutto e hanno dei grandi problemi di installazione, e in più i rifugiati nigeriani. Con le nostre forze non possiamo occuparci di tutto. Dobbiamo quindi occuparci solo di alcune categorie, quelle più a rischio come le donne incinte, le persone ammalate o anziane e i bambini sotto i dieci anni, perché sono quelli più a rischio. Finora, nei momenti più critici, siamo riusciti a occuparci da 10 fino a 12 mila persone di queste categorie.

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Solidarietà: aperta a Roma la Villetta della Misericordia

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A Roma, nuova iniziativa di solidarietà. Ha aperto la Villetta della Misericordia, un Centro di accoglienza per senza fissa dimora realizzato nel Campus dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Nella palazzina sono previsti 22 posti letto per adulti e giovani che fino a poco tempo fa passavano le loro giornate nei locali dell’Ospedale Gemelli. Gianmarco Murroni ne ha parlato con Giovanni Raimondi, presidente della Fondazione Policlinico Universitario Gemelli: 

R. – La Villetta della Misericordia è un edifico all’interno del Campus dell’Università Cattolica del Policlinico Gemelli di Roma. Era un edificio abbandonato e la Fondazione, in  accordo con l’Università e l’Istituto Toniolo, che ne è il proprietario, ha deciso di ristrutturarlo per destinarlo alle persone senza fissa dimora, che vivono ormai da tanto tempo nei locali dell’ospedale, sia durante la stagione invernale che durante la stagione estiva, e che non hanno quindi una situazione abitativa stabile. In questa ristrutturazione, che è stata molto ben fatta e lineare, si sono creati 22 posti letto. Le persone saranno seguite nella gestione quotidiana dagli amici della Comunità di Sant’Egidio, che già seguivano le situazioni di queste persone nella struttura dell’ospedale. Si è creato, dunque, un punto stabile dove fare raccolta, dare una sistemazione più che dignitosa e consentire la consumazione dei pasti. Direi, quindi, che sia una bella struttura, perché c’è anche un giardino fuori, dove verrà fatto un orto. Insomma, una condizione abitativa normale.

D. – Come verranno aiutate concretamente queste persone?

R. – Concretamente, queste persone arriveranno alla Villetta nel pomeriggio, a partire dalle ore 18. Potranno quindi consumare i pasti, potranno evidentemente dormire e, la mattina, tra le 9 e le 10, usciranno per condurre la loro vita. L’aiuto della Comunità di Sant’Egidio, evidentemente, è anche quello di accompagnare queste persone, cercando di trovare occupazioni nel corso della giornata e favorire l’inserimento stabile. La Villetta è un luogo abitativo ma con attorno un lavoro di accompagnamento di queste persone, per consentire loro di trovare degli elementi di socialità, di inserimento, dove possibile, in attività lavorative, in modo da riguadagnare una condizione di normalità.

D. – La Villetta della Misericordia è il primo centro di accoglienza a Roma all’interno di un’area universitaria e ospedaliera. Ci saranno altre iniziative simili?

R. – Io mi auguro che altre realtà come la nostra seguano questo esempio. L’ospedale, soprattutto quando è di grandi dimensioni come il Gemelli, inevitabilmente ha al suo interno persone che trovano un riparo, se pensiamo alla stagione invernale, o quantomeno un luogo caldo. Evidentemente, questo crea anche qualche potenziale problema. L’idea, dunque, di avere un luogo dedicato, un luogo confortevole che dia una maggiore normalità di vita, è un’idea molto positiva e quindi mi auguro che altri possano seguirla.

D. – Dare supporto ai senzatetto è anche aiutarli nel reinserimento sociale?

R. – Sì, credo che questo sia l’obiettivo. Il primo obiettivo è dare supporto, perché le condizioni di vita, evidentemente, sulle panchine, nei corridoi dell’ospedale, non sono certo dignitose. Il primo obiettivo fondamentale, dunque, è dare supporto. Il secondo è quello di accompagnarli in questa casa e quindi ci sarà una persona che stabilmente sarà lì a coordinare le attività e la vita comune di queste persone. Il terzo è sicuramente cercare, dove possibile, dove ci siano le condizioni, dove ci sia la possibilità, di favorire un reinserimento di queste persone. Ma il primo obiettivo è assicurare una condizione di vita dignitosa.

