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Sommario del 01/07/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa incontra sindaco di Roma. Virginia Raggi: colpita da sua umanità

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Papa Francesco ha ricevuto oggi in Vaticano il nuovo sindaco di Roma Virginia Raggi. Sull’incontro ascoltiamo il primo cittadino della capitale al microfono di Luca Collodi

R. - È andato molto bene, è stato molto emozionante. Era chiaramente la prima volta che incontravo il Santo Padre. Ho scoperto una persona veramente molto umana; sono rimasta profondamente colpita.

D. – Per lei, in quanto politico, quanto è importante il riscatto morale e spirituale di Roma?

R. - È importante ancora di più dopo tutti i tragici e spregevoli eventi che vanno sotto il nome di “Mafia Capitale” ma che in realtà poi coinvolgono tanti anni di cattiva politica. È necessario che i romani, le persone, i cittadini, capiscano che c’è qualcosa che va aldilà del proprio bene: il bene comune, l’interesse generale; è qualcosa che supera il particolarismo e l’egoismo. Credo che noi abbiamo il dovere di riportare questi valori  di comunità all’interno di un’amministrazione e di tutte le istituzioni.

D. – Come vede il ruolo della Chiesa nella società romana?

R. – La Chiesa ha sicuramente un ruolo importantissimo in tutta Italia, ma a Roma in particolare, anche perché è “di casa”; siamo vicini, ci guardiamo da un lato all’altro del Tevere! Devo dire che ho apprezzato molto le parole dell’Enciclica Laudato si’, mi sembrano estremamente attuali e moderne; parlano di cambiamenti climatici, di urbanistica come, talvolta, di uno scempio al paesaggio quando viene fatta senza rispettare le regole, dello spirito di comunità, delle persone più fragili. Devo dire che in quell’Enciclica c’è molto della società romana di oggi.

D. - Un’Enciclica che guarda all’ambiente, in particolare, e qui entriamo subito nella vita pratica di una grande metropoli come Roma. C’è ad esempio tutto il tema, ad esempio, dei rifiuti …

R. - Sì, è un tema tra l’altro che stiamo attenzionando in maniera particolare. In questi giorni sono in linea diretta con il presidente Fortini, perché ritengo fondamentale uscire da questa fase di pre-emergenza o quasi emergenza che a mio avviso è stata originata come conseguenza di una cattiva politica e di una cattiva programmazione. Quindi adesso è fondamentale uscire da questo stato di emergenza o di pre-emergenza e ricominciare a programmare in maniera ordinata con una visione del ciclo dei rifiuti che si inserisca all’interno di un disegno di economia circolare che, tra l’altro, anche la stesa Enciclica riprende; parla proprio di economia circolare, quindi di un’economia che non si fonda più sul consumo e sullo scarto, ma sulla possibilità dei beni, degli oggetti, delle cose di essere comunque riassorbiti all’interno di un ciclo produttivo e quindi di rientrare in circolo, magari con una forma diversa.

D. - C’è secondo lei una Roma dimenticata oggi? Parlo del contrasto alla povertà, dell’accoglienza degli immigrati. Si può parlare di Roma dimenticata?

R. - Purtroppo sì, perché effettivamente le persone più fragili hanno bisogno di più attenzioni e queste maggiori attenzioni, di fatto, da parte delle istituzioni comportano una maggiore attenzione anche da un punto di vista economico. E allora quando gli immigrati vengono sfruttati, come è stato il caso di “Mafia Capitale”, e se questo - è evidente - diventa un business per fare soldi e non per aiutare le persone c’è un problema. Noi dobbiamo utilizzare i soldi per fare qualcosa, non dobbiamo utilizzare le persone per fare soldi. Dobbiamo cambiare il paradigma.

D. - Il tema della famiglia. In passato si è discusso molto ad esempio sugli asili nido. Ci sarà un fattore famiglia nella sua gestione di Roma?

R. - Ci sarà un’attenzione ai servizi che da sempre - purtroppo - scontano le politiche dei tagli, perché fino ad oggi invece di tagliare gli sprechi si andava a tagliare i servizi. Lo sappiamo che poi gli sprechi servono a mantenere i privilegi, no? E allora dobbiamo cercare di dirottare tutti i soldi, che fino ad oggi sono andati in sprechi, sui servizi, quindi aumentare l’offerta.

D. - Un’ultima riflessione sulle Olimpiadi. La giunta farà un’ulteriore riflessione per una decisione condivisa?

R. – Se i romani, che fino ad oggi in campagna elettorale non mi hanno mai parlato di Olimpiadi, mi dovessero chiedere un referendum lo valuteremo, ovviamente però esponendo tutti i pro e i contro, esponendo bene i costi e ricordando che proprio l’anno scorso nel 2015 noi abbiamo finito di pagare la rata annuale da 92 milioni di euro dei Mondiali di Italia ’90. Fatevi i conti e capite quanto questi eventi pesano sulle spalle dei cittadini. Questo è fondamentale. Nessuno vuole portare Roma a livelli non competitivi con le altre città europee, ci mancherebbe altro, ma in questo momento nel quale abbiamo un debito di 13 miliardi di euro solo sulla gestione straordinaria, credo che chiedere ai cittadini di indebitarsi per almeno altri 20, 30, 40 anni, non sia etico, non sia giusto. 

Qui sotto il link per ascoltare l'intervista integrale

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Altre udienze e nomine di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza Kiko Arguello, Iniziatore del Cammino Neocatecumenale e il card. Renato Raffaele Martino.

In Germania, Francesco ha nominato Vescovo di Limburg Mons. Georg Bätzing, finora Vicario Generale della diocesi di Trier e Canonico del Capitolo Cattedrale.

