Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 03/07/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa all'Angelus: Dio converta il cuore dei violenti accecati da odio

◊  

Nel giorno del dolore profondo che vede piangere le “vittime innocenti” di due stragi terroristiche venerdì a Dacca in Bangladesh e stamane a Baghdad in Iraq, il Papa all’Angelus ha invocato da Dio la conversione dei violenti. Ha quindi ricordato ai cristiani l’importanza di portare a tutti un messaggio di speranza, consolazione, pace e carità. Il servizio di Roberta Gisotti

“Esprimo la mia vicinanza ai famigliari delle vittime e dei feriti dell’attentato avvenuto ieri a Dacca e anche a quello avvenuto a Baghdad. Preghiamo insieme. Preghiamo insieme per loro, per i defunti e chiediamo al Signore di convertire il cuore dei violenti accecati dall’odio”.

Nella catechesi prima dell’Angelus, Francesco, ispirato dal Vangelo domenicale, ha rimarcato come  Gesù ci abbia ‘avvicinato’  Dio:

“Dio si è fatto uno di noi, in Gesù, Dio regna in mezzo a noi, il suo amore misericordioso vince il peccato e la miseria umana”.

“Questa è la Buona Notizia” che gli “operai della messe”, “i missionari del Regno di Dio”, “devono portare a tutti”:

“un messaggio di speranza e di consolazione, di pace e di carità”.

Ha quindi spiegato:

“Tutto questo significa che il Regno di Dio si costruisce giorno per giorno e offre già su questa terra i suoi frutti di conversione, di purificazione, di amore e di consolazione tra gli uomini. È cosa bella, eh! Costruire giorno per giorno questo Regno di Dio che si va facendo. Non distruggere, costruire”.

Ma con quale spirito il discepolo di Gesù dovrà operare?

“Anzitutto dovrà essere consapevole della realtà difficile e talvolta ostile che lo attende. Infatti Gesù dice: ‘Vi mando come agnelli in mezzo a lupi’, chiarissimo. L’ostilità che è sempre all’inizio delle persecuzioni dei cristiani, perché Gesù sa che la missione è ostacolata dall’opera del maligno.

Come raccomanda Gesù, si sforzerà “di essere libero da condizionamenti umani” “non portando borsa, né sacca, né sandali”, “per fare affidamento soltanto sulla potenza della Croce di Cristo”.

“Questo significa abbandonare ogni motivo di vanto personale di carrierismo o fama di potere e farsi umilmente strumenti della salvezza operata dal sacrificio di Gesù.”

“Quella del cristiano nel mondo – ha sottolineato Francesco - è una missione stupenda e destinata a tutti, nessuno escluso”:

“C’è tanto bisogno di cristiani che testimoniano con gioia il Vangelo nella vita di ogni giorno”.

Poi un omaggio alla dedizione di tanti uomini e donne che quotidianamente annunciano il Vangelo: sacerdoti, bravi parroci, suore, consacrate, missionarie, missionari e una domanda diretta  

“Quanti di voi giovani che adesso siete presenti oggi nella piazza, sentono la chiamata del Signore a seguirlo? Non abbiate paura! Siate coraggiosi e portare agli altri questa fiaccola dello zelo apostolico che ci è stata data da questi esemplari discepoli.

Infine dopo la preghiera mariana, il Papa ha richiamato nell’Anno Santo della Misericordia la figura di Santa Maria Goretti, di cui la Chiesa celebra la memoria il 6 luglio

“…la ragazza martire  che prima di morire perdonò il suo uccisore.  Questa ragazza merita un applauso di tutta la piazza.”

inizio pagina

Papa a La Nacion: Benedetto XVI, un rivoluzionario. Nessun problema con Macri

◊  

“Benedetto XVI è stato un rivoluzionario. La sua rinuncia è stata il suo ultimo atto di governo”: così Papa Francesco, in un’intervista rilasciata al quotidiano argentino “La Nacion”. Nel colloquio, il Pontefice affronta temi specifici del suo Paese d’origine, ribadendo di non avere “alcun problema con il presidente Macri”. Il servizio di Isabella Piro: 

Rinuncia di Benedetto XVI non dovuta a questioni personali

È martedì 28 giugno quando Papa Francesco rilascia l’intervista al quotidiano argentino “La Nacion”. Ed è proprio il giorno in cui Benedetto XVI celebra, pubblicamente, i suoi 65 anni di ordinazione sacerdotale. “Un rivoluzionario”, lo definisce Papa Bergoglio: “La sua generosità è stata impareggiabile. La sua rinuncia, che rese palesi tutti i problemi della Chiesa, non ha avuto nulla a che fare con questioni personali. È stato un atto di governo. Il suo ultimo atto di governo". Riguardo allo stato di salute del Papa emerito, Francesco sottolinea: "Ha problemi per muoversi, ma la sua mente e la sua memoria sono intatte, perfette."

Nessun problema con Macri. Non mi piacciono i conflitti
Poi, l’intervista si sposta sulla realtà dell’Argentina, in particolare sui rapporti tra il Pontefice ed il presidente Mauricio Macri. Rapporti che il clima politico argentino presuppone freddi, distaccati. Ma Francesco afferma: “Non ho alcun problema con il presidente Macri. Non mi piacciono i conflitti. Macri mi sembra una persona di buona famiglia, una persona nobile”. Ricorda, poi, di aver avuto qualche confronto con lui in passato, ma si è trattato di “una sola volta, a Buenos Aires”, durante i sei anni in cui Macri è stato a capo del governo della città e Bergoglio ne è stato arcivescovo. “Una sola volta in tanto tempo è una media molto bassa”, sottolinea il Papa. Altri problemi, aggiunge, “sono stati discussi e risolti in privato e questo accordo di riservatezza è stato rispettato da entrambi”. “Non ho alcun rimprovero personale da fare al presidente Macri”, ribadisce.

