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Sommario del 25/06/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Messa del Papa: edificare ponti e superare barriere, cristiani diano l'esempio

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Tre basi stabili su cui riedificare la vita cristiana: memoria, fede e amore misericordioso. Il Papa centra su questo tema l’omelia dell’unica celebrazione eucaristica del suo viaggio apostolico in Armenia, che ha visto, in mattinata, oltre 20 mila fedeli da diverse regioni e dalla vicina Georgia, riunirsi nella grande piazza Vartanàns a Gyumri. La città, dove Francesco è giunto in aereo da Yerevan, è il luogo dove i “valori cristiani sono fioriti, è il segno tangibile dell’ecumenismo dell’Armenia”, ha ricordato nel suo saluto fraterno il Catholicos Karekin II. Sul grande palco bianco allestito per la Messa l’immagine della Madonna di Narek. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

“Riedificare le rovine antiche, restaurare le città desolate”: è successo a Gyumri nel lontano 1988 dopo il terremoto devastante che inghiottì oltre 25mila armeni, lo ripete il Salmo di Isaia, e provoca la domanda del Papa: che cosa il Signore ci invita a costruire oggi nella vita o meglio su che cosa?

Memoria dell’amore di Dio e memoria del popolo
La prima base stabile è la memoria, quella che il Signore ha compiuto in noi e per noi. Lui che, ricorda Francesco, ci ha scelti, amati, chiamati e perdonati; ma ancora di più da custodire è la memoria del popolo, "antica e preziosa" nel caso dell’Armenia:

“Nelle vostre voci risuonano quelle dei sapienti Santi del passato; nelle vostre parole c’è l’eco di chi ha creato il vostro alfabeto allo scopo di annunciare la Parola di Dio; nei vostri canti si fondono i gemiti e le gioie della vostra storia. Pensando a tutto questo potete riconoscere certamente la presenza di Dio: Egli non vi ha lasciati soli. Anche fra tremende avversità, potremmo dire con il Vangelo di oggi, il Signore ha visitato il vostro popolo (cfr Lc 1,68)”.

La fede rinasce nell’incontro con Gesù, accende la gioia che resiste al dolore
La fede cristiana è “diventata il respiro del vostro popolo” e il “cuore della sua memoria” ed è bello, dice il Papa rivolto ai fedeli, ricordarlo con gratitudine. Ed è proprio la fede, speranza per l’avvenire, il secondo fondamento della vita cristiana, evitando il rischio di ridurla a “qualcosa del passato”. La fede invece, sottolinea il Papa, “nasce e rinasce nell’incontro con Gesù”, che illumina tutte le situazioni della vita:

“Ci farà bene ravvivare ogni giorno questo incontro vivo con il Signore. Ci farà bene leggere la Parola di Dio e aprirci nella preghiera silenziosa al suo amore. Ci farà bene lasciare che l’incontro con la tenerezza del Signore accenda la gioia nel cuore: una gioia più grande della tristezza, una gioia che resiste anche di fronte al dolore, trasformandosi in pace”.

Nessun timore, dunque, e qui il Papa si rivolge ai giovani, anche se Gesù dovesse chiederci di "donare la vita a Lui e ai fratelli", "non abbiate paura e ditegli di sì". Egli desidera "liberare il cuore dal timore e dall’orgoglio":

“Facendo spazio a Lui, diventiamo capaci di irradiare amore. Potrete in questo modo dar seguito alla vostra grande storia di evangelizzazione, di cui la Chiesa il mondo hanno bisogno in questi tempi tribolati, che sono però anche i tempi della misericordia”.

Con la carità edificare ponti e servire con i fatti e non a parole
Ed è proprio l’amore misericordioso, il terzo fondamento su cui costruire la vita cristiana, perchè la carità, l’amore concreto è la "roccia", il “biglietto da visita” del cristiano:

“Siamo chiamati anzitutto a costruire e ricostruire vie di comunione, senza mai stancarci, a edificare ponti di unione e a superare le barriere di separazione. Che i credenti diano sempre l’esempio, collaborando tra di loro nel rispetto reciproco e nel dialogo, sapendo che 'l’unica competizione possibile tra i discepoli del Signore è quella di verificare chi è in grado di offrire l’amore più grande!' (Giovanni Paolo II, Omelia, 27 settembre 2001)".

Ma nel mondo c’è anche bisogno di prendersi cura dei deboli e dei poveri: Dio abita dove si ama con coraggio e compassione e c’è tanto bisogno di questo, sono le parole del Papa:

“C’è bisogno di cristiani che non si lascino abbattere dalle fatiche e non si scoraggino per le avversità, ma siano disponibili e aperti, pronti a servire; c’è bisogno di uomini di buona volontà, che di fatto e non solo a parole aiutino i fratelli e le sorelle in difficoltà; c’è bisogno di società più giuste, nelle quali ciascuno possa avere una vita dignitosa e in primo luogo un lavoro equamente retribuito”.

San Gregorio di Narek: voce dell’Armenia, sia maestro di vita
E quale modello migliore per diventare misericordiosi nonostante difetti e miserie dentro e fuori di noi? Il Papa lascia quindi agli armeni il modello più caro al Paese, sua parola e voce, San Gregorio di Narek, che ha "scandagliato le abissali miserie del cuore umano", ma le ha messe sempre "in dialogo con la misericordia di Dio":

“Gregorio di Narek è un maestro di vita, perché ci insegna che è anzitutto importante riconoscerci bisognosi di misericordia e poi, di fronte alle miserie e alle ferite che percepiamo, non chiuderci in noi stessi, ma aprirci con sincerità e fiducia al Signore”.

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Papa al Memoriale armeno: umanità non dimentichi, vinca il male con il bene

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Prosegue la visita di Papa Francesco in Armenia. La giornata si è aperta con la visita al Memoriale, vicino Yerevan, che ricorda le vittime dei massacri sotto l’impero ottomano. Poi, dopo la Messa presieduta nella città di Gyumri, Francesco ha visitato il convento di Nostra Signora dell’Armenia, che ospita un gruppo di orfani. Il nostro inviato a Yerevan, Giancarlo La Vella

Tzitzernakaberd, la Collina delle Rondini: il luogo della memoria per tutti gli armeni, per non dimenticare mai quanto avvenne 100 anni fa. Un ricordo imperituro, quasi custodito da lontano dall’imponenza del monte Ararat, come la fiamma eterna, che arde al centro del Memoriale. Un milione e mezzo le persone che vennero trucidate; il segno di un martirio indelebile per un popolo intero che lo ricorda come 'metz yeghern', “il Grande Male”, un vero e proprio genocidio – come ha sottolineato ieri il Papa – il primo di un secolo che ne vide tanti altri. Il Papa vi è giunto accompagnato dal Catholicos, Karekin II, accolto dal Presidente Sargysian. Dopo la deposizione di una corona d’alloro, Francesco si è raccolto a lungo in silenzio. Poi, con Karekin, la recita del Padre Nostro e il canto Hrashapar dedicato all’evangelizzatore, San Gregorio l’Illuminatore. Quindi, dopo la lettura dei passi biblici, la preghiera di intercessione di Papa Francesco, di cui ascoltiamo un brano:

“Cristo, ascoltaci, per le suppliche di tutti i tuoi santi e di quelli di cui oggi è la memoria. Ascoltaci, Signore, e abbi pietà, perdonaci, espia e rimetti i nostri peccati. Rendici degni di glorificarti, con sentimenti di grazie…”.

