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Sommario del 26/06/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa e il Catholicos: vinca la pace non il fondamentalismo

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Il rispetto per differenze religiose è “condizione necessaria per la pacifica convivenza”. E’ quanto scrivono, in una dichiarazione congiunta, Papa Francesco e il Catholicos Karekin II che, dopo aver lodato il Signore per la “vibrante realtà” della fede cristiana in Armenia, si soffermano sul dramma delle persecuzioni e delle violenze alimentate dal fondamentalismo. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Nella dichiarazione congiunta Papa Francesco e il Catholicos Karekin II ricordano  l’immensa tragedia in Medio Oriente e in altre parti del mondo di “innumerevoli persone innocenti uccise, deportate o costrette a un doloroso e incerto esilio” a causa di “continui conflitti a base etnica, politica e religiosa”.

Ecumenismo del sangue
Le minoranze etniche e religiose - si legge nel testo - sono diventate obiettivo “di persecuzioni”. “I martiri – si sottolinea - appartengono a tutte le Chiese e la loro sofferenza costituisce un ‘ecumenismo del sangue’ che trascende le divisioni storiche tra cristiani”, chiamando tutti a promuovere “l’unità visibile dei discepoli di Cristo”.

Milioni di persone attendono pace e giustizia
Segue l’accorato appello, rivolto ai capi delle nazioni, “ad ascoltare la richiesta di milioni di esseri umani”, che attendono con ansia pace e giustizia in un mondo dove purtroppo – osservano il Papa e il Catholicos - si assiste “ad una presentazione della religione e dei valori religiosi in un modo fondamentalistico”.

Il fondamentalismo che giustifica l’odio è inaccettabile
Il fondamentalismo – si legge inoltre nella dichiarazione congiunta - viene usato “per giustificare la diffusione dell’odio, della discriminazione e della violenza”. Ma la giustificazione di tali crimini sulla base di idee religiose è inaccettabile, perché “Dio non è un Dio di disordine ma di pace”.

Pace nel Nagorno-Karabakh
I cristiani – si legge nel documento  - sono chiamati “a sviluppare vie di riconciliazione e di pace”. La speranza espressa dal Papa e dal Catholicos è che si arrivi anche “ad una soluzione pacifica delle questioni riguardanti il Nagorno-Karabakh”, territorio conteso da Azerbaijan e Armenia.

In gioco il senso dell’umanità
Papa Francesco e il Catholicos Karekin II chiedono poi di aprire i cuori e le mani “alle vittime della guerra e del terrorismo, ai rifugiati e alle loro famiglie. “E’ in gioco – spiegano – il senso stesso della nostra umanità”. I politici – ribadiscono – assicurino il diritto di tutti a vivere in pace e in sicurezza.

Preoccupa la crisi della famiglia
Si esprime infine preoccupazione “per la crisi della famiglia in molti Paesi”. La Chiesa apostolica armena e la Chiesa cattolica – si ricorda nel testo – condividono “la medesima visione della famiglia, basata sul matrimonio, atto di gratuità e di amore fedele tra un uomo e una donna”.

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Divina Liturgia a Etchmiadzin: Papa invoca la piena unità

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Un anelito forte all’unità in nome della luce dell’amore che perdona e riconcilia. Il Papa, nell’ultimo giorno in Armenia, ritorna sul tema dell’ecumenismo nel suo discorso durante la partecipazione, stamattina ad Etchmiadzin, alla Divina Liturgia, in rito armeno, presieduta dal Catholicos, Karekin II, guida della Chiesa Apostolica. Papa Francesco ha partecipato alla Liturgia indossando una stola di Benedetto XVI.  Il servizio del nostro inviato in Armenia, Giancarlo La Vella

Una celebrazione intensa, ricca di musiche e canti, come nella tradizione delle Chiese orientali. Il Papa nel suo discorso si è rivolto fraternamente a Karekin II. “In questi giorni abbiamo sperimentato – dice Francesco – come è bello e come è dolce che i fratelli vivano insieme”, attraverso la condivisione di doni, speranze e preoccupazioni della Chiesa di Cristo, che crediamo e sentiamo una. Concetti che il Santo Padre esprime, citando l’apostolo Paolo:

“Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti”.

In questo momento gli apostoli Bartolomeo e Taddeo, che proclamarono per la prima volta il Vangelo in queste terre, e i santi Pietro e Paolo, che diedero la vita per il Signore a Roma, si rallegrano – sottolinea Francesco – nel vedere il nostro affetto e la nostra aspirazione concreta alla piena comunione. Poi l’invocazione allo Spirito Santo, affinché venga a rifondarci nell’unità e, attraverso l’effusone del fuoco di amore e unità, sciolga i motivi dello scandalo dovuto alla mancanza di unità tra i discepoli di Cristo.

“In tutti sorga un forte anelito all’unità, a un’unità che non deve essere né sottomissione l’uno dell’altro, né assorbimento, ma piuttosto accoglienza di tutti i doni che Dio ha dato a ciascuno per manifestare al mondo intero il grande mistero della salvezza realizzato da Cristo Signore per mezzo dello Spirito Santo”.

Infine, l’esortazione di Francesco a rivolgere lo sguardo alle sofferenze del mondo:

“Accogliamo il richiamo dei santi, ascoltiamo la voce degli umili e dei poveri, delle tante vittime dell’odio, che hanno sofferto e sacrificato la vita per la fede; tendiamo l’orecchio alle giovani generazioni, che implorano un futuro libero dalle divisioni del passato”.

Anche Karekin ispira la sua omelia agli auspici di unità, riconoscendo gli sforzi di Francesco verso la pace e la prosperità dell'umanità e verso il progresso della Chiesa di Cristo. Poi la richiesta al Papa di pregare per la Nazione e la Chiesa armene. E, prima del fraterno abbraccio finale e della benedizione dell'assemblea, da Francesco ancora un’accorata richiesta di impegno verso la comunione:

“Santità, in nome di Dio, Vi chiedo di benedirmi, di benedire me e la Chiesa Cattolica, di benedire questa nostra corsa verso la piena unità”.

Questa mattina la terza è ultima giornata del Papa in Armenia era iniziata con la celebrazione della Messa nella Cappella allestita per l'occasione nella residenza papale presso il Palazzo Apostolico di Etchmiadzin. Hanno concelebrato con Francesco il nunzio apostolico mons. Marek Solczynski e il segretario della nunziatura. Subito dopo la Messa, nella sala d'ingresso della stessa residenza, il Papa si è intrattenuto informalmente con i 14 vescovi armeni cattolici, alla presenza dei circa 12 sacerdoti che svolgono il loro ministero nel Paese. Quindi, il trasferimento al Piazzale di San Tiridate ad Etchmiadzin dove il Papa ha partecipato alla Divina Liturgia.

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Padre Majewski: l'accoglienza e l'amore degli armeni per il Papa

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Sulla Divina Liturgia che si è tenuta al piazzale di San Tiridate di Etchmiadzin il commento del nostro Direttore dei Programmi al seguito papale in Armenia, padre Andrea Majewski

R. – Certamente la Liturgia Eucaristica di questa mattina è stato l’evento più importante di tutto il viaggio del Papa. Già ieri ci eravamo abituati a vedere molta gente che assisteva alla preghiera serale: erano 50 mila persone e oggi certamente non erano meno qui a Etchmiadzin. Una Liturgia solenne: una cosa eccezionale, perché gli orientali raramente celebrano all’aperto. Una cosa che ci ha sorpreso e che dice molto di come il Papa venga stimato in Armenia, il fatto che il suo nome sia stato menzionato due volte durante la Liturgia Eucaristica: noi avevamo ricevuto prima i libretti della liturgia e questa è stata, per noi, una grande sorpresa. Un’altra cosa molto importante, il vivo applauso nei confronti del Papa, la viva reazione della gente, dei vescovi; soprattutto quando, alla fine della sua allocuzione, il Papa ha chiesto la benedizione del Catholicos. Tutti i vescovi orientali apostolici si sono alzati in piedi e questo gesto ha toccato molto il cuore di tutto gli armeni. La visita sta per finire e certamente per questo Paese e in questo momento rappresenta una visita storica: il Papa ha voluto soprattutto pregare con gli armeni, essere vicino a loro in un tempo non facile, perché sappiamo che l’Armenia sta vivendo un momento non tanto tranquillo della sua storia. Torniamo a Roma pieni delle buone impressioni sul Paese, ma soprattutto dell’accoglienza e dell’amore che il popolo armeno nutre verso Papa Francesco.

