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Sommario del 13/07/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Disastro ferroviario in Puglia: il Papa prega per le vittime

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Il Papa ha espresso il suo profondo dolore per il disastro ferroviario avvenuto ieri in Puglia. Almeno ventisette i morti per lo scontro tra due treni locali. Una cinquantina i feriti, tra cui alcuni in condizioni gravissime. Riferendo in Parlamento, il ministro dei Trasporti Graziano Delrio ha detto che "occorre fare chiarezza al più presto". Il servizio di Alessandro Guarasci

Stanno arrivando da tutto il mondo messaggi di cordoglio dopo l’incidente ferroviario di ieri vicino Andria. Il Papa in un telegramma ha assicurato "le sue preghiere per quanti sono morti", ha invocato "dal Signore per i feriti una pronta guarigione" affidando alla "protezione della Vergine Maria quanti sono colpiti dal drammatico lutto".

Questa mattina sono cominciati nell'istituto di Medicina legale di Bari, le operazioni di riconoscimento da parte dei parenti delle vittime. Il ministro Delrio ha detto che il bilancio di 27 morti non è definitivo. La cittadina di Andria ha proclamato tre giorni di lutto. Ora bisognerà capire perché è potuto accadere tutto questo e una risposta la potrà dare la scatola nera di uno dei due treni recuperati. L'indagine della Procura di Trani dovrà accertare non solo chi ha sbagliato, ma se chi ha sbagliato è caduto in errore da solo o se è stato indotto in errore da altri. Una cosa sembra certa, uno dei due treni era in leggero ritardo. Molte polemiche sono state sollevate sulla sicurezza della linea a binario unico. Stefano Ricci, professore di ingegneria civile alla Sapienza di Roma ed esperto di sistemi ferroviari: 

R. – Per tanti anni fino ad oggi in Italia, ma anche in altri Paesi, ci sono ferrovie che si gestiscono in quel modo. Certo non è il più evoluto e non è neanche il più sicuro però sono cento anni che vanno in giro in quel modo e non ci sono incidenti molto frequenti. Per fortuna il sistema ferroviario è molto sicuro. È chiaro che i sistemi automatici evitano anche che una concatenazione di errori umani possa portare questo.

D. - Però ci si chiede: possibile che con la tecnologia odierna non si riescano ad allestire dei sistemi più sicuri?

R. - La tecnologia consente ampiamente di andare oltre, proteggere ulteriormente l’operato anche incrociato - se vogliamo - di più operatori con un sistema automatico che possa proteggere, però bisogna vedere come e quando perché il nostro non è un Paese così ricco. Magari si potesse fare tutto!

D. - Però oggi ad esempio con il Gps si riesce a sapere dove esattamente si trova un convoglio…

R. - Attualmente ci sono sistemi adottati in tutte le ferrovie che consentono di dare un consenso in più, ma che è un consenso dato da un sistema automatico che può essere di varia natura, quindi elettromeccanica, elettronica a secondo di quale tecnologia viene adottata, però comunque copre l’eventuale errore umano. Il Gps lasciamolo perdere, perché non ha ancora applicazioni intensivamente sicure. Viene utilizzato per aspetti informativi, ma non per situazioni. Al momento è ancora in fase di sperimentazione. Probabilmente sarà pronto fra un po’ di tempo, ma ora non è lo strumento per fare questo tipo di operazioni.

Per la Cgil, bisogna aspettare prima di lanciare accuse. Maria Teresa De Benedictis, segretario generale per la Filt Puglia: 

R. – C'è un sistema di controllo del traffico, chiamato ‘telefonico’, ma è un sistema adottato ancora oggi su molte linee ferroviarie. Sicuramente è una fatalità e io non mi sento di condannare un regime di traffico rispetto a un altro se ad oggi la legge lo permette.

D. – Ma secondo voi, comunque, la sicurezza su quella linea e su altre in Puglia, va aumentata?

R. – Io penso che vadano uniformate le norme di sicurezza ferroviaria e che il tutto debba essere portato sotto l’autorità dell’Agenzia nazionale della sicurezza ferroviaria; penso che sia necessario armonizzare le norme per tutta l’infrastruttura ferroviaria nazionale.

D. – Adesso voi, come sindacato, come agirete dopo questo incidente?

R. – Sicuramente saremo vicini alle vittime e ai loro familiari. Daremo loro tutto il supporto necessario, anche dal punto di vista legale, fiscale, sui dati Inps e Inail; e tutto quello che potrà servire per dare loro sostegno. 

Anche la Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana si stringe attorno alle famiglie coinvolte nel grave incidente ferroviario. Dai fondi 8xmille sono stati destinati 200 mila euro per la prima emergenza. L'arcivescovo di Bari-Bitonto, mons. Francesco Cacucci: 

R. – Sono le Chiese locali soprattutto di Andria e di Trani, con i loro vescovi e la Caritas di quelle diocesi, che conoscendo direttamente anche queste famiglie, possono raggiungerle per poter comprendere anzitutto quale sia la situazione non solo delle vittime, ma dei feriti; ma anche di poter essere vicini attraverso proprio la rete delle parrocchie, perché è chiaro che in questi casi il ruolo dei parroci è determinante. In queste circostanze l’aspetto fondamentale è la vicinanza ai parenti, perché sono loro che poi portano il carico di sofferenza più grande.

D. – Secondo lei, è un po’ tutto il Sud che è ferito anche a volte per l’arretratezza di alcune infrastrutture?

R. – In questo caso sembra, però, che questa realtà non fosse una realtà non efficiente: si tratta, però, in ogni caso di un binario unico che si prevedeva dovesse essere superato… Di fatto sembra, però, che  il funzionamento di questa ferrovia fosse tutt’altro che inefficiente. 

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Il cordoglio del Papa per la morte di mons. Zimowski

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Si è spento ieri sera in Polonia, poco prima della mezzanotte, mons. Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari: aveva 67 anni. Era malato da tempo. Papa Francesco, che lo aveva raggiunto telefonicamente ieri pomeriggio per manifestargli la sua vicinanza e assicurargli la sua preghiera, ha espresso in un telegramma il suo profondo cordoglio per la scomparsa del presule “dopo lunga e dolorosa malattia da lui vissuta - scrive il Pontefice - con spirito di fede e di testimonianza cristiana”. Il Papa ricorda di mons. Zimowski “il generoso ministero” e lo affida “alla materna intercessione della Beata Vergine Maria, Regina della Polonia”. Il servizio di Adriana Masotti

Mons. Zimowski era stato ricoverato a Varsavia nel dicembre 2014 per un cancro al pancreas. L’anno successivo aveva ripreso però il lavoro nel Dicastero. Tornato a casa durante la scorsa Settimana Santa, non era più potuto rientrare a Roma a causa dell’aggravarsi delle condizioni di salute. Papa Francesco lo aveva raggiunto telefonicamente per manifestargli la sua vicinanza e assicurargli la sua preghiera.

Mons. Zimowski era nato il 7aprile 1949 a Kupienin, in Polonia, ed era stato ordinato sacerdote nel 1973. Dieci anni dopo prestava servizio presso la Congregazione per la Dottrina delle fede. Nominato il 28 marzo 2002 vescovo della Diocesi polacca di Radom da Giovanni Paolo II, mons. Zimowski fu consacrato il successivo 25 maggio dall’allora card. Joseph Ratzinger. Il 18 aprile 2009 Papa Benedetto XVI lo nominava presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari, conferendogli la dignità arcivescovile.

In un intervista alla nostra emittente del novembre scorso, in occasione della 30.ma Conferenza internazionale promossa dal suo Dicastero sul tema: “La cultura della salus e dell’accoglienza al servizio dell’uomo e del pianeta”, mons. Zimowski spiegava:

“Vorrei sottolineare che nel titolo abbiamo inserito una parola tanto cara a Papa Francesco e cioè ‘accoglienza’. L’accoglienza è molto importante: accoglienza dei poveri, degli abbandonati, dei malati. Il ‘chinarsi’ verso la persona sofferente, il malato, è non a caso una delle missioni, delle massime espressioni della virtù della misericordia, della quale ogni operatore sanitario - che mette la propria coscienza e la propria interiorità spirituale al servizio dell’infermo e dell’emarginato - ha imparato a comprendere il significato”.

Grande l’impegno di mons. Zimowski a favore della vita, in un’altra intervista del 2013 così ci aveva detto:

“Oggi durante la Santa Messa abbiamo veramente pregato e gridato al mondo: no all’eutanasia, perché è una vergogna del nostro tempo”.

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Padre Chendi ricorda mons. Zimowski: un cuore attento agli ultimi

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"Dio non ci abbandona mai": era una frase che ripeteva spesso mons. Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, che si è spento ieri in Polonia dopo una lunga malattia. Il ricordo di mons. Zimowski nelle parole del sottosegretario allo stesso Dicastero, padre Augusto Chendi: 

R. – Io ho lavorato con mons. Zimowski dal 1995, alla Congregazione per la Dottrina della Fede, e poi l’ho ritrovato come presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute cinque anni fa. Sia come officiale sia come presidente di un Dicastero, posso dire di avere un ricordo splendido. Da sempre lui ha avuto una particolare attenzione per i poveri, quasi una predisposizione naturale, tanto che anche nei giorni scorsi, salendo in Polonia per incontrarlo per l’ultima volta - come è avvenuto di fatto - ho potuto vedere le opere che lui ha compiuto, ha costruito dal nulla, sia a Kupienin, la sua città natale, sia anche nelle Diocesi di provenienza come Tarnów e Radom, dove è stato vescovo, opere di carità improntate soprattutto all’aiuto ai più poveri, agli anziani, ai disabili, in particolare ai bambini disabili. Questo cuore veramente attento agli ultimi ha fatto sì, secondo me, che l’allora Papa Benedetto lo nominasse presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute. Quindi credo che essere morto ancora come presidente del Pontificio Consiglio sia quasi il coronamento di una vita tutta spesa al servizio degli altri, in particolare - come ho già detto - degli anziani, delle persone ammalate, con un’attenzione particolarissima a coloro che li assistono, quindi il mondo del volontariato e le famiglie, che sono quelle che giorno per giorno assistono questi malati.