Infine un altro gesto fortemente simbolico: la benedizione e l’innaffiatura di un albero a memoria della visita, alla presenza di una decina di discendenti di perseguitati armeni salvati e ospitati a Castel Gandolfo da Papa Pio XI. Quindi la firma apposta dal Santo Padre sul Libro d’Onore del Memoriale, sul quale Francesco ha anche scritto:

“Qui prego, col dolore nel cuore, perché mai più vi siano tragedie come questa, perché l'umanità non dimentichi e sappia vincere con il bene il male. La memoria non va annacquata né dimenticata; la memoria è fonte di pace e di futuro".

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Papa: genocidio armeno ha inaugurato catastrofi del XX secolo

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Mai più si ricada negli orrori dettati da “odio, pregiudizio e sfrenato desiderio di dominio”, come quelli inaugurati dalla tragedia del genocidio armeno. Questo il forte appello del Papa nel suo incontro con le autorità politiche, il Corpo Diplomatico e la società civile, nel secondo appuntamento ufficiale del suo viaggio in Armenia. Francesca Sabatinelli

Il popolo armeno ha testimoniato con coraggio la sua fede, ha sofferto, ma è  tornato a rinascere. Francesco si rivolge al Presidente e alle autorità citando le suggestioni offerte da 'Ode all’Armenia' del poeta Elise Ciarenz, per dire che quelle immagini potenti illuminano “sulla profondità della storia e sulla bellezza della natura dell’Armenia” e “racchiudono … l’eco e la densità dell’esperienza gloriosa e drammatica di un popolo e lo struggente amore per la sua Patria”. E le sue parole poi riportano subito la memoria al Metz Yeghérn, il “Grande Male”,  che causò “ la morte di un’enorme moltitudine di persone”:

“Quella tragedia, quel genocidio, inaugurò purtroppo il triste elenco delle immani catastrofi del secolo scorso, rese possibili da aberranti motivazioni razziali, ideologiche o religiose, che ottenebrarono la mente dei carnefici fino al punto di prefiggersi l’intento di annientare interi popoli. E’ tanto triste che – sia in questa come nelle altre - le grandi potenze internazionali guardavano da un’altra parte”.

Francesco rende ‘onore’ al popolo armeno che, anche nei momenti più tragici, dice, è sempre riuscito a trovare “nella Croce e nella Risurrezione di Cristo la forza per risollevarsi e riprendere il cammino con dignità”. Questo è ciò che ne “rivela” la profondità delle radici cristiane, e anche quale “infinito tesoro di consolazione e di speranza” la fede cristiana racchiuda.

L’augurio del Papa è quindi che l’umanità, dalle tragiche esperienze provocate da “odio, pregiudizio e sfrenato desiderio di dominio”, riesca a trarre “l’insegnamento ad agire con responsabilità e saggezza per prevenire i pericoli di ricadere in tali orrori”:

“Si moltiplichino perciò, da parte di tutti, gli sforzi affinché nelle controversie internazionali prevalgano sempre il dialogo, la costante e genuina ricerca della pace, la collaborazione tra gli Stati e l’assiduo impegno degli organismi internazionali, al fine di costruire un clima di fiducia propizio al raggiungimento di accordi duraturi che guardino al futuro”.

L’impegno della Chiesa cattolica, assicura il Papa, sarà quello di collaborare con chiunque abbia “a cuore le sorti della civiltà e il rispetto dei diritti della persona umana, per far prevalere nel mondo i valori spirituali, smascherando quanti ne deturpano il significato e la bellezza”:

“A questo proposito, è di vitale importanza che tutti coloro che dichiarano la loro fede in Dio uniscano le loro forze per isolare chiunque si serva della religione per portare avanti progetti di guerra, di sopraffazione e di persecuzione violenta, strumentalizzando e manipolando il Santo Nome di Dio”.

I cristiani oggi, forse anche più che al tempo dei primi martiri, in alcuni luoghi sono discriminati e perseguitati per la loro fede, mentre in altri i conflitti non trovano soluzione “causando lutti, distruzioni e migrazioni forzate di intere popolazioni”. Tocca quindi ai leader delle nazioni, è l’appello del Papa, con coraggio e senza indugi intraprendere iniziative che mettano fine a queste sofferenze, ponendo quali obiettivi primari  “la ricerca della pace, la difesa e l’accoglienza di coloro che sono bersaglio di aggressioni e persecuzioni, la promozione della giustizia e di uno sviluppo sostenibile”.

Un contributo prezioso alla comunità internazionale, è l’incoraggiamento di Francesco, può arrivare dal popolo armeno, che “conosce la sofferenza e il dolore, conosce la persecuzione; conserva nella sua memoria non solo le ferite del passato, ma anche lo spirito che gli ha permesso, ogni volta, di ricominciare di nuovo”.

Francesco ricorda che quest’anno è un momento in cui fare “memoria dei traguardi raggiunti” e in cui darsi obiettivi, in quanto segna il 25.mo dell’indipendenza dell’Armenia, ricorrenza per la quale i festeggiamenti “saranno tanto più significativi se diventeranno per tutti gli armeni, in Patria e nella diaspora, uno speciale momento nel quale raccogliere e coordinare le energie, allo scopo di favorire uno sviluppo civile e sociale del Paese, equo ed inclusivo”.

L’identità cristiana dell’Armenia, conclude, va di pari passo con la sua storia, e anziché “ostacolare la sana laicità dello Stato”, “piuttosto la richiede e la alimenta, favorendo la partecipe cittadinanza di tutti i membri della società, la libertà religiosa e il rispetto delle minoranze”:

“La coesione di tutti gli armeni e l’accresciuto impegno per individuare strade utili a superare le tensioni con alcuni Paesi vicini renderanno più agevole realizzare questi importanti obiettivi, inaugurando per l’Armenia un’epoca di vera rinascita”.

Infine, il Papa cita, riconoscendone il merito, l’azione di strutture quali l’ospedale di Ashtosk “Redemptoris Mater”, l’istituto educativo a Yerevan e le iniziative di Caritas Armenia e delle congregazione religiose, per assicurare che la Chiesa offre il suo contributo alla crescita della società, soprattutto al fianco dei “più deboli e più poveri, nei campi sanitario ed educativo, e in quello specifico della carità”.

