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Sommario del 04/07/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco ad Assisi il 4 agosto in visita alla Porziuncola

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Papa Francesco visiterà la Porziuncola nel pomeriggio del 4 agosto prossimo. L’occasione è offerta dall’VIII Centenario del Perdono di Assisi, che cade provvidenzialmente nell’Anno Santo straordinario della Misericordia. Papa Francesco – si legge sul sito web della Porziuncola – si farà pellegrino in forma semplice e privata nella Basilica papale di Santa Maria degli Angeli, dove si raccoglierà in preghiera ed offrirà il dono della sua parola.

La notizia, resa nota oggi, è stata comunicata dal presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova evangelizzazione, mons. Rino Fisichella. La Chiesa particolare di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e tutti i francescani esultano e ringraziano Papa Francesco, implorando dal Signore ogni benedizione su questo evento.

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Roy: Francesco sostiene campagna Caritas per la pace in Siria

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Verrà pubblicato domani un video-messaggio di Papa Francesco per appoggiare la campagna di Caritas Internationalis per la pace in Siria. Un gesto forte per dire ad alta voce, assieme all’organismo caritativo, che la pace è possibile nel Paese dilaniato da una guerra che si protrae da più di 5 anni. Sulla Campagna per la pace e il sostegno del Papa, Alessandro Gisotti ha intervistato il segretario generale di Caritas Internationalis, Michel Roy: 

R. – Sono più di cinque anni che la guerra continua a distruggere la Siria e il suo popolo. Abbiamo deciso allora di mettere un po’ più di voce, un po’ più di forza in questo impegno per la pace. Il primo punto è che di fronte ad una complessità così grande, crediamo che possa aiutarci il Signore: quindi il primo passo è pregare di più, in tutto il mondo! Non ci può essere indifferenza per ciò che succede in Medio Oriente! Il secondo punto: di fronte a tale sofferenza, manca molto aiuto: l’aiuto umanitario non arriva a tutta la gente che ha bisogno in Siria. Nei campi rifugiati c’è aiuto; ma all’interno della Siria gli sfollati sono molto numerosi – si parla di 7-8 milioni di persone – e c’è una crisi terribile. E  la Comunità internazionale non fa fronte a tutto questo. La terza tappa di questa Campagna, che è la più importante: domandare ai governi di tutto il mondo che si impegnino, in un modo o nell’altro, a facilitare, a pressare affinché ci sia la fine di questa guerra. Non si può lasciare tutto solamente ai grandi poteri – come la Russia, gli Stati Uniti o l’Unione Europea: ognuno deve impegnarsi!

D. – A sostegno di questa Campagna di Caritas Internationalis per la Siria c’è il Papa in prima persona, con un videomessaggio, forse anche per far sentire più forte la voce di Caritas Internationalis

R. – Sì, sicuramente. Siamo molto grati al Santo Padre e questo fa parte della sua visione, che abbiamo il dovere di rendere concreta. Lui ci invita a noi, a Caritas Internationalis, ma anche a tutti i cristiani, a tutta la gente di buona volontà, ad impegnarsi in questa Campagna. Non c’è mai troppo in questo campo! Sono sicuro che questo messaggio di Papa Francesco, che avremo domani, avrà un potere importante per far sì che qualcosa di nuovo venga fatto per porre fine alla guerra.

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Mons. Minassian: il Papa ha toccato il cuore di tutti gli armeni

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E’ trascorsa una settimana dal rientro del Papa dal viaggio in Armenia, tre giorni in cui Francesco ha lanciato molti messaggi: ha chiesto di custodire la memoria, fonte di pace e di futuro, ma ha soprattutto reso omaggio al primo popolo cristiano. Francesca Sabatinelli ha intervistato mons. Raphael Minassian, ordinario per gli armeni cattolici dell’Europa orientale: 

R. – Il messaggio del Santo Padre è arrivato, è arrivato immediatamente nel cuore di tutto il popolo armeno, anche nella diaspora: parliamo di un messaggio che ha penetrato il cuore di 13 milioni di armeni nel mondo. Lui è venuto per il primo popolo cristiano, che durante tutti questi secoli è riuscito a resistere a tutte le tentazioni della vita di un popolo. Il genocidio è stato già proclamato il 12 aprile del 2015 e quindi non era questo né lo scopo, né la meta della visita del Papa. E’ piuttosto questo legame spirituale di un pastore verso il gregge di Gesù.

D. – La memoria del passato per disinnescare le vendette, gli scontri, per portare perdono e riconciliazione. Mons. Minassian, è stato potente questo messaggio del Papa…

R. – Ha perfettamente ragione, perché in questo messaggio c’era il lavoro per la pace, il lavoro dell’unità nella testimonianza evangelica. E questo viene proprio dal cuore del pastore che sa dove va e per quale scopo va. Questo messaggio è arrivato pure negli animi di tutti quelli che lo hanno incontrato, lo hanno sentito o lo hanno visto anche solo sullo schermo televisivo. Io non mi aspettavo di vedere questa gente, questo popolo così ardente nella sua fede, che è riuscito ad esprimerla completamente nella pura semplicità, nella sua povertà, con i sacrifici, però era presente. La presenza alla Messa del Santo Padre, del 25 giugno, si è basata su un sacrificio, perché voi non conoscete il popolo e come vive, vivono tutti nei villaggi, ma sono venuti, hanno lasciato le loro famiglie, le loro mucche, le loro pecore, il lavoro quotidiano, per venire a vedere e sentire e toccare il Papa. Questo è un segno molto popolare della fede popolare.

D. – Lei ha ringraziato più volte il Papa nei suoi interventi…

R. - E’ vero. Io ho usato il ringraziamento in tutte le mie parole, ma in ogni mio ringraziamento c’era un desiderio, un modo di esprimere e di chiedere di continuare questo legame. E’ stato fatto un primo passo, adesso tocca a noi. Il messaggio era per noi, per noi clero. E qui non faccio differenza fra armeno cattolico e apostolico, tutto il clero è chiamato al servizio delle anime. Questo passo del Santo Padre in Armenia è un richiamo al servizio profondamente attivo. Un primo passo che ha cambiato l’amicizia, la fratellanza tra il clero cattolico e apostolico. Questo lo abbiamo avuto: abbiamo cancellato tutto il passato con questa collaborazione assieme al servizio del Santo Padre, il Santo Padre è al servizio di tutto il popolo.

D. – In settembre la visita in Azerbaigian del Papa: ci si possono aspettare frutti?

R. – Primo: il Papa è libero di andare dove vuole. Secondo: anche il parlare con il nemico è un passo positivo per una pace internazionale. Io credo sempre all’ottimismo, perché in ogni contatto c’è un punto positivo.

D. – Difficile spostare questo ottimismo sul fronte della Turchia, dopo le critiche forti lanciate al Papa…

R. – La gente è libera di criticare e di esprimersi nel modo che vuole. Come padre spirituale di tutta la Chiesa cattolica nel mondo, il Papa ha il dovere di dire la verità e di andare avanti. La missione è quella di dire la verità. Noi dobbiamo difendere la gente che ha bisogno della nostra assistenza e poi gli altri sono liberi di esprimersi nel modo che vogliono. Non è una nostra preoccupazione cosa diranno di noi: la nostra preoccupazione è cosa dirà di noi il nostro Salvatore Gesù, se abbiamo compiuto il nostro dovere o no. Le altre cose sono secondarie…

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P. Fornos: un successo i video del Papa per le Intenzioni di preghiera

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Perché sia rispettata l’identità dei popoli indigeni. E’ l’intenzione di preghiera di Papa Francesco per il mese di luglio. Intenzione che, come avviene mensilmente dal gennaio scorso, verrà corredata da un video-messaggio del Pontefice, che verrà pubblicato mercoledì 6 luglio sui Social Network. Su questa iniziativa, Alessandro Gisotti ha intervistato il padre gesuita Frédéric Fornos, direttore internazionale della Rete di Preghiera del Papa (Apsotolato della Preghiera), promotore del “video-messaggio del Papa” e della App “Click to Pray”: 

R. – Siamo molto sorpresi e contenti di vedere che questi video-messaggi non sono apprezzati unicamente dai tantissimi cattolici nel mondo, ma anche da molte persone che non sono vicine alla Chiesa cattolica e che si sentono raggiunte nella loro vita dalla parola del Papa, dal suo appello a pregare per le grandi sfide dell’umanità. Sappiamo che, dopo sei mesi, unicamente attraverso le nostre reti social vaticane, quasi 10 milioni di persone hanno visto il video del Papa! Per esempio, con l’ultimo video sulla solidarietà abbiamo raggiunto 951 mila persone. Io viaggio molto ed ora sono, per esempio, negli Stati Uniti. Qui, e in molte parti del mondo dove vado, la gente – preti, religiosi, laici – mi dicono come questi video molto semplici aiutano a pregare e ad essere vicino alle preoccupazioni e alla missione della Chiesa.

