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Sommario del 23/06/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: in Armenia come servo del Vangelo, pellegrino di pace

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Alla vigila del 14° viaggio apostolico in Armenia, Papa Francesco ha diffuso un videomessaggio. Il Pontefice saluta con affetto il “primo Paese cristiano – come recita il motto del viaggio – che incontrerà tra breve. Il servizio del nostro inviato in Armenia, Giancarlo La Vella

La grande fede cristiana e l’accorata richiesta di pace. Questi i punti salienti sui quali Papa Francesco incentra il videomessaggio col quale saluta il popolo armeno a poche ore dal viaggio.

“Vengo come pellegrino, in questo Anno Giubilare, per attingere alla sapienza antica del vostro popolo e abbeverarmi alle sorgenti della vostra fede, rocciosa come le vostre famose croci scolpite nella pietra”.

Vengo come vostro fratello – continua il Papa – animato dal desiderio di vedere i vostri volti, di pregare con voi e condividere il dono dell’amicizia. Poi Francesco guarda più da vicino le ferite di un popolo tenace, ma duramente colpito nella sua storia, una storia – dice il Santo Padre - che suscita ammirazione e dolore.

“Ammirazione, perché avete trovato nella croce di Gesù e nel vostro ingegno la forza di rialzarvi sempre, anche da sofferenze che sono tra le più terribili che l’umanità ricordi; dolore, per le tragedie che i vostri padri hanno vissuto nella loro carne”.

Ma è un popolo forte, quello armeno, che ha i mezzi per reagire al dolore e agli assalti del male, sottolinea Papa Francesco. Come Noè dopo il diluvio, di fronte alle difficoltà, anche tragiche, non deve mai mancare la speranza e la voglia di resurrezione.

“Come servo del Vangelo e messaggero di pace desidero venire tra voi, per sostenere ogni sforzo sulla via della pace e condividere i nostri passi sul sentiero della riconciliazione, che genera la speranza”.

Il videomessaggio si conclude con spirito ecumenico: il Papa esprime trepidazione nell’attesa di riabbracciare il Patriarca della Chiesa apostolica armena, quello che lui stesso chiama “il mio fratello Karekin”, e insieme a lui dare rinnovato slancio al nostro cammino verso la piena unità. A conclusione del videomessaggio, un saluto in tradizione puramente armena:

“Grazie e a presto! Tsdesutiun!”.

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Armenia, l'attesa della gente: grazie a un Papa che ci ama

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Mancano meno di 24 ore all'arrivo di Papa Francesco a Yerevan, capitale dell'Armenia, mentre  i preparativi proseguono frenetici per accogliere al meglio l'ospite d'eccezione che verrà come servitore del Vangelo e pellegrino di pace, per ricevere l'abbraccio di tutto un popolo che da più di un anno si prepara a questo grande evento. Da Yerevan, il servizio di uno dei nostri inviati, Robert Attarian

E' terra biblica l'Armenia. L'Arca di Noe, dopo il diluvio, si posò sul Monte Ararat, che veglia da secoli su suoi figli. Quei figli che a loro volta hanno vissuto esperienze travagliate, ma che dopo ogni caduta, dopo ogni tragedia, hanno trovato il coraggio di rialzarsi, con la ferma convinzione che la ''via crucis'' sperimentata portava non alla croce, ma alla risurrezione.

L'entusiasmo è alle stelle. Si lavora giorno e notte. Il Palco che ospiterà l'evento centrale del viaggio, la preghiera ecumenica a Piazza Repubblica di Yerevan, è quasi pronto. Lungo le strade sono stati già allestiti i manifesti con il logo del viaggio apostolico e le bandiere rosso blu arancione, con accanto quelle gialle e bianche del Vaticano

Tutti vogliono vedere da vicino il Santo Padre; tutti desiderano poterlo abbracciare e dirgli grazie, come è il caso di Garen, un signore di 45 anni: ''Non sono cattolico” - ci dice - “ma armeno e cristiano. E' un onore per noi ospitare Papa Francesco. E' il secondo Papa che ci viene a fare visita dopo il viaggio apostolico compiuto da San Giovanni Paolo II nel 2001”.

Con Papa Francesco abbiamo anche un debito di riconoscenza. Nell'anno del centenario  ha voluto onorare i martiri armeni con una solenne Messa celebrata in Vaticano a San Pietro, durante la quale ha espresso tutto il suo amore e la sua stima al nostro popolo. Ed ora tocca a noi ricambiarli questo amore e questa stima. Il Santo Padre è il benvenuto. Non vediamo l'ora di poterlo riabbracciare''.

Ieri sera il canale televisivo A1 ha trasmesso il videomessaggio che Papa Francesco ha voluto inviare agli armeni prima del suo arrivo a Yerevan alle 15.

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Francesco agli argentini: rafforzare la fede per affrontare avversità

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“Conosco le difficoltà che state vivendo” e assicuro “la mia vicinanza”. E’ quanto scrive Papa Francesco in un messaggio inviato all’11.mo Congresso Eucaristico Argentino, svoltosi in questi giorni a Tucumán sul tema “Gesù Cristo, Signore della storia, abbiamo bisogno di te”. Nel breve messaggio indirizzato al presidente della Conferenza episcopale argentina, mons. José Maria Arancedo, il Papa prega affinché si “rafforzi la fede per affrontare le avversità” si “accresca la giustizia e la carità tra noi e, soprattutto, nel servizio dei poveri e dei bisognosi”. 

La grazia di Dio è come la pioggia che tutti bagna, non aver paura di impregnarsi del Suo amore
Il Papa rammenta inoltre che il Congresso coincide con il Bicentenario dell’Indipendenza dell’Argentina. “La grazia di Dio – scrive il Pontefice argentino, citando le parole del Cura Brochero – è come la pioggia che tutti bagna”. E’ solo questione di avvicinarsi, osserva, “di non aver paura e di lasciarsi impregnare da tanto amore”. Francesco conclude, come di consueto, chiedendo ai suoi connazionali di non dimenticarsi di pregare per lui. (A cura di Alessandro Gisotti)

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Udienze di Papa Francesco

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Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza il professor Andrea Riccardi, Fondatore della Comunità di Sant’Egidio; Sua Altezza Em.ma Fra’ Matthew Festing, Principe e Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta, e Seguito; il professor José Graziano da Silva, Direttore Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO); il signor Jorge Quesada Concepción, Ambasciatore di Cuba presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali; il signor Philippe Zeller, Ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali.

Ancora il Papa ha ricevuta questa mattina in udienza il signor Janusz Kotański, Ambasciatore di Polonia presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali; il signor Nigel Marcus Baker, Ambasciatore di Gran Bretagna presso la Santa Sede, in visita di congedo.

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Lombardi: mons. Ma Daqin, S. Sede non ha informazioni dirette

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Il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, sollecitato dalle domande dei giornalisti è intervenuto in merito alle recenti dichiarazioni attribuite a mons. Taddeo Ma Daqin, vescovo ausiliare di Shanghai, che avevano suscitato alcuni interrogativi.

Circa le dichiarazioni del presule cinese, precisa padre Lombardi, “la Santa Sede ne è venuta a conoscenza tramite il suo blog e le agenzie di stampa. Al riguardo non si hanno attualmente informazioni dirette”. Dunque, prosegue padre Lombardi, “ogni speculazione in merito ad un presunto ruolo della Santa Sede è fuori di luogo”. Inoltre, conclude il portavoce vaticano, “la vicenda personale ed ecclesiale di mons. Ma Daqin, così come quella di tutti i  cattolici cinesi, è seguita con particolare premura e sollecitudine dal Santo Padre, che li ha presenti quotidianamente nella preghiera”.

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La storia dei Giubilei in un libro della Utet

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Una guida attraverso gli Anni Santi nei secoli. E’ il volume “Giubilei: spiritualità, storia, cultura”, edito da Utet. Durante la presentazione ieri sera, all’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, mons. Rino Fischella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, ha detto che “il Papa ha voluto questo Giubileo perché si avesse un profondo respiro di sollievo davanti alle situazioni drammatiche del mondo". Il servizio di Alessandro Guarasci

Un’opera dal valore enciclopedico per comprendere il Giubileo in tutte le sue sfaccettature. Dunque, la storia, i simboli, i pellegrinaggi, i riflessi nella cultura. Tutto questo in 450 pagine curate dal prof. Luca Massidda. Il presidente della Utet Grandi Opere, Fabio Lazzari, spiega il perché di questa opera:

“Allargare la prospettiva a una dimensione interdisciplinare e culturale che – oltre a riflettere, appunto, sui concetti di questo Giubileo – ci dia la possibilità di ricostruire la storia dell’evento giubilare e anche le ricadute che questo evento ha avuto su tante attività umane, dall’economia ai commerci, dal turismo alla comunicazione e a tutte le arti”.