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Tweet Papa: nel lavoro, educare a percorrere strada dell'onestà

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"Oggi, nel mondo del lavoro, è urgente educare a percorrere la strada, luminosa e impegnativa, dell’onestà". E' il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex in 9 lingue.

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Mons. Pozzo: dialogo con Fraternità San Pio X va avanti

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La Fraternità San Pio X oggi non cerca in primo luogo un riconoscimento canonico da parte della Santa Sede: è quanto afferma un comunicato della comunità tradizionalista reso pubblico il 29 giugno. Si tratta di una battuta d’arresto nel dialogo tuttora in corso? Marie Duhamel lo ha chiesto a mons. Guido Pozzo, segretario della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”: 

R. – La Commissione “Ecclesia Dei” non ritiene che sia una battuta di arresto del dialogo: dal comunicato stampa sembra che non si entri nel merito della questioni concrete che sono oggetto di esame nel dialogo e nel confronto tra la Pontificia Commissione “Ecclesia Dei” e la Fraternità San Pio X. Quindi il dialogo e il confronto su tali questioni concrete dovranno proseguire.

D. – Come interpretate questo comunicato?

R. – Diciamo che non dice nulla di nuovo rispetto alle posizioni note e ben conosciute della Fraternità San Pio X circa la situazione della Chiesa oggi. Posso eventualmente aggiungere che quando si fa riferimento alla mancanza di riconoscimento canonico, che non è la cosa che in questo momento considerano, posso dire che  il riconoscimento canonico da parte della Santa Sede è condizione essenziale perché un’opera cattolica sia nella piena comunione ecclesiastica, conforme al diritto. Non c’è il riconoscimento canonico, stiamo lavorando perché avvenga: ma il riconoscimento canonico non è un fatto notarile, è condizione essenziale!

D. – Lei evocava diversi punti chiave per voi, sui quali lavorate insieme…

R.  – Sono sempre le stesse questioni di ordine dottrinale e di ordine disciplinare: sono le questioni che riguardano il Magistero, la tradizione, le questioni del Vaticano II… Quindi sono tutte cose già note e che non abbiamo bisogno di ripetere.

D. – Il Papa ha ricevuto il superiore della Fraternità, mons. Fellay, poco tempo fa. La frequenza di questi rapporti diretti o indiretti qual è?

R. – Non ci sono scadenze precise. Gli incontri avvengono tra noi della Commissione “Ecclesia Dei” o i nostri delegati e i rappresentanti della Fraternità San Pio X. C’è stato, però, questo incontro importante: un’udienza privata con il Santo Padre, in cui mons. Fellay ha potuto esporre il suo punto di vista al Santo Padre. E’ stato un incontro molto cordiale e certamente rientra nel cammino di dialogo e soprattutto di fiducia reciproca che stiamo costruendo insieme. Quindi non si esclude che ci saranno altri incontri, ma non è che questi siano già programmati…

D. – Benedetto XVI teneva molto a questo lavoro per poter raggiungere l’unità con la Fraternità. Papa Francesco è nella stessa ottica?

R. – Sì, direi proprio di sì. Papa Francesco ha a cuore l’unità della Chiesa e tutto ciò che può favorire l’unità della Chiesa. Lui è sempre molto disponibile, proprio come habitus mentale a questo. E questo credo sia stato anche recepito da mons. Fellay. Ma evidentemente non possiamo neanche negare che ci sono ancora dei problemi da risolvere, da affrontare, da esaminare.

D. – Quindi da parte della Santa Sede c’è apertura, ma fermezza…

R. – La fermezza è su ciò che è essenziale per essere cattolici. Da questo punto di vista non c’è alcun cambiamento! Ma non credo che adesso sia questione di fermezza: si tratta soltanto di affrontare i problemi concreti e cercare di risolverli e di risolverli insieme. L’apertura è in questo senso: nel senso che abbiamo individuato le questioni da affrontare e le stiamo affrontando. Ci vorrà naturalmente del tempo, ma bisogna che ci sia questa disponibilità reciproca.

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Oggi in Primo Piano



Austria. Consulta annulla voto, presidenziali da ripetere

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La Corte costituzionale austriaca ha annullato l'esito delle elezioni presidenziali, tenutesi il 22 maggio scorso, vinte dal candidato dei Verdi, Alexander van der Bellen – per soli 30 mila voti – contro il populista Norbert Hofer. A ricorrere era stato il Partito della Libertà, di estrema destra. Il servizio di Alessandro Gisotti

Un evento senza precedenti nella storia della democrazia austriaca: la Corte Costituzionale ha invalidato oggi il secondo turno delle elezioni presidenziali del 22 maggio scorso, vinte per un soffio dal verde Van der Bellen. Secondo quanto riferisce il quotidiano 'Der Standard', la sentenza della Consulta austriaca non ha riferito di brogli o manipolazioni del voto, ma ha semplicemente evidenziato errori nel procedimento elettorale. Irregolarità sono state riscontrate in 14 dei 20 distretti presi in esame in seguito al ricorso. La ripetizione del ballottaggio tra i due candidati alla presidenza della Repubblica in Austria, Alexander Van der Bellen e Norbert Hofer, si terrà probabilmente a fine settembre o all'inizio del mese di ottobre. Ad annunciarlo il ministero dell'Interno austriaco. Non appena il presidente uscente Heinz Fischer lascerà l'incarico, il prossimo 8 luglio, la presidenza del Paese verrà dunque assunta ad interim collegialmente dai presidenti delle Camere.

