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Sommario del 30/06/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: la misericordia non è una parola astratta, ma uno stile di vita

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La misericordia non è una parola astratta, ma uno stile di vita. Così il Papa questa mattina, in Piazza San Pietro, nell’ultima udienza giubilare prima della pausa estiva. Nella odierna memoria dei primi martiri della Chiesa di Roma, Francesco ha invitato a pregare per quanti tuttora pagano a caro prezzo la loro appartenenza alla Chiesa di Cristo. Paolo Ondarza

Misericordia, uno stile di vita
La misericordia non è un concetto astratto: è dinamismo che ha occhi per vedere, orecchi per ascoltare, mani per risollevare, spiega Francesco ai tanti fedeli radunati in Piazza San Pietro nonostante il caldo. Una cosa è parlare di misericordia, un’altra è viverla:

"Una persona può essere misericordiosa o può essere non misericordiosa; è uno stile di vita. Io scelgo di vivere come misericordioso o scelgo di vivere come non misericordioso".

No a indifferenza verso ultimi che rende ipocriti
Nella vita quotidiana siamo chiamati ad accorgerci e toccare quanti sono in stato di bisogno:

"A volte passiamo davanti a situazioni di drammatica povertà e sembra che non ci tocchino; tutto continua come se nulla fosse, in una indifferenza che alla fine rende ipocriti e, senza che ce ne rendiamo conto, sfocia in una forma di letargo spirituale che rende insensibile l’animo e sterile la vita. La gente che passa, che va nella vita senza accorgersi delle necessità degli altri, senza vedere tanti bisogni spirituali e materiali, è gente che passa senza vivere, è gente che non serve agli altri. Ricordatevi bene, eh? Chi non vive per servire, non serve per vivere".

Nessuna via di fuga: di fronte a chi ha fame occorre rimboccarsi le maniche
Chi nella propria vita ha sperimentato la misericordia del Padre, non può rimanere insensibile di fronte alle necessità dei fratelli. Non ci sono vie di fuga, non si può tergiversare: di fronte a chi ha fame occorre rimboccarsi le maniche. Davanti alle povertà prodotte dalla cultura del benessere del nostro mondo globalizzato – è stato l’auspicio del Papa – non accada che lo sguardo cristiano diventi incapace di mirare all’essenziale:

"Mirare all’essenziale: cosa significa? Mirare Gesù, guardare Gesù nell’affamato, nel carcerato, nel malato, nel nudo, in quello che non ha lavoro e deve portare avanti una famiglia. Guardare Gesù in questi fratelli e sorelle nostre; guardare Gesù in quello che è solo, triste, in quello che sbaglia ed ha bisogno di consiglio, in quello che ha bisogno di fare strada con Lui in silenzio perchè si senta in compagnia. Queste sono le opere che Gesù chiede a noi: guardare Gesù in loro, in questa gente, perché? Perchè Gesù a me, a tutti noi, guarda così".

La preghiera per i cristiani perseguitati
Nell’ultima udienza giubilare prima della pausa estiva, Papa ha invitato a vivere di misericordia anche durante il periodo di riposo e di vacanze. Nell’odierna memoria dei primi martiri della Chiesa di Roma ha pregato per i cristiani che ancora oggi vengono perseguitati:

"Preghiamo per quanti tuttora pagano a caro prezzo la loro appartenenza alla Chiesa di Cristo".

Qundi ai giovani l’invito: la fede abbia spazio e dia senso alla vostra vita.

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Armenia, Georgia e Azerbaigian. Papa: pace è venirsi incontro a piccoli passi

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Nel corso dell’udienza giubilare il Papa ha parlato anche della sua recente visita in Armenia e dei suoi prossimi viaggi apostolici in Polonia, per la Giornata mondiale della gioventù, e in Georgia e Azerbaigian. Il servizio di Sergio Centofanti

“Pellegrino di fraternità e di pace”, Papa Francesco ricorda la sua intensa visita in Armenia (24-26 giugno), “prima nazione ad avere abbracciato il cristianesimo, all’inizio del quarto secolo. Un popolo - ha detto - che, nel corso della sua lunga storia, ha testimoniato la fede cristiana col martirio”.

Dal 30 settembre al 2 ottobre completerà il suo viaggio nella regione caucasica recandosi anche in Georgia e Azerbaigian, dove i cattolici sono una piccola minoranza tra ortodossi e musulmani, accogliendo l’invito a visitare questi Paesi “per un duplice motivo: da una parte valorizzare le antiche radici cristiane presenti in quelle terre - sempre in spirito di dialogo con le altre religioni e culture – e dall’altra incoraggiare speranze e sentieri di pace”:

“La storia ci insegna che il cammino della pace richiede una grande tenacia e dei continui passi, cominciando da quelli piccoli e man mano facendoli crescere, andando l’uno incontro all’altro. Proprio per questo il mio auspicio è che tutti e ciascuno diano il proprio contributo per la pace e la riconciliazione”.

Come cristiani – ha sottolineato – “siamo chiamati a rafforzare tra noi la comunione fraterna, per rendere testimonianza al Vangelo di Cristo e per essere lievito di una società più giusta e solidale”:

“Per questo tutta la visita è stata condivisa con il Supremo Patriarca della Chiesa Apostolica Armena, il quale mi ha fraternamente ospitato per tre giorni nella sua casa”.

Salutando, infine, i pellegrini polacchi, il Papa ha ricordato il suo viaggio in Polonia, dal 27 al 31 luglio, in occasione della Giornata mondiale della gioventù:

“Vi prego di continuare a pregare per me e per i giovani che in Polonia e in tutto il mondo cristiano si stanno preparando per il nostro, ormai imminente, incontro a Cracovia”.

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Francesco: è la famiglia che soffre di più per la mancanza del lavoro

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Durante l’udienza giubilare di oggi il Papa ha salutato i Consulenti del Lavoro che oggi hanno aperto il 7° Festival del Lavoro. Francesco li ha incoraggiati a “promuovere la cultura del lavoro che assicura la dignità della persona e il bene comune della società”. Alessandro Guarasci

Il Papa richiama la necessità di un lavoro che dia certezze, soprattutto alla famiglia. “E’ proprio la famiglia, infatti - dice Francesco - a soffrire di più per le conseguenze di un cattivo lavoro: cattivo per la sua scarsità e per la sua precarietà”:

"Voi, consulenti del lavoro, non avete un compito assistenziale, ma promozionale, affinché in ambito nazionale ed europeo le istituzioni e gli attori economici perseguano in modo concertato l’obiettivo della piena e dignitosa occupazione, perché il lavoro dà dignità".

I Consulenti del Lavoro oggi aprono il loro settimo Festival e anche secondo loro è necessario conciliare di più i tempi del lavoro e della famiglia. Marina Calderone, presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro:

R. – Nel momento in cui non abbiamo una serie di strumenti che poi sono i servizi di sostegno alla persona e alla famiglia diventa difficile, soprattutto per le madri, potersi dedicare all’attività lavorativa. Vediamo questo anche all’interno di un lavoro che come Consiglio nazionale abbiamo promosso attraverso un libro che si chiama “La fatica nelle mani”, che ha come obiettivo quello di mettere in evidenza quanto invece oggi la crisi della famiglia possa tradursi negativamente anche in crisi nel mondo del lavoro e viceversa. Se il capofamiglia perde il lavoro si perde anche quella condizione di stabilità su cui invece puntano anche le nuove generazioni di figli. Quindi un welfare della famiglia, un’attenzione a creare dei servizi di sostegno alla famiglia, favorendo anche delle politiche di conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare, è assolutamente indispensabile.