D. – Lui infatti sottolineava molto l’accompagnamento della persona malata, nel senso anche di riuscire a valorizzare la sofferenza di chi, in quel momento, si trova a viverla…

R. – In modo particolare, lui era molto legato a San Giovanni Paolo II e negli ultimi anni ha riscoperto un’affermazione che, di primo acchito, potrebbe sembrare impossibile da comprendere, ovvero che occorre fare del bene a chi è malato, ma che si può fare anche molto bene per mezzo della sofferenza. E credo che questo binomio lui l’abbia sperimentato nella sua azione pastorale, accompagnandolo anche in tanti ospedali, in case di cura o in case di accoglienza per disabili, lui ha sempre puntato a questa capacità, a questa possibilità e ricchezza che la sofferenza ha, perché la Chiesa possa essere evangelizzatrice anche attraverso la parola muta del silenzio, della sofferenza. E poi, in prima persona, lui ha sperimentato questa simbiosi. Incontrandolo 15 giorni fa per l’ultima volta mi ha confidato quanto vivere il mistero della sofferenza possa essere prezioso per svolgere fino in fondo la missione di sacerdote, di pastore.

D. – Mons. Zimowski diceva che bisognava vedere la mano di Dio anche nella sofferenza...

R. – Un anno e mezzo fa gli è stata diagnosticata questa patologia neoplastica e dopo il primo e il secondo intervento, che risale al Natale dello scorso anno, per un anno è vissuto senza alcun intervento chimico o farmacologico o quant’altro. Lui attribuiva all’intercessione di San Giovanni Paolo II questa guarigione, così come la chiamava, questo momento di sosta. E quindi avvertiva la mano, la presenza di Dio in questo momento di sosta. Una sosta che poi ha avuto un tracollo abbastanza repentino. Ma anche in questo momento molto, molto tormentato - come posso testimoniare, avendolo incontrato 15 giorni fa sul letto di morte - questa mano si è fatta presenza. “Dio non ci abbandona mai - questa è una sua espressione - anche nella notte del dolore, della sofferenza, della solitudine più estrema e angosciante non siamo soli".

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Papa visita a sorpresa la Pontificia Commissione per l’America Latina

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“Una sorpresa incredibile di Papa Francesco”: così hanno commentato entusiasti i dipendenti della Pontificia Commissione per l’America Latina (Cal), la visita del Pontefice che si è presentato bussando la porta degli uffici di Via della Conciliazione alle 9.10 circa, mentre si stava svolgendo una riunione dedicata alla prossima celebrazione del Giubileo della Misericordia a Bogotá.

“Ho voluto solo fare un salto da voi”
Di fronte ai volti stupefatti per l’emozione – secondo la nota pubblicata dalla Cal –, il Papa ha usato una espressione tipica dei latinoamericani per annunciare una visita inattesa: “Ho voluto fare un salto qui da voi”. Con un atteggiamento semplice e cordiale ha rivolto il buongiorno e ha chiesto di poter partecipare all’incontro. Subito dopo, una dipendente ha avvertito il segretario incaricato della vicepresidenza, il prof. Guzmán Carriquiry, che ha ricevuto il Pontefice.

“Hai tempo per parlare un po’?”
Papa Francesco, entrando nell’ufficio del prof. Carryquiri ha chiesto: “Hai tempo per parlare un po’?”. Il Pontefice si è trattenuto in un colloquio privato di circa mezz’ora per poi salutare e scambiare qualche parola con ognuno dei dipendenti della Commissione. Un incontro familiare durante il quale il Papa ha fatto riferimenti a esperienze e ricordi di visite alla Cal come arcivescovo di Buenos Aires. Non sono mancati fotografie e selfie, insieme a qualche battuta spiritosa tra i presenti.

“Siamo nelle mani di Dio”
Mentre si svolgeva l’incontro del Papa con il vicepresidente della Cal, uno dei membri della Sicurezza Vaticana ha risposto alle domande dei dipendenti spiegando che, dopo una visita odontoiatrica al Fondo di Assistenza Sanitaria (Fas), all’interno del Vaticano, Papa Francesco ha manifestato l’intenzione di recarsi alla Cal. Nonostante fosse stato informato del complicato protocollo di sicurezza, il Pontefice ha usato un argomento irrefutabile: “Non ti preoccupare, siamo nelle mani di Dio”. (A cura di Alina Tufani)

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Nomine in Brasile e nella Segreteria per la Comunicazione

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Papa Francesco ha nominato Vescovo della diocesi di Nazaré (Brasile) S.E. Mons. Francisco de Assis Dantas de Lucena, trasferendolo dalla diocesi di Guarabira. S.E. Mons. Francisco de Assis Dantas de Lucena è nato il 19 ottobre 1963, a Jardim do Seridó, diocesi di Caicó, nello Stato di Rio Grande do Norte. Ha compiuto gli studi di Filosofia presso la Facoltà di Filosofia “João Paulo II” dell’arcidiocesi di Rio de Janeiro e quelli di Teologia presso la Pontificia Università Cattolica nella medesima città. Ha frequentato il Corso di Lettere nell’Università Federale di Rio Grande do Norte ed ha ottenuto la Licenza in Diritto Canonico presso l’Istituto Superiore di Diritto Canonico di Rio de Janeiro. Inoltre, ha seguito il Corso per i Formatori di Seminari nel Pontificio Ateneo “Regina Apostolorum” di Roma. Ordinato sacerdote il 21 luglio 1991 per la diocesi di Caicó, vi ha svolto i seguenti incarichi: Amministratore Parrocchiale; Parroco; Segretario e poi Presidente del Dipartimento diocesano dell’Azione Sociale; Economo diocesano; Moderatore della Curia; Rettore del Seminario Maggiore “Santo Cura D'Ars”; Professore della Facoltà di Teologia “Cardeal Eugênio Sales”; Amministratore Diocesano; Giudice Uditore; Pro-Vicario Generale; Membro del Collegio dei Consultori e del Consiglio Presbiterale. Il 28 maggio 2008 è stato nominato Vescovo di Guarabira ed ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 17 agosto successivo. Al presente è Segretario del Regionale Nordeste 2 della Conferenza Episcopale Brasiliana.

Il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Santa Cruz do Sul (Brasile) S.E. Mons. Aloísio Alberto Dilli, O.F.M., trasferendolo dalla diocesi di Uruguaiana. S.E. Mons. Aloísio Alberto Dilli, O.F.M., è nato il 21 giugno 1948 a Poço das Antas, diocesi di Montenegro, nello Stato di Rio Grande do Sul. Ha compiuto gli studi di Filosofia presso la Facoltà "Nossa Senhora da Conceição" di Viamão-RS (1971-1974) e quelli di Teologia presso l’Istituto di Teologia della Pontificia Università Cattolica di Porto Alegre (1973-1976). Ha ottenuto poi la Licenza in Liturgia presso il Pontificio Ateneo "Sant’Anselmo" di Roma (1980-1983). Ha emesso la Professione Religiosa come Frate Minore Francescano il 4 febbraio 1971 ed è stato ordinato sacerdote il 1° gennaio 1977. All’interno del suo Ordine ha svolto i seguenti incarichi: Formatore; Professore; Animatore vocazionale; Maestro di Novizi; Definitore Provinciale; Guardiano di Fraternità; Moderatore per la formazione permanente; Segretario Provinciale; Vicario Provinciale; Economo Provinciale. È stato nominato Vescovo di Uruguaiana il 27 giugno 2007 e ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 2 settembre successivo.

Il Santo Padre ha nominato Membri della Segreteria per la Comunicazione gli Eminentissimi Cardinali: Béchara Boutros Raï, Patriarca di Antiochia dei Maroniti (Libano); John Njue, Arcivescovo di Nairobi (Kenya); Chibly Langlois, Vescovo di Les Cayes (Haiti); Charles Maung Bo, Arcivescovo di Yangon (Myanmar); Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali; Beniamino Stella, Prefetto della Congregazione per il Clero; gli Eccellentissimi Monsignori: Diarmuid Martin, Arcivescovo di Dublin (Irlanda); Gintaras Grušas, Arcivescovo di Vilnius (Lituania); Marcello Semeraro, Vescovo di Albano (Italia); Stanislas Lalanne, Vescovo di Pontoise (Francia); Pierre Nguyên Văn Kham, Vescovo di My Tho (Vietnam); Ginés Ramón García Beltrán, Vescovo di Guadix (Spagna); Nuno Brás da Silva Martins, Vescovo tit. Elvas, Ausiliare di Lisboa (Portogallo); e gli Illustrissimi Signori: Dott.ssa Kim Daniels, Consulente della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti d'America per la Commissione ad hoc sulla libertà religiosa; Dott. Markus Schächter, Professore di etica nei mass media e nella società presso la Facoltà di Filosofia S.I. di München (Germania); Dott.ssa Leticia Soberón Mainero, psicologa ed esperta di comunicazione, già Consultore del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali (Messico e Spagna).

