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Sommario del 22/06/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: toccare poveri e esclusi purifica dall'ipocrisia

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“Quando ci presentiamo a Gesù non è necessario fare lunghi discorsi, bastano poche parole purchè piene di fiducia”. Così il Papa nella catechesi dell’udienza generale di oggi- l'ultima prima della pausa estiva- in cui la parabola del lebbroso purificato da Gesù per la sua fede, offre al Pontefice l’occasione  per lanciare un appello contro l’esclusione: "toccare il povero", dice Francesco, "può purificarci dall’ipocrisia". Poi il riferimento ai rifugiati:un gruppo proveniente dall’Africa, siede insolitamente ai suoi piedi e il Papa non esita a dire “sono nostri fratelli, il cristiano non esclude nessuno”. Il servizio di Gabriella Ceraso

Salgono con Francesco sul Sagrato della Basilica di S. Pietro e si siedono ai suoi piedi. E’ una scena inconsueta a segnare l’udienza generale di oggi: un gruppo di giovani immigrati africani assistiti dalla Caritas di Firenze con uno striscione che chiede vicinanza aspettano il Papa scendere dalla jeep e lui li accoglie e li porta con sé perché ascoltino, assieme agli oltre 15 mila fedeli presenti, il “segno” della misericordia che è nella parabola del lebbroso dell’evangelista Luca.

Davanti a Gesù non servono tante parole, ma la fede
“Se vuoi puoi purificarmi”. E’ una richiesta di “risanamento nel corpo e nell’anima” che il lebbroso rivolge a Gesù, perché quest’uomo “aveva una vita triste”, osserva Francesco, in quanto ritenuto impuro per la maledizione della malattia e costretto a tenersi lontano da tutti, da Dio e dagli uomini. Eppur,e quel lebbroso non si rassegna e infrange anche la legge, entrando in città, pur di raggiungere Gesù, e lo fa per fede:

“Riconosce la potenza di Gesù: è sicuro che abbia il potere di sanarlo e che tutto dipenda dalla sua volontà. Questa fede è la forza che gli ha permesso di rompere ogni convenzione e di cercare l’incontro con Gesù e, inginocchiandosi davanti a Lui, lo chiama 'Signore'. La supplica del lebbroso mostra che quando ci presentiamo a Gesù non è necessario fare lunghi discorsi. Bastano poche parole, purché accompagnate dalla piena fiducia nella sua onnipotenza e nella sua bontà. Affidarci alla volontà di Dio significa infatti rimetterci alla sua infinita misericordia".

Anche il Papa la sera prega come il lebbroso
Ma perchè non fare ciascuno di noi a Gesù la stessa preghiera del lebbroso? E’ il Papa stesso a chiederlo e a farlo ogni giorno, come rivela in confidenza ai fedeli:

“La sera, prima di andare a letto, io prego questa breve preghiera: ‘Signore, se vuoi, puoi purificarmi!’. E prego cinque ‘Padre nostro’, uno per ogni piaga di Gesù, perché Gesù ci ha purificato con le piaghe. Ma se questo lo faccio io, potete farlo voi anche, a casa vostra, e dire: ‘Signore, se vuoi, puoi purificarmi!’ e pensare alle piaghe di Gesù e dire un 'Padre nostro' per ognuna. E Gesù ci ascolta sempre”.

Il racconto evangelico rivela però che è anche Gesù ad essere “profondamente colpito dal lebbroso”, tanto da tendere la mano e “persino toccarlo”, infrangendo così la Legge di Mosè che proibiva di avvicinarsi a un simile malato. E anche qui lo sguardo del Pontefice va al nostro quotidiano, illuminato dall’insegnamento di Gesù:

Toccare poveri e esclusi ci purifica da ipocrisia
“Quante volte noi incontriamo un povero che ci viene incontro! Possiamo essere anche generosi, possiamo avere compassione, però di solito non lo tocchiamo. Gli offriamo la moneta, ma evitiamo di toccare la mano. E dimentichiamo che quello è il corpo di Cristo! Gesù ci insegna a non avere timore di toccare il povero e l’escluso, perché Lui è in essi. Toccare il povero può purificarci dall’ipocrisia e renderci inquieti per la sua condizione”.

“Toccare gli esclusi”, è questo che sta a cuore al Papa: e oggi gli esclusi sono anche giovani, come gli africani, immigrati, rifugiati, che sono sul sagrato della Basilica. “Molti pensano”, osserva Francesco, “che è meglio rimangano nei loro Paesi, luoghi però di sofferenza". Da qui l’appello:

“Sono i nostri rifugiati, ma tanti li considerano esclusi. Per favore, sono i nostri fratelli! Il cristiano non esclude nessuno, dà posto a tutti, lascia venire tutti”.

Prendere atto delle nostre miserie
Concludendo la parabola del lebbroso, il Papa osserva che Gesù dopo la guarigione lo invita a “non parlarne con nessuno”, ma ad andare a “mostrarsi al sacerdote”. Ed è da questa disposizione di Gesù che il Papa sottolinea tre aspetti: la grazia che agisce in noi non “ricerca il sensazionalismo”; la riammissione dell’escluso nella comunità ne completa la guarigione e ne fa un testimone di Gesù. La grazia dunque ci guarisce nel profondo :

“La forza della compassione con cui Gesù ha guarito il lebbroso ha portato la fede di quest’uomo ad aprirsi alla missione. Era un escluso, adesso è uno di noi.”

Dunque, la preghiera del lebbroso sia il nostro modo di rivolgerci a Dio, prendendo atto delle nostre miserie, "senza coprirle con le buone maniere". Questo l'invito con cui il Papa conclude l'udienza ripetendo per tre volte assieme a una piazza gremita che prega, con lui, all'unisono: “Signore se vuoi puoi purificarmi”.

A conclusione dell'udienza generale, il Papa ha ringraziato in particolare la "Villetta della misericordia" del policlinico Gemelli,"dormitorio per persone senza fissa dimora, gestita dalla comunita' di Sant'Egidio, opera concreta di questo Giubileo straordinario", e i protagonisti della Giostra del Saracino di
Arezzo, quest'anno dedicata al tema della Misericordia.

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Papa dedica la Giornata del rifugiato 2017 ai minori soli

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“Migranti minorenni, vulnerabili e senza voce” è il tema scelto da Papa Francesco per la prossima Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che verrà celebrata il 15 gennaio 2017. Con questo tema, sottolinea un comunicato del dicastero vaticano che si occupa dei migranti, il Papa vuole focalizzare l’attenzione su quei bambini che arrivando soli nei Paesi di destinazione, “non sono in grado di far sentire la propria voce e diventano facilmente vittime di gravi violazioni dei diritti umani”.

“È necessario garantire – sottolinea la nota – che in ogni Paese i migranti in arrivo, e le loro famiglie, godano del pieno riconoscimento dei propri diritti. Ciò che preoccupa maggiormente è la condizione dei minori nel contesto della migrazione internazionale. Infatti, i bambini e le donne rappresentano le categorie più vulnerabili all’interno di questo grande fenomeno e proprio i minorenni sono i più fragili, spesso invisibili perché privi di documenti o senza accompagnatori”.

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Francesco: pena di morte inammissibile, non fa giustizia

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“Spero che questo Congresso possa dare nuovo impulso all'impegno per l'abolizione della pena capitale”. È l’auspicio col quale Papa Francesco chiude il videomessaggio inviato al Congresso mondiale contro la pena di morte apertosi, oggi nella capitale norvegese di Oslo. La sintesi del pensiero del Papa nel servizio di Alessandro De Carolis

La pena di morte? Qualsiasi sia il reato, “è inammissibile”. Papa Francesco è netto nello stigmatizzare il ricorso a una pratica per arginare la quale, riscontra con soddisfazione, si registra una “crescente opposizione”, “anche come strumento legittimo di difesa sociale”.

