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Sommario del 07/07/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: udienze sospese ma non smetto di pregare per voi, voi pregate per me

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Papa Francesco ha pubblicato oggi un nuovo tweet sull’account @Pontifex in nove lingue: “In questo mese le mie udienze sono sospese, ma io non smetto di pregare per voi; e voi, per favore, pregate per me!”. A luglio, lo ricordiamo, sono previsti solo gli Angelus domenicali con i fedeli radunati in Piazza San Pietro. Poi, a fine mese, dal 27 al 31, il Papa si recherà in Polonia in occasione della Giornata mondiale della gioventù, con tappe a Cracovia, Czestochowa e Auschwitz. Ad agosto il Papa riprenderà le udienze generali del mercoledì. Il 4 agosto, nel pomeriggio, visiterà la Porziuncola in occasione dell'ottavo centenario del Perdono di Assisi, che cade provvidenzialmente nell’Anno Santo straordinario della Misericordia.

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Papa nomina Bagnasco suo inviato al Congresso eucaristico nazionale

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Papa Francesco ha nominato il cardinale Angelo Bagnasco suo inviato speciale al Congresso Eucaristico Nazionale Italiano che si terrà a Genova dal 15 al 18 settembre. All’evento – scrive il Papa in una lettera al presidente  della Conferenza Episcopale Italiana - parteciperanno molti cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi e laici per celebrare “la fonte viva della Chiesa e il pegno della gloria futura” (Unitatis Redintegratio, 15).

Il Papa esorta per questa occasione “ad onorare sempre più la santissima Eucaristia, ‘sacramento di pietà, vincolo di carità e convito pasquale’ (Sacrosantum Concilium, 47), e a nutrirsene per essere fraternamente uniti" e "per cooperare all’edificazione della Chiesa e al bene del mondo”.

Invita, quindi, a riscoprire l'adorazione eucaristica, visitando, "se possibile, ogni giorno, soprattutto nelle difficoltà della vita, il Santissimo Sacramento dell’infinito amore di Cristo e della sua misericordia, conservato nelle nostre chiese, e spesso abbandonato, per parlare filialmente con Lui, per ascoltarlo nel silenzio e per affidarsi tranquillamente a Lui”. La preghiera conclusiva del Papa è che Dio, “per l’intercessione della Santissima Madre di Dio, faccia nascere da questo Congresso Eucaristico Nazionale abbondanti frutti spirituali”.

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Il Papa riceve mons. Nunzio Galantino

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Papa Francesco ha ricevuto in udienza mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana.

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Rinuncia e nomina

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Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Daltonganj (India), presentata da S.E. Mons. Gabriel Kujur, S.I., in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico e ha nominato S.E. Mons. Anand Jojo, Vescovo di Hazaribag, Amministratore Apostolico “sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis” della medesima diocesi.

Il Papa ha nominato Membro della Congregazione per i Vescovi S.E. Mons. Blase J. Cupich, Arcivescovo di Chicago (Stati Uniti d’America).

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Vatileaks2: attesa la sentenza. Ascoltata ancora Chaouqui

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Si attende la sentenza per il processo in Vaticano, iniziato a fine novembre 2015, per appropriazione e divulgazione illecita di documenti riservati. In queste ore i giudici sono in Camera di Consiglio. Questa mattina c’è stata la possibilità di brevi dichiarazioni da parte dei 5 imputati, ma ha parlato solo Francesca Immacolata Chaouqui. I due giornalisti Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, insieme al Segretario di Cosea mons. Vallejo e il Segretario esecutivo Nicola Maio, hanno scelto di non fare altre deposizioni. Ieri il Promotore di Giustizia aggiunto Zannotti ha detto che questo non è un processo alla libertà di stampa, mentre gli avvocati di Maio, Fittipaldi e Nuzzi hanno chiesto l’assoluzione per i propri assistiti, contestando tutti i capi d’accusaMassimiliano Menichetti:

Francesca immacolata Chaouqui, per cui l’Ufficio del Promotore di Giustizia ha chiesto la pena più alta, tre anni e nove mesi di carcere, si scusa con la Corte per “alcune ultime dichiarazioni che non rispecchiano” il suo “pensiero”. “Avrei dovuto tacere - dice - sono una persona con molti difetti”, si definisce “orgogliosa, rabbiosa”, afferma che “ha commesso errori”. Dichiara che ha parlato alla stampa durante il procedimento "per salvaguardare” la sua “immagine”, “dalla quale dipende il ”suo “lavoro”.

Stima per operato Corte
Esprime stima per l’operato del Tribunale e sottolinea che si è resa “sempre disponibile in ogni fase del procedimento” e che ha “partecipato a tutte le udienze, nonostante la gravidanza”. “Se la Corte mi condannasse e chiedesse all'Italia l'esecuzione della sentenza - aggiunge - io e mio figlio passeremmo i primi anni della sua vita in galera".

Un calvario
Si commuove e con la voce rotta dal pianto, dice che “questi mesi sono stati un calvario” e che “qualunque sentenza non sarà peggiore” di ciò che ha “affrontato”. Afferma di aver dovuto gestire la distruzione “della sua immagine professionale, personale, di donna, mamma ed essere umano”.

Il rischio della famiglia distrutta
Punta il dito su mons. Vallejo e - dice - “le sue bugie”, che “hanno rischiato di distruggere” la sua “famiglia”. Si riferisce a quando venne pubblicato l'articolo che la “dipinge come l'amante del monsignore”. L’imputata afferma che “non erano carte uscite dagli avvocati o dalla Gendarmeria". “Ho provato rabbia – evidenza – e spiega che ha deciso di andare in tv e sui giornali per “raccontare la verità”.

L’archivio ai giornalisti
L’imputata non riesce a trattenere le lacrime: “non è da me” - afferma. Nega ancora una volta di aver passato documenti ai giornalisti. E afferma che non sapeva che mons. Vallejo “avrebbe preso e consegnato l'archivio” ai cronisti dopo averli conosciuti.

Interrogatorio in Gendarmeria
Torna sul Vatican Asset Management e sottolinea che nel primo interrogatorio in Gendarmeria, in cui disse di aver passato il documento a Nuzzi, si “riferiva alla sola rassegna stampa” che includeva il Vam. Sottolinea di essersi recata a ottobre presso il Corpo vaticano con l’intenzione di fornire informazioni, di collaborare “per la ricerca della verità e non certo nella consapevolezza” che sarebbe “stata arrestata”. ”Era come se i gendarmi – sostiene - fossero già convinti della mia colpevolezza”.