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Riunita Commissione mista per rileggere la vita del Beato Stepinac

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Ieri e oggi si è tenuta in Vaticano la prima riunione della Commissione mista di esperti croati e serbi, “incaricata di procedere ad una rilettura in comune della vita del Beato cardinale Alojzije Stepinac prima, durante e dopo la Seconda guerra mondiale”. Ne dà notizia un comunicato che spiega come tale  Commissione sia stata “creata su iniziativa del Santo Padre, dopo vari incontri e consultazioni tra rappresentanti della Santa Sede, della Chiesa ortodossa serba e della Conferenza episcopale croata, per rispondere all’esigenza di chiarire alcune questioni della storia”. Il servizio di Debora Donnini

La Commissione svolge un lavoro storico-scientifico e non interferirà sul processo di canonizzazione
Il cardinale Stepinac, arcivescovo di Zagabria dal 1937, visse dapprima il periodo della Seconda Guerra mondiale e poi, nel 1946, sotto il regime comunista di Tito, venne incarcerato, processato e condannato. Morì agli arresti domiciliari nel 1960. La Chiesa Cattolica da sempre si è fortemente impegnata nel riconoscere al cardinale Stepinac il suo profilo di pastore santo. Venne beatificato da Giovanni Paolo II nel 1998. La notizia della beatificazione fu però accolta da alcune perplessità e opposizioni nel mondo serbo.

La Commissione che si è riunita ieri e oggi, presieduta da padre Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di Scienze storiche, “è incaricata di svolgere un lavoro scientifico, seguendo la metodologia delle scienze storiche, basata sulla documentazione a disposizione e la sua contestualizzazione”. E il comunicato spiega che essa non interferirà sul processo di canonizzazione del Beato cardinale Alojzije Stepinac, "che è di stretta competenza della Santa Sede”. Si prevede, inoltre, una serie di incontri che dovrebbero concludersi nell’arco di 12 mesi e la prossima riunione si terrà a Zagabria nei giorni 17 e 18 ottobre.

Qualche testimonianza sul Beato Stepinac
Nel corso della sua vita il cardinale Stepinac si dette da fare per salvare vite umane come testimonia, tra l’altro, un documento diffuso internamente alla Chiesa. Nel testo, il porporato invitava i sacerdoti ad accogliere, senza chiedergli nessuna particolare istruzione religiosa, le persone di religione ebraica o di confessione ortodossa in pericolo di morte e intenzionate a convertirsi al cattolicesimo, per salvar loro la vita. “L’impegno e il dovere del cristiano è in primo luogo quello di salvare la vita degli uomini. Quando sarà passato questo tempo di pazzia – aggiungeva – resteranno nella nostra Chiesa coloro che si saranno convertiti per convinzione, mentre gli altri, passato il pericolo, ritorneranno alla loro fede”.

Stepinac nei pensieri di Papa Francesco e di Benedetto XVI
Lo scorso 7 aprile, nel colloquio di Papa Francesco con il premier croato Tihomir Orešković, ci si è soffermati anche sull'importanza della figura del Beato Stepinac per i fedeli croati. Il porporato è stato una figura cara anche a Benedetto XVI. Nel 2011, in occasione di un viaggio in Croazia, Benedetto XVI parlò del ruolo del cardinale Stepinac nella lotta contro ogni totalitarismo: “ha saputo resistere - disse - ad ogni totalitarismo, diventando nel tempo della dittatura nazista e fascista difensore degli ebrei, degli ortodossi e di tutti i perseguitati, e poi, nel periodo del comunismo, ‘avvocato’ dei suoi fedeli, specialmente dei tanti sacerdoti perseguitati e uccisi”.

Giovanni Paolo II beatifica il card. Stepinac
Quando lo beatificò, nel 1998, Giovanni Paolo II spiegò che il Beato Stepinac non ha versato il sangue nel senso stretto della parola. “La sua morte è stata causata dalle lunghe sofferenze subite: gli ultimi 15 anni della sua vita furono un continuo susseguirsi di vessazioni, in mezzo alle quali egli espose con coraggio la propria vita per testimoniare il Vangelo e l'unità della Chiesa”. Giovanni Paolo II sottolineò, inoltre, come nella persona del nuovo Beato si sintetizzi, per così dire, “l’intera tragedia che ha colpito le popolazioni croate e l’Europa nel corso di questo secolo segnato dai tre grandi mali del fascismo, del nazismo e del comunismo”.

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Mons. Ayuso ad Al-Azhar: rafforzare legami tra cristiani e musulmani

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Mons. Miguel Ángel Ayuso Guixot, segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, si è recato oggi in visita all’Università di Al-Azhar, al Cairo, dopo lo storico incontro tra Papa Francesco e il  Grand Imam di Al-Azhar, il prof. Ahmad Al-Tayyib, avvenuto lo scorso 23 maggio. Mons. Ayuso, accompagnato dal nunzio apostolico in Egitto Bruno Musarò, ha incontrato stamane il dott. Kamal Abd al-Salam, membro del Centro per il Dialogo di Al-Azhar, in rappresentanza del dott. Zakzouk, e il prof. Mohey El-Din Afifi Ahmed, segretario del Al-Azhar Islamic Research Complex. In seguito sono stati tutti ricevuti dal Wakil di Al-Azhar, il dott. Abbas Shouman, con il quale si è tenuta "una proficua riunione” afferma un comunicato del Dicastero vaticano.

Mons. Ayuso, dopo aver presentato gli auguri e i saluti di Papa Francesco, ha discusso dei termini e delle modalità per un prossimo incontro che “segna la ripresa del dialogo” fra il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e l’Università Al-Azhar. La riunione, che “si è svolta in un clima di viva cordialità - afferma il comunicato - ha messo in luce l’importanza di un dialogo sincero e proficuo fra il Dicastero e l’importante istituzione sunnita e di una collaborazione che abbia a cuore il bene dell’umanità e che rafforzi i legami tra cristiani e musulmani”. 

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Santa Sede: leader religiosi sappiano portare pace in Medio Oriente

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Le continue violenze in Siria e in Iraq e lo stallo dei colloqui di pace israelo-palestinese: ne ha parlato in termini fortemente critici, davanti il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, mons. Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, a New York. Non bastano “negoziati formali” per arrivare alla pace, ha ammonito il presule, richiamando i leader delle tre religioni monoteiste, che hanno la loro culla in Medio Oriente, a “contrastare l’odio” ed affermare “vere comunità di fede”. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Ha tracciato, l’arcivescovo Auza, un quadro drammatico del Medio Oriente, dove da 69 anni una risoluzione dell’Onu attende di essere completata con la creazione, accanto allo Stato d’Israele, di una Stato palestinese. “La pace durevole resterà un sogno e la sicurezza un’illusione - ha sottolineato il rappresentante vaticano - se Israele e la Palestina non accetteranno di esistere uno accanto all’altro riconciliati e sovrani entro confini reciprocamente convenuti e internazionalmente riconosciuti”. E’ tempo dunque di agire in tal senso, ha sollecitato mons. Auza, secondo le ultime raccomandazioni del Quartetto per il Medio Oriente, composto da Stati Uniti, Russia, Unione Europea e Nazioni Unite.

Ha affrontato, poi, l’osservatore della Santa Sede, le “indicibili sofferenze del popolo siriano, ucciso, costretto a sopravvivere sotto le bombe o fuggire verso zone meno devastate”, richiamando in particolare l’attenzione sulla “continua persecuzione” di cristiani, yazidi e altre minoranze etniche e religiose in alcune parti della Siria e dell’Iraq, da parte di soggetti non statali. Ha fatto quindi eco alle denunce del Papa contro chi - da quale parte del conflitto si trovi - è responsabile dei massacri senza senso dei civili e contro chi finanzia e fornisce armi a quanti uccidono e mutilano la popolazione innocente e distruggono istituzioni civili e infrastrutture.

Infine, l’appello ai leader religiosi ebrei, cristiani, islamici e a tutti i fedeli perché siano “degni” del ruolo che spetta loro, nel processo di pacificazione della regione e pongano fine ad “ogni forma di odio reciproco che potrebbe accreditare uno scontro di civiltà”. Dunque, “più la religione - ha concluso mons. Auza - viene manipolata per giustificare atti di terrore e violenza, più i leader religiosi devono essere impegnati in uno sforzo globale per sconfiggere la violenza che tenta di dirottarla in propositi antitetici alla sua natura”. “Il falso fervore religioso deve essere contrastato con autentici insegnamenti religiosi e l’esempio di vere comunità di fede”.

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Paloma Ovejero, prima donna ai vertici della Sala Stampa vaticana

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Il cambio alla direzione della Sala stampa della Santa Sede ha suscitato vivo interesse sui media internazionali. In evidenza la figura di Padre Federico Lombardi che lascia il suo incarico dopo 10 anni di straordinario lavoro e la nomina del giornalista americano Greg Burke da pochi mesi vice-direttore. Ma la novità è stata la scelta del vice della Sala Stampa vaticana che sarà una donna, la giovane giornalista spagnola Paloma García Ovejero, da alcuni anni a Roma come corrispondente della Cope, la radio dei vescovi spagnoli. Paloma García Ovejero spiega - al microfono di Roberto Piermarini - come ha accolto la notizia della sua nomina: 

R. – Con molta gioia! Tante, tante grazie al Papa, alla Chiesa e a Dio soprattutto! Ho un po’ di paura, certo, però allo stesso tempo la tranquillità di sapere che non è stata una mia scelta - mai l’ho pensato, mai lo avrei immaginato. Non è una decisione presa con il rischio di sbagliare, perché la decisione è stata presa da altri. Allora, io vado avanti e poi vediamo chi risolverà i problemi.