Non giustizia ma vendetta
Francesco si congratula con organizzatori e partecipanti di ogni ordine e grado presenti a Oslo per il Congresso mondiale contro la pena di morte. Il Papa è diretto: uccidere un reo non ha niente a che vedere con la giustizia perché in sostanza, dice, stimola a considerare un condannato con implacabile disumanità e quasi mai come qualcuno che possa riscattarsi:

“Oggi, infatti, la pena di morte è inammissibile, per quanto sia grave il reato commesso dal condannato. È un affronto all’inviolabilità della vita e della dignità della persona umana che contraddice il disegno di Dio sull'uomo, la società e la sua giustizia misericordiosa (...). Essa non rende giustizia alle vittime, ma incoraggia la vendetta. Il comandamento 'Non uccidere' ha un valore assoluto e riguarda sia l'innocente e il colpevole”.

Giustizia vuol dire riabilitare
Nell’Anno in cui la Chiesa parla la lingua della misericordia, il Papa riconosce “una buona occasione per promuovere nel mondo forme sempre più mature di rispetto per la vita e la dignità di ogni persona”, giacché – ripete – “il diritto inviolabile alla vita, dono di Dio, appartiene anche a chi ha commesso un crimine”:

“Vorrei incoraggiare tutti a lavorare non solo per l'abolizione della pena di morte, ma anche per il miglioramento delle condizioni della detenzione, a rispettare pienamente la dignità umana delle persone private della libertà. ‘Fare giustizia’ non significa una pena fine a se stessa, ma che le pene hanno come scopo principale la riabilitazione del reo”.

Pena senza speranza è tortura
La questione, conclude Francesco, deve essere “inquadrata nell’ottica di una giustizia penale aperta alla speranza di reinserimento del reo nella società”:

“Non c'è nessuna pena valida senza la speranza! Una pena chiusa in se stessa, che non porta alla speranza, è una tortura, non una pena”.

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Papa: Benedetto XVI, maestro della teologia in ginocchio

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Benedetto XVI, ovvero l’esempio più grande di cosa voglia dire fare “teologia in ginocchio”. Papa Francesco firma la prefazione di un libro del Pontefice emerito con una serie di considerazioni sulla testimonianza offerta da Papa Benedetto sul valore della preghiera, cuore di ogni vita sacerdotale. Il volume, edito da Cantagalli, si intitola “Insegnare e imparare l’amore di Dio” ed è il primo di una collana di testi di Benedetto XVI. Il testo della prefazione di Francesco è stato anticipato dl quotidiano La repubblica. Lo riassume in questo servizio Alessandro De Carolis:

È il “fattore decisivo” di un uomo che si consacra a Dio nel sacerdozio. Non il saper fare, anche senza risparmio di energie. Non la “gestione degli affari correnti”. Il fattore decisivo è lo stare “in ginocchio” a “pregare per gli altri, senza interruzione, anima e corpo”, costantemente immersi in Dio, “con il cuore sempre rivolto a Lui, come un amante che in ogni momento pensa all’amato, qualsiasi cosa faccia”. Perché un sacerdote ha la verità del suo ministero dell’“incarnare la presenza di Cristo” fra la gente, altrimenti “non è più vero niente, tutto diventa routine, i sacerdoti quasi stipendiati, i vescovi burocrati e la Chiesa non Chiesa di Cristo, ma un prodotto nostro, una ong in fondo inutile”.

Con la franchezza che gli è propria, Papa Francesco celebra di Benedetto XVI l’esemplarità del suo essere sacerdote – il 28 giugno saranno 65 anni – testimoniata in modo “luminoso” dal Papa emerito soprattutto negli ultimi tre anni, da quando egli stesso – spiegando le ragioni della rinuncia al ministero petrino – affermò di sentirsi chiamato “a salire sul monte” per dedicarsi alla preghiera e alla meditazione.

“Si vede che è un uomo che veramente crede, che veramente prega; si vede che è un uomo che impersona la santità, un uomo di pace, un uomo di Dio”, riconosce Francesco all’inizio della prefazione, ponendo in risalto come senza quel “profondo radicamento in Dio” sarebbero inutili “capacità organizzativa” e denaro, “presunta superiorità intellettuale” e potere. In Papa Benedetto, ripete Francesco, si coglie limpida “l’essenza dell’agire sacerdotale” e “forse è proprio vero – osserva – che egli ci impartisce nel modo più evidente una tra le sue più grandi lezioni di ‘teologia in ginocchio’”.

Il “vero pregare” che mostra Papa Benedetto con “la sua testimonianza”, prosegue ancora Francesco, non è né “l’occupazione di alcune persone ritenute particolarmente devote e magari considerate poco adatte a risolvere problemi paratici” né, all’opposto, “quel ‘fare’ che invece i più ‘attivi’ credono sia l’elemento decisivo del nostro servizio sacerdotale, relegando così di fatto la preghiera al ‘tempo libero’”. E nemmeno, soggiunge, pregare può essere considerata “una buona pratica per mettersi un po’ in pace la coscienza, o solo un mezzo devoto per ottenere da Dio quello che in un dato momento crediamo ci serva”. “No”, ribadisce Francesco, la preghiera “è il fattore decisivo”, l’“intercessione di cui la Chiesa e il mondo – e tanto più in questo momento di vero e proprio cambio d’epoca – hanno bisogno più che mai, come il pane, più del pane”.

“Perché senza il legame con Dio – annota Francesco citando lo stesso Benedetto XVI – siamo come satelliti che hanno perso la loro orbita e precipitano impazziti nel vuoto, non solo disgregando se stessi, ma minacciando anche gli altri”.

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Armenia. L'ambasciatore Minasyan: il Papa non ci lascia soli

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Alla vigilia della storica visita di Papa Francesco in Armenia, l’atmosfera che si respira, in particolare ad Erevan e a Gyumri, è quella delle grandi occasioni. Per un popolo che ha tanto sofferto, l’arrivo del Santo Padre sarà un’occasione importante per rilanciare il messaggio di pace, non solo nel Paese, ma in tutto il Medio Oriente. Ne è convinto l’ambasciatore della Repubblica d'Armenia presso la Santa Sede, Mikayel Minasyan, intervistato da Davide Dionisi

R. – E’ stato un viaggio di preparazione molto lungo e molto interessante. Per noi armeni, sia quelli nel Paese che quelli sparsi in tutto il mondo, è un viaggio storico, ennesima testimonianza della vicinanza del Santo Padre al popolo armeno, della vicinanza a un popolo che è cresciuto, ha sofferto, è vissuto, morto e risorto da cristiano. Ed è un viaggio per noi molto simbolico e anche storico, perché è il primo viaggio di Papa Francesco nella regione, in una regione molto torturata da vicende storiche, vicende religiose e territoriali. E noi speriamo e preghiamo perché questo viaggio sia un viaggio simbolico per la pace.

D. – Che idea hanno, gli armeni, di Papa Francesco?

R. – E’ una domanda molto complessa. La prima cosa che mi viene in mente è un’idea di gratitudine. Io non posso non menzionare la Messa papale del 12 aprile 2015. Questo non è stato solo un gesto di vicinanza, non è stato solo un gesto di solidarietà: questo è stato un gesto di amore, di rispetto e di memoria. Gli armeni, quindi, che verranno nel Paese da tutto il mondo e che seguiranno questo viaggio aspettano Papa Francesco per dire “grazie”, un semplice ed umano “grazie”.   

D. – Che cosa lascerà, secondo lei, la visita di Papa Francesco agli armeni, e non solo agli armeni, per quanto riguarda i rapporti con la Chiesa apostolica, il dialogo interreligioso e i rapporti con gli altri Stati?

R. – Cosa lascerà il viaggio di Sua Santità in Medio Oriente, direi. Essendo, infatti, gli armeni presenti in tutto il Medio Oriente, lo vivono come un messaggio di vicinanza e di pace. Noi non vogliamo essere lasciati soli e vogliamo la presenza del mondo nelle nostre terre, nelle nostre anime. La Chiesa armeno-apostolica è una Chiesa che vive in una realtà abbastanza difficile – continua a vivere in Siria, in Iraq e in tutto il Medio Oriente – e questo viaggio noi lo viviamo anche come un messaggio simbolico della vicinanza a tutti i popoli cristiani di Medio Oriente, non solo agli armeni.

D. – Quanto può incidere, secondo lei, il dialogo interreligioso per la pace in Medio Oriente?

R. – E’ l’unica via, e noi armeni sappiamo come vivere, come creare questa vita quotidiana, dialogando con le persone non cristiane oppure non credenti. L’unico modo, infatti, per poter convivere è parlare.