D. – Papa Francesco rivolgendosi ai fedeli ha detto: “Cosa posso lasciare come ricordo vivente per quest’Anno della Misericordia?” Ecco, questo progetto è una delle risposte alla domanda del Pontefice?

R. – Noi abbiamo cercato di lasciarci colpire da questa sollecitazione di grande concretezza, nella quale mettere qualcosa che in effetti dimostri che l’Anno della Misericordia ci ha toccato nell’intimo, ci ha toccato nella sensibilità più profonda e quindi, inevitabilmente, ci porta a operare, a fare delle cose. Mi sembra un richiamo davvero grandissimo al quale noi abbiamo cercato umilmente di rispondere con questo piccolo gesto.

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Cantieri della solidarietà: l'impegno di Caritas Ambrosiana

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Sono giunti alla 20.ma edizione i "Cantieri della solidarietà", i campi estivi della Caritas Ambrosiana organizzati in vari Paesi del mondo per creare spazi di incontro e riflessione a favore dei giovani, coinvolti in numerose attività tra condivisione e cooperazione sociale. Gioia Tagliente ha intervistato Sergio Malacrida, responsabile Caritas Ambrosiana Asia ed Est Europa: 

R. – Quest’anno, con Caritas ambrosiana, partiranno dieci campi – nove all’estero e uno in Italia – che coinvolgeranno 90 giovani, prevalentemente donne. Si conferma l’impegno delle donne: l’80% di questi giovani, infatti, sono donne e il 20% uomini, tra i 18 e i 30 anni. Abbiamo dei campi storici, dove collaboriamo con i nostri partner locali, e altri nuovi, come ad esempio in Marocco e anche in Italia, dove proponiamo quest’anno ai giovani di incontrare le marginalità, le povertà, attraverso i servizi promossi da Caritas ambrosiana.

D. – In quali parti del mondo si trovano i Cantieri e quanti volontari avete reclutato quest’anno?

R. – I Cantieri si svolgeranno in Repubblica Moldova, in Georgia, in Marocco, in Libano, in Kenya, in Nicaragua, ad Haiti, in Bolivia e, appunto, in Italia. Saranno 90 i giovani che partiranno per quest’esperienza.

D. – Quali sono le attività proposte nei Cantieri? I giovani affrontano i temi di attualità sociale?

R. – Gli ambiti di intervento sono l’ambito sociale, l’ambito formativo, comunicativo e culturale. Non c’è un’esperienza di campo di lavoro determinata solo dal fare, ma dall’ascoltare, dall’incontrare e dal condividere trasversalmente in tutti i Paesi. Quest’anno, ci concentreremo in particolare sul tema delle migrazioni, dei profughi, e faremo lavorare tutti i giovani, in tutto il mondo, su questo tema a partire da approfondimenti sui conflitti, sui cambiamenti climatici, sulle povertà che sono causa di migrazioni. I giovani partecipano con grande entusiasmo a questa esperienza. Il nostro obiettivo è quello di farli riflettere affinché al ritorno non ci sia solo nostalgia, ma ci sia desiderio di impegno sul proprio territorio. E questo riscontro spesso lo abbiamo grazie, ad esempio, ad altri progetti che promuoviamo, come il Servizio civile in Italia e all’estero, come gli incontri nelle scuole, nelle parrocchie sull’educazione alla mondialità o come altre proposte che facciamo sul nostro territorio, aperte a tutta la cittadinanza.

D. – Quali sono gli obiettivi raggiunti? Ci sono prossimi “goal” in vista…

R. – E’ molto interessante che l’esperienza dei Cantieri, che appunto dura da 20 anni, abbia prodotto in alcuni dei Paesi dove siamo presenti da tantissimi anni dei cantieri locali. Le nostre esperienze di servizio si svolgono prevalentemente in collaborazione con giovani volontari e non sono esperienze che si chiudono durante l’estate, ma che hanno una continuità durante l’anno. Quest’anno in alcuni Paesi – penso ad esempio alla Moldova, ma anche alla Georgia – ci sono dei giovani che si sono organizzati per portare nei loro villaggi la stessa esperienza di incontro. Questo ci sembra un risultato assolutamente interessante. In tutti i Paesi, quindi, manteniamo delle relazioni con i partner locali. In alcuni casi, i luoghi rimangono gli stessi, ma in altri ci spostiamo nelle comunità, nei territori dove i nostri partner lavorano. Manteniamo quindi la relazione con il partner, ma ci spostiamo all’interno del Paese.