Sono più di dieci milioni i pellegrini arrivati a Roma per l'Anno Santo della Misericordia, segno di quanto questo evento sia sentito. Mons. Rino Fisichella:

“La misericordia è ritornata al centro della vita della società e della Chiesa. E, nella misura in cui saremo capaci di opere di misericordia, sono convinto che faremo una autentica rivoluzione culturale”.

La sede della presentazione è stata l’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede. L’ambasciatore, Daniele Mancini:

“L’Ambasciata di Italia presso la Santa Sede trovo che sia il luogo naturale di incontro, di riflessione  e, se possibile, di progetto comune tra le due rive del Tevere. E  questo soprattutto in un momento in cui effettivamente c’è tanto bisogno di ponti in un senso generale, in un mondo che invece, purtroppo, costruisce muri”.

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Living Fully: i bisogni dei disabili nelle nostre chiese

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Oggi a Roma, presso il Pontificio Consiglio della Cultura, si tiene il seminario dal titolo “Living Fully, Vivere pienamente”, con il patrocinio anche di Jean Vanier e dell’Ordine Carmelitano, dedicato al tema della disabilità dal punto di vista teologico e antropologico. Al seminario seguirà da domani all’Università Lumsa una conferenza internazionale. I bisogni delle persone disabili nelle nostre comunità e la loro piena partecipazione, tra i temi in discussione. I motivi dell’iniziativa nell’intervista di Gabriella Ceraso, all’ideatrice, Cristina Gangemi

R. – In questo momento della storia cristiana esiste un paradosso nella vita della persona disabile: prima di nascere, la Chiesa e specialmente la Chiesa cattolica protegge assolutamente la vita della persona; però, nel momento che la persona nasce e viene poi magari battezzata, quando si arriva alla piena partecipazione, le nostre chiese non sono piene di persone disabili. Anzi: ci sono certe chiese che non aiutano neanche un bambino disabile intellettualmente a prepararsi per la Comunione! E questo cosa vuol dire allora? Che la vita della persona rimane incompleta e questo vuol dire, quindi, che noi non crediamo veramente che ogni vita sia valida.

D. – Con questi due momenti ampi di confronto che voi proporrete, come pensate di lavorare per cambiare questa cosa e per far in modo di farla capire?

R. – Cercheremo di esplorare, attraverso le esperienze delle persone disabili e quindi attraverso le loro storie, e vedere dove troviamo Dio e a cosa ci chiama come Chiesa. Faremo di tutto per creare la possibilità, per le persone presenti, di immaginare come possano essere attive nelle loro parrocchie e che differenza possano fare.

D. – Perché e in che termine la cultura è chiamata in causa?

R. – Perché finora la cultura verso la persona disabile dice che sono invalidi, ma oggi le persone disabili invece fanno tutto: lavorano, vanno a scuola, imparano, nel loro modo, ma fanno tutto. la cultura sta cambiando! Invece di dire “il corpo tuo è diverso e allora ti escludo” dobbiamo imparare a dire “il corpo tuo è diverso dal mio, ma celebriamo la diversità”.

D. – Su questo punto, Papa Francesco - incontrando un gruppo di disabili coinvolti in un Simposio, convocato proprio dalla Cei - lo ha proprio detto: “La diversità è una ricchezza. E’ una sfida, ma ci permette di crescere”. …

R. – In un mondo in cui la persona disabile incontra sempre “mai, mai, mai” - non potrai mai camminare, non potrai mai avere accesso alla Chiesa, non potrai mai avere tutto quello che ti serve… - La Chiesa deve essere una Chiesa che invece dice “sempre” e quindi “sarai sempre benvenuto”; “farai sempre parte della nostra comunità”.

D. – L’obiettivo finale del Seminario è anche quello di stendere una carta, un documento con un messaggio di speranza che gli stessi partecipanti potranno portare nelle loro chiese?

R. – Il messaggio finale che noi vogliamo far arrivare è quello di riuscire a trasmettere che non c’è un “noi” e  un “loro”, perché negli occhi di Dio c’è solo “un noi”. Io penso che lo scopo del convegno sia proprio questo: creare una cultura del noi, in cui “noi”, insieme, pratichiamo la nostra fede, celebriamo Dio, essendo Chiesa insieme.

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Oggi in Primo Piano



Brexit: britannici al voto, Borse aprono in positivo

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È una possibile giornata spartiacque per la Gran Bretagna. Decine di milioni di elettori sono da stamattina alle urne per il referendum che sancirà la permanenza o l’uscita del regno Unito dall’Ue. I sondaggi pubblicati dai media danno in leggero vantaggio il “Remain” sul “Brexit”. I mercati azionari hanno aperto oggi in positivo, ma il fronte finanziario teme l’uscita del Regno Unito. Alessandro Guarasci ne ha parlato con Fabrizio Coricelli, economista della Sorbona di Parigi: 

R. – Il rischio più grande per l’economia britannica è il rischio di crisi finanziaria. Per quanto riguarda i rapporti commerciali, sono ovviamente molto importanti con l’Unione Europea perché il Regno Unito esporta il 40% delle sue esportazioni nell’Unione Europea.  Però, questa quota è in declino e comunque non è pensabile che in un contesto internazionale di accordi di libero scambio ci sia un crollo del commercio. Invece, dal punto di vista dei mercati finanziari il problema è molto più serio, perché il mercato finanziario londinese è il mercato più importante per le transazioni dell’euro e questo è dovuto proprio al fatto che l’Inghilterra è un membro dell’Unione Europea, per cui ha beneficiato dell’accesso alle infrastrutture finanziarie della zona euro anche stando fuori dall’euro. Questo ha garantito una situazione di tranquillità e di limitazione dei rischi del mercato inglese, che ha visto un boom straordinario nello sviluppo delle transazioni in euro. Paradossalmente, l’Inghilterra non fa parte dell’euro ma è il centro finanziario più importante per le transazioni dell’euro. A questo punto – anche se è uno scenario che ovviamente può prefigurarsi solo in futuro, perché nel breve periodo la Banca Centrale Europea non lascerebbe in una situazione drammatica la Banca Centrale Inglese – i mercati possono valutare l’uscita dall’Unione Europea come un rischio di liquidità enorme del futuro e cioè una mancanza di assicurazione da parte della Bce per il mercato inglese. Noi sappiamo, per esperienza della crisi del 2008, che i mercati finanziari possono reagire in maniera repentina a informazioni negative e a scenari possibilmente negativi. Quindi, per il Regno Unito uscire dall’Unione Europea sull’onda di un sentimento antieuropeista e quindi sull’onda di richieste di restrizioni nel Regno Unito verso i prodotti europei, di restrizioni verso l’immigrazione, porterebbe sicuramente a un danno economico anche nel lungo periodo.

D. – L’Unione Europea avrebbe un importante contributore al bilancio europeo in meno, secondo lei?

R. – Onestamente io questo non lo vedo come un grande problema, anche perché è vero che il Regno Unito è un contributore, però al netto di quello che riceve dal punto di vista dei progetti di ricerca e di altri progetti, non è un finanziatore così decisivo per l’Unione Europea. Da quel punto di vista, credo che anche lì molto probabilmente il Regno Unito ci perderà, soprattutto per il finanziamento della ricerca e di programmi collegati all’Università.

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Colombia: cessate il fuoco definitivo dopo 52 anni di violenze

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Il governo della Colombia e i guerriglieri delle Forze armate rivoluzionarie, le Farc, hanno annunciato uno storico accordo per un cessate il fuoco definitivo, dopo oltre mezzo secolo di violenze che hanno provocato più di 260mila morti, 45 mila dispersi e circa 7 milioni di profughi. Alla cerimonia di oggi all’Avana, dove da tre anni e mezzo si stanno tenendo i negoziati di pace, partecipano il Presidente colombiano Manuel Santos, il comandante del Farc, Timoleon Jimenez, e il Segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon. In questo quadro, l’intesa può essere letta come l’ultimo passo prima di una pace duratura per la Colombia? Risponde Massimo De Leonardis, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano, intervistato da Giada Aquilino

R. – Certamente. In una successione di accordi a tappe che sono iniziati negli anni scorsi, questa non è ancora la tappa definitiva, che però dovrebbe arrivare il mese prossimo quando, il 20 luglio, cadrà la festa nazionale della Colombia.

D. – Negli ultimi anni, è stato osservato un blocco delle ostilità. Ma quando poi potrebbe di fatto entrare in vigore il cessate il fuoco?

R. – Quando ci sarà la definitiva consegna delle armi da parte della guerriglia. C’è tutta una serie di accordi: c’è una amnistia che dovrebbe riguardare grossa parte dei guerriglieri, c’è un piano di riforma agraria, ci sono condizioni per il reinserimento delle forze rivoluzionarie nella vita politica, comprendente anche la nomina di alcuni senatori a vita appartenenti a queste formazioni. Quindi ci sono ancora dei passi da compiere. Sappiamo che la consegna definitiva delle armi e il reinserimento nella vita politica, anche in base a esperienze di altri movimenti terroristici e violenti come quelli irlandesi, costituiscono sempre una fase delicata.

