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Sommario del 28/06/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Festa per 65.mo di sacerdozio di Benedetto XVI. Francesco: da lui tanta forza

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In Vaticano si è festeggiato, stamani, il 65.mo anniversario dell’ordinazione sacerdotale del Papa emerito Benedetto XVI. Nel suo discorso, Papa Francesco ha ricordato che il Pontefice emerito “ha sempre testimoniato e testimonia ancora oggi” l’amore per il Signore. Questo amare – ha detto il Santo Padre – “ci riempie veramente il cuore”, ci fa camminare sicuri anche in mezzo alla tempesta. Poi Benedetto XVI ha ringraziato Francesco. La sua bontà - ha affermato - è il luogo dove abito. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Era il 29 giugno del 1951, solennità dei Santi Pietro e Paolo. Il Papa emerito riceveva l’ordinazione presbiteriale insieme con suo fratello Georg a con altri 42 confratelli. Quella grande festa si è rinnovata oggi in Vaticano, nella Sala Clementina, con l’abbraccio tra i due Pontefici. Papa Francesco ha ricordato, citando le parole di Benedetto XVI, che la teologia è “la ricerca dell’amato”: la cosa decisiva nelle nostre giornate – ha spiegato – “è che il Signore sia veramente presente”:

“…Che lo desideriamo, che interiormente siamo vicini a Lui, che Lo amiamo, che davvero crediamo profondamente in Lui e credendo Lo amiamo veramente”.

Papa Francesco: sguardo e cuore siano verso Dio  

L’unica cosa veramente decisiva è “avere lo sguardo e il cuore rivolto a Dio”. Lo sguardo amorevole di Benedetto XVI – ha detto Francesco – è anche rivolto verso la Chiesa:

“Lei, Santità, continua a servire la Chiesa, non smette di contribuire veramente con vigore e sapienza alla sua crescita; e lo fa da quel piccolo Monastero Mater Ecclesiae in Vaticano che si rivela in tal modo essere tutt'altro che uno di quegli angolini dimenticati nei quali la cultura dello scarto di oggi tende a relegare le persone quando, con l'età, le loro forze vengono meno”.

“È tutto il contrario”, ha affermato il Santo Padre:

“E questo permetta che lo dica con forza il Suo Successore che ha scelto di chiamarsi Francesco! Perché il cammino spirituale di San Francesco iniziò a San Damiano, ma il vero luogo amato, il cuore pulsante dell'Ordine, lì dove lo fondò e dove infine rese la sua vita a Dio fu la Porziuncola, la ‘piccola porzione’, l'angolino presso la Madre della Chiesa”.

Francesco a Benedetto XVI: Santità, continui a testimoniarci l’amore di Dio

Papa Francesco si è poi rivolto così al “caro confratello”:

“La Provvidenza ha voluto che Lei, caro Confratello, giungesse in un luogo per così dire propriamente ‘francescano’ dal quale promana una tranquillità, una pace, una forza, una fiducia, una maturità, una fede, una dedizione e una fedeltà che mi fanno tanto bene e danno tanta forza a me ed a tutta la Chiesa. E anche mi permetto: anche da Lei viene un sano e gioioso senso dell’umorismo”.

Il Santo Padre ha espresso infine uno speciale augurio:

“L'augurio con il quale desidero concludere è perciò un augurio che rivolgo a Lei e insieme a tutti noi e alla Chiesa intera: che Lei, Santità, possa continuare a sentire la mano del Dio misericordioso che La sorregge, che possa sperimentare e testimoniarci l'amore di Dio; che, con Pietro e Paolo, possa continuare a esultare di grande gioia mentre cammina verso la meta della fede”.

Benedetto XVI: grazie Papa Francesco

Ευχαριστούμεν (Rendiamo grazie). Questa parola in greco, scritta da un confratello ordinato sacerdote 65 anni fa con Benedetto XVI su un’immaginetta in ricordo della prima Santa Messa, ha orientato il discorso pronunciato dal Papa emerito:

“Con questa parola, nelle sue tante dimensioni, è già detto tutto quanto si possa dire in questo momento. ‘Ευχαριστούμεν’ dice un grazie umano, grazie a tutti. Grazie soprattutto a Lei, Santo Padre. La Sua bontà, dal primo momento dell’elezione, in ogni momento della mia vita qui, mi colpisce, mi porta realmente, interiormente; più che i Giardini Vaticani, con la bellezza, la Sua bontà è il luogo dove abito e mi sento protetto”.

Continuando a declinare la parola “grazie”, il Papa emerito ha infine espresso un auspicio:

“Che sia un mondo non di morte, ma di vita; un mondo nel quale l’amore ha vinto la morte”.

La gratitudine del card. Müller: grazie di cuore Santità

Il cardinale Gerhard Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, ha sottolineato che la vera gioia – come ha più volte affermato il Papa emerito – “proviene anzitutto dal fiducioso abbandonarsi” al disegno di Dio. La gioia del Vangelo – ha aggiunto – è “dono del Signore, proviene dal Suo Cuore”:

“Caro Papa Emerito, siamo grati di aver potuto seguire per lunghi anni, insieme a Lei, ciò che il Signore andava realizzando attraverso la Sua azione sacerdotale. Ora chiediamo, con tutto il cuore, che Lui possa portare a compimento ciò che ha operato in Lei e che, fra noi, ha già portato così abbondante frutto. Grazie ancora, di tutto, Santità, e grazie di cuore”.

Il card. Sodano: il Papa emerito continua a servire la Chiesa

Il card. Angelo Sodano, decano del Collegio cardinalizio, ha ricordato che il lungo ministero del Papa emerito prosegue, anche se in un’altra forma, così come Benedetto XVI aveva promesso il 24 febbraio del 2013, dopo aver annunciato la sua decisione “di lasciare in nuove mani la guida della barca di Pietro”:

”Ella allora ci aveva appunto detto: Il Signore mi chiama a salire sul monte, a dedicarmi ancor più alla preghiera ed alla meditazione. Ma questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo, è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo finora, ma in modo più adatto alla mia età ed alle mie forze”.

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Il Papa agli ortodossi: la misericordia di Dio è ciò che ci unisce

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La “memoria” dell’esperienza di “perdono e grazia” di Pietro e Paolo, Santi Patroni della Chiesa di Roma, con le loro vite segnate dal peccato prima e dalla misericordia dopo, “accomuna tutti i credenti in Cristo”. Lo ha detto il Papa ricevendo oggi, alla vigilia della festa dei due Apostoli, la delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli. Servizio di Francesca Sabatinelli

Nonostante le differenze in “ambito liturgico, nelle discipline ecclesiastiche e nel modo di formulare l’unica verità rivelata”, l’esperienza “dell’amore infinito di Dio” è ciò che unisce le due Chiese.  E’ la misericordia di Dio, dice Francesco parlando alla delegazione del Patriarcato, il vincolo che lega e che deve divenire il criterio dei rapporti reciproci:

“Se, come cattolici e ortodossi, vogliamo proclamare insieme le meraviglie della misericordia di Dio al mondo intero, non possiamo conservare tra noi sentimenti e atteggiamenti di rivalità, di sfiducia, di rancore. La misericordia stessa ci libera dal peso di un passato segnato da conflitti e ci permette di aprirci al futuro verso il quale lo Spirito Santo ci guida”.

Il Papa torna quindi con la memoria alla recente visita ai profughi e migranti del campo di Moria, sull’isola greca di Lesbo, condotta assieme al Patriarca Bartolomeo e all’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, Ieronymo II:

“Guardare la disperazione sul volto di uomini, donne e bambini incerti sul loro destino, ascoltare impotenti il racconto delle loro sventure e fermarsi in preghiera sulla riva di quel mare che ha inghiottito la vita di tanti esseri umani innocenti è stata un’esperienza molto commovente, che ha confermato quanto vi sia ancora da fare per assicurare dignità e giustizia a tanti fratelli e sorelle”.

E’ stata la vicinanza umana e spirituale di Bartolomeo e di Ieronymo a dare “grande consolazione in quei momenti così tristi”, dice il Papa, che sottolinea la comune responsabilità, di cattolici e ortodossi, nei confronti di chi ha bisogno, in obbedienza al Vangelo:

“Assumere insieme tale responsabilità è un dovere che tocca la credibilità stessa del nostro essere cristiani. Incoraggio perciò ogni forma di collaborazione tra cattolici e ortodossi in attività concrete al servizio dell’umanità sofferente”.