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Papa: riconciliazione tra armeni e turchi, pace in Nagorno Karabakh

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Non si ripetano mai più “orrori” come il “folle sterminio” subito un secolo fa dal popolo armeno. Il Papa ha rinnovato il suo appello a ricordare le ferite del popolo armeno, nel discorso pronunciato nella Piazza della Repubblica di Yerevan, nel corso dell’Incontro ecumenico con il Catholicos Karekin II. Accolto con calore da una folla di oltre 50mila persone, Francesco ha anche pregato perché “si riprenda il cammino di riconciliazione tra il popolo armeno e quello turco e la pace sorga anche nel Nagorno Karabakh”. Forte anche il suo auspicio a “correre verso la piena comunione”. Il servizio di Debora Donnini: 

Francesco, pellegrino da Roma, abbraccia con il suo sguardo tutti gli armeni riuniti nella Piazza della Repubblica, a Yerevan, e porta l’abbraccio fraterno della Chiesa cattolica intera ad una terra che sorge sotto lo sguardo del monte Ararat e dove sorgono le croci di pietra. Croci che parlano di una storia dalla “fede rocciosa” ma anche “dalla sofferenza immane”, ricca di testimoni del Vangelo.

Il “Grande Male”: il mondo non ricada in simili orrori
Il pensiero del Papa ritorna al massacro di un milione e mezzo di armeni, trucidati cento anni fa sotto l'impero ottomano:

“In questo tragitto ci precedono e accompagnano molti testimoni, in particolare i tanti martiri che hanno sigillato col sangue la comune fede in Cristo: sono le nostre stelle in cielo, che risplendono su di noi e indicano il cammino che ci resta da percorrere in terra, verso la comunione piena”.

Vengono, quindi, ricordate le prove terribili sperimentate dagli armeni:

“Un secolo è appena passato dal ‘Grande Male’ che si è abbattuto sopra di voi. Questo ‘immane e folle sterminio’, questo tragico mistero di iniquità che il vostro popolo ha provato nella sua carne, rimane impresso nella memoria e brucia nel cuore”.

E Francesco con forza ribadisce che queste sofferenze sono “le sofferenze del Corpo mistico di Cristo”:

“Ricordarle non è solo opportuno, è doveroso: siano un monito in ogni tempo, perché il mondo non ricada mai più nella spirale di simili orrori!”.

Ferite rimaste aperte a causa dell’odio “feroce e insensato”, che però possono conformarsi a quelle di Cristo risorto: “terribili piaghe di dolore patite sulla croce, trasfigurate dall’amore, sono divenute sorgenti di perdono e di pace”. E all’Armenia Francesco ricorda, quindi, che anche il dolore più grande può diventare “seme di pace per il futuro”, senza lasciarsi assorbire dalla forza ingannatrice della vendetta.

Il Papa auspica la riconciliazione fra il popolo armeno e quello turco
Si tratta di costruire un futuro che appartiene anche ai giovani, ai quali Francesco si rivolge invitandoli a non essere “notai dello status quo, ma promotori attivi di una cultura dell’incontro”.E qui l’appello del Papa si fa ancora più forte:

“Dio benedica il vostro avvenire e ‘conceda che si riprenda il cammino di riconciliazione tra il popolo armeno e quello turco e la pace sorga anche nel Nagorno Karabakh”.

L’esortazione a “correre” verso l’unità
Il Papa parla del cammino verso l’unità. Un cammino rafforzato dagli incontri degli anni passati. Sottolinea la “reale e intima unità fra le nostre Chiese”. “Siamo nuovamente insieme per rafforzare la comunione apostolica fra noi”, dice Francesco che ringrazia l’Armenia, primo Paese cristiano ad abbracciare la fede, per la sua fedeltà, “spesso eroica”, al Vangelo. Il ritrovarsi insieme è uno “scambio di doni”, afferma, non di idee. L’invito è a guardare con fiducia al giorno in cui “saremo uniti” nella pienezza della comunione eucaristica. Un testimone di questo anelito per l’unità è stato il Catholicos Nerses Shnorhali, vissuto nel XII secolo, che fu “instancabile nella ricerca dell’unità”. Unità che, per Francesco, non è “un vantaggio strategico da ricercare per mutuo interesse”. Per l’unità è necessaria la preghiera. Ma fondamentale è anche l’amore reciproco: “solo l’amore cancella i pregiudizi”, dice Francesco. Bisogna “lasciare i convincimenti rigidi e gli interessi propri” in nome dell’amore umile, “olio benedetto della vita cristiana”:

“Non i calcoli e i vantaggi, ma l’amore umile e generoso attira la misericordia del Padre, la benedizione di Cristo e l’abbondanza dello Spirito Santo. Pregando e ‘amandoci intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri’, con umiltà e apertura d’animo disponiamoci a ricevere il dono divino dell’unità. Proseguiamo il nostro cammino con determinazione, anzi corriamo verso la piena comunione tra noi!”.

La violenza lacera anche il Medio Oriente
Il discorso del Papa si concentra sul tema del Vangelo: Cristo che dona la pace. Il Papa sa quanto sono ancora “grandi gli ostacoli sulla via della pace e quanto tragiche le conseguenze delle guerre nel mondo”. Il suo pensiero va anche alle popolazioni costrette ad abbandonare tutto, specialmente in Medio Oriente dove, sottolinea, “tanti nostri fratelli e sorelle soffrono violenza e persecuzione” a causa dell’odio, di conflitti fomentati dal commercio delle armi, dalla mancanza di rispetto per la persona umana soprattutto per i deboli.

Gli Armeni siano ambasciatori di pace
Un altro grande testimone di pace è stato san Gregorio di Narek che il Papa ha proclamato Dottore della Chiesa. Lui che nel suo Libro - che per il Papa potrebbe essere definito la “costituzione spirituale del popolo armeno” - chiese per i nemici perdono e misericordia: “Non sterminare coloro che mi mordono: trasformali!”. Questo, dice Francesco, “è un grido di misericordia per tutti”:

“Gli Armeni, presenti in tanti Paesi e che desidero da qui abbracciare fraternamente, siano messaggeri di questo anelito di comunione. Il mondo intero ha bisogno di questo vostro annuncio, ha bisogno della vostra presenza, ha bisogno della vostra testimonianza più pura. Pace a voi!”.

Prima del discorso del Papa, il Catholicos Karekin II ha parlato dell’importanza della pace, ricordato il genocidio degli armeni e ringraziato il Papa e tutti coloro che si impegno per la giustizia. Il suo auspicio è un miglioramento dei rapporti con la Turchia e che ci sia pace anche per il Nagorno-Karabakh, in rapporto alle tensioni con l’Azerbaijian.

Un Incontro ecumenico e di Preghiera per la Pace ricco di grande emozione e sigillato dal gesto compiuto da Francesco e dal Catholicos Karekin II: ciascuno, da una piccola anfora, ha versato dell’acqua ad una pianta, contenuta in un vaso a forma di arca.

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Lombardi: Papa invita armeni a non restare prigionieri del passato

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E’ stata molto intensa la seconda giornata del Papa in Armenia. La ripercorre padre Federico Lombardi. Il direttore della Sala Stampa Vaticana ha definito la visita al Memoriale un momento molto toccante e la Messa a Gyumri un fatto storico. Sull’incontro ecumenico del pomeriggio a Yerevan ascoltiamo il suo commento al microfono del nostro inviato Giancarlo La Vella

D. – Padre Lombardi, si è conclusa all’insegna della pace, questa giornata …

R. – Sì. “Ecumenismo e pace” era il tema dell’incontro di questa sera e il Papa ha dato un messaggio da par suo: estremamente elevato e profondo, chiamando a conclusione del suo discorso tutto il popolo armeno, anche nella sua diaspora, a essere messaggero di pace, a riuscire a portare la ricchezza della sua esperienza, anche di sofferenza, ma vissuta nella prospettiva cristiana, a dare una grande densità e profondità a un atteggiamento che diventi di riconciliazione, di dialogo, di dignità per tutte le persone nel mondo. Quindi, che il popolo armeno riesca a farsi apostolo di pace e non si lasci prendere dalla tentazione della recriminazione per il suo passato estremamente doloroso. Questo mi è sembrato un messaggio molto importante, anche perché i problemi continuano a esserci: problemi per la pace, anche per il popolo armeno e in tutta questa regione. Pensiamo al Nagorno Karabakh che è stato evocato dal Papa con estrema discrezione, dal Catholicos molto direttamente. La regione ha delle tensioni o anche dei conflitti in corso e allora la pace non è solo una parola ma è un atteggiamento che deve trovare anche le vie per tradursi in pratica e questo richiede una convinzione e una disponibilità molto profonde. Il Papa vi ha dato un contributo molto consistente proprio con il discorso di questa sera, facendo appello anche ai grandi saggi della tradizione armena, sia per quanto riguarda il cammino verso l’unità cristiana, facendo appello a San Nerses, che è un Catholicos di alcuni secoli fa, e per quanto riguarda la pace, gli atteggiamenti necessari per la pace, a San Gregorio di Narek, che è un altro grande Santo della tradizione armena che il Papa ha proclamato Dottore della Chiesa universale un anno fa.

