Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 20/06/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: cristiani si guardino allo specchio prima di giudicare

◊  

Prima di giudicare gli altri guardarsi allo specchio per vedere come siamo. E’ l’esortazione di Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, l'ultima con omelia, prima della pausa estiva. Il Pontefice ha sottolineato che ciò che distingue il giudizio di Dio dal nostro non è l’onnipotenza ma la misericordia. Il servizio di Alessandro Gisotti

Il giudizio appartiene solo a Dio, perciò se non vogliamo essere giudicati, anche noi non dobbiamo giudicare gli altri. E’ quanto sottolineato da Francesco nella Messa a Casa Santa Marta, incentrata sul Vangelo odierno. Tutti noi, ha osservato, vogliamo che nel Giorno del Giudizio “il Signore ci guardi con benevolenza, che il Signore si dimentichi di tante cose brutte che abbiamo fatto nella vita”.

Gesù ci chiama ipocriti quando giudichiamo gli altri
Per questo, se “tu giudichi continuamente gli altri – ha ammonito – con la stessa misura tu sarai giudicato”. Il Signore, ha proseguito, ci chiede dunque di guardarci allo specchio:

“Guardati allo specchio, ma non per truccarti, perché non si vedano le rughe. No, no, no, quello non è il consiglio! Guardati allo specchio per guardare te, come tu sei. ‘Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?’ O come dirai a tuo fratello ‘Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio’, mentre nel tuo occhio c’è la trave?’ E come ci qualifica il Signore, quando facciamo questo? Una sola parola: ‘Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello’.

Pregare per gli altri, invece di giudicarli
Il Signore, ha detto il Papa, si vede che “un po’ si arrabbia qui”, ci dà degli ipocriti quando ci mettiamo “al posto di Dio”. Questo, ha aggiunto, è quello che il serpente ha convinto a fare ad Adamo ed Eva: “Se voi mangiate di questo, sarete come Lui”. Loro, ha detto, “volevano mettersi al posto di Dio”:

“Per questo è tanto brutto giudicare. Il giudizio solo a Dio, solo a Lui! A noi l’amore, la comprensione, il pregare per gli altri quando vediamo cose che non sono buone, ma anche parlare loro: ‘Ma, senti, io vedo questo, forse…’ Ma mai giudicare. Mai. E questa è ipocrisia, se noi giudichiamo.”

Al nostro giudizio manca la misericordia, solo Dio può giudicare
Quando giudichiamo, ha detto ancora, “ci mettiamo al posto di Dio”, ma “il nostro giudizio è un povero giudizio”, mai “può essere un vero giudizio”. “E perché – si domanda il Papa – il nostro non può essere come quello di Dio? Perché Dio è Onnipotente e noi no?” No, è la risposta di Francesco, “perché al nostro giudizio manca la misericordia. E quando Dio giudica, giudica con misericordia”:

“Pensiamo oggi a questo che il Signore ci dice: non giudicare, per non essere giudicato; la misura, il modo, la misura con la quale giudichiamo sarà la stessa che useranno con noi; e, terzo, guardiamoci allo specchio prima di giudicare. ‘Ma questa fa quello… questo fa quello…’ ‘Ma, aspetta un attimo…’, mi guardo allo specchio e poi penso. Al contrario sarò un ipocrita, perché mi metto al posto di Dio e, anche, il mio giudizio è un povero giudizio; gli manca qualcosa di tanto importante che ha il giudizio di Dio, gli manca la misericordia. Che il Signore ci faccia capire bene queste cose”.

inizio pagina

Francesco riceve in udienza Shimon Peres

◊  

Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza in Vaticano l’ex presidente di Israele, Shimon Peres. L'ultimo incontro tra il Papa e Peres era avvenuto in Vaticano, l’8 giugno 2014, in occasione della Invocazione per la pace nei Giardini Vaticani, insieme con il presidente palestinese, Mahmoud Abbas, e il Patriarca Bartolomeo I.

Sempre oggi Papa Francesco ha nominato arcivescovo di Cuenca, in Ecuador, mons. Marcos Aurelio Pérez Caicedo, finora vescovo di Babahoyo.

inizio pagina

Concistoro, il 16 ottobre la Canonizzazione di cinque Beati

◊  

Saranno canonizzati domenica 16 ottobre 2016 i cinque Beati per i quali si è tenuto stamattina nel Palazzo apostolico in Vaticano il Concistoro Ordinario pubblico, presieduto da Papa Francesco.

A essere proclamati Santi saranno Salomone Leclercq, martire dei Fratelli delle Scuole Cristiane,  Manuel González García, vescovo di Palencia, fondatore dell’Unione Eucaristica Riparatrice e della Congregazione delle Suore Missionarie Eucaristiche di Nazareth, i sacerdoti Lodovico Pavoni, fondatore della Congregazione dei Figli di Maria Immacolata, e Alfonso Maria Fusco, fondatore della Congregazione delle Suore di San Giovanni Battista, e la religiosa Elisabetta della Santissima Trinità, monaca professa dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi.

inizio pagina

Armenia, migliaia da città e villaggi saranno alla Messa del Papa

◊  

Di città in villaggio per mobilitare le persone nell'accoglienza del Papa. Da mesi, la Chiesa armeno-cattolica sta preparando con visite capillari e complesse la macchina organizzativa in vista del viaggio apostolico che Francesco compirà in Armenia questo fine settimana. A descrivere l'impegno messo in campo e i sentimenti della gente è un sacerdote della Chiesa locale. Il servizio di Davide Dionisi

Ha percorso chilometri e chilometri per registrare migliaia di adesioni in vista della visita di Papa Francesco. Padre Karnik Youssefian sacerdote armeno cattolico della parrocchia di San Giuseppe a Kamishlié, nell’estremo nordest della Siria, fuggito d a seguito delle persecuzioni dell’Isis, oggi è a Gyumri e nei mesi scorsi ha visitato tutti i villaggi armeni per raccogliere i nomi dei partecipanti alle celebrazioni presiedute dal Papa e, nel frattempo, ha convinto circa 400 ragazzi ad andare a Cracovia per la Gmg.

R. – Ormai da più di un mese stiamo preparando questa visita storica per l’Armenia. Devo dire che ci sono tante cose da fare: abbiamo raccolto in molti villaggi armeni i nomi e i cognomi della gente che verrà a partecipare alla Santa Messa del Santo Padre. Fino ad ora siamo arrivati a quasi 18 mila fedeli, tranne quelli che verranno da fuori – dall’estero – che sono 2.000. Quindi ci saranno più o meno 20 mila persone alla Messa del Santo Padre. Devo dire che i preparativi sono difficili, perché per arrivare nei villaggi e scrivere tutti i nomi ci abbiamo messo un mese e anche di più.

D. – Cosa vi aspettate che il Papa dica, e cosa vi aspettate da questa visita?

R. – Essendo armeno siriano, della Siria, la prima cosa che desidero è la pace: che ci sia in tutto il mondo, ma specialmente in Siria, dove sono nato. E poi, speriamo che si avvicinino di più le due Chiese, quella armeno-apostolica e quella cattolica, in tutto il mondo.

D. – Un episodio particolare che l’ha colpita durante questa fase di preparazione, o anche un aneddoto che vuole raccontarci durante questa fase preparatoria...