D. – Che cosa vi ha detto Papa Francesco, a te e a Greg, quando siete andati in udienza?

R. – Lui ci ha chiesto che il suo messaggio arrivi dappertutto. Ci ha parlato con molta serietà; con molta tenerezza, ma allo stesso tempo con volto serio. Non è stato un momento scherzoso, anche se ha scherzato. Quando mi ha salutato ha detto: “Ah, una gallega in Vaticano!”, come in Argentina chiamano gli spagnoli. Lui, però, lo ha preso come un incontro di lavoro e sa benissimo che la comunicazione è uno dei pilastri del Pontificato e anche della Chiesa. Ci ha parlato molto seriamente e ci ha chiesto equilibrio, fedeltà e poi chiarezza, anche con lui. A me è venuta in mente  questa parola, che non ci ha detto: parresia. La parresia del Sinodo. Secondo me, è quello che lui si aspetta da noi: quella parresia che ha chiesto ai vescovi quel giorno.

D. – Tutti hanno sottolineato che sei la prima donna ai vertici della Sala Stampa Vaticana: un segno dei tempi per la Chiesa?

R. – Secondo me, il segno dei tempi è la normalità. La rivoluzione di Papa Francesco è la rivoluzione della normalità, della naturalezza e si potrebbe dire della logica. Quante persone lavorano alla Radio Vaticana? Quante di queste sono donne? Quante persone lavorano in Sala Stampa? Quante di queste sono donne? Quante giornaliste ci sono! Sull’aereo… Per me è tutto normale. E’ ovvio che sono contenta, perché mi sembra una bella immagine. Sarei contentissima, però, anche se fosse una bionda, una francese… Non è il fatto di essere donna, secondo me, determinante, ma il fatto di essere “normali”, come la società. La società è piena di laici; la Chiesa è piena di laici bravissimi e di preti bravissimi. Io non posso fare il prete, però posso fare altre cose. E allora mi sembra coerente. Praticamente, se il Papa parla così, agisce così, non c’è altro modo di farlo.

D. – Due laici, quindi, alla guida della Sala Stampa Vaticana: Greg Burke, di lingua inglese, e Paloma García Ovejero, di lingua spagnola. Cosa rappresenta questa scelta?

R. – Prima di tutto, l’internazionalizzazione della Sala Stampa. Siamo nella Chiesa universale. Se tu prendi Twitter, ad esempio - @pontifex – si può vedere quanti followers sono spagnoli e inglesi e poi in numero minore ci sono le altre lingue. Quindi è facile capire che la Chiesa universale parla spagnolo e parla inglese. L’italiano, poi, è un tesoro, perché è il nostre esperanto, è la lingua che ci permette di parlare fra noi, conoscerci. Io posso parlare con un cinese, posso parlare con un peruviano, posso parlare con un tedesco, perché tutti abbiamo questo tesoro che è l’italiano. Secondo me, però, che ci sia una madre lingua spagnola e una madre lingua inglese e che tutti e due conoscano l’italiano, fa sì che si possa parlare praticamente con il 90% dei cattolici del mondo.

D. – Quale sarà il tuo compito in Sala Stampa?

R. – Non ho idea. So benissimo, però, che il mio compito è essere accanto a Greg, sostenerlo e fargli vedere le cose che lui, per il carico che ha, forse non riesce a vedere o forse non riesce a sentire e, alla fine, aiutare il Papa. In Sala Stampa, concretamente, non lo so. Io arriverò e vedremo. Il Papa ci ha chiesto di aiutarlo, di dargli una mano. Padre Lombardi, comunque, va via per un motivo di età, non è che va via perché ha fatto… Anzi, lui ci lascia una Sala Stampa che funziona benissimo, che è piena di professionisti. L’orchestra, quindi, ce l’abbiamo e suona benissimo. Cambia il direttore, perché il “corpo” è invecchiato e basta, ma il direttore fa ancora una bella melodia ed è pronto per condividere con noi tutto. Già dal primo momento ha cominciato a parlare come se fosse uno di noi. Sono sicura, quindi, sono convinta che la Sala Stampa continuerà a fare il suo mestiere e sarà sempre una “casa di accoglienza” per i giornalisti.

D. – Tu sei una giornalista radiofonica: ti mancherà la radio?

R. – Mi manca la radio. E’ l’unica cosa che mi ha fatto piangere in questi giorni. Non so immaginarmi senza il microfono. Però, l’avventura è l’avventura! Che posso dire....?

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Riapre Carcere Mamertino. Andreatta: recuperare la memoria di Pietro

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Riapre stasera a Roma il Carcere Mamertino, dove fu rinchiuso San Pietro. L’inaugurazione di uno dei più importanti e antichi complessi archeologici di Roma, che si affaccia sulla splendida cornice del Foro Romano, avviene al termine dei lavori di scavi archeologici e di riqualificazione promossi dall’Opera Romana Pellegrinaggi. Sull’autenticità di questo sito, ascoltiamo il vicepresidente dell’organismo, mons. Liberio Andreatta, al microfono di Luca Collodi

R. – La tradizione la reputa come cosa certa, e non solo attraverso gli scritti che abbiamo ereditato e dalle testimonianze, ma anche attraverso tutta l’iconografica e tutte le immagini che abbiamo ritrovato scavando all’interno del Carcere: sin dall’inizio dei primi secoli della Chiesa, la comunità cristiana ha venerato questo luogo. Quindi deduciamo che quasi certamente questo è stato il carcere in cui Pietro è stato imprigionato, dove lui ha convertito e ha battezzato i suoi due carcerieri.

D. – Mons. Andreatta, si arriva all’inaugurazione del Carcere Mamertino dopo una campagna di scavi che ha visto protagonista anche l’Opera Romana Pellegrinaggi…

R. – Sì. Noi abbiamo preso proprio l’impegno di recuperare e di riportare alla luce quello che è stato addirittura l’antico Tullianum. Pensi che il Tullianum risale all’VIII secolo a.C.: è un luogo ai piedi della Rupe Tarpea; è un luogo sacro, perché vedeva la presenza dell’acqua; è un luogo che poi – successivamente – nel trascorrere dei secoli diventa un carcere di massima sicurezza, in cui venivano abbandonati e messi dentro i veri nemici dell’Impero. I romani non amavano fare martiri, per cui i grandi nemici dell’Impero non venivano uccisi - per non creare, appunto, dei martiri - ma venivano messi nell’oblio. C’era questo grande pozzo, immenso, profondo - che noi, attraverso gli scavi, abbiamo ritrovato - con una piccola buca aperta sopra: venivano buttati dentro e abbandonati, fatti marcire come se dovessero scomparire. Poi, successivamente alla pietà popolare, è stata costruita una Chiesa dedicata ai Santi Pietro e Paolo, che poi è stata demolita ed è stato creato un altro luogo di culto… Oggi ci sono addirittura quattro strati: la Chiesa seicentesca, la parte superiore di San Giuseppe dei Falegnami, costruita dalla Confraternita di San Giuseppe dei Falegnami; poi, sotto al pavimento, al centro, c’è il Sacrario del Crocifisso – una bellissima Cappella del Crocifisso - voluta nel 1800 da Pio IX, con una bellissima immagine del tempo che ricorda quando lui dall’esterno ha fatto portare all’interno un Crocifisso antichissimo; poi sotto c’è il cosiddetto carcer, che ricorda con l’altare e la colonna la prigionia di Pietro; e sotto ancora c’è il Tullianum. Quindi sono quattro strati. A latere, noi abbiamo creato un bellissimo e straordinario museo multimediale, in cui abbiamo esposto tutti gli scheletri, le medaglie, le immagini… Basti pensare – ad esempio – alle medaglie dei Giubilei che sono state trovate: quindi la tradizione ci dà per certa la devozione a Pietro. Ci sono degli affreschi di Gesù che mette la sua mano sulla spalla di Pietro per rassicurarlo. Ma, soprattutto, è stata scoperta una cosa straordinaria: la Madonna della Misericordia, che risale all’inizio del XIV secolo, quindi tra il XII e il XIII, che è l’unica Madonna della Misericordia conservata a Roma.

D. – Mons. Andreatta, qual è il senso di questa operazione di scavi dell’Opera Romana Pellegrinaggi?

R. – E’ duplice. Prima di tutto, per recuperare la memoria di Pietro, la memoria delle nostre tradizioni e quindi nella continuità della presenza della Chiesa a Roma, una Chiesa che nasce e si sviluppa con la testimonianza e il martirio degli apostoli e dei martiri. Quindi, siamo andati alle radici della presenza della Chiesa e della nostra fede in Roma: e questa ne è il complesso monumentale più antico che abbiamo a Roma. Quindi il primo scopo è restituire la memoria; e, in secondo luogo, perché vogliamo valorizzare molto questa immagine della Madonna della Misericordia nell’Anno della Misericordia. Questa scoperta straordinaria che è stata fatta proprio in sintonia con l’intuizione di Papa Francesco di indire, per tutta la Chiesa universale, l’Anno della Misericordia. Quindi Maria Madre della Misericordia, fondata su Pietro e Paolo.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Portatore di pace: il cardinale segretario di Stato sui viaggi del Papa nella regione caucasica.

Stravaganze e rasoio di Occam: Gabriele Nicolò su cent'anni di dadaismo.

Francesca Romana de' Angelis sull'importanza delle parole, in un libro di Luca Serianni.