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Lombardi: Francesco ha toccato il cuore degli armeni

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Il Papa ha usato la parola “genocidio” per ricordare le ferite e sanarle, non per riaprirle e rinnovarle. E’ quanto affermato da padre Federico Lombardi commentando l’aggiunta a braccio da parte di Francesco al suo discorso alle autorità armene. Al microfono di Alessandro Gisotti, il direttore della Sala Stampa Vaticana si sofferma sulla seconda giornata del viaggio apostolico in Armenia, a partire dalla toccante visita al Memoriale delle vittime del genocidio: 

R. – Un momento molto toccante: è il luogo in cui si vive più intensamente l’esperienza anche di sofferenza del popolo armeno, e il Papa si è fatto presente senza fare discorsi ma pregando, con il raccoglimento e la preghiera. Certamente anche la dedica che poi ha lasciato sul Libro d’oro era molto espressiva della sua partecipazione a questa tragedia del popolo armeno, e della sua speranza che attraverso le tragedie si costruisca, però, un futuro di pace. E’ stato bello anche l’incontro con alcuni discendenti dei bambini che, orfani, erano stati accolti a Castel Gandolfo proprio ai tempi del genocidio. Tra l’altro, una di queste persone è il fratello dell’arcivescovo Minassian di Gyumri: è una storia che è anche vicina a tante persone che sono tuttora qui presenti e attive.

D. – Alla Messa il Papa ha esortato gli armeni a non lasciarsi abbattere dalle avversità. Ecco, quindi con questa visita c’è un incoraggiamento a una comunità cristiana così provata in tante occasioni … anche il terremoto, che è stato ricordato …

R. – Certo: la Messa è stato un fatto assolutamente storico per la comunità armena cattolica e anche per la città di Gyumri che ha accolto il Papa con grandissimo calore. Questa città è stata colpita anche recentemente dalla tragedia del terremoto – ci sono stati circa 25 mila morti nella sola città, nel grande terremoto di qualche decennio fa – e la città si sta riprendendo; e la presenza del Papa per una grande celebrazione a cui hanno partecipato naturalmente tutti i cattolici che hanno potuto venire, ma erano presenti anche diversi fedeli apostolici – cioè, il bello di questa celebrazione è che è stata la prima celebrazione della storia fatta in piazza, perché gli armeni apostolici non le fanno in pubblico, ed era partecipata dai fedeli delle due Chiese principali e c’era la presenza del Papa come celebrante, ma anche una cordiale presenza del Catholicos e di tanti rappresentanti della Chiesa armena apostolica. Quindi, un momento di festa spirituale molto espressiva. E l’omelia del Papa è stata molto consistente: aveva diversi temi, anche proprio di carattere spirituale – il tema della memoria, che è molto caro al Papa, come fondamento dell’esperienza spirituale che si proietta poi verso il futuro; il tema della fede, il tema della misericordia, un riferimento alla grande ricchezza della spiritualità della Chiesa armena, la figura di San Gregorio di Narek in una celebrazione estremamente ricca di temi e molto raccolta. Il momento poi dell’entusiasmo è stato in particolare quando ha fatto il giro in papamobile: qui il Papa ha fatto salire sulla papamobile anche il Catholicos Karekin e ha fatto insieme con lui il giro in mezzo alla gente. E’ stato uno di questi gesti semplici ma estremamente espressivi di uno spirito di grande accoglienza e di vera fraternità spontanea.

D. – Cosa la colpisce in particolare in questo viaggio nel rapporto tra il Papa e la gente dell’Armenia? Il popolo è così fortemente presente in questo pontificato: c’è qualche carattere particolare che si è espresso in questi due giorni di Francesco, in Armenia?

R. – Qui i cattolici sono una piccolissima minoranza: in questo senso, non è che la presenza del Papa abbia richiamato grandi masse se non questa mattina con la Messa a Gyumri; e poi, questa sera vedremo la celebrazione ecumenica nella Piazza della Repubblica di Yerevan, a cui si aspettano alcune decine di migliaia di persone. Ma quello che si verifica anche qui, come altrove, è che Papa Francesco ha un certo carisma indubitabile di comunicazione con la gente, attraverso i suoi gesti, i suoi atteggiamenti, la sua spontaneità e la sua semplicità, per cui si attira dalla gente comune un affetto e una simpatia abbastanza eccezionale: c’è qualche cosa di carismatico, veramente. E questo lo si nota anche qui, come in tanti altri Paesi di culture lontane, come la Corea e così via, che il Papa ha visitato e dove sempre è riuscito a stabilire una relazione di affetto profondo con il popolo. Poi, il fatto che ieri per esempio lui abbia usato la parola “genocidio” spontaneamente per ricordare il massacro degli armeni nel secolo scorso, è qualcosa che ha toccato, suscitato una notevole gratitudine da parte del popolo armeno. Quindi ci sono questi gesti, magari questi tocchi che stabiliscono un rapporto di simpatia profonda. E questo è innegabile che stia avvenendo  anche in questi giorni.

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Nomine episcopali di Papa Francesco

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In Benin, Francesco ha accolto la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Cotonou, presentata da S.E. Mons. Antoine Ganyé, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato Arcivescovo di Cotonou il Rev.do P. Roger Houngbédji, O.P., Docente presso l’Università Cattolica dell’Africa dell’Ovest (UCAO) e all’Istituto domenicano S. Tommaso d’Aquino a Yamoussoukro (Costa d’Avorio).

In India, il Santo Padre ha accolto la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Guntur (India) presentata da S.E. Mons. Gali Bali, per sopraggiunti limiti d’età. Il Pontefice ha nominato Vescovo della diocesi di Guntur  il Rev.do Sacerdote Bhagyaiah Chinnabathini, finora Parroco dell’Infant Jesus Shrine di Miryalaguda, Nalgonda.

In Ecuador, il Santo Padre ha nominato Vescovo di Azogues il Rev.do Oswaldo Patricio Ventimilla Cabrera, del clero di Cuenca, finora Parroco del Espíritu Santo a Baños.

In Viêt Nam, Il Papa ha nominato Vescovo Ausiliare dell’arcidiocesi di Thành-Phô Hô Chíi Minh il Rev.do Sacerdote Joseph Do Manh Hung, finora Cancelliere e Segretario dell’Arcivescovo della medesima sede, assegnandogli la sede titolare di Liberalia.

In Francia, il Santo Padre ha nominato Vescovi Ausiliari dell’arcidiocesi di Parigi: il Rev.do Canonico Denis Jachiet, del clero di Paris, finora Vicario Generale, assegnandogli la sede titolare di Tigisi di Numidia; il Rev.do Thibault Verny, del clero di Paris, finora Parroco di Notre-Dame de Lorette e Vicario Generale nominato, assegnandogli la sede titolare di Lamzella.