In conclusione, Francesco cita il Concilio Panortodosso, chiusosi domenica scorsa a Creta, per auspicare “abbondanti frutti per il bene della Chiesa”.

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Bartolomeo I: l'unità dei cristiani è verità nella carità

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L’impegno ecumenico in difesa delle minoranze perseguitate e l’importanza dei principi cristiani di fronte alla crisi di migranti e rifugiati: questi i due passaggi chiave della lettera inviata al Papa dal Patriarca orotodosso ecumenico, Bartolomeo I. La missiva è stata consegnata al Pontefice questa mattina, durante l’udienza concessa alla delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Il servizio di Isabella Piro

“Le nostre Chiese ascoltano il grido delle vittime di violenze e fanatismo, discriminazioni e persecuzioni, ingiustizie sociali, povertà e fame”: scrive così Bartolomeo nella sua lettera a Papa Francesco, in cui ricorda “con profonda gratitudine” l’incontro avvenuto a Lesbo, il 16 aprile scorso. Un incontro – sottolinea il Patriarca – che ha avuto l’obiettivo di offrire “sostegno a migranti e rifugiati, dando loro coraggio e speranza”, ma ribadendo anche “la necessità di garantire una soluzione pacifica di fronte alla più grande crisi umanitaria dai tempi della seconda Guerra mondiale, tra le cui vittime di contano anche le popolazioni cristiane”.

La civiltà europea non si comprende senza radici cristiane
In particolare, Bartolomeo guarda all’Europa: “L’attuale crisi dei migranti e dei rifugiati – afferma – ha dimostrato la necessità, per le nazioni europee, di affrontare il problema sulla base dei principi cristiani di fraternità e giustizia sociale”. Di qui, il richiamo a riconoscere che “la civiltà europea non può essere compresa senza fare riferimento alle sue radici cristiane”, perché “il suo futuro non può essere una società interamente secolarizzata o soggetta esclusivamente all’economia o al fondamentalismo”. Infatti, spiega Bartolomeo, “la cultura della solidarietà nutrita dalla cristianità non si preserva attraverso il progresso di Internet e della globalizzazione”.

Cammino ecumenico, dialogo di verità nella carità
Poi, il Patriarca richiama l’impegno ecumenico per il bene dell’umanità, per la sua libertà, in contrasto contro il male sociale e nello sforzo di far prevalere la giustizia e la pace. Un impegno comune che costituisce “una buona testimonianza per la Chiesa di Cristo – scrive Bartolomeo – rafforzando le reciproche responsabilità spirituali di fronte alle sfide contemporanee”. Quanto al cammino verso l’unità di ortodossi e cattolici, il Patriarca afferma che il dialogo di verità nella carità “conferma i comuni modelli cristiani” e porta “alla conoscenza teologica, all’esperienza ecumenica e al reciproco arricchimento” spirituale.

Conversione ecologica per salvaguardare il Creato
Altro punto centrale della Lettera è la salvaguardia del Creato, tema molto sentito dal Patriarca ecumenico, il cui impegno viene anche citato da Papa Francesco nell’Enciclica “Laudato si’ sulla cura della casa comune”. Bartolomeo sottolinea “le cause spirituali e morali della crisi ecologica attuale” e richiama la necessità di “un cambio radicale di atteggiamento” per trovare una soluzione.

Preghiera per gli esiti del Sinodo panortodosso
Guardando, poi, al Sinodo panortodosso appena conclusosi a Creta, Bartolomeo chiede al Pontefice di pregare per “un risultato fruttuoso di tale incontro”, il primo dopo più di mille anni. Infine, il Patriarca prega il Signore affinché fortifichi il Pontefice “per il bene della Chiesa e l’unità dei cristiani, a beneficio dell’umanità così travagliata”.

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Gennadios: cammino di Francesco e Bartolomeo è verso l'unità

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L'amore e la guida di Papa Francesco e del Patriarca Bartolomeo porteranno all'unità tra le Chiese. E' il forte pensiero del metropolita di Italia e Malta, esarca per l'Europa meridionale, Gennadios Zervos, ricevuto oggi dal Papa assieme alla delegazione del Patriarcato ecumenico di Costanipoli. Al microfono di  Francesca Sabatinelli, l’arcivescovo ortodosso greco conferma che è la misericordia a essere il vincolo che lega le due Chiese: 

R. – E’ la verità, perché misericordia significa amore. E questo nostro amore è tra di noi, ma anche tra le Chiese: avere, coltivare e preparare questo grande avvenimento dell’unità dei cristiani, affinché tutti siano una cosa sola.

D. – Ci sono ancora sentimenti di sfiducia e di rivalità?

R. – Senz’altro esistono. Però, noi dobbiamo lavorare, dobbiamo impegnarci e io credo che non ci siamo impegnati tanto… I dodici Apostoli hanno diffuso la dottrina di salvezza di Cristo a tutto il mondo: noi non siamo pochi, siamo molti! Ma dobbiamo essere molto forti, molto fedeli e pieni di amore per realizzare questo grande avvenimento. Come è stato per esempio il nostro Sinodo, il “Santo e Grande Sinodo delle Chiese ortodosse”: è un avvenimento storico, una grande cosa, una cosa meravigliosa. E’ una benedizione di Dio.

D. – Il Papa si è augurato che da questo Concilio Panortodosso escano – ha detto – “abbondanti frutti per il bene della Chiesa”. Il Patriarca Bartolomeo è soddisfatto? Ritiene che questo Sinodo così importante li abbia prodotti questi frutti?

R. – Credo che il Patriarca sia molto contento, perché questo “Santo e Grande Sinodo delle Chiese ortodosse” è arrivato in porto dopo 11 secoli. E’ stato un avvenimento storico veramente. E poi è molto contento perché ha dimostrato questa unità panortodossa a tutto il mondo, malgrado il fatto che quattro Chiese non fossero presenti. Dieci Chiese hanno dialogato fra di loro, hanno discusso, pregato, hanno affrontato e seguito tutti i temi, tutti i problemi, tutte le difficoltà. E’ stato un grande lavoro quello che anche loro hanno fatto. Credo che il Patriarca sia pieno di gioia. Ci aspetta adesso un altro impegno fortissimo: credo che tutti noi vescovi e sacerdoti, tutti insieme, dobbiamo fare una catechesi sul “Santo e Grande Sinodo delle Chiese ortodosse”. Il popolo deve sapere i temi che si sono affrontati, deve conoscere tutto quello che è stato fatto.

D. – C’è poi anche la grande sfida del dialogo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa: la Commissione mista internazionale – lo ha detto il Papa – si riunirà il prossimo settembre ed è un appuntamento molto importante...

R. – Io credo che il “Santo e Grande Sinodo” ha compiuto un grande passo ufficiale: tutte le Chiese autocefale ortodosse hanno deciso ufficialmente sul dialogo. Nessuna Chiesa abbandona il dialogo. E questa è una grande cosa.

D. – Il Papa, ricevendovi, ha ricordato la visita compiuta sull’isola greca di Lesbo, assieme al Patriarca Bartolomeo e all’Arcivescovo Ieronymos. Chi ha visto quelle immagini ricorda la grande commozione di fronte ai profughi e ai migranti chiusi nel campo di Moria. Il Papa ha incoraggiato gli sforzi comuni per cercare di aiutare queste persone…

R. – Un avvenimento storico, senz’altro. Per la prima volta il Patriarca, il Papa di Roma insieme con l’arcivescovo primate di Grecia hanno incontrato questi profughi. Commozione sì, ma anche gioia e credo anche la responsabilità. Io credo che i responsabili (i leader internazional -i ndr) abbiano capito tanto dopo questo incontro, dopo questa manifestazione dell’amore, della disponibilità della Chiesa, perché la Chiesa non fa distinzioni: tutti sono figli di Dio. Noi dobbiamo aiutare tutti per avere la salvezza e per essere salvati. Io credo che il Papa e il Patriarca siano due guide importantissime per la Chiesa di Cristo e due persone piene di amore, piene di disponibilità, di pazienza, di affetto fraterno. E’ un cammino che ci porta verso l’unità.