D. – Abbiamo ascoltato in questi giorni, oltre all’apprezzamento nei confronti del Santo Padre, un termine, che ricorre molto spesso anche tra il popolo armeno: “leader”…  

 R. – Sicuramente, Papa Francesco è un leader e non lo dico solo io, lo dicono tutte le statistiche, tutte le agenzie internazionali. In questo periodo, in cui il mondo ha bisogno di leader, perché c’è una fortissima mancanza e carenza, Papa Francesco è un leader indiscusso. E non è solo un leader religioso, ma anche un leader di pensiero, un leader di spirito e – aggiungerei anche una mia valutazione – è un leader coraggioso.

D. – Che cosa direbbe al Santo Padre qualora avesse la possibilità, avrà la possibilità, di incontrarlo nella sua terra?

R. – Tradurrei un detto molto bello dall’armeno: “Che sia benedetto il suo piede su questa terra”.

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Nomine episcopali in Brasile e nelle Isole Salomone

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In Brasile, Papa Francesco ha nominato vescovo della diocesi di São Carlos mons. Paulo Cezar Costa, finora Vescovo titolare di Esco ed Ausiliare dell’arcidiocesi di São Sebastião do Rio de Janeiro. Il neo presule è nato il 20 luglio 1967 a Valença, nell’omonima diocesi. Ha compiuto gli studi di Filosofia nel Seminario “Nossa Senhora do Amor Divino”, a Petrópolis, e quelli di Teologia nell’Istituto Superiore di Teologia dell’arcidiocesi di Rio de Janeiro. Ha poi ottenuto la Licenza e il Dottorato in Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma (1996-2001). Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 5 dicembre 1992 ed è stato incardinato nella diocesi di Valença. Nel corso del suo ministero sacerdotale ha svolto i seguenti incarichi: Vicario Parrocchiale a Paraíba do Sul (1993); Parroco della parrocchia “São Sebastião dos Ferreiros” a Vassouras (1994-1996), Parroco della parrocchia “Santa Rosa de Lima” a Valença (2001-2006); Direttore e Professore del Dipartimento di Teologia della Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro (2007-2010); Rettore del Seminario Interdiocesano “Paulo VI” e Direttore dell’Istituto di Filosofia e Teologia “Paulo VI” a Nova Iguaçu (2006-2010). Il 24 novembre 2010 è stato nominato Vescovo titolare di Esco ed Ausiliare dell’arcidiocesi di São Sebastião do Rio de Janeiro, ed ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 5 febbraio 2011.

Sempre in Brasile, il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Roraima mons. Mário Antônio da Silva, finora Vescovo titolare di Arena ed Ausiliare dell’arcidiocesi di Manaus. Mons. Da Silva è nato il 17 ottobre 1966 ad Itararé, nella diocesi di Itapeva, nello Stato di São Paulo. Ha studiato Filosofia e Teologia presso il Seminario diocesano Divino Mestre a Jacarezinho (1985-1991). Ha poi ottenuto la Licenza in Teologia Morale presso l’Accademia Alfonsiana in Roma (1996-1998). Il 21 dicembre 1991 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale ed è stato incardinato nella diocesi di Jacarezinho, nella quale ha svolto i seguenti incarichi: Direttore Spirituale (1992-1993) e poi Rettore del Seminario Minore Nossa Senhora da Assunção (1994-1996); Coordinatore della Pastorale vocazionale (1993-1996); Professore di Teologia Morale e Direttore Spirituale del Seminario Maggiore Divino Mestre; Vicario Parrocchiale; Parroco e Cancelliere. Il 9 giugno 2010 è stato nominato Vescovo Ausiliare dell’arcidiocesi di Manaus ed ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 20 agosto successivo. Al presente è Presidente del Regionale Norte 1 della CNBB.

Nelle Isole Salomone il Pontefice ha accolto la rinuncia al governo pastorale dell’Arcidiocesi di Honiara, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Adrian Thomas Smith, S.M. Al suo posto, Francesco ha nominato mons. Christopher Cardone, O.P., finora vescovo di Auki. Il presule è nato il 20 dicembre 1957 a Long Island, New York, negli Stati Uniti d’America. Dopo gli studi nel Collegio Dominicano (Rode Island), ha emesso la professione religiosa il 15 agosto 1981. Ha completato gli studi presso la “Dominican House of Studies” (Washington D.C.), prima di venire ordinato presbitero il 30 maggio 1986. Dopo l’ordinazione, ha lavorato per due anni come Vicario parrocchiale a Madeira, Cincinnati (Ohio). Nel 1988 si è trasferito nel Vicariato dominicano nelle Isole Salomone e Papua Nuova Guinea, dove ha svolto i seguenti incarichi: 1988: assistente a Nila; 1988-1995: amministratore della chiesa di S. Pietro a Gizo, direttore delle vocazioni; 1995-2000: parroco a Noro; 2000-2001 parroco a Nila. Il 13 marzo 2001 è stato eletto Vescovo tit. di Tuburnica ed Ausiliare di Gizo. Il 19 ottobre 2004 è stato trasferito alla Diocesi di Auki.

Papa Francesco ha nominato prelato segretario e membro ordinario della Pontificia Accademia di San Tommaso d'Aquino mons. Guido Mazzotta, decano della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Urbaniana in Roma.

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Papa, tweet: cristiano è chi lega tutta la sua vita a Gesù

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Essere cristiani significa legare la propria vita, in ogni suo aspetto, alla persona di Gesù e, attraverso di Lui, al Padre”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina: Posto per tutti. All’udienza generale il Papa lancia un nuovo appello per l’accoglienza dei migranti. E in un videomessaggio definisce la pena di morte un’offesa all’inviolabilità della vita.

La Brexit, Harry Potter e i mostri. Alla vigilia del voto per l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue di Giuseppe Fiorentino.

Massacro senza fine. Ritrovata una fossa comune con cinquanta vittime dell’Is nella città irachena di Tikrit.

A pagina 4: Preghiera fattore decisivo. La prefazione di Papa Francesco a un’antologia di testi del suo predecessore sul sacerdozio.

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Oggi in Primo Piano



Vigilia del referendum sulla Brexit: attesa e commenti dal mondo

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Fiato sospeso alla vigilia del voto di domani, giovedì 23 giugno, in Gran Bretagna, sulla permanenza o meno del Paese nell’Unione Europea: il referendum di tipo consultivo sulla cosiddetta Brexit. Circa 50 milioni gli elettori. Gli ultimi commenti e una scheda sul referendum  nel servizio di Debora Donnini: 

Il quesito e i sostenitori
To leave or not to leave. Domani i cittadini britannici si troveranno davanti a questa decisione cruciale per il destino del loro Paese: scegliere fra il “Remain”, rimanere nell’Unione Europea, o il “Leave”, lasciarla. Il Fronte dei favorevoli alla permanenza è sostenuto dai partiti di centrosinistra, con alcune differenze, mentre quello dei contrari, è guidato da un dirigente dei Conservatori, l’ex sindaco di Londra Boris Johnson  appoggiato dall’Ukip, il partito per l’Indipendenza del Regno Unito. Il Partito conservatore ha, invece, lasciato libertà di scelta, ma il suo leader, il premier Cameron, che ha voluto il referendum, ora sostiene attivamente la Campagna per stare nell’Ue. Nel suo ultimo appello ha detto che l’uscita dall’Ue sarebbe irreversibile. Nigel Farage, leader dell' Ukip, afferma che domani sarà un "independence day" per i britannici

I temi
Il Fronte del “Leave” ritiene che Bruxelles abbia troppo potere sui Paesi membri e ha cavalcato principalmente la questione dell’immigrazione. Il Fronte del “Remain”, invece, si è concentrato sui benefici economici che vengono dal permanere nell’Ue e sui problemi che nascerebbero da un eventuale uscita.

Chi vota
Il referendum si svolge nel Regno Unito e a Gibilterra. Votano anche coloro che sono espatriati da non più di 15 anni.

I sondaggi
Gli ultimi sondaggi danno il “Leave” avanti di un punto rispetto al “Remain”, ma di fatto si registra un’oscillazione e per Cameron non si può dire cosa succederà. L’11% circa degli elettori sono ancora indecisi. La campagna elettorale è stata segnata anche dall’uccisione della deputata laburista pro-Ue, Jo Cox, per mano di  un estremista di destra.