R. – Tanti vogliono proprio vedere il Papa e poi salutarlo prendendogli la mano: tutti hanno questo desiderio, anche se credo sia un po’ impossibile riuscirci... Ma la gente ha proprio questo desiderio: di stare vicino al Santo Padre almeno per salutarlo.

inizio pagina

Tweet Papa: tutti siamo in viaggio verso la casa comune del cielo

◊  

"Tutti siamo in viaggio verso la casa comune del cielo, dove potremo leggere con gioiosa ammirazione il mistero dell’universo". E' il tweet pubblicato da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex in 9 lingue.

inizio pagina

Card. Parolin in Ucraina: Chiesa aperta a tutti per integrare culture diverse

◊  

Prosegue il viaggio in Ucraina del card. Pietro Parolin, segretario di Stato, per portare la solidarietà di Papa Francesco alla popolazione sofferente per il conflitto. Fitta l’agenda di appuntamenti. Stamani, il porporato ha fatto visita al sacrario del Milite ignoto a Kiev, ha poi incontrato i poveri assistiti dagli Oblati di Maria Immacolata presso la concattedrale di Sant’Alessandro e ha pranzato in nunziatura con il corpo diplomatico. Due importanti eventi hanno segnato la giornata del card. Parolin ieri a Leopoli, presente alla Divina Liturgia di Pentecoste della Chiesa greco cattolica e all’incontro con i seminaristi della Chiesa di rito latino. Il servizio di Roberta Gisotti

Una missione umanitaria, con risvolti politici e religiosi, questa in Ucraina, che il segretario di Stato vaticano ha voluto affidare alla Spirito Santo, durante la celebrazione della Pentecoste con i fratelli della Chiesa greco cattolica. Invochiamo dallo Spirito Santo “grande operatore di pace” – ha detto il porporato – “che ponga fine ad ogni odio e rancore”, tra “quanti abitano questa terra” “amata da Dio”.

Paese, l’Ucraina  “ricco di espressioni culturali”, riflesso di varie identità etniche, nazionalità e tradizioni religiose, ha sottolineato il cardinale Parolin, parlando ai seminaristi di rito latino. Una Chiesa “minoritaria” – ha ricordato – ma “ben radicata” “in tutte le regioni” “di cui si sente parte”, “aperta a tutti”, “in un contesto di pluralità e libertà religiosa”, che “lungi dal favorire il proselitismo”, arricchisce la “proposta ecclesiale”. “Una presenza storica e una realtà in evoluzione” di “meticciato culturale”, che richiede a seminaristi e formatori uno studio rigoroso del passato: “dalle radici ben comprese” fino “a una conoscenza chiara, documentata e approfondita del contesto culturale dell’Ucraina di oggi.” Proprio di questo – ha osservato il card Parolin – il vostro Paese “ha bisogno” per aprirsi “a orizzonti sempre più vasti”. “Un nazionalismo esasperato, che interpreta se stesso come unica autentica rappresentazione dell’identità nazionale, è in realtà – ha spiegato il porporato – frutto di un complesso di inferiorità che non sa accettare la pluriformità” quale “straordinario strumento di crescita”.

Da qui l’invito pressante dal card. Parolin ai seminaristi, di non cedere “mai alla tentazione” di chiudersi “in un ghetto”, venendo meno “alla chiamata di integrare l’Ucraina sono solo spiritualmente ma anche culturalmente, in quel reciproco scambio che oggi è segno della maturità dei popoli”.

Infine, alcune raccomandazioni pastorali: “Dovete cercare la gente, frequentarla, ascoltarla pazientemente e sapientemente consigliarla. Uscite dalle vostra casa e andate voi stessi incontro a quanti cercano il volto di Dio e forse non sono ancora riusciti a trovarlo nella Chiesa”. Fuggite “una vita comoda e ben retribuita”, “richiusa in un egoismo senza gioia e speranza”. Ed ancora sul celibato: che sia fecondo e non diventi “un peso per voi”, “e per gli altri”, che subiranno “le conseguenze delle vostre frustrazioni”. Da qui il monito: “educate la vostra affettività, senza paura delle prove e della debolezza, ma con grande trasparenza e verità, senza doppie vite o ripiegamenti di comodo".

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Brexit. Ue si interroga su possibili rischi politico-economici

◊  

Tra tre giorni i cittadini britannici saranno chiamati a votare il referendum Brexit, dove dovranno decidere se restare o uscire dall’UE. Questa scelta potrebbe cambiare le sorti economiche e politiche non solo della Gran Bretagna ma anche di altri Paesi dell’UE. "L'Unione Europea ha perso la sua anima, quell'anima che i padri fondatori le avevano infuso". E' quanto ha dichiarato l'economista Stefano Zamagni intervistato da Gioia Tagliente

R. – Che l’Inghilterra abbia delle valide ragioni per lamentarsi dell’Unione Europea e del modo con cui, soprattutto negli ultimi anni, i grossi problemi dell’Europa sono stati affrontati, è fuor di dubbio. Questa, però, non è una ragione sufficiente per giustificare l’eventuale fuoriuscita dell’Inghilterra dall’Unione Europea, anche se è vero che, l’Unione Europea, ha perso la sua anima, quell’anima che all’inizio i padri fondatori, le avevano infuso.

D. – Se la Gran Bretagna uscisse dall’Unione Europea, quali sarebbero i rischi concreti?

R. – Sarebbe veramente triste, anche pericoloso, per tre ragioni: primo, perché l’Inghilterra, di cui conosciamo le ragioni filosofiche, culturali e così via, rappresenta sempre una sorta di vigile urbano nei confronti degli altri Paesi per evitare derive burocratiche; secondo, perché l’impatto a breve termine sulla stabilità finanziaria sarebbe veramente pericoloso e per Paesi già in difficoltà come il nostro, la Spagna, il Portogallo o altri minori potrebbe essere esiziale; in terzo luogo, perché comunque l’uscita dell’Inghilterra creerebbe una forza terzista che non faciliterebbe il dialogo, ad esempio, tra l’Europa e gli Stati Uniti. Gli uni e gli altri stanno negoziando il cosiddetto “Trattato”, il nuovo trattato di commercio tra l’Europa e gli Stati Uniti. Se l’Inghilterra si chiama fuori dall’Unione Europea, tenuto conto della storia, del legame che unisce la Gran Bretagna agli Stati Uniti, capiamo subito le implicazioni. Siccome questo è qualcosa di molto serio, che riguarda non solo e non tanto il lato finanziario, ma soprattutto il lato reale dell’economia - perché stiamo parlando di import-export di beni e servizi - ecco perché l’uscita della Gran Bretagna, sarebbe foriera di rischi piuttosto seri, anche sul fronte dell’occupazione.

D. – Se vincesse il “no”, ci potrebbe essere un nuovo slancio della Gran Bretagna  in borsa? Aumenterà, quindi, il suo peso economico e politico?

R. – Aumenterà sicuramente la sua pressione nei confronti di Bruxelles, per evitare derive tecnocratiche, economicistiche e così via;  dall’altro, sicuramente rafforzerà la sua capacità di attrazione dei capitali; e, terzo, è ovvio che la vittoria dei “no” potrebbe consentire alla Gran Bretagna di ottenere ulteriori alleggerimenti sul fronte dei rapporti con l’Unione Europea e potrebbe essere che questo senso, a volte, di malessere che altri Paesi, diversi dalla Gran Bretagna, manifestano nei confronti di Bruxelles, possa aprire la strada ad una rivisitazione completa dei trattati europei - a cominciare da quello di Maastricht - che non vanno bene. Sono trattati, infatti, dai quali non emerge quella che – come ho detto all’inizio – è la missione dell’Europa nel mondo, la cosiddetta sua anima. Bisogna allora ripartire dai fondamentali e questi fondamentali non possono tralasciare quelle che sono le radici, le componenti etico-culturali, che hanno fatto grande questo continente. All’epoca dei Trattati di Maastricht tutto il grosso dibattito sulle cosiddette radici giudaico-cristiane venne completamente ignorato. Giovanni Paolo II si batté come un leone per cercare di portare a più miti consigli. La risposta è stata un “no” secco. Ora stiamo pagando le conseguenze di quella negazione. In nome di un falso concetto di laicità, non si è voluto tenere conto che una unione come quella di tanti Paesi europei può avvenire solo sulla base di un sostrato robusto di principi e di valori.