D. – Come si è arrivati all’intesa? Lei ha parlato di un percorso a tappe…

R. – Questa guerriglia di ispirazione marxista particolarmente sanguinosa dura da 52 anni. Le ultime fasi avevano visto il Presidente Alvaro Uribe, che ha guidato la Colombia dal 2002 al 2010, cercare una soluzione militare alla guerriglia. Sembrava che il Presidente avesse il massiccio appoggio della popolazione in questa linea, perché fu rieletto dopo il primo mandato con il 63% dei suffragi e certamente le Farc subirono grosse sconfitte, che forse sono state all’origine della loro decisione di accettare il dialogo. La politica del dialogo è stata presa dal successore di Uribe, Manuel Santos, l’attuale Presidente, che peraltro era stato ministro della Difesa di Uribe, ma che iniziò questo processo di pace con un primo accordo firmato a Cuba sotto l’“egida” di Raul Castro. Inizialmente, l’accordo non fu accolto bene dalla popolazione: ci furono molte manifestazioni di piazza contrarie, l’indice di approvazione di Santos crollò al 9%, ma in seguito il processo è continuato fino ad arrivare ad oggi.

D. – Negli anni si è parlato di risarcimento alle vittime, ai loro parenti, al reinserimento sociale degli ex bambini-soldato… Che quadro ne esce della Colombia? Comunque di un Paese ferito…

R. – Certamente: è stata una guerriglia durata più di mezzo secolo, ci sono stati periodi in cui intere zone del Paese erano di fatto governate dalle Farc e, come sappiamo, i movimenti guerriglieri in genere si alimentano attraverso forme di estorsione di denaro alla popolazione o ricatti. Quindi certamente c’è da completare un lavoro di pacificazione molto serio e il modello evocato è stato quello della riconciliazione in Sudafrica.

D. – Papa Francesco ha più volte mostrato la propria volontà di essere vicino ai colombiani, magari anche con una tappa di un viaggio. Quanto la Chiesa cattolica è stata vicina alla popolazione, in questi anni?

R. – Come sappiamo, la Chiesa in America Latina ha sempre un ruolo fondamentale, importante. Ha svolto un compito di moderazione e ha sempre cercato di invitare ad agire pienamente nella legalità.

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Francia. Hollande: avanti su Jobs Act. A Parigi corteo blindato

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Sulla riforma del lavoro "andremo fino in fondo": Così  il Presidente francese, Hollande nel giorno della mobilitazione sindacale contro il Jobs Act, prima vietata e poi autorizzata dal governo con strette limitazioni a seguito dei disordini delle scorse settimane. La contestata riforma prevede un allentamento dei vincoli imposti dall’attuale diritto del lavoro e sarà votata definitivamente tra cinque giorni. Paolo Ondarza ne ha parlato con Michel Martone, docente di diritto del lavoro all’Università Luiss di Roma: 

R. – La Francia vive indubbiamente un momento difficile. E’ un Paese attraversato da forti tensioni sociali che sono legate da un lato alla grave crisi economica che l’ha colpita, come peraltro è accaduto in Italia a causa del crack di “Lehman Brothers” nel corso del 2007-2008, e poi della crisi dei debiti sovrani, dalla quale la Francia ancora non si è ripresa; dall’altro, vive anch’essa un problema legato all’immigrazione e soprattutto ha un potere politico che in questo momento è particolarmente debole, come quello del Presidente Hollande. In questa situazione, sicuramente la decisione di consentire la manifestazione, oggi, è una decisione – secondo me – intelligente, perché la situazione sociale della Francia è esplosiva: una manifestazione disciplinata entro determinate condizioni è sicuramente un modo per riuscire a dare libero sfogo al disagio sociale che invece è molto ampio e, come sempre accade, poi alla fine va a sfogarsi nei confronti dei problemi del lavoro.

D. – Ci sono margini concreti per una trattativa che possa portare a un qualche accordo e quindi placare, quantomeno per il momento, la situazione?

R. – A mio avviso, sì. Il sindacato è diviso: ci sono alcuni sindacati che sono più favorevoli alla riforma, altri più contrari. La linea di potenziare la contrattazione collettiva aziendale è quella che stanno percorrendo i diversi Paesi in questo momento; quindi, a mio avviso, i margini ci sono anche se non sarà assolutamente facile raggiungerli perché l’esecutivo ha una popolarità molto bassa e un governo con una popolarità bassa è sicuramente un interlocutore debole a un tavolo delle trattative; un interlocutore debole che però, proprio a causa della sua debolezza, corre il rischio di avere troppo voglia di mostrare i propri muscoli, come ad esempio è accaduto nel caso della manifestazione di oggi che prima voleva essere vietata e infine è consentita. Ecco: speriamo che il governo trovi una linea chiara per riuscire a trovare un accordo, anche perché questa legge è una legge che non è voluta da nessuno, in Francia: i sondaggi dicono che quasi il 70% dei francesi è contrario …

D. – Stiamo parlando di una riforma che punta a liberalizzare il mercato, basata sull’accantonamento della contrattazione nazionale a favore, invece, di quella aziendale, e che allenta i vincoli imposti dall’attuale Diritto del Lavoro …

R. – E’ una riforma che va nel senso indicato dall’Europa, nel senso di aumentare la produttività delle aziende e di flessibilizzare ulteriormente l’utilizzo della manodopera: per questo, il sindacato è fortemente contrario. Il punto è che in questa riforma si sta rafforzando ulteriormente il sindacato, e non si intravedono vie d’uscita.

D. – Oggi si svolge in Gran Bretagna il referendum sulla “Brexit”: quanto sta accadendo in Francia, ovvero le proteste del mondo del lavoro, che peso possono avere all’interno del dissenso antieuropeista?

R. – Le protesta che ci sono in Francia, sicuramente sono un altro campanello d’allarme dei movimenti che contestano la linea dell’austerità imposta dall’Europa. D’altra parte, presto ci saranno anche le elezioni in Spagna dove “Podemos” sembra essere uno dei partiti maggiormente accreditati per la vittoria. Più in generale, la linea adottata dall’Europa è oramai vissuta come eccessivamente burocratica; l’Europa viene sentita non più come il sogno di pace di una generazione, come era fino a qualche anno fa, bensì come la matrigna austera e burocratica che in qualche modo è la causa di tutti i mali dei singoli Paesi. Chiaramente, da questo punto di vista il referendum sulla “Brexit” è molto importante; ma anche se vincerà la posizione del “Bremain” in Europa, è altrettanto chiaro che l’Europa stessa dovrà avviare una profonda riflessione, e la linea tedesca non potrà essere l’unica linea a farsi sentire perché l’Europa dev’essere qualcosa di meglio e qualcosa di più.

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Yemen: emergenza alimentare per il 51% della popolazione

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Oltre metà della popolazione yemenita vive nell'insicurezza alimentare ad un livello di "crisi" ed "emergenza". In alcuni governatorati circa il 70 per cento della popolazione fatica a sfamarsi. Questi alcuni dei risultati dell’ultima analisi dell’Integrated Food Security Phase Classification (Ipc), un sistema di analisi sull’insicurezza alimentare creato dalla Fao nel 2004. La guerra per procura combattuta nel Paese ha aggravato la situazione: dal 2015 la coalizione sunnita guidata da Riad sta conducendo una campagna militare contro i ribelli Houthi sciiti, sostenuti da Teheran provocando 6.400 morti e oltre 2 milioni di sfollati. Sulle novità che emergono in questo nuovo rapporto della Fao, Valentina Onori ha intervistato Rachele Santini della comunicazione dell’unità di supporto globale dell’Ipc: 

R. – Ci sono dei dati particolarmente allarmanti relativi alla situazione di insicurezza alimentare nel Paese rispetto all’ultimo Rapporto del giugno 2015: in quest’ultimo si stimavano circa dodici milioni di persone in una fase di crisi e di emergenza, bisognose di assistenza umanitaria. Rispetto all’ultima analisi, c’è un aumento di circa due milioni di persone che - si stima - siano adesso in una fase di crisi e di emergenza. Questo dato corrisponde al 51 per cento della popolazione. Questa è una situazione che si è decisamente aggravata a causa del conflitto e di tutte le conseguenze che quest’ultimo ha comportato. È stato ristretto l’accesso agli aiuti umanitari ed è difficile raggiungere le popolazioni più vulnerabili; inoltre, a causa dell’aumento dei prezzi e dell’instabilità socio-economica, che il conflitto non ha fatto altro che aumentare, le persone sono più isolate. Meno della metà dei mercati, nei vari governatorati, è funzionante: questi non sono raggiungibili; i trasporti sono inagibili, soprattutto a causa dell’aumento del prezzo del petrolio.

D. – Qual è la reale portata della crisi umanitaria?

R. – I numeri parlano chiaro. Continuiamo da tempo a dire che la situazione è grave e che c’è bisogno di intervenire. Il conflitto nel Sud del Paese, tra Al Qaeda e le forze governative, continua, nonostante ci sia stato un brevissimo periodo di cessazione. Le cause di questa situazione non sono ancora state affrontate. Il sistema di analisi dell’IPC non solo descrive la situazione, ma in realtà ne sottolinea le cause. Se non si risolvono queste, i numeri continueranno a crescere o a rimanere comunque gli stessi, che è altrettanto grave.