La pena maggiore
Aggiunge che “il Promotore di Giustizia non ha mai distinto i tempi sui fatti per i quali è stata chiesta” la sua “condanna”. “Come se” la donna avesse avuto un progetto, “un disegno ancor prima di entrare in Cosea”. “Ma non è così” – rimarca Chaouqui. Smentisce di aver minacciato mons. Vallejo e rileva che per lei è “stata chiesta la pena maggiore, come se” avesse “costruito tutto da sola”.

Il messaggio dell’8 agosto
Torna sul messaggio di insulti al monsignore inviato l’8 agosto 2015. Precisa che era in vacanza in Cambogia e che fu una reazione ad un altro messaggio che le era stato girato in cui il prelato “parlava di lei in una cena”. Rimarca che l’ex Segretario Cosea aveva “mandato le password dei documenti a Nuzzi già dal 15 aprile” e che l’imputato “ha sempre cercato di prendere” i suoi contatti” e quindi l’imputata ebbe “una reazione rabbiosa, poi evidenzia: “Non ho mai minacciato o fatto del male”. Ammette di aver commesso tanti errori, come quello di “non aver riferito ai superiori quello che” stava “vedendo".

Mai diffonderò documenti
Chaouqui sostiene che ha “sempre agito nell'interesse della Santa Sede” e che se avesse voluto consegnare documenti riservati, non c’era motivo di fare pressioni sul prelato o di “aspettare due anni”, perché aveva ed ha ancora i documenti. “Potrei uscire da qui e darli a chi voglio - dice - ma non lo farò mai".

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Vaticano: onorificenze per padre Ciro Benedettini e Angelo Scelzo

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Due uomini al servizio dell’informazione della Santa Sede. Padre Ciro Benedettini e il dott. Angelo Scelzo, andati recentemente in pensione, hanno ricevuto stamani le onorificenze da parte del prefetto della Segreteria per la Comunicazione, mons. Dario Edoardo Viganò. Entrambi hanno ricoperto la carica di vice-direttore della Sala Stampa vaticana. A seguire l’evento per noi, Debora Donnini

Una cerimonia toccante. Padre Federico Lombardi direttore della Sala Stampa vaticana ha ricordato il lavoro di Angelo Scelzo, da più di 30 anni in Vaticano, e di padre Ciro Benedettini da più di 20. Padre Federico Lombardi si sofferma, ai nostri microfoni, sul servizio professionale e l’amore al Papa, che entrambi lasciano come eredità: 

“Naturalmente sono lavori che si svolgono giorno per giorno. Se uno adesso dovesse ripercorrerli, si renderebbe conto quale quantità incredibile di eventi sono stati seguiti per comunicare l’attività di almeno tre Papi, al cui servizio sono stati tutti e due, eventi di incredibile portata. Solo per ricordare: il grande Giubileo, i Sinodi, i Conclavi… In un certo senso, sia padre Benedettini sia Scelzo, pur essendo giornalisti, quindi capaci di comunicare in prima persona, sono stati dei grandi servitori e collaboratori dei comunicatori, perché potessero svolgere bene il loro lavoro”.

Applausi hanno accompagnato il momento in cui mons. Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione, ha conferito ad Angelo Scelzo la placca di commendatore di San Gregorio Magno mentre a padre Benedettini è stata donata la Croce pro Ecclesia et Pontifice. A mons. Dario Viganò abbiamo chiesto quali cambiamenti si prevedono nel lavoro della Sala Stampa, all’interno della riforma dei media vaticani:

“Il ruolo della Sala Stampa non può cambiare, perché è appunto la sede propria della comunicazione istituzionale. Probabilmente cambieranno le modalità con cui si costruiranno, si manterranno i rapporti con i giornalisti. Penso, ad esempio, come sarà molto più utile avviare tutto un sistema digitale, perché i giornalisti possano essere informati tempestivamente. Penso, ad esempio, magari, che si possa essere capaci di estendere l’orario di apertura, perché al di là dell’Oceano funziona in maniera diversa rispetto che al di qua dell’Oceano. Per cui al di là delle modalità concrete, la Sala Stampa è il luogo attraverso il quale si comunicano le notizie istituzionali e ufficiali della Santa Sede relativamente al Papa”.

Forte l’emozione sia da parte di padre Benedettini sia da parte di Angelo Scelzo. Padre Benedettini, lo ricordiamo, è stato anche direttore dell’Eco di San Gabriele. Quando Joaquín Navarro-Valls era direttore della Sala Stampa, fece parte del team che gestì il passaggio dall’informazione cartacea ad Internet, in modo tale da poter dare ai giornalisti l’immediatezza dell’informazione vaticana. Uno dei suoi ricordi più forti è inerente alla morte di Giovanni Paolo II:

“Certamente quello è il ricordo più intenso dei miei 21 anni qui in Sala Stampa, per quello che io provavo dentro di me, ma anche per quello che mi comunicava la gente attorno: milioni di persone che comunicavano il loro affetto al Santo Padre, a Dio, ma in qualche modo lo comunicavano anche a noi… almeno io lo sentivo. E quindi questa è certamente l’esperienza più forte della mia vita qui in Vaticano”.

Ad affiancare padre Benedettini tre anni fa, è stato chiamato il dott. Angelo Scelzo, giornalista di lungo corso. Prima, aveva ricoperto incarichi di responsabilità ad Avvenire, all’Osservatore Romano, all’agenzia Fides. E’ stato responsabile della comunicazione al grande Giubileo del Duemila e sottosegretario del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. “Un sottosegretario inossidabile”, ha detto alla conferenza stampa mons. Claudio Maria Celli, che per tanti anni ha guidato il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Al dottor Scelzo abbiamo chiesto quale evento l’abbia colpito di più negli anni di vicedirettore della Sala Stampa vaticana:  

“Per quanto riguarda la Sala Stampa, indubbiamente la rinuncia di Papa Benedetto, perché io sono arrivato in Sala Stampa la settimana prima e mi sono trovato subito di fronte a questo grande evento della Chiesa. Poi, ovviamente, il Conclave con l’elezione di Francesco. Questi sono stati i due momenti per quanto riguarda gli ultimi tre anni, che però sono gli ultimi di trenta, vissuti nella comunicazione vaticana con diversi incarichi e con un impegno che si è svolto in diversi settori”.

Insomma, due giornalisti la cui vita è stata spesa con dedizione al servizio della Chiesa e dei giornalisti perché potessero comunicare al meglio l’attività del Papa e della Santa Sede.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Rispetto per i popoli indigeni: lo chiede il Papa nel videomessaggio di luglio per la Rete mondiale di preghiera.

In prima pagina, un editoriale di Lucetta Scaraffia dal titolo "L'attrazione della testimonianza": restituire calore e vita alla fede.