D. - Siamo in presenza di una ripresa che non porta lavoro, almeno questo principalmente in Europa. Che cosa sta succedendo secondo lei?

R. - Noi da tempo diciamo che le riforme in materia di lavoro, cioè le buone norme, certamente accompagnano una ripresa dell’occupazione, ma non possono essere assolutamente stravolgenti rispetto a quelli che sono i dati tendenziali. Una buona norma da sola non fa lavoro se non è calata in un contesto all’interno del quale invece c’è tutta un’altra serie di provvedimenti a sostegno dell’economia e anche della riduzione della contrazione dei costi del lavoro. Il costo del lavoro in Italia è comunque una delle componenti più critiche, visto e considerato che quello che è il differenziale, quello che si chiama “cuneo fiscale contributivo” è tra i più alti in Europa. Un lavoratore italiano per percepire mille euro in busta paga costa all’azienda il 115 percento in più. Abbiamo anche osservato nell’ultimo anno quanto gli sgravi che erano collegati alla legge di stabilità 2015 abbiano contribuito ad aumentare il numero di contratti a tempo indeterminato. Quegli sgravi hanno fatto di più rispetto a quelle norme come il contratto a tutele crescenti che è stato presentato come la risoluzione per la problematica della flessibilità in uscita.

D. - Secondo lei ad oggi in Italia c’è troppa flessibilità? Vediamo che anche in Francia le proteste si stanno concentrando su questo aspetto …

R. - In Francia poi si va a concretizzare un percorso che noi abbiamo vissuto nel corso del 2015, cioè il tabù dell’articolo 18 e quindi la preoccupazione, soprattutto per i lavoratori delle aziende con più di 15 dipendenti, di perdere stabilità a causa della nuova norma sulle tutele crescenti. Penso che l’azienda abbia bisogno di flessibilità; certamente non di flessibilità cattiva, cioè quella che va oltre il confine delle norme e soprattutto dell’etica del lavoro. Abbiamo bisogno sicuramente di creare un tessuto imprenditoriale di qualità e soprattutto dobbiamo accompagnare le imprese a risparmiare non solo in termini di costo del lavoro, ma di valore dell’attività lavorativa, nel senso che se riusciamo ad ottimizzare le risorse, a formare i lavoratori, a riqualificarli per le nuove attività lavorative, questo vale per l’impresa molto più della libertà di poter recedere da un rapporto d i lavoro se c’è necessità di licenziare. L’azienda preferisce avere personale qualificato su cui investire.

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I fedeli: un Pontificato che spalanca le porte della misericordia

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Tanti i fedeli che questa mattina hanno gremito Piazza San Pietro per partecipare all’ultima udienza giubilare di Papa Francesco prima del riposo estivo. Hanno raccolto con gioia il forte invito del Pontefice a fare della misericordia un concreto stile di vita. Ascoltiamo alcuni commenti raccolti da Marina Tomarro: 

R. – Una misericordia concreta che raggiunga tutti quanti: tutti i bisognosi, i poveri, gli emarginati, i migranti e i rifrugati. Tutti! Tutti coloro che hanno bisogno. E’ proprio una misericordia vissuta, come ha detto il Santo Padre. Io vengo dalla Siria, da Damasco: speriamo di essere missionari della misericordia lì.

D. – La misericordia in una situazione del genere come si trova?

R. – La Chiesa ha una missione veramente molto grande lì: essere segno della misericordia di Cristo per tutti quanti.

D. – Anche di fronte a chi uccide?

R. – Certo! Perdonare tutti quanti e pregare per la loro conversione.

R. – Le opere di misericordia concreta sono opere di carità verso il prossimo, che può essere anche un carcerato o anche un profugo, come dice il Vangelo. Noi ci occupiamo di assistenza ai poveri e ai bisognosi… Noi veniamo da Taranto e siamo una confraternita, consacrati alla Madonna del Carmine: oggi abbiamo portato una statua per farla benedire dal Santo Padre…

R. – Soprattutto con la misericordia del cuore, ma anche di opere, opere per i malati, per i bambini che chiedono amore, che desiderano comprensione. E certo anche con aiuti materiali.

D. – Il Pontificato di Papa Francesco è tutto sulla strada della misericordia. Voi venite da Buenos Aires, dall’Argentina, cosa vuol dire per voi?

R. – Credo che Dio lo abbia posto sulla strada della Chiesa per spalancare la porta della misericordia, che è l’entrata al cielo.

R. – Una misericordia concreta – come ha detto il Papa – è quella fatta di opere e quindi il capire il bisogno dell’altro, l’essere sensibile verso gli altri; poter essere d’aiuto agli altri, condividere quello che si ha…

D. – E lei come fa?

R. – Intanto come famiglia, educando i figli nella fede ed insegnando anche ai figli a condividere quello che loro hanno se ci sono amici o amiche più bisognosi: ad esempio i vestitini, si danno a chi può averne bisogno.

R. – Noi siamo la Confraternita della Misericordia, appartenenti alla Basilica di Santa Maria Maggiore in Nicosia, un paese in provincia di Enna. Fare opere di misericordia significa vivere per operare: se si vive non facendo opere di misericordia, non si vive davvero!

D. – A chi portate soccorso?

R. - Più che portare soccorso, portiamo aiuto a chi ha bisogno, anche con un semplice gesto, con un semplicissimo sorriso. Basta capire chi ha veramente bisogno. 

R. – Misericordia concreta vuol dire fare gesti di attenzione e di cura verso l’altro. Il Papa ha ribadito il fatto di vedere Gesù nell’altro, in chi ha fame e in chi è bisognoso.

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Papa Francesco ha ricevuto stamane il cardinale Marc Ouellet

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Papa Francesco ha ricevuto stamane il cardinale Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi.

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Chiese e movimenti “Insieme per l’Europa”, atteso videomessaggio Papa

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Al via oggi a Monaco di Baviera la quarta edizione di “Insieme per l’Europa”, iniziativa che vede la collaborazione di comunità e movimenti cristiani con una spiccata natura ecumenica. Alla manifestazione sarà presente anche il presidente del dicastero per l’Unità dei Cristiani, il cardinale Kurt Koch, e il cardinale Peter Turkson, presidente del dicastero “Giustizia e Pace”. Momento culminante, sabato due luglio, quando nella piazza centrale di Monaco verranno trasmessi i videomessaggi di Papa Francesco e del Patriarca Bartolomeo. Alessandro Gisotti ha intervistato Diego Goller, segretario generale di “Insieme per l’Europa”: 

R. – “Insieme per l’Europa”, come dice il titolo, intanto è una rete di movimenti di varie Chiese – cattolica; evangelica; ortodossa; anglicana – che da 15 anni si sono incontrate. L’iniziatrice è stata Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, assecondata da Andrea Riccardi e da vari altri anche in campo evangelico, che si sono incontrati e si sono voluti conoscere. Però, non si è limitata a una pura conoscenza – non a questo – ma si sta aprendo, e si è aperta sin dall’inizio, verso l’Europa; con la possibilità di portare i nostri movimenti, e i carismi che sottostanno a tutti questi. Aprire la possibilità che questi carismi diano il loro contributo all’Europa di oggi, in un momento in cui valori come l’accoglienza e il rispetto per la persona sono assolutamente da sottolineare. Questo ci sembra più che mai attuale, e noi possiamo non soltanto dare delle idee, ma portare delle esperienze.