Stefano Lorenzetto racconta la storia di una cercatrice di anime: dopo quasi un secolo ritrovati la tomba e il volto di un caduto della prima guerra mondiale.

Aleppo allo stremo.

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Oggi in Primo Piano



Gran Bretagna: Cameron e May dalla regina per il cambio di governo

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“Lascio un Paese più forte”, così il premier britannico David Cameron prendendo la parola per l’ultimo question time alla Camera dei Comuni, prima delle sue dimissioni. Il premier dimissionario, fra le altre cose  ha assicurato che il governo sta lavorando affinché i cittadini dell’Ue possano rimanere a lavorare in Gran Bretagna. Cameron farà un'ultima dichiarazione da Downing Street nel pomeriggio e subito dopo  si recherà a Buckingham Palace per rassegnare le dimissioni nelle mani della regina Elisabetta. A seguire la nuova leader dei conservatori Theresa May incontrerà la sovrana per essere confermata nell'incarico di primo ministro. Sull’importanza di questa giornata per il destino del Regno Unito e dell’Ue, Marco Guerra ha intervistato il prof. Antonio Villafranca, responsabile del settore Europa dell’Ispi: 

R. - È una giornata che denota la difficoltà nella quale si trova la Gran Bretagna dopo il referendum sulla Brexit. Nei giorni precedenti abbiamo visto che il leader dei laburisti si è dimesso, ma è uscito di scena anche Farrage, il leader dello Ukip che ha sostenuto fortemente la Brexit, ma soprattutto si è dimesso Cameron che ha fatto un errore politico clamoroso: si era basato e crogiolato sul risultato che aveva raggiunto con il referendum per la secessione della Scozia ed aveva pensato di poter ripetere questo successo con il referendum sulla Brexit. Così gli sono assolutamente sfuggite di mano, ha fatto un errore politico di primaria grandezza ed è stato giusto che si dimettesse. Theresa May ha dichiarato che farà della Brexit un successo però in un certo qual modo, come si dice, ha fatto il conto senza l’oste perché adesso dovrà verificare la disponibilità di Bruxelles di scendere a patti con la Gran Bretagna e soprattutto dovrà verificare con quale tempistica e secondo quali modalità l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea potrà realizzarsi.

D. - Quali sfide si aprono adesso su entrambe le sponde della Manica?

R. - Per quanto riguarda Bruxelles ci sono due modi di approcciare il tema Brexit: quello più di pancia che vorrebbe anche mandare un segnale ad altri Paesi europei che eventualmente in futuro potrebbero pensare ad un referendum sull’uscita di questo Paese dall’Unione Europea e quindi un segnale molto duro, quasi punitivo - non credo che questo possa essere d’aiuto né per la Gran Bretagna né per l’Unione Europea - o un atteggiamento invece più morbido, che è quello che al momento sembra preferire la stessa Merkel, ovvero quello di capire in che termini si può trovare un accordo che possa esser di comune interesse e proficuo sia per Londra che per Bruxelles.

D. - Theresa May durante la campagna per il referendum era a favore del remain. Questo un po’ conforta i mercati, l’Europa e la comunità internazionale? Quale atteggiamento ci sarà?

R. - Non credo che questo possa influire più di tanto anche perché la posizione della May è sempre stata non entusiastica per quanto riguarda il remain. Lei è stata molto tattica durante la campagna elettorale; ufficialmente appoggiava il remain ma non si è mai esposta più di tanto. Credo che conterà moltissimo invece come lei si muoverà, a partire dalla tempistica, cioè da questo intenderà attivare la notifica che deve essere inviata al Consiglio europeo e che da quel momento darà decorrere i due anni entro i quali la negoziazione con la Gran Bretagna dovrà essere poi portata avanti. Sarà fondamentale anche la sua capacità di orientare Westminster perché questa notifica deve essere approvata dal parlamento britannico in cui però non c’è una maggioranza per la Brexit. Quindi Theresa May dovrà convincere una parte dei laburisti che erano a favore del remain per votare la notifica che invece sancirebbe l’avvio dei negoziati per la Brexit.

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Siria: Ancora bombe su Aleppo, paura nel collegio francescano

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Sale il bilancio delle vittime colpite durante l''ultimo bombardamento ad Aleppo, per la maggior parte bambini, più di 400 i feriti e i mutilati. Sono ore drammatiche quelle che si stanno vivendo oggi in Siria. La paura e il clima di tensione aleggia ancora dopo l’ultimo attacco avvenuto nella zona del collegio francescano di Sant’Antonio. L’escalation di violenza minaccia anche il convento, luogo in cui, durante l’avvisaglia, centinaia di fedeli si erano riuniti per rifugiarsi dal pericolo. Padre Firas Lutfi, vice parroco del collegio francescano di Aleppo, racconta il clima di terrore nell'intervista di Michele Ungolo. 

R. – Eravamo qua in convento e un paio di missili sono caduti e hanno causato molti danni materiali. C’è anche la chiesa qui, frequentata durante la settimana; c’è anche la Messa quotidiana: per fortuna non c’erano fedeli… Ma questo danno ha causato uno squarcio sul tetto del convento e ha causato – diciamo – un disastro. E’ l’ennesima volta che questo convento viene colpito… Quando questa famosa tregua è stata infranta, i missili sono tornati!

D. – Quanto tempo è durato il bombardamento? E quante vittime ci sono state?

R. – Il bombardamento è durato 3-4 giorni… Era la Festa del Sacrificio dei musulmani, dopo il mese del Ramadan e  tanti bambini sono stati uccisi, soprattutto in un Luna-park in cui stavano giocando: lì, almeno una decina di bambini. Di colpo! Ma in tutta la città di Aleppo i morti sono arrivati a 50 e a più di 400 i feriti e i mutilati.

D. – Qual è la situazione che si vive oggi ad Aleppo?

R. – Oggi sembra abbastanza sereno. Però – di solito – i bombardamenti iniziano la notte, dalla notte fino all’alba. Quindi non si dorme: ieri non si riusciva a chiudere un occhio… Durante il giorno c’è, più o meno, una tranquillità…

D. – Questi attacchi nascono principalmente da interessi economici. Ma cosa porta l’uomo a colpire delle aree abitate da centinaia e centinaia di civili, solo per ricchezza, e rimanere totalmente indifferenti?

R. – Purtroppo il movente principale – e direi di tutti i conflitti e della guerra – è l’interesse politico ed economico. Sono legati l’uno all’altro. La situazione è sfuggita di mano al governo siriano, ai ribelli. All’inizio sembrava quasi una ribellione, un colpo di Stato: però, poi, già dopo i primi mesi, abbiamo capito che la questione diventava regionale e internazionale. Quelli che pagano le conseguenze sono soprattutto gli innocenti, i poveri, gli indifesi. Questa guerra non è una guerra ordinaria, non è una guerra fra due Stati: è una guerra civile e i razzi lanciati colpiscono soprattutto la parte indifesa, quella dei bambini, delle donne, degli anziani. Non c’è una zona di Aleppo in cui si possa dire essere sicura al cento per cento. Noi abbiamo il campo estivo, sono 350 bambini e ragazzi: ieri e l’altro giorno abbiamo dovuto sospendere l’attività …. E ora dove vanno? Tornano a stare a casa, sempre con la paura crescente, con preoccupazione. E questo anche perché i genitori non sono tranquilli, non sono sereni di mandare i loro ragazzi. Al Collegio di Sant’Antonio, ad Aleppo, abbiamo un grande spazio che accoglie decine di centinaia di persone.

D. – Quanto è lontana la pace?

R. – La pace la stiamo attendendo dal Principe della Pace. Io personalmente sono disperato del tentativo dell’uomo, perché vedo che ogni qualvolta che si punta e si conta sull’uomo, troviamo solamente interessi, conflitti e violenza.

D. – Quanta paura c’è stata in questo ultimo bombardamento?

R. – E’ veramente indescrivibile! Appena abbiamo sentito questo lancio di missili accanto al mio convento, alcuni sono entrati subito in panico e non vedevano l’ora di entrare in macchina e andare via; altri giovani che sono rimasti nel convento, chiedendo proprio protezione, sono impalliditi, avevano paura, non sapevano se uscire o rimanere… Il problema è che dura per ore e ore. Alla fine vieni bloccato o all’interno della sua macchina o per la strada …. Vogliamo veramente vedere la pace in Siria! Sono già passati 5 anni: siamo entrati nel sesto anno… E poi? Neanche una soluzione, neanche uno spiraglio, neanche una possibilità di vedere finalmente un po’ di serenità e un po’ di pace.

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Aja: "Pechino non ha diritti sulle isole del Mar Cinese"

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Il Tribunale dell’Aja si è pronunciato sulla lunga contesa fra Filippine e Cina circa il controllo del banco di Scarborough. I magistrati riconoscono la sovranità di Manila. La decisione è avvenuta in base alla Convenzione Onu sui diritti del mare, sottoscritta anche da Pechino nel 1996. La Cina però respinge la sentenza considerandola “carta straccia” e nel Pacifico la tensione diplomatica è già altissima. Gioia Tagliente ha intervistato Natalino Ronzitti, emerito di diritto internazionale alla Luiss e espero di diritto del mare: 

R. – Le sentenze vanno rispettate: così è detto nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Nell’art. 11 dell’Annesso, che ha istituito la competenza del Tribunale, si afferma espressamente che le parti, in buona fede, daranno esecuzione alla sentenza. Quindi la sentenza non può essere considerata “carta straccia”. Pechino non si era presentata dinanzi al Tribunale, è stato contumace fin dall’inizio. Tuttavia, il Tribunale ciononostante ha affermato la propria giurisdizione.