L’udienza con Hebe de Bonafini, leader della Madri di Plaza de Mayo
Il Papa risponde, poi, ad una domanda sull’udienza concessa ad Hebe de Bonafini: la donna è leader del ramo più intransigente delle Madri di Plaza de Mayo ed in passato ha criticato Papa Francesco accusandolo, falsamente, di aver collaborato con il regime militare. La donna si è poi ricreduta ed ha ammesso pubblicamente di aver sbagliato. L’udienza concessale “è stato un gesto di perdono – spiega Francesco – Lei mi ha chiesto perdono ed io non glielo ho negato”, perché il perdono “non si nega a nessuno”. “È una donna – aggiunge – alla quale hanno ucciso due figli. Ed io mi inchino, mi inginocchio davanti a tanta sofferenza. Non importa ciò che ha detto di me. Ed io so che ha detto cose orribili, in passato”.

Sala Stampa vaticana, unico portavoce del Papa
Riguardo alle voci sulla presenza, in Argentina, di un portavoce vaticano diverso dalla Sala Stampa, Francesco spiega: “Non ci sono altri portavoce ufficiali, né in Argentina, né in altri Paesi. Lo ripeto: la Sala Stampa del Vaticano è l’unica portavoce del Papa”. Un’ulteriore domanda riguarda le Scholas Occurrentes, la Fondazione privata, riconosciuta dalla Santa Sede, nata a Buenos Aires oltre 15 anni fa per impulso dell’allora arcivescovo Bergoglio ed impegnata nella formazione dei giovani. Recentemente, il Pontefice ha invitato i responsabili dell’organismo a non accettare una donazione in denaro da parte del governo.

Le Scholas Occurrentes
Ma non si è trattato di una decisione “contro il governo di Macri”, sottolinea il Papa: “Questa interpretazione è assolutamente sbagliata. Non alludevo in alcun modo al governo. Ho solo detto ai responsabili delle Scholas, con affetto, ciò che potesse aiutarli ad evitare eventuali errori nella gestione della Fondazione”. “Continuo a credere – spiega infatti il Papa – che non abbiamo il diritto di chiedere soldi al governo argentino che ha tanti problemi sociali da risolvere”. 

Voglio una Chiesa aperta e comprensiva
Infine, rispondendo ad una domanda sugli “ultraconservatori della Chiesa”, Papa Francesco afferma: “Loro fanno il proprio lavoro e io faccio il mio. Io desidero una Chiesa aperta, comprensiva, che accompagni le famiglie ferite. Loro dicono no a tutto. Io continuo dritto per la mia strada, senza guardare di lato. Non taglio teste. Non mi è mai piaciuto farlo. Lo ribadisco: rifiuto il conflitto. I chiodi si rimuovono facendo pressione verso l'alto. Oppure si lasciano da parte per il riposo, quando arriva l'età del pensionamento".

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Iraq. L’Is rivendica gli attacchi a Baghdad, 91 morti

◊  

All’alba di oggi la capitale irachena è stata scossa da due distinti attentati con un bilancio, ancora provvisorio, di  91 morti e 176 feriti.  Gli attacchi sono stati rivendicati dal sedicente Stato  Islamico, che in una nota afferma di aver voluto colpire musulmani sciiti. Sentiamo il Servizio di Marco Guerra: 

Famiglie a passeggio nei mercati e nelle zone commerciali dopo il digiuno osservato durante il giorno per via del Ramadan. Questo il chiaro obiettivo dei due efferati attacchi esplosivi verificatesi nelle prime ore di questa domenica a Baghdad. Il più sanguinoso è stato condotto con un’autobomba nel quartiere di Karrada, al centro della capitale, 86 le persone uccise, 160 i feriti, molte vittime tra i bambini. I vigili del fuoco hanno lavorato per ore per spegnere gli edifici incendiati. Nel secondo attentato un ordigno è esploso nella parte est della città,  uccidendo cinque persone e ferendone 16. Il primo ministro Al Abadi è stato contestato durante la visita sul luogo della prima esplosione dalla popolazione che chiede maggiore sicurezza. Intanto il sedicente Stato Islamico  ha rivendicato queste azioni che arrivano poco più che una settimana dopo la completa riconquista di Falluja da parte delle forze irachene. Nel corso degli ultimi mesi il Califfato ha perso il controllo di diverse località, tra cui la città di Ramadi e la vasta provincia di Anbar ad ovest di Baghdad. Si stima che ora l’Is controlli solo il 14 per cento del territorio iracheno. Queste sconfitte non hanno però intaccato la capacità dei miliziani dell’Is di colpire duramente oltre le linee del fronte.

inizio pagina

Strage Dacca: gli attentatori ragazzi del Bangladesh di buona famiglia

◊  

Italia e Giappone piangono le vittime dell’assalto terroristico a Dacca. I due Paesi contano rispettivamente 9 e 7 delle 20 vittime della strage avvenuta in un ristorante della capitale del Bangladesh. E stamani a Dacca è arrivato l’aereo con a bordo il personale della unità di crisi della Farnesina che riporterà in Italia le salme. Intanto emerge che il commando di integralisti era composto da sei giovani appartenenti a famiglie agiate del posto. Il governo parla di un gruppo locale ed esclude infiltrazioni dell’Is, ma il Califfato ha già rivendicato l’azione. Sui reali collegamenti tra l’estremismo nel Paese asiatico e lo Stato Islamico Marco Guerra ha intervistato Francesca Manenti, responsabile del settore Asia del CeSi ( Centro Studi Internazionali): 

R. - I simboli, i luoghi di raccoglimento, di ritrovo dei cittadini stranieri diventano sempre più spesso oggetto di quello che poi vuole essere un rifiuto di un modello ed il tentativo di lanciare un messaggio di riconoscimento a livello internazionale.

D. - Il sedicente Stato islamico sta arretrando sul terreno in Siria ed in Iraq, però mostra una capacità d’azione o quanto meno di attrazione in altri Paesi  ancora molto forte se non ancora più forte …

R. -Sì, è necessario fare una distinzione tra quella che è la forza operativa dello Stato islamico sul terreno in Siria ed in Iraq, quindi la dimensione fisica dello Stato islamico che va avanti con ondate alterne, e il modello che lo Stato islamico e  la forza propagandistica  che questo continua ad avere verso tutta quella serie di panorami fondamentalisti e jihadisti in contesti diversi, anche geograficamente molto lontani,  che guardano allo Stato islamico come al nuovo grande attore del terrorismo internazionale in grado di dare da una parte legittimità, e quindi aumentare la capacità di reclutamento di questi gruppi all’interno del proprio territorio nazionale, e dall’altra anche la capacità di finanziarsi quindi di rendere disponibili una serie di mezzi, di uomini e di risorse che diversi gruppi sperano di poter carpire per poter rafforzare quella che è poi l’efficacia della propria agenda nazionale.