D. – L’iniziativa ha un forte significato e valore ecumenico; c’è anche questo significato forte di comunione dei cristiani nell’Europa spesso troppo divisa, anche ultimamente…

R. – La data è significativa – il 2016 – si è previsto questo grande incontro quest’anno per dare un segnale per il 2017, quindi per i 500 anni della Riforma luterana. Questa è stata la spinta iniziale a fare l’incontro quest’anno, perché – dicevamo – l’anno prossimo ci saranno tante di quelle manifestazioni, che noi cerchiamo di precederlo dando il nostro contributo, e cercando di segnalare tutto quello che si sta vivendo tra di noi. Poco fa, hanno parlato il cardinale Kasper e il vescovo evangelico Margot Käßmann, che è stato presidente delle Chiese evangeliche in Germania. Pochi minuti fa c’è stata la conferenza stampa con il vescovo evangelico della Baviera. Ci sarà il metropolita Serafim. Siamo molto ansiosi di vedere sabato sulla piazza il messaggio di Papa Francesco, e anche quello del Patriarca Bartolomeo. Quindi ha una valenza molto ecumenica, davvero.

D. – Il videomessaggio di Papa Francesco è chiaramente, insieme a quello del Patriarca, un momento importante: quale spinta pensate di avere dal videomessaggio, ma in generale dal magistero di Papa Francesco, proprio sull’Europa?

R. – Ci sembra significativo che un Papa venuto dalle terre più lontane dall’Europa sia quello che  in fondo dà il messaggio più forte e più europeista in questo momento. Noi ci aspettiamo un grande incoraggiamento. Ci fa molto piacere quanto il Papa sia attivo: sta cercando di riportare l’Europa - matrice del Cristianesimo mondiale, visto che San Paolo si è diretto verso l’Europa a portare il messaggio evangelico - alle sue radici, ai suoi valori fondamentali, ai valori che ha portato il Cristianesimo. Quindi ci aspettiamo un grande incoraggiamento e una grande spinta, dei quali abbiamo già avuto dei segnali molto positivi.

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Cor Unum: corso di formazione su aiuti umanitari in Medio Oriente

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E’ in corso in questi giorni una sessione di formazione per personale diocesano in Siria impegnato nel servizio di carità nel contesto della crisi umanitaria siriana. Il percorso formativo, in programma dal 29 giugno al 2 luglio nei pressi di Beirut, in Libano, è promosso dal Pontificio Consiglio Cor Unum con la collaborazione di tre organismi cattolici di carità – Catholic Relief Service (CRS), Aid to the Church in Need (ACN) e Missio. Vi partecipano 11 vescovi, rappresentanti di istituti religiosi maschili e femminili, personale impegnato nell'attività caritativa dalla Siria, provenienti dalle diverse diocesi. Per Cor Unum è presente il segretario, mons. Giampietro Dal Toso; anche il nunzio apostolico nel Paese, mons. Mario Zenari, accompagna i lavori.

Il percorso è nato sulla base di una esigenza espressa da rappresentanti di organismi di carità e vescovi nel corso della terza riunione sulla crisi umanitaria in Siria, Iraq e nei paesi limitrofi, organizzata da Cor Unum il 17 settembre 2015. Obiettivo delle sessioni di lavoro in Libano, dunque, è ora quello di approfondire gli elementi di base per la predisposizione di progetti implementati dagli organismi di carità e dalle singole diocesi nazionali, impegnati nell’aiuto umanitario nel contesto della crisi del Medio Oriente.

Il programma è articolato su più giornate e prevede, oltre alla formazione teologica, incontri specifici per i vescovi e per i religiosi. Inoltre si svolgono sessioni indirizzate al personale tecnico delle diocesi, dedicate all’analisi delle metodologie progettuali nel campo umanitario. Le giornate dell’1 e 2 luglio si concentreranno sugli aspetti più specifici del “capacity building” e “project management”, nonché sull’analisi delle fasi di realizzazione dei progetti: programmazione, pianificazione, implementazione, conclusione e rendicontazione.

La crisi in Siria, Iraq e paesi limitrofi continua a essere al centro delle preoccupazioni della Santa Sede e della Comunità internazionale per la gravità che si è prodotta a seguito della guerra. Secondo i dati disponibili, dal 2011 il conflitto in Siria avrebbe provocato finora circa 400 mila vittime e 2 milioni di feriti. Attualmente sono più di 12 milioni le persone bisognose di aiuto in Siria e oltre 8 milioni in Iraq; i rifugiati interni sono più di 6 milioni in Siria e più di 3 milioni in Iraq, mentre al meno 4 milioni sono i rifugiati siriani in tutta l’area del Medio Oriente: in particolare, 1,9 milioni in Turchia, 1,1 milione in Libano, più di 600 mila in Giordania.

In base ai dati della prima “Indagine sull’aiuto umanitario delle entità ecclesiali nell’ambito della crisi siriana e irachena per l’anno 2014-2015”, prodotta da Cor Unum e presentata lo scorso settembre, risulta che nel 2015 le istanze della Chiesa cattolica hanno mobilitato più di 150 milioni di dollari a favore di un numero di beneficiari diretti vicino ai 5 milioni; mentre i settori di intervento prioritari sono stati finora: istruzione (più di 37 milioni di dollari); aiuto alimentare (più di 30 milioni di dollari); fornitura di beni non alimentari (circa 25 milioni di dollari); sanità (circa 16 milioni di dollari); sostegno per l’alloggio e il pagamento degli affitti (più di 10 milioni di dollari). Al momento è in corso l’Indagine relativa al periodo 2015-2016.

 

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Mons. Paglia: lavoro non diventi idolo, famiglia sempre al centro

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Serve una cultura del lavoro che vinca l’individualismo e metta sempre al centro la persona e la famiglia. Questo in estrema sintesi il discorso di mons. Vincenzo Paglia all’inaugurazione del Festival del Lavoro, oggi pomeriggio a Roma. Il presidente del dicastero per la Famiglia ha evidenziato che il lavoro si iscrive nel vivo del crocevia “persona, famiglia e società”. Per questo, ha ammonito, quando si slega il lavoro dalla persona e dalla famiglia si colpisce “al cuore” la società e le relazioni umane.

Il lavoro non venga prima della persona
Il lavoro, ha ribadito il presule, “è senza dubbio decisivo per la dignità della persona”, ma “non deve però diventare un idolo sul cui altare sacrificare ogni cosa, ideali e affetti familiari” e anche “un po’ senso della propria patria”. Ancora, ha messo l’accento sull’importanza della festa, come momento in cui la sacralità della persona è “celebrata nella gratuità contro la tentazione del primato assoluto dell’economia”.

Contrastare lavoro nero e sfruttamento dei più deboli
Oggi, ha detto ancora mons. Paglia, “è quanto mai necessaria una cultura che superi quella del semplice assistenzialismo”, che aiuti i giovani e che “si opponga con fermezza al lavoro nero e allo sfruttamento dei più deboli”. Dal presule l’esortazione poi a mettere la questione lavoro al centro della “preoccupazione civile” rifuggendo, anche nei momenti di crisi, “la tentazione di accontentarsi di condizioni e retribuzioni disumane, privo delle minime condizioni di sicurezza e di legalità”.