I risultati
I primi risultati del voto di domani arriveranno all’alba di venerdì e quelli definitivi, si prevede, tra le 8 e le 9 ora italiana.

Preoccupazione sui mercati finanziari mondiali
Sicuramente alta è la preoccupazione per il riflesso sui mercati di un eventuale uscita della Gran Bretagna. Ieri a Washington il vertice tra tutte le autorità di vigilanza del settore finanziario. Anche la Cina guarda con attenzione. Londra è attualmente il secondo partner commerciale di Pechino in Europa dopo l’Italia. Il Fondo Monetario Internazionale stima un calo del Pil fra il 2 e il 4,5% in Gran Bretagna, con la vittoria del "Leave". Lancia un monito anche il finanziere di fama internazionale, George Soros: se vince Brexit, il venerdì sarà un giorno nero per i mercati.

Reazioni nell’Unione Europea
La Banca Centrale è pronta ad ogni evenienza, sottolinea il presidente della Bce, Mario Draghi. Tanti gli appelli da leader e ministri dell’Ue. Per il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, la Brexit sarebbe un “atto di automutilazione” per i britannici. Per l’ex-presidente della Commissione, Romano Prodi, favorevole al “Remain”, oramai abbiamo un’Europa a più velocità.

Reazioni in Italia
Dall’Italia, il premier Matteo Renzi parla di scelta sbagliata mentre il presidente della Conferenza episcopale, il card. Angelo Bagnasco, dice: l'uscita del Regno Unito dall'Ue "certo non è un bene perché dividersi non è mai un bene. Così come non è un bene voler fare i padroni".

I quotidiani britannici
La stampa britannica si divide. Il Times, The Guardian, The Independent e altri sono a favore della permanenza mentre il quotidiano più venduto, The Sun, The Daily Telegraph, The Sunday Times, edizione domenicale di The Times, e il Daily Mail si pronunciano per l’uscita dall’Ue.

La parola ora spetta agli elettori che domani si potranno pronunciare dalle 7 alle 22.

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Condanna internazionale a test missilistico della Nord Corea

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Ferma condanna di Stati Uniti, Giappone e Nato al doppio test missilistico effettuato nelle ultime ore dalla Corea del Nord nei pressi di Wonsan, sulle coste del Mar del Giappone. Il lancio dei razzi a media gittata, alla presenza del leader nordcoreano Kim Jon-un, è avvenuto quando a Pechino, dopo quattro anni di stallo, sono ripresi i colloqui a sei – tra Cina, Usa, Giappone, Russia e due Coree – dedicati alla questione nucleare di Pyongyang. Quali sono dunque gli obiettivi di tali test? Risponde Romeo Orlandi, vicepresidente di “Osservatorio Asia”, intervistato da Giada Aquilino

R. – Due obiettivi: uno tecnico-militare e l’altro politico. Quello tecnico-militare è la riproposizione di esperimenti che sono necessari per raggiungere padronanza tecnica tale da poter lanciare questi missili e per far portare loro delle armi o addirittura delle testate nucleari. Poi, il motivo per cui si fanno a ripetizione questi lanci è anche per incutere timore: e questo è l’aspetto più politico. Il regime mostra i muscoli e fa vedere che può sedersi al tavolo della trattativa quando vorrà e con una maggiore leva negoziale, che è appunto quella del rischio che qualche lancio possa colpire delle città.

D. – Uno dei missili si sarebbe avvicinato alla soglia minima per poter affermare la riuscita di un lancio. Che pericoli ci sono di fatto?

R. – Al di là degli aspetti esterni - il più importante dei quali è la perdita di influenza della Cina sulla Corea del Nord, come se la Corea del Nord ora per la Cina rappresentasse più un rischio che un ‘asset’ - secondo me, andrebbe vista la lotta che c’è all’interno della Corea del Nord e della quale sappiamo poco: c’è chi vorrebbe schierarsi con la Russia, chi con la Cina, chi vorrebbe trovare una pace negoziata con gli Stati Uniti e con la Corea del Sud. Quindi probabilmente questo lancio serve anche a mettere ordine all’interno e a ristabilire la potenza, il comando e il rigore di Kim Jon-un.

D. – E’ un caso che i lanci siano avvenuti in concomitanza con la ripresa a Pechino dei colloqui a sei sulla Corea del Nord, dopo ben quattro anni?

R. – No. Non credo che sia un caso. È vero che ci sono delle finestre metereologiche che consentono alcuni lanci, però credo che il segnale sia inequivocabile: la Corea del Nord c’è, è potente e mostra i muscoli. Senza opinione pubblica, senza opposizione all’interno, almeno non diffusa, e con una forza di autodifesa significativa, questo regime può continuare ancora. Anche se non sappiamo per quanto tempo.

D. – Quindi la linea strategica, militare, geopolitica di Pyongyang quale sarà nelle prossime settimane e nei prossimi mesi?

R. – Dimostrare che è forte, per mettersi così al tavolo delle trattative in maniera appunto più redditizia.

D. – Quali sono i Paesi che fanno da controparte negoziale?

R. – E’ chiaro che sono molti, sono tutti quelli riuniti a Shanghai, ma io direi che la leva l’hanno in mano gli Stati Uniti e la Cina. La vera novità di questi ultimi anni è che anche un accordo tra Stati Uniti e Cina per decidere il destino della Corea del Nord trova maggiori ostacoli dal fatto che Pyongyang sia sempre più indipendente e sempre meno alleata di Pechino.

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Libia: prorogata 'Operazione Sophia' contro tratta dei migranti

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I ministri degli Esteri dell’Unione Europea hanno approvato la proroga dell’ "Operazione Sophia" per contrastare i traffici illeciti delle coste libiche nel Mediterraneo. La missione ha come scopo l'arresto degli scafisti e la distruzione delle loro imbarcazioni usate per la tratta dei migranti. Dal 2015 l'operazione ha raggiunto risultati notevoli salvando centinaia di migranti. Gioia Tagliente ha intervistato il comandante della missione, ammiraglio Enrico Credendino sulle importanti novità previste dal mandato: 

R. – L’operazione viene estesa di un anno, fino al 27 luglio del 2017, mantenendo però come missione principale il combattere gli scafisti e i trafficanti di esseri umani che partono e che sono partiti frequentemente dalla Libia e quello rimane il mandato principale. Sono stati aggiunti ora, al mandato principale, due compiti che si chiamano “Supporting Task”: uno è l’addestramento della Marina libica e della Guardia costiera libica e l’altro è quello relativo all’implementazione dell’embargo delle Nazioni Unite delle armi che vanno e vengono dalla Libia a gruppi terroristici.

D. – Qual è l’obiettivo dell’addestramento?

R. – Per quanto riguarda l’addestramento della Marina e della Guardia Costiera libica, questo compito aggiuntivo, è molto importante perché consentirà ai libici di pattugliare le loro acque territoriali, che oggi non sono in grado di pattugliare - sia per mancanza di mezzi che di addestramento  - o che comunque riescono a pattugliare in maniera molto limitata. Il fatto che saranno in grado di farlo, aumenterà anche la sicurezza di quelle acque ed eviterà i tanti morti che oggi avvengono in quelle acque, Purtroppo molti migranti muoiono quando o il barcone o il gommone si rovescia appena partito, quindi in acque territoriali libiche, dove i libici oggi non riescono ad intervenire. Addestrandoli, daremo loro la capacità di poter intervenire e quindi di salvare molte vite umane; ma daremo la capacità di contrastare i trafficanti, sia di esseri umani che di qualunque altro traffico, che avvenga all’interno delle loro acque territoriali.