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Pizzaballa: bisogna lavorare insieme per favorire la pace

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Grande gioia ed emozione per padre Pierbattista Pizzaballa, già Custode di Terra Santa, nominato ieri dal Papa amministratore apostolico del Patriarcato di Gerusalemme dei Latini. Al microfono di Marina Tomarro, Padre Pizzaballa racconta come ha accolto questo nuovo incarico: 

R. – No, non mi aspettavo questa nomina ed è stata una sorpresa la richiesta di tornare a Gerusalemme. Ormai mi ero messo in animo di passare almeno un po’ di tempo lontano da Gerusalemme. La sorpresa, quindi, e anche la preoccupazione per quello che mi attende, è stata grande. Dall’altro lato, il ritorno a Gerusalemme in queste circostanze è anche un chiedermi cosa il Signore vuole da me, cosa la Chiesa attende dalla Chiesa madre di Gerusalemme.

D. – Quali sono le sfide più urgenti che il Medio Oriente deve affrontare in questo momento?

R. – Il Medio Oriente, purtroppo, è conosciuto come luogo di divisioni e di conflitti interni ed esterni: tra le chiese, e all’interno delle stesse chiese; e poi tra i popoli, a livello politico, con questioni di ogni genere. Dobbiamo avere coscienza di questo ed anche, però, coscienza che bisogna partire da Gesù, partire dalla nostra fede, e da questo punto di partenza saper dire una parola di speranza, di coraggio e di solidarietà a tutti.

D. – Cosa significa la nomina di un ex Custode di Terra Santa a guida invece della Chiesa latina?

R. – Non è la prima volta. La storia ha già conosciuto padre Gori, che era Custode negli anni ’40 e ’50, e che divenne subito Patriarca latino. Non è, quindi, una novità assoluta. E’ un segno di unità della Chiesa, perché il Custode di Terra Santa, la Custodia di Terra Santa è una porzione molto importante all’interno della Chiesa di Gerusalemme, che quindi segna anche, forse, una certa continuità rispetto al cammino di questi anni.

D. – Fondamentale è anche la questione della pace. Cosa si può fare maggiormente?

R. – Il profeta Isaia dice “opus iustitiae pax”, la pace è frutto della giustizia. Dobbiamo, quindi, insieme a tutti, non da soli - non presumendo che dobbiamo risolvere i problemi da soli – ma insieme a tutti – ebrei, musulmani, cristiani delle diverse Chiese – dobbiamo con tutti gli uomini di buona volontà lavorare insieme per costruire oasi di pace. Noi non cambieremo le sorti della politica mediorientale, ma vogliamo essere, dentro queste situazioni così tormentate e ferite, un luogo di serenità e di pace.

D. – Quanto sarà importante anche il dialogo e l’incontro con i fratelli ebrei e musulmani?

R. – E’ essenziale, perché le comunità religiose hanno un ruolo molto importante in Medio Oriente, molto più che nel mondo occidentale. Presumere di risolvere i conflitti politici solo a livello politico è sbagliato. Abbiamo visto le esperienze di questi anni. E’ importante allora, soprattutto in questo periodo in cui le religioni vengono strumentalizzate dai fanatismi, che il dialogo interreligioso tra le diverse comunità diventi una luce, un riferimento per tutti coloro che vogliono lavorare per il futuro di questa terra.

D. – Quali sono i primi impegni obiettivi che si è prefissato con questo nuovo ruolo?

R. – Innanzitutto, conoscere la realtà del Patriarcato, perché la conosco dall’esterno. Ho collaborato tantissimo, ma ora dovrò entrarci da una prospettiva diversa: dovrò incontrare i sacerdoti, visitare il Seminario, che è il futuro della diocesi, e le diverse realtà con il quale il Patriarcato collabora, pensando non solo alla Terra Santa, ma anche alla Giordania, ai profughi, a tutte le diverse realtà ricche e importanti del Patriarcato latino.

D. – Ha avuto occasione di sentire Papa Francesco?

R. – Sì, in questi giorni ho avuto questa possibilità.

D. – Cosa le ha detto per questo nuovo ruolo che andrà a coprire?

R. – Ha incoraggiato questo servizio, ringraziandomi per l’obbedienza e la disponibilità e assicurandomi la sua preghiera e il suo sostegno.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, un editoriale del direttore dal titolo "Dalla memoria il futuro".

Un articolo di Francesco Citterich dal titolo "In Spagna primo test dopo la Brexit": nuovo voto dopo sei mesi.

Sull'esito del referendum nel Regno Unito, un articolo di Antonio Zanardi Landi dal titolo "Ripartire in fretta con il cuore e con lo spirito". 

Emilio Ranzato sulla voce degli invisibili: nel film "Time out of mind" di Oren Moverman il dramma dei senzatetto.

Equilibrio nel dialogo: Cristiana Dobner su ebrei e cristiani dall'Ottocento ai giorni nostri.

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Oggi in Primo Piano



Brexit: tsunami finanziario non solo in Europa

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Terremoto sui mercati finanziari di tutto il mondo dopo l’esito del referendum nel Regno Unito che ha sancito il divorzio tra Londra e Bruxelles. Le Borse europee hanno chiuso in forte calo. Crollo anche della sterlina, che ieri ha toccato il livello più basso dal 1985. Oggi, intanto, si incontrano a Berlino i ministri degli Esteri dei sei Paesi fondatori dell’Unione Europea. Lunedì, sempre a Berlino, vertice italo-franco-tedesco. Amedeo Lomonaco: 

Non si ripercuote solo nei mercati del Vecchio Continente lo shock dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea ma anche negli Stati Uniti e in Asia dove le borse hanno subito pesanti ribassi. Sul versante politico, il parlamento europeo chiede a Londra di formalizzare subito la sua decisione ma l’iter, per effetto anche delle dimissioni del premier Cameron, sarà lungo. Avanza inoltre il fronte antieuropeista, con i partiti di estrema destra di Francia e Olanda, in particolare, che chiedono il referendum anche nei loro Paesi. L’uscita de Regno Unito - ha detto comunque il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker - non è la fine dell’Unione Europea:

“Union of 27…
L'Unione europea dei 27 Stati membri continuerà. L'Unione è il quadro di riferimento del nostro futuro politico".

Anche il premier italiano Matteo Renzi ha rinnovato, infine, la sua fiducia nel progetto europeo:

L’Europa è casa nostra. Lo diciamo oggi più che mai convinti, come siamo, che questa casa abbia bisogno di essere ristrutturata. Ma è la casa del nostro domani.

Sul voto nel Regno Unito si sofferma, al microfono di Amedeo Lomonaco, il presidente della Camera di Commercio italiana a Londra, Leonardo Simonelli

R. – L’Inghilterra prima veniva considerata un Paese per definizione abbastanza stabile, unito, con valori comuni. Questa elezione ha dimostrato che questo fattore è molto cambiato. Secondo me, la cosa più grave è la perdita di fiducia nella leadership. Tutto l’establishment si è schierato per l’“in” ma non è bastato.