inizio pagina

Siria. Campanini: situazione insostenibile, serve stabilizzazione

◊  

"L'Unione europea smetta di rimandare i rifugiati siriani in Turchia finche' restera' gravata da un numero enorme di rifugiati e incapace di fornire protezione sufficiente e sicurezza per tutti". E' l'appello lanciato da Human Rights Watch a seguito delle accuse rivolte ad Ankara da parte di diverse ong di aver ucciso almeno 8 profughi, tra cui 4 bambini, che cercavano di entrare in Turchia dalla Siria. Il Paese ad oggi ospita oltre 2 milioni di rifugiati siriani. Le migrazioni forzate nel mondo hanno toccato livelli mai raggiunti in precedenza: circa 65 milioni di persone costrette alla fuga lo scorso anno, secondo il rapporto annuale pubblicato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Sui conflitti in corso e sulla crisi siriana che stanno minando la stabilità del Medio Oriente, Valentina Onori ha intervistato Massimo Campanini, docente di Islamistica e Storia dei paesi islamici all’Università di Trento: 

R. – La mia opinione è che l’Isis si trovi in una fase di stallo o addirittura di arretramento. Ho sempre ritenuto che ci sia stata per molto tempo una non-volontà di combattere l’Isis. Dall’invasione dell’Iraq nel 2003, sotto la presidenza di George W. Bush, ad oggi, tutta la zona è profondamente destabilizzata. L’Iraq inteso come Stato compatto che tiene insieme le minoranze curde, la maggioranza sciita e anche – si può dire – la minoranza sunnita, ormai non esiste più; lo stesso vale per la Siria: Bashar al Assad ormai è “bruciato”. Anche se dovesse rimanere in sella, non potrà più avere né il potere né il controllo del territorio che aveva prima. La Siria adesso è letteralmente “un buco nero”, una disgregazione totale di cui non è fattivamente ipotizzabile che cosa succederà dopo, perché molto dipenderà dalla resilienza di Bashar al-Assad; dal fatto che la Russia e gli Stati Uniti troveranno una convergenza di decisione politica; dagli equilibri delle tre grandi potenze rimaste in piedi, cioè la Turchia, l’Arabia Saudita e l’Iran che evidentemente cercano di farsi le scarpe gli uni agli altri

D. – L’allarme profughi è solo la punta di un iceberg …

R. – La Turchia, negli ultimi mesi, è stata bersaglio di una serie di attentati terroristici interni. E’ chiaro che il regime di Erdogan in qualche modo si senta assediato e soprattutto senta l’ostilità. La Turchia si trova in una situazione di fragilità e deve cercare di difendere se stessa e le proprie frontiere. Il fatto che abbia sparato contro dei migranti è naturalmente un fatto terrificante ed estremamente doloroso. Una spiegazione è possibile trovarla nel senso che la Turchia deve affrontare un terrorismo interno, deve affrontare dei tentativi di destabilizzazione e deve affrontare obiettivamente l’ostilità dei suoi ex-alleati: la Nato e anche la Russia. Il principale elemento di pericolo nel Medio Oriente è che non c’è più un centro di gravità permanente, cioè non c’è più un Paese come era all’epoca dell’Egitto di Nasser e di Sadat, che possa fungere da perno stabilizzatore di una regione tradizionalmente "ballerina".

D. – La situazione più preoccupante nel Medio Oriente rimane quella siriana?

R. – Oggi come oggi, sì; ma “siriana” da sola non ha senso: bisogna dire – secondo me – “siro-irachena”. Il problema non è la questione di un intervento militare; il problema è politico, perché attiene e coinvolge i rapporti tra Russia e Stati Uniti: Obama non ha possibilità di decisione perché tra pochi mesi decade. In secondo luogo, c’è la questione politica degli equilibri o disequilibri tra Iran e Arabia Saudita. E naturalmente il fatto che la politica occidentale sia sempre stata filo-saudita e anti-iraniana è stato un errore: avrebbe dovuto essere una politica più bilanciata.

D. – Quale tipo di politica attuare?

R. – Anzitutto, una tavola di accordo, di convergenza con la Russia; in secondo luogo, cercare di mediare in maniera seria nelle opposte egemonie dell’Iran e dell’Arabia Saudita con una politica bilanciata. Rimettere insieme i pezzi non è facile. Io credo che la soluzione federale sia l’unica soluzione possibile.

D. – Riguardo alla crisi umanitaria dei profughi, i corridoi umanitari sono la soluzione, secondo lei?

R. – Non c’è soluzione al problema dei profughi. La desertificazione, il cambiamento del clima a un certo punto sposteranno centinaia di milioni di persone. I flussi saranno sempre più forti, metteranno in crisi le economie dell’Occidente e dei Paesi europei, soprattutto del Sud Europa. Bisogna lentamente adattare le nostre società all’assorbimento di questi flussi. In prospettiva dobbiamo aspettarci veramente delle riscritture, dei ridimensionamenti o rivoluzionamenti dal punto di vista economico, politico, demografico di tutti i Paesi del Nord e del Sud del mondo.

inizio pagina

Mattarella al Centro Astalli: solidarietà con gli immigrati

◊  

I 35 anni di attività del Cento Astalli, la sede del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, e l’odierna Giornata mondiale del rifugiato hanno fatto da sfondo, stamani a Roma, alla visita del presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, al centro di accoglienza San Saba. Ad attendere il capo di Stato c’erano oltre 200 rifugiati. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

L’Italia, da tempo impegnata in prima linea per far fronte all’emergenza dell’immigrazione - ha detto il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella – richiede con forza un impegno autenticamente corale da parte della comunità internazionale, a partire dall’Unione Europea. In un Paese segnato dal calo demografico come in Italia – ha spiegato – i migranti possono essere una ricchezza. Di fronte all’epocale fenomeno migratorio – ha aggiunto Mattarella - ci sono due scelte:

“Una è quella di far finta che non esista il fenomeno, cercare di rimuoverlo, di cancellarlo, illudendosi che per far questo basti un divieto di ingresso, basti una legge o qualche barriera sui confini. E l’altra alternativa è quella di affrontare il fenomeno migratorio, con senso della realtà e con senso di responsabilità affrontandolo e governandolo. Ed è l’unico modo per governarlo in maniera solidale, intelligente e che consenta di regolarlo con ordine e in sicurezza. Ma occorre fare la scelta fra queste alternative. La scelta che il nostro Paese ha sempre fatto è la seconda”.

Sulla visita del capo di Stato italiano si sofferma il presidente del Centro Astalli, padre Camillo Ripamonti che ha accompagnato Mattarella nel Centro San Saba:

"È una giornata importante. Il presidente della Repubblica ci dimostra, venendo a fare visita in un centro di accoglienza di un quartiere di Roma, anche un’attenzione per la questione dell’integrazione. L’integrazione è un riconoscersi reciproco, è un cammino in due direzioni: sia di chi arriva – e quindi di chi viene accolto – ma anche di chi accoglie, che deve conoscere e riconoscere in queste persone delle persone come noi".

Quali sono le storie più significative dei rifugiati ospitati in questa struttura? Ancora padre Camillo Ripamonti:

La cosa più significativa è che sono uomini che vengono da diverse parti del mondo. Vivono insieme e questo non costituisce un problema. Quindi è un esempio di condivisione di culture diverse che è possibile. E poi ci sono storie molto drammatiche in alcuni casi: molti di loro sono arrivati via mare, attraverso quei barconi, quindi affidandosi ai trafficanti.