Paolo Vian su quando Buddha si fece francescano: il "Libre de Barlam et de Josaphat" nella Provenza angioina trecentesca.

Un francobollo per madre Cabrini nel settantesimo anniversario della canonizzazione.

Emilio Ranzato sul cinema puro dell'Hitchcock italiano: cinquant'anni fa usciva nelle sale "Operazione paura".

Così lontani così vicini: Pablo M. Diez illustra le similitudini tra le decorazioni dei santuari di Mogao e il romanico spagnolo.

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Oggi in Primo Piano



Rapporto GB contro Blair: guerra in Iraq non era giustificata

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Saddam Hussein non rappresentava “un pericolo imminente” per il mondo, la convinzione che avesse armi di distruzione di massa “non era giustificata” e la guerra voluta nel 2003 dal presidente statunitense George Bush jr, affiancato dall’ex premier britannico Tony Blair, fu “pianificata male” e non fu affatto decisa come “ultima risorsa” disponibile. È il rapporto della commissione presieduta a Londra da John Chilcot sulla partecipazione del Regno Unito alla guerra di tredici anni fa e sul ruolo di Blair, uno studio che ha richiesto sette anni di lavoro, per esaminare centocinquantamila documenti ed ascoltare centinaia di testimoni. Ne è emerso un quadro che, secondo molti analisti, era delineabile già nel 2003. Giada Aquilino ne ha parlato con Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana: 

R. – Sostanzialmente sì. E dice tra l’altro quello che, se ricordiamo l’atmosfera del 2003, Papa Giovanni Paolo II e migliaia di persone che sfilavano nelle città di tutto il mondo sostenevano: ossia che la guerra in Iraq sarebbe stata un disastro molto più grande rispetto a quelli a cui voleva porre rimedio. Bush jr e Blair volevano fare quella guerra e l’hanno fatta a qualunque costo, purché questo fosse pagato dagli altri.

D. – Il rapporto dice appunto che l’intervento non fu deciso come ultima risorsa disponibile: lei ha citato San Giovanni Paolo II, che parlò proprio di questo concetto, osservando che in fondo c’era ancora spazio per la pace…

R. – Sì, in effetti tutti avevano la sensazione che ci fosse spazio per – diciamo così – costringere Saddam Hussein in un angolo, senza però massacrare anche il suo popolo, che poi è quello che è successo. E la responsabilità di Bush e Blair si estende non solo agli eventi del 2003 – cioè alla guerra in sé – ma anche a quello che poi ne è derivato. A parte gli attentati degli ultimi tempi e dell’ultimo decennio, vorrei ricordare che, solo come vittime dirette di quella guerra, secondo alcune stime – ad esempio quella della rivista inglese “The Lancet” – ci sono state 600 mila persone.

D. – Papa Wojtyła non a caso avvertì delle tremende conseguenze che un’operazione militare internazionale avrebbe potuto portare alle popolazioni dell’Iraq, ma anche agli equilibri mediorientali, per non parlare degli “estremismi” – disse – che ne sarebbero potuti derivare: un avvertimento molto attuale?

R. – Molto attuale. E soprattutto un avvertimento che viene ripreso in pieno dal rapporto Chilcot. Infatti, una delle cose che il rapporto dice è che le conseguenze devastanti di quell’intervento militare potevano già allora essere previste o comunque temute. C’erano tutti gli elementi per mettere sul piatto della bilancia delle decisioni anche l’idea che poi si sarebbe aperto uno spazio enorme per le scorrerie dei terroristi; lo scioglimento del regime avrebbe, per esempio, riversato in Iraq una grande quantità di armi e uomini – gli ex del partito Baath e dell’esercito – capaci e disponibili ad usarle. Insomma, gli elementi per una decisione più ponderata c’erano.

D. – Ci può essere una lettura quindi di continuità tra la guerra del 2003 e poi Al-Qaeda e il sedicente Stato islamico?

R. – Assolutamente sì. Perché se noi guardiamo il modus operandi del terrorismo islamico in tutto il mondo, notiamo che cerca sempre una crisi in cui annidarsi e in cui fare il suo ‘sporco’ lavoro, che è poi quello di lacerare il tessuto sociale, rendere ingovernabili gli Stati. Questo è già successo in Afghanistan e già all’epoca dell’invasione sovietica; in Somalia; nel Mali; in Nigeria; in Libia; in Iraq e in Siria.

D. – Il risultato della commissione Chilcot non prevede alcun processo per crimini di guerra a carico di Blair, come hanno chiesto invece centinaia di manifestanti londinesi: che peso ha, di fatto, per l’ex premier britannico, che ha comunque detto di aver agito in 'buona fede'?

R. – Arriva sicuramente tardi. Non dimentichiamo quello che è successo anche dopo: quest’uomo, nel 2007, è stato incaricato di fare da mediatore nelle trattative di pace tra israeliani e palestinesi!

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Fermo, nigeriano ucciso. Card. Menichelli: colpita tutta l'umanità

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Fermato per omicidio Amedeo Mancini, l'aggressore di Emmanuel Chidi Namdi, il nigeriano pestato a morte il 5 luglio a Fermo, nelle Marche, dopo che la moglie era stata insultata con parole razziste. Mancini è stato arrestato per "omicidio preterintenzionale con l'aggravante della finalità razziale". Alessandro Guarasci: 

Emmanuel, 36 anni, e sua moglie Chinyery, 24 anni, erano fuggiti dalla violenza degli estremisti islamici Boko Haram in Nigeria, dove sono stati uccisi la figlia e i genitori durante l'assalto ad una chiesa. Una fuga con tante vessazioni da parte dei trafficanti: la donna avevo perso anche il figlio che portava in grembo. Poi l’arrivo a Fermo, assistiti dalla Diocesi locale. Ora per Amedeo Mancini, l’assassinio di Emanuel, è scattato l’arresto con l'aggravante della finalità razziale". Chinyery avrà lo status di rifugiata. Lo ha detto il ministro dell’Interno Angelino Alfano a Fermo per il comitato di ordine pubblico. Per il cardinale Edoardo Menichelli, vescovo di Ancona, quanto avvenuto è “un’offesa profonda al genere umano''. Nei mesi scorsi la Chiesa di Fermo aveva subito intimidazioni, con quattro bombe carta piazzate di fronte ad altrettante parrocchie. Il vicario generale della Diocesi di Fermo, don Pietro Orazi:

R. – Di per sé, fino ad ora non c’erano mai stati problemi. D’altra parte, anche riguardo la questione delle bombe, non abbiamo mai ricevuto messaggi chiari né minacce e non ci sono state neanche rivendicazioni. Certo, ci sono stati avvertimenti, ma non un messaggio chiaro e preciso. Adesso, c’è quest’episodio molto grave capitato l’altro giorno.