Al Concilio Panortodosso, chiusosi domenica scorsa a Creta, era presente anche padre Hyacinthe Destivelle, officiale del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, in qualità di corrispondente per l’Osservatore Romano. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato: 

R. – Direi che al di là del documento sull’ecumenismo, sulle relazioni con gli altri cristiani, questo Concilio è interessante soprattutto per noi cattolici da un punto di vista ecumenico, perché è l’espressione dell’unità dell’ortodossia e anche il rafforzamento dell’unità delle Chiese ortodosse. L’unità della Chiesa ortodossa ovviamente favorisce anche il dialogo della Chiesa ortodossa con gli altri cristiani, innanzitutto con la Chiesa cattolica. Il secondo punto è che il tema della sinodalità è molto importante da un punto di vista ecumenico perché anche noi cattolici, Papa Francesco in particolare, siamo molto interessati a questo tema che è un tema molto ricco e promettente per l’avvenire delle nostre relazioni: la relazione tra primato e conciliarità, o sinodalità, e anche il tema del dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme. Questo tema della sinodalità è molto ecumenico e io direi che, forse, al di là dei documenti, questo tema è il più fecondo, attualmente, per le nostre relazioni.

D. – Il Papa ha espresso un giudizio positivo sull’esito di questo Concilio: “E’ stato fatto un passo avanti”, ha detto, nonostante la defezione di alcune Chiese. Quanto ha influito questa assenza?

R. – Dobbiamo adesso valutare la ricezione delle decisioni del Concilio da parte delle Chiese che non erano presenti, per dare una dimensione veramente pan-ortodossa a questo Concilio. Quindi, dobbiamo adesso vedere. Forse, i Santi Sinodi di queste Chiese prenderanno a breve delle decisioni, valuteranno l’opportunità di recepire o meno questi documenti. Forse una delle decisioni, la più importante, è l’augurio che simili Concilii siano convocati regolarmente ogni sette o dieci anni. Quindi, questo Concilio è sicuramente la fine di un cammino, ma è soprattutto l’inizio di un cammino comune, un cammino sinodale. Questo cammino è incominciato 50 anni fa con tutte le Chiese, oggi vediamo che ne mancavano alcune: forse questo cammino darà, nel tempo, la possibilità a tutte le Chiese di essere coinvolte.

D. – Una delle sfide per la Chiesa ortodossa in generale è quella di rinnovarsi rimanendo fedele alla tradizione. Ci sono le premesse?

R. – Questo Concilio ha due aspetti: uno interno, perché praticamente tutti i documenti avevano come scopo di risolvere alcune questioni interne alla Chiesa ortodossa. Il secondo è stato espresso nel messaggio, e soprattutto nell’Enciclica, ed è l’atteggiamento della Chiesa ortodossa verso il mondo, verso gli altri credenti e gli altri cristiani. E’ la prima volta che la Chiesa ortodossa parla con una sola voce su questi argomenti non solo interni, ma anche esterni. E questa è una novità. Io direi che la novità più importante di questo Concilio è il Concilio stesso, è l’espressione e il rafforzamento della sinodalità della Chiesa ortodossa.

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Nomine episcopali in Indonesia e Giappone

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Nel corso della mattinata, Papa Francesco ha ricevuto in udienza padre François-Xavier Dumortier, gesuita, già Rettore della Pontificia Università Gregoriana.

In Indonesia, Papa Francesco ha accolto la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Malang presentata per raggiunti limiti di età da mons. Herman Joseph Sahadat Pandoyoputro, carmelitano. Al suo posto, il Papa ha nominato padre Henricus Pidyarto Gunawan, anch’egli carmelitano, finora rettore del Philosophical and Theological Higher Institute ‘Widya Sasana’ in Malang. Il neo presule, 60 anni, è nato il 13 luglio 1955 a Malang. Dopo aver frequentato il Seminario Minore locale, ha compiuto gli studi filosofici e teologici presso il Philosophical and Theological Higher Institute ‘Widya Sasana’ a Malang. Ha emesso la professione solenne il 18 gennaio 1981, ed è stato ordinato sacerdote il 7 febbraio 1982 a Malang. Ha ottenuto la Licenza in Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblicum (Roma), nel 1986, e la Laurea in Teologia Biblica presso l’Angelicum (Roma), nel 1990. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha svolto i seguenti incarichi: dal 1986: Docente di Sacra Scrittura nel Philosophical and Theological Higher Institute ‘Widya Sasana’; Vice-Rettore della Indonesia Biblical Society (1991-1996); Vice-Rettore del Philosophical and Theological Higher Institute ‘Widya Sasana’ (1991-2000); Membro del Carmelitan Institute a Roma (1996-2000); Direttore dell’Indonesia Biblical Society (1996-2004);  Parroco di ‘St. Andrea Tidar’ in Malang (1999-2000);  Rettore del Philosophical and Theological Higher Institute ‘Widya Sasana’ (2000-2004); Membro del Comitato di Spiritualità del Carmelitan Institute in Roma (2001-2007); Direttore del Programma post-laurea del Philosophical and Theological Higher Institute ‘Widya Sasana’ (2004-2012): dal 2012:        Rettore del Philosophical and Theological Higher Institute ‘Widya Sasana’.

In Giappone, il Papa ha nominato vescovo della vacante Diocesi di Hiroshima il sacerdote Alexis Mitsuru Shirahama, dei Sulpiziani, finora Rettore del Seminario Nazionale Cattolico di Fukuoka. Il 54.enne nuovo presule è nato il 20 maggio 1962 a Kamigoto, Arcidiocesi di Nagasaki. Nel 1986 ha ottenuto il Baccalaureato in Filosofia presso l’Università Keio di Tokyo e nel 1990 il Baccalaureato in Teologia, presso il Seminario San Suplizio di Fukuoka. Successivamente ha studiato nell’Istituto Cattolico di Parigi, ottenendo la Licenza in Liturgia con specializzazione in Teologia sacramentaria. È stato ordinato sacerdote il 19 marzo 1990 a Urakami, Arcidiocesi di Nagasaki, e incardinato nella medesima Sede Metropolitana. Nel 1993 è entrato nella Compagnia dei Sacerdoti di San Sulpizio. Dopo l’ordinazione ha svolto i seguenti incarichi: Formatore nel Seminario San Sulpizio di Fukuoka (1995-2008);  dal 1995: Membro della Commissione Liturgica presso la Conferenza dei Vescovi Cattolici del Giappone e docente di Liturgia e Teologia Sacramentaria; dal 2012: Rettore del Seminario Cattolico del Giappone.

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Papa, tweet: con Dio in noi siamo felici di portare il Vangelo

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Papa, tweet: “Se Dio è presente nella nostra vita, la gioia di portare il suo Vangelo sarà la nostra forza e la nostra felicità”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Comune responsabilità: Francesco riceve una delegazione del Patriarcato ecumenico ricordando la visita a Lesbo con Bartolomeo.

Sempre in cerca dell'amato: l'augurio di Papa Francesco a Benedetto XVI per il sessantacinquesimo anniversario di ordinazione sacerdotale, le parole di ringranziamento di Benedetto XVI, e gli interventi dei cardinali Angelo Sodano e Gerhard Muller.

Mappe per la teologia: Maurizio Gronchi su un'iniziativa editoriale che ha raccolto e pubblicato in formato digitale migliaia di titoli.

Una catastrofe collettiva: Anna Foa sul libro di Jan Tomasz Gross dedicato al saccheggio dei beni ebraici.

Per un pugno di risate: Emilio Ranzato ricorda Bud Spencer.

Disgelo tra Ankara e Mosca.

Dalla Chiesa al mondo: da Chania, Hyacinthe Destivelle sull'enciclica del Santo e grande concilio ortodosso.