D. – Come a dire che la solidarietà, la vicinanza espressa dal Papa nei confronti del popolo armeno non vuol dire comunque dividere il mondo in vittime e carnefici …

R. – Assolutamente! Il messaggio cristiano non può mai essere di questo genere, dev’essere sempre aperto alla speranza e alla capacità di costruire riconciliazione. Allo stesso tempo, ci dev’essere una memoria reale delle conseguenze del male e del peccato che si sono manifestate anche nell’odio, nella violenza in modo terribile: questo non va nascosto, non va negato ma va assunto proprio come base per un impegno rinnovato e intensissimo perché questo non avvenga mai più e perché si costruisca invece la pace sulle basi su cui dev’essere costruita, che sono appunto la comprensione, il dialogo, la riconciliazione, la capacità di perdono.

D. – Diversi i gesti simbolici compiuti dal Papa: al Memoriale l’albero piantato, benedetto e innaffiato; in Piazza della Repubblica a Yerevan, l’acqua versata insieme a Karekin II sulla terra d’Armenia …

R. – Sì, ci sono dei gesti molto belli, gesti simbolici che sono stati compiuti nella giornata di oggi: quelli al Memoriale erano certamente molto efficaci, molto classici vorrei dire, come piantare un albero e innaffiarlo perché possa crescere, e questo è un simbolo della vita molto caratteristico. E poi, questa arca di Noè che è stata donata al Papa e in cui tutti i bambini che venivano dai popoli vicini portavano la terra del loro Paese che veniva poi anche innaffiata per dare la vita, è stato anche un segno bello di universalità, di dialogo e di fratellanza tra le stirpi dell’umanità.

D. – Sono tornati fuori anche i motivi del Giubileo della Misericordia: l’incontro affettuoso del Papa con gli orfani del Convento di Nostra Signora dell’Armenia rientra in questi gesti che il Papa sta compiendo periodicamente nell’Anno Santo…

R. – Direi che ci sono stati tantissimi gesti di misericordia in questi giorni: tutte le volte che il Papa incontra malati, disabili, feriti – e ce ne sono stati tanti, in questi giorni – sono in questa stessa linea. Il Papa è stato ospite delle Suore armene che tengono un orfanotrofio e che gli hanno anche dato in dono una bellissima statua in bronzo di due bambini – un bambino e una bambina – che si appoggiano l’un l’altro su un cammino difficile: fanno pensare al cammino percorso dai profughi armeni in occasione del Metz Yeghérn, le strade su cui morivano a migliaia … Ecco, i bambini orfani che sono nel cuore del Papa, nel cuore della Chiesa e che vanno aiutati a ritrovare le strade della propria vita e della propria crescita. In fondo, oggi c’è stato anche un po’ un ricordo di questo, quando alcuni dei discendenti degli orfani che erano stati accolti da Benedetto XV a Castel Gandolfo in occasione del Metz Yeghérn, hanno ri-incontrato il successore di Benedetto XV, il Papa Francesco.

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Tornielli: un viaggio nel segno della memoria e riconciliazione

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Centinaia di giornalisti da tutto il mondo hanno seguito la visita del Papa in Armenia. Una visita che già viene definita storica per il suo impatto ecumenico come spiega a Yerevan l'inviato del quotidiano La Stampa Andrea Tornielli al microfono di Giancarlo La Vella

R. – Io credo che ci sia un filo unitario, e lo troverei in quella sorta di “conversione della memoria e riconciliazione”, che il Papa ha fatto. In tutti i suoi discorsi, interventi e messaggi e nei suoi gesti c’è stata da una parte il riaffermare della necessità di una memoria comune, condivisa anche sui fatti tristi, tremendi del passato, ma sempre in una chiave di riconciliazione. E in questo senso, si è partiti dall’unità dei cristiani – qui si vede che è una delle Chiese che ha rapporti migliori con la Chiesa cattolica: si respirava veramente amicizia, vera e profonda, in ogni gesto e in ogni parola – il Papa ha detto che l’unità dei cristiani è un segno anche per il mondo e ha detto che la memoria condivisa, che va approfondita, deve però aiutare – con uno sguardo di misericordia e di amore, di carità – a superare le tensioni, le divisioni e gli odi. E credo che questa sia una chiave di lettura anche per collocare, secondo lo sguardo del Papa, i rapporti tra la Turchia e i suoi vicini, che sappiamo non essere assolutamente buoni.

D. – Dal punto di vista ecumenico, il processo di comunione quanto può essere lungo?

R. – Questi sono processi di cui è impossibile dire della lunghezza. Di certo è che con la Chiesa apostolica armena di fatto non esistono più questioni teologiche che sono state superate già ai tempi di Giovanni Paolo II con dichiarazioni importanti comuni; e sembra proprio che si sia a un passo dalla possibilità dell’unità. E’ forse la Chiesa non-cattolica più vicina alla Chiesa cattolica dal punto di vista della sensibilità teologica. Comunque colpisce molto che non è soltanto una questione di leadership, di rapporti buoni tra i leader. A me ha molto colpito il visitare ieri la cattedrale delle Sette Piaghe che durante il periodo sovietico era rimasta l’unica chiesa aperta nella città di Gyumri e dove gli armeni apostolici avevano accolto per le loro celebrazioni, il loro culto e le loro preghiere sia i cattolici sia gli ortodossi russi. E dunque l’ecumenismo e l’attenzione per le minoranze – anche religiose – qui si vive e si respira.

D. – Si attende ora a settembre l’altro incontro del Papa con il Caucaso: Georgia e Azerbaigian …

R. – Sì, Georgia e Azerbaigian. E’ chiaro che nel disegno del Papa costituiscono un’unica tappa, e dunque di attenzione sia verso il mondo cristiano sia verso il mondo musulmano che è rappresentato dall’Azerbaigian.

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Messaggio del Papa per festa di S. Maria Goretti, “testimone del perdono”

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Seguendo l’esempio di Marietta, “è il tempo del ritorno all’essenziale, per farci carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri fratelli”. Così Papa Francesco ha scritto in un messaggio reso noto ieri e indirizzato alle diocesi di Albano e Latina-Terracina-Sezze-Priverno, le terre che si legano al nome di Maria Goretti, la Santa bambina che a 12 anni morì per evitare un tentativo di violenza il 6 luglio 1902. Tra qualche giorno la Chiesa ne celebrerà la memoria liturgica ed entrano, dunque, nel vivo le celebrazioni: ieri sera a Latina si è svolto un pellegrinaggio notturno e oggi è stata celebrata una Messa nel luogo del martirio; iniziative che quest’anno rientrano nelle celebrazioni giubilari diocesane. Il servizio di Roberta Barbi: 

Sono tre i luoghi che ricordano la giovane vita prematuramente spezzata di 'Marietta', come tutti la chiamavano e come la ricorda affettuosamente anche il Papa: Le Ferriere, dove fù colpita a morte, il santuario di Santa Maria delle Grazie a Nettuno, dove riposa il suo corpo, e la “Tenda del perdono” dove la ragazza morì. Per questo Francesco ha indirizzato il suo messaggio a entrambe le comunità che venerano in modo particolare Santa Maria Goretti e in questo anno giubilare la ricordano come “testimone del perdono”.

La Santa bambina che perdonò il suo aguzzino
Questo l’aspetto della Santa messo in evidenza dal Pontefice, che ricorda come la giovane, sul letto di morte, perdonò il suo aguzzino con parole che rievocano quelle di Gesù sulla Croce: “Lo perdono e lo voglio con me in paradiso”. “Il perdono è l’espressione più evidente dell’amore misericordioso – scrive il Papa – lo strumento messo nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore”. Un perdono che non lasciò indifferente Alessandro Serenelli, il suo uccisore, che all’uscita dal carcere, nel 1928, aveva abbracciato la conversione e si recò dalla madre di Marietta per farsi perdonare e accostarsi, con lei, all’Eucaristia.

La sua breve vita illuminata dalla gioia dell’accostarsi all’Eucaristia
Nella sua breve vita Marietta non poté accostarsi molte volte all’Eucaristia, ma lo fece “con un’intensità e una forza senza la quale non avrebbe potuto compiere la scelta fondamentale della sua breve esistenza”. “Quando andiamo a fare la Comunione? Non vedo l’ora”, diceva con fervore alla sua mamma, come sottolinea oggi Francesco.

La povertà della famiglia Goretti li costrinse a emigrare
Perdono, accoglienza e testimonianza, ma c’è un altro aspetto nella vita della famiglia di Marietta che il Papa ha tenuto a ricordare: la povertà. Una necessità che spinse i Goretti a spostarsi dalle native Marche alle Paludi Pontine, terre fertili ma insidiose, accompagnati solo dalle lacrime del distacco, che accomunano i migranti di allora a quelli di oggi.