Durante la visita nel Centro San Saba, il presidente italiano Mattarella ha ascoltato tre toccanti testimonianze. Tra queste quella di Aweis Alba che, prima di fuggire dalla Somalia in seguito all’arrivo dei miliziani Al-Shabaab, faceva parte della Nazionale di calcio somala. Amedeo Lomonaco lo ha intervistato: 

R. – In Somalia, il calcio è stato vietato con l’arrivo di Al–Shabaab; non si poteva più giocare a calcio, non si poteva più essere liberi. Il mio tempo non era dedicato solo al calcio: ho sei sorelle che ancora si trovano lì con mia madre, avevo dei negozi, lavoravo, vendevo dvd, cd musicali, cosmetici, per guadagnare più soldi per mantenere la mia famiglia. In Somalia è stato vietato l’ascolto della musica. Quindi mi hanno detto: “Devi chiudere i negozi, devi smettere di giocare a calcio” e ho risposto: “Mi state dicendo che non devi vivere”.

D. – E infatti hanno provato ad ucciderti e poi una telefonata, quella di tua madre, che ti ha salvato la vita …

R. - Mi hanno telefonato per dirmi: “Se non chiudi, ti uccidiamo” ed io risposto: “Io non posso chiudere”. Hanno deciso di uccidermi, hanno fatto irruzione in casa mia; per fortuna ero fuori. Mi ha telefonato mia madre dicendo: “Qui ci sono i ragazzi di Al-Shabaab: ti vogliono uccidere. Non tornare a casa”.

D. - E da quel momento è cominciato un viaggio: sei fuggito da Mogadiscio, poi attraverso il deserto sei arrivato in Libia e lì è iniziato un altro calvario …

R. – C’è voluto del tempo per arrivare in Libia: ho attraversato il Kenya, l’Uganda, il Sudan e poi il deserto su un vecchio camion dove eravamo in tanti, quasi 150 persone. Con i miei occhi ho visto morire quasi tutti coloro che si trovavano sul camion con me. Sono svenuto e mi sono risvegliato in un carcere con i militari libici che mi chiedevano i soldi in cambio della mia libertà. Dopo averli pagati, mi hanno liberato e sono arrivato a Tripoli. Da qui ho deciso di continuare il viaggio.

D. - Quindi dal dramma di un carcere libico sei passato alle condizioni drammatiche di un barcone per arrivare in Italia …

R. - I libici che abbiamo pagato ci hanno detto di salire sulla barca per andare in Italia. E noi: “Dov’è l’Italia?”, e loro: “Diritto, dovete guardare quella stella. Andate dritto”. Questa era la situazione e la condizione. E quindi abbiamo detto: “Chi non rischia la vita, non salva la vita: dobbiamo rischiare la vita per salvarci!”. Bisognava affrontare questo viaggio in mare, perché era morte certa o morte probabile: quindi abbiamo scelto la morte probabile. Per fortuna nessuno è morto sulla barca. Ci siamo salvati tutti e 45, la maggior parte donne. Siamo arrivati a Lampedusa e subito dopo mi hanno trasferito qui a Roma dove ho chiesto asilo; sono rimasto qui sei mesi e poi ho iniziato una nuova vita. Non conosci nessuno, non parli l’italiano, sei venuto dall’Africa …

D. - Hai dormito anche per strada …

R. - Certo. Ho dormito anche per strada e alla fine il Centro Astalli e delle suore salesiane mi hanno aiutato. Alla fine, per fortuna, ho trovato un lavoro.

D. - Cosa sono per te le parole di Papa Francesco, che spesso parla della necessità di un impegno per vincere l’indifferenza, l’esclusione, la sofferenza per andare incontro ai migranti?

R. - Ho incontrato Papa Francesco tre volte. È uno di noi! Le cose che dice sono vere: per noi è molto importante vincere questa paura degli italiani che ci dicono: “Voi ci rubate il lavoro”. Noi possiamo essere amici e fratelli. Siamo scappati, ma non è stata una nostra scelta. Siamo venuti in Italia solo con la nostra vita. Cerchiamo di ricominciare qui, con voi italiani. Possiamo veramente cercare di conoscerci, possiamo essere amici!

D. - Essere amici e ricominciare, magari anche giocando a calcio …

R. - Certo! Anche giocando a calcio: il calcio crea pace.

inizio pagina

Giornata rifugiato. Hein: canali umanitari non più rinviabili

◊  

Nell'odierna Giornata internazionale del rifugiato, molte le iniziative organizzate nel mondo per sensibilizzare su una crisi umanitaria mondiale che secondo l'Alto Commissariato Onu per i Rifugiati conta, da inizio anno, più di 3.000 persone decedute nel tentativo di raggiungere l'Europa. Valentina Onori ha intervistato Christopher Hein, portavoce del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) sull’importanza di questa ricorrenza: 

R. – Quest’anno, è certamente una Giornata dei Rifugiati abbastanza particolare. Meno che negli anni precedenti, quest’anno c’è qualcosa da celebrare. Si inserisce in una crisi di rifugiati senza precedenti che colpisce tutta l’Europa. Il quadro delle vittime del primo semestre – che ancora non è finito – registra circa tremila morti nel Mediterraneo. Si tratta di persone che dal Nord Africa o dal Medio Oriente hanno cercato disperatamente di arrivare prima di tutto in Italia, ma  poi anche in Grecia o sulle isole greche. Io piuttosto la chiamerei una “Giornata contro l’indifferenza”. La cosa tragica è che può accadere di nuovo oggi, domani, dopodomani. Non ci sono politiche in grado di ridurre questo fenomeno della tragedia del Mediterraneo. Noi come Consiglio Italiano per i Rifugiati vogliamo insistere sul miglioramento della situazione cominciando proprio dal sistema di accoglienza, alla qualità in modo particolare che è sotto l’attenzione pubblica e al drammatico arrivo, al salvataggio in mare perché si dimentica facilmente che le persone poi rimangono: investire oggi sulle famiglie dei rifugiati, domani porterà frutti soprattutto per la persona, ma anche per la società. Dobbiamo uscire da questa ottica dell’emergenza permanente.

D. – È un esodo senza precedenti: attraverso quale politica nei confronti dei migranti passa il futuro dell’Europa?

R. – Di aprire canali umanitari per non rischiare la vita nel mare o non dovere pagare i trafficanti per aprire delle possibilità realistiche. La seconda considerazione naturalmente è che ci deve essere una risposta solidale e unitaria dell’Unione Europea. Non è pensabile di ritirarsi all’interno dei propri confini: questo non porta a nessun risultato.

D. – Perché è una Giornata che riguarda tutti?

R. – Perché è richiesto a tutti di trovare risposte. In questi mesi, abbiamo visto un’enorme mobilitazione della società civile in molti Paesi europei, anche in Paesi politicamente chiusi come l’Ungheria e l’Austria.

D. – “Siamo sempre lo straniero di qualcun altro”, dice Tahar Ben Jelloun. È così?

R. – Nel senso più profondo, siamo stranieri. Io direi che la possibilità di svolgere la nostra vita in questa terra ci è stata “prestata”, mi sembra questa sia la parola più giusta. Non possiamo considerare la terra come nostra proprietà. Questo poi ha conseguenze nell’ecologia e in tanti altri aspetti, ha anche un impatto sulla coscienza e sulla consapevolezza. Noi dobbiamo accogliere gli stranieri che vengono da noi.