D. - Infatti abbiamo visto che il fondamentalismo cresce in tutti i Paesi a prevalenza musulmana. Anche quelli non coinvolti in guerre interne o in conflitti esterni con Paesi occidentali. C’è quindi da temere un’escalation?

R. - Il fondamentalismo sta trovando sempre maggior spazio in quei contesti in cui i governi centrali non sono in grado di dare una risposta unitaria alla popolazione e     quindi creano delle sacche di insoddisfazione che sfociano poi in movimenti di opposizione violenta. Questo accade in Paesi dove l’islam è la religione praticata dalla maggioranza della popolazione ma anche in altri contesti. Basti pensare ad esempio alle Filippine, dove le isole del sud, le regioni del Mindanao, che da sempre sono l’enclave di movimenti indipendentisti, stanno rafforzando, stanno cercando di avere una maggiore affiliazione con lo Stato islamico per riunirsi sotto uno stesso cappello e dare nuovamente lustro a quella che è la propria battaglia. Quindi sono dinamiche che poi si inseriscono in un contesto di lotta politica indipendentista nazionale.

D. - Quindi tutta la parte sud dell’Asia è coinvolta da questo fenomeno. Abbiamo visto che i ragazzi che hanno condotto questa azione sono stati ritratti con le bandiere dello Stato islamico …

R. - Sì, il Bangladesh in questo momento sta diventando il luogo di scontro tra le due grandi organizzazioni del terrorismo internazionale la vecchia guarda al Qaeda e, possiamo dire, le nuove leve dello Stato islamico. Ancora una volta là dove il governo centrale non riesce ad essere efficace e non riesce ad essere riconosciuto come autorità legittima in modo trasversale alla popolazione, è più facile che le frange fondamentaliste decidano di unirsi al jihad internazionale per avere una maggiore efficacia e anche una sorta di maggiore legittimità. L’asia meridionale e il sud-est asiatico sono sempre stati interessati da una simpatia verso il jihad internazionale; sono sempre stati presenti dei gruppi o degli ambienti che, prima con al Qaeda ed ora sempre più con lo Stato islamico, hanno cercato di inserirsi in questo discorso; pensiamo all’Indonesia e ancora una volta alle Filippine e ovviamente il contesto Afghanistan e Pakistan è noto a tutti. Al momento è difficile poter parlare di collegamenti diretti tra la leadership irachena del nuovo califfato e i gruppi locali. È una simpatia, però, che sta portando delle recrudescenze di violenze di matrice religiosa. Questo è indubbio.

inizio pagina

Onu: Myanmar, nuove speranze per i Rohingya dal nuovo governo

◊  

Un rapporto sul Myanmar dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani evidenzia in particolare la critica situazione che vive la comunità musulmana dei Rohingya, proponendo azioni a lungo termine al nuovo governo, in carica dal febbraio 2016, dopo una lunga periodo dittattura militare durata oltre mezzo secolo, dal 1962.  Al microfono di Valentina Onori, parla Ravina Shamdasani, portavoce dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani: 

R. – In the Report that was just published by the United Nations Human Rights Office …

Nel Rapporto dell’Ufficio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite abbiamo documentato una vasta gamma di violazioni e abusi dei diritti umani. La comunità musulmana dei Rohingya, nello Stato del Rakhine in Myanmar, subisce la privazione arbitraria della nazionalità, la limitazione della libertà di movimento, minacce alla vita e alla sicurezza, la negazione al diritto alla salute e all’educazione e la limitazione dei diritti politici. Circa 120.000 Rohingya musulmani vivono dal 2012 nei cosiddetti “Idp Camps” (campi per sfollati interni) situati in varie parti dello Stato.

D. – Quali sono le condizioni in questi campi?

R. – The conditions in the camps are quite bad …
Le condizioni nei campi sono abbastanza gravi. Non c’è assistenza sanitaria, ci sono casi di malattie gravi che mettono a rischio la vita delle persone. A causa delle limitazioni alla loro libertà di movimento non possono accedere facilmente ai servizi di assistenza sanitaria. In alcuni casi devono andare in altri campi per usufruire dei servizi ospedalieri, anche nelle situazioni di emergenza. Per poter entrare in un altro campo hanno bisogno di un permesso speciale. Quindi la situazione è veramente disastrosa.

D. – Quali sono le indicazioni che il Rapporto vorrebbe dare al  governo birmano?

R.  -  We are very encouraged because there is a new government …
Noi siamo molto fiduciosi perché il nuovo governo, pur avendo ereditato problemi gravi in fatto di diritti umani, soprattutto quando si parla delle minoranze del Paese, vediamo che ha iniziato con un approccio molto costruttivo alla soluzione di questi problemi. Stanno interagendo con l’Onu e con altri attori esterni per risolvere la situazione. Non sarà facile capovolgere la discriminazione dominante ormai portata avanti da decenni in Myanmar. Tuttavia, questo Rapporto contiene alcune raccomandazioni sintetiche e molto concrete che consentono di intervenire immediatamente: si tratta di azioni che si possono compiere immediatamente per cercare, quantomeno, di limitare l’estensione delle violazioni. Nel frattempo è necessario implementare azioni a lungo termine che aiutino a invertire le discriminazioni contro queste comunità.