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Libia, rapporto Amnesty su violenze contro migranti e rifugiati

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Sfruttamento, torture, uccisioni e persecuzione religiosa nei confronti di migranti e rifugiati in Libia. Tragiche le testimonianze raccolte da Amnesty International di circa 90 persone che hanno attraversato il Paese nordafricano e ora sono ospitate nei Centri di accoglienza di Puglia e Sicilia. "L'Unione Europea dovrebbe occuparsi meno di tenere migranti e  rifugiati fuori dalle sue frontiere e concentrarsi maggiormente sulla  messa a disposizione di percorsi legali e sicuri per coloro che sono  intrappolati in Libia e cercano salvezza altrove", dichiara Magdalena  Mughrabi, vicedirettrice ad interim del programma Medio Oriente e  Africa del Nord di Amnesty International. Per l’organizzazione internazionale delle migrazioni sono oltre 264mila i migranti che si trovano in Libia, provenienti per lo più dall’Africa sub-sahariana e secondo i dati dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, 37mila sono i rifugiati e i richiedenti asilo registrati, la metà dei quali siriani. Sul rapporto relativo alle violenze in Libia, Elvira Ragosta ha intervistato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia: 

R. – Le violenze iniziando durante il viaggio, appena lasciano i loro Paese e si avventurano nel deserto: vengono presi in consegna da trasportatori, che rispondono a bande criminali; e, ancor prima di entrare in Libia, vengono lasciati morire di malattie, di fame; vengono picchiati. Una volta, poi, che si entra in Libia è persino peggio! I trattamenti sono brutali, sia nei Centri di detenzione ufficiale che nei luoghi assolutamente informali, come scantinati, fabbriche abbandonate, abitazioni private. Soprattutto quelli che non riescono a pagare vengono torturati, vengono tenuti in uno stato di prigionia fino a quanto i loro familiari non mandano i soldi per liberarli e vengono uccisi.

D. – Poi c’è il viaggio attraverso il Mediterraneo e le cronache di tutti i giorni ci raccontano di altre violenze da parte degli scafisti. Che tipo di testimonianze avete raccolto?

R. – Sono testimonianze orribili! Intanto di una logica unicamente commerciale per cui si stipano persone all’inverosimile su imbarcazioni non adatte alla navigazione. Ci sono stati resoconti di violenze sessuali, di pestaggi nei confronti di persone prese a bordo dai trafficanti. Ma quello che emerge è anche il ruolo della Guarda Costiera della Libia, che l’Unione Europea sta addestrando e con la quale c’è uno scambio di informazioni: è una Guardia Costiera che tutto fa meno che ricercare e soccorrere persone in mare, tant’è che, alla fine di maggio, oltre 3 mila sono stati ripresi, riportati sulla terraferma e da lì subito portati nei Centri di detenzione.

D. – Non si è registrata una diminuzione di queste violenze con la formazione del nuovo governo di unità nazionale libico, supportato dalle Nazioni Unite?

R. - No, purtroppo no! Il governo ha l’appoggio della Comunità internazionale, ma poi c’è una altra parte della Libia che è controllata da chi  è fedele a Tobruk. Ma quello che è importante mettere in evidenza è che i centri di detenzione per i migranti irregolari – così sono chiamati – sono 24 in tutto e sono in larga parte ancora sotto il controllo di bande armate, di gruppi armati, alcuni dei quali islamisti, e quindi sfuggono completamente al controllo delle autorità, comprese quelle del nuovo governo.

D. – Nel Rapporto si parla di violenze, anche sessuali, di torture, di uccisioni, ma anche di persecuzioni religiose. Cosa raccontano migranti e rifugiati tenuti in ostaggio dai gruppi fedeli al sedicente Stato Islamico?

R. – Ormai è chiaro: le persone più vulnerabili, quelle più a rischio e quelle trattate peggio sono le donne e le persone di fede cristiana. Ci sono tantissimi racconti, soprattutto di rifugiati cristiani provenienti dall’Eritrea, dall’Etiopia: appena viene scoperta per qualche ragione esteriore – per esempio una croce al collo – la loro fede, vengono perseguitati, trattati peggio degli altri. Le donne poi, oltre alla violenza sessuale, allo stupro di gruppo, sono costrette a convertirsi all’Islam con la forza. E dicono: “Siamo costrette a farlo per salvarci la vita!”. Ma quello che accade dopo non migliora certo la loro situazione, perché diventano schiave del sesso, vengono prese in mogli da uomini appartenenti a gruppi armati islamisti e la loro sorte è segnata. Sopravvivono unicamente cedendo a questa violenza di gruppo.

D. – Intanto l’Unione Europea ha prorogato di un anno l’operazione per contrastare il traffico di esseri umani ed arrestare gli scafisti. E’ abbastanza?

R. – E’ una politica contraddittoria, perché da un lato si perseguitano gli scafisti – ed è una operazione ovviamente logica di contrasto al crimine organizzato – ma dall’altra però non si lascia alcuna possibilità alle persone per venire in Europa che affidarsi agli scafisti stessi. Quindi c’è una incoerenza di fondo in una politica che ha per obiettivo quello di esternalizzare i controlli, di impedire le partenze. Di nuovo la Libia – come ai tempi di Gheddafi – diventa il partner fondamentale per questa operazione. I migranti richiedenti asilo veramente in Libia non dovrebbero metterci piede, perché non ci sono condizioni di sicurezza. Occorrono reinsediamenti; occorre andare a prendere le persone nei Paesi prossimi a quelli da cui fuggono; occorre organizzare ponti aerei, come si sta facendo in alcuni piccoli casi che coinvolgono le realtà religiose del nostro Paese; occorre incrementare i visti per motivi umanitari, i permessi di studio, i ricongiungimenti familiari: fare cioè in modo che almeno i più vulnerabili – come le donne, come i minori, come gli appartenenti alle minoranze religiose – possano arrivare in condizioni di sicurezza nel nostro continente.