D. – Ci mette di fronte alle nostre paure e a tutta una serie di problematiche che prima non consideravamo...

R. – Non dobbiamo vedere solamente questo settore come diritto di asilo, diritto di accoglienza. Dobbiamo considerare che siamo anche di fronte a una composizione diversa della popolazione in Italia come in altri Paesi europei. A chi apparteniamo? A una nazione? A un club di calcio? O apparteniamo a un insieme molto più grande, molto più vasto capace di arricchirci? Quando si parla della globalizzazione sappiamo che c’è soprattutto un interesse economico. Non ci può essere una globalizzazione economica senza una globalizzaizone nel senso più ampio della convivenza pacifica e solidale tra i vari popoli della terra.

inizio pagina

Amministrative. Roma e Torino a M5S. Grillo: Ora tocca a noi

◊  

Risultato storico alle amministrative in Italia per il Movimento Cinque Stelle che conquista Roma e Torino e vince 19 ballottaggi su 20.  Il Pd ammette la sconfitta e  si conferma a Milano e Bologna. A Napoli vittoria di De Magistris sul centrodestra. Per la politica è tempo di bilanci. Paolo Ondarza: 

“E solo l’inizio, ora tocca a noi” commenta Beppe Grillo dopo il successo annunciato a Roma di Virginia Raggi e, a sorpresa, a Torino di Chiara Appendino su Piero Fassino. La prima sindaco donna della capitale annuncia “ora parte una nuova era”. A Napoli e Bologna riconfermati De Magistris e il candidato Pd Merola, mentre i dem tengono a Milano con la vittoria di Sala con 3% in vantaggio sullo sfidante Parisi del centrodestra. Dalle comunali 2016 nei comuni capoluogo di provincia escono  vincitori10 sindaci di centrodestra, 9 di centrosinistra e 3 del Movimento Cinquestelle. Il partito Democratico ammette la sconfitta e nella direzione del prossimo 24 giugno dovrà affrontare il nodo delle tensioni al suo interno. C’è chi parla di batosta per il governo: sicuramente la convergenza dei voti del centrodestra sui candidati grillini interroga il premier Renzi. Giancarlo La Vella ha raccolto il commento del politologo Francesco Bonini politologo e rettore dell’università Lumsa di Roma: 

R. – Credo che la chiave di lettura sia quella del cambiamento che si svolge in molteplici direzioni: questo è il fatto che emerge da questo lungo giro d’Italia. Gli elettori chiedono di cambiare e si rivolgono volta per volta, localmente, all’alternativa che viene loro proposta. Ovviamente, spiccano le prestazioni del Movimento cinque stelle, ma ci sono in giro per i capoluoghi italiani molti elementi di cambiamenti che a volte premiano il Pd e, il più delle volte, i competitori del Partito democratico in quest’Italia ormai tripolare.

D. - A proposito del Movimento cinque stelle spiccano i risultati a Roma, nella capitale, e a Torino dove c’era stato un sindaco del Pd – Fassino – che non aveva certo deluso…

R. – Certamente. Comunque, sia a Roma che a Torino si vede molto chiaramente la pressione “dal basso”, cioè della periferie, da coloro che si sentono in qualche modo esclusi da rapidissimi processi di ristrutturazione che sono in atto e che certamente lasciano ai margini molta gente, non soltanto i più poveri o i più marginali, ma gran parte di quello che un tempo si chiamava ceto medio, ovvero la gran parte di tutti noi e che in questo momento si pone dei seri interrogativi non solo sul futuro, ma anche sul presente.

D. – Per quanto il premier Renzi abbia sempre rifiutato una lettura politica di queste amministrative, c’è comunque un messaggio al governo di questo risultato?

R. – Certo, il messaggio rivolto al governo è questo: bisogna governare e bisogna lavorare bene. Non è più il tempo degli slogan o delle scommesse. Questo vale per il governo, per le amministrazioni comunali e per coloro che sono stati investiti per il cambiamento. Occorre farsi carico del governo a tutti i livelli. Questo è molto difficile ma è veramente la priorità per il nostro Paese.

Alto l’astensionismo: secondo il Viminale è andato a votare solo il 50,54% degli elettori. 9 punti in meno rispetto al primo turno. Luca Collodi ha chiesto un commento a Marco Tarquinio, direttore di Avvenire: 

R. – Purtroppo, siamo su una linea di tendenza che si è manifestata da diversi anni: ci ragioniamo sopra da almeno 15 anni con più intensità; negli ultimi cinque in maniera molto, molto forte. Credo che questo voto dovrebbe indurre la politica a mettere gli occhi sulla delusione rispetto alle attese e alla fiducia, al debito di fiducia che continua a crescere nei cittadini.

D. – Ciò che è il risultato delle urne è maturato – secondo lei – nelle periferie della grandi città italiane: è stata bocciata la politica di accordo tra partiti e poteri, potere finanziario ed economico “in primis”?

R. – In questo voto intravedo segnali che sono arrivati sia dai quartieri marginali, sia dalle realtà marginali rispetto alle priorità che la politica si è data. La fatica di vivere esiste in zone delle nostre città nelle quali diventa difficile la convivenza, la pulizia è un’opinione, la polizia non è presente come dovrebbe, garantendo con garbo e fermezza la sicurezza delle persone, ma anche là dove non si danno risposte alle famiglie con figli, non le si danno a coloro che abbiamo chiamato in vario modo “esodati”: coloro che sono rimasti appesi dentro alle politiche di rigore di questi anni, senza essere considerati degni di una risposta.

D. – È un voto popolare o populista?

R. – Il voto è sempre popolare. Dentro il voto popolare ci sono poi delle correnti che possiamo chiamare anche “populiste”. Certamente, c’è un fenomeno in corso nel nostro Paese, che radicalizza le opinioni di una parte della cittadinanza, sempre di più, rispetto alle risposte che la politica dà ai bisogni della gente. Vogliamo chiamarlo populismo? Non è una bizzarrìa utilizzare questo termine. Tutte le fasi di crisi – la storia ce lo insegna – conducono a processi di tipo populistico. Il secondo passo sono le involuzioni autoritarie: è quel passo che io mi auguro che non accada, e che la politica sappia scongiurare con risposte all’altezza. Mi ha colpito molto positivamente il tono usato da Virginia Raggi a Roma e da Chiara Appendino a Torino: nel salutare il proprio risultato, e nel rivolgersi ai propri avversari, c’era quel tasso di istituzionalità e di rispetto che altre volte non è stato colto in esponenti del Movimento cinque stelle. È molto importante che si sia manifestato; poi lo vedremo alla prova dei fatti.

D. – Questo voto può far nascere qualche preoccupazione in Europa?

R. – L’Europa dovrebbe preoccuparsi dell’insufficienza delle politiche iper-rigoriste applicate in questi anni, che hanno eccitato negli elettorati e nei corpi vivi degli Stati Membri movimenti di rigetto della grande idea e della grande prospettiva, che ha costruito una pace e una prosperità mai viste negli ultimi 70 anni nel nostro continente.

D. – Il voto dei credenti si può dire che sia ormai trasversale?

R. – Questo mi pare un dato consolidato. Credo che quello che sta accadendo nel nostro Paese sottolinei ancora una volta la necessità di un immischiarsi dei cattolici nella Cosa pubblica. Perché l’onestà non basta gridarla negli slogan, bisogna portarla nei luoghi della decisione, dell’amministrazione e del bene di tutti.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Concilio Pan-ortodosso: Bartolomeo ringrazia Papa Francesco

◊  

Con un “cordiale grazie” a Papa Francesco che ieri all’Angelus ha ricordato e pregato con i fedeli presenti in piazza San Pietro per il “santo e grande Concilio della Chiesa ortodossa”, il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, ha aperto questa mattina a Chania, nell’isola di Grecia, i lavori conciliari che entreranno nel vivo oggi, dopo la celebrazione ieri della Divina Liturgia nella festa ortodossa di Pentecoste. Prima di leggere la prolusione - riporta l'agenzia Sir - il Patriarca Bartolomeo ha ricordato quanti stanno supportando il Concilio e tra loro ha citato Papa Francesco.

Le Chiese assenti hanno ribadito le ragioni della mancata partecipazione
Nel prendere la parola, Bartolomeo ha ricordato ai presenti che “il mondo ci sta guardando” e questo – ha aggiunto – ci chiede “una responsabilità più grande”. Prima poi di dare lettura alla prolusione, Bartolomeo ha fatto riferimento alle assenza delle Chiese di Mosca, Bulgaria, Georgia e Antiochia. E ha dato lettura dei messaggi ricevuti dal Patriarca Giovanni X di Antiochia e dal Patriarca Kirill di Mosca in cui sono ribadite le ragioni della mancata partecipazione.