D. – Qual è un primo passo che potrebbe fare il governo birmano per riconoscere questa minoranza etnica?

R. – One of the problems it is that there are number of local orders …
Uno dei problemi è che ci sono un certo numero di disposizioni che sono state emanate dalle istituzioni locali per restringere i diritti di queste comunità. Un primo passo da parte del governo birmano sarebbe quello di revocare queste disposizioni locali per garantire che le misure discriminatorie non siano incrementate. Un altro passo riguarda le restrizioni relative all’accesso all’educazione e a certe professioni. Questo tipo di divieti discriminatori devono essere rimossi immediatamente e nello stesso tempo si devono presentare programmi esaurienti per risolvere la situazione. Ma la cosa importante è che questi programmi non devono essere imposti a queste comunità ma, al contrario, devono essere coinvolte nella realizzazione e nell’attuazione di questi progetti.

inizio pagina

In un volume l'impegno anti-mafia della Chiesa calabrese

◊  

“La ‘ndrangheta è l’antievangelo”: si intitola così il volume pubblicato in questi giorni da Tau Editrice che raccoglie molti dei documenti e pronunciamenti delle Chiese di Calabria in materia di contrasto alla criminalità organizzata, negli ultimi cento anni.  Nella presentazione, mons. Vincenzo Bertolone, presidente della Conferenza episcopale calabra e arcivescovo di Catanzaro-Squillace, attesta che le Chiese calabresi hanno camminato tra la gente, in una terra bella e amara, cercando insieme di “individuare percorsi coraggiosi per una purificazione della religiosità”. E ancora l'arcivescovo scrive: “Là dove la priovra della criminalità organizzata attecchisce e miete ancora vittime, la Chiesa dichiara di possedere l’antidoto al veleno mafioso, convinta che non basti denunciare, prevenire, punire, ma che occorra annunciare da capo il Vangelo…”. Ma sentiamo lo stesso mons. Bertolone intervistato da Federico Piana: 

R. – Gli uomini o le donne di mafia, di camorra o di ‘nrangheta affiliati a queste organizzazione malavitose si collocano fuori dalla Chiesa, ma spesso continuano a partecipare alla vita delle comunità cristiana a livello di religiosità, a livello di devozione popolare, chiedono di fungere da padrini o da madrine, chiedono i sacramenti per i propri figli. In questo senso, essi scimmiottano la vera fede e quindi sono come un veleno, una zizzania nel campo del buon grano che rappresenta la Chiesa. Il buon grano non può fare da eco o da cassa di risonanza di un modo di fare pagano anche se si ammanta di pensieri biblici o del comparaggio nei sacramenti dell’iniziazione cristiana. Bisogna perciò chiedersi il motivo della coesistenza della mala pianta, della zizzania appunto, cioè della criminalità organizzata nelle sue varie forme e metamorfosi con il buon grano. In questo modo la Chiesa aiuta il cristiano a non fare mai eco alle pretese e alle richieste mafiose, smascherandone piuttosto la pseudoreligiosità e l’agire pagano, senza invadere il campo specifico della prevenzione e della repressione penale dei responsabili dei delitti di mafia.

D. - Dalla Chiesa del silenzio si è arrivati alla Chiesa che parla, che interpella e che denuncia. Questo lo possiamo vedere in questo libro che parla chiaro

R. - Cento anni di documenti: quella che fino alla svolta del Concilio Ecumenico Vaticano II veniva da molti ancora definita “la Chiesa del silenzio” di fronte a certi fenomeni criminali, è diventata la Chiesa che parla, che invita al rispetto della legge degli uomini e di Dio; invita alla vita buona del Vangelo. Ricordo solo due memorabili testi: quello dell’89 che sollecitava tutti a riorganizzare la speranza e quello del ’91 “Educare alla legalità”, un documento bellissimo, forte, significativo; era un grido d’allarme per l’Italia e, di lì a poco, Tangentopoli avrebbe dimostrato la bontà di quel documento.

D. - Un cammino quello della Chiesa calabrese fatto di vera lotta per una terra bella e amara …

R. - È di esattamente cento anni fa quella Lettera pastorale collettiva dei vescovi calabresi per la Quaresima del 1916, dove in embrione ma con chiarezza si pongono già le basi per una catechesi di purificazione della pietà popolare. Tra i punti deboli venivano significativamente indicati le processioni, il ruolo dei padrini, la scarsa formazione del clero, debolezze che i vescovi individueranno nei documenti successivi nei quali gradualmente, ma sempre con più chiarezza, prendono pubblicamente le distanze dalla degenerazione, soprattutto da ciò che era connotato come fenomeno di tipo mafioso e criminale. L’azione pastorale corale dei vescovi, la presa di posizione pubblica della Conferenza episcopale calabra, ma anche quella dei singoli presuli nelle diocesi, apriva nuove strade insieme alla denuncia, all’esame del fenomeno, all’impegno di arginare la criminalità battendo le vie preventive dell’educazione e della formazione, soprattutto quella testimonianza cristiana personale e comunitaria. È interessante vedere come la storia di questo impegno ci fa assistere ad un vero e proprio magistero sociale di lotta e di purificazione dei vescovi calabresi. Ritengo che tanto è stato scritto e fatto, ma molto resta da fare. Per esempio, c’è da lavorare molto sulle confraternite: per formare i seminaristi, la Conferenza episcopale calabra ha istituito dei corsi di formazione per il clero, per i fedeli. E tutto ciò per avere uomini che siano autentici testimoni di Cristo, cioè credenti, coerenti, credibili.

Sul volume “La ’ndrangheta è l’antievangelo”, Adriana Masotti ha intervistato don Giovanni Scarpino, direttore regionale dell’ufficio Comunicazioni sociali e cultura della Conferenza episcopale della Calabria, tra i curatori del testo: 

R. – Guardi, si tratta di un’antologia … Siamo partiti dal 1916 per rileggere come negli ultimi 100 anni la Conferenza episcopale calabra si sia espressa sulla ‘ndrangheta, contro la 'ndrangheta e contro tutto ciò che ostacola l’annuncio del Vangelo. E proprio in questi ultimi tempi, soprattutto in questi ultimi decenni, è un tema ancor più acceso. Anche in merito ad alcuni eventi accaduti in Calabria, i vescovi hanno dovuto prendere la parola in modo forte, da pastori, per aiutare il popolo a discernere ciò che è vicino al Vangelo da ciò che è lontano dal Vangelo.