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Card. Ravasi: le Beatitudini interpellano tutti gli uomini

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“Le Beatitudini” contengono un messaggio rivoluzionario: le persone sconfitte secondo il mondo vengono considerate da Gesù come i veri vincitori, chiamati ad edificare il Regno di Dio. Proprio alle Beatitudini è dedicato l’ultimo libro del card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, edito recentemente da Mondadori. Il porporato, esperto biblista, confronta i due testi delle Beatitudini, in Matteo e in Luca,  e rintraccia la presenza di queste parole nell’Antico Testamento, specialmente nei Salmi, ma anche richiamando Mosè e il Sinai. Offre anche “un viaggio” nei riflessi di questo testo nell’arte, nella musica e nella letteratura. Un libro che propone l’attualità del Discorso della Montagna nel suo richiamo non solo ad un futuro escatologico ma anche all’oggi, come sentiamo dallo stesso cardinale Gianfranco Ravasi al microfono di Debora Donnini

R. – Le Beatitudini rappresentano il desiderio di guardare ad un mondo che sia diverso. Ed è per questo motivo che alcuni le hanno interpretate quasi esclusivamente come destinate all’ingresso nel Regno di Dio perfetto. In realtà, Cristo vuole, da un lato, guardare certamente al di sopra della piccola navigazione di tutti i giorni, ma al tempo stesso vuole che questo orizzonte lontano inizi già ora. E’ quello che lui chiama il Regno di Dio, un progetto che deve iniziare a costruirsi già all’interno dello spazio della storia presente ed ogni uomo deve dare il suo contributo.

D. – Quella di Gesù non è "una morale da schiavi", come accusava Nietzsche, ma sembra avvicinarsi di più al discorso sulla vittima dello studioso René Girard. Gli ultimi - dei quali Gesù con la morte in Croce è il primo - sono in realtà vittime senza colpa. Per questo saranno beate, in una prospettiva escatologica, e per questo già oggi devono essere aiutate…

R. – Certamente non è la concezione di Cristo, che non è neppure una concezione strettamente pauperista. Noi dobbiamo concepire coloro che sono vittime all’interno della storia, non semplicemente come se fossero degli sconfitti, ma neppure come fossero in uno stato assolutamente permanente e definitivo, tanto è vero che viene detto: “Beati quelli che piangono, perché saranno consolati”. E’ sempre - se vogliamo completare Girard - il desiderio di far sì che le vittime riconoscano che a loro è destinata una risurrezione, che è poi il principio della vita stessa di Cristo.

D. – Anche perché, parzialmente, umiliazioni e momenti di pianto, di difficoltà possono accadere a tutti gli uomini…

R. – Lo stato dei personaggi delle Beatitudini non è uno stato, strettamente parlando, solo degli ultimi della Terra: il discorso delle Beatitudini riguarda tutti gli uomini e le donne che devono vivere queste realtà, che sono considerate dal mondo come realtà di sconfitta, e che Cristo, invece, vuole presentare come un principio di trasformazione nel Regno di Dio.

D. – Il Beato Angelico a Firenze ha proposto l’immagine del Discorso della Montagna: Gesù indica con l’indice della mano destra il cielo, mentre la sinistra stringe il rotolo delle Sacre Scritture. Una sintesi perfetta del messaggio delle Beatitudini?

R. – Certamente questa è una delle rappresentazioni più celebri e credo che abbia poi anche un altro aspetto. Naturalmente, l’indicazione del trascendente, illuminato dalla Parola di Dio, ma anche che si trova sul monte, circondato dai discepoli, i quali rappresentano l’umanità.

D. – Per Papa Francesco le Beatitudini sono un programma di santità tanto che le ha definite anche come “i navigatori della vita cristiana”…

R. – L’intenzione di Gesù è di rappresentare il volto del discepolo e non soltanto del discepolo privilegiato – vedi appunto la persona consacrata o altro – ma del discepolo tout court.

D. – Lei fa un confronto a tutto campo sulle Beatitudini, cercandone tracce nell’Antico Testamento e riflessi nell’immaginario collettivo: nella letteratura, nella musica, nella pittura. Quale immagine o espressione l’ha colpita di più?

R. – Nelle Beatitudini del Beato Angelico si trova proprio la presenza di Gesù come Maestro e come Signore della storia. Ci sono, però, anche altre opere meno note, magari lontane… E anche se la Beatitudine non viene citata esplicitamente, una buona parte dei romanzi di Dostoevskij sono una meditazione sulle vittime della storia.

D. – Proprio pochi giorni fa, lei ha festeggiato il suo 50.mo di sacerdozio. La sua è stata una vita sicuramente ricca di esperienze di fede, ma anche di cultura. Questo libro, in qualche modo, riassume il tesoro, sia di fede sia di cultura, che lei ha coltivato in questi anni?

R. – Tutti, almeno i sacerdoti, hanno un momento a cui possono far riferimento come ad una sorgente. Per me è stata un’esperienza che ho fatto da bambino. Credo avessi circa quattro anni. Mi trovavo su un colle con mio nonno, quando ho visto che nella valle passava un treno e ho sentito il fischio di questo treno, un suono che creava malinconia. Ecco, in quel momento ho avuto la prima percezione in assoluto del dolore, della vita che finisce, e da quel momento in avanti è iniziata la ricerca di qualcosa che permanesse, di qualcosa che appartenesse all’orizzonte del divino. Nelle Beatitudini, questi due aspetti si intrecciano: da una parte c’è l’esperienza di base, quella del negativo, e dall’altra c’è questa parola – Beati – che è la tensione verso l’Eterno, che poi io ho potuto elaborare naturalmente, avendo la fortuna di vivere lungamente nello studio, nell’approfondimento, soprattutto nel dialogo col mondo contemporaneo.

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Oggi in Primo Piano



Brexit, aumentano firme per nuovo referendum

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L’Europa del post referendum sulla  Brexit cerca di uscire dallo shock. In attesa che la Gran Bretagna apra la procedura di uscita dall’Unione europea, la diplomazia dei Paesi fondatori si riunisce domani a Berlino. Intanto, la Scozia chiede di votare di nuovo per l’indipendenza dal Regno Unito, mentre la petizione lanciata on line per un nuovo referendum sull’uscita dall’Ue ha superato i 3 milioni di firme. Elvira Ragosta

Continuano ad aumentare sul sito del parlamento inglese le firme per chiedere un nuovo referendum sulla Brexit. Tante le adesioni dalla capitale e dalle principali città. Sull’iniziativa la Commissione sulle petizioni dovrebbe riunirsi martedì. Anche dalla Scozia arriva l’ipotesi di una nuova consultazione per chiedere l’indipendenza, perché spiega il premier scozzese Nicola Sturgeon: “Il Regno Unito, nel quale la Scozia ha deciso di restare con il referendum del 2014, non esiste più”. In attesa che Londra apra formalmente la procedura per l’uscita - il presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, sollecita per il prossimo vertice Ue di martedì - la vicepresidente della Commissione con delega per il bilancio, Kristalina Georgieva, ricorda ai media che per la Gran Bretagna restare nel mercato interno non facendo più parte dell’Unione costerebbe di più e cita l’esempio norvegese. Intanto, il dopo Brexit  detta una fitta agenda diplomatica per i leader di istituzioni e Paesi membri. A cominciare da domani, con la riunione dei rappresentanti dei Paesi fondatori,  convocata a Berlino dalla cancelliera tedesca Merkel con il presidente francese Holland, il presidente del Consiglio italiano Renzi e il presidente del Consiglio europeo Tusk. Lo stesso Tusk, poi, promette una serie di incontri nelle capitali europee nei prossimi giorni. Per ridare fiducia alle istituzioni comunitarie e superare lo shock per l’uscita della Brexit, l’alto Rappresentante per la politica estera europea Mogherini è pronta a presentare al vertice Ue di martedì prossimo una proposta per rilanciare la strategia globale dell’Unione europea. "Dopo lo shock del voto britannico - spiega Mogherini in una intervista al Corriere della Sera - penso sia utile mettere sul tavolo qualcosa che inietti fiducia in se stessi". "Abbiamo i mezzi, la forza e la responsabilità per farlo. Anche se molto deve cambiare".  Per il capo della diplomazia europea "dobbiamo trasmettere il messaggio che l'Ue resta un interlocutore fondamentale e forte. Abbiamo una responsabilità nei confronti della comunità internazionale e benché non siamo in un clima di ordinaria amministrazione dobbiamo esercitarla".

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Elezioni in Spagna. Incertezze tra Brexit e ingovernabilità

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Urne aperte oggi fino alle 20 in Spagna, dove oltre 36 milioni e mezzo di persone sono chiamate ad eleggere i 350 membri del Congresso dei deputati. Gli ultimi sondaggi danno in vantaggio i popolari del premier Rajoy al 28-30%, ma nessuna delle quattro formazioni politiche maggiori in lizza sembra in grado di raggiungere la maggioranza assoluta. Un voto complicato, dunque, sul quale – oltre all’influenza della recente “Brexit” - incombe lo spettro dell’ingovernabilità. È la seconda volta, infatti, che il Paese torna ai seggi nel giro di sei mesi. Ma cosa è cambiato rispetto alle elezioni del dicembre 2015, i cui risultati non hanno portato a nessun governo stabile? Roberta Barbi lo ha chiesto ad Antonio Villafranca, analista dell’Ispi: 

R . – È cambiato pochissimo. L’unica cosa è il fatto che Podemos si sia alleato con Izquierda Unida. Izquierda Unida alle precedenti elezioni aveva preso soltanto due seggi, ma l’obiettivo di Iglesias è quello di superare nei voti – e anche nei seggi, ovviamente – il Partito socialista. Sarebbe ovviamente qualcosa di rilevante - questo sì - perché appunto Podemos con Izquierda Unida, quindi ancora di più spostato a sinistra verso la sinistra radicale, diventerebbe la seconda forza politica del Paese.