D. – Come si svolgerà l'addestramento?

R. – Prevalentemente in tre fasi, chiaramente su richiesta libica: adesso io ho già un team a Tunisi che sta iniziando i primi incontri. Stileremo il programma di addestramento insieme ai libici, in modo da poter esaudire le loro richieste e le loro esigenze; vedremo di cosa hanno bisogno e faremo una parte di questo addestramento in mare già in acque internazionali, imbarcando un gruppo di 80-100 ufficiali e sottoufficiali più anziani, che saranno i primi ad essere addestrati e che ci aiuteranno, nel futuro, ad addestrare i più giovani. Questo potrà iniziare abbastanza presto in acque internazionali su una grande nave o anfibiologistica, che deve essere offerta da un Paese membro. Dopodiché ci sarà una seconda fase che potrà iniziare in parallelo con la prima, durante la quale addestreremo del personale a terra in Paesi terzi, per esempio Grecia, Malta, ma anche Italia, che hanno già offerto o stanno per offrire le loro strutture. Anche in Libia, per esempio a Tripoli, si potrebbero addestrare fino a 500 persone, sempre se i libici ce lo chiederanno e ci offriranno questa disponibilità. Ci sarà poi una terza fase, che è quella che completa questo addestramento, che sarà svolta sui mezzi libici o sui mezzi che alcuni Paesi membri offriranno ai libici: l’Italia appronta alcune motovedette, che sarebbero dovute essere state consegnate alla Libia già nel 2011, ma che a causa della guerra non fu possibile fare: ora sono ripresi i contatti. Ma ci sono anche altri Paesi che pensano di offrire i mezzi idonei per il pattugliamento costiero. Faremo quindi l’addestramento finale su questi mezzi.

D. – Questa nuova strategia servirà per frenare ulteriormente il flusso di immigranti irregolari? E soprattutto sarà efficace contro i trafficanti di esseri umani?

R. – Questo nuovo compito servirà proprio a salvare più vite nelle loro acque territoriale e servirà anche ad arrestare gli scafisti che già oggi non possono più uscire in acque internazionali. Oggi  gli scafisti sono costretti a restare all’interno delle acque territoriale, dove noi però non possiamo intervenire. Potendolo fare i libici è chiaro che gli scafisti non saranno più in grado di uscire in mare! Quindi sarà molto efficace proprio perché consentirà di fermare gli scafisti prima che vadano in mare.

D. – La missione è nata nel 2015: ad oggi, quali sono i risultati raggiunti?

R. – Domani si compie un anno da quando l’Operazione “Sophia” è stata lanciata. In quest’anno - anche se il soccorso non è il mandato della missione, ma come tutti sanno in mare c’è una sola legge e cioè che chi è in difficoltà deve essere salvato, va tutelato, va protetto e quindi la mia priorità in mare è sempre quella di salvare chi  è in difficoltà. Noi abbiamo soccorso e salvato circa 16 mila persone e fra questi 900 bambini e 2.500 donne circa; abbiamo contribuito ad arrestare 71 scafisti e abbiamo neutralizzato circa 140 imbarcazioni che venivano usate dagli scafisti.

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Adozione. Gambino: nessuna novità assoluta dalla Cassazione

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La decisione della Cassazione non è un sì alla stepchild adoption. Così in sintesi il giurista Alberto Gambino sul caso della Corte d’Appello di Roma che aveva accolto la domanda di adozione di una minore, proposta dalla compagna della mamma biologica della piccola. La decisione è stata confermata dalla Corte Suprema che dunque ha respinto il ricorso del procuratore generale. Al microfono di Massimiliano Menichetti lo stesso prof. Gambino. 

R. – Non è una sentenza innovativa, se non per l’organo giurisdizionale che la pronuncia, che è una Cassazione. In realtà, è un orientamento già presente nelle Corti di merito, nella Corte d’Appello, e oggi la Cassazione conferma questo orientamento. 

D. – Quali sono questi casi in cui una coppia omosessuale vede la possibilità di adottare un minore figlio del partner?

R. – Quei casi in cui si consolida un rapporto, un rapporto di tipo sociale, nei confronti del minore, perché ci si sta prendendo cura di questo minore, e quindi si ritiene che, nel migliore interesse del minore, questo legame non possa essere spezzato, anzi debba essere riconosciuto, seppure in casi particolarissimi.

D. – C’è chi dice sia un sì alla stepchild adoption, tagliata fuori dalla legge Cirinnà…

R. – La stepchild adoption implica un automatismo: è sufficiente, cioè, la convivenza tra due soggetti, perché si possa adottare il figlio dell’altro convivente. Invece va deciso caso per caso, solo nell’interesse del minore. E’, dunque, tutta una valutazione particolare del giudice, e non c’è, appunto, alcun automatismo rispetto a questo rapporto di convivenza che è a monte.

D. – Centrale, dunque, è anche la discrezionalità. Adesso ci sono dei rischi: la pronuncia della Cassazione può ingessare questo procedimento, quindi non rendere più liberi i giudici?

R. – Direi senz’altro di no, perché la Cassazione invece lascia questo discernimento ai giudici di merito, i quali devono proprio valutare l’interesse del minore.

D. – Un’adozione che alcuni definiscono depotenziata. La Cassazione ha detto sì a quale tipo di adozione?

R. – Si tratta della cosiddetta “adozione in casi particolari”, dove ad esempio non si estendono i diritti di successione, dove il legame è soprattutto di responsabilità, potremmo dire, e cioè si ha l’obbligo di mantenere, istruire, educare l’adottato, ma non ci sono invece tutte quelle potestà tipiche genitoriali che vengono invece dall’adozione piena.

D. – C’è chi mette già in relazione questa sentenza con la possibilità dell’utero in affitto…

R. – Questo è un punto molto insidioso e, cioè, potrebbe essere in relazione se si trascura, si tollera la vicenda dell’utero in affitto. Quando, cioè, bambini nati da utero in affitto tornano in Italia, e questo viene tollerato dalle nostre autorità, certamente prima o poi quel bambino, convivendo per anni con i soggetti che hanno portato avanti quella pratica, finirà per essere adottato in casi particolari. Oggi, invece, la legge vieta l’utero in affitto e quindi dovrebbe essere intenzione, dovere delle autorità italiane evitare che si verifichino situazioni di surrogazione di maternità. Altrimenti, certo, queste vicende possono finire indirettamente per legittimare quella pratica.

D. – Questo vuol dire che quando si torna in Italia, dopo una gravidanza commissionata ad altri, il bambino dovrebbe essere tolto?

R. – Il bambino per l’ordinamento italiano è il figlio di chi l’ha partorito, non è il figlio di chi ha voluto quel bambino. Quel bambino, quindi, non è figlio di questa, chiamiamola coppia italiana che l’ha voluto, ma è figlio di quella povera donna che lo ha “venduto”. Il figlio è di quella donna lì e l’ordinamento italiano riconosce solo quella maternità, a tutela del minore e a tutela di questo legame biologico, che è un diritto universale, direi. Altrimenti, veramente prestiamo il fianco, dando il via libera a pratiche davvero aberranti, cioè al fatto che si paghi una donna per portare in grembo un bambino, per poi cederlo ad un’altra coppia. Questo non è tollerabile ed è vietato dalla legge italiana.

D. – I titoli dei giornali sono forti: “La Cassazione dice sì alla stepchild adoption”. Mi sembra di capire che invece il rischio più immediato sia proprio la strumentalizzazione?

R. – Quasi a far intendere che siamo davanti ad un riconoscimento pieno di una famiglia dello stesso sesso, con la possibilità di adottare pleno iure bambini anche in stato di abbandono. No, questo è un caso particolarissimo, dove il bambino già vive all’interno di questo nucleo e, avendo attivato delle relazioni con una delle parti di questa coppia, secondo la Cassazione ha diritto, dovere – il soggetto che ha attivato queste relazioni – di poter essere considerato quantomeno genitore sociale.

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Garante per l'infanzia in Campania: abusi e incesti tollerati

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In Campania “ci sono intere zone in cui l’abuso sessuale, l’incesto è elevato a normalità”. La denuncia gravissima arriva da Cesare Romano, Garante per l’infanzia e l’adolescenza della regione campana, dove in questi giorni si indaga sulla morte di un’altra bimba romena violentata e uccisa in una piscina a San Salvatore Telesino, dopo il caso della piccola Fortuna abusata e gettata da un terrazzo a Caivano. Roberta Gisotti ha intervistato il dott. Cesare Romano, presente sul territorio campano oltre che come Garante, come sociologo attento alla realtà minorile. 