D. – Ad agosto 2015, il presidente del Comitato Internazionale della Croce Rossa affermava che “dopo cinque mesi di guerra, lo Yemen appare come la Siria dopo cinque anni di conflitto”. Perché?

R. – Lo Yemen è in un crocevia: in una zona molto "calda", un Paese che continua ad essere in totale conflitto, ancora non risolto. Sicuramente la situazione in Yemen è sospesa e gli interventi non sono totalmente finalizzati a risolvere il conflitto: questo protrae la vulnerabilità e colpisce tutta la popolazione, che è la prima vittima di tutto questo.

D. – Una proposta di risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione umanitaria in Yemen prevede la formazione di una Costituzione, un referendum e delle elezioni…

R. – Sicuramente la via diplomatica è una via importante da intraprendere, e in maniera anche concreta, il prima possibile. Però, quello che esce principalmente da quest’analisi sono le persone che al momento stanno subendo tutte le conseguenze del conflitto; anche perché sappiamo che questi processi possono prendere molto tempo, e il tempo al momento è un fattore molto importante per queste persone.

D. – Avete ricevuto delle risposte o delle reazioni immediate a questo report?

R. – Sicuramente un profondo interesse e scrutinio dei risultati; ancora non si è concretizzata un’attività. Sicuramente il governo ha convalidato i risultati – e questo è sicuramente un ottimo passo: il riconoscimento della situazione – per far sì che poi i risultati si trasformino in politiche o in azioni specifiche.

D. – Le persone che hanno condotto questo Report che testimonianze riportano dallo Yemen?

R. – Un grandissimo livello di emergenza; scarsissimo accesso e disponibilità di dati importanti per poter misurare la magnitudine dell’insicurezza alimentare.

D. – Il Direttore Generale della Fao, organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ha incontrato Papa Francesco. Il Papa si è dimostrato anche molto sensibile alla crisi umanitaria nello Yemen. Cosa potrebbe favorire questo incontro?

R. – È un incontro tra persone che lavorano; il direttore della Fao ha un’istituzione intera che sta lavorando su tutte queste tematiche. Avere l’appoggio e la sensibilità del Papa, che sostiene tutti i lavori, è importantissimo. Questo dimostra che c’è l’intento di affrontare i problemi e di lavorare insieme per questo; sensibilizzare: portare all’attenzione di tutti queste situazioni di emergenza. E sicuramente anche l’appoggio e le parole del Papa a favore di queste tematiche sono fondamentali. Credo che le aspettative siano quelle di una comunità di intenti, per riuscire, anche a livello politico, a fare pressioni su queste situazioni.

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Balcani: l'economia sociale in risposta alla crisi economica

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L’economia sociale come risposta sostenibile ai gravi squilibri creati dalla crisi economica in sette paesi della regione del Sud Est Europa. E’ alla base del progetto “E.L.Ba. – Emergenza Lavoro nei Balcani”, avviato lo scorso anno da Serbia, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Macedonia, Montenegro, Albania e Grecia, finanziato da Caritas italiana, dalla Conferenza episcopale italiana, e di cui si è discusso in questi giorni a Pristina, in Kosovo. Sono 21 le imprese sociali supportate in tutto il sudest Europa, in grado di favorire l’occupazione, la crescita inclusiva, il rispetto dell’ambiente e una più equa distribuzione della ricchezza. Francesca Sabatinelli ha intervistato Laura Stopponi responsabile Ufficio Europa di Caritas italiana, presente a Pristina: 

R. – Il punto cruciale è l’assenza di lavoro, con percentuali di disoccupazione che in Bosnia, ad esempio, vanno dal 36 al 50% e con picchi ancora più alti per i giovani. Questo è il dramma di questi Paesi ed è il tema che ci ha portato a cercare di portare avanti un progetto di sviluppo dell’economia sociale, come il progetto "E.L.Ba.",  proprio per creare lavoro, in modo particolare per le fasce più vulnerabili. La gente va via, emigra, con punte molto elevate, perché soprattutto i giovani non trovano lavoro.

D. – L’economia sociale come risposta, ma come si può applicare in questi Paesi? E’ di successo?

R. – Si sta iniziando, si sta iniziando a parlare di economia sociale. Si è cominciato a parlare di cosa vuole essere l’obiettivo dell’economia sociale: anzitutto un modello di sviluppo economico diverso, in cui le persone più deboli, più marginali, più vulnerabili, non sono lasciate fuori perché, appunto, marginali, ma vengono incluse in un concetto di economia diversa. Quindi, l’economia sociale vuole essere un ponte per portare valori diversi, in cui il bene comune sia al centro della nostra attenzione, in cui la coesione sociale e l’inclusione sociale siano alla base del nostro modello economico. Si sta iniziando a parlare anche con esperienze concrete, come l’aver finanziato 21 piccolissime attività economiche il cui l’obiettivo non era il solo profitto, ma l’inclusione sociale, l’inclusione di persone che altrimenti non avrebbero trovato lavoro altrove. Produrre profitto affinché questo profitto possa essere poi riutilizzato per il bene comune, per il bene della comunità, per il bene di queste imprese, è un concetto nuovo sul quale stiamo lavorando, a partire anche dal fatto che molti di questi Paesi stanno riscrivendo la legge del terzo settore, la legge sul tema delle relazioni con il mondo no-profit. E proprio in questi giorni, in Kosovo in modo particolare, si sta scrivendo la prima legge. Quindi, il poter portare anche concetti nuovi all’interno di queste economie è per noi molto, molto, importante e questo proprio per la costruzione del bene comune.

D. – Possiamo entrare proprio nello specifico e spiegare in che modo si è applicato questo nuovo modello economico che non mette da parte gli esclusi, ma li include come risorse del territorio?

R. – Anzitutto, non dobbiamo dimenticare che comunque alla base di tutto ci devono essere delle realtà che producono dei beni e che producono anche un profitto. Quindi, non soltanto mettere insieme persone che sono in difficoltà per produrre dei beni che rimangono poi all’interno di queste piccole associazioni e cooperative, ma avere una attenzione a quello che può significare produrre un bene e quindi la sostenibilità di una impresa che nasce affinché rimanga e diventi un agente di sviluppo sul territorio. Questo però a delle condizioni: l’utilizzazione degli utili, affinché questa piccola impresa possa migliorare e quindi accrescere la propria capacità produttiva, avendo allo stesso tempo attenzione a includere all’interno di queste realtà persone che abbiano delle difficoltà. Queste 21 imprese producono servizi, dalla lavanderia alla tipografia, alla serra, in cui si dà un servizio, quindi si lavano i panni, si stampano dei documenti, ma all’interno di queste attività ci sono delle persone in difficoltà e parte degli utili vengono poi dati alle realtà che le assistono.

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Veglie di preghiera per migranti in Europa, 3 mila vittime nel 2016

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“Morire di speranza”: si pregherà stasera in oltre 30 città italiane per ricordare le vittime dei viaggi verso l’Europa. A Roma la Veglia, alle 18.30 nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, sarà presieduta da mons. Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato. Roberta Gisotti ha intervistato Daniela Pompei, responsabile Immigrazione della Comunità di Sant’Egidio, che ha promosso l’iniziativa, insieme ad altri enti e associazioni cristiane, tra cui la Federazione delle Chiese evangeliche. 

Almeno 30 mila le vittime, dalla fine degli anni ’80, lungo le frontiere d’Europa, ma forse molte di più: nessuno sa quante persone abbia inghiottito il mare. Daniela Pompei: quali intenti in questa preghiera?

R. – Quello di far soffermare tante persone su questo dramma e anche non far dimenticare, non mandare nelll’oblio tante persone che hanno perso la vita in questi anni, e particolarmente negli ultimi due. Dalla fine del 2014-2015 e in questa prima metà del 2016, si stima che più di 10 mila persone siano morte nei cosiddetti ‘viaggi della speranza’. E la gran parte di esse è morta nel tratto di Mediterraneo che è davanti all’Italia.

D. – Oltre che sensibilizzare i fedeli e l’opinione pubblica, lancerete un appello?

R. – Sì noi, come Comunità di Sant’Egidio, insieme alla Federazione delle Chiese Evangeliche e alla Tavola Valdese, chiederemo a tutti i governi europei di aprire canali legali di ingresso, i corridoi umanitari. Questi garantiscono sicurezza ai profughi, che in questo modo sono tolti dalle mani dei trafficanti e dalla possibilità di morire in questi viaggi terribili. Ma allo stesso tempo garantiamo sicurezza ai cittadini europei, perché queste persone, prima di entrare, vengono tutte controllate.