Famiglia è banco di prova per mondo del lavoro
Nel suo intervento, il presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia ha più volte citato Papa Francesco e, in particolare, l’Esortazione Apostolica Amoris laetitia. Per il Papa, ha osservato, “la famiglia è un grande banco di prova” per l’organizzazione del lavoro. Sull’esempio di San Giuseppe, padre e lavoratore, ha concluso, abbiate “uno sguardo capace di vedere nei lavoratori non numeri” ma persone che “attraverso l’esperienza del lavoro” collaborano “all’opera creatrice del Padre”. (A cura di Alessandro Gisotti)

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Sentieri di pace: all'udienza giubilare il Papa parla della visita in Armenia e del viaggio in programma in Georgia e Azerbaigian.

Uscita di sicurezza: Francesco indica nella preghiera la strada per aprirsi evitando chiusure e divisioni.

Un grido muto e assordante: Federico Giuntoli sulla malattia e sulle domande radicali sulla vita.

Gabriele Nicolò su Dorothy Day, giornalista tra i poveri.

Alla ricerca del buio: Solene Tadie su fotografie e immagini d'archivio per raccontare la Specola vaticana.

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Oggi in Primo Piano



Naufragio migranti. Card. Vegliò: Europa cambi politica, basta stragi

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Sono terminate ad Augusta le operazioni di recupero del peschereccio inabissatosi nell’aprile del 2015. Nel naufragio, considerato la più grave tragedia del Mediterraneo, morirono circa 700 migranti. Centinaia i corpi ancora intrappolati nell’imbarcazione: ora saranno esaminati dal laboratorio di Antropologia forense dell'università di Milano, per cercare di risalire alla loro identità. Intanto, oggi è stata anche un’altra giornata di sbarchi: circa mille persone, tra cui 79 minori, sono sbarcati tra Trapani e Reggio Calabria, mentre un gommone con oltre mille persone a bordo è affondato questa mattina lungo le coste libiche, provocando la morte di dieci donne. Erano stati gli stessi migranti a chiamare i soccorsi con un telefono satellitare. La Nave Diciotti inviata dalla Marina Militare ha recuperato le salme e i superstiti, soccorrendo altre 117 persone a bordo di un’altra imbarcazione. Su quest'ultima tragedia del mare, Elvira Ragosta ha raccolto il commento del cardinale Antonio maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti: 

R. – E’ una tragedia: ancora una tragedia, e non sarà l’ultima, purtroppo! Certo, non è colpa di nessuno, almeno a livello istituzionale. Mi auguro che queste cose tragiche che avvengono diano un po’ un risveglio alla popolazione, perché purtroppo in Italia ancora c’è gente che assolutamente non ne vuole sapere di questi fenomeni: li rigetta come fossero dei peccati, come fossero delle cose orribili … i migranti non li vogliono avere tra i piedi! Ecco: io mi auguro che questo che sta avvenendo smuova un po’ questa stupida mentalità di rigetto. Purtroppo – lo ha detto lei – l’ultima tragedia: magari fosse l’ultima! E' l’ultima come tempo, ma purtroppo continueranno. Gente che lascia tutto, nella sofferenza, spendendo soldi, mettendo a rischio la propria vita per fare che? Per cercare di vivere in un modo migliore: tutti hanno diritto di vivere in un modo migliore, tutti hanno diritto a emigrare. In questi casi si fa una preghiera al Buon Dio che li prenda e li accolga nel suo Regno, perché con tutto quello che avranno sofferto, se lo sono ben meritato, credo …

D. – Sono circa mille i migranti soccorsi in precedenti operazioni e sbarcati oggi; tra loro, molti minori: a Trapani sono arrivati circa 79 minori, tra cui 62 non accompagnati. Un altro dramma nel dramma …

R. – Purtroppo, questo fenomeno – abbastanza nuovo, almeno nell’ultimo anno – sta aumentando. Io credo che sia una scelta voluta da parte di quelli che pensano di emigrare: a un bambino non si può dire no, a un bambino non si può rifiutare qualsiasi cosa, per cui mandano avanti queste creature creando un dramma enorme! Cosa si può dire? Questo è un fenomeno che aiuti un po’ l’Europa a pensare a una politica nuova, una politica più incisiva, una politica più convinta per aiutare queste popolazioni. O quando arrivano, o addirittura aiutarle a non partire dai loro Paesi, e di solito vengono giovani, anche, per cui c’è un depauperamento di queste regioni, di questi Paesi africani già avuto nel passato. Sono problemi enormi che poi si protraggono per anni.

D. – Intanto, oggi è stato portato a terra il relitto del peschereccio che si inabissò nell’aprile del 2015 con circa 700 cadaveri imprigionati: una delle più grandi tragedie del Mediterraneo. Si cercherà ora di esaminare i corpi, creare un network di informazioni per risalire all’identità di queste persone. Un atto di grande umanità …

R. - Sì e di grande pietà cristiana, perché io credo che molti di questi 700 e più avessero dei parenti, degli amici, dei familiari – forse – che erano già in Europa. Almeno dare a questi che li attendevano e che purtroppo non li potranno più vedere, almeno la consolazione di identificare i loro corpi. Grande umanità e, aggiungo, pietà cristiana.

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Iraq. Is perde terreno: a Falluja morti 250 jihadisti

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In Iraq i raid aerei statunitensi hanno ucciso nelle ultime 24 ore circa 250 jihadisti del sedicente Stato Islamico. Colpito un convoglio che si muoveva fuori dalla città di Falluja. In tre anni, secondo fonti militari i terroristi hanno perso il 47% del territorio iracheno e il 20% in Siria. Alcuni analisti hanno messo in relazione l’attentato all’aeroporto di Instanbul, di martedì sera, con i raid in Iraq. In questo contesto, è allarme da parte dell’Unicef che denuncia come in Iraq oltre 3 milioni e mezzo di bambini sono in pericolo di morte. Infatti in un rapporto l’agenzia dell’Onu parla di rischio di morte, di essere feriti, di subire violenze sessuali, sequestri e reclutamenti in gruppi armati. Gioia Tagliente ne ha parlato con Andrea Margelletti, presidente Centro studi internazionali: 

R. – La mia forte sensazione è che non vi sia alcuna correlazione tra i due eventi. Molto probabilmente la coalizione, tramite la propria intelligence, ha avuto sentore che lo Stato Islamico stesse preparando un’offensiva o comunque che si stesse organizzando con un largo numero di uomini e, ottenuta questa informazione, anche con il supporto delle forze speciali sul terreno, è partita la Campagna aerea. Le cellule operative lavorano a compartimenti stagni e quindi non credo che gli uomini che hanno operato a Istanbul sapessero di una possibile azione dei loro colleghi miliziani a Falluja e viceversa. Quindi credo che tra le due questioni non vi sia un 'fil rouge'.

D. – Secondo alcuni osservatori, lo Stato Islamico ha meno confini, contestualmente però aumentano gli attacchi terroristici in Europa. Questa può essere una strategia o una mera reazione perché stanno perdendo terreno e consensi?

R. – Credo che sia una strategia. E’ vero che l’Is – ricordiamo che la guerra contro lo Stato Islamico è iniziata anni fa - sta perdendo, almeno in Iraq, del terreno; ma è anche vero che noi pur vincendo le battaglie, non stiamo vincendo la guerra: le cause per le quali l’Is è nato fino adesso sono state – tra virgolette – intoccate. Poi esiste una conseguenza – ed è una strategia - che è quella di far rendere conto agli occidentali, e in particolare agli europei, che l’Is è in grado di portare la morte di Falluja nelle strade delle città europee. E una di queste conseguenze è il fatto che, ritirandosi da alcuni territori, diverse centinaia e in alcuni casi migliaia di miliziani possono tornare nel loro Paese di origine e quindi in moltissimi casi anche in Europa.