D. Dott. Romano, su cosa poggia questa denuncia?

R. – Poggia fondamentalmente su una ricerca che abbiamo condotto su un campione rappresentativo presso i Comuni della regione Campania e ambiti territoriali, dove abbiamo rilevato circa 200 casi di abusi intra familiari e su testimonianze dirette e indirette di persone, di ragazze che vivono in determinate zone campane le quali hanno testimoniato in maniera molto ‘tranquilla’ di essere state abusate in famiglia, così come le loro amiche e le amiche delle amiche. Questo dato ovviamente non è stato pubblicato sulla ricerca ma meriterebbe un approfondimento diverso.

D. – A cosa attribuire questo spaccato veramente spaventoso? Alla povertà, al degrado morale …

R. – Le cause sono molteplici, perché  da un lato c’è un problema sociale, zone in cui ci sono mancanza di valori, famiglie disgregate, povertà, degrado ambientale e culturale, per cui si pensa ancora che i figli siano oggetti di proprietà esclusiva; dall’altra parte c’è un problema di devianza sessuale che, purtroppo, per deprivazione morale, etica ed altro - anche se è trasversale nelle varie fasce della popolazione - incide in maniera significativa.

D. – Quindi possiamo dire che c’è una carenza educativa all’affettività, una carenza nell’iniziazione sessuale …

R. - Sicuramente sì, ma anche altro. Il problema è pure quando si vive in un ambiente completamente staccato dai centri urbani -  faccio l’esempio del Parco verde di Caivano, salito alle cronache ultimamente  - dove non c’è un presidio di polizia, non ci sono servizi, non ci sono negozi, c’è solo un’area di spaccio di droga - perché è tra i posti maggiori di spaccio della Campania, quindi in mano alla criminalità - purtroppo tutto questo incide in maniera significativa. In questi posti anche le donne, le madri dipendono esclusivamente dai compagni, che hanno affianco e che molto spesso sono uomini deprivati di qualsiasi senso morale e familiare. Le cause, ripeto, sono diverse e meriterebbero una ricerca molto più approfondita di quella che è stata fatta.

D. - Accendere un faro a cosa può e deve servire?

R. - Il mio scopo era esattamente questo: accendere un faro su una situazione dove spesso mettiamo la testa sotto la sabbia e non ci rendiamo conto che invece si tratta di un fenomeno che esiste e che deve essere affrontato. Io vorrei che tutte le istituzioni si rendessero conto di questo e facessero qualcosa per le zone, per le famiglie e per i nostri bambini, perché c’è bisogno di una serie di attività, così come c’è bisogno di risorse. È venuto il momento in cui bisogna svegliarsi e fare qualcosa per i nostri figli!

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Cara di Mineo, sei indagati. Mogavero: immorale speculazione

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Gonfiavano il numero di migranti per far ottenere maggiori introiti alle aziende impegnate nei servizi al Cara di Mineo, uno tra i principali centri europei per i rifugiati, in provincia di Catania. Sei gli indagati in una indagine che ha stabilito in oltre un milione di euro l’importo della truffa, dal 2012 al 2015, ai danni dello Stato e dell’Unione Europea e avviata su risultanze di "Mafia Capitale". Tra i coinvolti funzionari e impiegati del Cara. Francesca Sabatinelli ha intervistato mons. Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e delegato della Conferenza episcopale siciliana per le migrazioni e la carità: 

R. – Non è una storia nuova purtroppo e, probabilmente, non sarà l’ultima perché chi ha interesse solamente a fare quattrini, o come manovale della vita organizzata o come mente che dirige nell’occulto i disegni, quando intravede la possibilità di sfruttare opportunità, dove c’è un grande giro di denaro, non si tira indietro di fronte al guadagno. Nulla di nuovo. Sono i sistemi della malavita, che da noi è malavita mafiosa, ma sono anche i sistemi che vedono intrecci tra la malavita organizzata e chi gestisce anche quelle che dovrebbero essere forme alte di assistenza e di soccorso a persone che sono in grande difficoltà.

D. – E questo è forse l’aspetto più squallido e più drammatico di tutta la vicenda…

R. – Sicuramente. Il fatto che si speculi su persone che ci stanno chiedendo di essere rispettate nella loro dignità e nei loro diritti, rende assolutamente immorale ogni operazione come quella registrata al Cara di Mineo. Tra l’altro, c’è da dire che questo squallore diventa ancora più esecrando nel momento in cui c’è una parte dell’opinione pubblica che lamenta un impiego esagerato – si dice ma non è così, e lo sanno bene in tanti – di risorse per soccorrere i migranti e poi parte di queste risorse viene mangiata da italiani senza scrupoli, che attingono a queste realtà per ingrassare se stessi senza guardare né la morale, né il diritto, né il carattere umanitario di certe strutture.

D. – Questo non è sicuramente il primo episodio e lei diceva che probabilmente non sarà neanche l’ultimo. Ci sarà però un modo per far sì che questo malaffare non si perpetui. Secondo lei, dove bisogna andare a rompere questa cordata mefitica e chi dovrebbe intervenire?

R. – Ci sono tre livelli di intervento, poi di volta in volta si potrà stabilire a chi spetta tirare la volata agli altri due. C’è un intervento di carattere culturale, su questo versante siamo tutti piuttosto vittime di informazioni di parte, manipolate e strumentalizzate. C’è un intervento della politica, che in questo settore ha delle responsabilità enormi di indirizzo di programmazione e di individuazione del controllo. C’è il livello delle autorità e delle istituzioni preposte all’ordine pubblico che, con le indicazioni ricevute dalla politica, devono effettuare controlli seri e a tappeto affinché non si verifichino queste disgustose trame di malaffare a danno dei poveri e degli ultimi. L’autorità di polizia, lì dove è messa in condizioni di operare, sa e sa far bene il suo compito e sa individuare le mele marce e buttarle via come si conviene in affari di questo genere.

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Anziani: contro gli abusi è necessario ridare loro valore sociale

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“Grazie perché ci aiutate a farci carico della solitudine e dell’angoscia di tanti anziani e a fare con concretezza la nostra parte come singoli e più ancora come comunità.”Con queste parole don Ivan Maffeis, sottosegretario della Cei, ha ringraziato gli operatori presenti al convegno “Dignità della persona anziana e qualità della cura. Una sfida ad abuso e contenzione”, che si svolge oggi a Roma. L’incontro è stato promosso dall’Ufficio nazionale per la pastorale della salute e dalla Società italiana di gerontologia e geriatria. Il servizio di Marina Tomarro: 

Sono oltre 37 mila in Europa  gli anziani che ogni anno subiscono abusi.  il 47% di loro soffre di demenza senile, e solo 1 caso su 23 viene denunciato. Sono questi i drammatici dati diffusi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che raccontano di un dramma silenzioso che colpisce quella parte della società più indifesa insieme all’ infanzia: la terza età. Ma cosa fare? Ascoltiamo Flavia Caretta dell’ Università Cattolica del Sacro Cuore

R. – Penso che il modo migliore per prevenire l’abuso e il maltrattamento sull’anziano sia proprio un problema culturale che in realtà è legato al valore che noi diamo alle persone, al valore sociale. Penso che dobbiamo partire dall’idea che oggi l’anziano ha ancora un valore sociale basso. L’attenzione è focalizzata su altri aspetti, su altre età della vita – giustamente -, però l’anziano dovrebbe essere una componente della società a pieno titolo. Da questo poi, secondo me, partiranno le politiche sanitarie, gli investimenti e così via.

D. - In che modo riconoscere questi abusi e soprattutto una volta riconosciuti cosa fare?

R. - Occorre una formazione. Penso che in questo ruolo gli operatori sanitari devono fare molto. Sono i primi che dovrebbero essere di aiuto anche in questa sensibilizzazione e in questa denuncia, perché alle volte l’anziano stesso ha il timore di far presente il maltrattamento che subisce a fronte di eventuali ritorsioni da parte del famigliare, del badante, dell’operatore stesso. Poi, appunto, tutti noi, tutta la società dovrebbe essere sensibilizzata e ognuno di noi può rendersene conto in tanti modi diversi; anche il vicino di casa potrebbe esser d’aiuto in questo.