D. – E infatti, già il titolo dice molto: “La ‘ndrangheta è l’antievangelo”. C’è stato un percorso, immagino, per arrivare a questa denuncia così forte …

R. – Certamente. Diciamo che il sistema criminale c’è sempre stato, in Calabria: parliamo dall’epoca del brigantaggio fino a oggi. Però, in quest’ultimo secolo questi documenti sono proprio un pronunciamento ufficiale della Chiesa calabrese dinanzi al fenomeno mafioso-‘ndranghetista, che cerca in ogni momento di ottenere consensi, riconoscimenti pubblici, servendosi anche a volte delle realtà ecclesiali, come le processioni e le tradizioni popolari. Quindi i vescovi si sono pronunciati ufficialmente in tante occasioni, e il volume si apre proprio con la prima lettera pastorale della Quaresima del 1916, dove, in embrione ma con chiarezza, si pongono le basi per una purificazione della pietà popolare. L’azione dei vescovi è proprio questa presa di posizione pubblica, ma anche nelle singole diocesi, un insieme di denunce sull’esame del fenomeno ‘ndranghetista. Quindi l’impegno di arginare la criminalità, battendo le vie educative e soprattutto quelle della testimonianza cristiana, personale e comunitaria. In questi documenti emerge il magistero sociale dell’episcopato calabro, che ha trovato – soprattutto nella Settimana sociale delle Chiese in Calabria nel 2006, e anche nei convegni ecclesiali – il culmine di una riflessione avviata già da decenni; una riflessione partecipata, condivisa. Quindi, una sola voce – della Conferenza episcopale – contro questa realtà triste e amara.

D. – Si può dire che si raccolgono già alcuni frutti di questa maggiore consapevolezza, di questa denuncia, di questa sensibilizzazione?

R. – Io penso di sì. Se noi pensiamo che una regione ecclesiastica ha prodotto un Direttorio su come gestire anche la pietà popolare, tutti questi eventi, soprattutto radicati al Sud, è proprio questa ricerca e questa volontà di camminare insieme in un’unica Chiesa, quella di Cristo: penso che questo sia un prezioso contributo nella lotta contro la mafia.

D. – Nelle diocesi calabresi sono nate anche iniziative di educazione con i giovani o di utilizzazione di beni confiscati alla mafia?

R. – Guardi, tanto è l’impegno delle singole diocesi! I vescovi calabresi, soprattutto nella fascia del reggino, nella parte jonica, hanno costituito tante realtà educative, che soprattutto aiutano alla testimonianza cristiana: che sia il lavoro, che sia la formazione, hanno creato delle vere e proprie strutture di educazione alla fede, proprio per inculturare la fede in quei luoghi dove forse o non c’era mai stata, oppure è stata smarrita. Frutto, anche, di tutto questo lavoro è il corso che hanno pensato per i futuri presbiteri di Calabria: in tutti gli istituti teologici regionali viene messo in luce ai futuri presbiteri un esame su questo fenomeno, proprio riguardo al’impegno di arginare la criminalità battendo le vie educative, soprattutto quelle della testimonianza.

inizio pagina

Festival del Lavoro: più attenzione ai giovani e alle famiglie

◊  

Si è conclsa a Roma la settima edizione del Festival del Lavoro. Un’occasione importante per discutere sui temi di attualità che riguardano il mercato del lavoro in continuo cambiamento e promuovere politiche che velocizzino i processi di integrazione dei giovani nelle attività economiche. Giovedì scorso l'incontro con il Papa durante l'udienza giubilare in Piazza San Pietro. Al microfono di Valentina Onori, Marina Calderone, presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro fa un bilancio del Festival: 

R. – Abbiamo cercato di attuare il messaggio del Santo Padre. Lui ci ha detto: “Dovete avere un ruolo non assistenziale, ma di promozione”. La promozione della dignità del lavoro e nel lavoro, è il compito della nostra categoria. Lo abbiamo fatto in una tre giorni di momenti di confronto e di convegni, a cui ha partecipato tutto il mondo delle istituzioni, della politica, dell’impresa e delle rappresentanze sindacali dei lavoratori: tutti coloro i quali, insieme, contribuiscono ad individuare le scelte del futuro.

D. – Quali sono le iniziative principali che sono emerse?

R. – Bisogna ancor di più dare attuazione alla linea di tendenza di investire per accompagnare e riaccompagnare al lavoro le persone. È un cambio di mentalità importante. Credo che coincida anche con un cambio culturale del nostro Paese: un Paese che ha sempre vissuto nell’ottica degli ammortizzatori sociali di tipo tradizionale, quindi del sostegno al reddito, finalizzato al sostegno, a volte, di un posto di lavoro che non esiste più. E che invece ha investito poco sulla promozione, sulle politiche attive, sull’integrazione dei giovani, e sulla loro preparazione.

D. – Quali sono queste politiche attive?

R. – Quelle che servono per accompagnare chi il lavoro non l’ha mai avuto, ad entrare nel mondo del lavoro attraverso un orientamento e una profilazione delle competenze professionali del soggetto; e poi riaccompagnare chi magari il lavoro lo ha perso, ed è troppo giovane per poter andare in pensione.

D. – Quanto pensa che ci sia aderenza al territorio e alla situazione reale del Paese, tra questi enti e le persone che cercano lavoro?

R. – Il tema dei temi è proprio questo: far sì che i cittadini ricevano una corretta informazione, che quindi siano informati sugli strumenti che le norme mettono loro a disposizione. E poi bisogna lavorare sul coinvolgimento dei vari soggetti. In Italia, in materia di lavoro, abbiamo spesso scontato il difficile connubio e dialogo tra i tanti centri decisionali. Allora, fare sintesi e mettere in sinergia i soggetti che operano nel mondo del lavoro: serve per dare la corretta informazione, raggiungere i lavoratori, informarli, ma soprattutto orientarli.

D. – C’è stato anche un rilancio della semplificazione…

R. – Abbiamo fatto degli interessanti confronti tra la burocrazia italiana e ciò che oggi avviene in Europa. Quando noi italiani parliamo di burocrazia, non conosciamo l’entità di quella europea, che invece è la summa di tutte le burocrazie dei 28 Paesi. La richiesta che ancora una volta esce forte da questo Festival è invece quella di "sburocratizzare" i processi: renderli più fluidi e comprensibili per i cittadini; ma soprattutto far sì che anche le norme di legge siano scritte in modo più comprensibile.