Ieri la solenne celebrazione della Pentecoste
I primati delle Chiese ortodosse hanno concelebrato ieri la grande Festa della Pentecoste nella Chiesa di Saint Menas in Heraklion, con una liturgia di 4 ore. A presiedere la liturgia, il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, circondato dai Patriarchi Teodoro di Alessandria, Theophilos di Gerusalemme, Irinej di Serbia, Daniel di Romania; gli arcivescovi Chrysostomos di Cipro e Ieronymos di Atene e di tutta la Grecia, il metropolita Sawa di Varsavia e di tutta la Polonia e gli arcivescovi Anastasios di Albania e Rastislav di Cechia e Slovacchia. Alla liturgia erano presenti anche il Presidente della Repubblica di Grecia, Prokopis Pavlopoulos, membri del governo e autorità politiche locali.

Appello all'unità di Bartolomeo I
Rivolgendosi ai primati e a una folla di vescovi, clero e laici sia all’interno che all’esterno della Chiesa, il Patriarca ecumenico ha parlato dell’unità e della cattolicità della Chiesa. “Oggi è anche un giorno in cui gridiamo al Paraclito e lo imploriamo di venire e rimanere tra noi, di custodirci nella sua verità e santità, secondo la preghiera dolorosa del Signore nel giardino del Getsemani”. La preghiera di Gesù per l’unità è “la domanda primordiale dell'umanità in un mondo diviso”.

La via dell'unità esige sacrificio e molto lavoro
“Indipendentemente dalle nostre differenze – ha detto Bartolomeo - noi ortodossi dobbiamo sottolineare che l’unica via da intraprendere nel mondo è l’unità. Certamente, questa via esige un sacrificio vivente, molto lavoro e richiede dura lotta per non allontanarsi. È certo che questo Concilio contribuirà in questa direzione, stabilendo – attraverso la consultazione nello Spirito Santo, e il dialogo franco e costruttivo – un clima di fiducia e di comprensione reciproca”. “La nostra missione è l’unità della Chiesa ortodossa e dei suoi fedeli”, ha quindi ribadito il Patriarca. 

Il mondo ha sete di un messaggio di verità, purezza e speranza
“Mettendo da parte i problemi causati dalla nostra diversa provenienza etnica, imploriamo il Paraclito perché scenda su tutti noi, così che illuminati da Colui che è luce e vita e fonte spirituale di saggezza, possiamo rivolgerci al mondo che ha sete di un messaggio di verità, purezza e speranza”. (R.P.)

inizio pagina

Siria: il Patriarca Efrem II sfugge a un attentato suicida

◊  

Il patriarca siro-ortodosso Ignatipus Efrem II Karim è sfuggito a un attentato sferrato da un kamikaze, che si è fatto esplodere durante una commemorazione in memoria dell'eccidio Ottomano contro i cristiani assiri (e armeni) in Turchia a inizio ‘900. L’attacco - riferisce l'agenzia AsiaNews - è avvenuto ieri mattina alle 11, mentre si stava svolgendo la celebrazione della Pentecoste ortodossa, nella chiesa di San Gabriele nel quartiere di Al Wusta, a Qamishli, nel nord-est della Siria. Il bilancio è di quattro morti, fra cui curdi e cristiani, e diversi feriti.  

Secondo fonti siriache, obiettivo dell’attentato era il patriarca Efrem II 
Nel corso della celebrazione, il 51enne capo della comunità siro-ortodossa ha benedetto un monumento commemorativo dell'eccidio, meglio noto come il massacro di Sayfo (della spada). Nell’area erano presenti migliaia di fedeli, accorsi per partecipare alla doppia funzione. Testimoni locali affermano che l’assalitore si è fatto esplodere all’esterno dell’edificio, rimanendo ucciso insieme ad altre tre persone; le vittime sarebbero tre guardie delle forze di sicurezza assire Sutoro. Almeno cinque i feriti. 

L'attentato non è stato ancora rivendicato
Al momento non vi sono rivendicazioni ufficiali dell’attentato, di probabile matrice jihadista; già in passato nella zona avevano colpito kamikaze fedeli al sedicente Stato Islamico (Is). Tuttavia, non si possono escludere altre ipotesi considerando il forte significato politico della celebrazione - le tensioni ancora oggi presenti quando si affronta il tema dell'eccidio - e la forte presenza curda in un’area contesa con le forze governative. 

Quarto attentato negli ultimi sei mesi
Quello di ieri è il quarto attacco contro la comunità assira di Qamishli negli ultimi sei mesi. Il 22 maggio scorso un kamikaze dell'Is ha colpito nello stesso distretto, uccidendo almeno cinque persone tre delle quali cristiane assire. Il 24 gennaio due esplosioni hanno investito il quartiere assiro di Qamishli, uccidendo tre fedeli e ferendone altri 20. Infine, tre bombe hanno preso di mira attività commerciali della città il 30 dicembre dello scorso anno, uccidendo 16 persone. 

Gli aramei rischiano l'estinzione in Siria
Diverse personalità della Chiesa e della società civile hanno condannato con forza l’attentato di ieri, che voleva colpire la personalità più importante e in vista della comunità siro-ortodossa. La Federazione degli Aramei (Siriaci) sottolinea in una nota che è compito della “comunità internazionale” proteggere gli aramei “rimasti nella loro madrepatria”. “Non bisogna ignorare - prosegue il comunicato - i pianti strazianti e le richieste di aiuto di una civiltà in estinzione e, al tempo stesso, popolo della Siria”. Centinaia di migliaia di Aramei “hanno già lasciato le loro terre”, conclude la nota, un popolo che ancora oggi lotta “per il riconoscimento e per la sopravvivenza”. (R.P.)

inizio pagina

Iraq. Chiesa caldea: la missione fra jihadismo e migrazione

◊  

Rilanciare l’azione e l’opera pastorale della Chiesa irakena e la missione nel Paese e fra le comunità della diaspora, rafforzando “la nostra fede e la nostra speranza”. Assumersi la “responsabilità” di quanto “sta accadendo” in una nazione e in una regione caratterizzata da “saccheggi, devastazioni, violenze e migrazioni”. Con questo spirito - riferisce l'agenzia AsiaNews - si è aperta oggi la due giorni di summit della Chiesa caldea, che si riunisce il 20 e il 21 giugno a Erbil, nel Kurdistan irakeno, per ripensare all’opera di evangelizzazione e al ruolo del sacerdote nella comunità. Nell’area hanno trovato rifugio centinaia di migliaia di cristiani in fuga da Mosul e dalla piana di Ninive, con l’ascesa del sedicente Stato islamico (Is) nell’estate del 2014.

Rinnovare la missione di fronte ai rapidi cambiamenti politici e sociali dell'Iraq
In una nota pubblicata sul sito del patriarcato caldeo, a firma di Mar Louis Raphael Sako, l’incontro del clero caldeo è presentato come una occasione per riflettere davanti ai “rapidi cambiamenti politici e sociali” che si sono verificati in Iraq nell’ultimo decennio. Dall’invasione statunitense e la successiva caduta del ra’s Saddam Hussein, la nazione ha vissuto un cambiamento che ha “colpito tutti i ceti sociali”. Uno stravolgimento politico, sociale e umano che ha investito “la vita stessa del sacerdote” e che, in questo Anno della misericordia indetto da papa Francesco, deve diventare esso stesso uno spunto per rinnovare la missione. Il futuro della comunità caldea si basa in gran parte sulla qualità del suo clero; ecco perché alla base dell’incontro di Erbil vi è il desiderio da parte dei vertici della Chiesa locale di “trovare un nuovo stile di gestione” delle sfide e rispondere alle necessità dei fedeli “nel Paese natale e nella diaspora”. 