D. – Il voto in Spagna è il primo appuntamento elettorale in Europa dopo la “Brexit”. I sondaggi davano già in testa il Ppe del premier Rajoy, ma l’attuale situazione di incertezza potrebbe rafforzare ulteriormente la sua posizione e spingere gli spagnoli a votare il “porto sicuro”?

R. – Potrebbe essere, così come potrebbe essere che Rajoy – Partito popolare – prenda alcuni voti da Ciudadanos, che già non aveva avuto una performance straordinaria a dicembre, però che la gente, soprattutto i moderati del centro, si spostino ancora di più verso il Partito popolare, proprio per evitarlo, anche influenzati da quello che è successo in Gran Bretagna con “Brexit”. Potrebbe esserci un travaso di voti, ma la vera questione è sempre riuscire a capire con chi fare il governo, come arrivare a quei 176 voti necessari per formare un governo.

D. – Fino a poco tempo fa, il leader di Podemos, Iglesias, proponeva l’uscita della Spagna dall’Eurozona. Ora ha cambiato registro perché sta mirando al voto dei moderati, ma potrebbe tornare su queste posizioni?

R. – Beh, abbiamo visto in realtà in giro per l’Europa diversi partiti politici che, in realtà, hanno cambiato idea. Se prendiamo la stessa Syriza, prima di essere eletta aveva dei toni certamente molto più duri e, appunto, non escludeva assolutamente l’uscita dall’euro; ma abbiamo visto, poi, come sono andate le cose: nel momento in cui sono andati al governo, poi, alla fine hanno dovuto accettare un accordo per rimanere all’interno dell’Eurozona. Ed è evidente che c’è molta comunicazione politica legata alla campagna elettorale ma poi, però, non necessariamente questi toni e questa asprezza nelle posizioni possono essere mantenute nel momento in cui si hanno responsabilità di governo.

D. – Se le previsioni saranno confermate e Rajoy sarà primo ma senza maggioranza, si potrebbe ipotizzare un governo di gran coalizione anche con Psoe e Ciudadanos?

R. – Questo in realtà è quello che Rajoy aveva già proposto e aveva cercato di realizzare dopo le precedenti elezioni. L’ago della bilancia fondamentale è il Partito socialista; il Partito socialista è in una posizione difficilissima: è il partito che rischia di più perché perderebbe la sua base se facesse una grossa coalizione con il Partito popolare. Però, d’altra parte, l’alternativa è quella di orientarsi totalmente a sinistra verso la Sinistra radicale nel caso in cui, invece – come vorrebbe Podemos – facesse, appunto, un accordo con Podemos. Quindi la vera questione e il partito che forse rischia di più, è sicuramente il Partito socialista che si trova assolutamente tra due fuochi.

D. – Quanto pesa sul voto la questione irrisolta del referendum sulla secessione catalana?

R. – Sicuramente pesa, è una costante ormai sulla vita politica spagnola. Come sappiamo  tutti, i partiti principali sono contrari alla secessione catalana con l’eccezione di Podemos: Pablo Iglesias è stato l’unico che si è detto già da tempo disponibile per un referendum. Non è un caso che Podemos abbia fatto abbastanza bene nella scorsa tornata elettorale, appunto, in Catalogna. Questo pesa, ma continuerà a pesare anche domani, tornerà a pesare anche nei prossimi anni perché è una questione irrisolta e sicuramente una situazione economica non favorevole non potrà che continuare a peggiorare la situazione.

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Giornata contro la tortura: esiste in oltre 140 Paesi

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Ricorre questa domenica la Giornata internazionale contro la tortura: una pratica disumana che viene ancora usata in più di 140 Paesi causando centinaia di migliaia di vittime. Gioia Tagliente ha intervistato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia: 

R. – La tortura è un’emergenza globale: almeno l’80% dei Paesi che nel 1984 firmarono la Convenzione Onu contro la tortura continuano a ricorrervi in modo sostanzialmente impunito. In alcuni casi sono puniti i singoli oppositori, in altri la tortura è una vera e propria politica di governo in base alla quale il potere si mantiene unicamente attraverso la repressione. Come sempre la tortura odierna è un misto di metodi che ricordano i supplizi medievali e di tecniche molto moderne in cui addirittura si evita il contatto fisico tra il torturatore e la sua vittima.

D. – Esistono dei progetti mirati alla riabilitazione dei sopravvissuti?

R. – Sì, ci sono moltissime organizzazioni per i diritti umani composte da medici, psicologi, che fanno quello che dovrebbero fare i governi che torturano, cioè almeno prendersi cura delle vittime che producono. In realtà questo non è. Oggi la riabilitazione sul piano fisico e psicologico, soprattutto nei confronti delle donne che subiscono violenza sessuale - utilizzata molto spesso come forma di tortura - è una cosa preziosa e importante perché le aiuta a recuperare la fiducia nel mondo oltre che nella giustizia, ma è qualcosa che è delegato alle organizzazioni per i diritti umani ai medici, agli psicologi con risorse che, come sempre, sono abbastanza scarse.

D. - Qual è la situazione dei rifugiati in Italia?

R. - Ci sono vittime di tortura. Basti pensare ai Paesi dai quali provengono; mi viene in mente l’Eritrea, la Siria. Quindi certamente ci sono vittime di tortura nel nostro Paese le cui storie magari non sono raccontate, sfuggono ai controlli e alla possibilità di ricevere cure mediche perché sono persone che si isolano o che vengono isolate. Quindi è una realtà sommersa; persone che si trovano in mezzo a noi, magari abbandonate su una panchina, sulla strada nel pieno di un trauma post-tortura di cui vediamo solo il lato esteriore, una sofferenza di cui magari non si comprende bene la natura.

D. - Qual è l’impegno di Amnesty International?

R. - Nella giornata del 26 giugno noi continuiamo a livello globale a chiedere leggi contro la tortura, le chiediamo anche all’Italia. Chiediamo ai governi che hanno quelle leggi, di rispettale fino in fondo, chiediamo agli organi internazionali che si occupano di tortura di svolgere il loro lavoro attraverso, inchieste indagini internazionali, sanzioni e condanne. Vogliamo che ci si renda conto che la tortura nel XXI secolo è qualcosa di inaccettabile che colpisce decine e decine di migliaia di persone ogni anno e che deve essere sradicata una volta per tutte.

D. - Nonostante i numerosi solleciti l’introduzione nel Codice penale italiano del reato di tortura non ha visto ancora la luce. Come mai?

R. – Sono passati quasi 30 anni, da quando l’Italia avrebbe dovuto introdurre il reato di tortura nel Codice penale. Per tutto questo tempo Amnesty international e le altre organizzazioni che chiedevano quella modifica legislativa, si sono sentite dire che o del reato non c’è necessità, perché non c’è la tortura oppure ci sono già articoli del Codice penale che ricoprono in qualche modo questo reato oppure che se venisse introdotto il reato di tortura sarebbe colpevolizzata l’intera polizia come organo, come corpo, quando in realtà è il contrario: il reato di tortura consentirebbe di isolare, individuare le responsabilità singole evitando quello stigma ingeneroso e non vero, tra l’altro, secondo il quale è la polizia in quanto tale che tortura. Finché non sarà così, purtroppo, rimarrà la possibilità che persone appartenenti ai corpi dello Stato responsabili di tortura che non sono state punite, siano ancora al loro posto e soprattutto nei casi di tortura sarà impossibile avere nel Codice penale quella sanzione che dovrebbe essere adeguata alla gravità del crimine commesso.