D. – Nella pratica questi corridoi umanitari, secondo la vostra esperienza sul campo, come dovrebbero funzionare?

R. – Dai Paesi di transito, vicini ai Paesi di guerra sono individuate delle persone per i corridoi umanitari. Noi abbiamo iniziato dal Libano, che accoglie un milione e 200 mila profughi siriani, fuggiti dalla guerra. Si tratta di persone in situazioni di vulnerabilità: donne da sole con bambini, malati, nuclei familiari. Qui i visti vengono regolarmente chiesti al nostro Consolato italiano a Beirut. Finora sono arrivate 300 persone. Quindi, effettivamente, abbiamo voluto dire che è possibile far entrare in sicurezza. I governi lo possono fare, con uno strumento che non ha necessità di essere modificato dal punto di vista legislativo, perché è il Regolamento europei dei visti: l’art. 25 prevede la possibilità per ogni singolo Stato dell’Unione europea di rilasciare dei visti a territorialità limitata (VTL).

D. – L’importante è fermare assolutamente questo flusso incontrollato che porta morte ai migranti, e comunque impaurisce le popolazioni europee…

R. – È chiaro che adottare una politica comune europea, che sia una politica che privilegi gli ingressi regolari, garantisce tutti, e aiuta anche i cittadini europei a superare le paure.

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Prof. Asolan: martiri copti, testimonianza di fede che scuote

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I cristiani copti uccisi in Libia dall’Is sono santi martiri, “dottori di coerenza cristiana, testimoni di fede”. Così Papa Francesco pochi giorni fa nella visita a Villa Nazareth ricordava il martirio dei 21 copti sgozzati nel febbraio del 2015. Proprio recentemente, don Paolo Asolan, docente di Teologia Pastorale all’Istituto Redemptor Hominis della Pontificia Università Lateranense ha incontrato in Egitto la famiglia di Milad, uno dei copti barbaramente ucciso dai jihadisti. Il docente della Lateranense ha visitato numerose realtà cristiane in Egitto nell’ambito di una riorganizzazione da parte della Provincia dei Frati Minori della propria pastorale. Alessandro Gisotti ha raccolto la sua testimonianza: 

R. – Sono stato a visitare diverse realtà sia cristiano-cattoliche sia copte e all’interno di queste comunità copte il paese dal quale provenivano 15 dei martiri sgozzati sulla riva del mare in Libia.

D. – Lei ha avuto un’esperienza di incontro molto forte, proprio con la famiglia di uno dei copti martiri uccisi dall’Is …

R. – Sì la famiglia di Milad, che nel video è quello che si vede per primo mentre prega aspettando, appunto, che si compia l’esecuzione. Aveva una moglie e un bambino che adesso ha tre anni, più la mamma e il papà e come succede in queste famiglie, si tratta di una famiglia allargata: ci sono le sorelle della moglie … In questa piccola comunità, dove – tra l’altro – lo Stato egiziano sta costruendo una chiesa in onore dei martiri, ci sono 15 famiglie che hanno un martire in casa.

D. – Cosa l’ha colpita delle famiglie di questi martiri?

R. – La prima cosa, impressionante, è la familiarità che hanno con l’idea stessa del martirio, cioè che il loro legame di Battesimo con Gesù non è solo un legame di acqua, ma anche un legame di sangue per cui in un certo senso prevedono o tengono in considerazione questa possibilità, e la tengono in considerazione come una sorta di segno di amore da parte del Signore: questa è la cosa più sconvolgente! La seconda è che la fede si mantiene – o si è mantenuta – in quel contesto così difficile sia per questa forza del martirio, sia per l’altra forma di martirio, che è il monachesimo, così presente specialmente nel deserto. D’altra parte, il monachesimo è nato con Sant'Antonio nel Deserto di Tebe. Fa impressione la libertà con cui dicono espressioni come “tra il tenere la vita e darla al Signore, meglio darla al Signore”. Ho anche chiesto alla mamma di Milad cosa ha sentito, che cosa si è detta nel momento in cui ha visto il video e la morte del figlio, e lei diceva che certamente la cosa più dolorosa per una madre è perdere un figlio, ma non c’è un gesto d’amore più grande che si possa fare per il Signore che dare la propria vita per Lui.

D. – Nella recente visita a Villa Nazareth, Papa Francesco ha ricordato proprio i cristiani copti uccisi dall’Is in Libia. E' fondamentale non dimenticare mai questi martiri …

R. – Sì. Da una parte, credo che loro abbiano bisogno di sentire che noi li sosteniamo; dall’altra, la naturalezza ma anche la totalità di questa fede, di questo amore  che esprimono anche così, effettivamente guarisce molte delle nostre perplessità, dei nostri dubbi! C’è un mistero di persecuzione del Cristo che continua anche nelle sue membra. E poi c’è anche questo aspetto: si tratta di famiglie di gente molto semplice, che vivono la fede come il pane quotidiano. In un certo senso è vero che il Signore si rivela ai semplici e ai piccoli e quindi la forza di questa testimonianza – pur segnata dal dolore, che tuttavia era un dolore ‘fasciato’, raccolto, custodito proprio dalla consolazione – ha un suo senso anche intimo e profondo, che loro colgono.

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Gmg 2016: Cracovia si prepara ad ospitare il Papa

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Tra poco più di un mese Papa Francesco si recherà a Cracovia per la Giornata Mondiale della Gioventù del 2016. Tanta l’attesa nella città polacca e nella regione per l’arrivo del Pontefice. Per annunciare la misericordia, tema del Giubileo e della Gmg, un gruppo di motociclisti è arrivato in pellegrinaggio dalla Polonia per assistere all’Udienza generale di ieri mattina. Poi la presentazione dell’evento all’Istituto polacco di Roma Il servizio di Michele Raviart

Sono due milioni i pellegrini attesi a Cracovia dal 25 al 31 luglio prossimo per la Giornata Mondiale della Gioventù.  Oltre 50 mila finora gli accrediti dall’Italia per l’evento, che culminerà il sabato con una grande Veglia nel “Campus misericordiae”, una struttura creata appositamente per l’occasione e che evoca il tema dell’incontro. Malgorzata Furdal, direttrice dell’Ente nazionale polacco per il turismo a Roma

Il tema “Beati i misericordiosi perché troveranno la misericordia” coincide perfettamente, anzi precedente, quello che poi è stato indetto da Papa Francesco con l’Anno Giubilare della Misericordia. Ricordiamo che Cracovia è la città dei due santi: è la città di santa Faustina, che ha avuto le visioni di Gesù Misericordioso; ma Cracovia è anche al città di Giovanni Paolo II, che ha ideato le Giornate Mondiali della Gioventù e che ha vissuto la maggior parte della sua vita in questa città, che ha amato molto.

Per “accendere la misericordia”, padre Adam Parszywka, direttore del dipartimento di comunicazione della Gmg, ha organizzato un singolare pellegrinaggio. 200 motociclisti sono arrivati dalla Polonia a Roma per l’udienza generale del Papa:

I motociclisti in Polonia mi avevano rivolto la richiesta di poter accompagnare il passaggio del  Papa con la moto: ma ho detto loro che non c’è questa possibilità: i motociclisti non possono essere in strada per motivi di sicurezza. Ma allora ho fatto loro la proposta di andare in Vaticano, a Roma. Noi gli offriamo la nostra preghiera.

Altri momenti importanti del viaggio saranno la visita al Santuario della Divina Misericordia di Santa Faustina e quella privata del 29 luglio ai campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau. La Polonia aspetta quindi Francesco, a 25 anni dalla Gmg di Czestochowa voluta da San Giovanni Paolo II. Spiega il giornalista Michele Zanzucchi:

In Brasile il Papa ha conquistato tutti con i semplici gesti della sua quotidianità. Credo che lo stesso succederà in Polonia, dove il 25.mo della Giornata Mondiale della Gioventù di Czestochowa sarà celebrato in un modo penso unico: all’epoca – 25 anni fa – c’era la caduta del Muro, che era ancora recente, c’era questo primo incontrarsi dei giovani dell’Europa dell’Est e dell’Ovest; questa volta si vedrà – dopo 25 anni – la maturazione che ha avuto l’Est, ma anche i problemi che sta attraversando in questo momento. Credo che il Papa aiuterà tutti i popoli dell’Est Europeo a trovare le giuste soluzioni.

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Marcia Perugia-Assisi per la pace e la solidarietà

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E’ stata presentata questa mattina a Roma l’edizione 2016 della Marcia Perugia-Assisi con l’obiettivo di riscoprire il valore della pace attraverso la fraternità, il sostegno reciproco e la giustizia. Il servizio di Gioia Tagliente

Una marcia per la pace e la fraternità, che si terrà il 9 ottobre da Perugia ad Assisi, contro la rassegnazione e l’indifferenza che purtroppo alimentano e circondano le tragedie dei nostri giorni. Ne parla Flavio Lotti:

“Questa marcia è un atto dovuto a tutti quei cittadini del mondo che stanno pagando il prezzo più alto delle guerre, delle stragi, di tante, troppe violenze e ingiustizie che si susseguono nel mondo. E’ una grande occasione per tutti quelli che vogliono reagire, che vogliono cercare di cambiare la realtà. Ed è anche una grande assunzione di responsabilità, perché se davvero vogliamo la pace dobbiamo impegnarci a farla tutti noi, tutti insieme, tutti i giorni”.