Dare nuova forza alla missione della Chiesa
A questo si aggiunge il proposito di trovare “nuove modalità” per “vivere il cammino sacerdotale”, un servizio che richiede “una preparazione accurata” dal punto di vista culturale e psicologico. “Il sacerdote - si legge nella nota patriarcale - deve essere testimonianza di Cristo” e vivere con la propria gente, condividerne il cuore “non con le parole, ma con il suo esempio”. L’auspicio, conclude il comunicato patriarcale, è che l’incontro del clero caldeo possa “dare nuova forza” alla missione ed essere “fonte di consolazione” per la “sopravvivenza” della comunità cristiana irakena e di “fedeltà” alla “chiamata a Cristo”. 

Successo della Giornata di digiuno in solidarietà con il Ramadan
Alla vigilia dell’incontro del clero il patriarcato caldeo ha infine voluto sottolineare il successo della Giornata di digiuno e preghiera che si è tenuta lo scorso venerdì 17 giugno, in “solidarietà” con i musulmani nel mese sacro di Ramadan. Condividere il digiuno e la preghiera, spiegano fonti del patriarcato, è stato “un messaggio di amore e fratellanza” e un segno di “rispetto” nelle relazioni fra musulmani e cristiani, oltre che un “rifiuto dell’ideologia estremista, della divisione e dell’odio”.  L’invito lanciato da Mar Sako e dalla leadership caldea è stato accolto con favore “da molte chiese a Baghdad e in tutto l’Iraq”, a dispetto di alcune polemiche emerse nei giorni precedenti sull’opportunità di condividere un precetto caratteristico di un’altra fede. 

Altri aiuti alle famiglie degli sfollati in larghissima parte musulmani
​In concomitanza con la Giornata di digiuno e preghiera, il patriarcato caldeo ha infine deciso di stanziare 50mila dollari per l’acquisto di pacchi di cibo e altri generi di prima necessità da destinare alle famiglie sfollate di Anbar e Fallujah, in larghissima maggioranza musulmane. Una iniziativa condivisa da molte famiglie cristiane della capitale, che hanno “dato una mano” in modo “silenzioso” per l’allestimento degli aiuti. (R.P.)

inizio pagina

Nunzio in Venezuela: prima preoccupazione della Chiesa è la pace

◊  

Il nunzio apostolico in Venezuela, mons. Aldo Giordano, ha sottolineato che è compito della Chiesa cercare il dialogo nel Paese, un dialogo per la pace e per soddisfare le necessità della popolazione. "La prima preoccupazione è la pace, come evitare la violenza; come essere utili quando ci sono tensioni, come raggiungere la riconciliazione. Se ci sono problemi con il cibo e le medicine, il Papa vuole aiutare il popolo e sostenere il bene comune" ha detto mons. Giordano durante la sua visita a Guanare, capitale della regione Portuguesa, il 18 giugno.

Nel santuario del Sacro Cuore di Gesù una reliquia di san Giovanni Paolo II
Secondo quanto riferisce l'agenzia Fides, l'arcivescovo era a Guanare per presiedere la Messa in occasione dell’intitolazione a santuario della parrocchia del Sacro Cuore di Gesù. Erano presenti anche l’arcivescovo di Calabozo, mons. Manuel Díaz Sánchez, e il vescovo di Guanare, mons. José de la Trinidad Valera Angulo. Mons. Giordano ha espresso la sua soddisfazione per questa visita al santuario, ristrutturato di recente, dove centinaia di fedeli si riuniscono per pregare e ascoltare la Parola di Dio. "Ho l'onore di portare in questa visita, una reliquia di san Giovanni Paolo II, un grande padre della Chiesa, un grande pastore universale della Chiesa" ha detto il nunzio apostolico consegnando la reliquia.

E' ancora alta la tensione tra governo e opposizione
​In Venezuela cresce ancora la tensione e nei prossimi giorni sono in programma manifestazioni dell’opposizione contro il Governo, per chiedere la convocazione del referendum sulla destituzione del Presidente Maduro. Alcune di queste manifestazioni sono state convocate perché il Consiglio elettorale nazionale (Cen) ha annullato di recente la validità di circa 600.000 firme raccolte dall’opposizione nell’ultimo referendum. (C.E.)

inizio pagina

Burundi: appello di pace dei vescovi del Secam

◊  

Esprimere solidarietà al Burundi in tempi difficili: questo lo scopo della visita compiuta nel Paese da una delegazione del Secam (Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar), dal 9 al 12 giugno. Il Burundi, infatti,  è attraversato da una grave crisi iniziata a maggio 2015, con le proteste della popolazione contro la rielezione, per la terza volta consecutiva, del presidente Nkurunziza. Diverse centinaia di burundesi sono stati uccisi, migliaia sono sfollati, e l’economia è al tracollo, mentre l’Onu parla di “rischio genocidio”. 

Sussidiarietà e collaborazione
Al termine della visita, il Secam ha diffuso un messaggio in cui si ribadisce l’importanza, tra le Chiese africane, del “principio di sussidiarietà”. “Siamo tutti uniti come cristiani e come africani – scrivono i vescovi, esprimendo vicinanza, nella preghiera, ai familiari delle vittime - Qualunque cosa destabilizzi il Burundi, destabilizza anche l’Africa”. Auspicando, quindi, “pace e stabilità politica, sociale ed economica” per Bujumbura, il Secam invita tutti i vescovi africani alla collaborazione in favore della riconciliazione, perché “la pace sarà a beneficio del Paese, ma anche di tutto il continente”.

No alla violenza, agire in solidarietà e preghiera
Al contempo, il Simposio episcopale si dice “consapevole delle sofferenze” patite dal Burundi ed esprime apprezzamento per quanti si sono adoperati e si adoperano tuttora per la pace, “optando per un atteggiamento non violento”: si tratta di un approccio del quale “la Chiesa in Africa è orgogliosa”, perché rappresenta “la sua ricca eredità”, ovvero “la tradizione di impegnarsi in azioni non-violente, a prescindere dal successo o dal fallimento”. “Dopo un conflitto o una fase di instabilità – continua il messaggio – la popolazione ha bisogno di essere guarita e riconciliata. Gli sforzi per la pace, quindi, vanno esercitati nella solidarietà e nella preghiera con i fratelli e le sorelle”.

Non dimenticare i profughi!
Dal suo canto, il Secam promette di “fare di più e stare di più al fianco” del Burundi, così da “rafforzare la costruzione della pace nel Paese”. Di qui, l’appello al governo locale affinché garantisca la partecipazione inclusiva dei cittadini nel processo di riconciliazione ed affronti le eventuali rimostranze in modo pacifico. Forte, inoltre, il richiamo a non dimenticare “l’umiliazione delle persone che vivono nei campi profughi”: “Vi invitiamo – chiedono i vescovi ai governanti – a trovare il modo di riportare queste persone a casa, affinché possano vivere in modo dignitoso”.

Cristiani si impegnino per la pace
A vescovi, sacerdoti e cristiani tutti del Burundi, il Secam chiede, invece, “la responsabilità di compiere il primo passo” del processo di pace, perché “solo un vero impegno che coinvolge tutta la Chiesa può rendere positivo questo percorso”, sempre nell’ottica della non-violenza e della piena collaborazione tra fedeli e pastori. Anche la comunità internazionale, attraverso l’Unione Africana, viene chiamata in causa, affinché “sostenga il dialogo per la riconciliazione del popolo del Burundi, consentendogli di impegnarsi in iniziative di sviluppo e nel progresso della nazione”.