D. – Lei che cosa vede? Sono casi episodici questi atti di intolleranza nei confronti di chi richiede l’asilo oppure respira, nella sua provincia, un clima ostile?

R. – Per il momento, anche i nostri rifugiati non hanno creato problemi. Che ci sia un clima ostile non lo posso dire; probabilmente si tratta di qualche piccolo gruppo isolato, magari di ispirazione neofascista o non saprei, che compie questi gesti. Potrebbe anche essere che chi mette le bombe magari poi crea questo clima di ostilità. Certo, anche dalle nostre parti c’è la propaganda nazionale: quella di chi vede un’invasione degli extra-comunicatori, che ci rubano il lavoro, e di chi dice che per loro si spendono soldi mentre per gli italiani non c’è la possibilità di arrivare a fine mese. Oppure l’accusa alla Caritas, assolutamente falsa, che noi ci occupiamo più degli stranieri che degli italiani. Noi invece non abbiamo poveri di serie A e poveri di serie B.

D. – Don Vinicio Albanesi ha detto: Questo episodio gravissimo che è accaduto, ci rafforza nella nostra convinzione di andare avanti. Lei che cosa può aggiungere?

R. – Direi che è perfettamente giusto. Non possiamo lasciarci intimorire e quindi – assolutamente – le bombe non hanno cambiato nulla e tantomeno farà questo episodio. Anzi, ieri sera, nella veglia di preghiera, abbiamo avuto proprio il conforto di una presenza massiccia di persone e non solo di associazioni ecclesiali. C’era infatti anche il sindaco, il rappresentante della Cgil, la Croce Rossa e poi altre realtà che non conosco e che non sono tutte necessariamente di ispirazione cattolica; c’era anche un imam. C’è stata una partecipazione veramente significativa e notevole, anche se la veglia è stata organizzata su due piedi, in pochissimo tempo. Quindi anche la comunicazione è stata difficile, rapida, però noi abbiamo fatto quello che era possibile.

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Arcivescovo di Atene: situazione miserabile di greci e profughi

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Con tassi di disoccupazione record del 25% e l’arrivo di oltre un milione di migranti nell’ultimo anno, la Grecia si trova ad affrontare una doppia sfida economica e umana. Per questo Caritas, Missio e Focsiv sono riunite ad Atene per un seminario dal titolo “Grecia paradosso Europeo”, che mette in luce i limiti di un’Europa “sempre più divisa in particolarismi nazionali, frammentata in un arcipelago incoerente di Stati ostili che alzano barriere”. Tra i relatori l’arcivescovo di Atene, mons. Sebastianos Rossolatos, raggiunto telefonicamente da Michele Raviart

R. – I rifugiati, per il momento, non fanno parte della società, sono ai margini: questa è la loro situazione miserabile. Tutte le organizzazioni non governative cercano di aiutarli a sopravvivere… Ma questo non può continuare! Non si può solo sopravvivere: bisogna integrarli, tanto più che devono restare ancora per tanti mesi, forse per anni, in Grecia; bisogna far studiare i loro bambini… E’ un problema molto grosso! Questo problema si inserisce nella situazione già drammatica dei greci stessi e degli emigrati che sono arrivati 20-30 anni fa in Grecia, che non hanno lavoro e devono pagare le tasse, che sono pesantissime. E quest’anno sono ancora più pesanti!

D. – Come si possono integrare questi nuovi arrivati in Grecia con – per esempio – i tassi di disoccupazione, che sono altissimi adesso nel Paese?

R. – E’ un problema che non si può risolvere: anche perché se vengono inseriti nella società, garantendo loro lavoro e quant’altro, si ribellano i greci che non hanno lavoro, che hanno le loro famiglie in situazioni miserabili. In questo momento è una via senza uscita! Se non c’è un programma di progresso, se non si creano nuovi posti di lavoro per i greci e per gli emigrati, che sono arrivati 20, 30 anni fa qui in Grecia, come si possono inserire poi i 50 mila profughi che sono arrivati lo scorso anno?

D. – Qual è la situazione dell’accoglienza ad Atene?

R. – I profughi non si trovano soltanto ad Atene: si trovano sparsi per tutta la Grecia, in campi di accoglienza. Però non tutti entrano in questi campi e quindi ci sono ancora molte tende nel Porto del Pireo; ma anche quelli che si trovano nei campi di accoglienza sono così disperati che si ribellano e ogni tanto ci sono scontri, ci sono incendi come reazione… La Caritas può fare poco se non c’è un programma di sviluppo dell’Unione Europea e del governo. Adesso non c’è un programma di sviluppo.

D. – Lei ha parlato dell’Unione Europea, che - come è scritto nel programma di questi tre giorni – rischia di essere sempre più divisa da particolarismi e da nazionalisti…

R. – Sì, certo!

D. – Quanto pesano, in questo contesto, fenomeni come quello della Brexit?

R. – Pesa nel senso che è bloccato ogni dialogo per arrivare ad uno sviluppo in Grecia e questo perché ci sono altri problemi interni nell’Unione Europea. E poi l’Unione Europea chiede il pagamento dei debiti da parte della Grecia e il governo impone nuove tasse: non c’è una via di uscita in questo modo! Si mettono tasse, senza garantire uno sviluppo. Dall’Unione Europea non si vede luce…

D. – Qual è, in questa situazione di doppia crisi, il ruolo della Chiesa?

R. – Dal momento che la gente e le famiglie sono impoverite, sono impoverite anche le parrocchie e le diocesi: quindi le diocesi stesse e i vescovi non possono aiutare le parrocchie e non abbiamo i soldi per poter mandare un sacerdote per fare catechismo… Anche la Chiesa è impoverita in questo momento. I profughi arrivati nel 2015-2016 sono soltanto l’ultimo punto che ha aggravato la situazione: abbiamo una crisi che dura da 30 anni!

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Italia assolta in Europa: obiettori non compromettono Legge 194

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Assolta l’Italia dal Consiglio d’Europa riguardo la corretta applicazione della legge 194, in materia d’interruzione di gravidanza. Si è concluso, con una risoluzione positiva del Comitato dei ministri, il contenzioso aperto nel 2013 dalla Cgil contro l’Italia, relativo al diritto all’aborto delle donne italiane, che sarebbe stato compromesso dall’alto numero di obiettori di coscienza. Tesi respinta dati alla mano dal Ministero della salute. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Era stato un reclamo collettivo, quello presentato dalla Cgil, accolto nell’ottobre 2013 dal Comitato europeo dei Diritti sociali. La parola era poi passata al Gruppo Affari sociali, che nel maggio scorso, aveva potuto esaminare la documentazione aggiornata presentata dal Ministero della Salute, prima ancora che in sede europea al Parlamento italiano, dove si dimostra che il numero degli obiettori non penalizza l’efficienza del servizio garantito dalla Legge 194 sia a livello nazionale, che regionale e locale.