D. – I video del Papa sono molto condivisi sui Social Network. I giovani stanno apprezzando questo nuovo modo del Papa di comunicare?

R. – Sì, assolutamente! Noi, la Rete mondiale della preghiera del Papa, abbiamo un ramo giovanile - il Movimento eucaristico giovanile - che comprende più di un milione di giovani, e molti di loro condividono i video. In questi giorni, per esempio, mi trovo al Convegno nazionale del Movimento eucaristico giovanile, negli Stati Uniti, e molti giovani mi hanno parlato del video del Papa e di come sia un modo per stare vicini al Santo Padre e alla missione della Chiesa; un modo per sentire più in profondità quali siano le preoccupazioni della Chiesa, per pregare a e desiderare un coinvolgimento. Dicono che, entrare in relazione con il Papa attraverso questo video, aiuti molto a “risvegliarsi”.

D. – I video sono ricchi di immagini e di storia e non c’è solo la voce e l’immagine di Papa Francesco. Perché questa scelta? La gente apprezza questo modo di raccontare e non solo ascoltare le intenzioni di preghiera di Francesco?

R. – Mi sembrava molto importante che si potesse vedere, sentir muovere il cuore, per avere davvero il desiderio di pregare, di coinvolgersi in questa sfida dell’umanità. Papa Francesco parla ed è bello sentirlo, sentire le sue parole, perché crea con noi una relazione personale. Creare, però, un piccolo film su queste intenzioni del Papa, per raccontare, aiuta molto di più a coinvolgere il nostro cuore e a desiderare veramente di pregare. Nel video del Papa del mese di giugno, per esempio, c’è quest’uomo, un senzatetto, per strada, e la sua storia ci aiuta a vedere l’umanità di questa persona e ci aiuta ad essere più attenti, ad aprire i miei occhi e il mio cuore agli uomini e alle donne che posso incontrare sulla mia strada, nella mia città.

D. – Un’altra iniziativa dell’Apostolato di preghiera, lanciata in questi mesi, è la App “Click to pray”, per pregare con il Papa. Quali risultati state avendo?

R. – La App è un'altra forma ancora per "risvegliarsi" e per ricordarci che in una vita anche molto agitata, con tante cose da fare, la preghiera è essenziale. “Click to pray” ci aiuta tre volte al giorno a ricordare, anche se per un piccolo momento, l’essenziale: la relazione con il Signore, l’apertura del cuore al mondo di oggi. La gente ci dice che aiuta molto, specialmente i giovani. Ora sono passati quattro mesi dal lancio di questa piattaforma di preghiera del Papa in tutte le Reti sociali – Facebook, Twitter, Youtube – e adesso abbiamo 440 mila persone che usano “Clik to pray” in spagnolo, inglese, francese e portoghese. Avremo l’italiano e altre lingue l’anno prossimo. L’agenzia con la quale lavoriamo, La Machi, ci ha detto che la gente utilizza “Click to pray”, ogni volta che la apre, per più o meno 4 minuti e 50 secondi. E’ molto tempo. Vuol dire che la gente prende tempo per meditare, per pregare e vuol dire che questo aiuta. Normalmente, infatti, la gente quando usa un’applicazione lo fa molto più velocemente. Qui, invece, la gente prende tempo per entrare nel silenzio e potere veramente aprire il cuore e pregare per queste intenzioni del Papa. Siamo, allora, molto contenti per questo. A giugno abbiamo lanciato “Click to pray” in francese, a Parigi. Ed ora sono negli Stati Uniti, perché a New York, andremo a presentare la versione inglese. Il 14 giugno sarò a San Paolo del Brasile per aiutare a far conoscere questa applicazione ufficiale di preghiera di Papa Francesco e aiutare a pregare per le grandi intenzioni che ci dà ogni mese.

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Tweet Papa: estate tempo di riposo e cura relazioni umane

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"L’estate dà a molti un’occasione di riposo. E’ un tempo favorevole anche per curare le relazioni umane". E' il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex in 9 lingue.

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Nomine episcopali di Francesco nella Repubblica Dominicana

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Nella Repubblica Dominicana, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell'arcidiocesi di Santo Domingo, presentata dal Card. Nicolás de Jesús López Rodríguez per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato Arcivescovo Metropolita dell'arcidiocesi di Santo Domingo Mons. Francisco Ozoria Acosta, trasferendolo della diocesi di San Pedro de Macorís.

Sempre nella Repubblica Dominicana, il Papa ha accettato la rinuncia all’ufficio di Ausiliare dell'arcidiocesi di Santo Domingo, presentata da Mons. Amancio Escapa Aparicio, O.C.D., Vescovo titolare di Cene, per sopraggiunti limiti d’età.

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Dal Toso: Cor Unum, sessione di formazione per aiuti in Siria

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Non solo organizzare al meglio i progetti portati avanti dagli organismi di carità e dalle diocesi impegnati nell’aiuto umanitario in Siria, in Iraq e nelle crisi mediorientali in genere, ma anche un’occasione di incontro e di dialogo aperto. Questo il senso della sessione di formazione per il personale diocesano in Siria che si occupa dell’attività caritativa, organizzata dal Pontificio Consiglio Cor Unum, con la collaborazione del Catholic Relief Service, di Aiuto alla Chiesa che Soffre e di Missio. L’appuntamento si è svolto nei giorni scorsi a Beirut, in Libano, alla presenza di 11 vescovi e del nunzio apostolico a Damasco, mons. Mario Zenari, oltre che di rappresentanti diocesani e di numerosi istituti religiosi. Un’occasione anche per fare il punto sull’impegno della Chiesa cattolica nell’area, dopo che nel solo 2015 le sue istanze hanno mobilitato più di 150 milioni di dollari. Agli incontri ha partecipato mons. Giampietro Dal Toso, segretario del Pontificio Consiglio Cor Unum. Giada Aquilino lo ha intervistato: 

R. – Questa sessione di formazione nasce da una proposta emersa nel corso delle nostre riunioni di coordinamento: Cor Unum, da alcuni anni, svolge annualmente una riunione di coordinamento tra i grandi attori cattolici che stanno compiendo un’azione umanitaria in Siria, in Iraq e nei Paesi limitrofi. Nel contesto di questi incontri è stata richiesta da parte delle agenzie e degli organismi locali una possibilità di essere formati più dettagliatamente sulla preparazione, sull’implementazione e sulla rendicontazione di progetti. Quindi una questione molto tecnica, ma che bisogna affrontare proprio perché migliore è la qualità dei nostri interventi, maggiore è anche la possibilità di accedere ai fondi di finanziamento. Vorrei rilevare che il primo grande successo di questa iniziativa è stato il fatto che per la prima volta si sono raccolte queste persone, le quali hanno potuto conoscersi e avere la possibilità, insieme, di condividere le loro preoccupazioni e i loro obiettivi. In questo senso per noi è stata molto importante l’adesione così alta dei vescovi, ce n’erano 11. Questa occasione di incontro e di condivisione è davvero cruciale, perché solo se affrontate insieme queste sfide si possono risolvere.

D. – Proprio ascoltando gli operatori che sono impegnati sul campo, ma anche i vescovi, il nunzio - l’arcivescovo Zenari - che situazione è emersa della Siria?

R. - Evidentemente è una situazione disastrosa che ci supera tutti e supera chiaramente anche i vescovi, il personale religioso e quello laico che sta lavorando. La cosa più importante sarebbe trovare il prima possibile una pace, una riconciliazione per questo Paese che è veramente devastato dalla guerra. È ovvio che - finché non si arriverà ad un tavolo di pace, a trattative per una una soluzione del conflitto - la Chiesa è impegnata come può a sollevare la situazione delle persone. Gli ambiti di lavoro sono diversi. Il primo è quello di dare da mangiare: dai dati che abbiamo, il primo grande sforzo ancora è quello di assicurare la sopravvivenza, dando da mangiare e da bere. Ed è un grande impegno che si sta portando avanti con i generi di prima necessità. Poi sono emersi altri tre settori che a me sembrano importanti. Il primo: l’educazione, quindi garantire l’istruzione ai bambini perché è chiaro che con questa forte mobilità interna e anche esterna per le famiglie è difficile mandare i figli a scuola. Il secondo: è molto importante - e i vescovi lo hanno sottolineato - garantire gli affitti delle case per quelle zone dove si può vivere ancora tranquillamente. Questa crisi, questa guerra ha provocato un forte impoverimento ed è importante - se vogliamo che i cristiani restino - aiutarli molto semplicemente a pagare l’affitto di casa. Terzo: garantire un lavoro, perché evidentemente in questa situazione molto fluida è difficile trovare delle occupazioni. Quindi sarebbe opportuno individuare delle piccole forme di lavoro – e già si sta cominciando – che diventino fonti di reddito.