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"Laudato sì": le riflessioni del Fai sull'Enciclica del Papa

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In occasione del primo anniversario della pubblicazione dell’Enciclica di Papa Francesco “Laudato si”, il Fondo ambiente Italiano (Fai) ha presentato a Milano una raccolta di riflessioni di artisti e intellettuali relative al testo del Papa, curate da Pasquale Chessa. Molti i punti di vista espressi nel volumetto, che in copertina riporta l’immagine di un antico affresco che ritrae San Francesco. Ma quale il motivo di questa iniziativa? Adriana Masotti lo ha chiesto ad Andrea Carandini, presidente Fai, autore di uno dei contributi pubblicati: 

R. – Il Fai non ha né una religione né una politica propria: il Fai va sui problemi e sulle cose concrete. In una situazione mondiale così allarmante, dal punto di vista ecologico, l’Enciclica del Papa ci ha sorpreso molto favorevolmente, perché al di là di quelle che possono essere delle inflessioni diverse nel percepire i fenomeni del mondo, lì c’è un elemento che ci ha fortemente impressionato, che è quello di vedere tutto unito: la società, la terra e la cultura. Spesso, infatti, gli ecologisti ragionano solo sulla natura e gli uomini di cultura, spesso, si interessano poco di ecologia, poi c’è il problema sociale del mondo… Quindi, il Fai ha aperto un dibattito sul proprio sito e poi ha trasformato questi interventi scelti in un “librino”, che abbiamo presentato. Noi vogliamo fare di tutto, perché questa Enciclica venga letta, venga discussa. Questo “librino”, dunque, verrà distribuito gratuitamente a tutti i nostri volontari, proprio per diffondere questo documento fondamentale della nostra epoca e farlo proprio.

D. – E’ questa visione integrale dell‘ecologia, l’aspetto rivoluzionario sottolineato da molti contributi, una visione che richiede un grande cambiamento…

R. – Io, in questi giorni, ho voluto ripercorrere un pochino la storia della nostra specie e sono risalito all’Homo Sapiens. La cosa molto impressionante è che quando l’Homo Sapiens si è spostato dall’Africa, distribuendosi nei vari continenti, ovunque è andato ha fatto disastri: per esempio ha quasi dimezzato la fauna dell’Australia e ha fatto lo stesso nelle due Americhe. L’Homo Sapiens ha dentro di sé una potenza creativa - la potenza creativa della civiltà - ma ha anche una potenza distruttiva. Come farà questa specie a riconvertirsi? Il problema certamente è enorme e di non facile soluzione, proprio perché è un problema da villaggio globale. Naturalmente, l’Enciclica non può dare le soluzioni, non è questo che spetta all’Enciclica, ma è chiaro che se la specie si riconverte avrà un futuro, se la specie non si riconverte rischia di finire come è finito l’uomo di Neanderthal. Non c’è che da immaginare una rete di piccole azioni che poi diventano azioni più grandi, proprio perché si riconnettono. Gruppi di Paesi che prendono delle decisioni in accordo con altri gruppi di Paesi, sperando che tutto questo possa effettivamente portare a una rete generale del mondo e del globo, in cui l’Homo Sapiens comincerà ad essere veramente “sapiens” e non un predatore come molto spesso nella sua storia è stato.

D. – Molti sono coloro che hanno desiderato commentare da diversi punti di vista l’enciclica del Papa…

R. – Sono inflessioni diverse. Io stesso ho osservato che fra le virtù che il Papa ci suggerisce non c’è la libertà. Ora, io, personalmente, ma anche altri hanno osservato che le libertà individuali che esistono in certi luoghi del mondo, ma ahimè in altri no, questa libertà è un qualcosa che dovrebbe andare insieme alla svolta richiesta ed è un elemento che potrebbe essere forse più sviluppato, perché certamente non è facilissimo combinare la libertà con la giustizia.

D. – C’è anche una critica al capitalismo, in questa Enciclica…

R. – Mi pare ci sia una critica alle sue degenerazioni finanziarie soprattutto.

D. – Quando il mercato stritola l’uomo, quando crea ingiustizia…

R. – Appunto, le degenerazioni finanziarie, le degenerazioni del mercato, è chiaro. E su questo non credo che ci possa essere alcun dissenso.