D. – A proposito di cambiamento, questo voto può rimettere in discussione l’indipendenza della Scozia, la riunificazione dell’Irlanda del Nord, territori dove in maggioranza si è votato in favore della permanenza nell’Unione Europea?

R. – La Scozia ha già detto che vuole rimanere in Europa e quindi ci sarà da negoziare qualcosa. L’Irlanda del Nord ha votato per rimanere e credo che si dovranno trovare dei Trattati particolari con la Repubblica irlandese.

D. – Le urne hanno anche sancito una frattura generazionale: il 75% degli under 24  ha votato per la permanenza, voto invece contrario per quanto riguarda i più anziani…

R. – Sono giovani che si sono creati questa formazione di mondo più ampio di valori e di solidarietà; invece, le vecchie generazioni sono più difficili ad accettare il cambiamento.

D. – Ora l’esito di questo voto quale processo innescherà nel breve e nel lungo periodo?

R. – Il referendum è consultivo, anche se naturalmente bisogna tener conto della volontà del popolo. Il Parlamento adesso dovrà riunirsi. Dopodiché verrà invocato l’articolo che prevede l’uscita dalla Comunità economica europea. Cominceranno le negoziazioni, che hanno un tempo di due anni. Poi ci saranno tempi successivi, se richiesto, per trovare nuovi equilibri.

D. – Parliamo di scenari futuri: cosa potrà cambiare per gli italiani nel Regno Unito, dal punto di vista di assistenza sanitaria, indennità di disoccupazione?

R. – A mio avviso ci sarà una negoziazione che prevede una riduzione dei benefici sociali per i non-inglesi, preservando – penso - quelli acquisiti da coloro che sono qui da molto tempo. Poi ci sono il problema delle residenze e la questione dei visti. Anche questi andranno affrontati.

L’esito del referendum nel Regno Unito non è così allarmante come sostenuto da molti osservatori. E’ quanto sottolinea, al microfono di Luca Collodi, il parroco di St Peter’s Italian Church a Londra, padre Andrea Fulco

R. – Questo dato non ci deve far allarmare perché l’Inghilterra è sempre stata una nazione che accoglie, che integra e che sa gestire i disagi forse molto meglio che in altre situazioni europee. Sarà anche un modo per rivedere il nostro progetto europeo che forse crea anche delle disuguaglianze.

D. – Mentre Londra e le grandi città hanno votato per restare in Europa, le campagne e le altre regioni della Gran Bretagna hanno votato per uscire. Perché questa differenza sul piano sociale?

R. - Credo che, probabilmente, ci siano degli squilibri: a Londra ci sono più turisti, più immigrati. Sicuramente nelle campagne si pensa più al ceto sociale. Come sacerdote, non vedo questo come un dato allarmante perché ho una grande fiducia nello Stato, nello spirito inglese che non è mai stato discriminatorio, non ha mai chiuso le frontiere a nessuno. Credo che adesso siamo tutti un po’ spaventati ma dobbiamo anche guardare le cose da un punto di vista locale. Sicuramente i poveri saranno aiutati.

D. – La parrocchia italiana a Londra come aiuta la comunità italiana e le altre?

R. – Offre un grande aiuto, perché nel Paese sbarcano circa duemila italiani al mese. Noi ne aiutiamo diversi, soprattutto coloro che vivono situazioni di povertà. Abbiamo un progetto che si chiama “Saint Peter Project”, che portiamo avanti già da diversi anni. Aiutiamo ragazzi che non hanno una casa, oltre i tanti italiani che vengono a lavorare per dare loro un punto di riferimento spirituale. La nostra chiesa è anche un centro di accoglienza, di amicizia a livello sociale spirituale ed umano. Noi continuiamo ad accogliere tutti e io credo che anche l’Inghilterra non si chiuderà di fronte alle vere necessità delle persone.

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Venezuela: valide le firme per il referendum sul mandato a Maduro

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L'opposizione venezuelana ha annunciato di aver ottenuto la convalida delle firme necessarie per chiedere la convocazione di un referendum sulla revoca del mandato del Presidente Nicolas Maduro. Spetta ora al Consiglio Nazionale Elettorale (Cne), che l'opposizione accusa di essere controllata proprio dal Capo dello Stato, di decidere, il 26 luglio, se il referendum può essere convocato. Intanto prosegue la durissima crisi economico-sociale dovuta alla caduta del prezzo del petrolio. Il Paese è afflitto da un’inflazione record e dalla penuria cronica di prodotti alimentari e farmaci. Per un’analisi della situazione politica Marco Guerra ha intervistato Roberto Da Rin, inviato del Sole 24Ore e esperto di America Latina: 

R. – Innanzitutto il dato è un dato importante, perché sono state convalidate 409 mila firme, che rappresentano esattamente il doppio di quelle richieste formalmente dal Comitato nazionale elettorale; inoltre l’organismo che le certifica è vicino al governo: quindi si tratta di una vittoria doppia ed ecco perché si tratta di un fatto piuttosto importante. Dopo la convalida delle firme  entro il 2016 – entro dicembre 2016 – dovranno essere raccolte 4 milioni di firme – quattro milioni! -  ovvero il 20% del totale dei votanti, affinché si possa procedere. Quindi non è affatto detto che con le 400 mila convalidate oggi si vada automaticamente al referendum: questo no! Entro dicembre dovranno essere raccolti 4 milioni di voti, di firme favorevoli; poi l’opposizione – se a questo punto l’opposizione riesce a convocare il referendum – dovrà vincere con 7,5 milioni di voti favorevoli all’abrogazione del mandato in corso. Questo è il percorso.

D. – Il popolo venezuelano, comunque, sembra deciso a far cessare questa esperienza di governo oppure Maduro gode ancora dell’appoggio di parte della popolazione?

R.  – Maduro gode ancora dell’appoggio di parte della popolazione, tanto che ci sono state imponenti manifestazioni anche a sostegno di Maduro. E’ vero che il suo consenso è andato erodendosi negli ultimi due anni, con una crisi economica che si è fatta sempre più acuta, con il prezzo del petrolio che è crollato fino a 30 dollari al barile e per la congiuntura economica del Venezuela questo è stato devastante! Ricordiamo che il Venezuela è soprattutto un Paese petrolifero … Da allora anche per il malgoverno, per la riduzione dei prezzi del greggio, Maduro ha perso consenso: ma questo non significa che non ci siano ancora dei sostenitori.

D. – L’opposizione ovviamente si sta impegnando su questo referendum: ci sono leader pronti a sostituire Maduro?

R. – Enrique Capriles è il leader dell’opposizione ed è stato già due volte candidato presidenziale: non è andata bene, però continua lui ad essere il leader. L’opposizione ha commesso molti errori in questi ultimi 10 anni ed ha sempre presentato dei leader deboli che non hanno saputo attrarre l’opinione pubblica in modo rilevante e quindi fino ad ora non ha scelto degli uomini vincenti.