Una risoluzione positiva del Consiglio dei ministri del Consiglio d’Europa ha chiuso ieri la partita, rimandando al 2017 un aggiornamento sulla situazione. Ma cosa emerge dai dati? Anzitutto che gli aborti sono in costante calo più che dimezzati in 30 anni: erano quasi 235 mila nel 1982, anno che ha segnato il picco, fino a scendere sotto i 100 mila nel 2014, con un tasso di abortività tra i più bassi nei Paesi industrializzati. A fronte di ciò il numero di ginecologi non obiettori è rimasto quasi invariato, da 1.607 nel 1983 a 1.490 nel 2013, per cui il loro carico di interventi abortivi a settimana è sceso da 3,3 a 1,6 nello stesso periodo, variando a livello regionale da 0,5 della Sardegna a 4,7 del Molise. Un carico per i medici non obiettori tale da non comprometterne altre attività. In calo anche i tempi di attesa tra la certificazione e l’intervento che viene praticato per oltre il 90% nella regione di residenza.

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Caserta, Settimana biblica nazionale sulla figura dei Patriarchi

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La Settimana Biblica Nazionale, organizzata e promossa a Caserta dal 4 all’8 luglio dall’Istituto di Scienze religiose “San Pietro”, è arrivata alla sua ventesima edizione, incentrata quest’anno sulla figura dei Patriarchi nel Libro della Genesi. Dopo lo studio dei Vangeli negli anni passati, a condurre i lavori per questa edizione sono i biblisti Bruna Costacurta, docente presso la facoltà di Teologia della Pontificia Università Gregoriana, e don Giuseppe De Virgilio, docente presso la Pontificia Università della Santa Croce in Roma e presso l’Istituto teologico Pianum di Chieti, intervistato da Salvatore Tropea

D. – Quali sono le peculiarità che rendono questo appuntamento così importante non solo per teologi e studiosi, ma anche per i laici?

R. – Io direi tre peculiarità. La prima è l’argomento: lo studio dei Patriarchi, del Libro della Genesi, Abramo, Isacco, Giacobbe e Giuseppe. La seconda è il metodo, che aiuta le persone che vengono a studiare bene il testo approfondito. La terza è l’attualizzazione: le problematiche di questi Patriarchi - pensiamo alla vita, alla famiglia – sono molto vicine alla gente.

D. – Nella giornata di inaugurazione, il vescovo di Caserta, mons. D’Alise, citando Benedetto XVI, ha affermato che “la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per testimonianza”…

R. – La Parola di Dio, attraverso lo studio della Bibbia, interpella un credente, a tal punto che potremmo dire che la Parola di Dio ha un messaggio per tutti quanti noi: l’invito a un ascolto profondo che deve diventare, poi, vita, testimonianza. Non si testimonia per costrizione, ma soltanto perché si è ascoltati, si è attratti da questa Parola. In questo senso mons. D’Alise ha colto bene la dinamica che già è presente nei racconti e Paolo ce lo ricorda: soltanto se uno ascolta la Parola, riceve la predicazione, può rispondere con la fede e la testimonianza.

D. – La Settimana Biblica è anche motivo di confronto nell’ambito del progetto “Bibbia e cultura europea”. Può essere, quindi, un valido strumento per riscoprire le radici cristiane dell’Europa e dell’Occidente?

R. – Questa è davvero una speranza che ci portiamo: se la Bibbia è il grande Codice che non soltanto ha uniformato e ha trasformato le nostre culture, le diverse culture del mondo europeo e del mondo mediorientale, oggi questo Codice rimane ancora lontano dalla percezione della gente di questo tempo. Dobbiamo aiutare le persone a ritornare ad approfondire questo grande Codice, che non è soltanto un codice morale, ma un codice identitario.

D. – Il tema di quest’anno – “I Patriarchi” – può rappresentare uno spunto anche per il dialogo ecumenico e interreligioso?

R. – Le posso assicurare che questa domanda è emersa dalla Settimana: Abramo è un punto di riferimento assolutamente irrinunciabile e non soltanto per il mondo ebraico, ma anche per il mondo cristiano e per il mondo islamico. Alcuni dei nostri partecipanti hanno fatto delle domande e hanno anche portato qualche testimonianza di dialogo attraverso questi testi, che sono testi da interpretare, ma che vanno – appunto – letti nella prospettiva di un dialogo con le altre religioni. Questo è un elemento molto importante da approfondire. Ma non è soltanto il campo biblico: qui si richiede anche una riflessione di natura teologica e di conoscenza anche delle altre religioni.

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Nella Chiesa e nel mondo



Kaiciid: no a violenza in nome di Dio. Promuovere il dialogo

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Istanbul, Dacca, Baghdad, Medina. Quattro città diverse unite da una striscia di sangue: quella delle vittime di diversi attentati terroristici che hanno provocato numerose vittime. Di fronte a simili avvenimenti, il Kaiciid - il Centro internazionale per il dialogo interreligioso e culturale intitolato a Re Abdullah Bin Abdulaziz, fondato nel 2012 con il contributo della Santa Sede e con sede a Vienna – ha rilasciato una dichiarazione a nome di cinque religioni: cristianesimo, buddismo, induismo, Islam ed ebraismo.

Non abusare della religione per giustificare la violenza
Esprimendo cordoglio per le vittime e vicinanza alle loro famiglie, i rappresentanti del Kaiciid si dicono “scioccati dalla violenza perpetrata da coloro che abusano della religione per giustificare l’ingiustificabile: la violenza contro gli altri e contro i luoghi di culto”. Di fronte a tali crimini, il Kaiciid chiede “a tutte le persone di buona volontà di restare unite nel respingere ogni forma di pregiudizio nei confronti delle persone di culture e credo religiosi diversi”.

Unità e dialogo per raggiungere la riconciliazione
L’unità, infatti, non permette ad alcuna forma di “violenza o terrore” di “allontanare i popoli e le culture dalla via della pace”. “Rimaniamo fermamente decisi – concludono i rappresentanti del Kaiciid – nel fare affidamento sul dialogo per raggiungere la riconciliazione”.