D. – Per quanto riguarda gli incentivi e le agevolazioni fiscali alle famiglie?

R. – Credo che la famiglia sia un soggetto che vada assolutamente sostenuto, con una fiscalità di vantaggio e anche con la possibilità di dare, soprattutto alle donne, che molto spesso devono scegliere se lavorare o farsi carico della cura dei propri familiari, la possibilità di integrarsi lavorativamente. Perché la nostra società mette a disposizione degli strumenti che si traducono certamente in servizi di qualità e di cura alla persona, ma soprattutto anche in agevolazioni e quindi in sconti importanti. Ma questo si può fare solo se si rivede anche l’incidenza del costo del lavoro delle imprese: nel momento in cui un lavoratore percepisce 1000 euro, e all’azienda costa il 115% in più, è evidente che poco rimane all’impresa da poter investire in termini di welfare e di contrattazione decentrata, che fornisca anche servizi aggiuntivi, che non siano solo la remunerazione da contratto collettivo nazionale di lavoro.

inizio pagina

Aumentano migranti "qualificati" dall'Italia e in Italia

◊  

I giovani italiani tendono sempre più a emigrare e gli immigrati non trovano un lavoro adeguato al loro livello d’istruzione. Sono due dati illustrati dalla ricerca “Le migrazioni qualificate in Italia”, realizzata dall’Istituto di studi politici S. Pio V con la collaborazione del Centro Idos e recentemente presentata a Roma. Il servizio di Fabio Colagrande

Aumenta il numero dei laureati italiani che emigrano all’estero, mentre sono pochi quelli che rimpatriano. Al contempo, è aumentato il numero dei laureati stranieri residenti in Italia. Ma per entrambe le categorie il Belpaese resta una terra inospitale dal punto di vista professionale. Franco Pittau ha curato la ricerca per il Centro studi Idos:

“Le condizioni del mercato lavorativo italiano purtroppo impongono a persone di per sè qualificate che potrebbero fare di più, di andare all’estero. Un laureato che va all’estero, è sempre un emigrato qualificato. Ha un titolo di studio qualificato e molte volte va a fare il cameriere a Londra o qualcosa di simile. Lo stesso avviene per gli stranieri in Italia”.

Lo studio rivela dati sorprendenti sul livello d’istruzione degli immigrati che sfatano alcuni luoghi comuni. Ancora Pittau:

“Noi siamo arrivati alla conclusione che sono circa 450mila gli italiani laureati all’estero e sono più di 500mila i cittadini stranieri in Italia. Abbiamo scoperto che il livello di istruzione degli stranieri è più elevato di quello degli italiani”. 

Persone con alti livelli d’istruzione e formazione – dice lo studio - non trovano adeguati sbocchi nel mercato occupazionale a causa degli scarsi investimenti in istruzione, ricerca, sviluppo e cultura, che in Italia sono sotto la media Ue. Benedetto Coccia ha curato il dossier per l’Istituto S. Pio V:

“L’insufficenza del sistema di ricerca e di sviluppo in Italia che è espresso chiaramente dal rapporto tra investimenti in questi ambiti e Pil che in Italia è molto inferiore al resto dell’Europa, comporta da un lato la necessità dei nostri giovani di andare a proseguire gli studi o a mettere a frutto gli studi fatti in Italia all’estero, dall’altro l’incapacità del sistema Italia di intercettare e valorizzare i talenti e le qualifiche che arrivano nel nostro Paese attraverso l’immigrazione”.

L’obiettivo cui puntare è dunque una circolazione fruttuosa dei ‘cervelli’ che consenta spostamenti per scelta e non obbligati, attraverso un mercato del lavoro più attrattivo che permetta l’inserimento anche degli immigrati qualificati. Ancora Benedetto Coccia:

“Bisognerebbe far sì che l’Italia torni ad essere un luogo nel quale la ricerca sia di ricercatori italiani ma anche con grande apertura a quelli stranieri, possa portare frutto”.

inizio pagina

Buco dell'ozono in progressiva riduzione: è traguardo storico

◊  

Traguardo storico per il buco dell’ozono nell’Antartide che finalmente comincia a ridursi registrando un'inversione di tendenza rispetto al 2000 in cui aveva raggiunto il picco dell'estensione. I dati sono stati forniti da una ricerca coordinata dal Massachusets Institute of Technology (Mit) e pubblicati sulla rivista Science. Gioia Tagliente ne ha parlato con Giampiero Maracchi, ordinario di climatologia presso l'Università di Firenze: 

R. – Per quanto riguarda l’ozono, ha funzionato abbastanza bene la Convenzione di Montreal del 1985, che vietava l’uso di una serie di gas: in particolare quelli che si usano nei sistemi refrigeranti, che si legano con l’ozono diminuendone quindi la quantità. Da questo punto di vista, la Convenzione di Montreal ha in qualche modo bloccato questo fenomeno.

D. – Qual è l’effetto dell’ozono?

R. – Ha un effetto importante in stratosfera, perché blocca una quantità della radiazione ultravioletta. Quest’ultima, se passa in eccesso l’atmosfera nella zona della stratosfera, può poi creare dei problemi, e in particolare per quanto riguarda i tumori della pelle. Per questo il problema dell’ozono è sempre stato molto sentito. Non ha molto a che vedere, come invece spesso si dice, con i cambiamenti del clima: sono due cose diverse. I cambiamenti climatici dipendono da altri gas: in particolare dall’anidride carbonica e ossidi di azoto.

D. – Gli studiosi riportano nel 2015 un’estensione record del buco dell’ozono, per poi registrare una progressiva riduzione, in particolare a settembre: come mai un’inversione di marcia così repentina?

R. – Può essere dovuta a molte cause, come la circolazione generale dell’atmosfera; anche in stratosfera, con le macchie solari; fenomeni di carattere astronomico legati alle quantità di radiazione ultravioletta che può arrivare sul pianeta.

D. – Quindi anche fattori naturali hanno contribuito alla progressiva riduzione…

R. – Sì, possono aver influito dei fattori naturali anzi direi che hanno influito perché dal punto di vista dei fattori fisici che determinavano la diminuzione, come dicevo, la Convenzione di Montreal aveva funzionato abbastanza bene.