D. – C’è un progetto o una storia che l’ha colpita in particolare?

R. – Sono stato molto colpito - al di là dei colloqui che ho avuto con i vescovi e con il personale religioso e delle diocesi che lavora nel settore umanitario – da incontri che ho avuto in alcuni Centri di Caritas Libano: Caritas Libano sta facendo un grande lavoro e non solo con i profughi siriani, ma anche con altre fasce della società. Ho incontrato delle donne che – in trenta, quaranta - stanno seguendo un corso di formazione presso Caritas Libano: donne che sono fuggite dall’Iraq e dalla Siria. Quando ho chiesto loro “Tornereste nel vostro Paese, una volta ristabilita la pace?”, con mia sorpresa la maggior parte ha detto di no: ma non per ragioni economiche o di sicurezza, ma per il clima di libertà di cui adesso possono godere. E questo mi fa pensare che l’uomo, alla fine, questo cerca: la libertà di poter essere se stesso, di potersi esprimere, di potersi muovere… Penso che abbiamo davanti un grande lavoro: quello di creare un tessuto sociale, di creare anche delle istituzioni che garantiscano alla persona la possibilità di essere se stessa.

D. – Questo corso di formazione dimostra la sollecitudine del Papa e della Santa Sede per il Medio Oriente, per i cristiani della regione, per le popolazioni locali. Com’è stato accolto?

R. – Al di là di quello che si fa con l’aiuto in denaro, con l’aiuto in mezzi, quello che veramente viene apprezzato è l’incontro personale, il fatto che ci sia un interesse personale e che ci sia anche un interesse fattivo per venire incontro alle necessità di questa Chiesa. Devo anche dire che un aspetto da non trascurare è quello della testimonianza: non si tratta solamente di fare del bene, ma in moltissimi casi quest’azione sta diventando una grande testimonianza di Cristo, del fatto che la Chiesa cattolica aiuta tutti, senza distinzione, e intende costruire dei ponti, andare incontro all’altro, al di là della sua appartenenza religiosa, culturale o sociale. E ciò è poi quello che sta molto a cuore a Papa Francesco.

D. – Che bilancio tracciare alla fine di questa sessione di formazione?

R. – È stata un’iniziativa straordinaria, data anche l’unicità del momento. Ad oggi, abbiamo i dati dell’Onu che ci dicono che in questi cinque anni di guerra sono morte più di 400 mila persone e che in Siria e in Iraq ci sono 21 milioni di persone a rischio. Quindi è veramente una situazione tragica, alla quale abbiamo voluto rispondere – nel nostro piccolo – con questo seminario. È la prima volta che, insieme a tre organismi, il Catholic Relief Services, Aiuto alla Chiesa che Soffre e Missio, il Pontificio Consiglio Cor Unum organizza una sessione di formazione di questo tipo. Ciò rientra nelle iniziative che stiamo portando avanti per l’area. La prossima sarà il 29 settembre prossimo, quando avremo una nuova riunione di coordinamento per tutti i soggetti che stanno intervenendo a nome della Chiesa cattolica in questi Paesi.

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Verso la Gmg: da Torino a Cracovia le reliquie del Beato Frassati

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Parte oggi a Torino, in coincidenza con la Festa liturgica del Beato, il pellegrinaggio dell'urna contenente le spoglie di Piergiorgio Frassati che giungerà a Cracovia il 23 luglio in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù. La peregrinazione delle reliquie del Frassati nel Nord Italia e in Europa, e poi la permanenza nella città polacca durante la Gmg, saranno un'occasione per offrire la testimonianza del giovane torinese alla gioventù mondiale. Lo conferma don Luca Ramello, direttore della Pastorale giovanile diocesana di Torino, al microfono di Fabio Colagrande

R. – La peregrinazione dell’urna del Beato Piergiorgio nasce su richiesta dell’arcidiocesi di Cracovia, del cardinale arcivescovo di Cracovia, per evidenziare il legame tra il Beato Piergiorgio e il percorso che in questi anni è stato fatto verso la Gmg. Papa Francesco ha dato come tema, a questo itinerario, le “Beatitudini”, mentre l’allora cardinale Wojtyła, arcivescovo di Cracovia, indicò il Beato Piergiorgio come “l’uomo delle otto beatitudini”. L’importanza di Frassati, nell’Anno del Giubileo, è inoltre sottolineata dal fatto che il Papa lo ha proposto, insieme a San Giovanni Paolo II e a Suor Faustina, come modello di “giovane della misericordia”. E allora la sua presenza a Cracovia sarà uno stimolo, un invito, a guardare in alto, e a camminare secondo lo stile della misericordia che ci chiede Papa Francesco.

D. – E qual è il significato di questa peregrinazione delle spoglie del Beato Frassati in dodici diocesi?

R. – L’idea è quella di far conoscere innanzitutto il Beato Piergiorgio, che è stato un grande camminatore. Quindi, idealmente, è Piergiorgio che, camminando per l’Europa - attraversandola - porta con sé, con il suo entusiasmo, i giovani che incontrerà nella preghiera, nella liturgia, nelle confessioni e nelle conferenze che saranno organizzate al suo passaggio. Piergiorgio è sempre stato un grande animatore e un trascinatore di giovani verso Cristo. Ci attendiamo che il suo passaggio susciti la stessa disponibilità dei giovani a mettersi in cammino verso il Signore. E allora c’è questo passaggio attraverso l’Europa che idealmente porta al Signore, ma che vuole anche essere una preparazione, per quanti andranno a Cracovia, a mettersi sulla stessa lunghezza d’onda. Al suo arrivo a Cracovia avrà quindi anche un po’ il volto del giovane tra i giovani: giovane pellegrino tra i giovani, che si prepara a vivere questo grande evento con tutta la Chiesa.

D. – È un modello di santità molto convincente, che parla in maniera particolare ai giovani…

R. – Assolutamente sì! È vero che ogni Santo è eccezionale, perché è voluto da Dio. Però, quando parliamo del Beato Piergiorgio, possiamo dire che è sorprendente e stupefacente il fatto che abbia giocato la sua breve esistenza in tutti i campi in cui un giovane può esprimere i suoi talenti e la sua fede: lo studio, la politica, il servizio, il volontariato, l’evangelizzazione, lo sport, l’amore per la montagna, la goliardia, l’allegria e l’amicizia. Non c’è stato un aspetto – neanche uno – della vita di un giovane, in cui Piergiorgio non sia entrato con il suo entusiasmo, ma soprattutto da cristiano. Davvero un atleta della fede! Un atleta che ha saputo non solo camminare, egli stesso, come un solitario, ma che ha portato e trascinato con sé i cosiddetti “tipi loschi” che sono ancora oggi suoi amici. Sono giovani che avevano fatto con lui questo passo, la scelta di camminare con il Signore, una volontà che ancora oggi è presente in tanti giovani, che però forse deve essere risvegliata. E Piergiorgio ha la capacità, non appena ci si accosta alla sua figura, di destare proprio una passione del cuore.

D. – Non a caso una figura di Beato particolarmente cara agli ultimi tre Pontefici, non solo a Papa Francesco…

R. – Assolutamente. Preparandoci alla peregrinazione siamo andati a rileggere tutti gli interventi; ed è sorprendente: il cardinale Wojtyła, non ancora Papa, e quando Piergiorgio non era ancora Beato, già lo amava e lo faceva conoscere. Poi lo ha beatificato, e più volte lo ha proposto come modello. E anche Papa Benedetto più volte è ritornato, nell’ambito della Gmg e della sua visita a Torino, su questa straordinaria figura. Quindi è sorprendente che tra i tanti giovani, Beati e Santi, che la Chiesa riceve in dono, Piergiorgio in questi vent’anni sia stata una presenza costante, di riferimento. Fino alla grande presentazione che ha fatto Papa Francesco. Tra l’altro, il Papa ci ha regalato anche uno “scoop” - o meglio - un pensiero profondo del suo cuore: suo padre lo ha conosciuto personalmente. È stato il papà di Papa Francesco a parlargli di Piergiorgio. Ed è straordinario questo legame che nella Chiesa, attraverso gli anni e i decenni, continua e diventa storia di salvezza.

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Messaggio per la Domenica del mare: le difficoltà dei marittimi

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Riconoscere e tutelare i diritti dei marittimi: con questo obiettivo si celebra, il 10 luglio, la Domenica del Mare. Per l’occasione, il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti ha diffuso un messaggio a firma del presidente, il card. Antonio Maria Vegliò, e del segretario, mons. Joseph Kalathiparambil. Il servizio di Isabella Piro

90% delle merci viaggia via mare
Sono quasi 1 milione e 200mila i marittimi di tutto il mondo che trasportano, a bordo di 50mila navi mercantili, il 90 per cento di ogni tipo di merce. Questi i dati del commercio marittimo rilevati dal Pontificio Consiglio Migranti e Itineranti nel suo messaggio. Dati che evidenziano “quanto la nostra vita quotidiana dipenda dall’industria marittima e dal mare”.

Marittimi in prima linea nel salvataggio dei gommoni di migranti
Mobili, vestiti, cibo, petrolio: tutto questo viaggia via mare e spesso non ce ne rediamo conto, al comodo delle nostre case. Non solo: tante volte gli equipaggi di navi mercantili sono “in prima linea” nel soccorso dei profughi e migranti “che cercano di arrivare in Europa a bordo di imbarcazioni o gommoni stipati all’inverosimile e non in condizioni di navigare”.