Gli scenari degli attentati
Gli attentanti ricordati dal Kaiciid si sono verificati nei giorni scorsi: il 28 giugno, tre kamikaze si sono fatti saltare in aria all’aeroporto di Istanbul, in Turchia, provocando più di 40 morti ed oltre 200 feriti. Venerdì 1.mo luglio, un commando di terroristi ha fatto irruzione in un ristorante di Dacca, in Bangladesh, uccidendo venti persone, tra cui nove italiani. Domenica 3 luglio, in Iraq, tre esplosioni, rivendicate dal  sedicente Stato Islamico, hanno colpito il quartiere commerciale di Karrada, a Baghdad, provocando 250 morti. Il giorno seguente a Medina, in Arabia Saudita, un attacco suicida nei pressi del recinto sacro della Moschea del Profeta Maometto, ha provocato quattro morti. (I.P.)

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Bangladesh: minacce di morte a commercianti cristiani e indù

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Proprietari cristiani e indù di negozi, ristoranti, hotel e altre attività commerciali rischiano di morire se non si atterranno a un elenco di otto regole islamiche. Le minacce di morte, contenute in un volantino, sono state recapitate agli esercizi commerciali da membri dell’Islamic Khalafot Mojahidin Bangladesh (Ikmb), un gruppo islamico bandito in Bangladesh. Dopo queste intimidazioni e l’attentato della settimana scorsa nel caffè di Dhaka, ora i commercianti non musulmani vivono nella paura, ma non hanno intenzione di arrendersi. Albert Prodip Baperi, un cattolico che gestisce il ristorante di cucina sino-thailandese Yean Tun, dice all'agenzia AsiaNews: “Morirò, ma non applicherò le linee guida dei militanti”.

I negozi hanno elevato le misure di sicurezza
La missiva è stata recapitata alcuni mesi fa al suo ristorante, che organizza anche banchetti di nozze e feste di compleanno, ad alcuni hotel a cinque stelle e ad altri negozi gestiti da personale non musulmano. Da quel momento i negozi hanno elevato le misure di sicurezza e hanno assunto delle guardie private.

Le direttive dei jihadisti sono precise 
Negli esercizi commerciali si devono rispettare otto regole: all’ingresso deve campeggiare la scritta “Bismillah Rahman Rahim” (l’invocazione “In nome di Dio, Clemente, Misericordioso” con cui si aprono tutte le sure del Corano, ndr); avere una copia del Corano; avere un’immagine della Kaba Sharif (la costruzione cubica al centro della moschea della Mecca, considerata il luogo più sacro dell’islam – ndr); eliminare dipinti o statue sacri della propria religione; adibire un luogo in cui i clienti musulmani possano pregare; non servire cibo haram (proibito) come la carne di maiale e se i clienti musulmani ordinano della carne di vacca in un ristorante indù (considerata sacra dall’induismo), essi devono essere soddisfatti; chiudere il ristorante nel mese del Ramadan; non suonare alcun tipo di musica, tranne le canzoni islamiche; proibire alle donne di lavorare e, se non possono farne a meno, ordinare loro di indossare l’hijab (velo islamico) o il bhurka (l’abito che ricopre dalla testa ai piedi e lascia scoperti solo gli occhi). La pena per chi contravverrà a queste indicazioni è una sola: la morte per mano dei militanti dell’Ikmb. Il ristoratore cattolico riferisce: “Nel nostro ristorante ci sono immagini di Gesù e Maria, e rimarranno lì dove sono”.

Minacce anche alla  più grande cooperativa di micro-credito, gestita da cattolici
Anche la Christian Co-Operative Credit Union Ltd, la più grande cooperativa di micro-credito in Bangladesh, gestita da cattolici, ha ricevuto minacce. Hemento Corraya, il segretario, dice: “Siamo stati oggetto delle stesse intimidazioni. Per questo nei nostri uffici abbiamo innalzato l’allerta. È molto triste che i fondamentalisti islamici tentino di controllarci con la forza. Chiediamo aiuto alla polizia, affinchè garantisca la nostra sicurezza”. (S.C.)

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Iraq: nel Kurdistan terre cristiane espropriate da clan curdi

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Cristiani siri, assiri e iracheni residenti nel Kurdistan iracheno continuano a denunciare espropri illegali delle proprie case e terre da parte di concittadini curdi, che operano singolarmente o in maniera coordinata con altri membri del proprio clan tribale. L'ultimo ricorso presentato dai proprietari espropriati agli organismi giudiziari della Regione autonoma del Kurdistan iracheno è stato depositato a metà giugno, con la richiesta di porre fine al deplorevole fenomeno.

Le terre sottratte ammontano ormai a migliaia di acri
Secondo il dottor Michael Benjamin, direttore del Centro Studi Ninive - riferisce l'agenzia Fides - le denuncie presentate alle autorità della Regione autonoma del Kurdistan iracheno negli ultimi anni non hanno prodotto alcun cambiamento: le terre sottratte illegalmente a proprietari cristiani in diverse aree, città e villaggi delle province di Dahuk e di Erbil ammontano ormai a migliaia di acri: "Nel solo governatorato di Dahuk” ha dichiarato di recente Michael Benjamin al website Monitor, “c'è una lista di 56 villaggi in cui l'area di terreno sequestrato è pari a 47.000 acri", mentre il politico Yonadam Kanna, presidente del gruppo parlamentare Rafidain, ha fatto notare che “ci sono più di 60 villaggi cristiani abitati da non cristiani in tutta la Regione del Kurdistan, e questo contribuisce al cambiamento demografico della regione".

Senza esito le denunce ai tribunali competenti del Kurdistan
Lo scorso 13 aprile alcune centinaia di cristiani siri, caldei e assiri, provenienti dalla regione di Nahla, nella provincia irachena settentrionale di Dohuk, avevano organizzato una manifestazione davanti al Parlamento della Regione autonoma del Kurdistan iracheno per protestare contro le espropriazioni illegali dei propri beni immobiliari subite negli ultimi anni ad opera di influenti notabili curdi, già più volte denunciate - finora senza esito - presso i tribunali competenti.

Espropri illegali per terre e case appartenenti a cristiani
I manifestanti esponevano cartelli e striscioni, compreso uno in inglese con la scritta “Gli Usa e i Paesi occidentali sono responsabili di ciò che accade e viene perpetrato contro il nostro popolo in Iraq”. Gli espropri illegali prendono di mira in maggior parte terre e case appartenenti a cristiani che hanno lasciato l'area soprattutto a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, per sfuggire ai conflitti regionali e alle violenze settarie e tribali esplose con maggior virulenza dopo gli interventi militari delle coalizioni internazionali. (G.V.)

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Nigeria: il rapimento dei sacerdoti è un assalto alla Chiesa

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La recente ondata di rapimenti di sacerdoti e religiosi è “un assalto alla Chiesa”, afferma don Sylvester Onmoke, neo eletto presidente dell’Associazione dei preti diocesani della Nigeria.