D. – Come dice l’inviato speciale americano per la coalizione, dopo due anni i terroristi hanno perso il 47%del territorio in Iraq e il 20% in Siria. Quale può essere – secondo lei – uno scenario futuro?

R. – A me appassionano poco le statistiche o le percentuali… Io credo che, per sconfiggere l’attuale Is e le realtà che potrebbero venire dopo, occorra un’azione politica forte e comune. Cosa, questa, che è lontanissima dal verificarsi. Noi combattiamo l’Is esclusivamente dal punto di vista militare, ma basti ricordare che su tutti i grandi temi fondanti della politica estera – ad esempio in Medio Oriente e in Nord Africa – il mondo occidentale è assolutamente disunito. E questo ci rende totalmente scoordinati e certamente meno forti.

D. – Quindi abbiamo una sorta di vulnerabilità?

R. – Noi abbiamo una grandissima vulnerabilità! Basti pensare che di fronte a temi così importanti e così rilevanti, che toccano la vita di tutti noi, dall’immigrazione all’integrazione, alla sicurezza, al terrorismo, alle operazioni fuori area, che sono temi comuni di tutti noi - e soprattutto per gli europei che quotidianamente si devono confrontare con questa realtà - la risposta europea invece che essere una risposta forte e comune è un dividiamoci, un allontaniamoci e cerchiamo di tornare al bel mondo antico. Questo è un disastro di grandi proporzioni!

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Brexit: Johnson non si candiderà premier per i conservatori

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Un terremoto politico quello che si presenta nel dopo Brexit fuori e dentro il Regno Unito. Era dato per certo come il candidato alla successione del premier David Cameron e invece Boris Johnson, l’ex sindaco di Londra e voce dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, ha fatto marcia indietro, ritirando la propria candidatura alla leadership dei Tory. In lizza restano in cinque: il ministro della giustizia Michael Gove, alleato di Johnson nella campagna referendaria pro-Brexit, il ministro dell’interno Theresa May, il ministro dell'Energia, Andrea Leadsom, l'ex ministro della Difesa e notorio euroscettico Liam Fox e il collega al Lavoro, Stephen Crabb. Il nuovo candidato premier britannico si conoscerà il 9 settembre quando 150 mila membri del partito conservatore dovranno scegliere tra i due finalisti designati dai deputati Tory. Da Bruxelles la linea, intanto, è perentoria: "L'articolo 50 del trattato di Lisbona è l'unico modo per avviare il processo di uscita del Paese e solamente il governo britannico può notificarlo". Queste le parole del portavoce della Commissione, Margaritis Schinas. L’uscita della Gran Bretagna e il futuro dell’Unione Europea saranno i temi al centro del vertice informale che si terrà a Bratislava il prossimo 16 e 17 settembre, in un momento delicato poiché anche in Slovacchia il partito di destra ha avviato la raccolta delle firme per la convocazione di un referendum sull’uscita del paese dall’Europa. Fatti, questi, che sembrano aver imposto un completo ripensamento nelle politiche europee. Su questo Valentina Onori ha intervistato Franco Rizzi, docente e segretario generale Unimed (Unione delle Università del Mediterraneo): 

R. – L’Europa era divisa già prima della Brexit. C’erano delle opposizioni a causa dell’arrivo dei rifugiati, dei migranti che ha determinato una serie di scollature, contraddizioni che erano probabilmente coperte da un discorso politico ideologico che nessuno è mai riuscito effettivamente ad affrontare. Il discorso della Brexit è un caso molto particolare. Siamo arrivati a questo punto anche per una insipienza da parte di una classe politica. Cameron ha sbagliato i suoi calcoli e lo ha fatto sulla testa degli inglesi.

D. - Ieri ha chiesto le dimissioni di Corbyn, leader del Partito Laburista. C’è anche una divisione politica all’interno della Gran Bretagna …

R. - La Gran Bretagna sta correndo un grosso rischio, perché se la Scozia va via, diventa un piccolo Paese: dietro non c’è più il Commonwealth. Quelli che hanno sostenuto il “Leave”, hanno votato pensando che avessero ancora tutto questo passato nelle loro mani. Di fatto non è così: in una globalizzazione in cui ci sono Stati emergenti e affermati come il Brasile, l’India, la Cina, l’America, non possono continuare a pensare come se avessero ancora il grande Impero. Rimane il fatto che l’Inghilterra ha scelto di andare fuori. Non può continuare ad avere questo atteggiamento come a dire: “Sì sono fuori, però ho una serie di privilegi come se rimanessi dentro”. La politica inglese non ha capito, in effetti, che i privilegi che aveva l’Inghilterra non erano pochi.

D. - Dovrebbero esserci delle modifiche alle politiche dell’Unione Europea?

R. - Non è un problema di aggiustamento con delle misure tecniche. Qui il discorso da ripensare è molto più profondo, ma questo aldilà della Brexit. Noi abbiamo vissuto pensando che avevamo una serie di valori: accoglienza, libertà, generosità, l’Europa che non fa più guerre. Sono bastati uomini e donne arrivati, non per fare la guerra, ma per poter trovare un posticino per vivere, perché tutta questa costruzione entrasse in crisi. Questa è la generosità dell’Europa?

D. - Che differenza c’è tra l’Europa di oggi e quella ideata da Altiero Spinelli?

R. - L’Europa di oggi è quella dei mercati, quella delle finanze. Non porta avanti una politica contro la disuguaglianza. Il problema è che tutto questo si compone con una paura ancestrale del diverso; è solamente politica! Smontare l’ideologia di una visione del mondo che passa attraverso la paura è molto più difficile che smontare la Brexit che è un fatto anche tecnico. Spinelli l’aveva pensata diversamente; l’aveva pensata come un’Europa più federale, aperta e generosa. La classe politica che questa Europa esprime non è certo delle migliori, non è certo una classe politica lungimirante.

D. - Il partito di destra slovacco questa settimana avvierà la raccolta firme per il referendum sull’uscita del Paese dall’Unione Europea …

R. – L’euforia a volte è sinonimo di follia. Sono stati d’animo, pulsioni che devono essere filtrati poi con la realtà che è molto diversa.

D. - Però uno strappo c’è stato …

R. –  Questa Europa va fatta come si deve, non perché ce l’ha ordinato il dottore. Oggi come oggi a causa di tutto quello che è accaduto è possibile anche che da questa situazione di crisi nasca una riflessione diversa sul modo con il quale organizzare questa Europa.

D. - Subito dopo il vertice dei 27 di ieri tra Merkel e Renzi c’è stato un terreno di scontro: la Merkel ha detto che non si possono cambiare le regole ogni due anni sulle banche e che la flessibilità ha un limite …

R. - Questa uniformità concettuale, questa uniformità di comportamento, qualsiasi sia la situazione, trovo che sia un atteggiamento astratto rispetto alla realtà. Bisogna tenere presente che si sta vivendo una situazione di crisi. Con questa regola loro pensano di aver messo a posto l’animo delle persone, le preoccupazioni, le angosce, mentre esistono delle cose che devono essere considerate indipendentemente dalle regole. Ci sono molti scollamenti, non solamente questo. Bisogna però avere paura del fatto che lo scollamento non sia affrontato. Se non è affrontato è perché la classe politica fugge. E questo è grave! 