D. – La Cina ha assicurato che il Mare Cinese Meridionale non verrà militarizzato, ma sono già presenti navi da guerra…

R. – È una vecchia rivendicazione cinese. E la sentenza del Tribunale arbitrale è molto importante, perché ha espressamente affermato che, in materia - sul punto - la Cina non ha diritti storici. La Cina, infatti, vuole considerare il Mar Cinese Meridionale, che ha una grande estensione di acque, come “acque storiche”, termine che significa un corpo di acque su cui lo Stato costiero ha diritti sovrani. Questo può accadere per alcune porzioni di mare molto delimitate; e in genere si tratta delle baie: esistono infatti delle baie storiche, nell’ambito delle quali il sovrano territoriale ha tutti i diritti relativi alla sovranità; esso ha una sovranità esclusiva sulle baie, che sono tuttavia un corpo di acque limitato. Qui si sta parlando invece di grandi estensioni di acque e quello che ha detto il Tribunale mi sembra molto importante, perché ha affermato che la Cina non ha diritti storici in materia.

D. – La posizione delle isole risulta economicamente strategica…

R. – Per quanto riguarda tutti i traffici marittimi della zona e il passaggio delle linee aeree. Perché la Cina non solo rivendica la sovranità sulle acque del Mar Cinese Meridionale ma anche sullo spazio aereo sovrastante. Infatti, essa ha proclamato una zona di sorveglianza aerea relativa allo spazio sovrastante e all’alto mare: zona di sorveglianza aerea che è stata disconosciuta da tutte le altre potenze e, in particolare, dagli Stati Uniti. Gli Usa esercitano diritti di navigazione nel Mar Cinese Meridionale: diritti di navigazione che loro derivano dalla libertà dell’alto mare. I cinesi vorrebbero che le compagnie aeree notificassero i propri voli prima di attraversare lo spazio aereo sovrastante il Mar Cinese Meridionale. Qualcuno lo ha fatto, adempiendo agli ordini cinesi, ma questo è un errore.

D. – Secondo alcuni osservatori, in questo modo è frenata, almeno giuridicamente, l’espansione della Cina nell’Oceano Pacifico…

R. – Questa sentenza è molto importante e dà le armi del diritto a tutti gli Stati, i quali vogliono esercitare la libertà di navigazione nel Mar Cinese Meridionale.

D. – Come si può evolvere il contenzioso?

R. – I tribunali internazionali non hanno le stesse armi del diritto interno per quanto riguarda l’esecuzione delle sentenze. L’unica arma, peraltro abbastanza spuntata, è la Corte Internazionale di Giustizia; perché se lo Stato soccombente non adempie la questione può essere portata dinanzi al Consiglio di Sicurezza, che potrà prendere le misure necessarie per risolvere la questione. Ora però una risoluzione del Consiglio di Sicurezza può essere bloccata dal voto negativo di un membro permanente e la Cina è un membro permanente del Consiglio.

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30mila profughi accolti in 800 comuni italiani nel 2015

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Nel 2015 sono state quasi 30mila le persone accolte dal Sistema italiano di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar). E' quanto emerge dal nuovo Rapporto annuale Sprar presentato oggi presso la sede Anci di Roma. Presente anche il capo Dipartimento per le Libertà civili e l'Immigrazione del Ministero dell'Interno, Mario Morcone, secondo cui a fine mese arriverà in Conferenza unificata un decreto per semplificare l'avvio dei progetti Sprar. A seguire la presentazione per noi c’era per noi Elvira Ragosta

Aumenta, rispetto agli anni precedenti, il numero delle persone che ha trovato accoglienza nella rete Sprar: nel 2015 sono stati quasi 30mila. Le regioni più accoglienti sono state il Lazio e la Sicilia. Sui Paesi di arrivo l’Atlante Sprar del 2015 conferma la tendenza già emersa per il rapporto 2014: il 15% di rifugiati e richiedenti asilo è arrivato dalla Nigeria, il 12% dal Pakistan come dal Gambia. 1.640, poi, i minori stranieri non accompagnati accolti nei progetti Sprar su una rete attiva di 977 posti. Un dato ulteriore dell’Atlante 2015 riguarda i giovani: l’84% delle persone accolte ha un’età compresa tra i 18 e i 36 anni, mentre quasi la metà possiede un livello di scolarizzazione medio-alto. Le strutture di accoglienza sono oltre 2500 e si tratta per lo più di piccoli alloggi, scelta mirata a realizzare un sistema di accoglienza che faciliti i migranti  nell’interazione col territorio al termine dell’accoglienza Sprar. Oltre 8mila, poi, sono le professionalità coinvolte nei 430 progetti realizzati nel 2015. Progetti  destinati per la maggior parte a richiedenti e titolari di protezione internazionale. 800, invece, i comuni coinvolti in una rete di 376 enti locali. Ad analizzare il rapporto, Maria Silvia Olivieri, del Servizio centrale Sprar:

R. – Il punto principale è la crescita del sistema di protezione. È un sistema di protezione che per tanti anni si è mantenuto costante, su piccole cifre, seppur non superando mai i 6mila posti di accoglienza; e adesso siamo arrivati fino a 27mila posti di accoglienza. Quindi il dato principale è questo; poi in questo Atlante viene per la prima volta raccontato, sempre in termini quantitativi e rappresentativi del sistema, quello che si realizza all’interno dei vari Sprar territoriali per favorire le misure di inclusione sociale, di inserimento e di supporto alle persone, per un inserimento socio-economico sul territorio.

D. – Alcune di queste misure prevedono l’insegnamento della lingua italiana e anche l’inserimento nel mondo del lavoro. Ci racconta un po’ come queste due azioni avvengono, anche a livello territoriale e regionale?

R. – Sì, in realtà l’inserimento lavorativo non dovrebbe essere una componente dello Sprar, che non è un centro nazionale per l’impiego. Però si sta spingendo molto e lo sta facendo proprio per supportare le persone nell’ingresso nel mondo del lavoro o comunque per avere una dimensione ed essere proiettati verso un inserimento lavorativo; proprio perché, in questo momento storico, da ormai sette anni, con l’Italia in piena crisi economica, i richiedenti asilo e i rifugiati vanno a sommarsi alle persone con maggiori fragilità, sia sociali che economiche. Quindi l’impegno dello Sprar è in un rafforzamento di percorsi di formazione professionale e soprattutto di tirocini formativi, che vengono molto utilizzati. Tutto ciò oltre alla conferma dell’apprendimento della lingua italiana, che diventa indispensabile per rendere libere le persone.

D. – L’Atlante ci dà i dati del 2015, ma nel frattempo tante cose sono già cambiate…

R. – Sì, perché lo Sprar è in piena evoluzione e in costante cambiamento. Noi oggi raccontiamo il 2015, ma proprio oggi siamo con uno Sprar fortemente rinforzato, perché nel corso del 2016 abbiamo già avuto un allargamento della rete Sprar per i posti per minori non accompagnati e un ulteriore allargamento della rete Sprar anche per persone adulte o con situazioni di vulnerabilità legate a motivi di salute. E quindi è uno Sprar che noi abbiamo raccontato nell’Atlante su 22mila posti e adesso ci ritroviamo già – mentre lo stiamo raccontando – con uno Sprar cresciuto di oltre 5mila posti.  

Alla presentazione dell’Atlante Sprar ha preso parte anche il presidente dell’Anci, l'ex sindaco di Torino Piero Fassino, che guiderà l’assemblea dei Comuni fino al prossimo ottobre:

"Il nostro Paese, in questi anni, di fronte all’emergenza profughi, ha avuto una capacità di accoglienza straordinaria e un pezzo di questa capacità di accoglienza straordinaria è il sistema Sprar, cioè il sistema dei comuni, che ospita in questo momento oltre 30 mila persone. E questo è un contributo alla straordinaria capacità di accoglienza dei profughi del nostro Paese".

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi del Venezuela: la democrazia nel Paese è incrinata

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"Gli arcivescovi e vescovi del Venezuela, riuniti nella 106.ma Assemblea Ordinaria vogliono condividere con il popolo venezuelano le angosce e desiderano comunicare la speranza che, riconciliati e attraverso il dialogo, troveremo soluzioni efficaci a questa crisi": inizia così l'esortazione finale pubblicata ieri pomeriggio dalla Conferenza episcopale venezuelana (Cev). L’esortazione, riferisce l'agenzia Fides ha per titolo: "El Señor ama al que busca la justicia" (Prov. 15, 9).

Sull'orlo di una crisi di sicurezza alimentare e sanitaria
Dopo una breve descrizione della realtà sociale che vive il Paese, i vescovi segnalano alcune urgenze. “Siamo sull’orlo di una crisi di sicurezza alimentare e sanitaria, con delle conseguenze sociali – avvertono -. Dinanzi a questo, la crescita del potere militare è una minaccia per la tranquillità e la pace”. La violenza e l'insicurezza sono ovunque, constatano i vescovi citando l'aggressione ai seminaristi. Il testo evidenzia che "l'identità culturale Venezuelana è sminuita e addirittura persa quando viene valutata solo se è collegata al progetto politico prevalente.... La democrazia in Venezuela è incrinata".

La grave crisi morale
​Tuttavia "la crisi morale è maggiore della crisi economica e politica, perché colpisce l'intera popolazione nelle norme di comportamento. La verità lascia il posto alla menzogna, la trasparenza alla corruzione, il dialogo all’intolleranza e la convivenza all'anarchia".