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Mons. Marchetto: Diario di mons. Felici tesoretto del Concilio

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La Libreria Editrice Vaticana ha pubblicato un "Addendum" al “Diario” conciliare di mons. Pericle Felici, il segretario generale del Concilio Vaticano II. Questa importante integrazione alle memorie di Felici, raccolte dall’archivista del Concilio, Vincenzo Carbone, è stata voluta dallo stesso curatore del Diario, mons. Agostino Marchetto. Il libro si compone di due parti: nella prima l’autore riferisce dei testi manoscritti, mentre nella seconda raccoglie, tra l’altro, una lettera di Papa Francesco e le relazioni delle eminenti personalità ecclesiastiche (mons. Raffaele Farina, mons. Kurt Koch, mons. Pietro Parolin, mons. Jean Louis Bruguès) e laiche (Giuseppe Lepore, Giuseppe Costa, Paolo Rodari, Riccardo Burigana, Nicola Zingaretti), intervenute il giorno della presentazione del Diario, il 18 novembre 2015. Il libro permette una migliore comprensione del Diario di Felici, racconta il rapporto di fiducia che i due Papi conciliari hanno avuto con il segretario generale e introduce alcune delle tematiche importanti del Concilio, come quelle dei moderatori e della collegialità. Eugenio Murrali ha chiesto a mons. Marchetto le ragioni di questo "Addendum": 

R. – Ho pubblicato questo Diario di Felici sulla base della trascrizione - prima in brutta copia e poi in bella copia - di mons. Carbone, senza poter consultare i testi manoscritti. Invece, per grazia, il mattino in cui abbiamo presentato in Campidoglio il Diario Conciliare di mons. Pericle Felici le due sorelle di Carbone hanno consegnato alla Segreteria di Stato tutti questi testi: per cui ho chiesto di poter fare l’addendum, aggiungendo quello che si doveva aggiungere, poiché in precedenza non si era potuta descrivere la materia concreta di questo Diario.

D. – Quattro quaderni di “cogitationes cordis” - riflessioni del cuore - e otto agende annuali, dal 1959 al 1966. Hanno una storia avventurosa questi manoscritti.

R. – Il diario del segretario generale di un Concilio è un po’ un "tesoretto" e quindi questi testi erano stati messi dall’autore nel fondo di un inginocchiatoio, che era chiuso nella parte bassa: Felici aveva però rivelato al suo segretario il luogo in cui conservava le sue memorie. Quindi, mons. Carbone è andato e ha trovato i testi e, quando ha finito il suo lavoro più impegnativo, la pubblicazione degli Acta Synodalia, cioè degli Atti del Concilio – 63 grossi volumi – si è messo, piano piano, a fare la trascrizione, a preparare l’apparato critico, che aveva delle lacune e per questo Carbone mi aveva chiesto di aiutarlo, cosa che ho fatto dopo la sua morte, per completare l’opera.

D. – E’ un "Addendum", ma sembrerebbe utile consigliarlo come una lettura propedeutica al Diario...

R. – Ma sì, perché credo che questo "Addendum" abbia una lettura più facile. Certamente il Diario è scritto in un italiano forbito, un italiano anche molto bello, letterario e con molto latino, mentre qui siamo più raccolti e c’è la possibilità di ascoltare l’attualizzazione. Infatti, queste eminentissime personalità che sono venute a parlare hanno cercato di far capire come il testo di questo Diario faccia avanzare la questione – io la chiamo così – del Concilio Ecumenico Vaticano II sia dal punto di vista della preparazione sia dello svolgimento sia anche dell’inizio della ricezione. Fanno anche conoscere la spiritualità di questo uomo, l’aspetto ecumenico, l’importanza dell’ermeneutica, e cioè della esegesi, della spiegazione del significato del Concilio, che è una realtà di continuità e di rinnovamento di quello che è un unico soggetto Chiesa, dunque nella linea di Papa Benedetto, di Papa Francesco e di tutti i Papi.