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Violenze in Mali: rafforzata missione Onu in chiave antiterrorismo

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Proseguono gli attacchi di forze ribelli nel nord del Mali. Tre soldati sono morti e sei sono stati feriti ieri nei pressi della città di Timbuctu, nello stesso giorno in cui il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha rinnovato di un anno il mandato della Missione di mantenimento della pace (Minusma), insediatasi nel Paese africano tre anni fa, a seguito di un colpo di Stato nel 2012, rientrato anche grazie all’intervento di una coalizione internazionale capeggiata dalla Francia. Roberta Gisotti ha intervistato Enrico Casale, responsabile News del sito Africarivista.it: 

L’Onu resta nel Paese ritenuto ora il più rischioso tra quelli presidiati dai caschi blu, con un mandato rafforzato di oltre 2500 elementi, in totale più di 15 mila tra militari e poliziotti e con nuove regole d’ingaggio finalizzate alla lotta terroristica.

D. Cosa sta accadendo nel Mali?

R. – La crisi del Mali scoppia nel 2012. Fino ad allora era considerato un Paese relativamente tranquillo, con un sistema democratico che funzionava. Nel 2012, anche grazie alle armi provenienti dalla Libia - che dopo la morte di Gheddafi proseguiva in quella guerra civile che la devasta ancora oggi - è ripresa una lotta storica tra le popolazioni del sud del Mali e quelle del nord, in particolare i Tuareg. In questa lotta si è infiltrato anche il jihadismo islamico, che ha affiancato i Tuareg nella lotta contro il sud, e ne ha gradualmente preso il posto. L’intervento francese è riuscito a liberare le principali città del nord, ma non è riuscito a sconfiggere completamente i movimenti ribelli, che si muovono a loro agio tra l’Algeria e il Mali.

D. – La missione dell’Onu ha quindi adesso un carattere finalizzato alla lotta al terrorismo?

R. – Sì, ci sarà una collaborazione tra tutte le forze - quelle dell’Onu, quelle francesi e  dell’esercito maliano – per contrastare i movimenti che operano soprattutto nel nord. Va tenuto presente che questi ribelli si muovono molto tra il Mali e l’Algeria; non è un caso che proprio in questi giorni siano stati ritrovati dei grossi arsenali nel sud dell’Algeria: il ritrovamento è stato fatto dai militari di Algeri, che, anch’essi, dalla loro parte, combattono l’espandersi di questi movimenti.

D. – Ma c’è il rischio concreto che anche il nord del Mali possa trasformarsi in una roccaforte del sedicente Stato Islamico?

R. –  Il rischio è complessivo, nel senso che in Libia le forze del governo legittimo, e in parte quelle del governo di Tobruk, stanno combattendo contro l’Is, che ha le sue basi nei dintorni di Sirte. Si teme che questi ribelli islamici riescano a sganciarsi dal nord e riposizionarsi nella fascia saheliana. Quindi c’è il timore che anche il Mali possa diventare una delle roccaforti di questo jihadismo, il rischio è forte. Comunque le potenze occidentali, e in gran parte anche gli eserciti locali, stanno cercando di contenere al massimo l’espandersi dell’Is. E vengono utilizzati tutti i mezzi possibili: la Francia ha addirittura dispiegato in Mali e nel Niger una piccola flotta di droni, con la quale combatte i miliziani jihadisti. 

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Nella Chiesa e nel mondo



Fao: in Sud Sudan 4,8 milioni di persone a rischio fame

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Saranno circa 4,8 milioni le persone in Sud Sudan - ben più di un terzo della popolazione - che nei prossimi mesi dovranno fare i conti con una grave scarsità di cibo, mentre il rischio di una catastrofe per i livelli di fame, continua a minacciare parti del Paese, hanno avvertito oggi tre agenzie delle Nazioni Unite. L'Organizzazione per l'Alimentazione e l'Agricoltura delle Nazioni Unite (Fao), il Fondo delle Nazioni Unite per l'Infanzia (Unicef) e il Programma Alimentare Mondiale (Wfp) hanno sottolineato che, mentre il deterioramento della situazione coincide con una stagione magra insolitamente lunga e dura - durante la quale le famiglie hanno impoverito le loro scorte di cibo e non si aspettano nuovi raccolti fino ad agosto - il livello di insicurezza alimentare quest'anno è senza precedenti.

4,8 milioni di persone hanno bisogno di assistenza alimentare
Secondo l'ultimo aggiornamento del rapporto Integrated Food Security Phase Classification (Ipc), (Classificazione Integrata dell'Insicurezza Alimentare) - pubblicato ieri dal governo, dalle tre agenzie e da altri partner umanitari, si prevede che 4,8 milioni di persone avranno bisogno urgente di assistenza alimentare, agricola e nutrizionale sino a luglio, rispetto ai 4,3 milioni previsti in Aprile. Questo è il più alto livello di fame da quando è iniziata la guerra in Sud Sudan, due anni e mezzo fa, e il numero non comprende i 350.000 residenti nelle aree di Protezione dei Civili dell'Onu o di altri Campi per gli sfollati, al momento del tutto dipendenti dagli aiuti umanitari.

In 100mila hanno già lasciato il Paese
L'insicurezza alimentare e il conflitto stanno anche costringendo molte famiglie a lasciare il Sud Sudan per i Paesi limitrofi. Solo negli ultimi mesi, circa 100.000 sudanesi del Sud hanno attraversato le frontiere verso il Sudan, il Kenya, la Repubblica Democratica del Congo e l'Uganda, e questo numero è destinato ad aumentare a più di 150.000 persone per la fine di giugno. "I livelli di malnutrizione tra i bambini sono davvero allarmanti", ha affermato Mahimbo Mdoe, Rappresentante dell'Unicef in Sud Sudan. "Dall'inizio dell'anno, più di 100.000 bambini sono stati curati per malnutrizione grave. Questo rappresenta un aumento del 40% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, e un aumento del 150% dal 2014".

La Fao distribuisce più di mezzo milione di kit per agricoltura e pesca 
​Insieme alle molte organizzazioni non governative internazionali e locali, la Fao, l'Unicef e il Wfp continueranno a fornire sostegno per salvare vite - e mezzi di sussistenza - in circostanze così difficili. In Sud Sudan la Fao per il 2016 fornirà assistenza d'emergenza e sostegno ai mezzi di sussistenza, a 3,1 milioni di persone. Attualmente sta distribuendo più di mezzo milione di kit per l'agricoltura e per la pesca e sta aiutando la produzione animale attraverso la vaccinazione di circa 11 milioni di animali. (R.P.)

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Attentato Turchia: sgomento del vicario apostolico di Istanbul

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“Subito dopo aver appreso la notizia la Chiesa cattolica turca ha elevato la sua preghiera e il suo ricordo per le vittime della strage e per tutto il popolo turco. Ancora ieri mattina nella celebrazione abbiamo di nuovo pregato con forza insieme ai fedeli accorsi. Lo sconcerto è grande”. Da Antakya - dove cattolici e ortodossi si sono riuniti per celebrare insieme la festa dei santi Pietro e Paolo presso la “Grotta di Pietro”, l’antica chiesa rupestre sul monte Silpius - a parlare all'agenzia Sir è mons. Ruben Tierrablanca Gonzalez, nuovo vicario apostolico di Istanbul.