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Droga, ne fanno uso in 250 milioni: meglio usare il proprio cervello

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Circa il 5% della popolazione adulta, 250 milioni di persone tra i 15 e i 64 anni, ha usato almeno una droga nel 2014, stando ai dati dell'ultimo rapporto sulle droghe pubblicato dall'ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il crimine (Undoc). Oggi si celebra la Giornata internazionale contro il consumo e il traffico illecito della droga, indetta nel 1987 dall'Assemblea Generale, una Giornata per sensibilizzare ancora di più i giovani e fornire loro gli strumenti adeguati. Valentina Onori ne ha parlato con Antonio Boschini, medico e responsabile sanitario-terapeutico della comunità di San Patrignano, la comunità italiana per il recupero di tossicodipendenti che accoglie attualmente circa 1.260 persone: 

R. – Quello che è importante è ribadire dei principi fondamentali: che la droga fa male e che la droga leggera non esiste. Noi vorremmo che il ragionamento si riportasse alla prevenzione dell’uso delle sostanze in generale e all’evidenza scientifica che dimostra che queste sostanze sono tutte quante dannose. Nel momento in cui una sostanza viene liberalizzata, legalizzata, è chiaro che un ragazzino dice: “Se è normale, se è legale, se la si può prendere, allora tanto male non fa”. Quello che noi cerchiamo di spiegare ai nostri ragazzi che vengono in comunità, ma anche nelle Campagne di prevenzione che facciamo nelle scuole, è che al di là del fatto che la droga fa male, è sbagliato il concetto di volere cambiare il proprio cervello per piacersi di più, per essere meno timidi, per essere più disinvolti in società. Perché è chiaro, infatti, che se uno accetta di usare qualcosa, per vincere le normali difficoltà che ogni adolescente incontra, se uno accetta questo compromesso con la propria coscienza, come entra la cannabis, dopo sei mesi entra la smart drug o la droga sintetica, e dopo due anni forse la cocaina e l’eroina. La cosa rivoluzionaria per un giovane è usare il proprio cervello, senza andare ad inquinarlo con sostanze. La cosa che deve gratificare la persona è riuscire a vincere la propria paura, le difficoltà, riuscire a superare tutto quello che nella vita una persona, in particolare un adolescente, incontra, ma con le sue forze, con la sue capacità, con il suo impegno, non con la scorciatoia della droga.

D. – Quanto è importante l’informazione e la prevenzione?

R. – L’informazione, purtroppo, non è molto importante. Sappiamo ormai da anni che fare un discorso in cui viene spiegato semplicemente l’effetto delle droghe, i danni delle droghe, non è sufficiente, anche perché annoia: il ragazzo vede il medico che gli va a parlare o l’ex drogato… Da diversi anni noi stiamo facendo una Campagna dal formato molto diverso. Abbiamo messo su degli spettacoli teatrali con dei veri e propri registi professionisti, in cui non si parla dell’esperienza della droga, ma si parla di quello che è avvenuto prima della droga. Si racconta la storia “normale” della persona - non di quando si drogava, ma dei problemi che incontrava prima di cominciare a drogarsi - in modo che, a livello emotivo, gli studenti si identifichino in maniera emozionale forte con la persona e non con il drogato, ma con quello che poi diventerà il drogato, e quindi riescano a percepire le cause che hanno spinto questo ragazzo prima a sperimentare e poi a diventare dipendente dalle sostanze. E’ un’informazione che gioca di anticipo. L’importante è che ci sia un coinvolgimento emotivo.

D. – Qual è il recupero della persona? Come si cancella la droga?

R. – La droga viene cancellata dalla persona stessa, nel momento in cui assapora forme di gratificazione più elevate. La droga ti dà una gratificazione chimica immediata, che non è legata a nessuno sforzo da parte tua, è gratuita. Per cui non esistono più piaceri, affetti, interessi, nulla. Il nostro percorso, e credo anche delle comunità in generale, è quello di insegnare, educare una persona a sperimentare, assaporare e a godere di livelli di gratificazione via via sempre più profondi. Poi ci sono gratificazioni che riguardano quelle in cui si comincia a provare piacere per un qualcosa che si fa non per se stessi, ma per un’altra persona: è il livello di maturazione più alto. Quando uno scopre quanto questo sia bello, secondo noi il suo percorso può dirsi veramente nella fase conclusiva.

D. – Qual è la sua gratificazione lavorando a San Patrignano?

R. – Quando vado a Messa, mi accorgo che quello che mi piace è guardare le facce degli altri ragazzi che sono a Messa nella nostra chiesa e sono molto concentrati. Io immagino che in quel momento stiano pensando a qualcosa di veramente molto profondo. Quello che, quindi, mi dà soddisfazione è vedere le persone che ogni giorno cercano di diventare persone migliori. Il nostro sacerdote fa delle omelie che, secondo me, sono veramente molto terapeutiche anche per un percorso di recupero dalla droga. Le due cose si fondono, non sono distinte.

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Caporalato, #FilieraSporca: braccianti in condizioni di para schiavitù

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Un lavoro regolare, tutelato ed equamente compensato: lo hanno chiesto gli oltre 15 mila  braccianti e operai agricoli che ieri, a Bari, sono scesi in piazza in occasione dello sciopero di otto ore proclamato dai sindacati confederali Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Uil contro il caporalato e il lavoro nero in agricoltura, per il rinnovo dei contratti provinciali di lavoro e per un lavoro di qualità. Soltanto pochi giorni fa, alla Camera, era stato presentato il secondo Rapporto #FilieraSporca dal titolo “La raccolta dei Rifugiati. Trasparenza di Filiera e responsabilità sociale delle aziende”, promosso da Terra! Onlus, Associazione del Sud e Terrelibere.org. La crisi del settore agrumicolo, l’assenza di trasparenza della Grande Distribuzione Organizzata, e lo sfruttamento di lavoratori italiani e richiedenti asilo, è  la denuncia del rapporto, sono “tre piedi dello stesso blocco di ingiustizie che soffocano il Made in Italy”. Francesca Sabatinelli ha intervistato Fabio Ciconte, portavoce della campagna: 

R. – Questo secondo Rapporto di Filiera Sporca svela le cause reali del caporalato. Abbiamo denunciato come la raccolta delle arance in Sicilia sia stata fatta, in parte, dai richiedenti asilo di Mineo: persone che teoricamente non potrebbero lavorare, perché non potrebbero avere un contratto di lavoro e che per questo vengono sfruttate e pagate 10 euro al giorno. Una paga da fame, che li riduce in condizioni di para schiavitù. Ma abbiamo raccontato anche il caso di italiani che vengono sfruttati con contratti fasulli o a cui addirittura le aziende prelevano a monte i famosi 80 euro di Renzi… Insomma abbiamo svelato un meccanismo che continua imperterrito ad andare avanti e lo abbiamo fatto ad un anno di distanza, che abbiamo dovuto contare – nostro malgrado – attraverso i morti sul campo: oltre 10 persone, italiane e straniere, morte per raccogliere prodotti che noi mangiamo ogni giorno.

D. – Chi sono i protagonisti di questa filiera, che voi avete definito – e i fatti vi danno ragione – “filiera sporca”? Dove si inizia e dove si arriva?

R. – E’ una filiera in cui convivono tutti: ci sono i braccianti; ci sono le aziende locali; c’è la grande distribuzione; c’è la criminalità organizzata e quindi le mafie e ci sono i grandi gruppi industriali. Se convivono tutti in questa filiera è chiaro che la responsabilità va, in qualche modo, distribuita. E’ per questo che noi abbiamo chiesto conto alle aziende dalla grande distribuzione alle multinazionali, chiedendo rassicurazioni su come loro evitano che questi prodotti dello sfruttamento arrivino sui banchi del supermercato: su dieci aziende che noi abbiamo contattato, il dato probabilmente più grave è che solo quattro hanno risposto; delle quattro soltanto una ha risposto con una percentuale di trasparenza al 90 per cento.

D. – In che modo – a vostro giudizio – si potrebbe interrompere questa catena del malaffare e questa catena anche di morti?

R. – Dobbiamo concentrarci su misure preventive: noi dobbiamo cioè prevenire il verificarsi del fenomeno. Non è sufficiente punire il caporale, che è soltanto un pezzo di questa filiera, ma dobbiamo intervenire sulla prevenzione. Per farlo abbiamo chiesto un incontro urgente con il ministro Martina, per esporgli le nostre proposte: la principale è una legge sulla trasparenza, che preveda l’introduzione di una etichetta narrante, che racconti la vita del prodotto e che ci dica – per esempio – l’elenco dei fornitori che ci sono lungo questa filiera. E questo perché noi dobbiamo attivare un meccanismo di controllo sociale dei consumatori, dei cittadini a livello nazionale e a livello locale, che impedisca il verificarsi del fenomeno.

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Progressi nella lotta al cancro grazie all’immunoterapia oncologica

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Curare un tumore stimolando il sistema immunitario. Da qualche anno è possibile grazie all’immunoterapia oncologica, un approccio terapeutico innovativo applicato per quelle forme di cancro difficilmente aggredibili chirurgicamente. Uno dei Centri più avanzati al mondo per la sperimentazione di questa terapia si trova a Siena, presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria, dove è presente l’unico reparto interamente dedicato all’immunoterapia oncologica della sanità pubblica italiana, diretto dal prof. Michele Maio. Marco Guerra lo ha intervistato per saperne di più riguardo allo stato della ricerca e ai risultati ottenuti: 

R. – L’immunoterapia è una nuova strategia terapeutica per il trattamento del cancro che sostanzialmente agisce utilizzando dei farmaci che attivano le nostre difese immunitarie per far sì che il nostro sistema immunitario possa essere in grado di distruggere le cellule tumorali o tenerle sotto controllo per un periodo di tempo molto lungo. La differenza fondamentale è questa: i trattamenti chemioterapici mantengono comunque la loro efficacia - quindi la chemioterapia – agendo direttamente distruggendo le cellule tumorali, mentre con l’immunoterapia, sostanzialmente, facciamo un passaggio in più: attiviamo il sistema immunitario del paziente per far sì che esso poi possa essere in grado di tenere sotto controllo la malattia.