D. – Se per un motivo o per un altro dovesse fallire il referendum, Maduro può resistere fino alla fine del mandato nel 2019?

R. – Se dovesse fallire il referendum, di certo lui e il governo guadagnerebbero terreno, anche perché nel frattempo sembra si sia invertito il ciclo dei prezzi sfavorevoli delle materie prime energetiche e quindi il prezzo del petrolio sta aumentando. Di certo il Venezuela vive una crisi economica, politica ed istituzionale purtroppo molto grave! Se il referendum non dovesse farsi, non è ovviamente detto che lui rimanga in sella fino alla scadenza del suo mandato. Però si dovranno poi capire anche varie strategie: quelle governative, quelle dell’opposizione, la congiuntura internazionale, i prezzi delle materie prime. Quindi sono troppe le variabili e nessuno è in grado di stabilire che cosa succederà. Diciamo che l’intervento – la settimana scora - dell’Organizzazione degli Stati Americani è stato abbastanza importante, perché ha rappresentato una pressione politica internazionale a fianco dell’opposizione a Maduro e quindi per procedere verso questo referendum.

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Sit-in di fronte al Miur: liberi di educare, stop al gender

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I genitori non siano scavalcati nell’educazione dei propri figli. Con queste ragioni stamani di fronte al Ministero dell’Istruzione a Roma si è svolto un flash mob delle sigle aderenti al comitato Difendiamo i Nostri Figli. Dai partecipanti un netto sì alla lotta contro ogni forma di discriminazione e violenza sessuale e un altrettanto chiaro “no” a programmi educativi fondati sull’ideologia gender. Sullo sfondo l’ormai imminente pubblicazione delle linee guida del Miur sull’educazione di genere. Lanciata anche una petizione online. Paolo Ondarza: 

Bandiere rosa e celesti, palloncini e tanti zainetti sulle gradinate del Miur sotto un rovente sole romano di giugno: il sit-in dei rappresentanti delle sigle aderenti al Comitato Difendiamo i Nostri è un presidio a tutela del primato educativo dei genitori, spiega  la responsabile scuola Giusy D’amico, presidente di "Non si tocca la famiglia":

R. – Oggi è un presidio simbolico: non è contro nessuno, ma è a favore e a tutela di quello che è giù previsto dalla Costituzione e anche dalle circolari che il ministro ha emesso. Nelle circolari viene riconosciuta la validità del consenso informativo, purtroppo in molte, moltissime scuole di Italia questo consenso ancora non viene riconosciuto. E spesso non vengono comunicate nel dettaglio le attività che sono proposte a bambini e ragazzi, ovviamente minorenni. Quindi, oggi siamo qui per poter avere questa garanzia, per responsabilizzare i genitori nel riappropriarsi di un ruolo educativo che hanno dato, forse per troppo tempo, in appalto alle istituzioni. E' il caso di entrare nella scuola, rientrarvi a pieno titolo, vigilare e collaborare con le istituzioni scolastiche. Crediamo che il Ministero farà di tutto per venire incontro alle famiglie e soprattutto ci fidiamo moltissimo della difesa del pluralismo culturale e anche il lavoro che il  Fonags (Forum nazionale di genitori impegnati nella scuola) – come associazioni impegnate e accreditate presso il Ministero – farà a tutela delle famiglie.

 D. – In questa fase avete avuto risposte dal Ministero o siete in attesa?

 R. – Innanzitutto abbiamo avviato un dialogo – penso anche sereno e costruttivo – da quasi un anno, da quando cioè abbiamo istituito l’Osservatorio nazionale nelle scuole per il gender. Questo tipo di Osservatorio ha fatto sì che noi potessimo, a nome di tante famiglie e di tante istituzioni scolastiche, inoltrare segnalazioni presso gli uffici competenti del Ministero; consigliare ai genitori di non creare allarmismi inutili, ma di poter far riferimento alle istituzioni scolastiche e agli organi preposti, che sono a disposizione per questo tipo di servizio. Abbiamo invitato i genitori ad una maggiore vigilanza - perché questo è importante! – e abbiamo consigliato anche al Ministero alcune nostre proposte in linea con l’elaborazione delle linee guida al comma 16 della Legge 107 (la Buona Scuola), per poter evidenziare quali fossero i punti critici. Queste proposte che abbiamo inviato sono state recepite dal Ministero e ci auguriamo che possano adesso essere contemplate nel prossimo documento (le linee guida sul comma 16, ndr). Chiediamo una coerenza, rispetto al termine “genere” e “sesso”. Altra cosa molto importante che abbiamo segnalato è che noi siamo assolutamente d’accordo con una sana lotta ad ogni forma di discriminazione e crediamo anche che questa educazione alla parità dei sessi abbia un significato profondo in ordine alla parità dei diritti, della dignità e delle opportunità. Ma che questo non scada in un linguaggio ambiguo, che possa nascondere in qualche forma un'identità fluida, non delineata e che si usi una terminologia che sia chiara nella costruzione dell’identità del bambini.

Presenti al sit-in anche alcuni genitori con i loro bambini:

R. – Veniamo da Trieste e siamo qui per difendere il diritto all’educazione dei genitori, sancito dalla Costituzione e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

R. – La scuola non è l’unica che deve educare i bambini. Ci siamo anche noi: siamo le famiglie e ci teniamo ai nostri figli; desideriamo poter essere parte integrante della scuola. E’ questo che vogliamo dire fondamentalmente.

R. – Non vogliamo trovarci con delle scelte portate avanti senza essere stati interpellati. E' giusto manifestare in questa sede.

R. – Io sono rappresentante di classe. Forse siamo stati troppo tempo in silenzio… Vogliamo capire e vogliamo sapere cosa insegnano ai nostri figli per poter partecipare. 

A sostegno del Manifesto sulla libertà educativa promosso durante il sit-in, oggi è stata lanciata anche una petizione online.