Infatti la pace è il tema principale di questa marcia, come afferma don Luigi Ciotti:

“La pace è il riconoscimento della dignità e del diritto di ciascuno a esistere sulla faccia di questa terra, e che i nemici della pace sono la disuguaglianza, l’ingiustizia, i privilegi, i poteri sporchi … E allora noi siamo qui per dire che la pace viene anche dell’inquietudine dei cuori e delle coscienze. Camminiamo per guardarci dentro, per chiederci che cosa possiamo fare anche noi, piccoli piccoli. Ma non basta un cambiamento dal basso: il cambiamento deve incominciare da dentro. E’ in atto, come ci ha ricordato Papa Francesco, la Terza Guerra Mondiale, ma rischiamo di non essercene accorti. E soprattutto, tre elementi diventano importanti nel nostro cammino: bisogno di verità, di onestà, di trasparenza e di assunzione, da parte di tutti, di responsabilità. Un’altra considerazione per cui cammineremo, e cammineremo in tanti e insieme, ancora una volta, è: non dimenticare i morti vivi. Sono le persone private della dignità di vivere. Avviene un furto di speranza, di lavoro, di giustizia, di vita e questa – credo – è la principale guerra che si combatte sotto ai nostri occhi, ogni giorno. Dobbiamo fermare questa guerra”.

Questa marcia è contro tutte quelle ideologie politiche che stanno alimentando le paure e le divisioni, come spiega ancora Flavio Lotti:

“Pensare che si possa fare a meno dell’Europa è una follia. Noi abbiamo bisogno di cambiarla, questa Europa, di renderla più vicina e al servizio dei cittadini. Abbiamo bisogno di essere accoglienti, innanzitutto nei confronti del nostro vicino di casa, innanzitutto di coloro che abitano le nostre periferie e poi di tutti quelli che fuggono dalle tante periferie infuocate del mondo intero”.

Proprio in merito all’Europa unita, importante è la solidarietà, soprattutto verso l’accoglienza dei migranti. Ancora don Ciotti:

“L’Europa ha dimenticato le sue radici, ha calpestato le sue radici per le quali è nata. Non è possibile che al Brennero vengano respinti, che a Ventimiglia vengano respinti … Questa non è una tragedia umanitaria, ma una tragedia della politica. Una politica mondiale ed europea che non riesce a trovare una strada capace di andare incontro ai bisogni profondi delle persone, alla loro dignità e alla loro libertà. Soprattutto non dobbiamo dimenticarci che il diametro della Terra è di circa 13 mila chilometri: abbiamo già 14 mila km di muri e di fili spinati …”.

Una marcia che coinvolge tutti, in particolare i giovani, conclude Flavio Lotti:

“Questa marcia sarà aperta e conclusa dalle scuole del nostro Paese. Ci saranno più di 100 scuole alle quali noi consegniamo il testimone della marcia Perugia-Assisi. Per loro sarà una grande esercitazione alla responsabilità, un grande esercizio di cittadinanza responsabile e globale. Dobbiamo investire sull’educazione, dobbiamo aiutare la scuola e costruire insieme una comunità educativa”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Chiesa Colombia: firma di una pace vera e non simbolica

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"Abbiamo bisogno di un segno chiaro che la firma dell'accordo di pace sia effettiva e non solo un atto simbolico", ha detto mons. Luis Augusto Castro Quiroga, arcivescovo de Tunja e presidente della Conferenza episcopale della Colombia dopo che - riferisce l'agenzia Fides - è stata annunciata per oggi la firma dell'ultimo dei punti dei "Dialoghi di Pace" a Cuba da parte del governo colombiano e del gruppo guerrigliero delle Farc (Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane).

La popolazione vuole vedere subito gli effetti dell'accordo
"I guerriglieri devono consegnare e distruggere le armi pubblicamente", ha poi aggiunto l'arcivescovo. Mons. Castro Quiroga ha ricordato inoltre alcune notizie non verificate che si sono diffuse nel Paese sulla possibilità che i guerriglieri possano riprendere le città. L’arcivescovo si è fatto quindi interprete del bisogno di assicurazione del popolo colombiano. “La popolazione vuole vedere immediatamente gli effetti dell’accordo” ha sottolineato mons. Castro Quiroga .

Si tratta di un momento storico per la Colombia
​"Le delegazioni del governo nazionale e delle le Farc informano l'opinione pubblica che hanno raggiunto un accordo sul cessate il fuoco e sulla fine definitiva delle ostilità” afferma il comunicato congiunto dei negoziatori colombiani diffuso ieri sera a L'Avana. Si tratta di un momento storico per la Colombia, visto che la firma dell'accordo significa concludere il conflitto armato che dura da 50 anni. (C.E.)

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Sud Sudan: responsabilità Caschi Blu nell'impedire massacro di Malakal

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Confusione nel comando e controllo e mancata conoscenza delle regole d’ingaggio, ovvero degli ordini su come comportarsi di fronte ad un attacco, da parte dei Caschi Blu sono tra le cause che hanno provocato il massacro avvenuto nella notte del 18 febbraio nel campo profughi di Malakal nel Sud Sudan. Lo ha stabilito un’inchiesta delle Nazioni Unite che ha messo in rilievo il comportamento dei Caschi Blu della Missione Onu in Sud Sudan (Umiss).

Colpiti i civili nel Campo profughi con armi sofisticate
Secondo il rapporto - riferisce l'agenzia Fides - gli assalitori indossavano uniformi dello Spla (Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese) ed hanno usato armi relativamente sofisticate, compresi proiettili traccianti e granate, per colpire i civili rifugiati nella struttura Onu che ospita circa 50.000 sfollati. Almeno 30 civili sono rimasti uccisi e 123 feriti.

Le truppe Onu che non hanno risposto all'attacco verranno rimpatriate
Secondo Medici Senza Frontiere “Msf” l’Umiss non ha rispettato il proprio mandato di proteggere i civili, come stabilito dal Consiglio di Sicurezza: prima dell'attacco, ha fallito nell'impedire che nel Campo entrassero armi; ha deciso di non intervenire quando sono iniziati i primi scontri e quando è avvenuto l'attacco dall'esterno è stata estremamente lenta nel rispondere all'assalto”. L’Onu ha annunciato che le truppe che non hanno risposto all’assalto verranno rimpatriate. (L.M.)

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Iraq: dal clero caldeo nuove vie per dare speranza al popolo

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SI è concluso ad Erbil, nel Kurdistan irakeno, il summit del clero caldeo, promosso dal Patriarca Sako. per ripensare l’opera di evangelizzazione e il ruolo del sacerdote nella società irachena. I lavori, all’insegna del motto “Misericordiosi come il Padre”, si sono svolti presso il monastero patriarcale di St. Adday e St. Maary, ad Ankawa, il quartiere cristiano di Erbil. La discussione e il confronto - riferisce l'agenzia AsiaNews - si sono svolti in un clima spirituale fraterno che ha saputo mettere a proprio agio tutti i presenti. In particolare il summit ha affrontato le sfide “spirituali, pastorali, culturali, educative e sociali” che trovano i sacerdoti e i vescovi nella loro opera quotidiana. 

Le linee tracciate dal Patriarca Sako
Al termine dell’incontro, il patriarcato caldeo ha tracciato alcuni punti che serviranno a guidare il lavoro: in primis una maggiore collaborazione fra vescovi e sacerdoti, che devono “incontrarsi con regolarità” per migliorare la qualità della loro opera; a questo si aggiunge l’impegno a tenere un ritiro spirituale annuale, che quest’anno si svolgerà dal 19 al 22 settembre sul tema: “Il sacerdote, colui che possiede la Divina Misericordia”. 

Clero sia trasparente nei bilanci e rimanga nella propria diocesi
I vertici della Chiesa caldea ricordano al clero che “i sacramenti non possono essere impartiti dietro compenso o denaro” e che per il sostentamento dei sacerdoti verranno stanziate somme di denaro sufficienti al bisogno. E ancora, ai preti non è permesso spostarsi da una diocesi all’altra - inevitabile il richiamo ai sacerdoti e ai monaci ribelli - senza il consenso dei vescovi; altro elemento di discussione è stato la valorizzazione del ruolo dei laici - di entrambi i sessi - nella missione e dar vita a un comitato chiamato a “vigilare” in modo trasparente sulle casse e i bilanci. 

Al centro dei lavori la vita del sacerdote e la situazione dei profughi cristiani
“È stato un incontro molto bello e positivo a livello comunitario” racconta ad AsiaNews padre Samir Youssef, parroco della diocesi di Amadiya (nel Kurdistan irakeno); egli cura 3500 famiglie di profughi cristiani, musulmani, yazidi fuggiti da Mosul e dalla piana di Ninive nell’estate 2014 con l’arrivo del sedicente Stato Islamico (Is). “Abbiamo messo al centro - spiega - la vita del sacerdote, a livello pastorale e spirituale, oltre ad approfondire la situazione dei profughi cristiani. Una situazione nuova e una nuova missione: come sacerdoti dobbiamo capire come dare speranza a questa gente”. 