Dignità umana e professionale dei marittimi è minacciata
Poi, il Dicastero vaticano ricorda le tante minacce e difficoltà che devono affrontare quotidianamente i marittimi: pericoli naturali, pirateria, rapine, lontananza dalla famiglia che porta i figli a crescere senza padre, facendo ricadere “tutte le responsabilità familiari sulle spalle della madre”. Anche “la dignità umana e professionale dei marittimi è minacciata”, sottolinea il messaggio, quando il lavoro non viene retribuito, mentre la criminalizzazione di alcune attività un tempo legali  - ad esempio per quanto riguarda l’inquinamento – “rappresenta una grave preoccupazione”.

Applicare la Convezione Oil sul lavoro in mare e incentivare Apostolato
Cosa fare, dunque? Il Pontificio Consiglio parla chiaro: “Rispettare e proteggere i diritti umani e professionali dei marittimi”. Per questo, viene lanciato un appello “ai governi ed alle autorità marittime competenti affinché rafforzino l’applicazione della Convenzione sul Lavoro marittimo, siglata dall’Oil nel 2006”, in particolare riguardo alle tutele dello stato di salute e benessere dei lavoratori del mare. Ai vescovi ed alle diocesi marittime, inoltre, viene chiesto di “istituire e sostenere l’Apostolato del mare, in quanto segno visibile della sollecitudine” della Chiesa verso quanti “non possono ricevere una cura pastorale ordinaria”.

Iniziative a carattere ecumenico
Istituita nel 1975, quando l’Apostolato del Mare decise di stabilire un giorno in cui riconoscere il contributo dei marittimi all’economia mondiale, la Domenica del mare ha anche un’importanza ecumenica perché – conclude il messaggio – “in molti porti le celebrazioni vengono fatte congiuntamente con altre denominazioni cristiane, dando testimonianza di unità di intenti e cooperazione nel tutelare i diritti dei marittimi”.

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P. Lombardi: ancora nessuna decisione su Santuario di Medjugorje

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“Negli ultimi giorni – ha affermato padre Federico Lombardi, rispondendo ai giornalisti – sono girate voci circa la possibile nomina di un Amministratore Apostolico per il Santuario di Medjugorje, che lo governi riferendo direttamente alla Santa Sede”. Si tratta, ha affermato il direttore della Sala Stampa Vaticana, “di una ipotesi oggetto di studio fra altre, ma non vi è stata ancora alcuna decisione in merito. E’ quindi prematuro parlarne come di un orientamento già preso o come di una decisione imminente”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Accecati dall'odio: all'Angelus il Papa prega per le vittime degli attentati in Bangladesh e Iraq e perché si converta il cuore dei violenti.

Come si tolgono i chiodi: l'intervista al Pontefice pubblicata sul quotidiano argentino "La Nacion" il 3 luglio.

Una lunga notte: Solen Tadie ricorda Elie Wiesel.

L'opera del tradimento: Lucetta Scaraffia su una rilettura del libro di Mario Brelich.

Punto di vista obliquo: Emilio Ranzato ricorda il regista statunitense Michael Cimino.

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Oggi in Primo Piano



Iraq. Attentato a Baghdad: oltre 210 morti di cui 25 bambini

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L’attentato che ha colpito sabato notte Baghdad in un quartiere prevalentemente sciita è di sicuro il più sanguinoso attacco in Iraq dal 2007. Il kamikaze del gruppo estremista sunnita ha fatto esplodere una vettura imbottita di esplosivo causando più di 200 morti e altrettanti feriti. L’attentato rivendicato dall’Is potrebbe essere ricollegato al conflitto storico tra sciiti e sunniti. Infatti poco più di una settimana fa il governo di Baghdad, in prevalenza in mano agli sciiti, ha ripreso il controllo di Falluja, che era roccaforte dei sunniti e dell’Is. Il sedicente Stato Islamico negli ultimi mesi ha perso il controllo di diversi territori, tra cui la città di Ramadi e la provincia di Anbar, e controlla solo il 14% del territorio iracheno. Perdite che non hanno scoraggiato la capacità dei jihadisti di colpire e seminare la morte. Gioia Tagliente ne ha parlato con Stefano Allievi, direttore del Master sull’Islam in Europa dell’Università di Padova:  

R. – Lo Stato Islamico da quando esiste, ha messo gli sciiti nel novero dei miscredenti e quindi dei nemici della fede, secondo la loro interpretazione. E questa è una opinione molto diffusa, anche in altri Paesi dell’area. Di conseguenza, ne traggono le estreme conseguenze e questo ormai già tempo: gli attentati sono stati molti, anche soltanto in questo ultimo anno, contro moschee sciite e in quartieri sciiti. Quindi non è purtroppo una novità, anche se per le dimensioni, è certamente più significativo di altri.

D. – L’Is sta perdendo un significativo controllo territoriale, contestualmente però si intensificano gli attentati. Potrebbe esserci un nesso?

R. – Potrei rispondere in due modi. Da un lato che questa sia una strategia effettiva: far vedere cioè che, se anche gli si riduce lo spazio territoriale e geografico all’interno del cosiddetto Califfato, è comunque in grado di colpire altrove. Dall’altro, si tratta di fatto di persone collegate all’Is, ma non centralmente “teleguidate” o non sempre. Qui c’è un evidente coordinamento o collegamento, ma non necessariamente un coordinamento operativo. Per cui certamente assisteremo ancora ad altri attentati fuori dal territorio dell’Iraq e della Siria, dove lo Stato Islamico è presente, perché questo è il loro obiettivo e questo è quello che fa notizia: così come ha fatto più notizia l’attentato di Dacca rispetto a quello di Baghdad, nonostante i numeri siano molto più pesanti a Baghdad…

D. – Perché si va a colpire l’Occidente?

R. – Questo, appunto, risponde a una strategia, ma è anche una testimonianza del fatto che il supporto allo Stato Islamico da parte di gruppi armati è un po’ ovunque – in Asia, nel Maghreb, in Africa – ed è sempre più forte.

D. – Anche in Europa comunque…

R. – Lo abbiamo visto a Bruxelles, a Parigi e lo vedremo altrove: nel senso che questa cosa non si è fermata, perché non se ne sono fermate le ragioni. E’ una battaglia ideologica di lungo periodo e quindi c’è da temere che le cose andranno avanti.

D. – E’ possibile porre fine a questa divisione tra sciiti e sunniti, secondo lei?

R. – E’ nata con l’inizio dell’islam ed è difficile immaginare che vi si ponga fine. In fondo le guerre religiose interne sono sempre state quelle più sanguinose, più fratricide. E’ difficile immaginare che ci sia una fine a portata di visuale, se non attraverso lo sviluppo, la cultura, la formazione, tutte cose di lungo periodo. Per quanto riguarda gli attentati dello Stato Islamico anche in Occidente è ancora più complesso, perché certamente l’esistenza del cosiddetto Califfato è un elemento attrattivo molto forte, che moltiplica il supporto medesimo. Se anche fosse distrutto militarmente nelle terre in cui è, non sono finite le ragioni che alimentano questa ideologia di conflitto.

D. – La maggior parte degli attentatori provengono da buone famiglie e hanno una istruzione elevata…

R. – Io non sono affatto convinto che la spiegazione – anche degli attentati in Europa – abbia a che fare con la marginalità delle comunità immigrate e con le difficoltà di integrazione. E’ una battaglia ideologica! E come tale coinvolge anche le persone che sono in grado di relazionarsi con una ideologia, di maturarla ed approfondirla. E queste le troviamo a tutti i livelli della scala sociale… Già negli attentati dell’11 settembre avevano una vasta presenza di ingegneri: Mohamed Atta, che era il capo del commando, stava facendo un dottorato in Germania… Quindi non è nuovo, nella storia, il terrorismo in generale: che si tratti delle Brigate Rosse o di Baader Meinhof ; del Terrorismo Nero o di quello anche etnico; basco o irlandese… Non erano mai le fasce più marginali a essere quelle più rappresentate: certamente non nella dirigenza. Possono rappresentare una parte della manodopera, ma spessissimo si tratta di persone con una formazione elevata o molto elevata. 