No al commercio delle armi. Fermare lo spargimento di sangue
​Al contempo, il Secam “condanna quelle influenze negative esterne che interferiscono non solo con il Burundi, ma anche con gli altri Paesi della regione e dell’Africa”. “Diciamo no al commercio delle armi che viene utilizzato per provocare violenze nel continente – esortano i vescovi – Chiediamo l’intervento dell’Unione Africana, dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite per frenare la proliferazione delle armi leggere e domandiamo ad nostri fratelli africani di far tacere il clamore delle guerre e di fermare lo spargimento di sangue nel continente”. Il messaggio del Secam si conclude con l’invito alla preghiera comune per la pace in Burundi, perché “tutti siamo uno in Cristo”. (I.P.)

inizio pagina

Vescovi Sud Sudan: lavorare per ricostruire il Paese

◊  

“Non è il tempo delle recriminazioni. Non indugiate nelle critiche distruttive; invece rimboccatevi le maniche e andate a lavorare per costruire una nuova nazione per voi, per i nostri figli e i figli dei nostri figli” esortano i vescovi del Sud Sudan, nel messaggio “d’incoraggiamento” pubblicato al termine della loro Assemblea tenutasi a Juba dal 14 al 16 giugno scorsi.

I vescovi invitano i fedeli ad appoggiare i leader della nazione
Ricordando l’insediamento del governo di unità nazionale nato dagli accordi di pace dell’agosto 2015 tra il Presidente Salva Kiir e il vice Presidente Riek Machar - riporta l'agenzia Fides - i vescovi invitano i fedeli ad appoggiare i leader della nazione. “Sosteneteli e incoraggiateli ad andare oltre i loro interessi personali. Rassicurateli che la nazione e la comunità internazionale comprende la loro situazione” affermano nel messaggio. “Sono esseri umani, figli e figlie di Dio. Trattiamoli con amore e misericordia, non con odio e riprovazione. La priorità ora è riformare e ricostruire la nostra nazione a pezzi”. Per questo i vescovi esortano tutti a “non diffondere discorsi infiammatori e il tribalismo attraverso internet e i social media e invece a propagare messaggi di pace. Lo diciamo chiaramente: basta negatività!”.

I vescovi  chiedono una tregua e miglioramento di economia e servizi di base
Tra le priorità che il governo deve affrontare, i vescovi indicano il cessate il fuoco in tutto il Paese, il miglioramento dell’economia e l’erogazione di servizi di base per risolvere la grave situazione umanitaria. “La popolazione vive ancora nella paura, diversi lavoratori non sono pagati, e molte famiglie sono prive di cibo. È particolarmente pericoloso quando l’esercito e altre forze di sicurezza non ricevono gli stipendi, perché potrebbe aggravare l’insicurezza”.

Ricordata la suora uccisa per i colpi sparati da alcuni militari
​Nel ricordare suor Veronika Theresia Racková, morta dopo giorni di agonia per le ferite inflitte dai colpi sparati da alcuni militari, i vescovi sottolineano che suor Veronica “è solo una delle migliaia di donne, uomini e bambini che sono stati uccisi in questo conflitto insensato”. Il documento conclude invitando Salva Kiir e Riek Machar a compiere gesti che rassicurino la popolazione sul loro impegno definitivo per la pace, pregando insieme, girando per il Paese ad incontrare la popolazione, prestando particolare attenzione agli sfollati. (L.M.)

inizio pagina

Vescovi Usa. Giornata del rifugiato: appello a non dimenticare

◊  

Non dimenticare: così, in sintesi, si può riassumere l’appello lanciato da mons. Eusebio Elizondo, presidente della Commissione episcopale per le Migrazioni della Chiesa cattolica degli Stati Uniti (Usccb), per l'odierna Giornata mondiale del rifugiato. In una nota diffusa sul sito dei vescovi, il presule invita i cattolici a ricordare che ci sono molti tipologie di rifugiati nel mondo.

Focus sui migranti minori non accompagnati
Se è vero, infatti, che negli ultimi anni l’attenzione globale si è rivolta alla crisi dei rifugiati in Siria ed al suo impatto su Medio Oriente, Europa e Stati Uniti, è altrettanto vero, però – sottolinea mons. Elizondo – che “l’aumento delle migrazioni provenienti dall’America Centrale, riguardante soprattutto minori non accompagnati e famiglie, è una preoccupazione costante della Chiesa cattolica statunitense”.

Sfollati in condizioni precarie in tutto il mondo
Allo stesso modo, mons. Elizondo esorta a non dimenticare “i milioni di altri profughi e sfollati che, in tutto il mondo, sono stati costretti ad abbandonare le proprie case ed a vivere in situazioni precarie”. Per questo, oggi a Washington, si terrà un incontro durante il quale i rifugiati potranno condividere le loro storie personali, mentre numerosi esperti li aiuteranno a comprendere come procedere nel percorso di re-insediamento. Ulteriori appuntamenti saranno condivisi sulla pagina Facebook della Usccb. (I.P.)

inizio pagina

Roma, apre 7.mo Festival internazionale del Film cattolico

◊  

Ha inizio oggi a Roma la settima edizione del Festival Internazionale del Film Cattolico (Mirabile Dictu), la manifestazione ideata dalla regista e produttrice Liana Marabini per dare spazio ai produttori e ai registi di film, documentari, docufiction, serie tv, cortometraggi e programmi che promuovono valori morali universali e modelli positivi. 

Il Festival conta quattro categorie in concorso
Nato nel 2010 sotto l’Alto Patronato del Pontificio Consiglio della Cultura, il Festival si svolge da oggi al 23 giugno e conta quattro categorie in concorso (miglior film, miglior documentario, miglior cortometraggio, miglior regista), ai vincitori delle quali andrà in premio il prestigioso Pesce d’Argento, ispirato al primo simbolo cristiano. Il Premio alla Carriera sarà quest’anno attribuito al produttore televisivo italiano Bibi Ballandi.

Scopo del Festival, portare le pellicole finaliste sul grande e piccolo schermo
Mirabile Dictu proietta i film in competizione finale per la giuria e i distributori, facilitando poi i contatti diretti tra questi ultimi e i produttori, con lo scopo di portare le pellicole finaliste sul grande e piccolo schermo, nella distribuzione home video, della pay per view e di Internet. Le proiezioni hanno luogo fino a mercoledì prossimo presso Palazzo Cesi, in via della Conciliazione, mentre la cerimonia di premiazione, condotta dal giornalista Armando Torno, si svolgerà nella sera del 23 giugno presso il Palazzo della Cancelleria.

Il film è un ottimo strumento di evangelizzazione
“Dobbiamo evangelizzare con tutti i mezzi a nostra disposizione e il film è un buon strumento: arriva in tutte le case ed è compreso da tutti, anche da coloro che non amano leggere – spiega la presidente del Festival Liana Marabini –. Anche quest’anno il numero di film ricevuti è davvero impressionante: più di 1.000 – prosegue –. Qualche anno fa, i film con soggetto cattolico erano davvero pochi: ci piace pensare che il nostro Festival ha contribuito in qualche modo a dare speranza e coraggio a quanti si impegnano nella realizzazione di questo tipo di prodotto. Nell’industria del cinema non è facile, eppure negli ultimi anni assistiamo ad una produzione sempre crescente di film a soggetto biblico in generale e cattolico in particolare”.

Un film può suscitare conversioni e vocazioni 
“Conosciamo più di un caso di persone convertite alla fede grazie ad un film – aggiunge la presidente Marabini –. E anche persone la cui vocazione sacerdotale è stata suscitata da un film. Incoraggiare e valorizzare le vocazioni deve essere un impegno di tutti i giorni, di tutti noi, perché i sacerdoti hanno una missione difficile ed essenziale per migliorare il mondo. E non dimentichiamo che Gesù era un sacerdote”. (R.P.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 172

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.