D. – Stiamo sulla strada giusta: questa riduzione testimonia l’efficacia delle politiche internazionali contro l’inquinamento?

R. – Quando ci si impegna e l’impegno è abbastanza circoscritto, senz’altro. Il problema del cambiamento del clima è molto più complesso perché riguarda tutta l’economia e il modello economico. Quindi è più complicato.

D. – Gli scienziati dicono che se il cloro continuerà a dissiparsi, il buco dell’ozono potrebbe chiudersi entro il 2050: lei cosa ne pensa?

R. – È una stima ragionevole.

inizio pagina

Expatrie: una mostra di Iginio De Luca sul tema dell'abitare

◊  

E’ stata appena inaugurata, alla Casa dell’Architettura a Roma, la mostra dell’artista Iginio De Luca intitolata “Expatrie”. Rimarrà aperta fino al 26 luglio. Elaborazioni fotografiche, un video, disegni sul tema dell’abitare e dell’appartenenza, ma anche sulla difficoltà di avere certezze come succede a chi vive, appunto, da espatriato. De Luca, che è anche musicista, attore e insegna all’Accademia di Belle Arti a Torino, si è specializzato in video, installazioni e performance a forte carattere sociale. Al microfono di Adriana Masotti racconta come ha pensato al progetto “Expatrie”: 

R. – Il progetto nasce esattamente un anno fa, nel contesto di “Metropoliz” che sono degli spazi ex-industriali dello stabilimento “Fiorucci” in Via Prenestina a Roma. “Metropoliz” è un agglomerato di case, ricavate appunto da spazi industriali – quindi sono spazi abusivi – occupati da famiglie di varie nazionalità: da peruviani, da famiglie di etnia rom, da donne eritree e così via. Ci sono anche famiglie italiane.

D. – Qual è la proposta di riflessione che sta alla base di questo progetto?

R. – Sono tanti, gli spunti, tante le tematiche che si aprono sotto questi aspetti dell’abitare, oggi più che mai attuali, con tutte le storie di immigrazione, di confronti, di differenze razziali. Storie simili le abbiamo qui, dietro casa. Il mio intento è quello di lavorare sempre artisticamente e poeticamente su tematiche molto scottanti, attuali e sociali, anche politiche. Quindi ridare dignità, visibilità, riconoscibilità a famiglie e a persone che non hanno queste caratteristiche. Quindi, diciamo: ufficializzare vite umane che sono ai margini, renderle protagoniste.

D. – Prima di realizzare i suoi lavori, lei ha incontrato le famiglie, le persone all’interno delle loro case. Che esperienza è stata?

R. – E’ stata un’esperienza molto emozionante e coinvolgente per il semplice fatto che ogni volta che varcavo la soglia di una casa e di una famiglia, mi ritrovavo in un Paese straniero. Quindi ho fatto una serie di viaggi, spostandomi solo di qualche metro. In ogni casa c’erano le memorie, i sapori, gli odori di una nazione differente dalla mia: veramente, un viaggio oltre i confini … poetico ed emozionante, lo definirei.

D. – Che cos’è la casa, per le persone che ha incontrato?

R. – La casa è tutto; la casa è identità, riconoscibilità, rifugio e al contempo può diventare prigionia; la casa è memoria: racconta di avventure verso l’ignoto, appunto verso l’incertezza; la casa rappresenta tanti significati possibili, legati a ogni storia familiare, a ogni storia personale.

D. – Ci può descrivere una delle fotografie, quella che magari le sta più a cuore o che le piace di più?

R. – La foto rappresentativa, che poi è stata scelta anche come immagine che gira su internet o sui comunicati stampa, è quella di una famiglia peruviana; un’immagine verticale, una fotografia che inquadra tutta la famiglia: mamma, papà, i due figli – un maschietto e una femminuccia – che sono in posa trionfante, orgogliosa sullo sfondo di un muro decorato lì, a Metropoliz; e in sovrimpressione c’è la planimetria della loro casa che si sovrappone proprio alla fotografia di questa famiglia. Quindi in questo caso identifico la pianta, la planimetria come una possibilità di identificare la famiglia e la sua personalità.

D. – La sua iniziativa, oltre ad essere una tappa del percorso che sta facendo come artista, rientra anche nel programma del “MAAM”, Museo dell’Altro e dell’Altrove. Si parla molto oggi del rapporto con l’altro, con il diverso. Lei pensa quindi che l’arte, in tutte le sue forme, possa contribuire a una maggiore crescita su questi temi?

R. – Sì: nella mia visione un po’ utopistica penso di sì. Essendo un artista ho anche una grande fede, una grande speranza, anche se sono tematiche molto delicate. Io, però, lancio una sfida: l’arte può incontrare tematiche politiche e sociali, sempre da un punto di vista artistico e – perché no? – trovare una via di soluzione tra queste due entità, questi due contesti. Perché no? La mia sfida, con questa mostra, è proprio di rilanciare il contatto tra la tematica sociale e l’ispirazione artistica e vedere come questi due elementi possano  andare insieme e trovare  una strada vincente.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Nigeria. Mons. Kaigama: combattere corruzione e terrorismo

◊  

Combattere il terrorismo, in particolare quello perpetrato dal gruppo estremista Boko Haram, e la corruzione: queste le priorità della Nigeria, indicate da mons. Ignatius Kaigama, arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale locale (Cbcn). “Abbiamo bisogno di un cambiamento”, sottolinea il presule, esprimendo preoccupazione soprattutto per “la discriminazione” cui sono sottoposti i cristiani, in particolare nel nord della Nigeria, a prevalenza musulmano.

L’importanza della formazione cristiana per il bene della società
“Ad esempio – spiega mons. Kaigama – gli studenti musulmani hanno le loro moschee, mentre gli alunni cristiani sono costretti a celebrare le funzioni liturgiche nelle aule scolastiche”, perché “il governo non facilita la costruzione di nuove Chiese e i cristiani non hanno l’autorizzazione ad acquistare terreni in privato”. Ma - aggiunge il presule - impedire l’accesso alla formazione cristiana “sulla base di pregiudizi religiosi” è “dannoso”, perché “significa crescere persone senza fede, senza una morale ben salda, pericolose per la società”.