I vescovi elencano 3 richieste prioritarie
1.- "Esiste una priorità urgente: il governo permetta l'ingresso delle medicine nel Paese, data la loro grave carenza. Per la raccolta e la distribuzione, la Chiesa offre i suoi servizi e le infrastrutture della Caritas, come altre forme di cooperazione aperte ad altre fedi e istituzioni private. Questo servizio non è la soluzione definitiva, ma è un aiuto significativo".
2.- "C'è necessità di aprire definitivamente il confine colombiano-venezuelano. Dopo aver consentito la sua apertura la scorsa domenica, 10 luglio, è stato possibile per molti fratelli poter rifornirsi di cibo, medicine e altre forniture. Il passaggio di migliaia di cittadini nel Paese vicino è la prova della crisi".
3.- "Aumenta il numero di cittadini venezuelani tenuti nelle carceri, ingiustamente privati della libertà, molti di loro per motivi politici. La stragrande maggioranza è in condizioni disumane e senza un giusto processo. Queste persone, essendo innocenti, devono essere rimesse in libertà, o almeno dovrebbero essere processate, come stabilito dal codice di procedura penale". (C.E.)

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Vescovi Colombia: appello di pace nel Paese

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Un forte appello alla pace ed alla riconciliazione in Colombia, soprattutto alla luce dello storico accordo di pace tra governo e Forze Armate Rivoluzionarie (Farc), raggiunto recentemente a L’Avana. Questo, in sintesi, il cuore del Messaggio finale della 101.ma Plenaria della Conferenza episcopale colombiana (Cec), svoltasi a Bogotà dal 4 all’8 luglio. 

Superare la violenza e costruire concordia, giustizia e fraternità
Il Paese, infatti, sta vivendo una fase storica importante: l’intesa raggiunta a Cuba il 23 giugno scorso, dopo quattro anni di negoziati, pone fine a più di 50 anni di conflitto tra il governo e le Farc. Punti centrali dell’accordo sono il cessate-il-fuoco e la consegna delle armi da parte delle forze rivoluzionarie. “La Chiesa ha sempre lavorato in favore di una soluzione negoziata del conflitto armato – scrivono i vescovi – per superare tutte le forme di violenza esistenti nel Paese” e costruire “una società pacifica”, in cui non manchino mai “concordia, giustizia, fraternità e amore”.

Le sfide principali del Paese
Ma nonostante l’attuale contesto positivo, i vescovi sottolineano numerose “sfide serie” che vanno affrontate “con coraggio, responsabilità ed impegno da parte di tutti” per “proseguire nella costruzione di una Colombia migliore”. E tra le sfide principali, la Cec indica la necessità di “sradicare la violenza” nel Paese. Una violenza – spiega il messaggio – dovuta a molteplici fattori: l’allontanamento da Dio che comporta la perdita del valore della vita e della coscienza di fronte al male; la crisi di umanità ed il disconoscimento della dignità umana; la disgregazione della famiglia. 

Allarme per corruzione dell’economia e delle idee
E ancora, i vescovi mettono in guardia dal relativismo etico e ricordano le carenze del sistema educativo; la debolezza istituzionale dello Stato, da cui deriva “la mancanza di accesso a servizi fondamentali come l’acqua ed il cibo”; le disuguaglianze sociali; la corruzione non solo economica, ma anche “delle idee, dei principi, dei valori”, dalla quale derivano drammi come il narcotraffico, l’estorsione, la tratta di esseri umani.

Tutelare dignità umana, famiglia, democrazia e Creato
Di fronte a questa amara fotografia del Paese, i vescovi colombiani sottolineano il loro “impegno nel cammino di costruzione della pace”, basato su alcuni principi fondamentali: l’evangelizzazione, portata avanti grazie ad una “Chiesa viva, missionaria, con un laicato impegnato e ben formato”; la difesa della dignità umana; la promozione del bene comune; la tutela della famiglia come “scuola di amore, perdono, valori, riconciliazione e pace, santuario in cui si crea e si protegge la vita”; la diffusione di valori etici “umani e cristiani” tra cui “verità, libertà, giustizia e solidarietà”; l’incoraggiamento dei cittadini alla partecipazione nella vita civile, così da “consolidare la democrazia”; l’attenzione alla giustizia sociale ed alla salvaguardia del Creato. Inoltre, i presuli richiamano l’importanza di “un sistema economico giusto e solidale, che superi le ingiustizie”.

Chiesa sia “ospedale da campo”
“La Chiesa in Colombia si converta in un ‘ospedale da campo’ – auspica ancora la Cec – ovvero un luogo in cui, dopo la guerra, ci si dedica con amore a curare, a sanare le ferite di tante vittime ed a guardare con fiducia al futuro”, per un Paese “nuovo, riconciliato e in pace”. Nell’ottica, poi, di una responsabilità condivisa da tutta la società per la riconciliazione nazionale, i presuli invitano i cittadini a partecipare al referendum, previsto nei prossimi mesi, sugli accordi di L’Avana.

L’auspicio di una visita di Papa Francesco
​Al contempo, gli aderenti all’Eln (Esercito di Liberazione nazionale) -  gruppo di guerriglieri che agisce nel Paese dal 1964 - vengono esortati ad assecondare “il desiderio di pace di tutti i colombiani” e ad “aprirsi al dialogo ed alla costruzione di un Paese in cui la giustizia sociale derivi dalla partecipazione politica e non dalle armi”. Infine, la Cec esprime l’auspicio di ricevere quanto prima una visita di Papa Francesco. Da ricordare che lo stesso Pontefice, lo scorso febbraio, parlando con i giornalisti sul volo papale che lo portava in Messico per il suo 12.mo viaggio apostolico, ha espresso l’auspicio di visitare la Colombia forse nel 2017. (A cura di Isabella Piro)

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Chiese Sud Sudan: appello per la fine dei combattimenti

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Le Chiese cristiane in Sud Sudan sono “profondamente preoccupate” dalla ripresa delle violenze tra i soldati fedeli al presidente Salva Kiir e le milizie legate al suo vice Riek Machar. In un messaggio diffuso domenica sulla radio, a nome a nome di tutti i leader cristiani, il segretario generale del Consiglio delle Chiese (Sscc), padre James Oyet Latansio, richiama  “militari e civili ad astenersi da qualsiasi provocazione” e i leader politici “ a fare il possibile per fermare l’escalation”.

Il tempo del ricorso alle armi è finito
“Non esprimiamo alcun giudizio su come e perché sono avvenuti gli scontri armati e sulle responsabilità, ma rileviamo con preoccupazione che negli ultimi tempi si sono verificati diversi incidenti e che la tensione cresce ”, si legge nel testo che condanna senza distinzione tutte le violenze: “Il tempo del ricorso alle armi è finito ed è giunta l’ora di costruire una nazione pacifica”.  I leader cristiani esprimono il loro apprezzamento per l’appello alla calma rivolto in questi giorni dai due ex-rivali  Salva  Kiir  e Riek Machar, ma allo stesso tempo rilevano che, purtroppo, le uccisioni non si sono verificate solo nella capitale, ricordando tra le vittime suor Veronika Theresia Rackova, la missionaria verbita slovacca uccisa lo scorso maggio nella diocesi di Yei da colpi di arma da fuoco sparati da alcuni soldati. Il messaggio conclude assicurando le preghiere delle Chiese per il Paese ed esortando nuovamente alla calma e alla speranza.

Un messaggio di speranza dai vescovi per l’anniversario dell’indipendenza
E un messaggio di speranza e incoraggiamento è stato lanciato anche dai vescovi del Sud Sudan, alla vigilia della celebrazione del quinto anniversario dell’indipendenza del Paese conquistata il 9 luglio 2011  e dopo la costituzione lo scorso aprile del nuovo Governo di unità nazionale. “Non abbiate paura — sottolineano i presuli — alzatevi sopra le avversità. Siate pronti ad impegnarvi per la pace e per il bene comune”. L’episcopato, inoltre, invita a uscire da una logica di guerra per promuovere una nuova cultura di pace e di riconciliazione: “Non c’è una guerra giusta, è necessario piuttosto un approccio a una pace giusta”. Allo stesso tempo però si denunciano quelli che sono gli ostacoli al dialogo e a una vera ricostruzione: “Dobbiamo sfidare la cultura militarista in Sud Sudan, dove perfino i civili portano armi da guerra. Condanniamo il commercio di armi che alimenta la guerra”. (L.Z.)

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India: civili uccisi in Orissa. I timori della Chiesa

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La Chiesa cattolica in Orissa è in allarme dopo l'uccisione di cinque civili, tra i quali due cristiani, nel distretto di Kandhamal, nello Stato indiano di Orissa. Come riferisce l'agenzia Fides, i cinque sono stati uccisi da un gruppo di paramilitari. L’arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, mons. John Barwa, presidente del Consiglio dei vescovi dell'Orissa, ha condannato l'uccisione delle cinque persone, avvenuta l'8 luglio, chiedendo giustizia per le vittime innocenti.

Le vittime sarebbero state scambiate per ribelli maoisti
Secondo la ricostruzione dell’accaduto, i cinque sono stati uccisi dalle forze paramilitari che stavano pattugliando l'area di Kandhamal perchè, secondo la versione ufficiale, sono stati scambiati per ribelli maoisti. Oltre ai cinque morti, ci sono altri cinque feriti.