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Egitto. Prete copto ucciso dall'Is. Mons. Mina: martirio continua

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I terroristi del sedicente Stato Islamico hanno rivendicato l’uccisione di ieri di un sacerdote copto ortodosso ad al-Arish, nel nord del Sinai, in Egitto. Padre Rafael Moussa aveva appena celebrato una Messa in cui aveva condannato “gli attacchi terroristici che minacciano la sicurezza del Paese e colpiscono l’unità della popolazione”. Il sacerdote apparteneva alla chiesa di San Giorgio, la stessa di padre Aboud, ucciso nel luglio di tre anni fa. Prosegue, dunque, il martirio delle Chiese d’Oriente, come conferma al microfono di Roberta Barbi il vescovo copto cattolico di Giza, mons. Antonios Aziz Mina: 

R. – Ci sono tantissime forme di martirio. C’è il martirio vero e proprio e c’è il martirio di ogni giorno, quello delle persone che non vedono riconosciuti i propri diritti a causa delle proprie confessioni. Quindi il martirio non è mai finito, continua a vivere nella Chiesa. Questo è il secondo sacerdote della stessa chiesa che è stato martirizzato per le sue idee. I sacerdoti non hanno altra arma che la parola, mentre dall’altra parte ci sono le armi da fuoco.

D. - L’Is ha rivendicato questo omicidio: gli estremisti accusano la comunità copta di essersi schierata con il Presidente al-Sisi che mise al bando i Fratelli Musulmani. Tra l’altro ieri, 30 giugno, ricorreva proprio l’anniversario della grande manifestazione contro Morsi …

R. - La comunità copta non si è schierata con al-Sisi, la comunità copta si è schierata con tutto il popolo egiziano perché da sola non poteva fare assolutamente niente. Il popolo egiziano è riuscito a mettere fine a quel diabolico piano che vede la realizzazione dello Stato Islamico in tutto il Medio Oriente, cioè dall’Iraq fino al Marocco. Loro cercano un motivo per mettere zizzania e dividere il popolo. Per questo insisto sul fatto che siamo tutti egiziani e abbiamo tutti la stessa sorte, perché è vero!

D. - In questo angolo di Egitto dunque non hanno valore i richiami all’unità tra cristiani e musulmani che arrivano dal Cairo?

R. - In tutto l’Egitto ora si comincia a vedere la pericolosità di creare differenze tra cristiani e musulmani. Quindi si ritorna alla vita di prima, che si è un solo popolo che deve tenere saldi i rapporti per vivere meglio.

D. - Come s’inserisce l’Egitto di oggi nello scacchiere mediorientale?

R. – Il peso dell’Egitto nella nostra zona è molto importante da tutti i punti di vista: non solo a livello numerico, ma anche culturale, quindi anche sul piano dell’arte, della scienza, di tutto insomma. Se ci sarà una salvezza per il mondo arabo partirà dall’Egitto. Se la pace verrà raggiunta nel nostro mondo, questo dipenderà sempre dall’Egitto.

D. - Come si vive nel Sinai fuori controllo dove ogni giorno c’è un attentato? La comunità cristiana locale ha paura?

R. - Ha paura ma confidiamo nell’esercito che ha un piano molto efficace per combattere l’Is. Ci sono vittime da tutte le parti, anche tra l’esercito e la polizia. Sentiamo sempre che anche loro pagano un caro prezzo per combattere questi estremisti, nel Sinai e altrove. Quando ci incontriamo esprimono dolore; anche i musulmani quando ci vedono fanno lo stesso. Il dolore è dolore. La perdita di un’anima, di un uomo, è sempre dolorosa per tutti quanti.

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Centrafrica. Il nunzio: c’è tensione, non la guerra

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La Repubblica Centrafricana è stata scossa,  recentemente, da drammatici episodi di violenza: lo scorso 11 giugno si sono registrati scontri tra ex membri del gruppo ribelle Seleka e forze dell’ordine. A Bangui, inoltre, sono stati sequestrati sei poliziotti, poi rilasciati. Si tratta, in realtà, di episodi che non si possono paragonare allo scenario di guerra che, soprattutto nel 2013 e nel 2014, ha sconvolto la Repubblica Centrafricana. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, il nunzio apostolico nel Paese africano, mons. Franco Coppola: 

R. – Quello che è successo in queste ultime settimane non ha niente a che vedere con la vera e propria guerra che c’era l’anno scorso tra le varie fazioni. Sono sussulti in vista di un aggiustamento. Il grande problema che sta affrontando il governo, e che tutti si pongono, comprese le milizie, è quello della fine di queste ultime, quindi del loro disarmo. Però non è ancora chiaro il programma del disarmo. E, di conseguenza, ognuno cerca di mettersi in una posizione di vantaggio, per poter poi negoziare da una posizione di maggiore forza. E quindi possono capitare scontri, ma questi non hanno veramente nulla a che fare con quello che avveniva nei mesi scorsi.

D. – Parliamo proprio di questi episodi che lei ha definito “sussulti”. Cosa è successo?

R. – È successo nel nord del Paese: un gruppo di ex Seleka stava scortando una mandria per farla passare nel vicino Camerun. Attraversando un villaggio, è stato bloccato dai gendarmi locali che lavoravano, in quel caso, insieme con l’altra milizia, la milizia sedicente cristiana, nemica di Seleka. Li hanno bloccati e ne hanno uccisi sette su otto. L’ottavo è riuscito a scappare e ha chiamato rinforzi e il resto del gruppo è arrivato e si è vendicato incendiando alcune decine di abitazioni del villaggio. La popolazione ovviamente è scappata e si è rifugiata presso i Padri cappuccini che hanno una missione proprio in quel paese. Poi, i soldati della missione Minusca – le forze internazionali, i Caschi Blu – è intervenuta e ha ristabilito l’ordine. Tutto è nato dal fatto che i gendarmi non hanno svolto il ruolo che era loro richiesto come gendarmi, ma erano implicati con gli anti-balaka a fermare il movimento della mandria, che di per sé è una cosa normale in questa stagione. Bisogna anche dire che ci sono delle informazioni che ho ricevuto, secondo le quali il capo degli anti-balaka è anche lui un proprietario di grandi mandrie. Quindi probabilmente aveva interesse a prendersi la mandria.