Contro la corruzione, trasmettere valori positivi
Riguardo alla lotta contro la corruzione, mons. Kaigama elogia quanto attuato dal capo dello Stato Buhari, eletto a maggio 2015, e ricorda l’impegno della Chiesa in questo campo: “Noi, come vescovi – spiega – stiamo cercando di trasmettere valori positivi alle famiglie del Paese. Ma la piaga della corruzione è molto estesa e ci vorrà del tempo per eliminarla definitivamente”. (I.P.)

inizio pagina

Siria: raid governativi su Jairoud, 41 vittime

◊  

 Violenza senza fine in Siria. Almeno 43 civili sono stati uccisi, compresi bambini, in una serie di pesanti attacchi aerei lanciati dal governo di Damasco contro la città ribelle di Jairoud, vicino Damasco. Lo riferisce emittente araba Al Jazeera, citando l'Osservatorio siriano per i diritti umani. I raid dell'aviazione e i bombardamenti con l'artiglieria pesante da parte dell'esercito siriano hanno preso di mira per diverse ore la città che si trova  a 60 km a nord est della capitale Damasco. 

inizio pagina

Pakistan: inondazioni nel nord, almeno 43 morti

◊  

Almeno 43 morti e decine di feriti si registrano nel nord-ovest del Pakistan a causa delle inondazioni provocate da piogge monsoniche torrenziali. Le precipitazioni sono iniziate nella giornata di sabato e hanno interessato soprattutto la provincia di Khyber Pakhtunkhwa, già gravemente colpita da inondazioni negli ultimi anni. Gli scienziati hanno collegato questi violenti fenomeni ai cambiamenti climatici. Secondo le autorità locali sono andate distrutte una moschea e decine di case e di una postazione dell'esercito nel remoto villaggio di Ursoon.

Le operazioni di soccorso sono guidate dai militari e diversi  elicotteri vengono impiegati per salvare gruppi di persone rimasti intrappolati nelle acque. Il Pakistan è stato regolarmente colpito negli ultimi anni da eventi meteorologici intensi, che hanno lasciato centinaia di morti e distrutto vaste aree di terreno coltivabile, un disastro in un Paese in gran parte agricolo.

inizio pagina

Etiopia: novena di preghiera per il vertice dell’Ua

◊  

"Signore affidiamo a Te il nostro continente, i nostri capi di Stato e di tutti i bambini africani. Sostieni le nostre vite, i nostri progetti e il nostro futuro". Recita così l’intenzione di preghiera principale della Novena iniziata ieri in Etiopia per il buon esito del 27.mo vertice dell’Unione Africana (Ua). Il summit continentale è in programma dal 10 al 18 luglio a Kigali, in Rwanda, e ha come tema “L’anno africano dei diritti umani, con particolare attenzione ai diritti delle donne”.

Rinnovare il volto dell’Africa
Un’altra preghiera della Novena recita: “Signore, unisci tutte le nazioni in una sola famiglia, basata su rapporti amorevoli. Allontana da noi i fardelli pesanti, restituiscici ciò che è andato perduto e rinnova il volto dell’Africa”.

Tutti i fedeli invitati a partecipare
Promossa dalla Cappellania dell’Ua, che ha sede ad Addis Abeba, in collaborazione con la comunità cattolica locale, la Novena si è svolta già negli anni passati. “Vivere una Novena di preghiera prima di ogni vertice è ormai diventata una tradizione della comunità cattolica dell’Ua”, spiega Padre Dennis Bukenya, che ha redatto le orazioni. Il missionario invita, infine, ogni fedele del continente a unirsi all’iniziativa. (I.P.)

inizio pagina

La morte di Wiesel, premio Nobel per la Pace, mai in silenzio di fronte al male

◊  

La comunità ebraica e il mondo intero piangono la morte di Elie Wiesel, instancabile testimone dell’Olocausto e attivista dei diritti umani, mai in silenzio di fronte al male. Lo scrittore nato a Sighet, località ungherese oggi in Romania, era scampato alle persecuzioni naziste, sopravvissuto ad Auschwitz, si era trasferito dopo la guerra prima in Francia e poi negli Stati Uniti, di cui aveva acquisito la cittadinanza. A New York si è spento ieri, all’età di 87 anni. Wiesel ha documentato per la storia il dramma della Shoah in 57 libri, tenuto conferenze, firmato reportage in giro per il mondo e scritto due lavori teatrali e due cantate che nel 1986 gli sono valsi il Premio Nobel per la Pace. “Eli Wiesel ha insegnato a non restare in silenzio di fronte all’ingiustizia”, ha detto il presidente del Congresso ebraico mondiale, Ronald Lauder, definendo lo scrittore “un faro di luce” nei confronti del quale il mondo ebraico “ha un enorme debito di gratitudine”. “Era una delle grandi voci morali dei nostri tempi e, per molti versi, la coscienza del mondo”, ha ricordato il presidente degli Stati Uniti, Barak Obama. Ha dato espressione “alla vittoria dello spirito umano sulla crudeltà e il male”, così il premier israeliano Netanyahu, definendolo “uno degli eroi del popolo ebraico”. (Roberta Gisotti)

inizio pagina

Si è spento a 77 anni Michael Cimino, regista de ‘Il cacciatore’

◊  

Il mondo del cinema piange il regista americano Michael Cimino morto all’età di 77 anni. Il regista di origini italiane raggiunse la fama mondiale nel 1978 con il film 'Il Cacciatore', di cui è stato anche sceneggiatore, che vinse 5 premi Oscar, fra cui miglior film e miglior regia. Cimino era nato a New York il 3 febbraio del 1939. Il suo primo film da regista, dopo un esordio nella pubblicità, risale al 1974, quando dirige Clint Eastwood in "Una calibro 20 per lo specialista". L’ultimo grande successo di Cimino è ‘L’anno del dragone’ con Mickey Rourke. Negli ultimi 20 anni la sua carriera subì un brusco stop. 

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 185

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.