Il rapimento e l'uccisione di padre John Adeyi
Il caso più drammatico è quello di padre John Adeyi, vicario generale della diocesi di Otukpo, nello Stato nigeriano di Benue, rapito il 24 aprile, e i cui resti sono stati trovati due mesi dopo, il 22 giugno, nei pressi del complesso della Ogbadibo Local Government Education Authority a Otukpa, la sua città natale.
I suoi rapitori avevano chiesto un riscatto per liberare il sacerdote. Nonostante la famiglia del vicario avesse consegnato la somma richiesta, il sacerdote non era stato liberato. Poi la tragica scoperta del suo corpo ormai in decomposizione.

Per padre Gospel Inalegwu chiesto un riscatto
Il 23 giugno è stato rapito padre Julius Gospel Inalegwu, nella sua parrocchia, la St. Joseph Catholic Church, Jitan – Dutse, nella Tudun Wada Local Government Council, nello Stato di Kano. Secondo mons. John Namaza Niyiring, vescovo di Kano, i suoi rapitori hanno chiesto un riscatto di 20 milioni di Naira (circa 64mila euro).

Corruzione e sete di denaro tra le cause dei sequestri
La corruzione e la bramosia di denaro che affligge la società nigeriana continua ad essere una delle cause principali dei sequestri di sacerdoti, secondo don Onmoke. Il presidente dell’Associazione dei preti nigeriani critica il cattivo esempio dato da politici e funzionari corrotti che, ostentando la loro ricchezza ottenuta illecitamente, spingono altri a cercare di ottenere denaro facilmente e con tutti i mezzi. A questo si aggiunge, secondo il sacerdote, la frustrazione diffusa tra la popolazione per la disoccupazione e per il mancato pagamento dei salari dei lavoratori.

Invito ai fedeli a pregare per l'incolumità dei sacerdoti
Don Onmoke chiede al governo di garantire la sicurezza di tutti e di avviare politiche per affrontare i mali del Paese, invita poi i fedeli a pregare perché sacerdoti e religiosi siano protetti dalla minaccia dei rapimenti. (L.M.)

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Iraq: a Erbil prima pietra della “Casa della misericordia” per anziani

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“Sarebbe bello che come ricordo di questo Giubileo restasse in ogni diocesi un monumento vivente, un’opera strutturale di misericordia... Una scuola, un ospedale, una casa per anziani, un Centro di recupero per persone sole e abbandonate”. Così si era espresso Papa Francesco lo scorso 2 aprile, parlando a braccio alla fine del suo intervento durante la veglia giubilare nella festa della Divina Misericordia. 

Prima pietra del Centro per gli anziani
Prendendo ispirazione da quelle parole del Successore di Pietro, nella giornata di martedì 5 luglio è stata posta a Erbil la prima pietra della “Casa della Misericordia”, la struttura che la locale arcidiocesi caldea riserverà all'accoglienza degli anziani. Alla cerimonia inaugurale che ha segnato l'inizio concreto del nuovo progetto diocesano ha preso parte l'arcivescovo Bashar Warda, insieme a rappresentanti di istituzioni e forze politiche locali.

La struttura sorgerà ad Ankawa centro dei cristiani fuggiti dall'Is
​ La “Casa della Misericordia” - riferiscono le fonti ufficiali del Patriarcato caldeo all'agenzia Fides - sorgerà su terreni appartenenti alla Chiesa caldea a Ankawa, sobborgo di Erbil abitato in maggioranza da cristiani, dove sono rifugiati ancora migliaia di cristiani fuggiti dai villaggi della Piana di Ninive davanti all'avanzata dei miliziani dell'autoproclamato Stato Islamico (Daesh). (G.V.)

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Colombia. Card. Salazar Gomez: Farc si reinseriscono nella società

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A margine dell’Assemblea della Conferenza episcopale colombiana, in corso in questi giorni a Bogotá, il card. Rubén Salazar Gómez, arcivescovo di Bogotá e presidente del Celam, ha rilasciato importanti dichiarazioni in merito al processo di pace che il Paese sta vivendo, proprio mentre arriva la notizia che le Farc, in aggiunta a quanto già stabilito nel corso della trattativa, hanno sospeso il reclutamento di guerriglieri e accettato che sia la Corte costituzionale a stabilire le modalità di approvazione popolare della definitiva intesa. 

Il cardinale auspica che le Farc diventino movimento civile
Secondo il card. Salazar - riferisce l'agenzia Sir - si tratta di grandi notizie per il Paese. “Poco a poco – ha affermato – le Farc entrano nella vita civile e si reinseriscono nella società” per diventare un movimento civico. Il porporato ha espresso la speranza che si tratti di gesti definitivi: “Se davvero le Farc si vogliono disarmare e reinserire nella società, non ha senso che continuino a reclutare persone, al contrario è necessario che smantellino la propria struttura militare”. 

Appello alla guerriglia dell'Eln a rinunciare alla lotta armata
Resta, poi, il nodo del gruppo guerrigliero ancora esistente, l’Eln: “Oggi non c’è alcuna giustificazione per una guerriglia armata, l’Eln lo deve comprendere”. Da qui la richiesta di avviare un serio dialogo abbandonando le azioni violente. (R.P.)

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Vescovi Usa: solidarietà a Chiesa colombiana per accordo di pace

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La Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb) esprime solidarietà alla Chiesa cattolica della Colombia per l’accordo di pace tra governo e Forze armate rivoluzionarie (Farc) firmato recentemente a L’Avana. L’intesa, raggiunta dopo quattro anni di negoziati, pone fine a più di 50 anni di conflitto. Punti centrali dell’accordo sono il cessate-il-fuoco e la consegna delle armi da parte delle Farc.

Pace si garantisce con dialogo ed eliminazione pacifica delle armi
“In questo momento di speranza ed incoraggiamento per il vostro amato Paese – scrive mons. Oscar Cantú, presidente della Commissione Giustizia e pace dei vescovi Usa in una lettera inviata a mons. Luis Augusto Castro Quiroga, presidente dell’episcopato colombiano – assicuro il sostegno e l’amicizia” della Chiesa cattolica statunitense. “Solo continuando il duro lavoro della riconciliazione e del dialogo e provvedendo all’eliminazione, pacifica, delle armi e degli strumenti di violenza, la pace potrà essere garantita”, aggiunge il presule.