Papa Francesco si è unito spiritualmente al dolore della Turchia
“La tristezza e lo sgomento” per la strage all’aeroporto Ataturk della città turca ha accompagnato la Chiesa locale che ad Antakya era presente nelle persone del vescovo Paolo Bizzeti, vicario apostolico dell’Anatolia, dell’inviato del Patriarca greco-ortodosso di Antiochia, dell’arcivescovo Paul Fitzpatrick Russell, nunzio apostolico in Turchia dallo scorso marzo e di tanti cristiani tra i quali anche rifugiati siriani. “Papa Francesco ha voluto, tramite la Segreteria di Stato, far sapere al nunzio che anche lui era qui con noi unito spiritualmente". "

Il momento è delicato ma occorre dare speranza
Il momento – dice mons. Tierrablanca – è delicato. La scia di violenza che sta colpendo la Turchia si inserisce nel clima di terrore che si respira in questa regione e anche in Europa. Siria, Iraq, Libia ne sono un chiaro esempio. Nonostante la guerra e la violenza le fabbriche delle armi non si fermano. Quale via di uscita? Difficile dirlo. Noi come Chiesa siamo chiamati a comunicare speranza e a dare un messaggio di pace. Ed è quello che facciamo”.

Il cordoglio del segretario generale Olav Fykse Tveit 
Anche il segretario generale del Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc), il pastore Olav Fykse Tveit, si unisce al cordiglio e alla ferma condanna dell’attentato all'aeroporto di Istanbul. “Preghiamo per le vittime e le loro famiglie – ha dichiarato - e chiediamo di raddoppiare gli sforzi per portare la pace nella regione per porre fine ai conflitti che stanno alimentando tali odiosi atti criminali. Questo attacco è particolarmente mostruoso, perché era finalizzato chiaramente a provocare il massimo di vittime innocenti in uno degli hub aeroportuali più frequentati del mondo”. (A cura di Lisa Zengarini)

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Libano: ad Al-Qaa i funerali delle vittime degli attentati

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La cittadina orientale di al-Qaa ha celebrato ieri i funerali delle vittime del doppio attentato terrorista che ha colpito la zona il 27 giugno scorso, un attacco "senza precedenti". Ieri l’intera comunità ha voluto salutare per l’ultima volta le cinque vittime dei kamikaze; intanto il leader spirituale cristiano della regione chiede che tutta l'area sia dichiarata “zona militare”. Faysal Aad, Joseph Lebbos, Majed Wehbe, Boulos al-Ahmar e George Fares sono stati seppelliti nel cimitero locale, al termine di una toccante cerimonia funebre alla quale ha partecipato l’intera cittadina fra ingenti misure di sicurezza. In origine i funerali si dovevano svolgere il 28 giugno, giorno successivo all’attentato; tuttavia le autorità hanno preferito rimandare di 24 ore la cerimonia nel timore di nuove violenze. 

Uno dei kamikaze si è fatto esplodere davanti la chiesa greco-melkita
All’alba del 27 giugno quattro kamikaze si sono fatti esplodere nell’area a maggioranza cristiana, causando nove morti - fra cui i quattro attentatori - e 16 feriti. A distanza di diverse ore, in serata, una seconda serie di attacchi ha provocato 13 feriti e la morte dei tre attentatori. Uno dei kamikaze si è fatto esplodere davanti la chiesa greco-melkita.

Vescovo greco-melkita: rimarremo in questa terra
Durante l’omelia mons. Elias Rahal, arcivescovo greco-melkita di Baalbek, ha sottolineato che “rimarremo in questa terra e non ci muoveremo, anche se dovessimo offrire 100 martiri ogni giorno”. Egli ha aggiunto che “non ci faremo intimidire dai takfiri o dalle loro bombe”; infine, il prelato ha chiesto al governo di “organizzare quanti stanno attorno a noi”, con un riferimento diretto ai 20mila profughi siriani che vivono in un Campo profughi non riconosciuto ai margini della cittadina. “Masharii al-Qaa deve diventare una zona militare - ha concluso - per scongiurare il ripetersi di simili tragedie”. 

L’obiettivo degli attentatori: svuotare al-Qaa dalla presenza cristiana
Dany Awad, vice-presidente della municipalità, non teme le minacce e avverte: “Non abbiamo paura di nessuno. Resteremo qui, a difendere il nostro villaggio, fino alla fine. Abbiamo le radici in questa terra sacra e nessuno ce le potrà tagliare da vivi”. Al-Qaa è uno dei tanti villaggi lungo il confine fra il Libano e la Siria, nazione sconvolta da cinque anni di guerra che hanno causato almeno 280mila vittime e originato una crisi umanitaria senza precedenti. (R.P.)

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Patriarca Raï: realtà dei profughi compromette identità del Libano

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La massa enorme di profughi siriani che hanno trovato rifugio in Libano, rischia di stravolgere gli equilibri e l'identità della nazione libanese, anche perchè le moltitudini di rifugiati che trascinano la loro esistenza in condizioni precarie, e a tratti disperate, rappresentano un potenziale bacino di reclutamento per le organizzazioni terroristiche. E' questo lo scenario allarmante della situazione libanese e dell'intero Medio Oriente descritto dal Patriarca Bechara Boutros Raï, Primate della Chiesa maronita, in un intervento da lui pronunciato martedì 28 giugno a New York, presso la sede della Catholic Near East Welfare Association, durante la visita pastorale che sta realizzando negli Usa.

Per la crisi dei rifugiati: pace duratura e loro rientro nei Paesi d'origine
Secondo il cardinale  Raï, una soluzione permanente per la crisi dei rifugiati in tutto il Medio Oriente richiede una pace duratura e il loro progressivo rimpatrio nei Paesi d'origine, mentre è da evitare in ogni modo il loro insediamento permanente, in condizioni spesso ai limiti della sopportazione, nelle terre dove hanno trovato rifugio.

All'origine dei problemi del Medio Oriente, il conflitto israelo-palestinese
​Nel corso del suo intervento, il patriarca  Raï ha dedicato anche considerazioni articolate al conflitto israelo-palestinese, da lui considerato "all'origine dei problemi del Medio Oriente". Secondo il Primate della Chiesa maronita, tale conflitto potrà essere risolto solo con "la creazione di uno Stato palestinese accanto a uno Stato israeliano, con il ritorno dei profughi palestinesi, e il ritiro delle truppe israeliane dai territori occupati di Palestina, Siria e Libano ". La separazione tra religione e politica nazionale, “sia per l'ebraismo che per l'islam” - ha aggiunto il Patriarca  Raï - “è una delle condizioni fondamentali per una soluzione politica permanente nella regione", perchè "i guai iniziano quando si va a discriminare in maniera automatica i cittadini che non confessano la religione dello Stato". (G.V.)

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Venezuela. Card. Urosa: governo non può negare la grave crisi

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"Non è possibile negare che esiste tale crisi e non permettere l’arrivo di viveri e medicine provenienti da altre parti del mondo, inviati da diverse organizzazioni non governative e da organizzazioni della Chiesa come la Caritas": la denuncia viene dall’arcivescovo di Caracas, il card. Jorge Urosa Savino, che parlando alla stampa locale ha criticato il governo venezuelano perché si rifiuta di accettare gli aiuti umanitari con il chiaro scopo di non mostrare la grave crisi in atto nel Paese.

La situazione sta degenerando e ormai è all’estremo
Secondo le informazioni riprese dall'agenzia Fides, il cardinale ha sottolineato che la situazione sta degenerando e ormai è all’estremo, e ha aggiunto che il governo di Maduro dovrebbe evitare che la Oea (Organizzazione degli Stati Americani) attivi la "Carta Democratica" Interamericana, il che significa attivare gli aiuti internazionali per risolvere una situazione d'emergenza dinanzi ad una terribile crisi alimentare e sanitaria.