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Bangladesh: omaggio del governo per le vittime, Messa del nunzio

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Si è svolto stamane a Dacca l'omaggio ufficiale del Bangladesh alle vittime dell'attacco terroristico che ha ucciso 20 stranieri, tra cui 9 italiani e 7 giapponesi. Cerimonia allo stadio dell'esercito, presenziata dalla premier Sheikh Hasina che ha deposto una corona di fiori sulle bare delle vittime. Il rientro delle salme nei Paesi di appartenenza è previsto per mercoledì, intanto la polizia ha effettuato due nuovi arresti in relazione alla strage di venerdì. E fra poche ore il nunzio apostolico, mons. George Kocherry, celebrerà una Messa  insieme all'arcivescovo di Dacca, mons. Patrick D'Rozario per sottolineare  "l'unità della Chiesa di fronte alla minaccia del terrorismo".  Ma come vive la minoranza cristiana in Bangladesh la minaccia del fondamentalismo? Marco Guerra lo ha chiesto a padre Michele Branbilla, regionale del Pime raggiunto telefonicamente nella diocesi di Dinajpur, situata nel nord-ovest del Bangladesh:  

R. – Tutta la comunità cristiana si è ritrovata a pregare. Ieri che era domenica, nel giorno del Signore, in tutte le Messe sono stati ricordate queste persone uccise da una mano nemica, terrorista. In particolare oggi verranno ricordati dal nunzio in Bangladesh, il quale presidierà una Messa nel pomeriggio alle 18:30 presso il Seminario internazionale di Banani a cui sono state invitate tutte le comunità cristiane e non, a ritrovarsi insieme per pregare per tutti.

D. – Si cerca di rispondere con l’unità anche con la comunità islamica, musulmana. Ma come vivono i cristiani questo grave attentato?

R. - Lo abbiamo preso con sgomento. Sappiamo che circa da un anno la situazione non è facile; le minoranze sono attaccate, anche voi conoscete benissimo i tanti omicidi che sono avvenuti, però una cosa così grande nessuno se l’aspettava. È avvenuta, bisogna lavorare anche con le forze dell’ordine che, devo dire, stanno facendo il loro dovere anche di protezione. Speriamo che questo governo lavori ancora più attivamente per debellare queste forme di fanatismo e fondamentalismo islamico.

D. -  Come è vissuta oggi la presenza missionaria in Bangladesh? La testimonianza di fede, le iniziative di carità …

R. - Si fa più attenzione alle cose che si fanno, ma non abbiamo diminuito il nostro lavoro specialmente nella zona a nord di Dacca; dopo l’attentato tutti gli stranieri, ma non solo escono scortati dalla polizia.  Non ci sono grandi comunità cristiane; c’è la presenza della polizia che tiene la situazione sotto controllo, che osserva se ci sono delle persone sospette. Il lavoro di evangelizzazione ma anche di promozione umana continua. Nessuno di noi si ferma e speriamo in un futuro migliore e di pace per questo Paese. Ne ha tanto bisogno.

D. - A cosa è dovuta questa escalation del radicalismo in Bangladesh? Abbiamo visto che gli attentatori erano figli di famiglie agiate …

R. - Sì, è vero. Questo ha sorpreso. Anche qui c’è molta informazione specialmente a Dacca, dove è come vivere in una città europea. La globalizzazione ha fatto sì che questo fanatismo entrasse tramite i media. D’altro canto anche qui vengono costruite ogni giorno nuove  madrasse, dove vengono formate persone che non percepiscono  il vero spirito del Corano ma prendono la parte peggiore. In queste madrasse vengono creati dei fondamentalisti.

D. - Tutta la popolazione deve rigettare questo fondamentalismo e trovare un’unità con le minoranze …

R. - Certamente. È una cosa molto importante, è un lavoro che si fa e comunque anche quelle piccole cose che vengono organizzare soprattutto a livello caritativo interconfessionali quindi con i musulmani, con i cristiani, con i buddisti a favore dei ragazzi handicappati, dei poveri continuano. Tutto questo è un segno della volontà di voler lavorare insieme per lo stesso popolo e nella pace e per la prosperità per questo Paese.

D. - I vescovi del Bangladesh hanno pubblicato oggi un messaggio di perdono e misericordia in cui si ribadisce un fermo “No” ad ogni violenza …

R. - Certo, forse perché qui la Chiesa è piccola ma unita. Mi trovo in Bangladesh da nove anni e posso dire che questa è una Chiesa che è aperta all’altro. Dunque c’è un’apertura, una voglia di dialogo per poter  vivere tutti insieme in questo Paese. La Chiesa anche se è una piccola comunità cerca sempre di lavorare insieme ad altre comunità come quella islamica e quella buddista. Come Chiesa non chiusi, siamo aperti e integrati; facciamo anche degli incontri di carattere religioso ed ecumenico e si cerca sempre di lavorare insieme per l’unità e per la pace di questo Paese.

D. - E questo lavoro continuerà nel futuro cercando anche di proteggere il proprio gregge…

R. - La speranza non viene mai a mancare sia da parte mia che delle altre persone: siamo qui uniti lavorando per il Signore che è padre di tutti. Quindi sono contento di questo documento dei vescovi che perdona ma allo stesso tempo richiama ai valori della giustizia e di fratellanza. Invito tutti coloro che non sono in Bangladesh ma che ci seguono anche da vicino con tanta stima e ammirazione a continuare a pregare per noi, per questo Paese perché pensiamo che attraverso la preghiera e attraverso le grazie che riceviamo dal Signore si potrà veramente costruire un Paese dove regnerà la pace e l’amore di Dio tra tutti.

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Inchiesta su traffico di migranti: venduti anche organi

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In Italia un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo su una rete criminale, specializzata nel traffico di migranti, ha portato all’arresto di 38 persone, tra cui 12 etiopi e un italiano. Sono state decisive le rivelazioni di un giovane eritreo, Nuredin Atta Wehabrebi, un ex trafficante che da un anno collabora con la giustizia italiana. I proventi delle attività criminali, tra cui il trapianto di organi, venivano trasferiti in negozi a Roma e a Palermo. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

E’ agghiacciante lo scenario che emerge dalle rivelazioni del primo trafficante di essere umani “pentito”. Si tratta di un eritreo, arrestato nel 2015, che ha scelto di diventare un collaboratore di giustizia. I morti di cui si viene a conoscenza – ha affermato - sono una minima parte: solo in Eritrea - ha spiegato l’ex trafficante - otto famiglie su dieci hanno avuto delle vittime legate al traffico di migranti.

Traffico di organi
Quando i migranti non hanno i soldi per pagare il viaggio in mare – ha rivelato l’uomo agli inquirenti - vengono uccisi. I loro organi, espiantati e trasportati in borse termiche, vengono poi venduti da un’organizzazione criminale egiziana. Tra le vittime di questo traffico dell’orrore, ci sono anche bambini.

Falsi ricongiungimenti familiari
Un'altra via utilizzata dalle organizzazioni criminali per ottenere ingenti profitti, è quella dei falsi ricongiungimenti familiari attraverso matrimoni inesistenti tra stranieri, già legittimamente in Italia, e persone con cui non hanno nessun legame. E’ emerso che gli indagati gestivano anche un’attività di traffico di stupefacenti.

A Roma e Palermo covi di trafficanti
Il covo dei trafficanti di esseri umani in Italia era una profumeria, nei pressi della stazione Termini, dove venivano trasferite ingenti somme di denaro. All’interno dell’esercizio commerciale è stato anche ritrovato un vero e proprio “libro mastro” con diversi nominativi. Un altro punto di riferimento per i trafficanti era un bar di Palermo.

Al traffico di migranti si aggiunge dunque anche quello di organi. Amedeo Lomonaco ne ha parlato con don Mussie Zerai, sacerdote eritreo responsabile dell’Agenzia Habesha, Ong impegnata nell’accoglienza dei migranti africani: 

R. – Questo lo sapevamo, lo avevamo denunciato, e avevamo chiesto in più occasioni, all’Interpol e all’Europol, di seguire il flusso di denaro per arrivare a colpire i veri mandanti di questo traffico. Finalmente qualcosa sta emergendo – speriamo – almeno per evitare che questo si ripeta. E ciò nonostante il fatto che anche adesso, in queste ore, ci siano delle persone tenute sotto sequestro in diverse parti, tra l’Egitto, il Sudan e la Libia. Ci sono ancora queste forme di sequestri a scopo di riscatto: chi non può pagare rischia di finire nel giro del traffico di organi, come questo pentito sta raccontando.

D. – È un orrore che non ha limiti. Tra le vittime di questo traffico di organi ci sono anche bambini, secondo gli inquirenti…

R. – Purtroppo sì. Ci preoccupa anche la sparizione di centinaia di minori che, anche una volta arrivati in Europa, non si sa che fine abbiano fatto. C’è stata anche qualche segnalazione, persino qui in Europa: a Idomeni, dopo la chiusura dei confini, qualcuno aveva denunciato persone che proponevano ai migranti, per potersi pagare il viaggio, di cedere un pezzo di rene o di fegato.

D. – Seguendo il flusso di denaro, si è scoperto che ingenti somme venivano trasferite in negozi a Roma e a Palermo: anche in Italia c’è una rete ramificata di trafficanti di migranti…

R. – Noi lo abbiamo denunciato, anche nelle mie diverse audizioni al Parlamento. Dopo l’Accordo di Dublino, la chiusura dei confini ha aperto le porte a questi trafficanti, consentendo loro di organizzare viaggi dal sud verso il nord dell’Europa, facendo anche tanti giri di denaro, e usando anche i negozi e le attività commerciali come copertura.