D. – Un altro drammatico episodio è avvenuto nel quartiere del “kilometro 5” a Bangui…

R. – Anche quello è un episodio ancora non perfettamente chiarito. C’è stato un controllo da parte della gendarmeria su un camion che entrava a Bangui. Alcuni degli occupanti - dei “Peuls”, un’ etnia fondamentalmente musulmana e che si occupa di allevamento - sono stati trovati senza documenti, e per questo sono stati arrestati. Altre voci dicono che su questo camion sono state trovate delle armi, ma al momento non sono voci confermate. Sono stati arrestati. E ciò ha creato la reazione da parte dell’autodifesa musulmana del “kilometro 5”, che, per ottenere la liberazione dei loro compagni arrestati, ha attaccato il commissariato vicino al “kilometro 5”, e ha sequestrato lo stesso numero di poliziotti, ovvero sei. Ci sono stati momenti di grande tensione. La Minusca è intervenuta con un’operazione molto dura nel “kilometro 5” contro la banda che aveva osato prendere in ostaggio dei poliziotti e ci sono stati dei morti tra i banditi. E poi, nel corso della settimana, i poliziotti sono stati rilasciati. Sono tutti – come dicevo – sussulti di passaggio da uno stato di guerra, in cui quello che conta è quello che si ottiene con le armi, ad uno stato di diritto, in cui le armi le deve usare soltanto la forza pubblica, e deve farlo secondo la legge. C’è il problema che la forza pubblica non è ancora preparata ad assumere questo ruolo: non bisogna dimenticare che il Centrafrica è  un Paese in cui tutte le forze di sicurezza e le Forze armate sono state sciolte dalle Nazioni Unite perché erano deviate. La grandissima differenza che noto tra questi eventi e quello che succedeva negli anni scorsi, è che, negli anni passati, un evento come quello a Bangui – l’arresto di alcuni “peuls armés” (armati) – avrebbe portato a una reazione violentissima da parte dell’autodifesa, e contro la popolazione di Bangui. Invece questa volta si sono, per così dire, limitati ad attaccare il commissariato, e a prendere esattamente lo stesso numero di ostaggi per poterli poi scambiare. La reazione non coinvolge più la popolazione: credo che questa sia una grande conquista.

D. – C’è anche da dire, eccellenza, che questi episodi vanno dunque letti nell’ambito del passaggio difficile, cruciale, dallo stato di guerra a quello di diritto, e non hanno alcuna matrice religiosa…

R. – No infatti, assolutamente. Non hanno proprio nessuna matrice religiosa. Sono, in parte, episodi di criminalità comune. Quello che è successo al nord era soltanto un fatto di furto di bestiame. Al sud, alle porte di Bangui, è stato un problema di rapporti tra le Forze dell’ordine e le milizie.

D. – Dunque uno scenario in cui si cerca faticosamente di promuovere un clima di serenità, possibilmente di pace, sulla scia anche del viaggio di Papa Francesco proprio nella Repubblica Centrafricana…

R. – Parlare di serenità e di pace mi sembra un po’ eccessivo… Però, certamente, diciamo che non c’è più questo clima di separazione tra le due comunità religiose: questo è superato, nel modo più assoluto. Ormai – chiaramente – il confronto è tra Forze armate dello Stato, anch’esse illegali, e le forze e milizie. La popolazione non si fa coinvolgere. E anche queste forze sanno benissimo che devono cedere il passo alla legalità. Sono i sussulti di un’abitudine presa in tre anni di illegalità e, piano piano, sicuramente questo rientrerà. Il governo ha molto bisogno di essere aiutato, perché non è per niente facile - purtroppo - avanzare su un campo così minato.

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Alfano sulla Brexit: prima dell'Europa solo guerra e distruzione

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''Da quando c'è l'Europa c'è la pace, prima c'era solo la guerra e la devastazione”. Lo ha affermato il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, parlando al Festival del Lavoro, oggi a Roma, in merito alla Brexit. Per gli industriali, l’uscita del Regno Unito dalla Ue potrebbe costare, nel biennio 2016-2017, 0,6 punti di Pil in meno. Il servizio di Alessandro Guarasci

Confindustria vede nero dopo la Brexit. Il costo per l'Italia si traduce nel biennio 2016-2017 in 0,6 punti di Pil e in 81mila unità di occupazione in meno. E' quanto ha stimato il Centro Studi. Vi sarà poi un calo di 154 Euro di reddito pro-capite e 113 mila poveri in più. Meno pessimista invece l’amministratore delegato di Leonardo-Finmeccanica Mauro Moretti, intervenuto oggi al Festival del Lavoro a Roma. Per Moretti c’è un impatto pesante per gli “indici di Borsa, che secondo me non colgono quella che sarà la realtà diversa. In verità noi non avremo effetti particolarmente importanti nel breve né nel medio periodo”. Per il ministro dell’Interno Angelino Alfano bisogna recuperare i valori dei quando fu fondata l’Europa:

"Quando non c’era l’Europa c’erano le guerre, c’erano le devastazioni, c’era la povertà: c’era tutto questo.

Troppe paure, troppi nazionalismi rischiano di far percepire la Ue come un nemico. Ancora Alfano:

"La prosperità non c’è più e c’è la paura della povertà. E la pace viene messa in gioco, perché vediamo attorno ai confini dell’Europa continuamente attentati, bombe, insicurezza, paura. Ecco, che l’Europa è in crisi"

Il ministro Alfano, ripercorrendo poi le tappe della storia dell'Unione europea, spiega che ''dopo Mec, Cee, ci rendiamo conto che il mercato e la moneta non hanno fatto un popolo”. Insomma, la sola economia non è servita ad unire.