D. - Tra gli anziani più fragili sicuramente ci sono quelli in fase terminale. In che modo si possono aiutare?

R. - Dipende dall’ambiente dove trascorrono l’ultima parte della vita. Se questo avviene in una struttura residenziale bisogna incidere molto sugli operatori a livello di qualità dell’assistenza. Se poi questo avviene in casa logicamente purtroppo l’anziano che sta morendo avrebbe bisogno, così come il famigliare, di non essere lasciato solo, di aver intorno a sé una rete che può andare dal vicinato, ai servizi se esistono dei servizi territoriali che possano essere d’aiuto in questo.

E fondamentale per riconoscere ed evitare gli abusi  è la formazione degli operatori sanitari, nel delicato lavoro di un accompagnamento dignitoso dell’anziano nell’ultima fase della sua esistenza. Ascoltiamo don Carmine Arice  dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute

R. - La formazione degli operatori è una questione fondamentale, purché questa sia integrale, che preveda un cammino personale dell’operatore: se l’operatore non ha accettato l’invecchiamento, non ha accettato la mortalità, non ha accettato che l’uomo si ammali, come fa questo operatore ad essere in modo sereno e rispettoso con la persona ammalata nella quale vede uno specchio di ciò che lui è o che potrebbe diventare? Allora questo richiede dei percorsi formativi fortemente riformati rispetto a quelli attuali. Quindi formazione sì, una formazione urgente purché sia integrale della persona.

D. – Recentemente Papa Francesco ha sottolineato l’importanza dell’esempio dei nonni per le nuove generazioni. In che modo rispondere a questa sua esortazione?

R. – Questa non è solo una questione di emotività, di sentimento, perché senza memoria, senza radici non c’è futuro. mi sembra che una cosa che dovremmo imparare di più è il racconto, cioè la capacità di mettersi in ascolto di storie di vita; questo fa bene all’anziano e fa molto bene al giovane perché lì c’è una sapienza che parte proprio da un vissuto che ha fatto sedimentare ciò che è veramente essenziale.

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Nella Chiesa e nel mondo



Madagascar: siccità e cambiamenti climatici aggravano la carestia

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Quasi un milione di bambini in Madagascar soffre di malnutrizione acuta, e nell’isola si registra uno dei più alti tassi nel mondo di arresto della crescita nei minori di cinque anni. L’attuale siccità, una delle peggiori mai viste, ha bruciato le colture di riso e manioca, lasciando l’80% della popolazione senza un approvvigionamento alimentare sicuro. Molte comunità agrarie si affidano agli aiuti alimentari e ai frutti dei cactus, che nel sud rappresentano un alimento di emergenza, ma difficile da digerire e che può causare problemi intestinali che aggravano gli effetti della malnutrizione.

Non si registrano piogge adeguate da 5 anni
Come riferisce l'agenzia Fides, questa crisi rappresenta il principale problema sanitario per il governo, secondo il Ministero della Salute malgascio. L’insicurezza alimentare non colpisce solo singole madri e i loro bambini. E’ un fenomeno che riguarda l’intera comunità.

Il Madagascar è dimenticato dalla comunità internazionale
Il monito degli operatori umanitari è che il Madagascar sia “fuori dalla carta geografica” dimenticato dalla comunità internazionale, a meno che non si abbattano drammatici cataclisma ad attirare l’attenzione. Eppure, la siccità sta portando la gente allo stremo. Non si registrano piogge adeguate da 5 anni, una grandinata nel 2010 ha distrutto raccolti di mais, patate dolci, e angurie. Il terreno è diventato quindi meno fertile e il raccolto da allora non ha recuperato. (A.P.)

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Filippine. Pena di morte: Chiesa si oppone a Presidente Duterte

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La Chiesa cattolica nelle Filippine farà tutto il possibile per scoraggiare azioni politiche che possano reintrodurre la pena di morte nel Paese. Come riferisce l'agenzia Fides, il Presidente della Conferenza episcopale delle Filippine, l'arcivescovo Socrates Villegas di Dagupan-Lingayen ha detto che cercherà un incontro con il neo Presidente Rodrigo Duterte per chiedergli di riconsiderare il suo piano di rilanciare la pena capitale. Duterte ha dichiarato di voler sottoporre al Congresso filippino un provvedimento per ripristinare la pena di morte, almeno per i crimini più gravi.

Ricordata la dottrina cattolica ribadita da Papa Francesco
Diversi vescovi hanno espresso forti riserve, ricordando la dottrina cattolica, appena ribadita da Papa Francesco. L'arcivescovo di Lipa, Ramon Arguelles, ha ricordato che la pena capitale non è lo strumento deterrente verso il crimine, auspicando che un tale passo “non avvenga, proprio mentre la Chiesa celebra l'Anno della Misericordia”. 

La Chiesa non resterà a guardare
Anche l’arcivescovo emerito di Cebu, Oscar Cruz, contestando le intenzioni del Presidente ha annunciato che "ci sarà certamente da opporsi al suo piano: la Chiesa non resterà a guardare", mentre il vescovo di Balanga, Ruperto Santos, ha ricordato che "solo Dio ha potere sulla vita. Dio dà la vita e Dio la toglie. Nessuno deve giocare a fare Dio". Invece il presule suggerisce una "riforma del sistema giudiziario e carcerario".

Pena di morte contraria a sistema penale filippino di tipo riabilitativo
Duterte ha basato molta della sua campagna elettorale sul tema della lotta al crimine, della legalità e della fine dell'impunità per i colpevoli dei reati. Il nuovo presidente della “Commissione per i diritti umani” delle Filippine, Jose Luis Guascon, ha ricordato che l'obiettivo del sistema penale filippino è di tipo riabilitativo, mentre la pena di morte chiude di fatto questa opzione. (P.A.)

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Venezuela: per la crisi economica, sanità al collasso

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Ospedali al collasso in tutto il Paese, scarseggiano antibiotici, soluzioni endovenose e generi alimentari. Ogni giorno nelle strutture pubbliche muoiono bambini, le sale del reparto di maternità sono senza corrente elettrica e i medici cercano di mantenere in vita i neonati con la respirazione bocca a bocca. 

Il sistema sanitario è al collasso
La crisi economica del Venezuela sta colpendo gravemente anche il settore della salute, come riportano le informazioni riprese dall'agenzia Fides, causando centinaia di morti tra la popolazione. Negli ospedali mancano i posti letto e i malati sono costretti a dormire sul pavimento, gli apparecchi per le radiografie o per la dialisi sono rotti. Mancano guanti, sapone, farmaci contro il cancro, che si trovano solo al mercato nero. I medici lavano le mani con l’acqua minerale delle bottiglie. 

Tasso di mortalità dei bambini aumentato di oltre 100 volte
Data la scarsità di energia elettrica il Governo lavora solo due giorni alla settimana per risparmiare quella che resta. Il tasso di mortalità tra i bambini con meno di un mese è aumentato di oltre 100 volte negli ospedali pubblici che dipendono dal Ministero della Sanità. Quello delle neomamme ricoverate è aumentato di 5 volte. Negli ultimi giorni, nella città portuaria di Barcelona, sono morti due neonati prematuri mentre venivano trasportati al principale ospedale pubblico perchè l’ambulanza non aveva le bombole con l’ossigeno. (A.P.)

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Usa: Campagna dei vescovi per la libertà religiosa

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“La campagna ‘Fortnight for Freedom’ è un mix di amore per la patria e per la libertà”, ha spiegato in una nota la Conferenza episcopale Usa. “Vogliamo incoraggiare cattolici, altri cristiani e tutte le persone di buona volontà a riflettere per due settimane sul tema della libertà religiosa”. Nell’ambito dell’iniziativa i vescovi americani mettono anche in risalto una serie di religiosi e fedeli che nei secoli hanno incarnato questi ideali di libertà e patriottismo. Tra loro - riferisce l'agenzia Sir - il beato Oscar Romero, l’arcivescovo ucciso a San Salvador nel 1980; le Piccole sorelle dei Poveri, l’ordine attualmente in prima linea nella lotta giudiziaria contro il mandato contraccettivo; le carmelitane ghigliottinate durante la rivoluzione francese nel 1794 per essersi rifiutate di chiudere il loro monastero; i cristiani copti uccisi lo scorso anno da militanti dell’Isis. 