D. – Come si può sconfiggere una rete così inquietante, come quella messa in piedi dai trafficanti di migranti, purtroppo sempre più ricchi e brutali?

R. – La questione è come sottrarre le persone dalle mani dei trafficanti. La prevenzione consiste, prima di tutto, nell’andare a risolvere il problema nel loro Paese di origine, che oggi li costringe a fuggire. Questo richiede più tempo. Quindi, nel frattempo, bisogna proteggerli anche nei Paesi di transito, organizzando canali legali per raggiungere lo Stato dove possono chiedere asilo, usando i visti umanitari. Oggi le ambasciate in Africa sono irraggiungibili: sono delle fortezze, con tanto di militari che fanno la guardia e alle quali non ci si può neanche avvicinare. Queste persone, non avendo neanche la possibilità di accedere alle ambasciate per poter presentare la loro richiesta, non trovano altra alternativa se non questi trafficanti senza scrupoli che sono disposti anche ad ucciderle per vendere i loro organi. 

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Ocse-Fao: calano prezzi agricoli. Gurrìa: ruolo chiave commercio

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Sono in calo i prezzi agricoli nel mondo, lo documenta un rapporto congiunto dell’Ocse e della Fao, che traccia le prospettive del settore nei prossimi 10 anni, fino al 2025. Lo studio è stato presentato oggi a Roma dal direttore generale della Fao (Organizzazione per l’agricoltura e l’alimentazione), Josè Graziano da Silva e dal segretario generale dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo), Angel Gurrìa. Il servizio di Roberta Gisotti

 

Sembrerebbe finita l’era dei picchi al rialzo dei costi dei prodotti alimentari, agricoli, delle carni, del pesce, dei mangimi. Ma occorre vigilare per possibili ricadute di volatilità dei prezzi. Tutto ciò non basterà poi a sconfiggere la fame nel mondo - ha sottolineato Da Silva da parte della Fao - se non vi saranno politiche di sostegno per ottimizzare le produzioni agricole e soprattutto per migliorare la distribuzione delle risorse tra Paesi e popolazioni. Un ruolo chiave avrà quindi il commercio globale, in uno scenario di economia ancora in ristagno, con una crescita prevista dell’1,8 per cento rispetto al 4,3 dello scorso decennio. Resta fortemente critica la situazione dell’Africa Subsahariana, dove da qui al 2015, si concentrerà un terzo della popolazione mondiale sottoalimentata, anche se il numero totale scenderà da 788 milioni a 650 milioni. Uno scenario che apre comunque all’ottimismo, secondo Angel Gurrìa a capo dell’Ocse: 

R. – E' un beneficio, perché questo vuol dire che i più poveri del mondo potranno comprare di più per mangiare. La stabilità è sempre un bene! La ragione per la quale abbiamo avuto volatilità in passato non è stata esattamente di tipo razionale, ma una reazione automatica, meccanica di paura, senza che ci fosse l’informazione necessaria. Adesso siamo molto più preparati a questo.

D. – Nel Rapporto si insiste sul ruolo chiave che potrà avere il commercio globale…

R. – Questo è fondamentale, nella misura in cui il consumo va ad aumentare in certe regioni del mondo, che non hanno la capacità di produrre nel proprio Paese, perché non ci sono gli investimenti, non ci sono le condizioni naturali e così via e devono importare di più e non soltanto per un miglioramento delle condizioni di vita, ma anche perché ci sono più abitanti, perché la popolazione continua a crescere ad esempio nell’Africa subsahariana. Adesso si raccomanda di non avere barriere e di continuare a spingere per la libertà di commercio di questi prodotti agricoli.

D. – Produzioni alimentari e speculazioni finanziarie: siamo tranquilli su questo fronte? Ci sono meccanismi di controllo?

R. – La speculazione è presente, quando non c’è informazione. Ci sono, infatti, agenti economici, finanziari – banche e così via – che sanno più di altri, e che fanno il mercato. Ma quando abbiamo più informazioni - rispetto anche a prima della crisi del 2008 - la speculazione è minore. Naturalmente se c’è un ciclone, un uragano, un problema di inondazione, in una regione molto importante dal punto di vista della produzione, abbiamo sempre una reazione dei prezzi. Quello che è importante, però, è che le riserve alimentari sono oggi oltre il 50 per cento di quanto non fossero prima della crisi. Questo è un elemento di stabilità, e per questo credo vedremo meno speculazioni pure.

 

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Stromboli: terza edizione della Festa di Teatro ecologico

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Si conclude oggi a Stromboli la terza edizione della Festa di Teatro Ecologico, quest’anno dedicata a William Shakespeare, a 400 anni dalla morte. L’isola siciliana dal 27 giugno ha ospitato “Shakespeare on the rocks”, rappresentazioni, letture, appuntamenti di musica e danza e altre performance senza l’ausilio di corrente elettrica. Ogni artista ha offerto il proprio contributo gratuitamente e gratuitamente il pubblico ha assistito alle diverse iniziative pensate come incontro sinergico tra energia sostenibile, ambiente, turismo, cultura e arte. Al microfono di Tiziana Campisi il direttore artistico della manifestazione Alessandro Fabrizi

R. – Tante persone quest’anno hanno partecipato; il pubblico è triplicato. Ed è una gioia vedere bambini di sette, otto, nove anni che hanno seguito tre ore di “Tempesta” di Shakespeare. La cultura bisogna diffonderla condividendola: tantissimo pubblico, attento, commosso, partecipe. Insomma, io sono pieno di gioia, questa è veramente una festa! Mi sembra che gli ospiti si siano molto divertiti; e tutte le persone a cui abbiamo chiesto di contribuire ci hanno portato dei doni meravigliosi.

D. – Ci può spiegare come funziona questa “Festa di Teatro Ecologico”, che coinvolge anche gli abitanti dell’isola di Stromboli…

R. – Sì, gli abitanti dell’isola sono coinvolti in vario modo: alcune strutture alberghiere ci danno le camere; altre persone ci aiutano a trasportare le cose da una parte all’altra dell’isola; altre le inseriamo anche nelle performance. Stasera poi finiamo con una grande improvvisazione in piazza, per tutti. Per il resto, la mattina noi mettiamo in giro delle locandine, nelle quali si dice che “stasera, in questo posto, succede questa cosa”; e la gente viene. L’ingresso è libero, e ne è venuta tanta di gente finora.

D. – Shakespeare nell’isola di Stromboli, tra gli scogli, come hanno preso corpo i sonetti, i drammi?

R. – Abbiamo guidato un gruppo di attori a dar vita alla “Tempesta” di Shakespeare in tre luoghi dell’isola, con spostamento del pubblico da un luogo all’altro. Il primo “happening” è stato tempestoso, perché il mare era mosso, bagnava sia noi che il pubblico. Per cui eravamo veramente in mezzo a una tempesta. Poi, tanti degli artisti sono stati liberi di improvvisare in giro per l’isola con danze, canzoni e sonetti. Abbiamo anche fatto incontri divulgativi, quindi abbiamo cercato di ricordare “Willie”, come lo chiamiamo tra di noi, in vari modi.

D. – “Festa di Teatro Ecologico” perché senza l’uso di corrente elettrica: come sono state create le scenografie?

R. – Noi non creiamo scenografie, siamo noi che ci adattiamo al luogo che scegliamo. Di giorno c’è la luce del sole che crea degli effetti luce che nessun “light designer” potrebbe mai neanche immaginare. Quando è buio, invece, Hossein Taheri, aiutato da Ezio Spezzacatena, ha organizzato i fuochi: candelotti, padelle romane; candele…

D. – Questo connubio arte-ambiente che cosa insegna?

R. – Io non so cosa insegna, anche se sento che sto imparando e ricevendo molto. Il fatto che il pubblico e gli artisti siano illuminati dalla stessa luce crea una relazione dello spettatore con lo spettacolo immediata, perché non c’è la mediazione della luce o dell’amplificazione – elettrica – e così veramente lo spettatore si sente in scena, quindi sente che l’attore è un altro essere umano come lui, con cui sta condividendo un’esperienza. Più che mettersi a guardare, qui c’è la sensazione di condividere un’esperienza. L’altra cosa straordinaria è vedere come il luogo si relazioni al “logos”, ossia al linguaggio dell’arte. E relazionarsi con l’ambiente naturale, senza la protezione della luce e dell’amplificazione elettrica, mette tutti nella condizione di essere veramente nel momento.

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Nella Chiesa e nel mondo



Cile: tavolo di dialogo con i Mapuche, sarà presente mons. Vargas

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Il governo cileno sta organizzando un tavolo di dialogo senza precedenti per affrontare il conflitto nella zona Mapuche: lo ha confermato alla stampa locale il vescovo della diocesi di Temuco, mons. Héctor Eduardo Vargas Bastidas, a cui è stato chiesto di prendervi parte dalla Segreteria degli Affari Interni del governo come principale organizzatore per contattare i rappresentanti del mondo Mapuche. "Si tratta di un'iniziativa che è venuta dal governo e che dovrebbe essere annunciata molto presto" ha detto mons. Vargas.