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Il commento di don Gianvito Sanfilippo al Vangelo della Domenica

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Il Vangelo della 13.ma Domenica del Tempo ordinario presenta il brano in cui Gesù esorta i suoi discepoli a seguirlo verso Gerusalemme dove “sarebbe stato tolto dal mondo”. Il Signore, di fronte alle resistenze di alcuni, afferma:

“Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo, presbitero della diocesi di Roma: 

Cristo ci ha creati per amare liberamente e per accogliere il Suo invito all’evangelizzazione, perché il perdono divinizzi ogni uomo rendendolo eterno. In gioventù e nel fidanzamento, sposati o meno, nella vedovanza o nella vita religiosa, come nel sacerdozio ministeriale, tutti possiamo testimoniare la vittoria di Cristo sulla morte, con una vita dove risplenda la bontà di Dio, talvolta abbandonando ogni cosa per una risposta autentica alla sua chiamata. Ma è Lui che ci rivela questa missione, stravolgendo sogni e progetti, le sue vie, infatti, non sono le nostre. Ogni invito a seguirlo comporta una totale novità, è vagliato attraverso diffidenze, incomprensioni e, non di rado, l’aperto rifiuto, delle persone più care. La radicalità nel rompere questi legami affettivi, unita alla mitezza nelle avversità, distinguono i veri discepoli del Signore che salgono con Lui a Gerusalemme, ed è questa pacata determinazione che scandalizza e attrae. Decidersi per la Volontà del Padre richiede, però, l’ascolto della Parola di Dio, una liturgia profondamente rinnovata, una catechesi kerigmatica, in un contesto comunitario, in altre parole: tutta la ricchezza dell’iniziazione cristiana. Tu puoi attingere con pienezza a queste fonti, e non accontentarti solo della messa domenicale e di poco altro!

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Nella Chiesa e nel mondo



Concilio pan-ortodosso: 15 osservatori delle diverse Chiese cristiane

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“E’ meraviglioso essere qui, essere parte di questo momento storico e poter esprimere il supporto e le preghiere del Consiglio Mondiale delle Chiese per questo evento così significativo. Speriamo che questo incontro possa essere utile sia per l’unità delle Chiese ortodosse che per l’intera famiglia delle Chiese”. Così il segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese il rev. Olav Fykse Tveit che fa parte delle delegazioni delle Chiese cristiane presenti al Concilio pan-ortodosso in corso a Creta. 

Sono 15 gli “osservatori”: tra loro il card. Koch e mons. Farrell
I delegati delle diverse Chiese cristiane hanno potuto partecipare solo alla sessione inaugurale e conclusiva del Concilio. A rappresentare la Chiesa cattolica, ci sono il card. Kurt Koch e mons. Brian Farrell, rispettivamente presidente e segretario generale del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani. Sono presenti, tra gli altri, anche rappresentanti della Comunione anglicana, della Federazione luterana mondiale e i responsabili della Conferenza della Chiese europee (il rev. Christopher Hill) e del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente.

La relazione della Chiesa ortodossa con il resto del mondo cristiano
Tra i temi discussi dai Primati al Concilio figura anche la relazione della Chiesa ortodossa con il resto del mondo cristiano. “Scopo di questo Santo e Grande Concilio – spiega l’arcivescovo Job di Telmessos, rappresentante del Patriarcato ecumenico al Wcc – è affrontare le questioni che sono rilevanti per la Chiesa ortodossa oggi. Ciò che è importante capire è che il Concilio non è stato solo un evento, ma un processo”. I lavori a Creta stanno vorticosamente arrivando alle loro conclusioni con le ultime revisioni dei testi. 

Bartolomeo ha chiesto un dialogo aperto e sincero con il mondo cristiano
Ultimo documento ad essere discusso è stato proprio quello sulle “Relazioni della Chiesa ortodossa con il resto del mondo cristiano”, in merito al quale il Patriarca Bartolomeo ha chiesto un dialogo “aperto e sincero” e che i gerarchi stanno visionando ancora questa mattina. In lavorazione c’è anche il testo della “Enciclica del Santo e Grande Concilio della Chiesa ortodossa” e la pubblicazione di un messaggio finale, prima che questo pomeriggio si svolga la sessione conclusiva dei lavori conciliari e la celebrazione della Divina Liturgia domani mattina. (R.P.)

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Iraq: a Mosul lento genocidio delle donne cristiane e yazide

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Il sedicente Stato Islamico ha commesso “violenze e abusi a sfondo sessuale” anche contro “donne cristiane”; tuttavia, a differenza di quanto avvenuto per le yazide, oggetto di stupri di massa, si tratta di “vittime individuali” e “singoli casi”. È quanto sottolinea all'agenzia AsiaNews Duraid Hikmat Tobiya, cattolico, già consigliere per le minoranze del governatorato di Ninive e membro della Hammurabi Human Rights Organization, che conferma i casi emersi nelle cronache internazionali delle scorse settimane. Per questo, aggiunge il leader cattolico, che dispone di una rete di informatori nei territori sotto il controllo dell'Is, ha ancora più valore il “riconoscimento” da parte delle Nazioni Unite del “genocidio” commesso dai jihadisti contro gli yazidi (e i cristiani) perché certifica le violenze ed è “elemento di forza” per le minoranze nella loro lotta.

La drammatica testimonianza di una donna cristiana fuggita da Mosul
Nei giorni scorsi hanno suscitato profonda eco e indignazione le parole di una donna cristiana irakena, fuggita da Mosul, roccaforte in Iraq dello Stato Islamico, che ha descritto le violenze subite per mano jihadista. In una notte di prigionia, spiega nell'intervista all’emittente Usa FoxNews, la donna si è “sposata” e ha “divorziato” almeno nove volte, per fornire agli aguzzini una giustificazione religiosa degli stupri. “Mi hanno preso tutte le volte che hanno voluto” ha aggiunto, mantenendo l’anonimato per questioni di sicurezza.

Il disprezzo per donne e bambini
Fra le milizie dello Stato Islamico sarebbe inoltre in vigore una sorta di tariffario, all’interno del quale è specificato il costo degli “schiavi” in base a età, etnia o fede di appartenenza. Il prezzo massimo è per bambini fra uno e nove anni; donne e bambini sono chiamati “mercanzia” o “bottino di guerra” e ai jihadisti è fatto obbligo di rispettare il tariffario, quanti lo violano sono “giustiziati”.

A Mosul donne yazide e famiglie cristiane ancora nelle mani dell'Is
Con l’ascesa dell'Is, entrambe le comunità, aggiunge il consigliere per le minoranze del governatorato di Ninive, sono state oggetto di “espropri forzati, cacciate dalle proprie terre e orfani delle proprie case”. La maggior parte sono riusciti a fuggire, ma “ancora oggi vi sono 3.500 donne yazide sotto il controllo di Daesh. A queste si aggiungono “alcune famiglie cristiane di Mosul, per un totale di circa 50 persone” ancora oggi “nelle mani del sedicente Stato Islamico”. Queste ultime “non sono riuscite a fuggire” due anni fa perché molte di queste persone “sono disabili, malate” e non è stato nemmeno possibile farle scappare in un secondo momento. Ancora oggi vivono “sotto Daesh pagando la tassa imposta ai non musulmani o si sono convertite (dietro pressioni) all’islam”, riferisce Duraid Hikmat Tobiya secondo cui “vi sono altre 150 cristiani, compresi bambini e famiglie, sequestrati e da tempo nelle mani dei jihadisti”. (R.P.)