D. – Quanto sono importanti questi Diari per l’ermeneutica del Concilio Vaticano II?

R. – Nella misura in cui, nonostante siano personali, cercano di essere obiettivi. Mi spiego: la fonte principale, e anche gerarchicamente la più importante, devono essere i documenti che sono stati pubblicati e che sono il punto di riferimento principale, la norma per giudicare anche i Diari. Inoltre, anche nei Diari c’è una graduatoria. Certamente, adesso, questo Diario di Felici non dico che sia un documento ufficiale del Concilio, però fra i Diari deve essere considerato in modo particolare. Perché Felici è sempre stato nel bel mezzo di quella macchina straordinaria che la misericordia di Dio ci ha dato, per dare vita al Concilio Vaticano. Contrariamente a tutto quello che dicono coloro che lo vedono ideologicamente – il Vaticano II è il Concilio che unisce, è il Concilio dell’"et et", è il Concilio che fa la sintesi di quello che è – come diceva Cullmann – il genio del cattolicesimo: il mettere insieme, lo stare insieme, anche se abbiamo delle diversità. C’è chi è più portato a vedere l’incarnazione nel mondo di oggi, chi è più portato a vedere la fedeltà al grande tesoro della tradizione vivente, ma tutti devono stare insieme, rispettandosi a vicenda e non scomunicandosi gli uni gli altri.

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Nella Chiesa e nel mondo



Guinea Bissau, due missionarie muoiono in un incidente

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È finito in dramma il viaggio di un gruppo di religiose delle Suore Adoratrici del Sangue di Cristo, dirette a una ordinazione sacerdotale di un missionario del Preziosissimo Sangue in Guinea Bissau. Il mezzo che le trasportava ha avuto un incidente nei pressi di Bula e due missionarie italiane, Suor Romana Sacchetti e Suor Esperia Sullis, hanno perso la vita, mentre suor Jeanne Olabi Chantal Fadegnom, originaria del Benin, che era alla guida del veicolo, versa in gravi condizioni. Salve invece le ragazze della comunità vocazionale che si trovavano con loro.

Diverse Adoratrici del Sangue di Cristo sono molto impegnate in Africa. Nel 1992, cinque di loro furono uccise in Liberia ai tempi della guerra civile e furono definite da Giovanni Paolo II “martiri della carità”.

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Afghanistan: uccisi 27 jihadisti dell'Is a Nangarhar

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In Afghanistan, almeno 27 militanti dello Stato islamico sono stati uccisi ieri in raid aerei e attacchi terrestri nelle provincia orientale di Nangarhar. Il portavoce del governo provinciale ha precisato che tra i jihadisti erano presenti alcuni combattenti stranieri, mentre l’operazione contro gli uomini dell’autoproclamatosi califfo Al-Baghdadi è stata confermata dal Ministero della difesa. Da mesi, l’Is sta cercando di consolidare la sua posizione nel Nangarhar, ma trova resistenza non solo da parte delle forze di sicurezza afghane e dalla coalizione internazionale, ma anche degli stessi talebani. (M.R.)

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Brasile, vescovi al Congresso: ampliare i diritti sociali

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Preservare i fondamenti della democrazia e proporre azioni volte ad assicurare ed ampliare i diritti sociali già conquistati, senza sacrificare i poveri e gli esclusi: è quanto chiede la Conferenza episcopale del Brasile (Cnbb) al Congresso nazionale, nel momento in cui l’organo legislativo si appresta a esaminare tre disegni di legge riguardanti gli indigeni, i giovani e il disarmo.

Non violare i diritti dei popoli indigeni
Nel primo caso, la proposta di emendamento costituzionale 215 (Pec 215/2000) mira a modificare la Carta fondamentale trasferendo dal governo al parlamento il diritto di demarcare i territori indigeni e di rivedere vecchie demarcazioni in base a nuovi criteri. Ma il rischio è che il Congresso subisca le forti influenze dei grandi proprietari terrieri. Tale disegno di legge, scrive la Cnbb, “è un colpo mortale per i diritti dei popoli indigeni”, perché “la sete di profitto dei grandi proprietari terrieri non può sovrapporsi ai diritti originari dei popoli indigeni, riconosciuti dalla Costituzione”.