A fine agosto, vescovi Usa in Colombia per visita di solidarietà
Quindi, mons. Cantù ribadisce la disponibilità della Chiesa cattolica statunitense ad aiutare la sua omologa colombiana “in questo momento di speranza per il Paese”. A tal proposito, il presule informa che è allo studio una sua “visita di solidarietà” in Colombia “alla fine di agosto” per “incontrare i vescovi” e riflettere “congiuntamente” sui passi da intraprendere “per affrontare i problemi più difficili”. Infine, mons. Cantù incoraggia i presuli colombiani a proseguire nel loro operato di “pastori e costruttori di pace”.

Lettera anche al Segretario di Stato, Kerry
Un’analoga missiva mons. Cantù l’ha inviata al Segretario di Stato Usa, John Kerry. Nella lettera, il presule ribadisce l’importanza di “proseguire gli sforzi per ridurre il numero di armi disponibili, nel delicato percorso” della Colombia “verso la pace”. In quest’ottica, mons. Cantù esprime apprezzamento per gli sforzi compiuti dall’amministrazione Usa, sia presente che passata, “per contribuire a realizzare sviluppi positivi” in Colombia.

Proteggere vita, dignità e futuro dei colombiani
“La nostra nazione – aggiunge il vescovo statunitense – ha una speciale responsabilità morale nel proteggere la vita, la dignità ed il futuro di tutti i nostri fratelli e sorelle colombiani”. A nome della Chiesa Usa, infine, il presule chiede “al governo degli Stati Uniti di proseguire nel suo percorso verso la promozione della pace in Colombia, Paese travagliato”. (A cura di Isabella Piro)

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Vescovi Panama: dialogo per legge su educazione sessuale

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Sui temi della famiglia e dell’educazione sessuale dei figli occorre dialogo tra politica e società: è quanto scrive, in una nota, la Conferenza episcopale di Panama, in riferimento al progetto di legge n. 61. Attualmente in esame, la proposta normativa mira a rendere unica e obbligatoria per tutti i centri di formazione nel Paese, impedendo di fatto ai genitori di scegliere l’educazione da impartire ai propri figli e facendo riferimento a principi estranei alla morale cristiana, come quello della salute riproduttiva.

Cattolici hanno diritto e dovere di difendere pubblicamente valori evangelici
“La famiglia e l'educazione sessuale sono questioni di vitale importanza per il futuro del Paese – scrivono i vescovi - quindi a decidere su di essa dovrebbero essere non solo i politici, ma l'intera società in cui  tutti hanno il diritto e il dovere di parlare e di agire”. Di qui, il richiamo dei presuli “al diritto ed al dovere dei cattolici di esprimere le proprie opinioni pubblicamente in difesa dei valori morali ed evangelici”.

Educazione sessuale sia educazione all’amore
Quindi, i presuli ricordano quanto scritto da Papa Francesco nell’Esortazione apostolica post-sinodale “Amoris Laetitia”, ovvero che la Chiesa dice sì all’educazione sessuale dei giovani, da intendere però come “educazione all’amore” da impartire “nel momento appropriato e nel modo adatto”, insegnando anche quel “sano pudore” che impedisce di trasformare le persone in puro oggetto.

Lavorare insieme per il bene dei giovani
​Al contempo, la Chiesa di Panama “continua a mantenere un atteggiamento di dialogo e di ascolto con le autorità” governative e con la società civile, nella “ricerca del consenso necessario a raggiungere il bene comune tutti i panamensi”. Infine, la Conferenza episcopale panamense lancia un appello a tutte le parti in causa affinché si cerchino “il dialogo ed il rispetto” reciproco, per “ottenere un futuro migliore per i bambini ed i giovani del Paese”. (I.P.)

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Mons. Crociata: Santa Maria Goretti ci ricorda la piaga dei femminicidi

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“L’accostamento tra la nostra piccola Marietta e la serie delle innumerevoli vittime femminili della violenza maschile viene spontaneo”. Lo ha detto ieri sera mons. Mariano Crociata, vescovo di Latina-Terracina-Sezze-Priverno, nell’omelia della Messa per la festa di Santa Maria Goretti, patrona di Latina e dell’Agro pontino. “Non c’è dubbio che colpisce il crescendo del numero di casi di cosiddetto femminicidio che le cronache ci riferiscono”, ha osservato il presule, per il quale “risulta davvero strano, dopo decenni di conquiste – o presunte tali – di diritti da parte delle donne e dopo il raggiungimento di una sempre più completa eguaglianza con gli uomini, che la riduzione della donna ad oggetto non solo continui come prima, ma addirittura arrivi a esprimersi in forme estreme per riaffermare, più o meno consapevolmente, una sottomissione che si voleva superata definitivamente, una cosificazione a parole respinta da tutti e in ultimo, in alcuni casi, la sua cancellazione con la morte quando essa tenti di sottrarsi definitivamente alla logica del possesso e dell’abbrutimento”. 

Quando a decidere è il nostro cieco istinto
Tra i fattori che concorrono a produrre certi effetti, mons. Crociata ha citato “l’educazione inadeguata, soprattutto dei bambini, ma non solo di essi. Inadeguata perché manca la percezione della distanza tra il desiderio e il suo appagamento”, con la conseguenza che “manca la capacità di aspettare, di valutare, di decidere; il nostro cieco istinto decide al posto di noi, della nostra volontà e della nostra coscienza”.

La cultura radicale libertaria
Secondo il vescovo, “c’è un altro motivo – di tipo culturale – che si combina con questo. La cultura radicale libertaria, che non si accontenta di esaltare la libertà – cosa sacrosanta – ma afferma una libertà senza condizioni e senza limiti di nessun genere, promuove una sorta di culto di sé e della possibilità di fare anche di se stessi ciò che si vuole; solo che il sé per lo più si riduce all’istinto, al suo potenziamento e alla sua espressione senza limitazioni di sorta”.

Ognuno di noi è fatto per Dio e Dio è per ognuno di noi
Santa Maria Goretti, ha sottolineato il presule, “è un segno di una umanità compiuta, educata e matura. Ad essa l’ha condotta una educazione umana e cristiana che le ha insegnato a distinguere tra bene e male, a conoscere la distanza e la differenza tra il desiderio e la sua realizzazione; soprattutto le ha insegnato la differenza tra piccoli e grandi desideri, e cioè che la persona umana è un essere desiderante che porta dentro di sé una sete di infinito, un desiderio infinito di vita a cui tutti i desideri vanno rapportati e che la fede indica come apertura illimitata a Dio quale vero appagamento del bisogno profondo che abita ciascuno di noi”. In questa maniera, ha concluso mons. Crociata, “si impara anche che ognuno di noi è fatto per Dio e che Dio è per ognuno di noi; e che c’è una grandezza nascosta in ciascuna persona che non può essere nemmeno lontanamente ridotta a meno di una persona, cioè a un oggetto di desiderio tra altri”. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 189

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.