Il ringraziamento del Patriarca Sako per i sacerdoti rimasti in Iraq
​Preparando l’incontro, i vertici della Chiesa caldea hanno insistito a lungo sul tema della misericordia, scegliendo vari passaggi di papa Francesco in materia come spunto di riflessione. In particolare il Patriarca Sako che ha voluto ringraziare i sacerdoti rimasti in Iraq, accanto al proprio popolo, a portare la croce. (R.P.)

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Sinodo pan-ortodosso: la missione nel mondo contemporaneo

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“Ci sono stati tanti sviluppi, così come molti cambiamenti nel corso di centinaia di anni. Sviluppi politici, sociali, anche scientifici. La Chiesa non può più rimanere fuori da queste discussioni. Deve piuttosto trasformarle, attingendo alla sua ricca ed antica tradizione spirituale, articolando nuove risposte, per non ripetere sempre le stesse”. E’ questo “il processo entusiasmante” che il Santo Sinodo della Chiesa ortodossa riunito a Creta sta cercando di fare in questi giorni.

In primo piano la missione delle Chiese ortodosse nel mondo contemporaneo
Ad affermarlo – riferisce l’agenzia Sir - è padre John Chryssavgis, portavoce del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, presentando ai giornalisti i temi che i patriarchi e gli arcivescovi delle 10 Chiese ortodosse presenti a Creta stanno affrontando in questi giorni di lavori conciliari entrati nel vivo lunedì scorso. Le sessioni dei lavori si svolgono a porte chiuse ma tutti i giorni alle 15.30 l’ufficio stampa del Sinodo organizza per i giornalisti presenti un briefing con alcuni dei portavoce dei singoli patriarcati e Chiese presenti. I lavori sono iniziati con l’esame del documento intitolato “La missione della Chiesa ortodossa nel mondo contemporaneo”. Il testo riprende, con alcuni aggiornamenti, il documento “Il contributo della Chiesa ortodossa alla realizzazione della pace, della giustizia, della libertà, della fraternità e dell’amore tra i popoli e alla soppressione delle discriminazioni razziali e altre”, adottato dalla terza conferenza pan-ortodossa preconciliare del 1986 e si concentra sulla missione principale della Chiesa ortodossa: annunciare l’uomo nuovo, rinnovato in Cristo.  

Incoraggiare un’azione unificata nei Paesi della diaspora
Altro importante tema all’ordine del giorno è quello della “diaspora”, questione che sta particolarmente a cuore alle Chiese ortodosse molte delle quali hanno fedeli sparsi in tutto il mondo. Sono realtà che hanno continuato a fare riferimento ai Patriarcati di appartenenza. Padre Chryssavgis  ha spiegato che può capitare, per esempio, di avere una presenza di fedeli appartenenti a 14 Chiese ortodosse diverse  in un’unica regione o addirittura in una città. Si tratta allora di capire il ruolo delle Assemblee dei vescovi che si sono stabilite in loco per “incoraggiare una maggiore discussione per una azione unificata in questi Paesi”.

Buono il clima dei lavori
Il clima a Creta tra i Patriarchi, gli arcivescovi, vescovi e sacerdoti è buono. E’ Ionut Mavrichi, portavoce del Patriarcato di Romania, a testimoniarlo. “Le discussioni tra i vescovi sono ricche di emozione ed empatia e variano dai risvolti metafisici al problema della povertà. E’ solo l’inizio”, ha detto concludendo poi: “la tradizione della nostra Chiesa può essere una risorsa molto ricca alla ricerca di risposte della modernità”. Ed il vescovo Gregory di Messaoria, portavoce della Santa Chiesa di Cipro, ha aggiunto: “Questo sinodo è un dono di Dio”. “Si fa l’esperienza di essere presenti in umiltà, in semplicità, in spirito di amore e carità per tutti. Se non siamo capaci di mostrare noi stessi uniti, come possiamo dire al mondo che siamo uniti come Chiesa di Dio?”. Ed ha concluso: “Questo Sinodo non è una copia di quelli che si sono tenuti nel passato. È qualcosa che ha attraversato i secoli per realizzarsi qui, non solo ora, ma anche per il futuro”. (L.Z.)

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Francia: religiosi in sintonia con i vescovi nella lotta a pedofilia

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La Conferenza dei religiosi e delle religiose di Francia (Corref)  “si associa agli sforzi intrapresi dalla Conferenza episcopale francese” nella lotta alla pedofilia nella Chiesa. E’ quanto si legge in un comunicato diffuso lunedì che, in linea con le nuove misure prese dal Consiglio permanente della Cef lo scorso aprile, sottolinea in particolare l’importanza fondamentale “di un ascolto attento e personale delle vittime”. La Corref ribadisce inoltre l’impegno di tutte le congregazioni religiose di Francia a segnalare alle autorità giudiziarie i casi di abuso e a prendere le adeguate misure e sanzioni canoniche contro i responsabili.

Affrontare questa piaga che coinvolge tutta la società nella sua globalità
“Sappiamo che la questione della pedofilia riguarda tutte delle società umane: le famiglie, ma anche la scuola, le associazioni giovanili e molti altri luoghi. Occorre dunque affrontare questa piaga nella sua globalità - afferma il comunicato. La Chiesa come tutte le istituzioni umane, è confrontata con gli stessi quesiti e cerca di apportare risposte adeguate”.  E in questa direzione si muove la Corref che - si sottolinea – ha ricordato regolarmente ai Superiori religiosi “le loro responsabilità di fronte ai casi di pedofilia”, in conformità con il diritto canonico e il diritto civile francese. “La Corref è convinta che solo facendo piena luce su questi atti si potrà portare  la verità e riconciliazione”, conclude il comunicato.

Le nuove misure adottate dalla Cef la scorsa primavera
Tra le misure adottate dalla Cef sull’onda degli scandali che hanno travolto l’arcidiocesi di Lione, figurano  l’istituzione in ogni diocesi e provincia ecclesiastica di “cellule” locali di sorveglianza; la realizzazione di un sito internet rivolto espressamente all’accoglienza delle vittime che permetterà appunto di mettere le persone coinvolte in contatto con le “cellule” presenti sul territorio; l’apertura di un indirizzo mail – paroledevictimes@cef.fr – aperto a chiunque voglia fare una denuncia o chiedere informazioni.

Dare priorità alle vittime
Le misure  seguono la linea indicata dai vescovi alla loro ultima plenaria primaverile a Lourdes: dare priorità alle vittime, assicurando loro mezzi e strumenti per essere “accolte, ascoltate e accompagnate”. I vescovi francesi hanno deciso anche di istituire una “Commissione nazionale indipendente”che sarà attiva a partire dai mesi estivi di quest’anno, sarà presieduta da una personalità laica qualificata e composta da magistrati, psicologi, familiari delle vittime. Spetterà alla Commissione consigliare i vescovi nella valutazione dei preti che hanno commesso atti reprensibili. Proseguirà invece il suo lavoro la “Cellula permanente di lotta contro la pedofilia”, istituita presso la presidenza della Conferenza episcopale con il compito di prevenire, formare i diversi attori pastorali, accompagnare, coordinare e consigliare le cellule locali, nonché interloquire con le associazioni delle vittime. (L.Z.)

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Svizzera: Commissione indipendente per le vittime di abusi

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A partire dal prossimo mese di settembre, nella Svizzera romanda le vittime di abusi sessuali commessi da sacerdoti e operatori pastorali il cui reato è stato prescritto, potranno rivolgersi direttamente ad una speciale Commissione indipendente dove potranno “trovare ascolto e sostegno”. La nuova “Commissione di ascolto, conciliazione d’arbitraggio e riparazione” (Cecar) è stata presentata alla stampa a Losanna martedì scorso.

L’esempio belga
L’iniziativa – riferisce l’agenzia Apic - si ispira al percorso già intrapreso dalla Chiesa in Belgio. La Commissione è composta da due rappresentanti delle vittime, tre membri della società civile e due rappresentanti della Chiesa cattolica. In pratica, le vittime saranno ascoltate da un comitato di tre conciliatori che hanno il compito di accertare la fondatezza delle denunce. Esse non dovranno comunque portare prove, ma dimostrare la veridicità dei fatti denunciati e, soprattutto, avranno la possibilità di parlare della loro situazione attuale. La persona chiamata in causa come responsabile degli abusi sarà interpellata e al termine delle audizioni, i conciliatori e la vittima elaboreranno insieme una proposta di soluzione che sarà sottoposta all’esame della Commissione.