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Oggi in Primo Piano



Brexit. Parlamento Ue chiede uscita veloce della Gran Bretagna

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Il Parlamento europeo chiede "un’implementazione rapida della procedura di revoca" dell'appartenenza della Gran Bretagna all’Ue. Così la risoluzione bipartisan approvata dalla plenaria straordinaria tenutasi stamani a Bruxelles, prima del Consiglio Europeo di oggi pomeriggio. Dal canto suo, il premier britannico Cameron annuncia che non chiederà l’immediata uscita del Regno Unito dall’Unione. Ma anche la Merkel incalza Londra e dice “senza doveri nessun privilegio”. Intanto le Borse tornano tutte in territorio positivo. Il servizio di Marco Guerra

Accelerare le procedure per l’uscita dall’Ue e annullare la presidenza di turno della Gran Bretagna in programma nel secondo semestre del 2017. E’ quanto contenuto nella risoluzione approvata a vastissima maggioranza al parlamento europeo. Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ricorda che spetta a Londra avviare i negoziati e annuncia per settembre un vertice straordinario dei 28. Per il momento il premier britannico Cameron non è intenzionato a chiedere l’avvio di questo processo; ma le pressioni arrivano anche dal presidente della Commissione Junker che esorta Londra a “chiarire subito la sua posizione”. Sulla stessa linea Merkel, Hollande e Renzi che hanno evidenziato che “non c’è tempo da perdere” e hanno discusso una road map per rilanciare l’Unione. Su questo punto sentiamo Carlo Carlo Altomonte, docente di politica economia europea alla Bocconi di Milano:

R. – L’incontro di ieri tra Francia, Germania e Italia secondo me ha dato il segnale che molti aspettavano, cioè l’idea di una raod map precisa su cosa succederà nei prossimi mesi all’interno dell’Unione Europea e che risposte dare sul percorso dell’integrazione politica e soprattutto economica e quindi definire - come è stato deciso ieri - grazie ai lavori del Consiglio europeo a settembre, a ottobre e infine a dicembre, una serie di decisioni, di passaggi importanti, sia sul fronte della sicurezza interna ed esterna, l’avvio al consolidamento di una politica di difesa comune e un rilancio nel tema della crescita economica e degli investimenti, tema ovviamente caro all’Italia. Su questo mi pare che i leader europei  - almeno i tre grandi che si sono incontrati ieri – siano abbastanza d’accordo. Vedremo già da oggi le conclusioni del Consiglio europeo che dovrà in qualche modo varare questa road map e poi i passi successivi.

D. - Quindi questo scossone potrebbe anche essere lo spunto per un cambio di rotta dall’austerity che ha segnato questi ultimi anni e anche verso una maggiore integrazione?

R. – Sì, anche se dobbiamo sempre tenere conto che in Europa è difficile che ci possano essere delle accelerazioni violente, nel senso che dovremo sempre mediare questa necessità di maggiore integrazione con le paure e  le diffidenze dell’elettorato. Non è detto che la Merkel vincerà le elezioni tedesche se oggi promette meno austerity in Europa ai suoi elettori. Quindi dovremmo vedere come tirare la linea tra le necessità di dare delle risposte ad alcuni Paesi e ovviamente il consenso politico interno in altri. Per questo è importante che i tre grandi continuino a parlarsi, a mediare e diano il senso di un percorso comune che però non abbia delle rotture importanti e delle fughe in avanti come per esempio il nuovo trattato, un’Europa federale,  … Il fatto che il pallino sia ritornato in qualche modo agli Stati, il fatto che ieri non fosse presente la Commissione Europea all’incontro, vuol dire che in qualche modo la politica sta prendendo il sopravvento in Europa e questa secondo me è una buona notizia.

D. - Oggi si parlerà della situazione al Consiglio europeo. Il clima si prospetta incandescente anche perché la Polonia intende mettersi alla guida di un gruppo di Stati che non accettano leadership del nuovo direttorio Francia-Germania-Italia …

R. - C’è ormai una presa d’atto: un conto è l’eurozona, quindi un conto è la necessità si maggiore integrazione tra i Paesi di area Euro che condividono la stessa moneta. Dunque i tre grandi Paesi fondatori, Germania, Francia e Italia, devono trovare delle risposte perché la storia ha avuto un’accelerazione con l’uscita del Regno Unito. Dall’altro lato è altrettanto evidente che altri Paesi che non hanno la moneta unica, come la Polonia, hanno delle esigenze diverse e quindi in qualche modo gestire un processo di un’Europa che vada a velocità differenti penso ormai sia nei fatti. Tentare di portare tutti sulla stessa strada, ci porta a compromessi che poi non danno le risposte che i cittadini si aspettano di avere sul fronte dell’integrazione economica e politico. Tutto questo poi crea delle situazioni di tensione che sfociano in voti politici di potenziale effetto disgregativo.

D. - Intanto Cameron frena sui negoziati per l’uscita e Merkel, Hollande e Renzi ribadiscono che il processo invece deve essere avviato.

R. – L’ambiguità non porta vantaggio a nessuno. Bisogna avere certezza sui prossimi passi. Mi pare però che ieri sia stato  deciso  che la procedura di avvio dell’uscita dall’Unione Europa del Regno Unito partirà ad ottobre con il premier inglese che verrà indicato dai conservatori entro il 2 settembre. A quel punto, poi, seguiranno  i negoziati per la procedura di uscita formale del Regno Unito dall’Unione Europa ai sensi dell’articolo 50, una procedura che può richiedere due anni di tempo prorogabili, la cui chiusura è poi nelle mani dell’Unione europea, non dello Stato che ha chiesto l’uscita.

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Firmato accordo Turchia-Israele dopo 6 anni di gelo

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Firmato stamattina l’accordo che pone fine a sei anni di gelo tra Turchia e Israele, dopo l’assalto alla nave Mavi Marmara e la morte di 10 attivisti turchi, che nel 2010 tentarono di forzare il blocco su Gaza. La Turchia otterrà un risarcimento di 20 milioni di dollari per le famiglie delle vittime  e ritirerà le accuse contro i militari israeliani del commando. Resta il blocco navale a Gaza, ma aiuti turchi per i palestinesi potranno passare attraverso il porto di Ashdod. Depurazione dell'acqua e una Centrale per sopperire al fabbisogno di elettricità degli abitanti della Striscia sono altri termini dell'accordo. La normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi permetterà, inoltre, al gas del giacimento israeliano Leviatano di raggiungere l'Europa attraverso un gasdotto che passerà dalla Turchia. Sul significato di questo accordo Elvira Ragosta ha intervistato l’editorialista del Corriere della Sera, Antonio Ferrari

R. – Io credo che questo sia un accordo frutto di un rinnovato o ritrovato realismo, di cui  né Netanyahu, né Erdogan avevano dato prova fino a pochi giorni fa.

D. – In cambio del risarcimento la Turchia dovrà ritirare le accuse nazionali ed internazionali contro i membri del commando israeliano…

R. – Sì, questo naturalmente è un dettaglio tecnico di questa vicenda. Io credo che su questa vicenda abbia pesato ancora una volta e forse - per fortuna, direi – l’intervento delle élite militari turche, che non hanno gradito certe posizioni del Presidente Erdogan. 

D. – “Un segno di speranza per la regione”, ha detto il segretario dell’Onu, Ban Ki-moon. Ma cosa significa e cosa significherà per il Medio Oriente questo accordo?

R. – Di sicuro un'attenuazione della politica che ha fatto la Turchia in tutto il Medio Oriente. Dall’altra parte sarà uno strumento di pressione anche nei confronti di Israele: Israele sa bene che dopo la Brexit, l’Europa sarà un po’ meno disponibile alle bizze di coloro che hanno sempre difeso, in qualche modo, Israele e sarà quindi più attenta a quelle che sono le rivendicazioni, per esempio quelle palestinesi. Israele dovrà compiere qualche passo, anche se Liebermann non lo consente a Netanyahu, ma lo dovrà fare…

D. – Apprezzamento e gratitudine arrivano anche da Hamas, che in un comunicato esprime la speranza che la Turchia possa intervenire per porre fine all’assedio a Gaza e alle incursioni israeliane. Ma quanto potrà essere forte la pressione turca in questo senso?

R. – Erdogan e la Turchia sono popolarissimi nella Striscia di Gaza e non soltanto nella Striscia di Gaza. Quindi da una parte c’è una linea di credito nei confronti di Erdogan da parte di Hamas e da parte di coloro che sono – diciamo – i padroni di fatto della Striscia; ma, dall’altra, c’è quest’atteggiamento più realistico della Turchia nei confronti di Israele e nei confronti di tutti: la Turchia può trattare ad un livello diplomatico, che compete alla sua forza di potenza regionale, per giungere ad un compromesso che sia accettabile.