Al tavolo dei negoziati, vari settori del Paese
A questo “primo tavolo di dialogo Mapuche” nel secondo mandato della presidente Michelle Bachelet, si prevede parteciperanno leader Mapuche, agricoltori e accademici, come il Premio Nazionale di Storia, Jorge Pinto. Non è escluso vengano chiamati ad intervenire anche membri della guardia forestale e leader del movimento più radicale Mapuche: entrambi i settori sono già stati contattati da parte del governo, secondo una nota ripresa dall'agenzia Fides da una fonte locale.

La Chiesa si è sempre preoccupata del popolo Mapuche
Nel dicembre 2015 mons. Vargas aveva detto a Fides: "In Araucania c'è una situazione complessa. Da un lato esiste un debito storico con il popolo Mapuche. Dall'altro, atti di violenza aumentano e si diffondono, con tutti i problemi che questo comporta. Solo nella diocesi di Temuco, le attività pastorali raggiungono un migliaio di comunità Mapuche. E questo lavoro significa anche valorizzare la dignità, la cultura e i diritti del popolo Mapuche, promuovendo istituzioni che migliorano la loro qualità di vita, come la formazione di micro-imprese e aumentando la produttività della loro terra".

Per i Mapuche le terre sono un "patrimonio ancestrale"
​Nell'Araucanía cilena, il cosiddetto “conflitto Mapuche” contrappone dagli anni '90 il più grande e importante gruppo etnico del Paese agli agricoltori e agli imprenditori a causa della proprietà delle terre, considerate dai Mapuche "patrimonio ancestrale". Nelle ultime settimane ci sono stati diversi episodi di violenti scontri fra indigeni mapuche e membri di alcune comunità di agricoltori della zona. (C.E.)

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Incontro Ccee sulla famiglia: unire Vangelo e impegno europeo

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Una delle sessioni dell’incontro dei segretari generali delle Conferenze episcopali d’Europa tenutosi a Berlino è stata dedicata alla solidarietà con le famiglie alla luce dell’esortazione Amoris laetitia. A introdurre il tema - riferisce l'agenzia Sir - è stato l’arcivescovo di Berlino, mons. Heiner Koch, il quale ha raccontato la sua esperienza personale come partecipante all’ultimo Sinodo sulla famiglia (ottobre 2015).

Far comprendere il significato della sacramentalità del matrimonio
Nella comunità cattolica di Berlino (400mila fedeli su una popolazione di 4 milioni di abitanti) la “sfida maggiore è quella di fare comprendere a una popolazione che non si sente interpellata dal fenomeno religioso il significato della sacramentalità del matrimonio”. Successivamente, il segretario del Ccee ha presentato un breve rapporto su quanto le diverse conferenze episcopali stanno realizzando per applicare le indicazioni presenti nell’esortazione di Papa Francesco. 

La sinodalità permette di preservare l’unità nella Chiesa
Quindi il nunzio apostolico in Germania, l’arcivescovo Nikola Eterović, già segretario generale del Sinodo, si è soffermato sulla prassi della sinodalità (il “camminare insieme”) nella Chiesa. La sinodalità è “allo stesso tempo un’attitudine e una prassi ecclesiale, resa concreta attraverso la struttura del Sinodo dei vescovi”. È “una dimensione della vita ecclesiale che permette di preservare l’unità nella Chiesa pur nelle sue diversità di espressioni e risposte pastorali”.

Card. Marx: unire il Vangelo e il nostro impegno per l’Europa
“Abbiamo bisogno di un rinnovamento dell’evangelizzazione”, ha dichiarato dal canto suo il card. Reinhard Marx, presidente della Conferenza episcopale tedesca e presidente della Comece, presiedendo l’eucarestia con i segretari generali delle Conferenze episcopali d’Europa. “Per questo è necessario – secondo Marx – unire il Vangelo e il nostro impegno per l’Europa. Il Vangelo è, infatti, il messaggio centrale per il continente europeo. Non possiamo capire l’Europa senza la nostra fede, il Vangelo, e non possiamo comprendere la Chiesa senza la storia della libertà che abbiamo sperimentato in questo continente”. Secondo il cardinale la via della Chiesa non è una “riconquista o un castello che deve essere difeso. Il cammino della Chiesa è la missione di incoraggiare e guidare le persone a una gestione responsabile del dono della libertà”. Nella mattina di venerdì 1° luglio è stato affrontato, a Berlino, il tema della solidarietà nei confronti dei migranti e rifugiati, quella espressa nelle numerose esperienze di accoglienza e d’integrazione promosse dalla Chiesa, ma anche nelle sue implicazioni nei rapporti con gli Stati.

Affrontati anche i rapporti Ccee e Comece
​Come testimonianza di questo “camminare insieme”, la discussione è poi proseguita sabato 2 luglio con i rapporti del Ccee e della Comece, i due organismi ecclesiali europei preposti alla comunione tra l’episcopato del continente, e gli interventi di quattro segretari generali che hanno declinato il tema della solidarietà tra le conferenze episcopali “mostrando – riferisce il Ccee – come le gioie, le sofferenze e le speranze delle une siano d’interesse e di responsabilità anche delle altre conferenze episcopali”. I lavori si sono conclusi ieri con la celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo Koch nella cattedrale di Berlino. (R.P.)

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Brexit: appello leader religiosi britannici a unità nazionale

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“In questo tempo di incertezza, la gente ha bisogno di punti di riferimento, ma questo non è un valido motivo per cedere alla diffidenza verso l’altro”. E’ quanto si legge in una lettera aperta pubblicata il 1° luglio sul Times di Londra sottoscritta dal Card. Vincent Nichols e dal Primate anglicano Justin Welby, insieme al Gran rabbino Ephraim Mirvis e al Maulana musulmano Syed Ali Raza Rizvi.

Contrastare  i pregiudizi razziali e difendere l’unità del Paese
Nella lettera i leader religiosi esprimono una ferma condanna dell’escalation di episodi di intolleranza xenofoba registrata nel Regno Unito dopo il referendum sul Brexit e invitano tutti i cittadini all’unità e alla solidarietà nazionale: “Quando non riusciamo ad avere il controllo di una situazione ognuno di noi cede all’istinto di scaricare sugli altri le colpe per le ingiustizie che ritiene di avere subito. Oggi – prosegue la lettera - ci appelliamo a tutti i cittadini del nostro grande Paese a riconoscere le proprie responsabilità personali delle sue azioni, invece di evitarle cercando capri espiatori e a contrastare  i pregiudizi razziali e comunitari ovunque si manifestino, assicurando che il Paese resti più che mai unito”

331 aggressioni fisiche e verbali contro stranieri in una settimana
Nella settimana dal 23 al 30 giungo sono state riportate 331 aggressioni fisiche e verbali a sfondo xenofobo, in particolare nei confronti di immigrati comunitari, contro una media di 63. Episodi condannati con fermezza dal card.  Nichols in una nota diffusa il 27 giugno. In un’intervista alla Bbc il presidente della Conferenza episcopale inglese e gallese (Cbcew) ha ribadito le sue forti preoccupazioni per questa escalation razzista, chiamando in causa le responsabilità dei governi di  questi ultimi anni che – ha detto - hanno lasciato sole le Chiese e comunità religiose ad affrontare le tensioni sociali legate all’immigrazione (L.Z.)

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Rapporto Aiuto alla Chiesa che Soffre: record raccolta fondi

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Nuovi record per Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs). Nel 2015 la Fondazione pontificia ha raccolto 124,1 milioni di euro, superando del 15% la raccolta dell’anno precedente. È stato quindi possibile finanziare 6.209 progetti in 146 Paesi, 600 interventi in più rispetto al 2014.

Le aree geografiche prioritarie continuano ad essere l’Africa e il Medio Oriente
Solo in quest’ultimo anno Acs ha donato oltre 20milioni e 500mila euro nel 2015. Quasi raddoppiati gli aiuti di emergenza e la fornitura di strutture per far fronte soprattutto alle necessità dei milioni di rifugiati, un aumento costante sin da quando è iniziata ad aggravarsi l’instabilità nella regione. Dal 2011 ad oggi Acs ha infatti donato 47milioni e 630mila euro in tutto il Medio Oriente.

I Paesi che hanno ricevuto più aiuti sono Iraq e Siria
In Iraq Acs ha donato 10 milioni e 700mila euro nel 2015 e quasi 20 milioni di euro dall’inizio dell’avanzata del sedicente Stato Islamico nel giugno 2014. Grazie alla Fondazione pontificia, i 125mila cristiani costretti dall'Isis ad abbandonare le proprie case e a rifugiarsi nel Kurdistan iracheno, hanno ora case, scuole, cibo e assistenza medica. Segue la martoriata Siria, che dall’inizio della guerra nel 2011 ha ricevuto quasi 13milioni di euro, di cui 5 milioni e 600mila nel solo 2015. Acs sostiene i cristiani siriani che a causa del conflitto sono emigrati in Paesi vicini come il Libano, dove lo scorso anno sono stati realizzati progetti per un totale di oltre un milione e 720mila euro.