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Vescovi Filippine: la tratta non va punita con la pena di morte

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Il traffico di esseri umani “è un commercio aberrante che si combatte con serie indagini e punizioni severe. Ai trafficanti non deve essere comminata una multa, ma l’ergastolo. Questo però non vuol dire che si possa parlare di pena di morte: l’uomo non può togliere la vita a un altro uomo in nome della legge”. Lo dice il presidente della Commissione episcopale filippina per i migranti e gli itineranti, mons. Ruperto Santos, auspicando un “maggior impegno” del governo nel fermare la tratta.

Nelle Filippine il sistema di sfruttamento ha raggiunto livelli inquietanti
Nelle Filippine - riferisce l'agenzia AsiaNews - esiste da anni un sistema di sfruttamento degli esseri umani che ha raggiunto proporzioni inquietanti: “Vi sono agenzie, chiamate ‘vola di notte’, che non sono altro che centri di estorsione e criminalità. Queste agenzie devono essere chiuse, le loro proprietà sequestrate e il denaro accumulato dato alle vittime dei traffici in risarcimento per i danni subiti”. Ma questo, sottolinea il presule rispondendo a un’ipotesi avanzata da alcuni funzionari del nuovo governo, “non significa che si debba parlare di pena di morte per i colpevoli. Il reclutamento illegale di lavoratori è un crimine orrendo, che si sconfigge con inchieste serie e punizioni severe. In caso di colpevolezza, si deve comminare l’ergastolo: la reclusone perpetua è la soluzione, non il patibolo”.

Numerosi casi di sfruttamento subiti dai lavoratori filippini emigrati all’estero
Dalle Filippine decine di migliaia di lavoratori scelgono ogni anno di partire in cerca di un lavoro con il quale mantenere la famiglia rimasta in patria. Le nazioni di arrivo più gettonate sono i Paesi del Golfo, Hong Kong, Singapore e la Corea. Ma negli anni non si contano i casi di violenza, malversazione e sfruttamento subiti da questi dipendenti: spesso nascono proprio dalle agenzie di reclutamento. Il traffico di esseri umani, conclude mons. Santos, citato da AsiaNews, “è l’atto più crudele e brutale che un uomo possa commettere nei confronti dei suoi simili. Viola la dignità umana e spazza via i diritti insiti nella nostra natura. Costringe persone innocenti a vivere una vita di paura e di violenza. È una barbarie che deve finire”. (L.Z.)

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Kenya: vescovi lodano accordo su commissione elettorale

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“È un provvedimento che dimostra maturità politica e rispetto della Costituzione, delle istituzioni e della legge” affermano i vescovi del Kenya in una dichiarazione firmata dal Segretario generale della Kenya Conference of Catholic Bishops (Kccb), padre Daniel Kimutai Rono, che saluta la decisione del governo e della coalizione dei partiti d’opposizione, Coalition for Reforms and Democracy (Cord), di lavorare insieme in Parlamento per riformare la commissione elettorale e garantire lo svolgimento pacifico delle elezioni presidenziali e politiche nel 2017.

La proposta di revisione dovrà essere discussa dai sue rami del Parlamento
Il 22 giugno - riferisce l'agenzia Fides - la maggioranza presidenziale e la Cord hanno varato una mozione per la formazione di un Comitato parlamentare congiunto, formato da 14 membri, per risolvere le dispute sulla Independent Electoral and Boundaries Commission (Iebc), la Commissione elettorale indipendente, di recente al centro di polemiche da parte della Cord che accusa alcuni suoi membri di essere favorevoli al partito del Presidente Uhuru Kenyatta e di corruzione. Il Comitato dovrà presentare entro 30 giorni una proposta di revisione della Iebc che dovrà essere discussa da Camera e Senato.

Appoggiare tutti gli sforzi dei membri del Comitato
I vescovi assicurano la loro preghiera “perché la voce della ragione prevalga, mentre il Comitato inizia i suoi lavori. Allo stesso tempo, invitiamo la cittadinanza e tutte le persone di buona volontà ad appoggiare gli sforzi dei membri del Comitato” conclude il comunicato dei vescovi. (L.M.)

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Chiesa argentina: urgenza pastorale per droga e narcotraffico

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“Il fenomeno della droga è una urgenza pastorale perchè colpisce tutti coloro che fanno parte di questa grande famiglia umana (ricchi e poveri, giovani e adulti, anziani, uomini e donne). I genitori, ma anche sacerdoti, religiosi, laici, sono i testimoni e i primi protagonisti che cercano di capire, di intervenire e di proporre strutture comunitarie al fine di promuovere la dignità della persona umana”. E’ un brano del messaggio che mons. Vicente Bokalic, vescovo di Santiago del Estero, e mons. Melitón Chávez, vescovo di Añatuya, hanno pubblicato in occasione della Giornata mondiale di lotta alla droga e al narcotraffico, indetta dalle Nazioni Unite, che si celebra domani 26 giugno.

La droga corrode il tessuto stesso della moralità
Il messaggio, ripreso dall’agenzia Fides, rileva che “la droga è il frutto e, allo stesso tempo, la causa di un grande declino etico e di una crescente corruzione della vita sociale, che corrode il tessuto stesso della moralità, delle relazioni interpersonali e della convivenza civile”. Tale fenomeno “richiede una risposta forte e decisa per fermare il degrado che ne deriva” sottolinea il testo, ricordando che “non è assurdo dire che in qualsiasi momento può bussare alla porta delle nostre case e colpire qualsiasi membro della nostra famiglia”.

Vittime della droga sono i giovani
Il consumo di droga comunque non si riduce solo a “un comportamento individuale”, ma si sono sviluppate “nella totale impunità, una economia clandestina e una criminalità che hanno come scopo di produrre e commercializzare la droga su larga scala”. Ad essere potenziali destinatari sono i giovani, che “spesso la nostra società idolatra e allo stesso tempo disprezza” in quanto non li aiuta a crescere, a trovare il loro posto, a scoprire il senso della vita e ad avere speranza per il futuro. I vescovi proseguono: “i nostri figli, fratelli e amici, ci chiedono gridando ‘per favore… fate qualcosa!!!’ Il più delle volte sono urla silenziose… Il problema della droga è uno dei problemi più gravi del nostro tempo”.

Appello dei vescovi: recuperare il significato autentico della vita
Infine mons. Vicente Bokalic e mons. Melitón Chávez ricordano che “la Chiesa, come una madre amorevole, ha cura della vita dei suoi figli. Queste persone distrutte devono essere considerate non un problema, ma come persone; non un caso da analizzare, ma un uomo da amare; non un individuo che deve essere indottrinato e condizionato, ma da aiutare a scoprire le proprie ricchezze”. Lanciano quindi un appello: “Abbiamo bisogno di incontrarci per realizzare questo impegno. Lavoriamo tutti: Chiesa, Stato, organizzazioni sociali, adulti e giovani, scuole ... famiglie !!! Recuperiamo insieme il significato autentico della nostra vita”. (S.L.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 177

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.