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Falluja: più di 84 mila profughi in un mese. E' crisi apocalittica

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I dati sono ancora incerti ma si tratta di un vero e proprio esodo quello che vede protagonisti migliaia di profughi dalle città assediate dell'Iraq. Cifre del Norwegian Refugee Council, la ong impegnata nel soccorso degli sfollati iracheni, riferisce di 62 mila persone nei campi dislocati nell'area intorno alle città assediate dal Califfato. 101 famiglie e 600 civili hanno raggiunto il campo di Amariyat Al Falluja, uno dei più popolosi, negli ultimi 2 giorni. Inoltre in una settimana circa 30 mila persone sono fuggite da Falluja, città liberata dall'esercito iracheno. La preoccupazione più grande riguarda l'annunciato combattimento contro Daesh nella città di Mosul che rischierebbe di far riversare in pieno deserto migliaia di civili in fuga. Sulla situazione vissuta direttamente nella provincia dell'Anbar parla Karl Schembri, responsabile dei media per il Medio Oriente per la ong NRC (Norwegian Refugee Council) a Baghdad, al microfono di Valentina Onori: 

R. – Per noi è troppo prematuro parlare di ritorni per i civili che sono scappati da un inferno totale a Falluja; ed è troppo rischioso ormai ritornare, perché ci sono ancora le mine, gli esplosivi… Molti di loro sono impazienti;  stanno vivendo in condizioni miserabili nei Campi: avrebbero ragione a voler ritornare, ma ci vuole pazienza. Il nostro appello alle autorità irachene, e anche alla coalizione che sta combattendo il sedicente Stato islamico, è di essere responsabili, e di non fare nessuna pressione su queste famiglie prima di avere la garanzia che tutta Falluja sia un posto sicuro per potervi ritornare.

D. – A Baghdad ci sono stati degli attentati: com’è la situazione ora?

R. – La situazione a Baghdad riflette più o meno quella di tutto l’Iraq: è un Paese dove il conflitto è ormai, sfortunatamente, un problema endemico. Ancora prima di Falluja c’erano più di tre milioni di iracheni dispersi in tutto l’Iraq. Non si può fare una guerra contro Daesh – l’Is – e poi abbandonare i civili.

D. – Qual è il Campo profughi più grande intorno alla zona di Falluja e di Baghdad?

R. – Ci sono tre grandi siti di Campi profughi: si parla di più di 84mila profughi in sole quattro settimane. È una crisi apocalittica! Ma quello che adesso ci fa paura è quando si pensa a Mosul, la città dove ci sarà la prossima battaglia contro l’Is, in cui sono 80-100mila le persone che vivono in quella città. Lì sarebbe veramente una catastrofe senza una preparazione vera e propria da parte dell’Onu, da parte nostra come comunità umanitaria, ma anche in mancanza dei fondi della comunità internazionale per aiutare i civili.

D. – Quali sono le testimonianze che riportano queste famiglie – questi uomini, donne e bambini – dalle città assediate?

R. – È un vero e proprio inferno. Ho incontrato delle donne che mi dicevano di essere sotto l’attacco dei cecchini: non avevano cibo, mangiavano solo datteri e bevevano l’acqua del fiume Eufrate, che non è neanche potabile. E poi vedere questa gente lì, nei campi, in queste condizioni miserabili, è veramente – davvero – sconcertante!

D. – Riguardo all’Is che cosa raccontano?

R. – Ho parlato con dei bambini che mi dicevano che non andavano più a scuola perché ormai non aveva più senso, data tutta la propaganda islamica-militante svolta dall’Is nelle scuole. Ho incontrato una donna a cui un cecchino aveva sparato colpendo il suo bambino di meno di due anni. Quindi tragedie totali per questa gente e traumi che rimarranno per anni. Non abbiamo ancora cominciato a lavorare su questo. Per adesso li stiamo aiutando a restare vivi; ma ci vuole molto di più. Questa è una responsabilità di tutti: ci vorrebbe più leadership da parte dell’Onu, e anche un maggiore coordinamento nei campi. E invece è ancora tutto nel caos: ho visto gente collassare di fronte a me, in queste condizioni, in mezzo al deserto con una temperatura che raggiunge i 50 gradi, sotto al sole... Ci sono ancora migliaia di profughi senza tende, esposti quindi a tutte le difficoltà del deserto.

D. – Quanto pensi che ci sia una responsabilità dell’Occidente?

R. – L’Occidente ha prima di tutto una responsabilità storica nei confronti dell’Iraq per gli interventi passati che hanno cambiato totalmente il volto del Paese: non si può fare la guerra senza far sì che ci siano le risorse e i fondi per aiutare i civili. Si spendono miliardi in risorse militari per combattere l’Is, ma per aiutare i civili invece non si fa quasi niente.

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Unicef: Entro 2030 potrebbero morire 69 milioni di bambini

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Entro il 2030, senza interventi adeguati, 69 milioni di bambini con meno di 5 anni moriranno per cause prevedibili. Lo denuncia l’annuale Rapporto dell’Unicef sull'infanzia. Secondo le analisi, tra 15 anni saranno 167 milioni i piccoli costretti a vivere in povertà; 750 milioni di bambine avranno contratto matrimonio; oltre 60 milioni di bambini in età scolare saranno esclusi dall'istruzione primaria. Massimiliano Menichetti ha intervistato Andrea Iacomini portavoce di Unicef Italia: 

R. – Sono dati certamente allarmanti! Esiste un numero di bambini molto ampio di poveri, che hanno il doppio delle probabilità rispetto a quelli più ricchi di morire prima del quinto compleanno o comunque di soffrire di malnutrizione cronica. Pensiamo, per esempio, ai bambini nati in Sierra Leone, che hanno trenta volte più possibilità di morire sotto ai cinque anni, sempre rispetto ad un bambino del Regno Unito; oppure alle gravi condizioni in cui vive l’Africa Sub-Sahariana, che è poi l’area del mondo in cui si concentra questo Rapporto. In queste zone, se le tendenze continueranno, nell’Africa Sub-Sahariana avremo la metà delle morti per cause prevedibili all’interno dei 69 milioni di bambini di cui abbiamo parlato; oltre la metà dei 60 milioni di bambini che, in età di scuola primaria, non frequenterà le scuole… Quindi diciamo che di tutte le cifre che abbiamo enunciato in questo Rapporto, la metà si trovano a vivere n Africa Sub-Sahariana: 9 bambini su 10, in quell’area, se non interveniamo, vivranno in condizioni di povertà estrema.

D. – Sono previsioni preoccupanti! La sfida è tutta a far sì che non si verifichino questi numeri…

R. – Dobbiamo investire adesso per questi bambini sull’istruzione, secondo lavorare per maggiori investimenti nella cooperazione internazionale e quindi aiuti, programmi che riguardano la malnutrizione e programmi che riguardano le vaccinazioni, che ancora non sono state terminate, anche se abbiamo vaccinato e salvato l’80% dei bambini in queste aree di crisi. E poi bisogna ridurre le diseguaglianze e quindi togliere dalla povertà gran parte della popolazione di questi Paesi.

D. – Tanti sono i fronti difficili, molto però è stato realizzato…

R. – Sono stati fatti passi molto importanti e molti progressi per salvare le vite dei bambini: li abbiamo riportati a scuola, li abbiamo aiutati ad uscire dalla povertà. Non dimentichiamo che il tasso di mortalità infantile sotto i 5 anni dal ’90 si è più che dimezzato… Ci sono circa 129 Paesi in cui lo stesso numero di bambini e bambine frequentano la scuola primaria. E poi un dato importante: rispetto agli anni Novanta, a livello globale, il numero delle persone che vivono nella povertà estrema si è ridotto della metà.

D. – Lo ricordiamo: le privazioni accadono spesso in scenari di guerra, tanti sono i conflitti nel mondo ed è importante anche lavorare su questo fronte…

R. – L’emergenza umanitaria e le crisi interrompono purtroppo l’istruzione e uccidono: abbiamo 17 milioni di bambini rifigurati, sfollati o che di fatto si trovano all’interno di popolazioni a rischio e questo riguarda specialmente le  bambine. Pensiamo alle situazioni che ci sono in Nigeria, che vivono ogni giorno il dramma di Boko Haram e delle tante bambine rapite. Pensiamo anche a quello che accade nello Yemen, che vede oltre mille bambini uccise dall’inizio dell’anno. E non dimentichiamo le condizioni che ci sono nella Repubblicana Centrafricana, in Iraq, in Siria, dove ci sono delle guerre che durano da anni e che portano bambini fuori dall’istruzione e ridotti in condizioni di privazioni totali. Tutti questi contesti naturalmente aggravano il quadro che noi abbiamo fatto.