Tanti martiri non hanno smesso mai di amare la loro terra
“Riflettendo sulla vita di queste grandi donne e grandi uomini”, ha spiegato l’arcivescovo di Baltimora, mons. William Lori, “possiamo capire che cosa vuol dire essere testimoni di libertà”. E ha aggiunto: “Così tanti martiri della nostra Chiesa, sia pure perseguitati, non hanno smesso di amare la loro terra e i loro connazionali. Dobbiamo seguire quell’esempio, per promuovere la libertà religiosa negli Stati Uniti di oggi”. (R.P.)

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Sud Sudan: incontro di preghiera per governo di unità nazionale

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Il South Sudan Council of Churches ha organizzato un incontro di preghiera per i ministri del governo di unità nazionale che include rappresentanti di entrambe le parti che si sono scontrate nella guerra civile. L’incontro si è tenuto a Freedom Hall nella capitale del Sud Sudan, Juba. Secondo quanto riferisce l'agenzia Fides hanno partecipato alcuni alti esponenti del governo ma non il Presidente Salva Kiir né il vice Presidente Riek Machar. I due leader non hanno partecipato neanche ad un simile momento di preghiera organizzato il mese scorso presso il Ministero degli Affari Parlamentari.

La presenza della Chiesa cattolica
Tra i leader religiosi che sono intervenuti vi era mons. Paride Taban, vescovo Emerito di Torit, uno dei fondatori del South Sudan Council of Churches, organismo che riunisce oltre alla Chiesa cattolica, l’Episcopal Church of the Sudan, la Presbyterian Church of Sudan, l’African Inland Church, la Sudan Pentecostal Church le la Sudan Interior Church.

Perdonare e lavorare per la riconciliazione
Nel suo intervento, il Ministro della previdenza sociale, Awut Deng Achuil, ha invitato il Sud Sudan a dimenticare l'amarezza della guerra, a perdonare e a lavorare per la riconciliazione e per l'unità del Paese. Il Ministro degli Affari di Gabinetto, Martin Elia Lomuro, ha invitato i leader religiosi a organizzare altre preghiere per il Sud Sudan, per promuovere la cultura della pace e della riconciliazione. (L.M.)

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Pakistan: 5 cristiani prosciolti dalle accuse di blasfemia

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Un tribunale anti-terrorismo di Lahore ha prosciolto cinque cristiani accusati di blasfemia. Il caso era stato registrato il 16 agosto 2015 contro sedici persone accusate di aver pubblicato materiale considerato offensivo verso l'islam. Il tribunale aveva anche aggiunto accuse di “istigazione all'odio settario”. Tra le vittime - riferisce l'agenzia Fides - c’era il Pastore cristiano protestante Aftab Gill di Gujrat, che aveva pubblicato un manifesto con la parola "rasool" (in urdu: apostolo) per il suo defunto padre Fazal Masih, fondatore della sua comunità. I musulmani si sono sentiti offesi in quanto il termine “rasool” è un attributo del Profeta Maometto.

Con il termine ‘rasool’ i cristiani non hanno alcun intento blasfemo
L’Ong Claas (Centre for Legal Aid Assistance and Settlement) che assicura assistenza legale ai fedeli, ricorda che "il termine ‘rasool’ è presente nella Bibbia in urdu e i cristiani non avevano alcun intento blasfemo”. A settembre dello scorso anno il tribunale anti-terrorismo di Gujranwala aveva negato la cauzione per gli imputati cristiani. Ora, dopo una nuova istanza promossa da Claas, cinque fedeli sono stati rilasciati.

Uso della legge sulla blasfemia continua a colpire i cristiani
"L'abuso della legge sulla blasfemia continua a colpire i cristiani in Pakistan" osserva Claaas in una nota inviata a Fides. Il mese scorso almeno tre cristiani sono stati accusati di blasfemia a Mandi Bahauddin, mentre a Gujrat una sarta cristiana, Sonia Gill, è stata accusata per essersi seduta su un drappo recante versetti islamici sacri. Nei mesi scorsi, a Faisalabad, il cristiano Usman Liaqat è stato denunciato per blasfemia per aver pubblicato alcuni commenti sui social network. (P.A.)

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Bangladesh: preghiera ecumenica contro il terrorismo

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I cristiani del Bangladesh si sono riuniti in preghiera per una condanna unanime del terrorismo islamico che sta insanguinando il Paese e hanno pregato insieme per un “risveglio dell’umanità”. Lunedì - riporta l'agenzia AsiaNews - oltre 2mila fedeli di tutte le denominazioni cristiane hanno lanciato un appello affinché cessi la lunga scia di violenze dei radicali islamici contro esponenti delle minoranze, stranieri, studenti, professori, blogger e attivisti laici. La preghiera ecumenica è stata organizzata in due eventi contemporanei nell’arcidiocesi di Dhaka e nella diocesi di Khulna. 

La preghiera a Dhaka
Nella capitale l’incontro si è svolto nella chiesa cattolica del Santo Rosario di Tejgaon, che accoglie la comunità cattolica più numerosa di tutto il Paese, oltre 20mila fedeli. Ad AsiaNews il parroco, padre Kamal Corraya, spiega il motivo dell’iniziativa: “Viviamo nella paura perché ogni giorno persone comuni diventano vittime dei militanti islamici. Per questo abbiamo invitato i leader cristiani a invocare un risveglio dell’umanità”. La preghiera è stata guidata da mons. Patrick D’Rozario, arcivescovo di Dhaka. Tra i presenti, anche l’arcivescovo George Kocherry, nunzio apostolico in Bangladesh, e i pastori di varie Chiese protestanti, ognuno dei quali ha letto un passo della Bibbia.

Mons. D'Rozario invoca unità, pace e armonia per il il Bangladesh
Padre Corraya afferma che “tutta l’umanità piange perché nessuno è al sicuro in questo Paese”. Mons. D’Rozario ha aggiunto: “Oggi la comunità cristiana del Bangladesh è unita in questa preghiera che offriamo a Dio onnipotente. Preghiamo affinché questo diventi un Paese di unità, pace e armonia. Preghiamo perché l’umanità dormiente si renda conto delle violenze, degli omicidi compiuti in segreto e delle persecuzioni. Dio onnipotente possa benedire (i terroristi) cambiando le loro menti”. Paul Shishi, moderatore della Chiesa del Bangladesh (protestante) ha dichiarato: “Non c’è spazio per la violenza negli insegnamenti di Gesù Cristo”.

Preghiera contro il terrorismo a Khulna
​A Khulna l’iniziativa è stata guidata da mons. James Romen Boiragi. Un fedele protestante ha commentato: “Mi sento confortato da questa preghiera. Spero che i terroristi la smettano di perseguitarci e che possiamo vivere in pace”. (S.C.)

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Portogallo. Giuristi cattolici: utero in affitto contrario a dignità umana

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La maternità surrogata è “intrinsecamente contraria alla dignità umana”: così l’Associazione dei Giuristi cattolici portoghesi ha accolto, con favore, il veto del Capo dello Stato sulla legge relativa a tale pratica. Il 7 giugno scorso, infatti, il Presidente della Repubblica, Marcelo Rebelo de Sousa, ha deciso di fermare il decreto del Parlamento sulla così detta “gravidanza sostituiva”, in base a due pareri del Consiglio nazionale di etica relativi al 2012 ed al 2016. Per il Capo dello Stato, il Parlamento “deve avere la possibilità di riflettere” ancora sulla questione.

Imperativo è tutelare la dignità umana
“Il divieto alla maternità surrogata – si legge in una nota dell’Associazione – è un imperativo per la tutela della dignità umana”. Di qui, il richiamo a “questioni etiche” fondamentali che “non sono state discusse” nel decreto parlamentare e che, invece, “devono essere considerate”. Si tratta, quindi, di “un dibattito essenziale non solo per il Parlamento, ma anche per l’opinione pubblica”.

No a mercificazione di donne e bambini
​“Come è stato più volte affermato da persone provenienti da diversi ambienti ideologici – sottolineano i giuristi cattolici – la maternità surrogata rappresenta sempre la mercificazione di bambini e donne incinte, ridotti a mero oggetto di un contratto, tanto che spesso si usa l’espressione utero in affitto”. Per questo, l’Associazione ricorda che “una questione tanto delicata e fondamentale come liberalizzazione dell’utero in affitto non dovrebbe essere decisa senza ascoltare gli elettori”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 174

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