La volontà dei vescovi e dei religiosi di riparare al male commesso
Sarà inoltre esaminata la possibilità di un risarcimento finanziario, per la quale la Conferenza episcopale svizzera  (Ces) ha messo a disposizione un fondo di 500mila  franchi svizzeri. Ad annunciarlo è stato mons. Charles Morerod, vescovo della diocesi di Losanna, Ginevra e Friburgo che ha dato il suo attivo sostegno al progetto proposto nel 2010  dal gruppo “Sostegno alle persone abusate in una relazione con un’autorità religiosa. La somma che potrà essere rivista se necessario vuole essere un segno della volontà dei vescovi e delle Congregazioni religiose svizzere di riparare al male commesso.

Sofferenza delle vittime anche per il silenzio della gerarchia
“Incontrando le vittime – ha spiegato mons. Morerod  - ci si rende conto che la distanza temporale non annulla la sofferenza, anche dopo tanto tempo. È una sofferenza dovuta non soltanto all’abuso subito, ma anche alla negazione e al silenzio della gerarchia”. Per ora l’iniziativa è limitata alla Svizzera francofona. ma - ha detto la presidente della Commissione Sylvie Perrinjaquet - nulla impedisce che possa essere estesa in futuro alla Svizzera tedesca. (A cura di Lisa Zengarini)

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Chiesa Canada: suicidio assistito legalizza uccisione di una persona

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Dal 17 giugno il suicidio medicalmente assistito in Canada è legge. Dopo la Camera dei Comuni, infatti, anche il Senato ha approvato  il testo presentato dal Governo senza ulteriori modifiche, con 44 voti favorevoli e 28 contrari. Il provvedimento prevede alcune clausole di salvaguardia a tutela dei soggetti più vulnerabili e della libertà di coscienza degli operatori sanitari. Esso esclude infatti esplicitamente i minorenni, le persone con malattie mentali e coloro che sono affetti da malattie degenerative.

Il rischio di interpretazioni estensive della nuova legge
Limitazioni che non fugano le obiezioni morali a una legge che, al di là delle buone intenzioni dei suoi promotori, di fatto legalizza l’uccisione di una persona. Lo ribadisce in una dichiarazione diffusa lunedì il card. Thomas Collins, arcivescovo di Toronto, osservando come tali limitazioni siano aggirabili e superabili nel tempo, come dimostra quanto è accaduto in altri Paesi in cui è stata introdotta l’eutanasia. Gli stessi limiti posti dalla sentenza con cui, nel 2015, la Corte Suprema canadese ha chiesto la sospensione della legge penale contraria all’eutanasia in casi specifici, sono già presi di mira dai gruppi ad essa favorevoli.

Distinguere tra morire ed essere uccisi
La società canadese – afferma nella nota il card. Collins - è ora chiamata “a un necessario, ma lungo processo di riflessione su cosa implica per tutti gli aspetti del vivere insieme la perdita della sua capacità fondamentale di distinguere tra morire ed essere uccisi”. Occorre poi riconoscere le conseguenze deleterie della riduzione della dignità di una persona alla sua autonomia, “quando è l’interdipendenza e non l’indipendenza di ciascuno a sostenere la nostra dignità”. Inoltre, ammonisce l’arcivescovo di Toronto,  il valore della vita di una persona non può essere ridotta alla sua “capacità di funzionare secondo determinati standard personali di prestazione”.

Garantire cure palliative a tutti i malati sofferenti
Affrontare questi nodi cruciali richiederà tempo, ma alcune cose possono essere fatte da subito. In particolare il card. Collins esorta a intraprendere tre passi: rendere effettivo l’accesso di tutti i canadesi alle cure palliative, attualmente limitato al 30 per cento dei malati; chiamare le cose con il loro nome e quindi fare capire all’opinione pubblica che la “morte medicalmente assistita”, come viene definito dalla nuova legge il suicidio assistito, è in realtà l’uccisione di una persona; assicurare il pieno rispetto della libertà di coscienza degli operatori sanitari che in nessun modo devono trovarsi nella condizione di essere costretti ad aiutare una persona a morire. 

La Chiesa canadese in campo con una vasta campagna educativa
Il dibattito sull’eutanasia e sul suicidio assistito va avanti in Canada da diversi anni. Nel 2010 una prima proposta di legge era stata bocciata in Parlamento. Ne era seguita una serie di battaglie legali culminate nella sentenza della Corte Suprema del 2015, anno in cui l’eutanasia è stata legalizzata nella Provincia francofona del Québec. La Chiesa canadese è scesa in campo contro la nuova legge federale con un’opera educativa capillare, passata per la diffusione di materiale informativo in tutte le parrocchie con i vescovi impegnati nelle proprie diocesi. (L.Z.)

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Vescovi Filippine alle forze dell'ordine: no alla violenza

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Far rispettare la legge, ma senza ricorrere alla violenza ad ogni costo: questo, in sintesi, l’appello lanciato dalla Conferenza episcopale filippina (Cbcp) alle forze dell’ordine del Paese. In una nota a firma del presidente dei vescovi, mons. Socrates Villegas, ed intitolata “Appello alla ragione ed all’umanità”, la Chiesa di Manila ricorda che non si può uccidere sulla base di un sospetto, poiché esso “non è mai l’equivalente di una certezza, mentre la pena può essere inflitta solo quando il reato è accertato”.

I cacciatori di taglie, moralmente inammissibili
Lo stesso dicasi per un sospetto in fuga: prima di ricorrere a “mezzi letali” per fermarlo, i vescovi auspicano che le forze dell’ordine mettano in atto tutti i tentativi possibili per “risparmiargli la morte”. Inoltre, la Cbcp ribadisce che “non è mai moralmente ammissibile dare una ricompensa monetaria a chi uccide una persona”. Il cacciatore di taglie che ammazza un ricercato e poi presenta alle forze dell’ordine le prove di tale uccisione per riceverne una ricompensa, “non è diverso da un mercenario”, sottolineano i vescovi, e “non importa che l’oggetto della caccia all’uomo sia un sospetto criminale”.

Società non resti indifferente
In quest’ottica, la Cbcp ribadisce che “è dovere di ogni cattolico, di ogni cristiano segnalare tutte le forme di violenza perpetrata da presunti vigilanti” e “tenersi lontano da ogni partecipazione” a simili episodi. “Dobbiamo combattere la criminalità – continua la nota – ma l’impunità con cui i trasgressori della legge portano avanti i loro reati evidenzia anche i difetti del sistema penale” filippino. Tuttavia, “non bisogna puntare subito il dito contro le forze dell’ordine, i pubblici ministeri o giudici – afferma la Cbcp – Piuttosto, bisogna chiedersi se il silenzio, l’indifferenza o i comportamenti dei singoli membri della comunità possano aver contribuito al propagarsi del criminale ed all’aumento dei reati”.

Nessuno alzi le mani su un fratello
“La società civile e la Chiesa – aggiungono i vescovi – conta sulle forze dell’ordine per far fiorire una società in cui tutti possano godere dei benefici della legge”. “Chiediamo ai nostri ministri e giudici – continua la nota – di restare saldi nella loro dedizione alla giustizia, perché non c’è affronto peggiore a Dio che usare i propri talenti per fini contrari alla costruzione del Suo Regno”. “Nessuno alzi le mani contro un fratello o una sorella – concludono i vescovi – Il sangue versato, anche se è quello di un sospetto criminale, grida al cielo cercando giustizia!”. (I.P.)

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San Giovanni Rotondo: riuniti i Gruppi di preghiera di Padre Pio

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A San Giovanni Rotondo, presso la sala convegni della Casa Sollievo della Sofferenza, si apre il 28° convegno nazionale dei Gruppi di preghiera di Padre Pio. Vi partecipano gli assistenti spirituali, gli animatori, i coordinatori delle diocesi e delle regioni italiane per condividere un tempo di riflessione e preghiera. Prevista anche la partecipazione di una delegazione dei gruppi esteri. 

La lectio magistralis affidata mons. Bruno Forte
Il tema di quest’anno è “Gioiosi nella preghiera. Misericordiosi come il Padre”, in linea con il Giubileo della misericordia, “che ha visto a Roma in San Pietro, lo scorso 6 febbraio, devoti e figli spirituali di San Pio da Pietrelcina accolti da Papa Francesco in udienza giubilare”. Ad aprire i lavori congressuali, la lectio magistralis sul Giubileo della Misericordia dell’arcivescovo Bruno Forte, metropolita di Chieti-Vasto; mentre la relazione di chiusura è stata affidata a mons. Luigi Renna, vescovo di Cerignola-Ascoli Satriano. 

Numerosi gli interventi al convegno
​Nella tre giorni del convegno interverranno tra gli altri il segretario generale dei Gruppi di Preghiera Fra Carlo Laborde e il vice direttore Leandro Cascavilla, suor Lucia Soccio, il teologo Giovanni Chifari, padre Guglielmo Alimonti (Pescara), lo scrittore Michele Illiceto, Padre Enzo Laporta (Sicilia) e il sociologo Mario Salisci. Frà Francesco Colacelli porterà il saluto della fraternità cappuccina della Provincia Monastica di Sant’Angelo e Padre Pio. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 175

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.