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Scienza & Vita: medici e pazienti "alleati per la vita"

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Promuovere un’alleanza tra paziente e medico per la vita e contro eutanasia e accanimento terapeutico. E’ quanto si propone l’associazione “Scienza & Vita” con il documento “Con dignità, fino alla fine”, presentato oggi alla Camera dei Deputati, nel momento in cui la legge sul fine vita è in discussione nelle Commissioni parlamentari. L’obiettivo è quello di dare un contributo al dibattito pubblico sul tema, come spiega al microfono di Michele Raviart, il vicepresidente di “Scienza&Vita”, Paolo Marchionni

R. – Il principio che un po’ ci ispira è “alleati per la vita”, trovare quindi una forma di proposta che tenga conto di un’alleanza tra il medico, i pazienti e i loro contesti valoriali che possa in qualche modo far emergere quel dato fondamentale al quale noi ci riferiamo, ovvero quel quadro valoriale antropologico che tiene al centro il bene integrale delle persona e del paziente. D’altra parte, questo è stato un po’ il filo conduttore delle storia della medicina da quando in qualche modo le si riconosce dignità scientifica e quindi ci vogliano inserire in questa tradizione.

D. – Si parla quindi di alleanza fra paziente e medico in nome del valore comune della vita. Questa sorta di alleanza, come si dovrebbe svolgere secondo voi nel corso della malattia e in tutte le varie fasi?

R. – Sappiamo bene che nel nostro contesto culturale sia italiano sia più in generale europeo le spinte verso proposte di tipo eutanasico o verso una medicina ipertecnologica, che spinge a volte verso l’accanimento terapeutico, sono molto forti. Invece vorremmo proporre il modello della relazione, che in qualche modo tiene sullo stesso piano dal punto di vista dei valori il medico e il paziente, portando – ed è questa la novità che vorremmo in qualche modo promuovere – questa sorta di pianificazione terapeutica condivisa, quindi attraverso la possibilità nel dialogo medico-paziente di valutare insieme quali scelte, quali strategie terapeutiche, quali modalità di approccio alla malattia, eventualmente lasciando al paziente, proprio in virtù della sua libertà di scelta, le opzioni che più si attagliano anche al suo contesto valoriale e concreto di quel momento.

D. – Quand’è che si può parlare di accanimento terapeutico secondo voi?

R. – È chiaro che non si può dare una definizione di accanimento terapeutico a priori. Deve essere una definizione che tenga conto delle situazioni concrete di quel momento. Ci possono essere degli atteggiamenti terapeutici particolarmente aggressivi che sono però commisurati con la gravità della situazione e che costituiscono ciò che è scientificamente dovuto per quella situazione. Le medesime strategie terapeutiche, applicate a un altro contesto in cui quindi non sia necessaria un’aggressività terapeutica di quel tipo, possono configurare accanimento terapeutico.

D. – Allo stato attuale, la legge sul fine vita è in discussione nelle commissioni parlamentari competenti. Quali sono i rischi che si possono correre? Penso soprattutto al tema dell’eutanasia…

R. – Il rischio estremo è quello di poter consentire una scelta di tipo eutanasico svincolata da qualunque contesto valoriale come quelli a cui ci siamo riferiti. Vorremmo promuovere l’idea di cure eticamente adeguate. Il fatto che ci sia uno stato di malattia che non consenta il recupero delle condizioni di autonomia ad esempio, non significa che non possa richiedere– e non possa giustificare – cure che siano eticamente adeguate. Per cui, dalla chirurgia dei tumori, piuttosto che alle valutazioni neurologiche nelle situazioni di stati di minima coscienza o stati vegetativi, oppure alla medicina palliativa, alla terapia del dolore che possono in qualche modo contribuire comunque da un lato ad alleviare le sofferenze, dall’altro essere loro stesse curative, crediamo che valorizzare in questo senso positivo alcune strategie di cura piuttosto che lasciarle a una decisione in qualche modo asettica e, se vogliamo, spesso deresponsabilizzante, sia un passo avanti che una società civile come la nostra deve poter compiere.

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La morte di Bud Spencer: a pugni con tutti tranne che con Dio

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“Papà è volato via serenamente alle 18.15. Non ha sofferto, aveva tutti noi accanto e la sua ultima parola è stata grazie”. Con queste parole, il figlio Giuseppe ha annunciato ieri pomeriggio la scomparsa a 86 anni di Bud Spencer, al secolo Carlo Pedersoli, uno degli attori più amati dal pubblico italiano e internazionale. Prima campione di nuoto e poi di incassi al cinema, spesso in coppia con Terence Hill, Bud Spencer nei suoi circa 130 film ha incarnato la figura dell’eroe manesco dal cuore d’oro, come racconta in questo servizio Alessandro De Carolis

Lui le ali ce le aveva davanti, senza piume e con nocche coriacee grosse così, pronte a essere mulinate come le altre, ma con effetti molto meno celestiali. Per il resto Bud Spencer è stato il più grosso degli angeli che mangiano quei fagioli che tutti adesso ricordano, il classico gigante burbero e buono che si può solo amare, chiedere ai bambini di tre generazioni.

“Primo, se io sto dormendo e mi svegliano all’improvviso, mi viene da piangere. Secondo, quando mi viene da piangere, io m’arrabbio. Terzo, quando mi arrabbio, mi alzo, scendo e divento intrattabile…”. (da “Pari e dispari”)

La coppia che spacca
Sessant’anni di ciak e mai un cazzotto dato a uno che non lo meritasse davvero. In coppia con l’altro compare d’avventura – più angelico di lui nelle fattezze ma non meno tosto – Bud ha prestato a lungo un torace e due spalle enormi alla figura dell’uomo manesco ma leale in un’epoca in cui il cinema andava avanti a giustizieri vendicativi e sanguinari. Un’interpretazione che il pubblico non ha smesso di applaudire, chiedere al resto del mondo dove da decenni la coppia “Bud&Terence” continua a vivere di entusiasmi propri.

Da Carlo a Bud
Tante volte Bud ha raccontato la sua vita divisa a metà, diceva, da “due successi”. I tempi di quando era ancora Carlo Pedersoli e volava in vasca, nuotatore un po’ più filiforme, senza barba e capace di abbattere senza pugni la barriera del minuto nei 100 sl. E i tempi del cinema, che scoprì la potenza drammatica e soprattutto comica di quel fisico massiccio nella parodia degli “spaghetti-western” di Trinità.

“Io devo credere in Dio”
Curiosamente, molta filmografia dei Bud Spencer e del suo amico Terence Hill ha a che fare con titoli di ispirazione “spirituale” – “Dio perdona io no”, i “Quattro dell’Ave Maria”, il citatissimo “Anche gli angeli mangiano fagioli”, “Porgi l’altra guancia”… Si può dire, in effetti, che l’uomo che ha preso per finta a cazzotti la vita facendo ridere tanti non ha mai fatto a pugni con Dio, che anzi ha sempre più preso sul serio. E, a differenza di tanti suoi colleghi che fingono allergie al sacro perché il vero cinema è laico, Bud non lo ha mai nascosto:

“Io devo credere che c’è una persona, che nel mio caso è Dio. Ma perché, nel momento in cui io, da adulto, capisco che siamo in un mare di cose, enormi più di noi, io mi devo attaccare a Dio. Con la speranza che, dal momento in cui lui mi chiama, capisco tutto, perché oggi non si capisce niente…”.

Eroe e galantuomo
Diceva Pirandello: “È molto più facile essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere una volta tanto; galantuomini, si dev'esser sempre”. Grazie Bud, per essere stato sempre galantuomo. Anche se per noi resterai sempre anche un eroe.

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Nella Chiesa e nel mondo



Caritas: Consiglio Europeo ripensi accordo Ue-Turchia sui migranti

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Ripensare l’accordo tra l’Unione Europea e la Turchia sulla questione dei migranti e dei rifugiati: questo l’appello lanciato da Caritas Europa, in una nota diffusa in vista del Consiglio Europeo in programma oggi e domani a Bruxelles. L’accordo prevede, in sintesi, il respingimento di migranti e rifugiati in Turchia, se non presenteranno domanda d’asilo presso le autorità greche o se vedranno respinta tale domanda. Inoltre, per ogni profugo siriano che verrà rimandato ad Ankara dalle isole greche, un altro siriano verrà trasferito dalla Turchia all’Unione Europea attraverso appositi canali umanitari.