Tutelare i giovani, vittime di violenze
Nel secondo caso, i presuli si dicono contrari alla Pec 171/1993, ovvero alla riduzione della maggiore età ai fini penali da 18 a 16 anni. Secondo i promotori della riforma, quest’ultima si rende necessaria perché la piena capacità di intendere e di volere degli adolescenti oggi si raggiunge prima. Ma “insistere sul fatto che l'arresto di delinquenti minorenni sia una soluzione per la violenza nel Paese – scrive la Cnbb – significa attribuire ai giovani la soluzione di una situazione della quale sono più vittime che colpevoli”. “Dei 56 mila omicidi avvenuti in Brasile nel 2012, infatti – riportano i presuli – circa 30 mila (pari al 53,5%) riguardavano i giovani”. Di qui, il richiamo della Chiesa cattolica a “investire, piuttosto, in misure sociali ed educative, in politiche pubbliche per i ragazzi e nel rafforzamento della famiglia”, perché questo “è il modo efficace per porre fine alla violenza”.

Promuovere una cultura della pace e della non-violenza
Il terzo progetto citato dai vescovi è la Pec 3722/2012 che mira ad abrogare lo Statuto sul disarmo: in vigore dal 2003, esso disciplina rigidamente la registrazione, il possesso, il porto e la vendita di armi da fuoco e munizioni. Abrogarlo, dicono i vescovi, è quindi “estremamente dannoso”, perché “facilitare l’acceso alle armi significa aumentare le occasioni di omicidio e sostenere la falsa idea che la sicurezza è nelle armi personali”. Al contrario, i vescovi esortano a “promuovere una cultura della pace attraverso la non violenza, investendo in politiche pubbliche efficaci per l’intera popolazione”.

Mantenere viva la speranza
“Attenti al futuro e consapevoli che la cittadinanza debba essere costruita e difesa ogni giorno, soprattutto nei momenti difficili – conclude la nota episcopale – lanciamo un appello ai parlamentari: non approvate queste proposte! E al popolo brasiliano chiediamo di mantenere viva la speranza che non delude”. (I.P.)

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Etiopia: Caritas inaugura sistema idrico per 1200 famiglie

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Fornire acqua a 1.200 famiglie: con questo obiettivo la Caritas Etiopia ha inaugurato in questi giorni nella provincia di Arsi, un sistema idrico in grado di irrigare 450 ettari di terreno. Il progetto – riferisce il Segretariato cattolico etiope – è costato tre milioni di euro, offerti dalla ong Oxfam Intermón.

Incrementare le colture agricole per contribuire allo sviluppo del Paese
“La comunità locale – spiega il Segretariato – tradizionalmente dipende dall’agricoltura. Ora, con il nuovo sistema idrico, essa potrà avere il raccolto tre volte l’anno. L’eccedenza delle colture sarà venduta al mercato e ciò consentirà di aumentare in maniera significativi il reddito annuo di ogni famiglia beneficiaria”. Tutto ciò permetterà ai bambini “di frequentare la scuola in modo continuativo, senza interruzioni”, contribuendo così “alla crescita della comunità ed allo sviluppo di tutto il Paese”.

Impegno continuo della Chiesa
Presente alla cerimonia di inaugurazione, il vicario apostolico di Meki, mons. Abraham Desta, ha sottolineato che “lo sviluppo non è un risultato raggiunto una volta per tutto, ma è uno sforzo continuo che richiede l’impegno congiunto di tutte le parti coinvolte”. “La Chiesa in Etiopia – ha aggiunto – si sforza sempre di raggiungere uno sviluppo umano integrale attraverso le sue opere pastorali”. Il presule ha concluso il suo intervento sottolineando che “l’impegno della Chiesa non si ferma qui”, perché già si pensa a “come ampliare questo progetto idrico, così da raggiungere più famiglie possibile”. (I.P.)

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Italia, ballottaggi: 15% di presenze in meno del primo turno

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Italia alle urne in oltre cento Comuni per il secondo turno delle elezioni comunali. Si vota per scegliere il sindaco tra i due candidati vincenti al primo turno, a Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna e Trieste e in 14 altri capoluoghi di provincia. Particolarmente attesi per le loro possibili ripercussioni nazionali gli esiti del voto nella capitale, dove si sfidano il candidato del Movimento 5 stelle, Virginia Raggi, e quello del Partito democratico, Roberto Giachetti e Milano, tra il candidato di centrosinistra, Beppe Sala, e quello di centrodestra Stefano Parisi. Oltre 8 milioni gli elettori convocati ai seggi, che saranno aperti fino alle ore 23. L’affluenza alle ore 12 è stata di circa il 15%, in lieve calo rispetto al primo turno. (M.R)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 171

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.