D. - Quindi l’immunoterapia è particolarmente indicata per quei tumori che non sono più aggredibili chirurgicamente?

R. - La chirurgia, nei tumori in generale, mantiene ovviamente un suo ruolo estremamente importante quando attraverso essa noi possiamo rimuovere il tumore. Quando quest’ultimo, purtroppo, non è più aggredibile chirurgicamente, allora non ci dobbiamo più rivolgere alla chirurgia ma alla terapia medica e quindi all’immunoterapia o alla chemioterapia. Ma in alcuni casi e in alcune sperimentazioni che stanno iniziando proprio in questi mesi, viene applicata anche quando il tumore è stato rimosso per cercare di prevenire la possibilità che questo si ripresenti.

D. - Per quali tumori è già possibile accedere a questo tipo di trattamento?

R. - In Italia, da qualche mese, abbiamo a disposizione dei nuovi farmaci immunoterapici con i quali possiamo trattare nell’ambito del sistema sanitario nazionale alcuni tipi di tumori molto aggressivi come il melanoma, un tumore che nasce prevalentemente dalla cute. Recentemente l’immunoterapia è stata anche approvata per alcuni tipi di cancro del polmone, in particolare la forma squamosa, quella più frequente nei forti fumatori e nei pazienti che hanno già fallito un primo trattamento chemioterapico.

D. - Uno degli ambiti sperimentali dell’utilizzo dell’immunoterapia oncologica è nella cura del glioblastoma, la forma più aggressiva di tumore del cervello. Ce lo conferma?

R. - Lo confermo assolutamente! Abbiamo concluso da poco una sperimentazione con un farmaco immunoterapico in pazienti affetti da glioblastoma. Si trattava in quel caso di pazienti che avevano già fatto un primo trattamento standard di associazione fra la chemio e la radioterapia e che era fallito. Recentemente, dalla scorsa settimana, abbiamo a disposizione due studi, due sperimentazioni del glioblastoma per pazienti che non hanno mai fatto alcun tipo di trattamento.

D. - Quali risultati sta dando la sperimentazione dell’immunoterapia in ambito oncologico?

R. - Ci sono dei progressi e, certamente, i numeri ci aiutano. In alcuni tipi di tumore, come dicevo prima parlando del melanoma, abbiamo triplicato la sopravvivenza dei pazienti. Abbiamo più che raddoppiato la sopravvivenza dei pazienti a cinque e a dieci anni; abbiamo aumentato la sopravvivenza dei pazienti affetti da cancro al polmone – come dicevamo prima -, ma soprattutto, a breve, avremo a disposizione, anche nell’ambito del sistema sanitario nazionale - perché si stanno concludendo le sperimentazioni -, farmaci immunoterapici per diversi tipi di tumore come il cancro del rene, i tumori della testa collo, i linfomi di Hodgkin. Anche gli oncologi medici che hanno vissuto i tempi d’oro degli sviluppi della chemioterapia si stanno sempre più avvicinando al concetto dell’immunoterapia e della sua efficacia in alcuni tipi di tumori.

D. - Presso l’Azienda ospedaliera universitaria senese è presente l’unico reparto interamente dedicato all’immunoterapia oncologica della sanità pubblica italiana. Può spiegarci come un paziente può accedere a queste cure?

R. - Noi siamo parte del Sistema sanitario nazionale, quindi i pazienti possono accedere al nostro Centro, così come possono farlo per qualunque altra struttura sanitaria e oncologica nel caso particolare del Sistema sanitario nazionale. Basta semplicemente prenotare un appuntamento presso la nostra struttura per ottenere una valutazione relativa al singolo caso. Purtroppo, i tempi sono un po’ lunghi perché c’è un carico estremamente importante di pazienti che si rivolgono a noi da tutta Italia, però è una procedura assolutamente semplice da eseguire.

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Festival del Film Cattolico: vince lo spagnolo Moreno

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Si è svolto dal 20 al 23 giugno a Roma “Mirabile Dictu”, il Festival Internazionale del Film  Cattolico, giunto quest’anno alla sua settima edizione. Tra le oltre mille pellicole giunte alla segreteria del Festival, la Giuria ha assegnato allo spagnolo Pablo Moreno, in gara con “Poveda”, il premio come miglior film. Mirabile Dictu è un festival che ha il pregio di aver dato identità e voce ad un genere di film che sta diventando sempre più una realtà importante nella produzione cinematografica mondiale come afferma la regista e produttrice presidente del Festival, Liana Marabini, al microfono di Rosario Tronnolone

R. – Certamente, perché anche i produttori che normalmente stavano lontani dal mondo cattolico per varie ragioni, si sono resi conto che la Bibbia, i Santi, la vita dei Papi, sono tutte fonti inesauribili di ispirazione. Quindi, ci dichiariamo soddisfatti della nostra opera di divulgazione del film cattolico.

D. – In questa settima edizione del “Mirabile Dictu”, il miglior cortometraggio è andato a un film che ha, anche solo nella visione del trailer, emozionato tutti nella serata della premiazione: “The Confession”, un film di Johnn La Raw, ed è un film della Corea del Sud …

R. – L’autore è un sacerdote birmano – i sacerdoti cattolici hanno anche una vita molto difficile - e il film, il suo cortometraggio, mette l’accento sulla confessione e l’importanza di questo atto e l’importanza anche del ruolo del prete in questo atto. Qui vediamo un prete veramente eroico, che fa passare il suo dolore in secondo piano nel momento in cui vede davanti a sé un’anima torturata dal dolore e dai rimpianti. Questo film mostra proprio questo: mostra questa essenza della confessione.

D. - Su cui poi Papa Francesco è ritornato diverse volte proprio in quest’anno, in questo Giubileo della Misericordia. Tra le sezioni che il “Mirabile Dictu” premia, c’è anche una sezione di film che sta sempre più prendendo piede e che sta fortunatamente anche prendendo piede nelle sale, e cioè il documentario. Avete premiato come miglior documentario “Life is Never Wasted”, un film polacco di Krzysztof Tadej …

R. – Anche questo, come il precedente e come tutti gli altri, mette l’accento sull’eroismo dell’uomo di Chiesa. Qui abbiamo due giovani monaci polacchi che sono andati come missionari in Perú e lì sono stati uccisi dai terroristi comunisti del “Sendero Luminoso”. Sono le figure di queste due straordinari uomini di Chiesa, eroici e martiri.

D. – Un altro premio che è andato a un film che racconta di un sacerdote coraggioso – visto che appunto stiamo parlando di coraggio – è il premio al miglior film, un film spagnolo, “Poveda”, di Pablo Moreno …

R. – Questa è la figura del grandissimo padre Pablo Poveda, che è il fondatore dell’insegnamento cattolico in Spagna, ma non in un momento qualunque: parliamo del momento precursore e durante la guerra civile spagnola, quindi con tutto quello che questo presuppone. Penso che padre Poveda dovrebbe essere una fonte di ispirazione per tutti i nostri sacerdoti, anche di oggi. Il coraggio di esprimere la verità, la verità di Cristo indipendentemente dall’orientamento del potere del momento. Quindi, al di sopra del potere lui difende i più deboli, lui difende la verità.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq: Falluja libera dall’Is che arretra anche in Siria

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“L’operazione è finita, la città è completamente liberata”: con queste parole il comandante delle forze irachene impegnate contro lo Stato Islamico in Iraq ha dichiarato oggi il successo dell’operazione che ha condotto alla liberazione di al-Julan, l’ultimo sobborgo dell’area che era ancora nelle mani del Califfato che aveva conquistato Falluja nel gennaio 2014.

In Siria il Califfato spara contro civili in fuga a Manbij
Alcuni civili curdi, tra cui qualche bambino, sono stati uccisi da jihadisti del sedicente Stato islamico mentre cercavano di scappare da Manbij, città nel nord della Siria ancora sotto il controllo dei miliziani. Secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani, altri 120 curdi sono stati sequestrati dal Califfato nei giorni scorso ad Al Bab, poco lontano: salirebbe così a un migliaio il numero dei civili prigionieri dell’Is che li impiegherebbe nello scavo di trincee. Otto, invece, i jihadisti rimasti uccisi negli ultimi raid della coalizione a guida americana sempre nel nord del Paese.

L’Is sconfina in Afghanistan, respinto dalle forze di sicurezza
​Almeno 131 militanti dello Stato Islamico sono stati uccisi in un’operazione di due giorni condotta dalle forze di sicurezza afghane nella provincia orientale di Nanarhar. L’operazione era stata intrapresa in seguito all’incursione dei jihadisti in alcuni villaggi del distretto di Kot. (R.B.)