36% delle offerte per chiese, seminari, monasteri, centri pastorali 
Nel 2015 la Fondazione ha ovviamente continuato a sostenere la pastorale della Chiesa in tutto il mondo, ad esempio attraverso la costruzione e la ricostruzione di 1674 tra chiese, cappelle, seminari, monasteri, centri pastorali e altri edifici religiosi. A questo ambito di intervento è stato devoluto il 36% delle offerte, per un totale di oltre 34milioni di euro. La maggior parte delle costruzioni è avvenuta in Africa, dove la Chiesa è in costante crescita.

Il sostegno di Acs ai sacerdoti di tutto il mondo
​In aumento anche il sostegno ai sacerdoti della Chiesa che Soffre, attraverso le intenzioni di Sante Messe affidate loro dai benefattori di Acs. Lo scorso anno, sono state celebrate 1.431.380 Messe – una ogni 22 secondi - ed un sacerdote ogni 9 nel mondo – in totale 43.203 – ha ricevuto questo fondamentale supporto. Tra gli ambiti di maggiore impegno di Acs anche la formazione di sacerdoti, religiosi e religiose - cui sono stati devoluti oltre 8milioni e 200mila euro - e quella dei seminaristi. Nel 2015 un seminarista ogni 10 ha potuto studiare grazie alla Fondazione pontificia. (A cura di Marta Petrosillo)

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Venezuela: aggrediti studenti e seminaristi. Proteste della Chiesa

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Venerdì scorso, un gruppo di violenti (si presume una delle bande che cerca di prendere il dominio della città) ha attaccato un gruppo di studenti che andavano a scuola, fra cui c'erano anche i seminaristi dell'arcidiocesi di Mérida. Parte del gruppo di studenti è fuggito ma i 5 seminaristi sono stati aggrediti, picchiati e poi spogliati e derisi. Uno è stato portato al pronto soccorso. Episodi di violenza a scopo di rapina e furto - riferisce l'agenzia Fides - accadono si solito di sera, ma negli ultimi giorni gli atti vandalici e di violenza contro cittadini innocenti accadono più spesso anche alla luce del giorno.

Clima di violenza e disperazione
"Questo non è il modo per risolvere le differenze che possono esistere nella società, perché ci porta a un clima di violenza e disperazione, che è ciò che squalifica un governo che non si occupa della integrità dei cittadini": così mons. Baltazar Porras Cardozo, arcivescovo metropolitano de Mérida ha commentato l’aggressione agli studenti.

Gruppi di violenti agiscono senza nessun controllo
"Purtroppo ci ritroviamo di nuovo con questi atti vandalici, con questi gruppi che agiscono contro l'integrità di persone che camminano per la strada; i seminaristi sono stati attaccati, spogliati e picchiati, uno picchiato a sangue, il tutto in totale assenza di personale della sicurezza pubblica che dovrebbero garantire la tutela e la salute fisica, morale e spirituale dei cittadini", si legge nel comunicato dell'arcidiocesi inviato a Fides.

In aumento violenze e gruppi criminali
​I gruppi violenti in Venezuela sono in aumento: bande criminali, crimine organizzato, paramilitari che in assenza di una adeguata risposta della forze di sicurezza cerca di prendere il potere e il pieno controllo di alcune aree, a Mérida, Valencia, Caracas e altri città. La capitale è diventata la città più violenta del mondo. (C.E.)

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Argentina: nota dei vescovi su presunti casi di corruzione

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Collaborare per chiarire ogni denuncia: questa l’esortazione della Commissione esecutiva della Conferenza episcopale argentina (Cea), diffusa in una nota riguardante alcuni “fatti che legano persone della Chiesa nel Paese a possibili casi di corruzione”. In particolare, i presuli auspicano “che i giudici possano rimanere indipendenti dalle pressioni di qualsiasi potere” e guardare solo “alla verità ed alla giustizia”.

Occorre un esame di coscienza
Come “seguaci di Gesù Cristo – scrivono i vescovi, citati dall’agenzia Sir - dobbiamo essere onesti e rispettosi delle leggi e come qualsiasi cittadino dobbiamo collaborare con la giustizia affinché sia chiarita la verità dei fatti e attenerci alle sue sentenze”. Di qui, anche il richiamo della Cea ad “un sincero esame di coscienza alla luce dell’Anno della misericordia”. “Auspichiamo, anche per il popolo argentino – continua la nota - che questo messaggio arrivi a tutte le persone responsabili e complici dei delitti di corruzione”.

No alla corruzione, essere testimoni integri del Vangelo
La Cea sottolinea, inoltre, la necessità di “un cammino di purificazione e conversione profonda del cuore, per poter rinnovare la Chiesa nella carità pastorale”. Allo stesso tempo, i presuli esprimono il loro “rifiuto di fronte a qualsiasi atto di corruzione, pubblico o privato, ma in maniera particolare rispetto a quelli che coinvolgono membri della Chiesa che, per la loro missione ed il loro servizio, dovrebbero essere testimoni integri del Vangelo che predicano”. (I.P.)

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Chiesa Svizzera: documento sul suicidio degli anziani

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Favorire la diffusione e l’accesso alle cure palliative e “rimettere in discussione gli ideali di autodeterminazione della persona, performance e fattibilità veicolati dalla società moderna”: questa la strada per affrontare le nuove sfide della vecchiaia e della morte contro la pericolosa tendenza oggi alla sua banalizzazione.  È quanto afferma “Il suicidio degli anziani: una sfida. Considerazioni etiche  nella discussione sul fine vita e sulle le cure palliative”,  un ampio studio della Commissione giustizia e pace svizzera presentato nei giorni scorsi a Berna con il quale la Chiesa svizzera si propone di dare un nuovo contributo al dibattito più che mai aperto nel Paese sui temi dell’autodeterminazione, della fragilità, della morte e del suicidio assistito.

No alla pianificazione della morte
Il documento di 50 pagine parte da una constatazione di fondo: il nuovo modo di rapportarsi della società contemporanea con la morte. Da tabù essa è oggi diventata un “tema onnipresente” di cui si parla apertamente e pubblicamente. Soprattutto con l’invecchiamento della popolazione e l’allungamento della vita consentito dagli straordinari progressi della medicina, la morte diventa sempre più un progetto, un evento da pianificare “razionalmente” in anticipo per non lasciare nulla al caso e renderla “umana, degna e buona” .

No all’aiuto agli anziani a morire
Ma questa enfasi sull’autodeterminazione della persona, sta anche accreditando nell’opinione pubblica l’idea di estendere l’accesso all’assistenza al suicidio – ammessa dalla legge svizzera  per i malati terminali e per le persone colpite da sofferenze intollerabili - alle persone anziane, anche se non sono in fin di vita. Lo testimoniano il sorprendente consenso raccolto nel 2015 in Svizzera da una discutibile proposta finalizzata a concedere alle persone molto anziane la possibilità di mettere fine alla propria esistenza ricorrendo ai servizi delle organizzazioni di assistenza al suicidio e l’impennata delle adesioni a queste associazioni registrata in Svizzera in quest’ultimo anno.

Ogni vita umana fa parte di una rete sociale
Ed è agli interrogativi etici posti da questi preoccupanti sviluppi che cerca di rispondere in una prospettiva cristiana l’articolato documento della Commissione Giustizia e Pace. Per i cristiani, si sottolinea,  “ogni vita umana fa parte di una rete sociale, dalla nascita alla morte: la dipendenza dagli altri, quindi, non è una tara, ma un aspetto fondamentale della condizione umana, così come la frammentarietà e l’imperfezione” della vita. Ogni tentativo di controllo della propria vita è in questo senso destinato al fallimento”. 

Una società che esclude gli anziani e i suoi membri più deboli è disumana
Per questo le raccomandazioni rivolte alla società nella parte conclusiva dell’opuscolo, evidenziano che la “morte deve di nuovo essere compresa come parte della vita” e come “evento sociale”. La società “non ha il diritto di escludere gli anziani”, ma deve dare un “migliore riconoscimento alla cura” che i parenti prestano agli anziani e morenti. “Una società che esclude ogni suo membro debole, anziano e non autosufficiente diventa disumana”.

Cercare nuove forme di offerta pastorale per accompagnare gli anziani
Alla Chiesa, Giustizia e Pace raccomanda invece di porsi in un atteggiamento di ascolto per trovare “risposte nuove e credibili alla ricerca di una buona morte”; di farsi “portavoce degli anziani e dei più vulnerabili”; di impegnarsi di più nella promozione delle cure palliative e parlare più spesso di vita e di morte, studiando “nuove forme di offerta pastorale” per accompagnare gli anziani. Quanto al sistema sanitario, si chiede di “estendere l’offerta delle cure palliative”, continuando “a esplorarne le possibilità e i limiti”.  (A cura di Lisa Zengarini)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 186

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