Sì a soluzioni basate su solidarietà e rispetto dei diritti fondamentali
“La questione delle migrazioni e la situazione dei richiedenti asilo si stanno trasformando in una minaccia ai valori europei” si legge nel documento. Al contrario, la Caritas ribadisce la sua convinzione nella “capacità dell’Europa di risolvere questa situazione se si agisce insieme, guardando a soluzioni a lungo termine basate sulla solidarietà e se si garantisce il rispetto dei diritti fondamentali dei migranti”. Per questo, l’organismo caritativo si dice “profondamente preoccupato per l’impatto che l’accordo Ue-Turchia sta avendo sui migranti che cercano rifugio in Europa”, spingendoli a trovare “modi alternativi” per raggiungere il continente.

Impegnarsi nella tutela dei valori fondanti dell’Ue
Respingere i migranti, infatti – prosegue la nota – “crea un pericoloso precedente per il futuro, mina l’obbligo degli Stati membri dell’Ue di garantire il diritto internazionale ai richiedenti asilo ed è l’espressione ultima dei fallimento dei governi europei nel tentare di concordare un approccio umano comune per proteggere le persone bisognose”. Tale accordo, inoltre, “dimostra anche che l’Europa si trova ad affrontare un momento di svolta per quanto riguarda il suo impegno nei confronti dei propri valori fondanti”.

No alle recinzioni, occorre debellare le cause primarie della migrazione
A tal proposito, ricordando gli obiettivi primari con cui è nato il progetto ‘Unione Europea’, la Caritas del continente continua a “sostenere le politiche incentrate sulla persona umana, in quanto uniche misure efficaci ed umane, in grado di affrontare in modo efficiente e sostenibile la disastrosa situazione dei migranti in Europa”. Di qui, l’accusa a quei leader europei che sembrano “incapaci di cogliere davvero la disperazione di centinaia di migliaia di persone che fuggono, a rischio della propria vita, dai terrificanti avvenimenti che accadono nei loro Paesi d’origine”. “Nessuna recinzione le fermerà mai – sottolinea mons. Luc van Looy, presidente di Caritas Europa – Dobbiamo invece aiutarle nella loro patria ed affrontare le cause profonde della loro miseria”.

Convenzione Onu sui rifugiati sia sempre rispettata
La nota si conclude, quindi, con alcune richieste specifiche rivolte ai capi di Stato e di governo che prenderanno parte al Consiglio europeo: assicurare il rispetto della Convenzione Onu sui rifugiati che afferma che tutte le persone bisognose di protezione hanno il diritto di accedere a procedure di asilo eque ed efficaci e non devono essere soggette a detenzione arbitraria; avviare percorsi più sicuri e legali per raggiungere l’Europa; impegnarsi maggiormente per il re-insediamento dei rifugiati; porre fine ai respingimenti verso i Paesi extra-Ue, senza concedere alle persone il diritto di chiedere asilo; fornire aiuti umanitari in un contesto neutrale, in piena libertà di movimento e senza detenzione arbitraria”. (A cura di Isabella Piro)

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Iraq: inaugurata nuova chiesa ad Ankawa per i profughi cristiani

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E' intitolata a Maria Madre del Perpetuo Soccorso (come l'icona donata da Papa Pio IX ai Padri Redentoristi esattamente 150 anni fa, nel 1866), la nuova, grande chiesa inaugurata ieri dal Patriarca caldeo Louis Raphael I ad Ankawa, il sobborgo a maggioranza cristiana della città di Erbil, dove hanno trovato rifugio molti cristiani fuggiti dai villaggi della Piana di Ninive davanti all'offensiva delle milizie del sedicente Stato islamico (Daesh). Il nuovo, ampio edificio di culto, è stato finanziato anche con le offerte dei fedeli e ad esso faranno capo le iniziative e le attività liturgiche, sacramentali e caritative legate in particolare alla cura pastorale dei rifugiati.

Particolare devozione per l'icona di Nostra Madre del Perpetuo Soccorso
Alla liturgia di inaugurazione hanno preso parte, tra gli altri, anche l'arcivescovo Alberto Orega Martin, nunzio apostolico in Iraq e Giordania, e mons. Bashar Warda, che appartiene alla Congregazine dei padri Redentoristi e anche per questo ha una particolare devozione per l'icona di Nostra Madre del Perpetuo Soccorso, custodita a Roma, nella chiesa di sant'Alfonso all'Esquilino. 

La nuova chiesa, segno del vincolo che lega i cristiani iracheni alla terra dei loro padri
Durante l'omelia – riferiscono le fonti ufficiali del Patriarcato caldeo, riprese dall'agenzia Fides – il Patriarca Louis Raphael I ha descritto la nascita della nuova chiesa come un segno del vincolo che lega i cristiani iracheni alla terra dei loro padri, ribadendo che l'emigrazione verso Paesi lontani “non è la soluzione da cercare” per chi vuole davvero custodire nella propria terra il dono ricevuto della vita cristiana. (G.V.)

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Libano: cordoglio Capi delle Chiese per attentati a Qaa

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La raffica di quattro attentati suicidi che all'alba di ieri ha scnvolto il villaggio libanese di Qaa, vicino al confine con la Siria, abitato in maggioranza da cristiani appartenenti alla Chiesa greco melchita, ha provocato 5 morti e almeno 15 feriti. Sdegno e condanna per la strage terroristica sono stati espressi dai rappresentanti delle istituzioni e delle forze politiche libanesi.

Le reazioni dei Capi delle Chiese
Parole di cordoglio e di sconcerto sono state pronunciate anche dai Capi delle Chiese. L'arcivescovo Elias Rahal, alla guida dell'arcidiocesi greco melchita di Baalbeck, nativo anche lui di Qaa, ha richiamato lo Stato libanese ad “assumersi le proprie responsabilità”, facendo notare che intorno al villaggio vivono circa 30mila rifugiati siriani, dei quali non si occupa nessuna istituzione pubblica. Il Patriarca Grégoire III, Primate della Chiesa greco melchita, si è detto “inorridito” per l'attacco di Qaa, e ha reso omaggio alle vittime, che fanno parte delle parrocchie e della arcidiocesi di Baalbeck dei greco melchiti. Anche il Patriarca maronita Boutros Bechara Rai, attualmente in visita pastorale negli Stati Uniti, ha auspicato che anche questo “crimine senza nome" spinga i libanesi a ritrovare l'unità nazionale e a difenderla dai piani dei terrroristi. (G.V.)

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Filippine: card. Tagle chiede preghiere per nuovo governo Duterte

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Una speciale novena di preghiera per i membri del nuovo governo delle Filippine guidato dal neo-presidente Rodrigo Duterte. E’ quanto ha chiesto arcivescovo di Manila, card. Luis Antonio Tagle, in vista della cerimonia di insediamento di Duterte il 30 giugno. Secondo quanto stabilito in una lettera circolare inviata ai sacerdoti, cappellani, superiori delle comunità religiose e scuole cattoliche un’”oratio imperata”  deve essere recitata dai fedeli presenti a tutte le Messe celebrate dal 21 al 29 giugno.

I governanti devono dare l’esempio
In un’intervista rilasciata nei giorni scorsi - riferisce l’agenzia Cbcpnews - il card. Tagle ha inoltre esortato i futuri governanti ad essere all'altezza della fiducia ricevuta dagli elettori lo scorso maggio: la nuova amministrazione e gli altri eletti devono dare l'esempio e migliorare il modo di servire il popolo, ha detto esprimendo l’auspicio che i successori della precedente amministrazione “si impegnino per affrontare i problemi del Paese”. Interpellato sulla gestione del Presidente uscente Benigno Aquino III, l’arcivescovo di Manila ha affermato che non esiste un governo perfetto da nessuna parte nel mondo e che tutte le amministrazioni hanno realizzato qualcosa, ma che restano molte cose da affrontare. “Nessuno – ha detto - può sostenere di essere capace di risolvere tutto”.

Previsto un documento dei vescovi su alcune recenti dichiarazioni di Duterte
​Nella stessa giornata del 30 giugno – riferisce l’agenzia Asianews - è previsto anche un documento dei vescovi filippini su alcune dichiarazioni polemiche di Duterte all’indomani del voto nei confronti della Chiesa. Il successore di Aquino ha inoltre annunciato di voler reintrodurre la pena di morte nel Paese e la “tolleranza zero” contro traffico di droga, dichiarazioni che hanno suscitato forti perplessità nell’episcopato che si è sempre battuto contro la pena capitale. (L.Z.)