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Somalia. Attacco al Shabaab a hotel di Mogadiscio, 35 morti

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È di almeno 35 morti e 25 feriti il bilancio di un nuovo attacco kamikaze rivendicato dai miliziani somali di al Shabaab a un albergo della capitale somala Mogadiscio. Si tratta dell’Hotel Nasa Hablod; le vittime sono per lo più civili  che affollavano i negozi e una pompa di benzina nei pressi dell’albergo, ma sono morti anche 2 dei 4 jihadisti che componevano il commando, stando a fonti di polizia citati dalla Cnn.

La dinamica dell’attacco: un’autobomba fa strada ai terroristi
Secondo le prime ricostruzioni degli inquirenti, la prima esplosione avvertita intorno alle 15.30 ora italiana, sarebbe stata causata da un’autobomba che avrebbe procurato all’edificio uno squarcio attraverso il quale sono potuti penetrare gli attentatori che si sono poi asserragliati all’interno dell’hotel - normalmente frequentato da figure politiche di rilievo del Paese africano – prendendo diversi ostaggi tra gli ospiti e il personale di servizio. È seguito uno scontro a fuoco con le forze dell’ordine che hanno liberato l’albergo.

Il precedente: l’Hotel Ambassador assaltato 3 settimane fa
È il secondo attacco dei jihadisti somali a un albergo: il primo giugno scorso nel mirino dei terroristi era entrato l’Hotel Ambassador, dove hanno perso la vita almeno 15 persone. (R.B.)

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Carestia in Madagascar, un milione di persone a rischio fame

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È allarme carestia in Madagascar, l’isola africana dove il perdurare della siccità e i cambiamenti climatici stanno mettendo a serio rischio la popolazione. Secondo quanto riferito dall’agenzia Fides, circa un milione di persone – tra cui molte giovani madri e bambini piccoli – soffre di malnutrizione acuta e il Paese registra uno dei più alti tassi del mondo di arresto della crescita nei minori di cinque anni.

Il Ministero della Salute: emergenza sanitaria
Secondo il Ministero della Salute locale, è questa la principale emergenza sanitaria dell’isola che ha ridotto l’80% dei suoi abitanti senza un sicuro approvvigionamento alimentare e molte persone, nel sud, cercano di supplire cibandosi con i frutti del cactus che però può dare problemi intestinali, soprattutto ai più piccoli.

L’appello alla comunità internazionale
Questo l’appello che gli operatori umanitari rivolgono alla comunità internazionale: non dimenticare il Madagascar, spesso “fuori dalla carta geografica” delle emergenze quando non ci sono drammatici cataclismi ad attirare l’attenzione.

Nel Paese non piove da 5 anni
​L’attuale siccità che affligge l’isola è una delle peggiori mai viste e ha mandato in fumo le colture di riso e manioca, principale risorsa alimentare della popolazione. Si calcola, inoltre, che nel Paese non piove adeguatamente da almeno cinque anni, mentre nel 2010 una grandinata ha distrutto i raccolti di mais, patate dolci e anguria, rendendo il terreno meno fertile. (R.B.)

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Terra Santa: sarà sminata l'area sul sito del Battesimo di Gesù

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Halo Trust, organizzazione umanitaria mondiale per la bonifica dei campi minati, provvederà a sminare il sito del battesimo di Gesù, a Wadi Kharrar (sulla sponda Giordana del fiume Giordano). Lo scorso mese, dopo gli accordi stipulati con Israele, l’Autorità Palestinese e le 8 Chiese cristiane che vi possiedono proprietà, Halo Trust ha lanciato una Campagna per la raccolta dei fondi necessari allo sminamento del luogo. Vi sarebbero ancora disseminate circa 3.800 mine e l’organizzazione umanitaria chiede alle Chiese di sollecitare l’attenzione sull’antico sito. La stima del costo totale delle operazioni di sminamento, riferisce il portale della Custodia di Terra Santa, si aggira intorno ai 4 milioni di dollari.

Il sito del Battesimo di Gesù da anni un campo minato
Da secoli, nel luogo - zona attualmente sotto controllo militare Israeliano - i cristiani commemorano il Battesimo di Cristo. Dal 1967, come effetto della guerra tra Israele e Giordania, il sito è stato chiuso a pellegrini e turisti e 55 ettari sono diventati un enorme campo minato e zona militare. Dal 2000, anno in cui per la visita di Papa Giovanni Paolo II in Terra Santa è stato aperto un minuscolo accesso al fiume, è stato sviluppato in Giordania un importante centro per pellegrini e turisti e nelle varie chiese delle differenti confessioni Cristiane viene ricordato il Battesimo di Gesù. Nel 2011 le Autorità Israeliane hanno ripulito una piccola parte del terreno accanto al fiume, e i pellegrini possano raggiungere la sponda occidentale del Giordano.

Le antiche memorie sulle sponde del fiume Giordano
Il sito del Battesimo è legato anche alla figura del profeta Elia e di altri eremiti e pellegrini della prima era cristiana, tra cui Santa Maria Egiziaca. La Chiesa Cattolica, rappresentata dalla Custodia di Terra Santa, possiede una porzione di terreno sul versante sud della strada che collega Gerico al fiume Giordano; il Patriarcato Greco Ortodosso di Gerusalemme un terreno sull’opposto versante a nord; le Chiese Ortodosse Armena, Copta, Etiopica, Rumena, Siriana e Russa hanno invece piccole proprietà, a sud di quelle delle Chiese cattolica ed ortodossa. Il luogo è anche conosciuto con il nome Qaser el-Yahud (Castello degli Ebrei), nome che ricorda il punto in cui il popolo di Israele attraversò il fiume Giordano per entrare nella Terra Promessa; all’entrata si trova il monastero Greco-Ortodosso del Prodomos (Precursore).

I luoghi di culto della Custodia di Terra Santa
​La parte di cui è proprietaria la Custodia di Terra Santa comprende una piccola edicola rotonda mentre poco sopra il fiume si trova la cappella dedicata a San Giovanni Battista, benedetta e inaugurata l’11 Giugno 1935. Pare che i francescani compiano un pellegrinaggio annuale almeno dal 1641. Prima della guerra del Giugno 1967, l’ultimo giovedì di ottobre, venivano da Gerico per commemorare il Battesimo di Gesù, dopo l’accesso è stato consentito sotto la scorta dei militari israeliani. Proprio la zona dove si trova la chiesa è recintata e l’accesso è vietato. Attualmente, i francescani della Custodia di Terra Santa celebrano la Peregrinazione del Battesimo di Cristo nella festa del Battesimo del Signore, la domenica che segue la solennità dell’Epifania (6 Gennaio). Quando l’intera zona sarà bonificata dalle mine, sarà possibile accogliere migliaia di pellegrini per visitare il fiume Giordano e i vari luoghi di culto. (A cura di Tiziana Campisi)

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Vescovi Usa: delusione per sentenza riforma dell'immigrazione

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I vescovi degli Stati Uniti esprimono “profonda delusione” per la sentenza della Corte Suprema che il 23 giugno ha di fatto bocciato la riforma dell’immigrazione del Presidente Barack Obama, bloccata nel 2014 dalla Camera dei Rappresentanti, dopo la vittoria alle elezioni di mid-term dei repubblicani. I giudici di ultima istanza si sono infatti spaccati a metà sul ricorso dell’Amministrazione contro la sentenza di una Corte di appello federale che aveva confermato la bocciatura delle azioni esecutive di Obama per imporre la nuova legislazione, impugnate dai governatori repubblicani di 27 Stati guidati da quello del Texas. Il pareggio equivale alla conferma della decisione del tribunale.

Una sconfitta anche per la Conferenza episcopale
La sentenza rappresenta una sconfitta anche per la Conferenza episcopale, che, insieme ad altre 24 organizzazioni religiose, aveva presentato alla Corte Suprema un’istanza a favore della riforma che comprende due misure chiave: niente espulsione per genitori senza documenti di figli nati negli Stati Uniti e protezione assoluta per persone arrivate nel Paese quando erano bambini.

Urgente una riforma del sistema migratorio
Grande dunque il disappunto dei vescovi espresso in una nota da mons. Eusebio Elizondo, presidente della Commissione episcopale per le migrazioni. “Questa decisione – afferma – significa che milioni di famiglie continueranno a vivere nel terrore di essere deportate e private della possibilità di migliorare le loro vite con l’educazione e un buon lavoro”. Il presule ribadisce quindi l’urgenza di una riforma complessiva dell’attuale sistema migratorio negli Stati Uniti che sia umana: “E’ necessario fare uscire la gente dall’ombra” e fare in modo che non vengano separate le famiglie, afferma.

Non perdere di vista l’umanità degli immigrati irregolari
Nonostante la sconfitta, per i vescovi resta la speranza che tale riforma sia possibile: “Le persone non cessano di essere nostri fratelli e sorelle solo perché sono immigrati irregolari: quale che sia il modo in cui sono arrivati qui, non possiamo perdere di vista la loro umanità, senza perdere la nostra”, conclude la nota. (A cura di Lisa Zengarini)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 178

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.