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Gioco d'azzardo patologico: l'impegno della Caritas italiana

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Ieri a Roma si è svolto il primo incontro a livello nazionale che ha coinvolto circa 40 Caritas diocesane per fare il punto della situazione riguardo il fenomeno del gioco d’azzardo patologico in Italia. Per l'occasione sono stati presentati i progetti di intervento, le esperienze realizzate e possibili lavori comuni. Fondamentale il ruolo del Governo e del Parlamento Italiano nella lotta alla dipendenza dal gioco d'azzardo per ostacolare e prevenire questa patologia. Gioia Tagliente ne ha parlato con Diego Cipriani, responsabile dell’Ufficio promozione umana di Caritas Italia: 

R. – Questo nuovo problema, che è quello del gioco d’azzardo patologico, sta interessando soprattutto alcune fasce vulnerabili della nostra popolazione; in particolare, preoccupano i giovani e gli anziani. Soprattutto con il gioco on-line, che si sta diffondendo a macchia d’olio un po’ in tutta Italia, sono proprio i giovanissimi – parliamo di adolescenti – che sono i più esposti a questa patologia. E quindi le Caritas diocesane stanno cercando di fare fronte a questa situazione, mettendo in campo le loro forze e l’attenzione soprattutto nei confronti degli altri soggetti che sul territorio possono fare rete. 

D. – Esistono dei progetti di recupero? Qual è l’impegno reale della Caritas e quali sono gli obiettivi già raggiunti? 

R. – Molti dei progetti che le Caritas stanno compiendo sono progetti finanziati con l’8 per mille. In questo caso, si cerca di lavorare soprattutto sulla prevenzione. Ci sono, ad esempio, delle Caritas che hanno organizzato incontri nelle scuole, nelle parrocchie o nei Centri giovanili proprio per animare e sensibilizzare i giovani sui rischi del gioco d’azzardo patologico. Ma ci sono anche delle esperienze che, ad esempio, vanno a incontrare i gruppi degli anziani. Dipendere da questa patologia può provocare rischi, non solo alla salute fisica ma soprattutto alla salute mentale.

D. - Complice una scarsa informazione. Come fare per sensibilizzare di più gli italiani sull’argomento?

R. – Parlandone di più. Se vediamo i giornali, purtroppo notiamo come siano solo alcuni i quotidiani che parlano di queste cose, invece gli altri lo fanno solo con piccoli spazi o quando succede una tragedia. Invece bisogna cercare, e questo lo possono fare non solo i mezzi di comunicazione ma anche le agenzie educative: pensiamo alla scuola, ma anche alle associazioni e alla Chiesa, di mettere in guardia dai pericoli della dipendenza dal gioco d’azzardo patologico. E soprattutto, poi, bisogna fare in modo che anche le leggi e anche le amministrazioni cerchino di porre freno a questo dilagare. Purtroppo, come ha ricordato anche il card. Bagnasco, a maggio, nella prolusione al Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana, lo Stato purtroppo gioca una partita – in questo caso – non sempre chiara. Avevamo sperato – ad esempio – che con le nuove leggi il numero di “slot machine” fosse ridotto, ma in realtà abbiamo visto che è semplicemente aumentati. E quindi chiediamo che anche il Governo e il Parlamento pongano mano alla legislazione in modo tale che lo Stato non ci guadagni, da questo mercato.

D. – Quindi, ci vorrebbe un maggiore impegno da parte del Governo nel prevenire e ostacolare il gioco d’azzardo in Italia?

R. – Si potrebbe dare un maggiore potere ai comuni e alle amministrazioni, in modo tale che sul territorio venga ridotto e vengano rispettati alcuni parametri come ad esempio la distanza da alcuni luoghi sensibili. Non dimentichiamo che se lo Stato dice di guadagnare 8-9 miliardi di euro all’anno da questo mercato del gioco d’azzardo, in realtà poi i costi sociali sono molto superiori, basti pensare ai costi sanitari.

D. – Quali sono i progetti futuri della Caritas in questo senso? 

R. – Stiamo cercando di mettere insieme le esperienze che si stanno diffondendo in tutta Italia. Pensiamo a un coordinamento nazionale di tutte le Caritas diocesane che lavorano su questo, e quindi sotto l’ombrello “Caritas” nascerà prossimamente un progetto nazionale proprio per coordinare lo sforzo che le Chiese in Italia stanno facendo su questa nuova povertà.

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Nella Chiesa e nel mondo



Terra Santa: saluto degli Ordinari cattolici a Padre Pizzaballa

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“La missione che l’aspetta non sarà facile, anzi richiederà sacrificio, dedizione, passione. I problemi pastorali non mancano; ne siamo tutti coscienti. Aprire strade è duro: si tratta di abbassare colli, spaccare rocce, colmare valli e burroni, costruire ponti”. Con queste parole gli Ordinari cattolici di Terra Santa salutano padre Pierbattista Pizzaballa come nuovo amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme. 

Gli Ordinari ricordano il lavoro di Padre Pizzaballa come Custode di Terra Santa
In una lettera ripresa dall'agenzia Sir, gli Ordinari ne ricordano i 12 anni di servizio come Custode di Terra Santa, animando “i frati della Custodia e curando le relazioni ecumeniche con i Patriarcati, greco-ortodosso e armeno-ortodosso”, mostrando “empatia con i poveri, i malati, i rifugiati, gli ultimi” e, in particolare, scrivono gli Ordinari a Padre Pizzaballa, “la tua determinazione nel mantenere la presenza dei Frati della Custodia in zone difficili della Siria”. 