La regione è stata teatro di violenze anti-cristiane
Secondo padre Ajaya Kumar Singh, sacerdote e attivista per i diritti umani, le uccisioni sono il risultato del fallimento dell’intelligence oppure fanno parte di un piano “che vuole eliminare tribali, dalit e minoranze cristiane nel distretto”. Nel 2008, il distretto di Kandhamal è stato teatro di violenze anticristiane che hanno fatto 100 morti e 50.000 sfollati. (P.A.)

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Regno Unito. Nomina premier May: le congratulazioni dei vescovi

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La tutela delle persone più vulnerabili e la collaborazione con la Chiesa cattolica: questi i due punti indicati dal card. Vincent Nichols, presidente della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, in un messaggio indirizzato a Theresa May, che entro oggi verrà nominata nuovo premier del Paese. Congratulandosi con lei, leader del partito conservatore dei Tories, il porporato le assicura le sue preghiere, insieme a quelle della “comunità cattolica di Inghilterra e Galles”.

Theresa May tra i partecipanti al “Gruppo Santa Marta” contro la tratta
Da sottolineare che Theresa May ha lavorato a stretto contatto con il card. Nichols, in particolare in materia di lotta al traffico di esseri umani ed alla schiavitù moderna. La futura premier, infatti, ha partecipato alla prima riunione del “Gruppo Santa Marta”, svoltasi nel 2014 in Vaticano, durante il quale i capi di polizia provenienti da oltre 20 Paesi del mondo si sono impegnati a collaborare con la Chiesa per debellare la piaga della tratta.

Giustizia ed integrità
“Sulla base del lavoro che abbiamo svolto insieme – afferma il card. Nichols – so che Lei ha molte qualità da porre al servizio del nostro Paese in questo momento”. In particolare, il porporato esprime apprezzamento per “la maturità di giudizio, la volontà di ferro, il senso di giustizia, e l’integrità personale sempre dimostrata” dalla May.

Tutelare i deboli e lavorare con la Chiesa a promozione del bene comune
​“La ringrazio – sottolinea il presidente dei vescovi inglesi - per il notevole lavoro compiuto in favore delle vittime della tratta di esseri umani e per il forte sostegno personale per la costituzione del Gruppo Santa Marta”. Si tratta di “una chiara indicazione non solo della Sua determinazione ad usare l’alta carica politica per la protezione di alcune delle persone più vulnerabili al mondo, ma anche della Sua volontà di lavorare con la Chiesa cattolica”. Infine, il porporato assicura la collaborazione dei vescovi nella promozione del “bene comune”. (I.P.)

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Card. Vallini al campo rom di Castel Romano: degrado inaccettabile

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Nella visita ieri pomeriggio all’insediamento al 26° chilometro della via Pontina, tra sporcizia, topi e baracche fatiscenti - raccontata in esclusiva dalla testata diocesana on line Romasette.it  - il cardinale vicario del Papa per la diocesi di Roma Agostino Vallini parla di «vergogna» e «abbandono». «Il riscatto parte dall’impegno di chi vive qui, ma i cittadini devono liberarsi dai pregiudizi. Provo una grande sofferenza nel vedere tante persone, genitori e soprattutto bambini, in una condizione di degrado inaccettabile. Ho visto però anche la volontà di riscatto e il loro desiderio di superare questa condizione. Si sentono abbandonati e lo sono. Quindi, dobbiamo prenderci carico di loro»: è  il monito del card. Vallini.

Il card. Vallini: una situazione che fa vergogna al mondo
Il racconto della visita, durata più di tre ore, all’insediamento al 26° chilometro della via Pontina, a poco più di venti chilometri dal centro di Roma, fotografa la drammatica situazione del campo, tra «“vie” fangose, topi e baracche rattoppate con legno e nastro adesivo». «Una situazione che fa vergogna al mondo, indegna di una città come Roma - afferma il cardinale vicario - neanche dopo la guerra ho visto una cosa simile». Il card. Vallini, che ha parlato con molte famiglie del campo e si è informato sulla loro condizione, era accompagnato da mons. Pierpaolo Felicolo, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale delle migrazioni, e da alcuni volontari (Comunità di Sant’Egidio e parrocchie) impegnati accanto alle famiglie rom del campo.

I cittadini devono liberarsi dai preconcetti e dai pregiudizi
«Il riscatto - sottolinea il vicario del Papa - parte dall’impegno di chi vive in questi campi, facendo in modo che non si trasformino in discariche, ma le istituzioni e i cittadini devono liberarsi dai preconcetti e dai pregiudizi». «Sento il dovere - conclude il cardinale Agostino Vallini - di sollecitare le istituzioni a superare al più presto questa vergogna». (R.P.)

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Esequie card. Piovanelli. Card. Betori: per sempre ‘nelle mani di Dio’

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“Solo pensandoci come collocati da sempre e per sempre ‘nelle mani di Dio’ possiamo darci ragione delle vicende di una vita, quella nostra, così spesso toccata dalla sofferenza, costretta a misurarsi con la presenza del male nel mondo, sfidata dalla morte”. Lo ha detto ieri sera il cardinale arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, nell’omelia dei funerali del cardinale arcivescovo emerito Silvano Piovanelli, scomparso a 92 anni la notte del 9 luglio. Il card. Betori - riferisce l'agenzia Sir - ha presieduto le esequie nella cattedrale di Santa Maria del Fiore.

Sepolto nella cripta di San Zanobi della cattedrale di Firenze
A concelebrare i cardinali Ennio Antonelli e Gualtiero Bassetti; vescovi, primi fra tutti quelli della Toscana; sacerdoti della diocesi. Il card. Piovanelli sarà sepolto nel sepolcro dei vescovi fiorentini nella cripta di San Zanobi nella stessa cattedrale. “Solo la certezza di un Dio che ama con amore fedele, a cui ci è chiesto di rispondere ‘fedeli nell’amore’ per poter rimanere per sempre ‘presso di lui’ – ha spiegato Betori – è fonte nel nostro cuore di una speranza indefettibile, che ci apre a un futuro di condivisione del suo regno e di rivelazione dello splendore di una vita destinata all’eternità”.

Testamento del card. Piovanelli: solo Dio è stato la luce dei miei giorni
Questa fede, ha proseguito, “l’abbiamo riconosciuta nella testimonianza che il vescovo Silvano ci ha consegnato con la sua vita, ogni giorno della sua esistenza tra noi, e ha espresso nelle parole che aprono il suo testamento spirituale, dettato appena un mese fa: ‘Sono in dirittura di arrivo e tutta la mia vita è rivolta verso il Signore, il quale ha riempito la mia esistenza. Lui solo è stato la luce dei miei giorni'”. Una vita per il Signore, ancora parole di Betori, “e quindi orientata da sempre all’incontro con lui; una vita che, proprio perché per il Signore, è stata una vita con e per i fratelli”. Questa lezione di fede “è quanto siamo chiamati ad accogliere come un dono di grazia e un insegnamento ultimo del nostro amato cardinale”.

La vita del card. Piovanelli vissuta nell'obbedienza al Padre
Commentando la lettera ai Romani, il card. Betori ha richiamato un passo di quanto Piovanelli scrisse nel 1997: “Nonostante le mie opacità e le mie deformazioni, ha custodito in me il dono della sua presenza: davvero, il suo Amore è più grande del nostro stesso cuore!”. Con riferimento alla pagina evangelica della consegna che Gesù fa di sé al Padre sulla croce, il card. Betori ha spiegato che  essa “è l’ultimo atto di quell’obbedienza che è stata tutta la sua vita, con cui consegnandosi alla volontà del Padre si è ogni giorno consegnato all’umanità e alla sua salvezza”.

È la fede che anche in questo momento sorregge i nostri cuori 
“Sappiamo – ha aggiunto – come queste parole, come le altre di Gesù sulla croce il cardinale abbia voluto avere avanti a sé negli ultimi giorni della sua vita, per ripeterle e condividerle, per condividere la volontà del Signore nell’offrirsi al Padre e, in lui, ai fratelli”. E proprio perché Gesù “non trattiene per sé la propria vita, ma la consegna al Padre, questa vita non si consuma ma si ritrova trasformata nella risurrezione” secondo la promessa fatta “a tutti coloro che credono in Gesù e ne condividono l’offerta di sé per il mondo”. È la fede, ha concluso Betori, “che sorregge i nostri cuori anche in questo momento. Mentre consegniamo le spoglie mortali del nostro caro cardinale Silvano al sepolcro, riaffermiamo nella fede che da quel sepolcro risorgerà per la vita eterna”. (R.P.)

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Vescovi Usa: gratitudine a P. Lombardi e per la nomina di Burke

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Gratitudine a padre Lombardi per i suoi dieci anni “di leale ed efficace servizio al Santo Padre” e gratitudine per la nomina del suo successore Greg Burke. Così il presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, mons. Joseph E. Kurtz saluta il cambio della guardia alla Sala Stampa della Santa Sede annunciato l’11 luglio.

Due grandi esperti di media
 “Padre Lombardi – si legge nella dichiarazione - ha aiutato a diffondere il Vangelo nel mondo lungo due  pontificati e sono grato di avere imparato molto non solo dalla sua esperienza nei media, ma anche dal suo profondo amore per la Chiesa durante i sei giorni che abbiamo passato insieme quando Papa Francesco ha visitato gli Stati Uniti”.  Grande la gioia anche per la nomina di Greg Burke “un uomo - afferma - devoto alla Chiesa e un straordinario comunicatore”.

Le congratulazioni a Paloma García Ovejero
Il presidente dei vescovi statunitensi esprime infine le sue vive congratulazioni a Paloma García Ovejero, prima donna a rivestire la carica di vice-direttore della Sala Stampa della Santa Sede. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 195

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.