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Congo: appello dei vescovi ad uscire dalla crisi politica

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La Conferenza episcopale della Repubblica Democratica del Congo (Cenco) continua a seguire con grande preoccupazione la crisi politica del Paese dove, a pochi mesi dalla scadenza del secondo e ultimo mandato del Presidente Joseph Kabila, resta ancora incerta la data delle prossime elezioni presidenziali che, secondo la Costituzione, dovrebbero svolgersi a fine anno. “Questa situazione inquietante rischia di precipitare il Paese nel caos”, ammonisce il messaggio finale della 54ª Assemblea plenaria della Cenco svoltasi nei giorni scorsi a Kinshasa, in cui i vescovi rivolgono un pressante appello alla responsabilità degli attori politici per salvare il Paese in pericolo. Durante i lavori l’Assemblea ha anche eletto il nuovo presidente nella persona di mons. mons. Marcel Utembi, arcivescovo di Kisangani.

Lo stallo del processo elettorale e la mancanza di dialogo cause della crisi
Nel messaggio i presuli chiamano in causa il perdurante stallo del processo elettorale in Congo: il grande ritardo nell’organizzazione degli scrutini – affermano – non fa che alimentare dubbi e interrogativi. Il sospetto di alcuni è che esso faccia parte di una strategia messa in atto da Kabila – che l’anno scorso aveva tentato di modificare la Costituzione allo scopo di candidarsi una terza volta – per ottenere un prolungamento a tempo indeterminato del suo mandato. Inoltre, i vescovi puntano il dito contro l’incapacità di dialogo dei leader politici della maggioranza e dell’opposizione. Ma a preoccuparli è anche l’ondata di violenze che da oltre un anno si sta abbattendo sul Paese, la moltiplicazione delle violazioni dei diritti umani, l’insicurezza e i massacri nelle province orientali.

Quattro strade per uscire dalla crisi
Quattro le strade indicate dalla Cenco per uscire dall’attuale empasse. La prima è il rispetto della Costituzione, in particolare nella parte che definisce la durata e il numero massimo di mandati che garantisce “l’alternanza al potere quale fondamento della vita democratica”. La seconda strada è quella del dialogo tra tutti gli attori politici congolesi per raggiungere un consenso che permetta “l’organizzazione di elezioni libere, democratiche e trasparenti nel rispetto della Costituzione”. I vescovi esortano poi ad ascoltare il “grido di disperazione” del popolo congolese che subisce le “ripercussioni nefaste” della crisi politica in atto. Infine, essi invocano il rispetto dei diritti umani: l’escalation delle violazioni delle libertà personali, gli arresti arbitrari, i giudizi sommari e le limitazioni imposte ai media – affermano - compromettono l’effettiva democratizzazione del Paese.

Le raccomandazioni ai politici, ai congolesi e alla comunità internazionale
A questo appello seguono quindi una serie di raccomandazioni rivolte innanzitutto al Governo, al quale i presuli chiedono il rispetto “dell’etica e delle regole democratiche”;  di assicurare a tutti i partiti in competizione un clima sereno; di raddoppiare gli sforzi per garantire lo svolgimento delle elezioni entro i termini fissati dalla Costituzione e di porre fine alla repressione e agli atti di intimidazione contro gli avversari. Il messaggio interpella anche gli altri attori politici esortati a non continuare ad incitare alla violenza e a fare le “concessioni necessarie” perché un “dialogo nazionale sincero” possa andare a buon fine. 

Appello ai giovani affinchè non cedano alla violenza
Alla Commissione elettorale nazionale indipendente (Ceni), i vescovi chiedono di procedere senza ulteriori indugi alla preparazione delle elezioni perché si svolgano nei termini previsti e di mantenere la propria indipendenza. Dopo avere invocato il sostegno della Comunità internazionale, i vescovi si rivolgono infine ai giovani affinché non si facciano strumentalizzare e non cedano alla violenza e a tutto il popolo congolese perché dia prova di maturità democratica. Da parte sua, la Cenco si impegna a pregare per un processo elettorale pacifico e a “salvaguardare la libertà e la neutralità della Chiesa contro qualsiasi strumentalizzazione politica”. (A cura di Lisa Zengarini)

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Messico: vescovi di Oaxaca chiedono dialogo con gli insegnanti

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Una Commissione di deputati e senatori “dovrebbe ascoltare reclami, obiezioni e dubbi degli insegnanti scontenti della riforma dell'istruzione, perché tutti ammettono che non è completa, che non prende in considerazione contenuti e metodi, ma è solo regolamentare e amministrativa”: è l’opinione espressa dal vescovo di San Cristóbal de Las Casas, in Chiapas, mons. Felipe Arizmendi Esquivel.

Chiesa appoggia le richieste degli insegnanti
In un incontro con la stampa locale, domenica sera, il vescovo ha affermato: "Se il Presidente Enrique Peña Nieto ha rinviato al Congresso la legge sulla trasparenza, perché lo avevano chiesto gli uomini d'affari, lo stesso potrebbe essere fatto con alcuni aspetti della riforma scolastica, come richiesto dagli insegnanti. Forse gli imprenditori valgono più degli insegnanti?".

Condannato l'uso della forza pubblica contro gli insegnanti
Secondo quanto riferisce l'agenzia Fides da una fonte locale, il vescovo ha ribadito che "spetta a senatori e deputati federali aprire un canale di dialogo" con i docenti scontenti. "Se in altri Stati la legge è passata senza grandi conflitti, Oaxaca, Chiapas, Guerrero, Michoacán e Tabasco hanno situazioni che non sono simili ad altri luoghi" ha rilevato. Infine per mons. Arizmendi "si deve condannare l'abuso della forza pubblica per reprimere gli insegnanti, ma dobbiamo anche sostenere questi dialoghi con le autorità federali, perché si possano modificate alcuni punti della riforma scolastica".

I vescovi hanno condannato gli atti di violenza e vandalismo
I presuli della Provincia di Oaxaca hanno pubblicato un messaggio, il 26 giugno, in cui condannano i recenti atti di violenza e di vandalismo, ricordano che “tutti facciamo parte della stessa società e dobbiamo imparare a cercare insieme ciò di cui abbiamo bisogno per migliorarla”, sottolineano che “la ricchezza più grande di Oaxaca è la sua gente”, e infine lanciano un appello “a tutta la società, in particolare alle Autorità e agli insegnanti, perché si dichiari immediatamente una tregua generale tra le parti, propiziatrice di una seria riflessione di tutti, rassereni gli animi e consenta di gettare le basi di un dialogo propositivo e trasparente, con passi e obiettivi graduali”. (C.E.)

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Sofia: presentato il libro “Bulgaria e Santa Sede”

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In occasione nella solennità dei SS. Pietro e Paolo, festa della Santa Sede, il 30 giugno a Sofia sarà presentato il libro “Bulgaria e Santa Sede. 25 anni di relazioni diplomatiche” a cura del prof. Kirill Plamen Kartaloff, edito dalla Libreria Editrice Vaticana.

Lo storico viaggio di san Giovanni Paolo II in Bulgaria
Il Segretario di Stato, card. Parolin, che è autore della prefazione del libro, ha mandato un messaggio speciale per l’occasione. Alla presentazione interverranno il nunzio apostolico mons. Anselmo Guido Pecorari, padre Bernard Ardura, presidente del Pontificio comitato delle Scienze storiche, il re Simeone di Sassonia Coburgo Gotha, primo ministro della Bulgaria durante la visita di Papa san Giovanni Paolo II nel 2002. “Certamente il viaggio del Papa è stato l’evento storico più importante in questi 25 anni ripercorsi nel volume mediante un’ottima documentazione storica", sostiene il nunzio apostolico. 

Il contributo eccezionale di mons. Roncalli che divenne Papa Giovanni XXIII
“E’ una pagina importante di storia che offre l’opportunità di revocare alcuni momenti significativi delle vicende religiose bulgare e dei rapporti con la Santa Sede che hanno inizio ancora nel Medioevo” – aggiunge il prof. Kartaloff che ha curato il libro. E continua: “Una parte del volume è dedicata al contributo eccezionale di mons. Angelo Roncalli, in seguito Papa Giovanni XXIII che è stato il primo delegato apostolico a Sofia. Lui amava molto i bulgari e ancora oggi qui lo chiamano il Papa “bulgaro”. (Da Sofia, Iva Mihailova)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 180

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.