Gli Ordinari pronti a sostenere padre Pizzaballa nel suo nuovo incarico 
“La nostra risposta concreta sarà quella di aprire mente e cuore per facilitare la capacità di incontrarci e di accoglierci gli uni gli altri, noi Pastori nella Chiesa di Cristo. Il nostro comune desiderio di servirsi di tutto e di tutti per aprire strade e costruire ponti ci salvaguarderà dalla tentazione di porre bastoni tra le ruote o di barricarsi dietro inutili campanilismi. Rendiamo grazie al Signore per quello che potremmo fare insieme: la Sua grazia ci basta. Andiamo avanti insieme senza ripensamenti, senza tentennamenti, senza indietreggiare, amandoci sempre ovunque e comunque”. (R.P.)

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Polonia: Messaggio Chiese cristiane su crisi migratoria in Europa

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“I popoli dell’Europa, così come le Chiese del nostro continente, devono oggi fronteggiare la grande sfida della crisi migratoria”. E’ quanto sottolinea il Messaggio delle Chiese cristiane in Polonia firmato ieri a Varsavia da rappresentanti della Chiesa cattolica, quella ortodossa e altre sei Chiese tra vetero-cattoliche e protestanti. Lo riferisce l’agenzia Sir.

Messa alla prova l’idea stessa di collaborazione tra Paesi aderenti all’Ue
“L’attuale situazione ha messo alla prova l’idea stessa di collaborazione tra Paesi aderenti all’Ue”, osservano i leader cristiani polacchi preoccupati per “la polarizzazione delle posizioni riguardo all’efficacia dei metodi adottati per governare la crisi migratoria”. “Il compito delle Chiese è quello di educare i cuori per soccorrere i sofferenti, coloro che fuggono dalle guerre, persecuzioni e morte con delle opere concrete di misericordia”, rammenta il messaggio  sottolineando che “la difesa” della tradizione di ospitalità e “la relativa educazione sono, in Polonia, espressione della sensibilità cristiana e della tradizione nazionale”.

La causa della crisi sono le guerre in Medio Oriente e in Africa
Convinti che “la ragione principale dell’attuale crisi migratoria” siano “le guerre nel Medio Oriente e in Africa”, i rappresentanti delle Chiese cristiane, sottolineano in conclusione “la necessità di pregare per la pace, di continuare gli sforzi di mediazione e di appellarsi incessantemente alla coscienza dei governanti”. (L.Z.)

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Chiesa Usa: riforma dell'immigrazione una questione umanitaria

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"Abbiamo bisogno di una riforma globale dell'immigrazione ora. Non è una questione politica, è una questione di difesa dei diritti umani e di protezione della dignità umana": sono le parole di mons. José Gómez, arcivescovo di Los Ángeles, la circoscrizione ecclesiastica degli Stati Uniti d’America più grande e con il maggior numero di immigrati ispanici e di diverse parti del mondo.

Chiesa chiede di fermare le espulsioni degli immigrati irregolari
L'arcivescovo, secondo quanto riferisce l'agenzia Fides, ha chiesto al Presidente Barack Obama di fermare le espulsioni degli immigrati irregolari, dopo la decisione della Corte Suprema del 23 giugno di confermare lo stop al piano sull’immigrazione di Obama che cerca di dare lo status legale a cinque milioni di immigrati clandestini presenti nel Paese. La Corte Suprema si è pronunciata dopo che 26 Stati, guidati dal Texas, hanno respinto il piano di Obama, ritenendo che il Presidente sia andato oltre ai suoi poteri e abbia stabilito misure che competono al Congresso Nazionale.

Crisi dell'immigrazione è una tragedia umanitaria
Nella sua dichiarazione che porta la data del 26 giugno, l'arcivescovo di Los Angeles afferma che "il costante fallimento della nostra nazione nell’affrontare la crisi dell'immigrazione è una tragedia umanitaria". Tuttavia "è ora il momento di mostrare nuovamente il coraggio della leadership morale e politica". (C.E.)

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Usa. Card. Wuerl: Chiesa ha il diritto di essere ascoltata pubblicamente

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Gli insegnamenti della Chiesa cattolica sull’etica e la giustizia sociale non solo hanno il diritto di essere ascoltati sulla pubblica piazza, ma contribuiscono anche a creare una società migliore per tutti. È quanto affermato dal card. Donald Wuerl, arcivescovo di Washington, intervenuto nei giorni scorsi ad una conferenza organizzata dall’American Enterprise Institute, sul tema: “Il pensiero cattolico e la prosperità umana: cultura e politica”.

Valori umani fondamentali non sono un limite, ma una ricchezza
“Ci sono verità umane fondamentali con le quali dobbiamo misurare e conformare i nostri giudizi e le nostre decisioni legislative – ha sottolineato il porporato, citato dal Catholic News Service – Tuttavia, questa non è un’imposizione di rigidi principi morali, ma semplicemente il riconoscimento di ciò che è giusto o sbagliato, di valori umani fondamentali”. Oggi, ha ribadito il card. Wuerl, alcune questioni fondamentali come razzismo, povertà, discriminazioni e aborto vengono affrontate in modo avulso dal contesto religioso” e ciò porta ad una “società polarizzata”, in cui si riscontra “una scarsa cooperazione per il bene comune”. 

Clima politico sempre più segnato da mancanza di civiltà
Di qui, l’appello del porporato ai politici affinché, nelle loro dichiarazioni, “abbassino il livello dei decibel ed aumentino, invece, il rispetto con il quale si rivolgono a vicenda”, perché purtroppo oggi “il clima politico è sempre più segnato da una mancanza di civiltà”. Quanto ai cattolici, il card. Wuerl li ha esortati “a non identificarsi con gli interessi e le ideologie dei propri partiti, ma con il Vangelo e la Dottrina sociale della Chiesa”, sempre tenendo presente che “la religione ed i principi religiosi aumentano, non diminuiscono, la ricerca del bene comune. Essi arricchiscono, e non minacciano, il pluralismo”.