Lo Stato ha vietato l’arrivo di viveri e medicine
Meno di una settimana fa, l'Assemblea nazionale aveva approvato una legge per affrontare il problema sanitario creato dalla carenza di medicinali, oltre a chiedere il sostegno delle organizzazioni umanitarie internazionali che già si erano offerte di inviare cibo e medicine. Ma su richiesta del Presidente Maduro, il Tribunale Supremo di Giustizia (Tsj) ha emesso una sentenza che ha annullato tale legge, perché secondo il Tsj usurpa le funzioni presidenziali. (C.E.)

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Vescovi europei su nuova Strategia globale per politica estera Ue

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La Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (Comece) saluta con soddisfazione il documento sulla “Strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell'Unione europea” presentato martedì al Consiglio Europeo di Bruxelles dall'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini.  La strategia proposta, che punta a una più stretta collaborazione dei Paesi Ue in materia di difesa e sicurezza e quindi a sviluppare un'integrazione delle forze armate europee, riprende diverse raccomandazioni proposte dalla stessa Comece nel documento “Promuovere la pace nel mondo, vocazione dell’Europa” presentato lo scorso 14 giungo in vista del vertice.

Positivo il riferimento al consolidamento preventivo della pace
Per  i vescovi europei merita particolare apprezzamento l’esplicito riferimento “al consolidamento preventivo della pace” come principale priorità di un approccio integrato ai conflitti e alle crisi, basato sulla nozione di “sicurezza umana”, come auspicato dalla stessa Comece. Inoltre, il  documento presenta alcune idee per un’azione politica concertata per promuovere la giustizia e la sicurezza. Esso sottolinea quindi la necessità di politiche più coerenti e di un maggiore coordinamento tra le istituzioni europee e gli Stati membri,  esortandoli a un’adesione più forte ai valori fondativi dell’ Unione Europea.

Il riconoscimento del dialogo e della diplomazia interreligiosa
La nuova strategia globale – prosegue la nota della Comece - presenta una visione ambiziosa del ruolo dell’Ue tra i Paesi vicini e nel mondo, ricordando i principi di partenariato strategico, di una cooperazione regionale e di una governance mondiale efficace e riformata. Positivo anche il giudizio sul riconoscimento del dialogo e della diplomazia interreligiosa quali strumenti importanti nella prevenzione e nella soluzione dei conflitti.

L’auspicio di una effettiva realizzazione della nuova strategia globale
Per altro verso, la Comece esprime il suo disappunto per il fatto che i Capi di Stato dell’Unione si siano limitati ad “accogliere con interesse” il documento, senza adottarlo formalmente. L’auspicio è che questo non implichi un minore impegno degli Stati membri e delle istituzioni europee nella effettiva attuazione della nuova strategia globale. Da parte sua, la Comece ribadisce la propria disponibilità a contribuire attivamente alla sua implementazione attraverso la sua Commissione per le relazioni esterne, membro del gruppo di lavoro della Conferenza delle Commissioni giustizia e pace europee. (L.Z.)

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Togo: Plenaria vescovi su formazione seminaristi e famiglia

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L’attività dei seminari diocesani e l’attuazione dell’Esortazione apostolica post-sinodale di Papa Francesco “Amoris Laetitia sull’amore nella famiglia”: questi i temi salienti della 112.ma Assemblea ordinaria della Conferenza episcopale del Togo (Cet), svoltasi a Lomé dal 14 al 17 giugno scorso. Al termine dei lavori, i presuli hanno diffuso una nota riassuntiva dell’incontro.

Discernimento ed accompagnamento per i seminaristi
“Abbiamo ascoltato con attenzione ed in comunione tra noi – si legge nel testo –l’operato, le gioie e le difficoltà dei nostri tre seminari interdiocesani”. Per quanto riguarda la formazione dei seminaristi, è stata ribadita l’importanza della “semplicità dello stile di vita e del linguaggio”, per garantire ai formatori stessi un’adeguata preparazione “dottrinale, morale e spirituale”. Centrali anche le questioni relative “al discernimento vocazionale ed all’accompagnamento dei giovani che si preparano ad entrare in seminario”.

Formazione permanente per i sacerdoti
Di qui, il ricordo della Cet al Giubileo dei sacerdoti, svoltosi a Roma, alla presenza di Papa Francesco, dall'1 al 3 giugno, e l’invito a partecipare all’incontro internazionale dei presbiteri che si terrà a Lourdes, in Francia, il 4 e 5 luglio, sul tema “Il sacerdote, uomo di misericordia”. La Chiesa di Lomé ha, inoltre, ribadito l’importanza della formazione permanente per tutti i sacerdoti.

Preparazione adeguata per il matrimonio
Quindi, riflettendo sull’Amoris Laetitia, la Cet ha evidenziato che essa “è una proposta alle famiglie cristiane, una proposta che le incoraggia a valorizzare il dono del matrimonio ed a mantenere saldo l’amore, basandolo su valori forti” ed esortando tutti ad “essere un segno di misericordia e di vicinanza, soprattutto là dove la famiglia non vive la pace e la gioia”. “Amoris Laetitia – continua la nota – è anche una grazia, nel contesto dell’Anno giubilare della misericordia”. I presuli hanno anche sottolineato l’importanza della preparazione al matrimonio, incoraggiando ogni diocesi a formare personale in grado di fornire un accompagnamento adeguato ai nubendi, basandosi sia sulla Pastorale familiare che sulla conoscenza del diritto canonico.

Attuazione del Motu proprio Mitis iudex
In quest’ottica, la Cet ha in programma di indirizzare un messaggio a tutti i vescovi africani, durante l’Assemblea plenaria del Secam (Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagasar), che si terrà a Luanda, in Angola, il mese prossimo, proprio sul tema della famiglia. L’obiettivo della missiva sarà quello di “incoraggiare gli Stati a difendere e sostenere i valori umani e familiari”. La Cet ha, inoltre, avviato l’istituzione di un Tribunale ecclesiastico interdiocesano per seguire le cause di nullità matrimoniale, secondo quanto stabilito dal Motu proprio “Mitis iudex” di Papa Francesco.

Cristiani contribuiscano al bene comune del Paese
Un’ulteriore riflessione è stata fatta sull’indipendenza del Paese, il cui anniversario è stato celebrato il 6 maggio scorso. Per l’occasione, i vescovi hanno richiamato quanto scritto nella loro Lettera pastorale incentrata sul tema “Essere responsabili nella giustizia e nella verità”, esortando la comunità cristiana togolese a promuovere il bene comune e ad avere cura del “progresso civile e morale della nazione”.

Dialogo interreligioso per rilanciare la pace
​Tra gli altri temi affrontati dalla Plenaria, anche il dialogo interreligioso: in particolare, i vescovi hanno evidenziato la necessità della collaborazione tra le diverse fedi nella ricerca della pace, “considerato il contesto internazionale caratterizzato da violenze”. Infine, in seguito all’esperienza vissuta dai presuli togolesi presenti al Congresso eucaristico internazionale, svoltosi a Cebu, nelle Filippine, lo scorso gennaio, la Cet ha stabilito di “donare ai fedeli del Paese l’occasione di scoprire e vivere meglio la grazia dell’Eucaristia in occasione della Festa del Corpus Domini, che nel 2017 si celebrerà il 18 giugno”. (A cura di Isabella Piro)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 182

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.