Politica non è solo potere e denaro, ma è soprattutto bene comune
In quest’ottica, ha aggiunto il porporato, “la politica non può essere solo potere, denaro, opportunità e interessi particolari, senza che a guidarla siano principi di giustizia solidi, morali e sociali”. La buona politica, infatti – ha spiegato il card. Wuerl – è quella che “si traduce in una società buona e giusta, in cittadini virtuosi”, quella che si basa “su presupposti religiosi” e su “imperativi morali che non sono stati creati dall’uomo”. Per questo, i principi morali “non devono essere visti come una minaccia, bensì essere riconosciuti come una benedizione”.

Tutelare la libertà religiosa e di coscienza
Ribadendo, poi, l’impegno della Chiesa cattolica nella difesa della vita e della libertà religiosa, il card. Wuerl ha ricordato l’opposizione dei vescovi statunitensi alla riforma sanitaria, voluta dal Presidente Barack Obama, che costringe gli istituti medici a fornire prestazioni abortive, violando la libertà di coscienza degli operatori cattolici. “Non stiamo chiedendo un trattamento speciale – ha aggiunto il cardinale – Non si tratta di proteggere un privilegio di pochi, ma di esercitare il nostro diritto di prestare servizio in favore dei più piccoli tra i nostri fratelli e sorelle”.

Appello ai giovani: fate la differenza
​Di qui, il richiamo del porporato a riconoscere maggiormente “la dimensione spirituale della vita umana” e l’esortazione, rivolta in particolare ai giovani, a portare i valori religiosi “in ambito politico, medico e imprenditoriale”, perché tutto ciò “può fare la differenza”. (I.P.)

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India: Chiesa piange mons. D’Souza, primo figlio spirituale di Madre Teresa

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La Chiesa indiana piange mons. Henry Sebastian D’Souza, arcivescovo emerito che ha guidato Calcutta dal 1986 al 2002 sostenendo da vicino la missione di Madre Teresa. Il presule, 90 anni, è morto lo scorso 27 giugno nella Vianney Home della capitale indiana. I suoi funerali - riporta l'agenzia AsiaNews - si svolgeranno nella chiesa di san Tommaso. In diverse occasioni si era definito “primo figlio spirituale” della fondatrice delle Missionarie della Carità.

Ha portato avanti il processo di beatificazione di Madre Teresa
Noto per aver “rivoluzionato” lo scenario educativo dell’arcidiocesi, mons. D’Souza è stato sempre un grande sostenitore della futura santa albanese di cui aveva portato avanti il processo di beatificazione. Dopo l’annuncio della canonizzazione, aveva dichiarato ad AsiaNews: “Sono contentissimo che il Santo Padre abbia approvato il secondo miracolo di Madre Teresa. Madre Teresa mi ha sempre detto che lei era la mia mamma e continua questa sua materna protezione per me e per l’umanità intera ancora adesso”.

Aveva raccontato la vita ordinaria e l’amore straordinario di Madre Teresa
 In un altro intervento, sempre su AsiaNews, aveva raccontato da vicino la “vita ordinaria e l’amore straordinario” della Madre, sottolineando gli inizi semplici della missione per “i più poveri fra i poveri” e soprattutto il totale abbandono della religiosa al volere di Dio.

Era stato vescovo nella zona teatro di violentissimi pogrom anti-cristiani
Il compianto presule, prima di arrivare alla guida di Calcutta, era stato il primo arcivescovo di Cuttack-Bhubaneshwar: questa zona è stata teatro di violentissimi pogrom anti-cristiani. Parlando della testimonianza dei fedeli locali, ne aveva lodato il valore: “I nostri cristiani sono morti per la fede, e questo respinge tutte le accuse secondo le quali i convertiti scelgono la Chiesa per motivi economici. La loro forza e il loro zelo, il coraggio per la fede sono una testimonianza ispiratrice che dimostra l’amore per Gesù Cristo”. (N.C.)

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Vescovi Sudafrica: mai dare la pace per scontata

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La pace non deve mai essere data per scontata: questo il monito lanciato da mons. Abel Gabuza, vescovo di Kimberly, in Sudafrica, e presidente della Commissione Giustizia e pace della Conferenza episcopale locale. “Per mantenere la riconciliazione nazionale – ha spiegato il presule, citato dall’agenzia cattolica Cisa – c’è bisogno della responsabilità di tutti i cittadini e della maturità politica dei leader politici, soprattutto in periodo elettorale”. Il prossimo 3 agosto, infatti, il Sudafrica andrà alle urne per le elezioni amministrative.

Appello ai giovani: non lasciatevi strumentalizzare dai partiti
Esprimendo, poi, preoccupazione per l’aumenti del clima di violenza e di intolleranza nel Paese, mons. Gabuza si è detto rammaricato per il fatto che “le istituzioni non abbiano condannato, in modo chiaro e netto, le recenti violenze e gli omicidi avvenuti nel Paese, a causa di scontri tra i diversi schieramenti politici”. Di qui, l’appello lanciato in particolare ai giovani affinché “non si lascino strumentalizzare dai partiti, il cui interesse primario è sempre il potere”.

6 luglio: Giornata di preghiera per elezioni pacifiche
Agli aventi diritto al voto, inoltre, il vescovo di Kimberly raccomanda di guardare a quei candidati che “hanno il coraggio di schierarsi contro l’avidità ed i clientelismi politici”. Infine, il presule invita tutti i fedeli a partecipare ad una Giornata di preghiera per elezioni pacifiche, che si terrà a Durban, il prossimo 6 luglio. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 183

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.